Manuale della televisione

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MEDIA MANUALI

Il manuale della televisione


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Paolo Taggi

Il manuale della televisione Le idee, le tecniche, i programmi Nuova edizione interamente rivista e aggiornata a cura di Sara Cacioppo


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Prima edizione: 2003 © Editori Riuniti s.p.a. – Roma Seconda edizione integralmente rivista: Copyright GREMESE 2011 © E.G.E. s.r.l. – Roma Foto di copertina dell’autore www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-684-2 Stampa: C.S.R. – Roma


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Indice

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Un tempo come unità di misura. Premessa alla nuova edizione

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1. La nota stropicciata che manca. Introduzione alla prima edizione

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2. Tutto inizia da un’idea

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3. La costruzione dei programmi

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4. Declinare l’idea

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5. L’avventura del programma

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6. La linea centrale

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7. Fuochi simbolici, nodi centrali e tratti distintivi

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8. Scrivere il progetto di un programma

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9. I racconti di puntata

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10. La ricerca della drammaturgia

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11. L’escalation infinita

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12. Questioni di suspense

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13. La forza della liturgia

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14. Una verifica. La doppia cerimonia di Mi risposeresti?

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15. L’inizio di un programma

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16. La ricerca dei finali

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17. Le regole del gioco

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18. I «buoni» conduttori

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19. I protagonisti

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20. Questione di specchi

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21. I luoghi della tv

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22. I premi, le mete, i desideri

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23. Uscire di scena


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24. Il testo dei programmi

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25. Verifiche. Il copione

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26. La chiamata dei protagonisti

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27. L’avventura del casting

247

28. La costruzione del cast

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29. Nuove telegenie

280

30. Le selezioni spettacolari

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31. I provini nella vita

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32. La preparazione dell’eroe

297

33. I promo dei programmi

306

34. La costruzione della scaletta

317

35. Il culto improgettabile

321

36. I programmi evento

327

37. Il backstage dei pensieri interiori

331

38. Le scelte infinite

334

39. La cattura degli incerti

340

40. La logica, la morfologia e il DNA dei format

343

41. L’adattamento dei format

370

42. Il kit di un format

371

43. La bibbia dei format

388

44. Dai generi classici ai generi inquieti

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45. I nuovi generi

418

46. I nuovi format di palinsesto

421

47. La convergenza dei media in un programma

427

48. I talk show: lo spettacolo delle emozioni «ri»ferite

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49. La costruzione del talk

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50. I talk che prima non c’erano

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51. Le tre stagioni della telerealtà

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Una bibliografia personalizzata

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Indice delle trasmissioni citate


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Un tempo come unità di misura Premessa alla nuova edizione

In tutti gli alfabeti esistono delle lettere inutili, che ne limitano (o impediscono) la perfezione. Ad esempio la x. Non so come mai questa frase sia riaffiorata nella mia mente proprio nel momento in cui scrivo una nuova prefazione, che sostituisce in parte quella che apriva il Manuale della Televisione del 2003. Un libro-monstre, che raccoglieva una lunga esperienza su piú fronti (dentro, di fronte, a fianco della tv) e pensavo definitivo. Dopo diverse ristampe, il libro non era piú disponibile in libreria a causa delle intricate vicende editoriali che hanno travolto una sigla gloriosa come Editori Riuniti, e di conseguenza molti autori, collaboratori e indirettamente anche i lettori. Oggi, grazie all’editore Gianni Gremese, che mi riaccoglie nella famiglia da cui sono partito con immutata passione per i libri, questo lavoro ritorna nelle librerie, a disposizione di chi negli ultimi tempi lo aveva inutilmente richiesto. In un programma esistono lettere inutili? O è la Televisione nel suo complesso che le esige? Se parlando di Televisione le lettere inutili (in senso allegorico) fossero tutti quei programmi che in questi anni sono transitati senza lasciare tracce, né scorie?

Nel riproporre questo impegnativo Manuale ho scelto di riscriverlo in gran parte. Non avrei creduto di doverlo fare. Ma rileggendolo pagina dopo pagina mi sono accorto che mentre rimanevano forti (e si confermavano) i princípi teorici che lo avevano ispirato, l’apparato esemplificativo lo inchiodava ad un Tempo distante, non piú condivisibile da parte di molti possibili lettori o spettatori di oggi e di domani. Se alcuni dei molti programmi cardine citati allora appartengono ormai di diritto alla Storia dei programmi e delle idee televisive, molti altri che in quel momento costituivano un riferimento facile e immediato risultano oggi – pagina dopo pagina – labilissimi, pallidi ricordi senza un surplus di nostalgia. Molti dei format ai quali ho dedicato pagine di analisi puntuale sono diventati nella memoria collettiva semplici suoni, echi che non rimandano a nulla. Titoli che non troveranno mai posto in una ideale videoteca. Ho scoperto, in fondo, che quel lavoro non sarebbe mai potuto essere definitivo perché costruito sulla materia piú volatile che esista: i programmi televisivi, e in particolare i format di successo. Ne citavo oltre cinquecento, tutti – in quel momento – sulla cresta dell’onda. Quanti ne sono rimasti?


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La misura di un tempo Rispondere a questa domanda significa porsene altre: come scorre il tempo in tv? Quali fenomeni naturali dettano i suoi ritmi interni? (non quelli dei programmi, quelli delle Ere televisive?) È impressionante quanto lo scenario sia cambiato, e con esso gran parte dei suoi protagonisti. Allora, otto anni fa, aleggiavano dolcificanti utopie che mi erano sembrati segnali reali. Sembrava che l’ipotetico patto fiduciario tra pubblico, autori e Reti, nel quale ognuno costituiva l’alibi dell’altro fosse destinato a sciogliersi. Sembrava. Credevo che fossimo alla vigilia di una nuova Era della scrittura televisiva, insieme costruzione dell’istante e la sua rielaborazione, qualcosa in grado di coniugare la «chiusura» testuale del film con l’imprevedibilità necessaria del finale dei format. Auspicavo una televisione che fosse il film di se stessa. Non è stato completamente cosí. Il proliferare dell’offerta, e il conseguente, inevitabile abbassamento dei costi non hanno alzato la qualità complessiva ma migliorato il gusto medio del pubblico, al quale non ha corrisposto una evoluzione, ma piuttosto una brusca involuzione della tv generalista. Oggi, 5 aprile 2011, mentre scrivo questa nuova prefazione i quotidiani danno la notizia della stagione dei flop, con la superficialità implicita nella brevità di un pezzo giornalistico, coinvolgendo in un unico destino proposte rifiutate dal pubblico troppo diverse per poter indicare una qualsiasi tendenza. Il senso della vita, che quando scrissi Il Manuale era una interessante rubrica è diventato nel tempo un coraggioso programma di Prime Time, strenuamente difeso dal suo coautore e conduttore Paolo Bonolis, ma non piú in grado, in pochissime stagioni, di riattrarre quel pubblico che lo aveva accolto come una prestigiosa, imperdibile novità. Ballando con le

stelle, format inglese che ha costituito uno dei veri successi della seconda metà del duemila, dà segnali di stanchezza, X Factor continua a trionfare nel mondo, ma non avrà seguito in Italia. L’erosione degli share dei programmi catalizzatori in favore delle tv satellitari o delle troppe proposte del digitale rischia di gettare ancora di piú nel panico i maghi dei palinsesti e/o chi teme la loro magia. La parola d’ordine è non rischiare, perché ogni novità viene impietosamente respinta al mittente, ma nessuno confessa a se stesso che quello che in questi anni è stato proposto come nuovo è semplicemente il travestimento mal riuscito di vecchie proposte, recuperate negli archivi senza tenere conto che è il concetto stesso di intrattenimento che è cambiato. Oggi a catturare il pubblico è una nuova generazione delle emozioni. Immaginatevi una cornice che non delimita nessun quadro e rimane sospesa proiettando la sua ombra sottile su due continenti: la realtà spettacolarizzata e lo spettacolo puro, ormai percepito come superfluo e fine a se stesso. Ciò che è avvenuto in questi anni è il definitivo allargamento della faglia che divide le due aree. Un lento, inesorabile allontanarsi dello spettacolo puro – nei gusti del pubblico – lo ha portato fuori della cornice, pur allargata dalla moltiplicazione dei canali e delle proposte. Oggi ciò che non appartiene al primo continente non ha diritto di esistenza e solo i meccanismi, gli archi voltaici che scatenano scintille di umanità, spaccati di relazioni e di rivelazioni suscitano ancora emozioni indirette nello spettatore. Un cambiamento radicale, che seguo e inseguo dai tempi della prima tv verità, ma forse non è ancora stato analizzato e riconosciuto per le dimensioni che ha assunto oggi. Un fenomeno che ha messo in crisi i generi rendendoli incerti e inquieti, tra-


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UN TEMPO COME UNITÀ DI MISURA. PREMESSA ALLA NUOVA EDIZIONE

sformando radicalmente anche i quiz e i games e portando ad un limite estremo il concetto di varietà. Rimangono le regole base, si aggiungono le scoperte progressive a cui mi hanno portato soprattutto le riflessioni sui Format, definitivamente affermatisi negli anni successivi alla pubblicazione. Le idee di fondo sulle quali si basava il Manuale nella sua prima fortunata uscita sono rimaste intatte, e resistono alla prova dei fatti e delle ricerche e pubblicazioni successive. Sono i testi di riferimento, i Programmi da chiamare in causa e citare, che cambiano radicalmente. Almeno ad una prima analisi. In realtà molti dei meccanismi che agiscono all’interno di tutti i nuovi programmi sui quali mi soffermerò sono gli stessi che hanno costituito la provvisoria fortuna di quelli che sono scomparsi, ma la memoria televisiva è una delle piú brevi, non ha persistenza e a volte neppure «riconoscenza». Cambiare gran parte dell’apparato esemplificativo ha significato rimodellare almeno parzialmente anche il modo di sviluppare le varie sezioni del libro, arricchito anche da due brevi saggi di miei ex allievi e oggi giovani autori: Luca Passerini e Francesco Narracci. Un libro il cui successo è stato determinato dalla possibilità di leggerlo anche occasionalmente, capitolo per capitolo. Di utilizzarlo come strumento: appunto, come Manuale. In un Tempo senza unità di misura sono cambiate e cambiano ogni giorno molte cose. Nella percezione dei programmi, nella loro costruzione, nella confezione. Ogni tanto un format apre nuove strade, ogni tanto una innovazione tecnologica apre nuovi orizzonti o compromette la testualità. Qualche volta, l’ideale piattaforma girevole vira a 180 gradi: è stato cosí per la Tv verità, e per la spettacolarizzazione dei rapporti interpersonali che ha radicalmente cambiato il concetto di emozioni televisive.

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Se dovessi disegnare uno scenario futuro penserei che la tv del futuro è costruzione di appuntamenti. Costruzione di cornici capaci di convogliare in partenza un’attenzione che non è solo componente numerica, ma chiave di interpretazione, intonazione. Centinaia di pagine di modelli, analisi, esempi. Che in questi anni sono state lette e utilizzate anche per frammenti, come era negli obiettivi. Che cercano di rispondere a tutte le domande, lasciando intatto l’enigma finale. Che cosa piace, in tv. Che cosa è destinato a durare nel tempo. La cosa interessante degli enigmi è il fatto che nascondono la possibilità di una risposta. L’enigma esiste in funzione della sua risoluzione. I programmi vivono costruendo domande, ma a quella principale: «perché se tutti condividono le stesse teorie solo alcuni hanno successo» non si dà mai la stessa risposta.

