Y E R AUD
N R U B HEP
La princ ipessa
di Tiffan
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ROBYN K
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GREMESE
AUDREY
HEPBURN di Tiffany
L a p r in c ip e s s a A HELEN BOURNE
L’Autrice ringrazia la Hodder e Stoughton Limited per avere autorizzato la pubblicazione di numerosi estratti della biografia Audrey di Charles Higham (New English Libray), nonché Ian Woodward, la Rupert Crew Limited e la Virgin per avere autorizzato la pubblicazione di numerosi estratti della biografia Audrey Hepburn: The Fair Lady of the Screen, copyright © Ian Woodward 1984, pubblicata nel 1993 (Virgin). Titolo originale: A Star Danced. The Life of Audrey Hepburn (Bloomsbury Publishing Limited, Gran Bretagna, 1993) 1993 © Robyn Karney Copertina e design grafico degli interni: La Mela Verde s.n.c. (lamela.verde@tiscali.it) Foto di copertina: Paramount Pictures (1956) Collaborazione alla ricerca del materiale iconografico: Enrico Lancia Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l. – Roma Crediti iconografici: Aquarius: 28, 57, 71, 113, 141 (alto), 144 (sinistra), 154, 155 (basso), 160 (basso), 164 (destra), 165, 178, 179 (destra); Archives Advertising: 46; Archivio Centro Studi Cinematografici: 48, 51, 55, 69, 72, 73, 80, 82,
84, 85, 86, 88, 90, 91, 92 (alto), 95, 96, 100, 101, 104, 107, 110, 117, 119 (basso), 123, 124, 128, 130 (alto), 132 (basso), 134, 135, 136 (basso), 137, 138, 139, 142, 146, 147, 148, 152, 153, 156, 169 (basso); Audrey Hepburn Estate Collection: 62, 184; Bob Willoughby: pagg. 10-11, 60 (sinistra), 102, 103, 129, 140, 141 (basso), 145; Camera Press/Terry O’Neill: 150, 151, 158 (alto); Douglas Kirkland: 176; E.T. Archive: 16; Eileen Darby: 43; Gamma/Frank Spooner Pictures: 12 (destra), 172 (sinistra), 173, 180, 181; Granata Press Service, Milano: 8; Hulton Deutsch Collection: 29; Joel Finler: 66, 144 (destra); John Isaac: 162; Katz Pictures/Peter Charlesworth: 172 (destra), 183; Kobal Collection: 39 (alto), 42, 56-57, 78, 79, 93 (basso), 106, 112, 118, 127, 136 (alto), 170; Moviestore Collection: 159; New York Public Library: 64, 65; Paramount Picture: 190; Paramount Picture/Bud Fraker: 7; Photofest: 19, 25 (destra), 33, 35, 37, 39 (basso), 40, 41, 45, 50 (alto), 52, 53, 58, 59, 76, 83, 89, 92, (basso), 94, 98, 99, 105, 108, 109, 116, 120, 121, 130, 132 (alto), 133, 143, 157, 166, 167, 171, 175, 179 (sinistra); Popperfoto: pag. 12 (sinistra), 22, 23, 26, 30, 34, 50 (basso), 161; Rex Features: 24, 25 (sinistra), 27, 54, 155 (alto), 158 (basso); Richard Avedon, Inc., New York: 13; Ronald Grant Collection: 32, 38, 74, 75, 81, 93 (alto), 119 (alto), 125, 160 (alto); Sam Shaw: 14; Tiffany & Co.: 182; Warner
Brothers Pictures Ltd.: 111, 126. Per quanto possibile l’Editore ha cercato di risalire al nome dell’autore di tutte le foto pubblicate in questo volume per darne la doverosa segnalazione. Non sempre però le ricerche sono state premiate dal successo ed è pertanto con vivo rammarico che l’Editore chiede scusa degli eventuali errori, lacune o omissioni, dichiarandosi fin d’ora disposto a revisioni in sede di eventuali ristampe e al riconoscimento dei relativi diritti ai sensi dell’art. 70 della legge n. 633 del 1941. li .A. – Asco
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Piceno
na: ione italia iz d ’e ll e d Copyright e GREMESE ne 1994 © Gremes ta io a r iz g d e prima e ista e int iv r e n io iz nuova ed . s.r.l. – Roma .E 2011 © E.G e suna part s e N i. t a v ti riser odotta, Tutti i dirit bro può essere ripr lsiasi modo li di questo o trasmessa, in qua t registra a iasi mezzo, ormale e con quals ventivo consenso f e senza il pr . e dell’Editor 9-9 8-8440-66 -8 8 7 9 N B IS
A. T A N O N O S E OV D È À L ena I , c S A , I V I A o t T t I A P , PAL lto rumore per nulla A L L E T S A N Mo …LÀ DOVE U
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uesto libro mi fu commissionato da Bloomsbury quando Audrey Hepburn era ancora in vita. Purtroppo, la sua tragica e prematura scomparsa rese triste e difficoltoso un progetto che all’inizio era stato quanto mai eccitante; questo dal momento che mi fu precluso l’accesso non solo all’oggetto stesso della mia ricerca, ma anche a molte delle persone per le quali la sua morte costituì un trauma troppo grave per poterne parlare. Nondimeno, mi sono sforzata di rendere il più possibile accurato e circostanziato il racconto della sua vita e delle sue doti straordinarie, e sono riuscita a rivedere tutti i suoi film, che si possono ormai considerare come sua perpetua memoria e testamento. Ho un debito di gratitudine verso molte persone. In primo luogo ringrazio il mio ricercatore, David Oppedisano, che ha sempre curato gli aspetti meno gradevoli di un serio lavoro di ricerca col suo consueto buon umore; Bernard Hrusa-Marlow e Tom Vallance, che mi hanno assistita in innumerevoli modi, compreso quello di mettermi materialmente a disposizione i film. Clive Hirschhorn mi ha ancora una volta lasciato libero accesso alla sua preziosa libreria, mentre Tim Wilson da New York mi ha spedito molto materiale stampato e cinematografico. Uno speciale ringraziamento va a Fred Zinnemann, che mi ha generosamente concesso molto del suo tempo, e a John McCallum che mi ha scritto appositamente dall’Australia; e naturalmente ad Andrew Thomas dello Studio Avedon di New York nonché a Richard Avedon stesso per avermi permesso di utilizzare il suo meraviglioso ritratto. Marion Hume, redattrice di moda dell’«Independent», Tasha Hudson della Caroline Neville Associates (in rappresentanza di Hubert de Givenchy), Jane Pritchard del Ballet Rambert e Terry Charman dell’Imperial War Museum mi sono stati tutti molto utili, così come Sue Sharp, che ha tradotto le interviste francesi, Robin Cross, Angie Errigo, Trevor Willsmer, Patrick Palmer e Vivien Heilbron. La mia collaboratrice Delayne Aarons si è applicata con dedizione impagabile alla correzione del manoscritto, ed è stato un vero piacere poter disporre di Anne-Marie Ehrlich per le ricerche iconografiche. Da parte sua, il mio agente Tony Peake mi è stato molto vicino in tutto il corso del mio lavoro. Uno speciale ringraziamento va infine a David Reynolds della Bloomsbury per il suo costante incoraggiamento, sostegno e aiuto pratico, e a Penny Phillips.