L’importanza degli orizzonti Il secondo aspetto che vorrei sottolineare riprende una tesi che mi sta a cuore fin dal mio primo libro sul fare tv, Un programma di., nel lontano 1995, e lo penso ancora di piú oggi: l’autore televisivo di cui si può parlare, la tv che si può teorizzare sono proiezioni simboliche, figure immaginarie e immaginate. Appaiono in un «piú in là» che ha qualcosa di simile all’orizzonte. Quell’orizzonte di cui parla un sociologo di straordinaria apertura, Zygmunt Bauman – guarda caso uno dei pochissimi intellettuali ad occuparsi senza pregiudizi ma con la consueta profondità del fenomeno dei Reality. Una linea ideale che: «come tutti gli orizzonti, non si potrà mai raggiungere. Come tutti gli orizzonti, ci dà


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la possibilità di procedere con uno scopo. Come tutti gli orizzonti, retrocede mentre avanziamo. Come tutti gli orizzonti non ammette che l’obiettivo di procedere si indebolisca o sia compromesso. Come tutti gli orizzonti, si muove in tempo, sostenendo cosí il procedere con l’illusione di una destinazione, di un’indicazione, di uno scopo. Non c’è un posto privilegiato, nessun posto è migliore di un altro, e non c’è posto da cui l’orizzonte è o appaia piú vicino che in qualsiasi altro».1

La pratica televisiva quotidiana non assomiglia a quello che scrivo nei miei libri, e spesso li smentisce nei fatti, ma li ritrova nelle intenzioni e nelle interpretazioni dei discorsi seguenti. La macchina produttiva schiaccia le singolarità, mette in crisi le scelte piú ovvie, affida sempre piú spesso i programmi a figure di controllo burocratico e/o politico, sottraendola ai creativi, troppo poco malleabili o funzionali a qualunque sistema. Pletore di autori vengono aggregati intorno alle isole-contenitore, o messe al servizio di format la cui ideazione, progettazione, il cui varo sono sempre avvenuti altrove, nei paradisi della libera invenzione. Nei laboratori delle multinazionali o in piccole emittenti di Paesi televisivamente emergenti, sempre dovunque, ma mai qui.

In questo sconsolante panorama, non ci resta che cercare i perché dei successi, le eccezioni costanti che non possiamo chiamare regole, ma prove sufficienti, studiare l’essenza dei format nel loro complesso se non ci è consentito di inventarne nessuno. In un mercato sempre piú internazionale, lo scenario si allarga ed è questo il senso del nuovo orizzonte che propongo ai lettori piú giovani che da domani si avvicineranno a questa nuova edizione di un libro che ha affrontato già molte prove e pubblici diversi. Il nuovo orizzonte che vorrei agitare, come un lontano fondale è un punto di riferimento necessario rispetto ad una tv che può apparire ed è – fuori dai ristretti confini del nostro Paese – un oceano sterminato solcato da correnti provvisorie, scie appena accennate, rotte troppo affollate e percorse per un tempo troppo breve. Uno scenario in cui il pubblico avverte sempre piú forte il richiamo della folla sulla riva e si allontana precipitosamente quando l’entusiasmo si sgretola e si diffonde la notizia del naufragio. Perché lo spettacolo del naufragio è ancora attraente, ma non lo è il naufragio di uno spettacolo. Paolo Taggi aprile 2011

Ringraziamenti Questa nuova edizione del Manuale della Televisione non ci sarebbe stata senza il contributo fondamentale di Luciano Vagaggini, che si è rivelato molto piú che un art director, un amico vero e di Sara Cacioppo, una lettrice ai tempi dell’Università, ormai collaboratrice fissa dei miei ultimi libri e programmi, che ha curato molti degli aggiornamenti, l’apparato esemplificativo e la bibliografia. 1

Zygmunt Bauman, Modernità e ambivalenza, Torino, Bollati Boringhieri 2010


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1 La nota stropicciata che manca Introduzione alla prima edizione Che valore avrebbe la teoria se non servisse anche a inventare la pratica? Gerard Genette, Nuovo discorso del racconto Se esistessero solo i grandi autori, la letteratura sarebbe una foresta vergine percorsa da dinosauri; ma per fortuna della letteratura, esiste la grande legione dei minori, che la trasforma in luogo frequentabile; ben attrezzato, adatto al tè delle cinque. Giorgio Manganelli

Si chiamano Quatuor e sono funamboli della musica. Nel loro spettacolo, Il pleut des cordes – piovono corde o piove dalle corde – fluttuano tra il rock e il pop, tra i Beatles e Bach, materializzando la musica. Camminano ridono e sognano, mentre suonano. Si chiamano Jean Claude Comors, Laurent Vercambre, Pierre Ganem e Laurent Cirode e scommetto che sono buoni nemici della televisione. Portano in giro per il mondo da anni uno spettacolo che alterna acrobazie comiche e invenzioni musicali, acrobazie musicali e invenzioni comiche. Nel finale stropicciano uno spartito fino a ridurlo a un cartoccio informe. Come strappare a quel foglio spiegazzato la musica che manca? I Quatuor si mettono in fila, si piegano, si tendono e con uno sforzo apparentemente insostenibile strappano al pentagramma perduto una melodia sconosciuta. Ogni pausa diventa un azzardo e una scoperta. Ogni nota una conquista. Per leggere l’ultima uno di loro si attorciglia intorno a se stesso, si contorce come se per ottenerne il suono dovesse assumere la stessa forma del foglio strappato o della nota ripiegata. Quando finalmente ha trovato la giusta posizione, in sintonia con un suono ancora sconosciuto, scopriamo che non era una nota in grado di dare un senso all’intero motivo, ma un sibilo imperfetto.

«Dopo», c’è sempre «qualcos’altro», che magari non conta. È l’appendice inafferrabile – il processo di elaborazione che «sembra inesistente» – che fa la differenza. Ha scritto Pierre Lévy che un testo è sempre bucherellato, crivellato, costellato di vuoti. Il vero testo sono le parole sfuggite, i brandelli di frase che non intendiamo, i frammenti che non comprendiamo immediatamente, che non colleghiamo agli altri o che trascuriamo. Ognuno di noi «accartoccia» il suo testo, lo ripiega, lo distrugge per estrarne un attimo vitale. È di questo che parla il libro che state leggendo. Di una televisione e di un modello di autore ideali. Il confronto con la televisione che magari state vedendo nello stesso istante è inevitabile ma non deve condizionarvi. Studiare la tv vuol dire stabilire le condizioni e le potenzialità della sua lingua, anche attraverso le deviazioni dei suoi lunguaggi. Vuol dire parzialmente idealizzarla in una tensione ideale verso un orizzonte possibile, nel quale i meccanismi che questo libro svela potranno essere applicati anche a prodotti diversi, a contenuti piú condivisibili e condivisi. Diciamo che è un libro consapevole dei limiti della televisione attuale (non tutti insormontabili, ma non tutti interni al mezzo) che si propone di darle consapevolezza. Mosso da una passione forte e mai filtrata attraverso l’ali11


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bi della teoria, anche se propone qualche riflessione teorica che mi auguro verrà ripresa e discussa. Per scrivere davvero di tv bisogna scrivere dentro la televisione, entrarne nella pelle, usare i suoi stessi strumenti. Questo non significa accettarla passivamente o mitizzarla, ma se in tanti anni ho maturato una certezza è proprio il fatto che dall’interno la televisione è profondamente diversa da quello che emerge e arriva in superficie. Spiegarsi perché sarebbe un risultato straordinario. Io vorrei almeno iniziare il discorso. Anche gli autori televisivi nascondono qualcosa nei loro programmi spiegazzati. Come i mercanti di miracoli e i funamboli hanno i loro segreti. Come i «creatori» di fuochi artificiali. C’è una precisa scaletta che li guida nel preparare ogni singola spoletta: nella scelta della grana delle polveri, nei vuoti da lasciare, nella ricerca indiretta dei colori. C’è almeno un disegno – se non la volontà di un racconto – nella loro successione, che non è diversa dalla linea centrale che guida un programma televisivo. C’è una precisa escalation dell’emozione. Per questo l’arte dei fuochi non finisce nella preparazione: chi li ha pensati li accompagna fino al momento dell’esplosione. Sceglie il punto da cui partono e l’attimo in cui lanciarli all’interno di una sequenza che deve trovare il proprio ritmo particolare. Un secondo di ritardo può essere decisivo, e l’autore non può delegarlo a nessuno. L’orecchio e la sensibilità della mano non sono sostituibili con il telecomando. Cariche e spolette non sono niente quando contano fattori impercettibili: l’umidità, le condizioni del vento, la densità dell’aria. Anche i programmi sono forme volatili. Percorsi umidi: quando li vedi stanno già scomparendo. Lasciano tracce impercettibili. Scie scorrevoli, che ci attraggono. C’è chi considera la tv un niente stranamente interessante, chi la vede come un

«network di prospettive», chi vi legge solo la profondità della superficie. Io credo che il niente finale è eventualmente un effetto. Il prodotto di un lavoro molto complesso ed elaborato, fatto di spinte e controspinte il cui risultato a volte è diverso dalla somma e dalla differenza di tutte le aspettative create. L’obiettivo di un autore televisivo è il fun, il giusto rapporto tra il piacere provato (provocato) e il prezzo che (non) si paga. Un modo di scorrere in assenza di ogni forma di gravità.

Una fabbrica di calamite Questo è un manuale per costruttori di calamite. Insegna a cercare l’inclinazione e la distanza ideale tra i magneti, per poter attrarre il pubblico senza imprigionarlo. Sfiora gli effetti e analizza le cause. O le motivazioni. Un programma televisivo assomiglia a molte cose ed è diverso da tutte. Per imprigionare tutte le risorse sensoriali dello spettatore la piú moderna forma di «cassetti» o «stanze delle meraviglie» non usa creature misteriose, ma le infinite variazioni della normalità. Non oggetti introvabili ma porte e specchi, portali e soglie, lettere e diari. È un vero e proprio spettacolo dei turbamenti tra il grottesco, il pittoresco, lo scontato e il sublime promesso, che spesso deve fingere di interrompersi per continuare. I programmi sono le bolle di sapone animate di un vecchio film di Méliès, capaci di contenere insieme il loro autore e l’incredulità del suo pubblico. Hanno qualcosa delle nuvole artificiali e dei cristalli di neve. Li governa la legge del caos. Si formano tutti secondo gli stessi princípi, ma nessuno è mai uguale all’altro. Studiare la televisione dal punto di vista dell’autore significa anche chiedersi perché questo avviene. Perché gli effetti sono cosí diversi se passano dagli stessi processi generativi.


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LA NOTA STROPICCIATA CHE MANCA. INTRODUZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

Questo libro chiede al lettore un patto iniziale, basato sulla fiducia unidirezionale: presuppone un complice disposto a guardare la tv in controcampo e – per una volta, e solo con uno scopo ben preciso – ad accettarla cosí com’è. Un’apertura provvisoria, a tempo determinato. Quello necessario a capire i suoi perché, comprese le sue contraddizioni evidenti. In qualche modo, mi auguro che equivalga a gettare le basi per migliorarla. Perché conoscere (o riconoscere) le tecniche, i trucchi e le anime dei programmi discussi può essere utile a decodificarli e dissolverne gli effetti oppure – in senso positivo – suggerire come applicare quegli stessi strumenti a contenuti e scopi piú accettabili e stimolanti. Come scrive Roger Silverstone «studiare i media significa occuparci del movimento dei significati verso le soglie della rappresentazione e dell’esperienza, stabilire i luoghi e le fonti di disturbo, comprendere le relazioni fra significati pubblici e privati, testi e tecnologie, identificare i punti di pressione».

Gli «essi» diventano «io»

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possederla. I protagonisti del piccolo schermo erano dèi in miniatura dentro un gioco di ombre che li ingigantivano tanto piú erano lontani. Mitici. Inarrivabili. Legati a un apparire ancora breve. Che li rendeva famosi e incerti. Figurine di un altare senza confronti. Dèi, attori dietro una maschera nuova che li conteneva tutti insieme. — Voi Se si fossero parlati, spettatori e conduttori, per molti anni si sarebbero dati del voi. «Voi» erano tutti gli altri. Quelli che stavano fuori. Il voi era il modo deferente con il quale il pubblico si rivolgeva idealmente ai suoi miti elettronici. Voi indica qualcosa che fanno altri, ma l’io no. — Noi Il passaggio al «noi» (dove l’io è compreso ma confuso nel gruppo) corrisponde all’aumento di confidenza e quindi a una perdita progressiva di distanza. Che culmina con la nascita ufficiale delle tv locali: alla fine degli anni ’70 in Italia sono piú di mille. Tutti possono andare fisicamente in tv. Molti la fanno. Parla di loro. Parla di noi.

Questo libro parla della principessa della nostra noia e della regina delle nostre serate. Della timidezza, insicurezza, pervasività e prepotenza della tv. Del suo bisogno di avere la certezza di essere guardata comunque (che è insita nella tv) e della paura di non essere visto (che appartiene al programma). Di un’apparente trasparenza che si è fatta sempre piú opaca: del passaggio da specchio della vita a specchio che la guarda scorrere. E la reinventa, quando non è abbastanza spettacolare. Di un’evoluzione che mi piace identificare attraverso le stagioni dei pronomi personali:

— Egli La televisione si avvicina all’interiorità, mantenendo una distanza di sicurezza, una percentuale di indeterminazione che è anche garanzia di non (eccessiva) invadenza. Si parla di qualcuno, spingendosi dentro il cerchio immaginario della sua vita, ma è ancora un «assente» (Chi l’ha visto?) o qualcuno presente che nega il diritto alla propria «immagine» (Io confesso) mentre svela i suoi segreti. L’«egli» è ormai una persona precisa, che si stacca dal gruppo, ma i suoi contorni sono ancora indefiniti.

— Essi (loro) All’inizio la facevano gli altri. Erano in pochi ad apparire in televisione. E pochi a

— Tu La televisione commerciale si impone anche scandendo un concetto preciso:


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ognuno è il «tu» al quale la tv si rivolge. Il tu presuppone vicinanza, prossimità, forse anche confidenza. Riflette un tipo di relazione che pone conduttore e ospite sullo stesso piano dichiarato. I «fantasmi del dialogo» non sono piú tali e l’interscambio spettatore/conduttore diventa norma. Il «tu» introduce la stagione della tv che indaga sulle relazioni tra due persone unite da legami profondi (magari spezzati). Un po’ come nel modo duale del greco antico, inscrive le persone in una cerchia ideale che le unisce: «noi due», «voi due». Nasce il reality, o la tv delle relazioni. La soglia di accessibilità alla televisione diventa molto piú bassa rispetto al passato e non solo in questo genere destinato ormai a dominare o nei talk show. Anche i quiz introducono le multiple choice e dilatano il tempo. Non cercano il modello di cultura, ma il campione di identificazione. — Io Lo spettatore diventa contemporaneamente osservatore e protagonista potenziale. Si sente sempre in scena, anche quando guarda. E si sente osservato mentre osserva. Il «tu» medio diventa l’«io» in persona. La tv si spinge attraverso il backstage dentro l’interiorità del singolo. Vuole tutto di lui, anche i suoi pensieri. Anche le storie che ancora non gli sono accadute. La finestra sul mondo apre la porta nel cuore.

L’ablativo assoluto Un doppio movimento, ottico e meccanico, ha spinto la televisione in direzioni diametralmente opposte. Almeno in apparenza. La carrellata meccanica in avanti l’ha spinta verso l’io del suo pubblico. Un lento zoom all’indietro ha invece ridefinito la funzione dell’autore: da individuo chiamato a scrivere sketch e copioni (come avveniva nel varietà teatrale) a compositore di azioni e inventore di meccanismi riproducibili.

Rispetto ai protagonisti si è passati dall’«essi fanno» delle origini all’attuale «io siamo». Nessun limite è piú inviolabile per le idee e per le telecamere. E dove queste non arrivano ci sono altri modi per carpire e ritrasmettere le sensazioni indicibili: un emozionometro o la misurazione del battito cardiaco che scandisce il tempo di un quiz. Rispetto all’autore si è passati dall’«io scrivo» all’«io scrivono». Dove il plurale sottintende due diverse modalità. La prima: il fare tv è un agire esclusivamente collettivo, ma costellato di responsabilità individuali il cui effetto è l’annullamento del senso iniziale. La seconda: quella televisiva è ormai (solo?) una scrittura istantanea che si svolge dentro le volontà altrui. Dalla «sceneggiatura invisibile», e generalizzata – la cui trama scorre nella vita quotidiana – siamo arrivati alla «sceneggiatura laser». Per effetto dei due fenomeni, solo in apparenza contrastanti, la televisione si è trasformata da sostantivo in verbo. E ha scelto l’ablativo assoluto. «Televisione» è un verbo (non un nome) che non ha piú bisogno di un oggetto. È participio e persona. Sta per un mondo popolato da «affetti di» e «da» televisione. Nell’ablativo assoluto non c’è piú distinzione fra il dentro e il fuori. La televisione si fa prima e dopo i programmi. Piú fuori che dentro gli Studi. Piú fuori che dentro il piccolo schermo. È stata la cosa piú piccola in grado di contenere le nostre vite. Adesso sono le vite che contengono il suo script generale. Si è fatta luogo di emblemi e segnali di riconoscimento che non riguardano solo i programmi, ma prima di tutto gli scenari da cui emergono. La si guarda soprattutto quando è spenta, perché è una trama profonda, che scorre tra le persone. Pensarlo non è abdicare alla sua onnipotenza, ma volerla guardare in maniera consapevole. È un modo di parlare della tv utilizzando la tv stessa. Perché la migliore critica televisiva si fa con la tv (non sulla e non in tv). Analizzarla dall’interno non è


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LA NOTA STROPICCIATA CHE MANCA. INTRODUZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

tradirla, anche se equivale a svelarla. C’è un obiettivo, infatti: che i ruoli di chi fa e chi guarda diventino sempre piú intercambiabili come in Current tv, il network il cui claim è «ora anche tu puoi dire la tua». Grazie agli user generated contents chiunque può creare la tv che vuole guardare. Stessa cosa per Mamme nella rete, il primo programma dedicato alla maternità (andato in onda su Discovery real time) e realizzato da chi la vive quotidianamente attraverso video amatoriali.

L’evanescenza dei regali dimenticati I programmi sono strutture costose, architetture imponenti e fragili, articolate e delicate che hanno l’evanescenza leggera dei regali che nascono per essere dimenticati. Non sono previsti né attesi. Per questo aggiungono euforia a un attimo. Di solito si comprano nel momento della massima lontananza per qualcuno altrettanto lontano anche nella vita quotidiana, per fissare il ricordo, il ritorno e la separazione successiva in un unico gesto. Nella loro ricercata futilità spesso nascondono altri segnali e radici inaspettate. C’è un’anticipazione di reality nelle visioni di Don Chisciotte e nelle didascalie iniziali dei sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Piú che al Truman Show il reality avanzato è debitore nei confronti del Fu Mattia Pascal: «Tutta la differenza, signor Meis, fra la tagedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta. Beate le marionette su le cui teste il finto cielo si conserva senza strappi». C’è un rischio di sopravvalutazione culturale, in questo approccio? È un rischio accettabile, che assumo come il protagonista di un racconto quando si mette in viaggio dentro un testo introvabile. In televisione tutto agisce contemporaneamente e ogni certezza

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si rivela provvisoria: ciò che ha successo oggi – ammesso che il successo sia un parametro sufficiente per stabilire un modello – non ce l’ha piú domani. Di fronte a queste considerazioni esistono solo due possibilità: rinunciare a trasmettere il frutto del proprio lavoro (trucchi, anime, probabili e mutevoli essenze) o farlo comunque, stabilendo come regola iniziale l’accettazione della singolarità del proprio oggetto di studio. Questo libro nasce sulla base dell’esperienza dei precedenti (in particolare Un programma di. Scrivere per la televisione e Vite da format), da anni passati a fare, guardare e capire la tv (ne avevo diciotto quando ho fondato Tbn, una tv strettamente locale, che trasmetteva dal centro di Novara per venti chilometri di raggio). Molte e molte ore le ho dedicate a insegnare. Ogni esperienza è stata un’occasione di sperimentare e verificare, che mi ha aiutato a collocare l’esperienza italiana nel contesto della tv del mondo. Ma soprattutto a costruire un rapporto dialettico tra la tv del passato, del presente e del futuro piú o meno immediato. Anche quella che non vedremo mai. Ho provato a scrivere questo manuale pensando alla singolarità delle regole eccellenti della tv, applicabili sempre o una sola volta, a seconda dei casi. Ho cercato di comporre un’ipotetica grammatica progettuale, indicando tutti i suoi passaggi obbligati: dalla ricerca dell’idea iniziale alla stesura del progetto. Dalla scelta del cast all’escalation dell’emozione. Dalla individuazione della linea centrale alla definizione dei suoi fuochi simbolici. È un viaggio senza certezze, ma con tanta esperienza ripensata. Che non può certo stabilire regole, ma deduce il maggior numero di riflessioni possibili dalla frequenza di certe costanti. Per scoprire e raccogliere le eccezioni vincenti occorrono coinvolgimento, curiosità e implicazione. La scaletta di questo libro è cambiata tante volte, come quella di un programma