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SOMMARIO
ione z u d o r t n ? I … 9 è a s o c y, e e r d u A è i 15 Ch lità i g a r f e a do 21 Forz n o m l e n si s a p i m i r el M 31 P e l l i B lly, i B , y l l i 47 W ace p e a r r 63 Gue ris a P r u o j 77 Bon ede f i d i t t A 97
115 Un nuova vita 131 Fair Lady ena c s i r o u F 9 14 i g g a i V 163 177 Epilogo a afi r g o m l i F 185 ico t i l a n a e c i 187 Ind
INTRODUZIONE o favola. H a n u e h c a, olto più fficili… tuttavi m a t a t enti di vita è s re, alla «La mia h’io i miei mom ovuto affronta d nc avuto a stacolo che ho emiata». o PBURN r i E p n H a g t Y o a E t r s pe AUDR sempre o n o s e fi n
i Audrey d a z n e es dalla pr i è possibile o t l o v n m co empre s obiettivo. Non Posso solo s ò r a s ile «Sono e i fronte al mio d è sempre lì. . Non è possib d ,e rla Hepburn la. È lei e basta ibile interpreta me se fosse r s o o». migliora a, non mi è pos he lei già è. È c perfetto ritratt N c rl DO iù registra uperiore a ciò stessa il suo p RICHARD AVE s e renderla realizzare in s a riuscita
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ome Margot Fonteyn, sua ideale alter ego nel mondo del balletto, Audrey Hepburn ha sempre portato con sé ovunque andasse un alone di magia, dentro e fuori dallo schermo. La Hepburn – personaggio «raro come una giraffa azzurra», per usare le parole di Rex Reed – fu senza dubbio un caso a sé stante. Ci sono state attrici anche più belle e più dotate di lei dal punto di vista interpretativo, ma la sua personalità – in cui si fondevano la ragazza fragile e la donna di suprema eleganza, lo spirito e la grazia, la poesia e la vulnerabilità, tutte virtù riassunte poi in quella che generalmente viene denominata “classe” – fu assolutamente unica. Oltre ad essere una delle più celebri star del cinema, la Hepburn fu anche, di tutte loro, la più amata (e pagata, considerati i suoi
guadagni, paragonabili unicamente a quelli di Elizabeth Taylor). Eppure, la sua carriera cinematografica ebbe inizio più per caso che per proposito. Il salto di qualità, da un relativo anonimato alla prima parte importante, subito premiata con l’Oscar, si realizzò per la Hepburn, subito ribattezzata da Frank Sinatra “La Principessa”, con le cadenze di una vera e propria favola. I milioni di parole più o meno stravaganti che sono stati scritti su di lei, e le sue stesse interviste, concesse in genere con una certa riluttanza (ma con grande cortesia, sempre), si riferiscono in effetti sempre ai medesimi avvenimenti e fatti, gli stessi con i quali, a volte anche in modo contraddittorio, spiegava le proprie opinioni ed ambizioni. I pochi dettagli che decise di rivelare sul proprio passato, in particolare per ciò che riguarda gli anni della guerra, rimasero
sempre i medesimi, cambiando solo nella scelta delle parole o nello stile in cui venivano riportarti dall’intervistatore di turno. Il suo rigore professionale e la sua ricerca della perfezione non vennero mai meno, così come la continua tendenza a sminuire le proprie doti e l’impegno verso i propri compagni di vita, i propri figli e, successivamente, verso i bambini bisognosi di aiuto di tutto il mondo. Fu esclusivamente per merito proprio che la Hepburn divenne celebre in tutto il mondo sia per i suoi film che per la sua eleganza, esercitando una significativa influenza sul modo di vestire di un’intera generazione e anche di quella successiva; riuscendo inoltre a garantirsi il riconoscimento tanto del pubblico quanto dei propri colleghi anche dopo lunghi periodi di assenza dallo schermo; e a guadagnarsi infine stima internazionale per il suo strenuo impegno in veste di
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Siesta a tre: Audrey, il cerbiatto lp e il cagnolino Famous.
ambasciatrice dell’UNICEF, l’ultimo ruolo che interpretò con la consueta eccellenza sul palcoscenico del mondo. La sua carriera ebbe un insolito svolgimento. Dopo un’infanzia a dir poco traumatica nell’Olanda occupata dai nazisti, Audrey si trasferì in Inghilterra a studiare balletto. La sua altezza e le necessità economiche ostacolarono le sue aspirazioni di ballerina e la spinsero nel mondo del cabaret e del cinema. Nel corso di trentotto anni di carriera, interpretò un numero relativamente modesto di film, non più di ventisei in tutto. La prima mezza dozzina di questi la videro comparire in piccole parti e in ruoli minori che, se anche richiamarono su di lei l’attenzione dell’industria cinematografica inglese, non ricevettero tuttavia alcun particolare apprezzamento da parte del grande pubblico. La fama giunse solo nel 1953, col suo primo film americano Vacanze romane (Roman Holiday, USA 53), per il quale, a soli ventiquattro anni, conquistò l’Oscar come migliore attrice protagonista. Il grande amore che si sarebbe instaurato fra la Hepburn e la stampa internazionale cominciò subito a delinearsi, concretizzandosi in un diluvio di “valentine” mascherate da recensioni cinematografiche. Ovunque nel mondo spettatori adoranti attendevano impazienti il suo prossimo film. L’establishment di Hollywood era sorpreso e affascinato al tempo stesso, dal momento che non aveva mai incontrato un personaggio del genere. Quando la Hepburn “sbarcò” a Hollywood, arrivando dal nulla, esisteva allora un ordine prestabilito di personaggi femminili, eroine convenzionali che rientravano invariabilmente in pecise categorie: la dea del sesso, la femme fatale, la gattina, la ragazza della porta accanto, la spiritosa, l’attricetta svitata, la star del musical e la signora perbene.
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Audrey Hepburn, ventiquattrenne, riceve l’Oscar come migliore attrice protagonista per Vacanze romane dall’attore Jean Hersholt. Quasi quarant’anni dopo, nel 1993, le sarà assegnato (postumo) un premio intitolato allo stesso Hersholt.
Questa era la situazione quando la Hepburn fece il suo ingresso sulla scena. Così, nella marea di bionde, vamp e maggiorate, la maggior parte delle quali americane al cento per cento, provenienti dai recessi più vari e remoti degli States, si intrufolò una specie di “piccola fiammiferaia”: un’esile e misteriosa donna-bambina, alta, allampanata, senza seno, denti irregolari, mascella pronunciata, sopracciglia arcuate e narici dilatate. Cecil Beaton descrisse così il mondo in cui erano pettinati i suoi capelli: «sembrava che fossero stati rosicchiati dai topi»; inoltre,
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parlava uno strano inglese cantilenato dall’intrigante accento anglo-europeo. Si muoveva con una grazia che rendeva etereo ogni suo gesto, e il suo sorriso era incantevole, radioso e malinconico nello stesso tempo. Gli occhi, il suo tratto più distintivo e magnetico, erano grandi, scuri, intensissimi, capaci di evocare ogni minima sfumatura dell’emozione – sarebbe certamente stata una grandissima attrice del cinema muto. Lo stile e la personalità della Hepburn mutarono i parametri stessi che regolavano il successo di un’attrice sugli schermi americani. Come proclamò Billy Wilder: «Questa ragazza, da sola, farà considerare una cosa del passato l’attenzione che si è sempre data alle misure di una donna». Analogamente, il modo in cui la Hepburn condusse sia la sua vita privata che quella professionale infranse ogni regola codificata. La sua discrezione e la sua moderazione, la sua classe e il suo stile, il suo calore e il suo umorismo, e il rigoroso perfezionismo con cui si caratterizzò sin dall’inizio della sua carriera, ne fecero immediatamente un idolo. Vestita dentro e fuori dallo schermo da Givenchy, con il quale la sua immagine venne sempre identificata, la Hepburn venne adorata da celebri stilisti e fotografi. Michael Korn ha detto di lei: «Nel corso degli anni, Audrey Hepburn ha sempre proiettato un’immagine di stile, che non ha nulla a che fare con la moda». Isaac Mizrahi, affrontando la non facile impresa di tradurre in parole la sua magia, ha detto: «Il suo erotismo passa più per il cuore che per il basso ventre. Conquista il cuore, e insieme lo spirito, e la mente. In altre parole, ha a che fare con l’elevazione e l’illuminazione». La Hepburn fu fotografata innumerevoli volte, con straordinari risultati, dai più importanti fotografi contemporanei: Norman Parkinson, Cecil Beaton, Karsh of Ottawa, Anthony Armstrong Jones, e naturalmente Avedon. Grazia, dignità, fascino e compassione furono le caratteristiche peculiari della Hepburn, insieme all’impegno totale in ogni impresa a cui si dedicava. Gentile, premurosa, profonda, era anche dotata di uno straordinario senso
dell’umorismo, che spicca in alcuni momenti particolarmente felici dei suoi film; inoltre, era nota come una grande “ridarella”. L’attrice comica Lucille Ball ha detto di lei: «È un maschiaccio e una comica bravissima. Nessuno penserebbe mai che sia capace di interpretare il mio genere di commedie, e invece… Però, insomma, è così bella, così lieve che sarebbe un sacrilegio farglielo fare». La monella più famosa del mondo si trasformò in una splendida signora dello schermo, che lasciò un ricordo indelebile del suo fascino in film celebri come Sabrina (Id., USA 54), Cenerentola a Parigi (Funny Face, USA 57), Storia di una monaca (The Nun’s Story, USA 59), Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s, USA 61), Sciarada (Charade, USA 63), My Fair Lady (Id., USA 64) e Due per la strada (Two for the Road, USA 67).
Insieme a Hubert de Givenchy, lo stilista che si prese cura della sua immagine e divenne suo grande amico.