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televisivo. Ho scelto di utilizzare molti esempi, tratti da programmi provenienti da tutto il mondo, attribuendo la stessa importanza alle idee-meteora e ai grandi successi, come ai progetti ancora sulla carta. In genere tutti gli esempi ritornano, crescono come piccoli subplot e il sentirli crescere, definirsi, «diventare» è la principale tensione interna che ho cercato di inserirvi. Avrei potuto sceglierne pochi e costruire l’intero libro sulla loro analisi, ma ho preferito dare un’idea del fermento che permea la televisione come mondo. Della pluralità di sollecitazioni che provengono da ogni parte. Alcune voci si ripresentano, nei diversi capitoli, allargandosi via via come cerchi nell’acqua. Non sono ripetizioni, ma successive riprese, da prospettive diverse, di alcuni concetti di fondo. C’è un appeal in un’idea ancora allo stato di pura energia. C’è un appeal nel modo in cui si definisce come progetto, c’è un appeal nel programma che il progetto descrive. C’è un appeal nel programma una volta realizzato. Io credo che molti programmi mai nati, o meglio mai arrivati alla verifica della messa in onda, siano gli artefici di ciò che vediamo ogni giorno e che ci appare, almeno a prima vista, sempre uguale. Fino a quando qualche fenomeno improvviso ci obbliga a ripensare la tv nel suo complesso e a scoprirla cambiata. C’è un incipit nel progetto, uno nel tessuto verbale del programma e uno nella o nelle puntate. All’inizio sarete travolti da una molteplicità di programmi e citazioni, poi – ritrovandoli – diventeranno, vi saran-

no, sempre piú familiari. Li sentirete crescere. Li «vedrete» crescere. È di questo che parla questo libro. Dell’evolversi, delle continue trasformazioni di un programma. Dei cambiamenti della televisione come criterio di valutazione e come modalità. L’ho diviso in sezioni, piú che capitoli, utilizzabili anche singolarmente. Ognuno di essi è autonomo (anche se ovunque ci sono rimandi), ma ognuno richiede di essere letto sovrapponendosi agli altri in una sorta di simultaneità televisiva. Qua e là troverete slogan, frasi letterarie e scenari: sono qualcosa di piú di un semplice sfondo, anche se non le definirei un orizzonte di riferimento. Al termine di alcuni capitoli troverete esercizi e verifiche, che rintracciano nei programmi le prove delle teorie precedenti. Le prospettive ipotizzano soluzioni e modelli futuri. Un po’ troppo, direte, per fabbricare calamite. Chi lo sa. Forse piú la materia è sfuggente, piú difficile è fissarne i passaggi. La tv è quello che svanisce. La prima sensazione perduta di quello che abbiamo creduto di vedere. L’ultima immagine che ci colpisce prima di cominciare a pensarla. La tv è quello che resta. La prima immagine, prima di cominciare e ripensarla. L’ultima immagine, prima di ricominciare e dimenticarla.

Roma - Milano, 14 febbraio 2003


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2 Tutto inizia da un’idea

Quando vado a letto, non riesco a dormire a causa delle idee che mi frullano per la testa... Non so dirti dove prendo le mie idee. Però, chissà se tu potessi insegnarmi l’abilità di non avere idee in modo che anch’io, come voi, possa godere di un momento di tregua? Isaac Asimov, Sognare è una faccenda privata

Le idee televisive sono formule facilmente introvabili. Ci vuole metodo, per riconoscerle. Non ci vuole niente, per farle svanire. Le idee nascono nelle zone di conflitto. Quando le cerchi, sono sempre a portata di mano, ma non lasciano tracce per chi le sta cercando. Vengono incontro e sfuggono. «Sono la tua idea: dove posso portarti?» diceva uno slogan pubblicitario. Negli altri campi del vivere sociale l’idea precede l’invenzione che la rende attuabile. In televisione ci vuole un’invenzione per dare vita a un’idea. Le idee televisive si cercano, si trovano e ci cercano. Alcune (poche) si inventano. Qualcuna la si scopre; poche si risvegliano o si inseguono. Tutte le altre si costruiscono. Spesso si sviluppano simultaneamente in piú luoghi, con minime varianti. Espionage: «Il brivido di un intrigo internazionale in una sfida composta di varie prove. Dieci persone suddivise in due squadre si allenano per diventare spie, competono in una serie di gare e sono eliminate tutte tranne una che dovrà aprire la cassaforte contenente un superpremio in denaro». Key witness: «I concorrenti, testimoni di un crimine simulato, mettono alla prova memoria e spirito di osservazione davanti al giudice. Chi risponde al maggior nume-

ro di domande viene eletto testimone chiave e vince il gioco». Haunted: «Quattro persone in una casa di campagna infestata dai fantasmi. Osservati giorno e notte, devono ricostruire la storia che ha reso la casa cosí inospitale attraverso prove che alimentano la conoscenza e la paura». Outlaw: «Lo spettatore viene invitato a risolvere un crimine seguendo tutte le fasi del processo investigativo: raccolta delle prove, interrogatori e arresto del colpevole. Premio finale per chi trova la soluzione del giallo». Chef for a day: «Gente comune e celebrità hanno l’opportunità di assistere i migliori cuochi nel loro ristorante preferito mentre preparano il piatto del giorno». Scream test: «Mix tra Survivor e The Blair Witch Project in cui quattro concorrenti devono sopravvivere per una notte in una casa la cui storia documenta attività paranormali. Un solo vincitore supererà il test psicologico della paura». The great chase: «Tre squadre di viaggiatori hanno a disposizione macchine, computer e una serie di tracce per trovare i pezzi di un puzzle. Solo una squadra riuscirà a completare il puzzle e a vincere il premio di 20.000 dollari». Breakout: «Un personaggio della tv irrompe in un ufficio offrendo al concorrente l’opportunità di partire per una setti-


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mana di vacanza. La sfida piú difficile è affrontare il capo!». Secret mission: «Tre concorrenti gareggiano come agenti segreti affrontando prove fisiche e psicologiche nel tentativo di salvare il mondo». Colony: «Ambientato in un set futuristico, due squadre si battono per colonizzare Marte e vincere un premio in denaro». Raramente le idee si presentano come reperti poetici che scatenano una fantasia, come è successo ai protagonisti di Velisti per caso: Un giorno la famiglia intera, con loro due c’è anche Zoe, la figlia di sette anni, passa per Fano e si perde. Dietro un capannone in disuso, coperta di erbacce e popolata da piccioni e galline, i tre vedono spuntare una barca tirata in secco (di solito sono le vecchie 850). È lunga venti metri. È indiscutibilmente un veliero, anche se non ha gli alberi né la deriva. È la barca di Noè…

Una volta afferrate – qualunque sia la loro origine – le idee televisive si trasformano a loro volta nelle proprie tracce volontarie. Indicano la direzione auspicabile o auspicata, ma non offrono ancora nessuna certezza. Non sono il programma, né il meccanismo, né (già) la sua formula. Tantomeno lo sviluppo di un progetto. Sono uno spunto transitorio. Ancora solo un nulla fantasioso, con una motivazione urgente. Maurizio Costanzo ha scritto che spesso l’idea vincente non è quella clamorosa, ma semplicemente quella giusta. Aggiungiamo una semplice domanda: giusta rispetto a chi e che cosa? L’idea di un nuovo programma è insieme la freccia e il vettore; il punto di partenza, e la spinta iniziale. Indica nello spazio tridimensionale dei programmi possibili la direzione, l’inclinazione e la lunghezza del percorso. Piú un’evocazione magica che una struttura architettonica. Saranno le fasi successive che precedono il progetto a stabilire la sua

forza potenziale: costruzione, declinazione, sviluppo. Perché ci colpisca, perché cominci ad affermarsi un’idea televisiva deve comunque avere una serie di caratteristiche di partenza. Un appeal immediato composto da: – affidabilità – compatibilità (con lo scenario mediale, con il gusto presunto del pubblico, con gli obiettivi prefissati) – complessità – contiguità (con il pubblico e con programmi già esistenti, a partire dai quali differenziarsi) – declinabilità (lo sviluppo potenziale) – durata (intesa come un’idea realistica di tenuta nel tempo dell’idea. Spesso le piú innovative hanno un forte appeal iniziale, ma un brevissimo respiro) – familiarità – flessibilità del range (margine di oscillazione dell’idea tra due altre già esistenti, per modificarsi in corsa senza sovrapporsi a esse) – osservabilità (capacità di apparire immediatamente nella propria interezza. È il concetto che sta alla base di una frase ormai famosa: «una buona idea si deve riassumere in cinque parole») – tempestività (l’impressione di colmare con prontezza un’esigenza appena espressa dal pubblico, o ancora allo stato latente. Le idee televisive hanno un tempo preciso in cui emergere: quella giusta precede di un soffio il proprio tempo. Un giorno prima sarebbe troppo presto e un giorno dopo troppo tardi).


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– vantaggio relativo (superiorità iniziale sul panorama dell’offerta esistente, soprattutto all’interno del segmento nel quale l’idea va provvisoriamente a posizionarsi).

Da dove vengono le idee Dove sono le idee televisive, prima di essere inventate? Nei desideri imprecisi del telespettatore o nella sua memoria emotiva? Nelle strategie del marketing o nell’intuizione di un outsider? Negli sguardi sul futuro, nelle sporgenze del presente o nelle suggestioni del passato? Per averne di nuove è necessaria la memoria oppure, attraverso il confronto inevitabile, si rivela un ostacolo? Le idee televisive sono dovunque e da nessuna parte in particolare. Descriverne la genesi iniziale è come raccontare la nascita di una scintilla. È piú facile – e tutto sommato piú produttivo – stabilire i modi attraverso i quali la scintilla si può sprigionare. È facile ricostruire i nuclei generativi iniziali di alcune idee televisive di successo, ma questo può spiegare il come non il perché sono nate. Considero le idee televisive come un punto di partenza e non di arrivo. Come elementi di un processo industriale che procede attraverso la persistenza, il cambiamento, l’invenzione e la perdita. Ripercorrendone centinaia, praticamente tutte quelle che hanno fatto la storia della televisione di questi ultimi anni, ho provato a raggrupparle: non per il gusto di una classificazione astratta, ma perché credo che sia l’unico modo di porsi nei loro confronti dal punto di vista creativo. Suddividerle per categorie (o meglio per gradi di elaborazione) mi sembra in questo momento l’unico possibile per un lavoro «scientifico» di ricerca e costruzione. Ce ne sono altri, ovviamente. Piú istintivi e poetici. Forse le idee migliori nascono da lí. Da intuizioni non trasmettibili.

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Il nostro compito – e la mission di questo libro – è invece quella di cercare a ogni costo dei comportamenti ricorrenti, delle costanti riproducibili. Per questo – rifacendomi soprattutto alla teoria della letteratura – ho suddiviso la nascita delle idee in sei gradi di elaborazione successiva, che corrispondono ad altrettanti criteri creativi. Si va dallo spunto senza origini dichiarate o apparenti del primo alla combinazione tra media del sesto. Il piú nuovo e finora meno battuto. Credo che si tratti di un primo passo per segmentare l’universo degli itinerari possibili. Non una mappa vera e propria, ma un’ipotesi di percorsi. Nella quale le suddivisioni sono spesso soltanto un’utile convenzione e niente di piú. Ognuna delle idee di programma che incontreremo in queste pagine appartiene a un grado ma tende almeno a un altro. Esattamente come un’immagine televisiva si trova idealmente sospesa tra le due barre del mixer. Nella barra A viene selezionata, ad esempio, la camera tre, in quella B, sottostante, è già pronta quella complementare, che può subentrarle in dissolvenza o comporsi a intarsio con un effetto speciale. Nell’una agisce già l’altra, almeno potenzialmente, anche se il pubblico probabilmente non la vedrà. Se ho scelto la classificazione per gradi di elaborazione è soltanto perché la segmentazione delle idee possibili le rende piú accessibili. Può darsi che a qualcuno sembri un tentativo disperato, come quando Palomar cercava di classificare le onde. Chi non l’ha fatto, almeno una volta?

Primo grado: le idee originali Sono le idee che si cercano. O si rintracciano, setacciando con attenzione tutti i territori possibili: dalla grammatica dei rapporti alle oscillazioni dell’immaginario. Non parlerei di archetipi, ma semplice-


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mente di spunti che si insinuano tra altri e individuano in partenza un esilissimo spazio di novità (assoluta o piú spesso relativa). Considero originali quelle idee che sembrano non avere (avuto) modelli immediati in programmi precedenti. Molto spesso, i modelli esistono, magari in palinsesti o programmi lontani nel tempo. Nel primo Campanile Sera c’era un momento dedicato alle coppie che conteneva praticamente il meccanismo portante di Tra moglie e marito, in Chi vuol essere milionario? c’è Lascia o raddoppia. Probabilmente si tratta di un caso. Comunque, le possibili derivazioni appaiono come tali solo a posteriori. Come confronto retroattivo e non come ipotesi di partenza. A loro dedicherò gran parte di questo capitolo.

Secondo grado: le idee derivate L’idea di secondo grado nasce da un lavoro geologico lungo le falde stratificate del già visto. A volte la derivazione da un’idea preesistente è evidentemente leggibile (definiremo allora la trasmissione di partenza «programma primo» o «matrice»). A volte le idee di secondo grado rimbalzano a partire da un’altra già applicata, ma se ne allontanano al punto da rendere quasi impossibile il recupero del punto di partenza originale (definiremo allora la trasmissione di partenza «programma di riferimento»). Accade anche alla creatività televisiva quello che è successo in molti altri campi. Ogni volta che una forma di linguaggio arriva alla piena maturità si afferma la convinzione che tutto sia già stato detto, o scritto, o dipinto. Allora scatta il grado successivo: il nuovo che nasce solo dalla rielaborazione. Nel Seicento lo si definiva «il genio di migliorare un’invenzione». Quasi sessant’anni e miliardi di ore di televisione hanno convinto molti che non è

piú realistico credere nella possibile esistenza di idee primarie: che siamo ormai immersi nel secondo grado della tv, come se un Warhol del tubo catodico ci avesse tolto definitivamente l’illusione residua dell’originale. Le idee di secondo grado si sviluppano sempre a partire da un’altra già realizzata. Non sono invenzioni, ma rilievi o scoperte o riscoperte. Hanno bisogno della mediazione – piú o meno scoperta – di una formula già esistita. Di un programma matrice da cui partire e svilupparsi, fino ad abbandonarlo. Da cui differenziarsi, fino a dimenticarlo e farlo dimenticare. Prendono spunto da programmi che sono esistiti, ma che oggi non esistono piú (dispersi o polverizzati nella memoria particolare del telespettatore. Che è una grande riserva di memi, luoghi comuni, sigle, frammenti di dialogo, ritornelli, melodie, ritualità ripetute, convenzioni accettate) o da programmi che esistono ma è come se non esistessero perché ormai rari o irreperibili, trasformati in culto da una memoria non obiettiva. Oppure ignorati all’origine per difetto di anticipazione. Nella modalità di secondo grado non si tratta di inventare nulla, ma di scommettere (sull’idea altra, dalla quale si parte e sulla possibilità di rendersi diversi e originali), di variare nella ripetizione, di annodare fili invisibili e linee di forza sotterranee, che vengono portate in superficie. Di plasmare, sviluppare, incrociare, sezionare, dilatare, lavorare sui margini delle idee preesistenti fino a ottenere un’apprezzabile differenza. Nelle idee di secondo grado il nuovo non è mai assoluto, ma piuttosto una qualità aggiuntiva dell’esistente. L’infinita e l’impossibile metamorfosi di ciò che già c’è (o c’era). Un nuovo mascherato e rivelato insieme. Lo immagino come un post-it appoggiato su qualcosa che abbiamo già visto. Come l’adesivo «Nuovo!» applicato sulla vecchia confezione di un prodotto che già


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conosciamo. Un nuovo che nasce dalla rielaborazione di: – Idee del presente (tipo A) – Idee del passato recente (tipo B. 1) – Idee del passato remoto (tipo B. 2)

Terzo grado: le idee contaminate Sono idee costruite a partire da tentativi e ipotesi sulla carta. Spesso un’idea nuova libera un’altra e la riposiziona, magari in una diversa funzione. Le idee contaminate nascono dall’accostamento, fusione, contrazione, crasi di due o piú idee preesistenti, appartenenti allo stesso genere, dal cui incontro ne nasce un’altra, sostanzialmente nuova. In questa operazione alchemica un autore utilizza programmi esistenti, ma anche quelli che non sono mai esistiti e potrebbero esistere (per ricostruzione apocrifa, giochi di citazione, ecc.); annunciati o sospesi nell’aria; ipotizzati, intravisti, camuffati o confusi nella cornice deviante di un altro, o dispersi dentro le forme informi del contenitore. La contaminazione procede per tentativi e richiede una buona capacità di immaginare le varie metamorfosi che possono scaturire dall’incontro tra materiali eterogenei, anche se contigui. Il terzo grado va oltre la combinazione: fa interagire l’esistente in un particolare processo creativo. Una chiara idea di terzo grado è Matricole e meteore, (Italia 1, 2002 e 2010), che nelle intenzioni degli autori nasce dalla crasi del «meglio di due programmi cult precedenti», che singolarmente avevano esaurito la loro iniziale forza propulsiva. Un esempio piú complesso – vera e propria alchimia di idee – è Give your mate a break (Dài una chance a chi ami), che riunisce il fascino dell’occasione tanto attesa con l’annuncio a sorpresa; il ruolo positivo del «gancio» affettuoso e il back-

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stage che va in scena in uno «show che sorprende gli aspiranti artisti fornendogli un’occasione unica nel mondo dello spettacolo». Ho provato a riassumerlo indicando tra parentesi i numerosi programmi ai quali si ispira: Amici e parenti propongono alla tv artisti semiprofessionisti che ricevono nel corso di un’irruzione a sorpresa (Homerun, tra gli altri) una proposta che non possono rifiutare: sottoporsi a un intenso periodo di preparazione guidati da una squadra di professionisti dello spettacolo (Star academy, Operación triunfo, Amici, Ballando con le stelle, Vuoi ballare com me?). Cosa si vince? Uno spot di tre minuti in una rete televisiva nel prime time. I fortunati hanno sei giorni per prepararsi a una prova che non si ripeterà mai piú. Gli spettatori seguono le prove in tempo reale (Happy family plan, The moment of truth) e condividono l’esperienza del dietro le quinte: la sorpresa, la stanchezza… i momenti di dubbio e di stress emotivo, la paura e la forte eccitazione prima del debutto su di un canale nazionale.

Una variante della combinazione multipla è il processo inverso: ritaglio, intaglio e/o separazione. Un’idea appartenente a questo sottogruppo nasce prelevando all’interno di un unico programma preesistente uno o piú suoi elementi costitutivi e ricostruendola fino a renderla perfettamente autonoma. La definirei una sciarada televisiva. La difficoltà di questa delicatissima operazione consiste nel trovare il punto esatto in cui operare la divisione dando luogo a due o piú idee dove prima ce n’era una sola senza renderle incompiute o indebolirle entrambe.

Quarto grado: le idee combinate Nel quarto grado siamo di fronte a un doppio passaggio di confine: l’idea nuova nasce combinandone o mixandone altre già applicate in percentuali diverse in generi anche lontani tra loro.


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Ogni transizione, ogni passaggio di confine contengono anche una trasformazione, che in questo caso è espressione diretta e affermazione di una volontà. Lo spunto iniziale dell’olandese Bar wars deriva in maniera evidente da The bar, della svedese Strix ma i bar diventano due e si trasferiscono sulle spiagge di Corfú. Li gestiscono due squadre composte l’una di cinque uomini e l’altra di cinque donne, che hanno come obiettivo finale raggiungere il massimo profitto nel tempo di un’estate. Nel reality «attivo» si inserisce una componente di competizione a squadre inesistente nel programma-matrice. Il dating è un gioco di scelte sui sentimenti, il game è un gioco puro. Dirty dating combina i due generi (o sottogeneri). Il solito single è in cerca di un partner, solo che tra i candidati al suo «amore» si nasconde un falso pretendente. Se viene scelto, vince lui. Se invece il protagonista sceglie uno dei due «veri» corteggiatori la coppia che si è formata si aggiudica insieme cuori e denari: una certa somma e una cena romantica. L’idea di Who has the longest…? è distribuire le domande, anzi di metterle in vendita ogni settimana. La fortuna è tutta in un piccolo libro con cinquemila domande di cultura generale che si può acquistare un po’ dovunque. Non è facile imparare tutte le risposte. Piú se ne ricordano, piú alta è la possibilità di vincere i centomila euro che costituiscono il premio finale. Per vincere la puntata, invece, basta mettere in fila il maggior numero di risposte esatte. L’idea, dunque, è ancora una volta nella modalità: le domande sono tutte lí, una specie di supermultiple choice. La combinazione scatta successivamente. Due sedie mobili assicurano la rapida alternanza dei concorrenti. Appena uno è eliminato il conduttore lo saluta, gli chiede di allacciare la sua cintura di sicurezza e spinge il bottone di «uscita di scena».

Le sedia vola dietro le quinte come una catapulta. Un’altra sedia, con il concorrente successivo, irrompe velocemente in scena. Si slaccia la cintura di sicurezza e si sottopone alla prima domanda. Sono domande di tutti i tipi: aperte, a scelta multipla, vero/falso, ecc. Sono le stesse sedie che a loro volta hanno caratterizzato It’s your turn. Là si trattava di personaggi che cercavano di conquistarsi qualche minuto di celebrità. Qui di un game. Là la sedia era l’idea portante. Qui un elemento funzionale.

Quinto grado: combinazioni impossibili Pierre Lévy scrive che «l’invenzione suprema è quella di un problema, l’apertura di un vuoto al centro del problema». A modo loro, anche le idee di quinto grado si inventano, ma in maniera molto diversa da quelle primarie. Bisogna crederci in partenza, per raggiungerle. Solo rischiando si possono affermare. Perché sfidano l’incomponibilità. Scaturiscono dall’incontro/scontro – anche casuale, ma piú spesso programmato – di due o piú generi televisivi diversi e fino a quel momento sulla carta incompatibili. A loro – le piú frequenti nell’attuale panorama televisivo – dedicherò particolare attenzione nel capitolo dedicato ai «nuovi generi». Per ora mi basta sottolineare che le idee di quinto grado individuano o creano lo spazio millimetrico che può forare la superficie indifferente del già visto. Per la loro natura composta, si rivelano interamente solo nella stesura del progetto finale, quando l’insieme dei loro riferimenti prende posto nello sviluppo del racconto. In Gone awol un marito torna a casa e scopre che la moglie è partita per una vacanza da sogno. Portato in studio, dovrà sconfiggere la suocera e il migliore amica/o della fuggitiva per acquisire il diritto di raggiungerla. Il tutto, naturalmente, può ripetersi a ruoli invertiti. L’am-


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biguità è evidente: l’abbandono è solo un gioco o un segnale criptato mandato al partner, che indica un disagio piú profondo? Può essere solo un game a riportare a casa la partner fuggita? Se è solo un gioco, non è troppo alta la posta in palio?