Nel corso della cerimonia di consegna degli Oscar svoltasi a Hollywood il 29 aprile 1993, a Audrey Hepburn fu assegnato (insieme ad Elizabeth Taylor) il premio Oscar Jean Hersholt per le attività umanitarie. Con gran dolore di tutti i presenti, non era però vissuta abbastanza per poterlo ricevere. Consegnando la statuetta dell’Oscar a suo figlio, Sean Hepburn Ferrer, Gregory Peck, coprotagonista con la Hepburn del suo primo film importante e suo grande amico per tutta la vita, parlò a nome di milioni di persone quando disse: «Nell’arco di tutta la sua carriera, è stata un simbolo di grazia e di bellezza, di stile e di raffinatezza, di grande spiritualità e di maliziosa innocenza. A tutti coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare con lei, è sempre apparsa un’artista tanto bella quanto sensibile. C’era poi una parte della sua vita che la occupava e interessava anche di più della sua carriera di attrice. Come ambasciatrice speciale dell’UNICEF, ha girato tutto il mondo senza mai fermarsi, a difesa dei poveri, dei diseredati, degli affamati, di tutte quelle persone che non l’avevano mai vista in tutta la sua bellezza sullo schermo, e che probabilmente non la potranno mai vedere… Il premio Oscar Jean Hersholt viene attribuito a persone che lavorano all’interno dell’industria cinematografica le cui attività umanitarie portano stima e riconoscimento a tutti noi. Ora, se c’è mai stato qualcuno fra tutti noi pienamente all’altezza degli ideali di questo premio, per convinzione e dedizione, ebbene questa è stata certamente Audrey Hepburn». Come ha scritto un giornalista americano: «Audrey Hepburn ha saziato le nostre fantasie di spettatori con inarrivabile finezza; e raramente, se mai è successo, ci ha lasciato delusi. Quando si è resa conto di avere dato abbastanza al cinema e ai suoi personaggi, ha cominciato a vivere solo come persona, e così facendo ha infuso speranza a tutti quelli che nulla sapevano di lei e della sua leggenda». Questa è la storia di una vita e di una carriera che sono diventate leggenda.
Richard Avedon: Audrey Hebpurn, 20 gennaio 1967, New York.
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CHI E’ AUDREY, E COSA E’…? ssima – o i l a m r o st an bambin elli lisci, piutto a n u o r «E cap ossuta, , a r g a m EPBURN H Y E . » R a D AU confus
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li indizi dell’originalità di Audrey Hepburn si possono già individuare nelle circostanze e negli eventi che fecero da sfondo alla sua nascita, avvenuta il 4 maggio 1929, da genitori il cui matrimonio, per usare le parole dello scrittore Charles Higham, «aveva sancito un connubio evidente quanto sconveniente tra aristocrazia e borghesia». La bambina, battezzata Edda Kathleen Van Heemstra Hepburn-Ruston, era «sottile e flessuosa», con gli occhi «più belli e gioiosi che si fossero mai visti». Dall’esterno appariva fragile, timida e tranquilla – “un’eccezione, in una famiglia composta di persone gagliarde e vigorose”. Lo “sconveniente connubio” a cui si riferiva Higham aveva come protagonisti J.A. Hepburn-Ruston, facoltoso banchiere anglo-irlandese, divorziato e dalla fama di uomo irresistibile, e la baronessa Ella Van
nessun a a t t a d ia rn non s i adatta a lei». u b p e H » «Audrey essun cliché s «TIMES n cliché, e
Heemstra, aristocratica olandese di elevato lignaggio, divorziata, madre di due bambini, ma ancora giovane e attraente. Quella dei Van Heemstra era un’antica famiglia aristocratica olandese di proprietari terrieri, e aveva strette relazioni con la casa reale, che molti dei suoi membri avevano servito in molteplici occasioni e nei ruoli più vari. Gli uomini si erano distinti nella carriera militare, nelle cariche politiche e amministrative e in magistratura. Erano rinomati per il loro orgoglio, la loro lealtà, la loro dirittura morale e la loro cultura. La madre di Audrey era la terza figlia del barone Aarnoud Van Heemstra, eminente e stimato magistrato alla corte della regina Guglielmina. Era stato per un certo periodo di tempo il borgomastro di Arnhem, dopodiché gli venne affidato, dal 1921 al 1928, il governatorato della Guiana olandese (che dopo
l’indipendenza si chiamò Suriname). Nel 1896 aveva sposato Elbrig Van Asbeck, una baronessa il cui albero genealogico risaliva al XII secolo e all’interno del quale si contavano antenati ungheresi, francesi ed ebrei. Aarnoud e la Elbrig avevano avuto sei figli, cinque femmine (una delle quali divenne dama di compagnia della regina Giuliana) e un maschio. Questa numerosa nidiata di bambini trascorse la maggior parte dell’infanzia in una della grandi tenute di famiglia a Doorn, presso Utrecht, in uno splendido castello circondato da un fossato e da varie centinaia di acri di verdissima campagna. Oggi, l’Het Kasteel De Doorn, l’antico nome del castello, è chiamato semplicemente Huis-Doorn e rimane aperto al pubblico come museo di stato. Viene menzionato nei libri di storia come ultima residenza del Kaiser
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Huis Doorn, palazzo patrizio di proprietà della famiglia Van Heemstra, ceduto nel 1918 al Kaiser Guglielmo II che vi fissò la sua ultima residenza.
Guglielmo II, che l’acquistò dalla baronessa Elbrig Van Heemstra subito dopo avere abbandonato la Germania sconfitta, alla fine della Prima guerra mondiale. A quel tempo, nel 1918, la famiglia Van Heemstra aveva spostato la propria residenza in un’altra delle proprie tenute “storiche”, nei dintorni di Arnhem. Lì, nel 1920, la giovane Ella si unì in matrimonio con il nobile Jan Van Ufford, un altro aristocratico di rango, anch’egli servitore della casa reale. Fu un’unione burrascosa, che si concluse con
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un divorzio cinque anni più tardi, dopo la nascita di due figli. La baronessa Van Heemstra, come Ella decise di chiamarsi dopo il divorzio, e i suoi due figli, Alexander e Ian, trascorsero quindi qualche periodo di tempo con i genitori di lei, in Suriname. Lì, Ella incontrò Joseph Hepburn-Ruston, strettamente coinvolto nell’amministrazione del patrimonio di beni mobili e immobili della famiglia Van Heemstra, in qualità di direttore della filiale di Bruxelles della Banca d’Inghilterra. I due si sposarono a Batavia (ora Djakarta) nel settembre del 1926, e si stabilirono successivamente nei dintorni di Bruxelles. Fu proprio lì, in una bella casa del XIX secolo, spaziosa ed elegante, dalla posizione particolarmente felice, che venne alla luce la loro prima e unica bambina. Nonostante la
sua nascita e tutti i privilegi che l’accompagnarono, la piccola Edda non dimostrò di possedere né la robusta fibra tipica della stirpe olandese, né tantomeno la personalità sfrontata ed estroversa che le poteva derivare in virtù del suo lignaggio. La vita successiva di Audrey Hepburn doveva viceversa rivelare, in un grado anche molto pronunciato, tutti i segni (e le ferite) di una fanciullezza e di una adolescenza che finirono per configurarsi come un amalgama inestricabile di privilegi e privazioni. Educata alle buone maniere, alla raffinata cultura, allo stile e alla storia familiare dei Van Heemstra (i cui ritratti facevano bella mostra di sé lungo le pareti di musei e gallerie d’arte, oltreché delle più eleganti residenze private), la piccola Edda trascorse gli anni della sua fanciullezza in un mondo meraviglioso e in tutto simile a
quello delle favole; non aveva semplicemente nulla da desiderare. Con i suoi fratellastri andava d’accordissimo, tanto che accanto a loro, lasciata alle spalle la sua timidezza, imparò a fare il maschiaccio con grandissimo gusto. A sua madre era estremamente legata, tanto che in seguito dichiarò che la maggiore influenza su di lei era stata appunto quella materna. Un legame che rimase fortissimo fino alla morte di Ella, nel 1984.
più indipendente, non mantenne a lungo tale punto di vista. Nonostante il suo modo autoritario di interpretare il ruolo materno, Ella incoraggiò i primi entusiasmi di Audrey per la musica e la danza, e in seguito approvò le sue ambizioni artistiche. Fin da piccola, Audrey manifestò un grande
Tuttavia, la baronessa Van Heemstra era decisa e presente almeno quant’era affascinante. Fu sempre il più strenuo difensore degli interessi di sua figlia, tanto che i suoi disconoscimenti di alcune scelte di Audrey, in particolare a proposito degli uomini della sua vita, crearono di tanto in tanto delle fratture fra di loro. Negli ultimi anni Audrey, che era sempre stata spinta, in tutta la sua vita, da una continua ricerca di amore e di affetto, parlò di sua madre in un’intervista televisiva concessa a Richard Brown: «È vero, ho avuto una madre straordinaria. Però lei non è mai stata una persona affettuosa, nel senso che io oggi attribuisco alla parola affetto. Ho passato tantissimo tempo a cercarlo, l’affetto – e l’ho trovato. Lei certo era una madre favolosa, ma proveniva da un’altra epoca – era nata nel 1900, ancora sotto l’influenza vittoriana – un’epoca di grande disciplina, di grande rigore morale… c’era molto amore, in lei, e non sempre la capacità di mostrarlo. E poi, era veramente severa». Quando Ella Van Heemstra stava crescendo, suo padre riteneva, com’era d’uso tradizionalmente nel loro ambiente, che le signorine di buona famiglia non dovessero avere nulla a che fare con il palcoscenico e il mondo del teatro in generale, considerato poco rispettalile. La baronessa, di mentalità
Audrey bambina. Non ci sono molti segni dell’incantevole bellezza che sta per venire.
allo ta cultura, a in f f a r a ll ,a ne maniere Van Heemstra, la o u b e ll a a a ei Educat fanciullezz familiare d a ia u r s o t a s ll e a d ll i a nn stile e ile a quello scorse gli a a im r t s a o t d t d u E t e in piccola raviglioso, e m o d n o in un m . delle favole
amore per gli animali, i fiori e la campagna in genere che si sarebbe mantenuto inalterato per tutta la durata della sua vita. Quando non giocava con i suoi fratellastri diventava una bambina solitaria, e si divertiva più a giocare con gattini, conigli e cuccioli che non con altri bambini. Ipersensibile e solitaria, reagiva piuttosto male alle tensioni e all’infelicità, anche se all’occasione era capace di divertirsi e stare allegra, dotata com’era di un malizioso (e contagioso) senso dell’umorismo. Sognatrice ad occhi aperti, si divertiva a indossare i vestiti di sua madre, era profondamente sensibile alla musica, e non
appena fu in grado di leggere divenne un’accanita divoratrice di libri, molto influenzata in questo dal suo fratellastro Ian. Questo entusiasmo condiviso per la lettura fu uno dei pochi ricordi privati che la Hepburn rievocò nei dettagli molti anni dopo, in un’intervista all’«Evening News» di Londra: «Ian era il classico divoratore di libri; quando eravamo bambini adorava Kipling. Lo ammiravo tanto che lessi tutti i libri di Kipling perché non desideravo altro che essere come lui... Il risultato fu che prima di compiere 13 anni avevo già letto tutti i libri di Edgar Wallace e di E. Phillips Oppenheimer. Quelli sì che erano libri di avventure, e su di me ragazzina esercitavano un fascino molto superiore a quello di libri come Topsy va a scuola». Il forte interesse della piccola Audrey per la letteratura, combinato con il rifiuto da parte sua di giocare con le bambole, che considerava stupide, sono già precoci indicazioni che anticipano in qualche modo i paradossi che avrebbero in seguito caratterizzato la sua immagine e la sua stessa personalità negli anni successivi. La ragazzina che odiava le bambole avrebbe imparato ad amare i bambini e in seguito ad allevarne di propri; il gusto per le storie avventurose e per i libri gialli si sarebbe evoluto in quello, altrettanto sentito e profondo, per le storie di fate e di magia. Nella stessa intervista citata in precedenza, la Hepburn dichiarò: «Se mai dovessi sottolineare l’importanza di un singolo elemento all’interno di un qualsiasi spettacolo, indicherei certamente il fantastico… la gente va a teatro e al cinema per la stessa ragione per cui essi appaiono fantastici – il senso di assistere a qualcosa che non è reale. Il fantastico è, a mio avviso, il nucleo stesso dello spettacolo». Comunque sia, la prima infanzia di Audrey fu protetta e confortevole, un periodo privilegiato di giochi all’aperto nella cornice naturale più splendida che si possa immaginare, accudita da balie, governanti e tutori privati. Il suo tempo trascorreva nelle tenute familiari in Belgio e in Olanda e, dall’età di quattro anni in poi, in Inghilterra, dove la piccola Audrey
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cominciò a venire trasferita nel corso dei mesi invernali. Tuttavia un’ombra si insinuò all’interno di questa esistenza apparentemente perfetta: le continue tensioni che laceravano dall’interno la vita matrimoniale dei suoi genitori. A detta di tutti, la causa principale di attrito fra gli Hepburn-Ruston era costituita dal metodo con cui il marito amministrava il patrimonio familiare e gli affari in generale della baronessa Van Heemstra. Le liti e le divergenze di opinioni degenerarono col tempo in un conflitto vero e proprio fra i due coniugi, e si venne a creare in casa un’atmosfera pesante che turbò profondamente l’ipersensibile Audrey. Durante le frequenti assenze del padre, impegnato spesso all’estero per il suo lavoro di banchiere, la bambina sembrava abbastanza felice, nei limiti consentiti dalla sua personalità malinconica e dalla sua timidezza; tuttavia i ritorni di lui riuscivano sempre in qualche modo a turbarla. A Audrey non restava così che ritirarsi all’interno della sua conchiglia, nascondersi nella campagna circostante e, abbandonandosi alla più classica delle sindromi ansiose, mangiare in modo nevrotico. La sua predilezione andò ai cioccolatini, tanto che – per quanto possa sembrare incredibile, considerando la proverbiale snellezza del suo personale, mantenuta in seguito per la maggior parte della sua vita – la piccola Audrey attraversò un periodo in cui si trasformò in una bambinona paffuta. Nel 1935, quando Audrey aveva appena sei anni, senza il minimo preavviso o spiegazione suo padre se ne andò di casa, senza farvi mai più ritorno, e si stabilì a Londra. Lì, fra le sue frequentazioni nei circoli dell’alta società si contavano personaggi come Sir Oswald e Lady Diana Mosley, e Unity Midford, allora fidanzata di Adolf Hitler. Hepburn-Ruston strinse e approfondì ulteriormente questi legami e queste conoscenze, fino a diventare un appassionato sostenitore del movimento fascista di Mosley, arrivando a marciare con le Camicie Nere inglesi. I commenti di sua figlia in merito a queste scelte non sono mai stati resi pubblici. A quanto pare, dopo la fine
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della Seconda guerra mondiale, Hepburn-Ruston viveva in Irlanda, ma non è chiaro se Audrey abbia rivisto o meno il padre dopo lo scoppio del conflitto. Comunque, e contrariamente ad ogni aspettativa, quando il divorzio dei genitori di Audrey venne sancito ufficialmente (molto tempo dopo l’abbandono della famiglia da parte del padre), Hepburn-Ruston insistette per ottenere la possibilità di vedere e frequentare la figlia. Il risultato pratico di questa risoluzione fu che Audrey, che ancora non aveva compiuto dieci anni, con tutta la sua timidezza, i suoi timori, la perfetta consapevolezza del suo aspetto e la scarsa predisposizione caratteriale ai rigori di una corretta educazione anglosassone, venne trasferita di peso in un esclusivo collegio per ragazze nei dintorni di Londra. Con la ferma determinazione di considerare sempre il lato positivo di ogni situazione, anche negativa, che caratterizzò sempre le sue dichiarazioni pubbliche, la Hepburn confessò molti anni dopo che quel trasferimento l’aveva terrorizzata, ma che tuttavia «alla fine ne aveva tratto una salutare lezione di indipendenza». Di fatto, il soggiorno relativamente breve di Audrey presso il collegio ebbe un profondo influsso sul suo futuro. Il severo regime collegiale e le esigenze della vita accademica e comunitaria avrebbero potuto costituire un trauma per una ragazzina così sensibile. In effetti era sempre stata delicata di salute, e proprio in collegio cominciarono a manifestarsi gli attacchi di emicrania che l’avrebbero afflitta per tutta la vita. Ma tutte le difficoltà di adattamento vennero rapidamente compensate dalle lezioni di balletto che cominciò a prendere in collegio. Quando alla fine del primo semestre la baronessa Van Heemstra venne a trovare la figlia, le si presentò una nuova Audrey: vivace, entusiasta e innamorata della danza. Da quel momento in poi il balletto divenne la sua grande passione, la Pavlova la sua eroina, e la celebrità la sua massima aspirazione. Londra schiuse anche i suoi orizzonti da molti altri punti di vista. Audrey venne condotta a visitare i principali monumenti storici come la
celebre Torre, dove erano state rinchiuse fino alla morte varie regine; visitò la National Gallery, divenne un’abituale frequentatrice dello zoo di Regent’s Park (nei pressi del quale sua madre aveva preso in affitto un appartamento), provò il brivido del Museo delle cere di Madame Tussaud e rispose con grande entusiasmo a quella forma di spettacolo così tipicamente inglese che è la pantomima di Natale. La vita di Audrey sembrava ormai destinata per molti anni ancora a seguire questi binari, quando il 3 settembre 1939 la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania di Adolf Hitler. La baronessa Van Heemstra, temendo che l’Inghilterra venisse presto invasa dalle armate naziste, pretese dal suo ex marito che Audrey venisse rimandata indietro in Olanda a garanzia della sua sicurezza – per la precisione ad Arnhem, una cittadina vicinissima al confine con la Germania destinata di lì a poco a subire le più pesanti conseguenze dell’occupazione nazista. La sconfortante intempestività di quella decisione della baronessa non si sarebbe tuttavia rivelata che alla vigilia della primavera successiva. Nel settembre del 1939, infatti, Arnhem era una splendida cittadina piena di memorie storiche, dalla raffinata architettura medievale, circondata da meravigliosi boschi e da colline dalle linee sinuose, un paesaggio molto diverso da quello consueto, piatto e monotono, dell’Olanda. Oltre a musei, gallerie d’arte, residenze storiche e antiche abbazie, c’erano svariati parchi che in primavera e in estate si riempivano di tulipani, e persino una locale orchestra sinfonica. E naturalmente c’era anche il ponte, destinato a divenire celebre nel momento in cui, cinque anni dopo, sarebbe stato teatro di una sanguinosa sconfitta dell’esercito di liberazione alleato. Arnhem era anche una città con una cospicua rappresentanza di inglesi. Molte famiglie britanniche vi si erano stabilite nel corso del XVII secolo, e ad Arnhem era morto il celebre poeta e condottiero inglese Sir Philip Sidney. La baronessa Van Heemstra divenne presidentessa della filiale locale della British-Netherlands Society, che avrebbe costituito il terreno ove si sarebbe sviluppata
Mamma Ella insieme alla piccola Audrey.