Sesto grado: le idee transcodificate Il processo di costruzione, creazione, induzione è simile a quello che si attiva per le idee di quinto grado, con la differenza fondamentale che qui entrano in gioco idee e modelli preesistenti appartenenti a media differenti. Il risultato è una nuova idea televisiva che in genere presuppone lo sfondamento di abitudini e comportamenti di fruizione (cosí come di offerta televisiva) consolidati. Le idee di sesto grado sono insomma legate a un alto tasso di innovazione.

Le idee di primo grado. Modelli di ricerca Trovare un’idea originale non significa aspettarla, come un’ispirazione passiva. Al contrario, credo che le idee di primo grado nascano piú ancora delle altre da un sistematico lavoro di ricognizione lungo aree precise, che definirei «depositi possibili». Tra i moltissimi che giornalmente prendo in osservazione ne elencherò alcuni, in ordine alfabetico, con l’avvertenza che alcuni sono giacimenti piú ricchi e immediati, altri richiedono un lavoro piú elaborato e paziente di analisi, ricerca e ascolto. Ma poi i risultati arrivano.

Film

È da sempre una miniera di racconti e meccanismi. Limitandoci alle idee piú recenti, dalla memoria di Blade runner diventata mito – in un clima sospeso tra

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Philip Dick e Ridley Scott – è nato I replicanti (Tsi, 2002). Tre persone ogni sera si sfidano su di un’insolita materia: la vita di un vip. Lo scopo dei concorrenti è uno solo: assumere l’identità dell’«originale», calarsi nella sua personalità. «Diventare l’altro». Da un gioco di scatole cinesi – un film famoso dentro l’altro – nasce l’idea di Indovina chi viene a cena (Rai2, 2002), debitore per lo svolgimento drammaturgico a Nottingh hill e – televisivamente – a Complotto di famiglia (Canale 5, 1993). Al film di Sidney Pollack Non si uccidono cosí anche i cavalli? si rifà la Maratona di ballo (Endemol). Dagli anni della grande depressione americana il programma – attraverso il film – recupera il fenomeno sociale delle grandi maratone nelle quali i giovani giocavano in una disperata gara di resistenza le speranze di un futuro diverso. Ritrovarsi a vivere nei panni di qualcun altro è da sempre un desiderio e una paura che ha ispirato film comici o drammatici: Che vita da cani (1991, Mel Brooks), Una poltrona per due (1983, Eddie Murphy), Da grande (1987, Renato Pozzetto), Big (1988, Tom Hanks)… Da questi film è scaturita l’idea di Lotta di classe (Italia 1), firmata da Alessia Ciolfi. Il protagonista (prodotto da Magnolia per Italia 1) si ispira dichiaratamente a The Truman show e c’è tutto Ed tv in una delle idee piú innovative che affronta questo libro: Masterplan, il programma che inizia dove finisce Grande fratello e costituisce l’esempio piú discusso del filone del reality estremo (!! Le tre stagioni della telerealtà): Compreremo la vita di sei persone per un anno. Li seguiremo con le telecamere ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana, per cinquantadue settimane. Non c’è scampo.

Il film piú studiato in questi anni dai cacciatori di idee televisive è Sliding doors.


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sono i concorrenti rimasti nel gruppo alla fine del gioco. È quindi nell’interesse di tutti tenere il gruppo unito, anche se devono continuare a lottare uno contro l’altro. In altre parole, devono decidere quando essere leali e quando sleali, quando fidarsi o quando tradirsi a vicenda.

Il meccanismo, nel film è chiarissimo. E folgorante. Ma fuori dalla pellicola, svanisce. È refrattario all’adattamento. Per questo l’impresa è cosí stimolante.

Romanzi, racconti e frasi letterarie

Nei romanzi e nei racconti ci sono ancora centinaia di idee che aspettano di essere risvegliate. Ogni tanto, qualcuna si sviluppa e diventa programma, confermando la ricchezza di questo territorio parzialmente inesplorato. Il cinema l’ha già capito. Non si tratta soltanto di adattare i romanzi allo schermo, ma di intuirne la novità di fondo. In un racconto di Philip Dick del 1959, Il tempo si è fermato, per esempio c’è l’idea portante di The Truman show: il protagonista vive in una tranquilla cittadina della California e scopre che questa non è altro che un set costruito per proteggerlo... In un racconto del 1905 Chesterton dà vita alla Avventure romanzesche spa, che dietro compenso trascina il cliente in un plot imprevedibile, di cui lui non conosce i contorni e gli obiettivi, scritto per lui da esperti sceneggiatori. Un circuito-avventura che costringe il protagonista a «scivolare sulla ringhiera delle scale», «saltare da un muretto all’altro», «correre a rotta di collo per sfuggire agli inseguitori». È lo spunto del film The game. Televisivamente, è l’idea di The contract: Dodici persone firmano un contratto con cui cedono il controllo delle loro vite. La sola cosa che sanno è che la loro vita cambierà drasticamente da lí a pochi giorni. Continueranno a vivere le loro vite ricevendo periodicamente nuove informazioni. Dopo che avranno firmato il contratto non sapranno se quello che accadrà loro è realtà o qualcosa di artificialmente costruito. Inoltre, da ora in poi, non potranno fidarsi di nessuno. Il gruppo ha il dovere di scoprire la verità nascosta dietro la firma del contratto. Il concorrente che riesce a risolvere il mistero vincerà tanti milioni tanti quanti

Emily Brontë aveva immaginato un secolo prima un vero e proprio gioco di ruoli: immaginiamo di avere un’isola per ciascuno. Un’isola per mettere in moto insieme la simulazione, il romance e l’avventura. È l’idea di Treasure island: sedici persone. Due squadre. Un’isola deserta: una caccia al tesoro complicata da una «sopravvivenza» con poco cibo, compagni di squadra che puoi amare e detestare e la sfida di eliminazioni ogni tre giorni. Per restare in tema di isola Expedition Robinson evoca Robinson Crusoe e non casualmente inizia con una situazione da naufragio. Ma i riferimenti finiscono qui perché il vero nemico di Crusoe sono stati l’isolamento e la solitudine mentre nel programma che ha inaugurato il filone avventuroso del reality avanzato conta il gioco di squadra, il rapporto con gli altri è decisivo almeno quanto quello con la natura e lo sguardo delle telecamere onnipresenti (e dell’operatore-spettatore) testimoniano di un legame con il mondo che è la vera ragione dell’isolamento simulato. Lo sanno bene i partecipanti all’Isola dei famosi. Quanto alle frasi, un esempio soltanto. Qualcuno ricorderà la frase simbolo dell’ormai lontano best seller di Erich Segal, Love story: «Amare vuol dire non dover mai dire: mi spiace». Non sarebbe stato un buono spunto (non abbiamo nessuna prova che lo sia stato realmente) per un format fortunato come Perdonami?

Inversioni di ruoli

Nella vita e/o nella drammaturgia televisiva. Chi l’avrebbe mai detto? Per chi vive in una delle isole piú belle della Polinesia il


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sogno è trasferirsi nella pianura padana. E chi ci vive, in pianura padana, non sogna altro che un atollo circondato da acque trasparenti, dove non è mai inverno. Syusy Blady ha elaborato un progetto per portare per un anno chi vive in una cartolina nelle nebbie del nord e viceversa. In Get your kit off i concorrenti – divisi in due squadre – fanno qualsiasi cosa pur di mettersi «nei panni della gente»! La gara si svolge di notte e coinvolge passanti stupiti e un po’ spaventati. Vince chi in sei ore conquista il maggior numero di indumenti utili a vestire il proprio partner, che inizialmente indossa solo gli slip. Con una implicazione non sociologica ma piú divertita rispetto al già citato Lotta di classe si sviluppa un filone inglese in cui due persone si scambiano il mestiere o la professione. Cuoco e falegname – dell’inglese Action time – impone ai propri protagonisti di assumere ognuno il ruolo dell’altro e di mettersi al lavoro. Con quali risultati? Piú impegnativa l’avventura imposta da Who’s been sleeping in my bed? in cui due famiglie si scambiano residenze e stili di vita per una settimana di vacanza. Si ritrovano successivamente in Studio per rivedere le loro giornate come amici che si ritrovano davanti alle diapositive e il pubblico decide quale di loro merita la supervacanza (questa volta vera) in palio. Lo scambio di ruoli è alla base di Boy meets girl, in cui per un breve periodo all’interno di una coppia lei vive la vita di lui e viceversa, pronti a ritornare ognuno al proprio posto quando l’esperimento televisivo finisce. Ancora piú estrema una recente ipotesi anglosassone: i genitori vivono per un certo periodo nei panni dei figli e viceversa. In Cambio moglie sono le mamme a scambiarsi la famiglia per una settimana. Per quanto riguarda la drammaturgia televisiva sempre piú frequente è l’inversione di ruoli all’interno delle figure costituti-

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ve dei programmi: in Caccia ai miliardi, un game a eliminazione progressiva chi esce di scena viene di volta in volta sostituito da uno spettatore seduto tra il pubblico. In altri il conduttore ricava il suo compenso dalle vincite mancate dei concorrenti (Beat the bastard) o prende il posto dei candidati titubanti di fronte a prove troppo rischiose.

Momenti

Il momento in cui si può dire «ora o mai piú», ma anche «solo ora può accadere». Il momento cruciale che si presenta al protagonista e coinvolge lo spettatore: matrimonio, fidanzamento, avanzamento di carriera che propone un dubbio importante... Il momento della rivelazione inattesa (Baby boom: donne rivelano ai marito o partner di aspettare un figlio); il momento dell’incontro incerto e della scoperta: la prima uscita insieme, ad esempio, è l’idea iniziale di Blind date (Appuntamento al buio, La7, 2002); Il momento della rivelazione interpersonale: superamento di una soglia, scoperta della vittoria, svelamento di un segreto. Il momento dell’incontro, del ricongiungimento cercato (C’è posta per te, ma anche alcuni momenti del talk quotidiano di Rai1 Se... a casa di Paola), della nascita di un amore, della vendetta o del risentimento, del perdono o della verità. Il momento in cui la televisione rivela la sua presenza e quello in cui il protagonista scopre se stesso. Il momento che cambia le cose e i momenti inarrestabili. Il momento da rivivere: in Back to school per esempio sei vip ritornano in classe, divisi in due squadre di tre concorrenti famosi e devono rispondere a una serie di domande su diverse materie, come in Sei piú bravo di un ragazzino di 5a?. La prima volta o l’ultima volta prima di un cambiamento radicale: le ultime ore da studente di liceo, l’ultima partita, l’ultima notte prima del matrimonio.


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Nell’inglese 99 things to do before you’re 30 lo slogan è folgorante: «Avete mai pensato a quante cose tutti dovrebbero fare prima di compiere trent’anni?». La linea d’ombra adesso ha una scadenza precisa.