durante la guerra la lotta della resistenza, nella quale essa sarebbe stata profondamente coinvolta. Quando Audrey raggiunse la madre e i fratelli ad Arnhem, si ritrovò in una delle splendide tenute di famiglia negli immediati dintorni della cittadina. Audrey venne regolarmente iscritta alla scuola pubblica di Arnhem per proseguire il suo corso di studi; un fatto normale per una bambina di dieci anni, ma che le creò comunque parecchie difficoltà, almeno finché non ebbe imparato a parlare correttamente l’olandese. Rievocando quei suoi primi giorni a scuola la Hepburn si rivedeva così: «Stavo seduta al banco, assolutamente confusa. Per molti giorni tornai a casa in lacrime. Tuttavia sapevo che non
avrei mai dovuto mollare. Non mi restava che imparare la lingua il più in fretta possibile. E così alla fine l’imparai». Con grande felicità di Audrey, sua madre fece in modo che la figlia potesse continuare a prendere lezioni di balletto presso il Conservatorio di Musica e Danza di Arnhem. Anche se il livello delle lezioni non era particolarmente elevato, fu comunque
sufficiente a conferire a Audrey la necessaria correttezza nelle posture, a rafforzare la sua colonna vertebrale e a sciogliere la rigidità dei suoi movimenti, che avrebbe potuto costituire una grossa limitazione per una futura ballerina. I suoi piedi e le sue caviglie erano
l y. Se de e r d u A i d talento ti essere allo l i r e p o en ti erit ssun m io. Potrei altrim ipinti conserva e n o r e di D davv dei d «Non ho è, è solo merito i un cielo blu o EMSTRA d c’ E a o H s t o n N i l e A l g V a o t odo org y». ONESSA m R A o s B s e t s em al Acad alla Roy
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piuttosto deboli, ma grazie alla sua consueta, ferrea determinazione, Audrey riuscì a rafforzarli quel tanto che bastava per permetterle di danzare sulle punte. Nei primi mesi di primavera del 1940, le nubi minacciose della guerra erano arrivate anche sull’Olanda. Soldati in uniforme marciavano lungo le strade, cavalli di frisia ricoperti di filo spinato venivano disseminati in tutte le campagne olandesi (se ne vedevano a centinaia dalle finestre del palazzo dei Van Heemstra) e il silenzio della campagna veniva periodicamente infranto dal rombo dell’artiglieria lungo la frontiera. Quella stessa primavera, nonostante il pericolo incombente, il Sadler’s Wells Ballet percorreva in tournée tutta l’Olanda, e si esibì anche ad Arnhem. La coraggiosa compagnia, diretta dall’illustre coreografa e insegnante di danza Ninette De Valois (in seguito nominata Dame dell’Impero britannico) e dal direttore d’orchestra Constant Lambert, contava come primi ballerini Margot Fonteyn, Robert Helpmann e Frederick Ashton. La compagnia si esibì in un repertorio che comprendeva The Rake’s Progress, Façade di Walton e Les Patineurs. La loro esibizione costituì senza dubbio l’evento più straordinario nella vita della giovane Audrey, ulteriormente sottolineato dal
fatto che, in qualità di presidentessa della British-Netherlands Society, la baronessa Ella Van Heemstra introdusse e fece da madrina all’intera, memorabile serata. Esiste un piccolo aneddoto in proposito che evoca molto bene la particolare atmosfera in cui si svolse quella straordinaria esibizione. Davanti al sipario abbassato, mentre in lontananza si udiva il rombo crescente del fuoco d’artiglieria, apparentemente dimentica del pericolo incombente, che viceversa cominciava ormai ad apparire evidente a tutti i presenti, la baronessa fece una lunga e noiosa introduzione. Oltre ai ringraziamenti e agli omaggi di rito alla compagnia, la baronessa costrinse i nervosissimi ballerini ad ascoltare un’interminabile ricostruzione della storia del Sadler’s Wells Ballet. Ma non è tutto. Quando finalmente la sua prolusione ebbe termine, Ella annunciò una cena a tarda sera, dopo lo spettacolo, alla quale venne invitata la compagnia al completo; a quella cena partecipò anche Audrey, che poté così fare la conoscenza dei suoi idoli e far loro omaggio di alcuni splendidi bouquet di fiori. Non appena la buona educazione lo permise, tutti i ballerini della compagnia si
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precipitarono nei loro pullman, dirigendosi verso la costa; li attendeva un pericoloso viaggio di ritorno in patria, ma avevano dovuto lasciarsi dietro tutte le scenografie, le suppellettili di scena e i costumi, sacrificati al disperato tentativo di sottrarsi all’ormai imminente invasione nazista dell’Olanda. C’era comunque una spiegazione allo strano comportamento della baronessa Van Heemstra. Ben consapevole che quella sera, sparsi in mezzo al pubblico, c’erano molti sostenitori dei nazisti, e avendo già deciso di adottare un atteggiamento volutamente non provocatorio nei confronti dei tedeschi, aveva voluto dare l’impressione che la sicurezza dei visitatori inglesi non le stesse particolarmente a cuore. Si trattò del primo atto di una lunga recita che la baronessa avrebbe interpretato nell’arco di tutta la guerra, suggerendo in modo sottile, mai esplicito, che gli antichi legami fra la famiglia Van Heemstra e l’ultimo Kaiser indicassero in qualche modo una posizione favorevole da parte sua alla causa tedesca. Ben consapevole di avere sangue ebreo nelle proprie vene, Ella non poteva permettersi il lusso di opporsi in modo diretto al nemico. Il 10 maggio 1940, dopo una lunga notte di allarmi aerei e di sirene, di fuoco dell’antiaerea e di lanci di truppe aviotrasportate, i tedeschi oltrepassarono il Reno e invasero l’Olanda; il 15 maggio, le forze armate olandesi furono costrette a capitolare. Arnhem, e tutto il resto dell’Olanda, erano ora sotto il diretto controllo delle forze armate di occupazione del Terzo Reich.
FORZA E FRAGILITA’ el monello, d a s s te s a e burn è l’id «Audrey Hep Huckleberry lla o im lt u l’ è , ccio que del maschia i bambina è d ia n o c n li a am a guerra». ll a d Finn… la su ta a g ti s N zione ca CECIL BEATO di una genera
L
a resistenza di Audrey Hepburn venne temprata nel fuoco della guerra. Nel corso di cinque lunghi anni Arnhem conobbe sofferenze e tragedie di ogni genere; tuttavia la popolazione locale, così come la maggioranza degli olandesi in tutto il paese durante l’occupazione, dimostrò un notevole coraggio, facendo tutto quello che era possibile per opporsi alle leggi razziali promulgate dai nazisti e per proteggere i membri della propria comunità ebraica. La regina Guglielmina e la sua corte furono costretti a ritirarsi in esilio in Inghilterra, ma per tutta la durata della guerra la sovrana si tenne in contatto coi suoi sudditi attraverso le frequenze di Freedom Radio, e divenne il simbolo stesso della resistenza olandese. I bambini olandesi furono costretti ad affrontare gli orrori della guerra; centinaia di essi si impegnarono attivamente nella lotta
la ndo è la guerra, o m l a ra u a p fa sta… «Ciò che più mi ccupazione nazi to o l’ te n ra u D . a n scia sofferenza uma se che hanno la o c i, il ib rr lla te e s o allora, ciò che a e h c ho visto tante c n a a M . e m ». elebile in nziale ottimismo ta un’impronta ind s o s io m il to URN to è sta AUDREY HEPB fine si è afferma
partigiana, e molti morirono combattendo per la libertà. Fra i caduti ci fu la giovane ebrea olandese Anna Frank. Il suo coraggio e la sua gioventù precocemente infranta divennero l’emblema stesso della straordinaria tempra di molti dei giovani della sua generazione. La dodicenne Edda Van Heemstra fu una di questi, e in anni successivi, nella veste di Audrey Hepburn attrice, le venne ripetutamente chiesto di interpretare il ruolo tragico della sua piccola contemporanea in adattamenti cinematografici e teatrali del celebre Diario di Anna Frank. Si trattava di una scelta ovvia, ma la Hepburn rifiutò sempre, recisamente, di prenderla in considerazione. Solo nel 1991, in veste di ambasciatrice e raccoglitrice di fondi per l’UNICEF, la Hepburn apparve a Londra al Barbican Arts Centre insieme alla London Simphony
Orchestra, e lesse alcuni brani del diario di Anna Frank sullo sfondo di una partitura musicale scritta per l’occasione dal compositore e direttore d’orchestra Michael Tilson Thomas. Lo scrittore e critico Sheridan Morley ricorda così quell’evento: «Fragile da spezzare il cuore, tanto da sembrare fatta di cristallo, si sistemò davanti all’immensa orchestra e si produsse in una interpretazione di un’intensità così lancinante che al termine dello spettacolo non fui il solo a chiederle di tornare sul palcoscenico, che aveva abbandonato al tempo di Vacanze romane, quasi quarant’anni prima». In quell’ occasione la Hepburn rispose alla richiesta di Morle con la consueta sincerità e una certa amarezza: «Vede, in realtà non si tratta del fatto che sono o non sono una brava attrice; il fatto è che anche la mia famiglia ha
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Audrey e la sua compagna Babs Johnson si preparano alla loro audizione per High Button Shoes.
vissuto in Olanda durante l’occupazione nazista, e io stessa ho conosciuto molte ragazze come Anna – ora lei avrebbe avuto la mia età. È questo il motivo per cui ho sempre rifiutato di interpretare il film su di lei: sapevo che avrei pianto troppo». A quel tempo, tuttavia, non c’era, tempo per piangere. Nei primi tempi dell’occupazione, la vita giornaliera di Audrey proseguì come prima, con la lunga strada da fare per andare da casa a scuola. Presto però la lingua e la storia tedesca vennero inserite nel programma scolastico, alcuni libri vennero censurati e le nomine dei docenti furono decise dai nazisti. Il controllo delle forze d’occupazione si estendeva oltreché alla scuola anche a tutte le istituzioni della città; dove i cattolici, gli ebrei e tutte le persone sospettate di dissenso contro il regime venivano sospese dai loro incarichi e
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sostituite da fiancheggiatori e simpatizzanti del partito nazista, dei quali anche l’Olanda – come del resto tutti gli altri paesi occupati – aveva una vasta rappresentanza. La baronessa Van Heemstra dedicò tutte le sue energie a lavorare per la resistenza, e sua figlia fu arruolata a sua volta, con l’incarico di trasportare messaggi, nascondendoli nelle suole delle scarpe. Il trucco era semplice e largamente usato, e fu tra quelli che i tedeschi scoprirono con una certa facilità. Fu un miracolo che Audrey non venisse mai arrestata. Il suo eccellente inglese, tenuto rigorosamente nascosto nella vita di tutti i giorni, venne altresì impiegato in numerose e pericolose missioni nel corso delle quali Audrey portò messaggi alle truppe aviotrasportate inglesi che si tenevano nascoste nelle foreste ai margini della cittadina. Nel corso di una di queste missioni,
nella primavera del 1942, Audrey era stata informata della presenza di una pattuglia tedesca nella zona in cui si sarebbe dovuta recare. Riuscì rapidamente a consegnare il suo messaggio e subito dopo s’incamminò per un sentiero che attraversava i boschi circostanti, mettendosi a cogliere fiori selvatici. Come temeva, incontrò un soldato tedesco, al quale sorrise e offrì i fiori appena colti. I suoi sorrisi l’avrebbero in seguito resa ricca, ma fu questo, senza dubbio, quello di cui fece l’uso più proficuo. La famiglia Van Heemstra si trasferì in una casa ai margini di Arnhem, più conveniente e molto più piccola ma anche meno confortevole. Man mano che la guerra procedeva e si allargava sempre più, la frequenza scolastica di Audrey diminuiva, finché non venne il giorno in cui Audrey lasciò definitivamente la scuola pubblica di Arnhem
e proseguì i suoi studi con un tutore. I piccoli viaggi che compiva regolarmente andando e venendo dalla sua casa ai margini della cittadina fornivano una plausibile copertura agli altri tragitti, che compiva invece come messaggera della resistenza. Ogni giorno si presentava una nuova difficoltà. Lo zio e il cugino di Audrey vennero arrestati come nemici del Reich e successivamente fucilati; in seguito suo fratello maggiore rifiutò di frequentare l’Istituto olandese per l’educazione tradizionale (un eufemismo sotto il quale si celavano le organizzazioni giovanili naziste) e venne spedito in un campo di lavoro in Germania dove rimase per tutta la durata della guerra. Si trattò di colpi devastanti per la famiglia Van Heemstra, la cui lotta per la sopravvivenza venne resa ancora più drammatica nel momento in cui, nel 1942, la baronessa fu privata dei suoi beni. Le proprietà di famiglia furono confiscate, e tutti i conti correnti in banca sequestrati d’ufficio dalle autorità tedesche, che riconobbero alla baronessa unicamente un’esigua somma mensile per il mantenimento dei figli. Audrey non conobbe così i piaceri e i tormenti tipici della vita di una normale adolescente, non ci furono per lei feste o picnic, o i primi piccoli amori. Non c’erano neanche film da andare a vedere al cinema (anni dopo Audrey confessò che allora non aveva mai sentito parlare di Hollywood), se non documentari di propaganda o film violentemente antisemiti, che venivano sfornati a getto continuo dall’industria cinematografica tedesca. Nel 1943 i tedeschi confiscarono tutti gli apparecchi radio per uso civile, lasciando gli olandesi isolati dal resto del mondo. L’unica
possibilità di ascoltare i messaggi della loro regina erano gli impianti ricetrasmittenti clandestini, nel più assoluto segreto e con il pericolo incombente della fucilazione. L’unica cosa che si poteva ascoltare era la musica, ma unicamente quella di compositori austriaci e tedeschi. La meravigliosa musica di Mozart, Beethoven e Wagner riusciva però a trascendere la tragica cecità di quei tempi, e proprio alla musica Audrey si affidò sempre più per tentare di sottrarsi alla realtà angosciosa della vita di tutti i giorni. Continuò infatti a frequentare il Conservatorio di Arnhem, che tra l’altro, in quel 1943, era diventato un importante centro nevralgico di attività clandestine. Dietro la facciata pubblica dei saggi di musica e balletto, i sostenitori della resistenza olandese offrivano vitto,
rifugio e documenti falsi ai compagni che erano in pericolo. Nel Conservatorio venivano tenuti concerti, balletti e vari altri generi di spettacolo, i cui incassi venivano investiti in finanziamenti alle attività della resistenza. Oltre a seguire le sue lezioni di danza e a dedicarsi ai suoi massacranti esercizi alla sbarra, Audrey partecipava ai balletti. Questo sistema di raccolta di fondi venne esteso anche alla messa in scena di spettacoli all’interno di case private. Dal momento però che questi eventi raccoglievano in un unico luogo molte più persone di quanto fosse permesso dalla legge nazista, essi finivano con l’assumere il carattere di rischiose riunioni clandestine, tenute dietro porte sprangate e finestre
La coraggiosa e tragica coetanea di Audrey, Anna Frank. Da notare la scritta ironica e commovente della giovane autrice del celebre diario.
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coperte da pesanti tendaggi, con il pianoforte d’accompagnamento tenuto al minimo volume possibile, in modo da non essere individuati dalla gendarmeria. Abbigliamenti, materiali di scena e scarpette da ballo erano disperatamente difficili a trovarsi, e anche i costumi dovevano essere improvvisati alla meglio. Malgrado fosse magra e affamata, Audrey era però sempre più alta di statura, per cui non le era permesso interpretare i ruoli più romantici, quelli a cui più teneva. Come ricordò in seguito: «Non potevo mai impersonare una goccia di pioggia, anche se ogni giorno ero sempre più vicina a diventarlo. Io ero sempre e solo il “ragazzo”. Ero io a dover sollevare da terra le ragazzine, dal momento che ero così alta». Alta lo era certamente, ma anche molto molto magra, e anemica – anche in seguito alle crescenti privazioni cui era sottoposta – e per di più soffriva di attacchi d’asma e di improvvisi svenimenti. Il problema della scarsità di cibo era diventato particolarmente grave in Olanda, e persino la già misera dieta a base di minestra allungata e bocconcini di pane era destinata a ridursi ulteriormente. Accadde così che per un mese intero la piccola Audrey fu costretta a cibarsi unicamente di indivia – che non volle poi più mangiare per tutta la vita – e, durante la primavera successiva, insieme a suo fratello Ian si ridusse a cercare sostentamento in bulbi di tulipani raccolti nei prati. Molti mangiavano erba bollita, ma Audrey non ci riuscì mai. Nell’ultima fase della guerra, Audrey fu costretta a sospendere le sue lezioni di danza. Malgrado la sua straordinaria determinazione, le sue energie non erano più sufficienti a vincere la debolezza del suo corpo già fragile e malnutrito. In più, dovette assistere come testimone a spaventosi
Audrey a quattordici anni si esibisce in uno spettacolo del tempo di guerra, quando venivano raccolti fondi per la resistenza olandese.