Parole chiave

I semplici sostantivi sono una fonte inesauribile di scintille iniziali. Contengono sia meccanismi che un gioco di naturali associazioni. In genere sono parole concrete e insieme evocative. La parola «desideri», per esempio. Ne riparleremo a proposito della drammaturgia perché il compimento di un desiderio (o di una mancanza) è alla base di ogni racconto. Per quanto riguarda l’origine delle idee, individuare un desiderio latente (del protagonista, non dei telespettatori) significa trovare altrettanti spunti iniziali. Occorre però intuirli e riconoscerli quando non sono ancora arrivati in superficie, quando non c’è ancora la parola che li definisce. Molti programmi sono nati cosí: dalla voglia di vivere un giorno da leoni, di andare nello spazio, di avere dieci metri di spiaggia personali per sempre, di sapere cosa pensano davvero gli altri di noi stessi, di vivere qualche giorno come in un film, di sfidare il proprio superiore e vedere chi è il migliore, di gridare al mondo la propria protesta, di ritrovare un affetto perduto, ricostruire un attimo indimenticabile del passato, trovare aiuto in una scelta, trovare un autore che sceneggia la vita d’ora in poi... Dalla parola «identità» nascono Soliti ignoti - identità nascoste, un game d’atmosfera come I replicanti o un varietà atipico come Telematti, scritto e interpretato dalla Premiata ditta (Italia 1, 2002) dove un vip deve dimostrare di essere se stesso: «Il vip interpreta la parte del proprio sosia e chiede aiuto alla televisione per liberarsene una volta per tutte».

Molto piú ricca di sbocchi la parola «paura». Basta pensare alle infinite forme in cui si presenta nella vita quotidiana: c’è il timore dei furti, dei ricatti, dei sequestri, degli stadi affollati, di perdere (gli affetti, i beni, la memoria, la propria spontaneità), di smarrirsi, del buio, del futuro, degli sconosciuti, dei ricordi, dell’amore, di se stessi, del passato, del mare, dell’aereo, di una voce sentita per caso, del telefono che suona in piena notte, del nuovo... Si può aver paura delle proprie paure. La paura del racket, dei violenti, dell’«altro», di restare soli, dei «provvisori» (immigrati, barboni, sradicati), delle sette, della diversità non sono solo possibili argomenti per il classico programma di conversazione a tema. Ognuna di queste declinazioni, lavorata, corrisponde ad altrettante idee che hanno dato vita a programmi riconoscibili. Now or never e Fear factor ci accompagneranno in piú occasioni lungo il nostro percorso. Fobie (poi diventato Persone sull’orlo di una crisi di nervi) è andato in onda in Italia su La7. Molto simile, ma con qualche venatura spettacolare in piú, Don’t try this at home (Non fatelo a casa): Volete aiutare un vostro amico o parente che ha una fobia? Immaginate il peggiore incubo. Poi rendetelo reale. La tv lo preleva a sorpresa e lo porta in studio, per sottoporlo a prove ispirate alla vita reale. Il pericolo non è mai stato cosí divertente…

Una parola suggestiva è «segreti». Con l’inevitabile corollario di «bugie», equivoci e leggere incomprensioni (Family secrets, Genitori e figli) O di rivelazioni. Il segreto può essere il cuore di una confessione o lo scopo di una gara: ne La Talpa (Rai2, Italia1), l’idea centrale è scoprire la talpa, il traditore occulto che la tv ha insinuato tra i concorrenti impegnati in una difficile missione in una città che non conoscono. Link!, provocatoria proposta Endemol, rovescia i termini del vero e falso in


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tv obbligando una vera coppia a nascondere la propria identità confusa tra altre fittizie. Il suo obiettivo è ingannare il pubblico, tra acrobazie e simulazioni che mettono a dura prova la loro relazione. Una delle parole piú evocative (e insieme difficili da declinare) è «viaggio». Se conta prima di tutto la meta ecco Paradise run, una gara a squadre intorno al mondo per trovare la spiaggia piú bella. Se conta lo sguardo, ecco Turisti per caso (Rai3). Se l’accento cade sul «come» viaggiare, ecco il finlandese Far out: i concorrenti hanno missioni da compiere in giro per l’Europa. Sono prove semplici, ma prevalgono la creatività e la simpatia con le quali vengono affrontate. Piú i protagonisti piacciono al pubblico, piú viaggiano perché il montepremi è fatto di tempo e chilometri ulteriori. Se conta lo spirito del viaggio ecco Donnavventura, a metà tra il documentario e il reality; se conta il mezzo con cui viaggiare e un certo «spirito» ecco MTV Trip, il reality condotto dal duo comico Luca e Paolo, che andavano in giro per l’Europa alla guida di una Fiat 130 con allestimento autofunebre, creando parodie. Se conta con chi viaggiare ecco Con te partirò (Rai, Endemol e Pay per Moon) o Italiani in vacanza (incursioni di comici nelle comitive non fai da te). Se si inseguono il piacere dell’avventura e la sfida rischiosa ecco Survival (Rai3, 1998), sulle sfide dell’uomo alle condizioni piú difficili in cui vivere. Se le difficoltà le crea la tv si apre un nuovo filone con Come sopravvivere con 20 dollari, autodefinitosi il reality dei sopravvissuti metropolitani. Scopo: resistere quattro giorni e tre lunghissime notti in una capitale europea sconosciuta. Nella stessa direzione si muove anche 48 Hours: Il piú movimentato, avventuroso ed eccitante reality: tre concorrenti hanno qurantotto ore per trovare la loro via per tornare a casa… da qualche parte attorno al mondo. I

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protagonisti sono seguiti da un operatore, nessun aiuto, si vince un consistente premio in denaro.

Nella ricerca di un’idea dentro una parola chiave non ci si deve mai fermare al primo impatto. Occorre lasciarla agire e cercare nei punti in cui vi sa portare. Se viaggio contiene anche altrove, per esempio, bisogna domandarsi quanti altrove conosciamo. Oltre ai luoghi, potrebbe essere la vita di un altro, come un territorio vicino e ancora parzialmente sconosciuto. Al posto della meta, potrebbe diventare fondamentale il punto di partenza. Oppure il punto d’arrivo potrebbe coincidere con quello del ritorno: basta inserire qualche ostacolo lungo il percorso, ed ecco lo spazio in cui si sviluppano diversi altri formati. Il contrario del viaggio è lo stare fermi. Prigionieri di uno spazio chiuso, fisico o mentale. La sorveglianza e i relativi tentativi di evasione sono alla base di diversi reality e games costruiti a partire dall’idea di fuga, vigilanza, controllo spietato: carceri di vario tipo, guardie e detenuti. In The sack race: tre concorrenti ripresi nel loro ambiente di lavoro lottano contro il tempo per essere licenziati entro la pausa pranzo e vincere un premio significativo. The prisoner è un thriller psicologico costruito sulla storia di un uomo conosciuto come n° 6. Il prigioniero n° 6 non ha commesso nessun crimine ma è rinchiuso in un incubo, intrappolato in uno sperduto villaggio da cui non c’è via di fuga. Un concetto un po’ estensivo di evasione – suggerita dal viaggio – offre ai protagonisti insieme l’occasione e l’alibi del tradimento, compreso il sogno di negare l’evidenza, come in Blind faith e nell’italiano Scherzi d’amore, commercializzato nel mondo da Endemol con il titolo di Love triks. Nel primo coppie affiatate vengono provocate da attori mozzafiato e dalle manipolazioni delle immagini, in un gioco


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incrociato di verosimiglianze. Nel secondo una giovane coppia si mette alla prova: ognuno dei due esce con un altro partner, un provocatore molto affascinante. Quando i due si ritrovano in studio rivedono quanto è accaduto e in un finale a effetto decidono se rimanere ancora insieme.

Notizie

C’erano le telecamere quando un Concorde è precipitato poco dopo il decollo dall’aeroporto di Orly. E quando due ubriachi si sono picchiati fino a perdere conoscenza, in una cittadina degli Usa. C’erano le telecamere ufficiali a seguire il rientro dello shuttle poi disintegratosi al contatto con l’atmosfera, ma c’era anche un videoamatore che casualmente seguiva quel punto un po’ piú luminoso che scendeva ad altissima velocità verso la terra. C’è sempre qualcuno che filma la realtà mentre accade. L’«inatteso» ha cambiato le regole del gioco della vita. Ma non sfugge alla sua immediata riproduzione. Non c’è fatto imprevedibile che non si conservi, e ritrovi, nella memoria parallela del nastro elettronico. È su questo presupposto che si basano programmi come Real tv (Italia 1), programma di montaggio che assembla diverse idee televisive straniere. Tutte nate a partire dalla dialettica imprevedibile/ rivedibile. Sulle notizie come materia si basava un game come Azzardo (Rai1 poi Italia1). Aggiungendo la gara alle notizie nasce Star trap, una sfida tra paparazzi a caccia dei momenti piú privati delle celebrità. La doppia vita delle notizie va in scena nel Tg tg, (Tv 2000, l’emittente satellitare della Cei) la cui prima puntata è andata in onda il 28 ottobre 2002. Si intrecciano il racconto, il commento, la portata, la «durata» e «negoziabilità» dei fatti, un programma che si apre a un triplo confronto: al suo interno; con gli altri tg in onda sulle tv nazionali; con gli ascoltatori e

i loro punti di vista. Protagonista è l’attualità mentre si ripensa, come risposta all’illusione-desiderio del pubblico di veder nascere le notizie stesse. Dal contenuto delle singole notizie si sviluppano spesso idee vincenti di altrettanti programmi. Citerò due esempi: uno psicologo americano sostiene che si può imparare ad amare e cerca una donna disposta a uscire con lui per dimostrarlo. In pochi giorni – dice – la farà innamorare di sé. Non è la formula perfetta di un nuovo «esperimento» tra gioco e realtà? Nell’estate del 1971 il dottor Philip Zimbardo dell’università di Stanford ha trasformato un’ala del dipartimento di psicologia in una galera, con tanto di sbarre alle finestre. Gli studenti sono stati divisi in due gruppi; guardie e prigionieri. Da quell’esperimento sono nati un film, diversi documentari e una rock band. A distanza di oltre trent’anni quell’esperimento è tornato d’attualità e la Bbc ne ha ricavato un format: The experiment, da realizzare con le università di Exeter e St Andrews. Non una prigione, questa volta, ma un centro di detenzione piú simbolico, meno connotato e forse ancora piú inquietante. L’idea di Fuori dal mondo (che ho firmato con Fiamma Satta e Fabio Visca, un progetto nato all’interno della fucina format di Rai3) parte dalla sottrazione delle notizie: si portano dei concorrenti in un luogo «fuori dal mondo» e quando escono dall’isolamento devono indovinare cosa è successo durante la loro assenza. Qualcosa di simile è alla base di Since you’ve been gone, un quiz sulle news della settimana precedente a cui partecipano tre squadre di due giocatori che sono stati rinchiusi per sette giorni senza la possibilità di guardare la tv, ascoltare la radio e leggere i giornali. Non sul passato, ma sul futuro di ciò che farà notizia è basata l’idea di Prediction, dove astrologi, cartomanti e sensitivi fanno previsioni che vengono registrate e


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sigillate per sei mesi. Allo scadere del tempo si vedrà chi è stato il migliore di loro. Le idee si possono cercare dentro i fatti. Non nella cronaca del loro svolgersi, ma nelle dinamiche che li hanno prodotti. Un esempio è il fortunato Rescue 911, l’equivalente dell’italiano 113, che racconta da anni le operazioni di soccorso, partendo dal momento in cui le chiamate arrrivano a una centrale operativa. (Su questa idea di fondo si è basata l’esperienza di Rai3 Ultimo minuto).