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avvenimenti. Abituata fin dai primi giorni dell’occupazione a vedere ebrei di tutte le età costretti a cucirsi sugli abiti la stella gialla di David, Audrey assistette al loro rastrellamento e alla loro deportazione nei campi di sterminio nazisti. Questi ricordi non la abbandonarono mai più. Circa trent’anni dopo, al riparo nella sua casa in Svizzera, la Hepburn raccontò al giornalista americano Curtis Bill Pepper: «Ho visto intere famiglie, con ragazzi e bambini piccoli, venire ammucchiate dentro vagoni bestiame – erano treni composti da grandi vagoni di legno, con solo un piccolo portello aperto sul tetto…
c’erano tutti quei volti che ti sbirciavano da dietro le assi… sulle banchine di partenza i soldati tedeschi radunavano altre famiglie ebree con i loro miseri fagotti e i loro bambini. Poi le separavano, gridavano alle donne di andare da una parte e agli uomini dall’altra. Poi prendevano i bambini e li caricavano su
della celebre Operazione Market Garden. Si trattava di un complesso piano alleato, messo a punto dal maresciallo Montgomery, che prevedeva di conquistare uno dopo l’altro una importante serie di ponti olandesi fino alla
un altro vagone… tutti gli incubi di cui ho sofferto in vita mia hanno sempre avuto a che fare con queste cose». Gli ultimi nove mesi di guerra furono i più duri da sopportare per Audrey, oramai quindicenne. Il 17 settembre 1944, subito dopo la ritirata dell’esercito tedesco in Normandia, la First British Airborne Division venne paracadutata sull’Olanda nell’ambito
frontiera tedesca, in modo da assicurare alle forze alleate una rapida e sicura via di passaggio lungo il Reno, e aprire loro la via all’invasione della Germania. Il ponte di Arnhem era uno dei bersagli più importanti dal punto di vista strategico, ma le cose si misero terribilmente male per gli alleati quando le forze inglesi alle quali era stato affidato il compito di conquistarlo e
di na goccia iù u e r a n o s p er o mai imp giorno ero sempre v e t o p n o ni «N che se og ro sempre e solo il le n a , ia g g e ra pio entarlo. Io er sollevare da ter iv d a a in . ov vic così alta» Ero io a d o . r ” e o z e z h a c g o a t n “r EPBURN dal mome H , e Y in E z R z D a U g A ra
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Paracadutisti inglesi prendono posizione all’interno della foresta nei dintorni di Arnhem, prima della battaglia.
presidiarlo si trovarono ad affrontare due divisioni corazzate tedesche. Un battaglione di paracadutisti inglesi riuscì ad arrivare al ponte, ma una volta lì venne tagliato fuori e costretto a ritirarsi con grosse perdite. Il ponte di Arnhem era davvero “troppo lontano”, come disse un generale, e proprio questa frase diede il titolo al gigantesco film di Richard Attenborough Quell’ultimo ponte (A Bridge Too Far, GB 78), nel quale venne ricostruita con grande precisione l’Operazione Market Garden. Il disastroso esito dell’attacco alleato al ponte portò i combattimenti all’interno di Arnhem, i cui abitanti furono le principali vittime della battaglia. Mentre interi quartieri venivano devastati, i cittadini assediati si ammucchiavano dentro le cantine insieme ai morti e ai feriti inglesi, che cercavano di assistere per quanto era loro possibile. Il 23
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settembre la presidentessa della sede locale della Croce Rossa fu convocata da un ufficiale tedesco e le venne comunicato l’ordine di evacuare immediatamente la città. Tutti coloro che abitavano a sud della linea ferroviaria dovevano abbandonare le loro case entro le otto di quella sera, gli altri entro il giorno successivo. Tutte le proteste si rivelarono inutili, tanto che entro le trentasei ore successive, 100.000 persone con in braccio bambini e fagotti o in sella alle proprie biciclette, nella più consueta e triste tradizione dei profughi, abbandonarono la città. Ella Van Heemstra, sua figlia Audrey e il figlio minore Ian erano tra loro. Tremila profughi morirono lungo la strada. Ancora oggi, gli storici militari non sono riusciti a scoprire chi diede in realtà quell’ordine e soprattutto per quale motivo. A quanto si sa, il comandante
in capo delle forze tedesche ad Arnhem non ne era al corrente. I Van Heemstra furono fortunati a trovare subito un alloggio in un grande cascinale di campagna. Non erano certo soli: con loro, nella medesima situazione, erano più di duecento profughi impegnati a lottare insieme per sopravvivere. Audrey visse in queste condizioni sempre più penose per vari mesi, finché non cominciò a filtrare la voce che l’arrivo delle forze di liberazione alleate era prossimo. Con un gesto coraggioso di solidarietà, migliaia di profughi di Arnhem ritornarono in città per accogliere i liberatori, che però non arrivarono per molte settimane ancora. In quel momento i tedeschi erano in rotta, e quindi non si preoccuparono di allontanare nuovamente i profughi dalla città. Anzi, bisognosi di manodopera, cominciarono a rastrellare persone prese a caso per strada e le costrinsero a lavorare all’interno delle loro istituzioni. Una di queste fu proprio Audrey, presa e inserita a forza in un gruppo di ragazze destinate a lavorare nelle cucine. Così, Audrey si ritrovò in una situazione tipica di quei film che successivamente si sarebbe sempre rifiutata di interpretare, confusa in mezzo a ragazze impaurite, in piedi in mezzo alla strada in attesa di essere messe in riga e condotte al lavoro. A un certo punto però l’ufficiale tedesco volse loro le spalle per un breve istante. Con un’intuizione improvvisa e molto coraggio Audrey scappò via e andò a nascondersi in fondo a una cantina lì nei pressi. Infreddolita e affamata, trascorse giorni e giorni al buio, nel più completo isolamento, indebolendosi e ammalandosi. Incredibilmente, fu costretta a nascondersi per più di tre settimane, e quando uscì dal suo rifugio era debolissima e in preda all’epatite. Il 5 maggio 1945, il giorno dopo il suo sedicesimo compleanno, l’Olanda venne liberata dai nazisti. A sedici anni, Audrey era alta qualcosa come 1 metro e 76 centimetri, ma era malnutrita, le sue caviglie erano gonfie di edemi e il suo peso non superava i quaranta chilogrammi. Nonostante le sue precarie condizioni di salute, tuttavia, non
volle rinunciare a partecipare ai festeggiamenti per il benvenuto alle truppe alleate. Il loro arrivo non significava soltanto la fine dei bombardamenti e la fuga degli odiati nazisti, ma anche l’arrivo del cibo (incluse le tavolette di cioccolata). Ricordando le sensazioni provate il giorno in cui gli Alleati arrivarono ad Arnhem, la Hepburn dichiarò: «Quel giorno ho imparato che la libertà ha un suo profumo, un aroma tutto suo – quello del tabacco inglese». L’evento più felice per i Van Heemstra fu il ritorno dalla Germania di Alexander, tuttavia Arnhem non offriva più alla baronessa molte prospettive, dal momento che la residenza di famiglia era stata distrutta nel corso dei combattimenti e il denaro a disposizione era scarso. Ella decise così che si sarebbero dovuti trasferire ad Amsterdam. Cuoca abile e raffinata, si trovò un lavoro come cuoca e governante presso un’agiata famiglia e prese in affitto un piccolo appartamento per sé e i suoi figli. La nuova vita ad Amsterdam concedeva poco al lusso. Il salario della baronessa era appena sufficiente a pagare l’affitto e a far sì che i suoi figli non soffrissero la fame. Audrey era ancora fragile, indebolita dalle privazioni patite durante la guerra, ma le sue ambizioni di ballerina erano rimaste inalterate, e la sua determinazione ancora più ferrea che in precedenza. Sua madre, straordinaria come sempre, riusci in qualche modo a raggranellare il denaro sufficiente per mandarla a lezione da Sonia Gaskell, una bravissima insegnante russa, celebre per il suo rigore e la sua creatività. Le braccia di Audrey erano così magre che Madame Gaskell riusciva a contenerle nelle sue piccole mani. Dapprima si preoccupò della fragilità fisica della nuova allieva, ma non ci mise molto a rendersi conto che la sua volontà d’acciaio le avrebbe permesso di
La guerra è finita, e Audrey coltiva ancora le sue ambizioni di ballerina.
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La baronessa Ella Van Heemstra e sua figlia nel 1946.
farcela. Audrey lavorò con grande impegno, e maturò rapidamente sotto l’affettuosa direzione della Gaskell. Perfezionò il portamento, migliorò equilibrio e capacità di concentrazione; il corpo liscio e il volto delicato, dagli zigomi alti e dagli occhi grandi e profondi le conferivano in modo naturale l’aspetto di una ballerina. Il suo unico svantaggio, al quale non poteva ovviare in alcun modo, era l’alta statura. La sua passione per la musica continuò, e Audrey cominciò a seguire i concerti al Concertgebouw di Amsterdam. Mengelberg, direttore stabile dell’orchestra in tempo di guerra, aveva impiegato come orchestrali dei collaborazionisti dei nazisti, e aveva tenuto concerti per i tedeschi durante l’occupazione. Bollato come traditore, era dovuto riparare in esilio in Svizzera, e la sua orchestra stava vivendo dopo la guerra un’esaltante rinascita sotto la direzione di Eduard Van Beinum. In occasione del diciassettesimo compleanno di Audrey, sua madre le regalò un abbonamento semestrale ai concerti del Concertgebouw; a
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Natale, un biglietto unico per una serie di quartetti di Beethoven. È stupefacente considerare gli sforzi fatti dalla baronessa per procurarsi il denaro con cui pagare gli ambitissimi biglietti. Di certo però i soldi per i biglietti del tram non c’erano, e così Audrey doveva percorrere a piedi la considerevole distanza che separava casa sua dalla sala da concerto. Alla fine del 1947 un evento inaspettato vivacizzò la vita di Audrey e le fornì un po’ di denaro in più. Il produttore cinematografico H.M. Josephson e il regista Huguenot Van der Linden stavano girando un cortometraggio intitolato Nederland in 7 Lessen (t.l.: Olanda in 7 lezioni, Nl 48), e cercavano una ragazza che vi interpretasse la parte di una giovane hostess dei voli di linea. Il film è finito da tempo nel dimenticatoio, e le circostanze in cui vi venne coinvolta Audrey variano molto a seconda delle fonti. C’è chi afferma che il produttore e il regista visitarono la scuola di danza di Madame Gaskell, alla ricerca di una ragazza di bella presenza; c’è
invece chi sostiene che ci fu un accordo fra i Van Heemstra e Van der Linden e che Audrey andò a trovare il regista nel suo appartamento. Comunque siano effettivamente andate le cose, il risultato fu il medesimo: Audrey Hepburn finì per la prima volta nella sua vita davanti a una macchina da presa nel piccolo ruolo di una hostess della KLM. Audrey fu contentissima di essere stata scelta. Visse con entusiasmo quella nuova esperienza, guadagnò i suoi fiorini, ma non le venne in mente di considerare il cinema come una possibile carriera. La sua massima ambizione era quella di proseguire a Londra i suoi studi di balletto con la celebre Marie Rambert (più tardi Dame dell’Impero britannico). Quando Sonia Gaskell le annunciò che stava per chiudere la scuola e trasferirsi a Parigi, Audrey trovò il pretesto per realizzare il suo intento. Sua madre si trovò d’accordo con lei sul fatto che oramai era giunto il momento che Audrey compisse i passi decisivi per realizzare fino in fondo le
sue ambizioni. I soldi erano appena sufficienti per il viaggio e per un breve periodo di sopravvivenza, tuttavia, intrepide come sempre, nel 1948 Ella e Audrey partirono per l’Inghilterra – Paese che Audrey aveva abbandonato nove anni prima. La baronessa Van Heemstra e sua figlia ormai diciannovenne giunsero a Londra su un traghetto ferroviario. Dopo essersi sistemate in un alberghetto nei pressi di King’s Cross, si misero immediatamente alla ricerca del Mercury Theatre, una chiesa sconsacrata di Notting Hill Gate che ospitava la scuola di danza del Ballet Rambert. Conosciuta per il suo modo poco ortodosso di affrontare sia la danza che i suoi aspiranti allievi, Marie Rambert era particolarmente stimata per il suo intuito. Malgrado nel 1948 fosse ormai sessantenne, non mostrava alcun segno di cedimento, sia dal punto di vista personale che da quello professionale. Era nata a Varsavia e aveva studiato danza a Parigi col fratello di Isadora Duncan nei primi anni del secolo, perfezionandosi poi a Ginevra con Émile Dalcroze. Le lezioni di Dalcroze (che le aveva insegnato il suo particolare metodo di armonizzazione dei movimenti in relazione alle strutture musicali) le permisero di entrare a far parte della celebre compagnia russa di balletto di Diaghilev, alla quale approdò nel 1912. Danzò con la compagnia e prese lezioni dal suo straordinario maestro, il celebre Cecchetti, ma il suo più importante riconoscimento artistico fu quello di danzare insieme a Nijinsky sui ritmi complessi della Sagra della Primavera di Stravinsky, della quale la compagnia di Diaghilev diede una memorabile prima esecuzione mondiale nel 1913. Allo scoppio della guerra, nel 1914, la Rambert si trasferì in Inghilterra. Si sposò con un commediografo e critico teatrale inglese, Ashley Dukes, e aprì una scuola di danza che successivamente divenne una compagnia di balletto nota con il nome di Ballet Rambert. Il suo contributo allo sviluppo della danza in Inghilterra fu incalcolabile. In particolare favorì la formazione di giovani coreografi e,
sia so di affrontare s o d o rt o o c o p ra il modo arie Rambert e M i, Conosciuta per v ie ll a ti n a diato uoi aspir avia, aveva stu rs a la danza che i s V a ta a N . o uo intuit can. stimata per il s di Isadora Dun o ll te a fr il n o c danza a Parigi Dame Marie Rambert, la straordinaria fondatrice della compagnia di balletto che porta il suo nome, dai suoi studenti era chiamata affettuosamente Mim.
AUDBRUERYN HE P
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Ancora con Babs Johnson, aspettando dietro le quinte l’audizione per High Button Shoes.
fra gli allievi, elesse a propri pupilli Antony Tudor, Andrée Howard, Walter Gore e Frederick Ashton. Bruna ed esile come un uccello, volubile ed eccentrica, Madame Rambert era una donna cordiale e sensibile, ma anche molto severa e amante della disciplina: ogni minima mancanza o negligenza da parte dei suoi allievi era
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immediatamente punita con un secco colpo sulle nocche, inflitto con la bacchetta che Madame portava sempre con sé, e che spesso usava per sottolineare osservazioni o rimproveri, picchiandola sul pavimento di legno della sala da ballo della scuola, uno stanzone spoglio, arredato unicamente con la sbarra per gli esercizi e un pianoforte verticale, e la cui abituale
penombra veniva debolmente rischiarata da vetrate colorate. Dopo un colloquio con Ella e Audrey, Madame Rambert sottopose la sua futura allieva a una rigorosa audizione e fu benevolmente impressionata dalla sua bravura, tanto da accettarla nella sua scuola. Dal momento però che le tasse si rivelarono troppo onerose da sostenere, Madame Rambert considerò la situazione e offrì a Audrey una borsa di studio. Questo fu il primo colpo di fortuna nella vita di Audrey, che tuttavia non risolveva ancora del tutto il problema della sua sopravvivenza, dal momento che la borsa di studio copriva solo le lezioni. Così, in un ulteriore slancio di generosità, Marie Rambert si offrì di ospitare Audrey a casa sua, in un confortevole palazzo nei pressi di Campden Hill Square, dove viveva insieme al marito e a una governante irlandese abituata a prendersi cura di tutte le protette di Madame. Nel 1983 fu organizzato al Sadler’s Wells Theatre un galà in memoria di Dame Marie Rambert, morta all’età di 94 anni. Audrey volò appositamente a Londra per parteciparvi. Nel corso delle commemorazioni, si definì “una ballerina fallita” e raccontò al pubblico riunito in platea, composto dai principali protagonisti della danza mondiale, che aveva «un grande debito di riconoscenza nei confronti di Marie Rambert, grande guida spirituale e meravigliosa amica». Audrey cominciò a seguire le sue lezioni di danza dalle dieci del mattino alle sei di sera, mentre per sbarcare il lunario Ella si impegnò in vari lavori piuttosto modesti, a cominciare da quello di commessa in un negozio di fiori. Dopo alcuni mesi divenne l’amministratrice di un piccolo gruppo di appartamenti nel quartiere di Mayfair, dove riuscì a ottenere una stanza in affitto a prezzo modico. A tempo debito, riuscì ad affittare per sé un intero appartamento nel medesimo palazzo, cosa che permise a Audrey di lasciare casa Rambert e andare a vivere con lei. Per alcuni anni, da quel momento in poi, l’appartamento al numero 65 di South Audley Street fu la loro casa.