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canza e poco per volta il programma ha acquistato a partire dall’assenza stessa una propria parziale autonomia. Nel varietà francese Le grand tralalà il conduttore deve condurre una trasmissione di cui non sa nulla perché gli viene accuratamente sottratta ogni informazione, copione compreso: Pensi che il tuo conduttore preferito sia bravo? Questa trasmissione è la sua ultima sfida! Senza preparazione, senza indizi su ciò che accadrà, il conduttore deve presentare un prime time senza conoscerne il contenuto.

Sottrazioni

Stava mangiando una pizza l’inventore di Pac man, uno dei primi, famosi e piú fortunati videogiochi del mondo. I giapponesi – si sa – amano molto la specialità napoletana. Lui stava a cena con amici e uno di questi gli ha chiesto di fargliene assaggiare solo un triangolo. La parte restante, un cerchio incompleto, gli ha suggerito la forma delle creature che cercava (che forse fino ad allora non aveva immaginato, ma lo stavano cercando). Sottraendo un triangolo a una forma perfetta sono nati i Pac man, piccoli fantasmi che si muovono dentro labirinti che si autoriproducono, mangiandosi l’uno con l’altro o – se preferite una definizione piú poetica – «figure simili ad amebe che possono essere interpetate come magiche icone del desktop»… La sottrazione è un procedimento strutturale ben preciso, sempre piú praticato nei laboratori di ricerca di idee televisive. Sottrazione intesa come un territorio che si apre e non come una debolezza da colmare. Quelli che il calcio (Rai2) nasce come risposta positiva all’assenza delle immagini nei pomeriggi consacrati al calcio. Le parole di chi vede (i telecronisti di Tutto il calcio minuto per minuto, gli ospiti «privilegiati» in studio) suppliscono alla man-

L’idea è davvero folgorante: sottrarre il copione e nascondere la formula alla figura iperprotetta del conduttore gli sottrae sicurezza, ma gli dona eroismo, riproponendolo all’ammirazione un po’ assopita del «suo» pubblico, il cui sottile piacere nel vederlo in difficoltà si trasforma in una progressiva ammirazione. Anche in Buona la prima! Ale e Franz non sanno dove li porterà la storia che stanno recitando. In Blind, deaf and mute tre concorrenti vengono portati in un luogo esotico dove cercano di portare a termine l’impresa assegnata, nonostante gli handicap iniziali: uno non vede (è bendato); uno non sente (ha i tappi alle orecchie), uno non parla (ha la bocca fasciata). Le difficoltà iniziano dal momento in cui devono scoprire dove sono finiti... Sull’orlo del «senza» si è sviluppata l’idea di Alfabeto italiano, un’idea fortemente voluta da Giovanni Minoli in veste di direttore di Rai3, 1997. Ventuno film tematici diretti (concepiti, montati?) da altrettanti grandi registi italiani utilizzando solo i materiali dell’archivio Rai senza girare un solo metro di pellicola originale. Senza aderire alla tv, senza voce fuori campo, senza attori da dirigere, senza una sceneggiatura prepensata, utilizzando materiali spesso destinati a non durare nel tempo, e comunque solo le inquadrature


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di altri. Senza modelli o precedenti attraverso gli slittamenti progressivi che la tv ha affrontato «per» piacere.

Verbi

«Difendere»: Mi manda Rai3; «mettersi al fianco di»: Crow bar; «giudicare»: Forum, Verdetto finale, Nothing but the truth (Channel 4), dove una giuria di dodici persone prende una decisione su di un tema di attualità ed emette un vero e proprio verdetto, Without prejudice, dove cinque persone in camera di consiglio decidono a chi devolvere una somma in denaro con la drammaturgia di un processo; «provare»: On a tout essayé; «provocare»: Le iene... I verbi sono prismi. Nelle loro sfaccettature/sfumature si trovano molte possibili idee da esplorare. Vediamone alcune: — Cambiare " Aspetto. I Total makeover affiancano (sostituiscono?) alla data di scadenza quella di miglioramento, a cura della televisione. Una sola parola d’ordine: cambiare, introduce decine di idee differenti, raggruppabili intorno alle parole-complemento oggetto: ambiente, aspetto, carattere, casa, compagno, giardino, idea, ideale, identità, lavoro, look, opinione, personalità, vita. Cambiare partner. O la vita intera. In Change your life forever la posta in palio è cambiare vita. Il protagonista di ogni episodio racconta il suo sogno, poi la televisione gli offre di viverlo davvero per un mese intero. Filmato, naturalmente. Trenta giorni dopo, la stessa persona arriva in studio. Lo aspettano le persone che piú gli vogliono bene e davanti a loro il protagonista deve decidere definitivamente se partire o restare. Riassumete varie possibilità di cambiamento e introducete la variante gioco: otterrete l’idea vincente dell’inglese Vit-

tima! Affetti, casa, lavoro, look. Per ognuna di queste scelte il protagonista ha davanti a sé tre possibilità. Se indovina le scelte che il pubblico si aspetta da lui, accumula anche una discreta fortuna. Cambiare immagine. A cominciare dal look, come nello «storico» Il brutto anatroccolo (Italia 1) e nei piú recenti 10 anni piú giovane (Lei) e Io donna buccia di banana (Lei) in cui due stylist, giudicati da Giusi Ferrè si sfidano per trasformare il look di persone comuni da «buccia di banana» a «tocco di classe». Altra variante Ma come ti vesti? (Real time): esperti di stile e di moda insegnano a migliorare il proprio aspetto rinnovando l’abbigliamento. In Missione seduzione (Lei) Lory Del Santo aiuta le donne a piacere e a piacersi in un corso accelerato di autostima e fascino. " Abitazione. Domestic blitz. In questa definizione si riconoscono le idee di cambiamento rintracciate nell’ambito della casa. Ne sono autori esperti, coppie di amici, sconosciuti, la fidanzata. In Mamma mia che rivoluzione! sono le suocere a rivoluzionare una stanza della casa in 48 ore e con un budget limitato. In Vendo casa disperatamente (Real time) un interior design e un’agente guidano i loro clienti nella giungla immobiliare attuando cambiamenti per vendere casa piú facilmente. In ogni puntata di Ground force una persona che ha un giardino particolarmente trascurato viene spedita per due giorni lontano da casa con la complicità di parenti e amici. Famosi giardinieri reclutati dalla televisione trasformano il giardino trascurato in un invidiabile paradiso, sostituendo erbacce e piante secche con fiori meravigliosi, siepi e fontane. L’idea piú nota ha dato vita al fortunato Changing room, dove quello che in casa propria sarebbe un dovere sempre rinviabile diventa un gioco se fatto in casa d’altri. Due coppie di giovani in un solo weekend


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trasformano vicendevolmente gli appartamenti l’una dell’altra, in assoluta libertà. Home alone (Da solo a casa) è il piú folle e rischioso tra i programmi di questa sezione. Certamente anche uno dei piú affascinanti per lo spettatore. L’idea consiste nel lasciare la casa intera in mano ai ragazzi mentre i genitori passano un fine settimana in un hotel di lusso o in una beauty farm. Qualunque fantasia abbiano avuto i bambini, è il momento di realizzarla. Per i genitori non ci sono reti di protezione. Anche se qualcuno trasforma l’elegante cucina della mamma in un simil fast food o trasferisce la camera dei genitori tra i rami di un albero, come nel Barone rampante. In Free style. Tutta un’altra stanza (Deakids) Giovanni Muciaccia e il suo team rispondono all’appello dei ragazzi che vogliono trasformare la propria stanza secondo i loro desideri. Se poi si unisce il cambiare al «servizio» ecco Extreme makeover home edition. Una squadra di designers, architetti, carpentieri, abbattono e ricostruiscono da zero le case delle famiglie piú bisognose. " Punto di vista. Camera on board è un programma costruito a partire dal cambiamento radicale di punto di vista e apre orizzonti inesplorati per la «telerealtà». La struttura è relativamente semplice: un susseguirsi di vari eventi svincolati fra di loro montati in sequenza. Il programma consente agli spettatori di vivere situazioni fuori dal comune, o comunque fuori dalla loro portata, grazie all’uso di microcamere che possono essere installate ovunque: su persone, animali o oggetti. Un conduttore introduce i filmati di esperienze coinvolgenti mentre lui stesso – attraverso la microcamera che indossa – è impegnato a filmarne una (per esempio, scivolando a tutta velocità sulle montagne russe). Le telecamere non si posano piú sulle cose, ma «guardano» a partire dalle cose, riprendendo in soggettiva azioni quotidiane o imprese spericolate.

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Il cambio di prospettiva fa assumere a tutto un aspetto diverso e offre sensazioni che, in una sfera virtuale, i bambini e i ragazzi di oggi hanno ormai assimilato grazie ai videogame. — Cercare Cercare è un verbo che suscita una serie di piccole emergenze significative. Come nel gioco del nascondersi – un classico dell’infanzia – riflette insieme la paura e il desiderio di non essere mai piú trovati. E il bisogno di essere continuamente cercati. La ricerca è prima di tutto avvicinamento, conoscenza, scoperta progressiva di un assente, che rivela a sua volta, indirettamente, il microcosmo inesplorato che lo circonda(va). Dal verbo cercare sono affiorate decine di idee televisive. Le varianti derivano da semplici slittamenti. Da «chi» cerca: la tv i parenti o i telespettatori? Una squadra o una famiglia? La gente comune «con l’aiuto» della tv o «sfidando» la tv? Dal «perché» cercare? Per una perdita inferta dalla vita o per un gioco inventato? Per ricomporre un sentimento, un rapporto preesistente o per trovare una fortuna? Siamo nell’ambito di un game puro, di un gioco di ruoli o di un programma di emozioni? Al primo caso appartengono l’inglese The bounty hunters, Il fuggitivo e Area 24. In The bounty un malvivente ha rapinato una banca e sedici cacciatori di taglie, divisi in due squadre, gli danno la caccia per tutta l’Australia. In Area 24: Sei persone sono intrappolate in un’area industriale abbandonata e fatiscente. Solo uno di loro potrà uscire, ma per farlo dovrà recuperare la mappa che si trova in un punto imprecisato dell’area, il «quartier generale», e, con essa, cercare la strada per evadere. Braccato dai cacciatori, ostacolato dalla natura del luogo e dalle regole del gioco, ha un solo modo per tornare a essere un uomo libero: fuggire.


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In Villa Medusa il gioco consiste nel cercare una casa in un paese straniero e sconosciuto, diverso da Cerco casa disperatamente (Real time), in cui la ricerca dell’abitazione non è un gioco ma una necessità. Nell’italiano Okkupati (Rai3) prevale lo scopo di servizio, cosí come ne Il contratto - Gente di talento (La7, 2011), un docureality che mette in palio un posto di lavoro a puntata, mentre nell’argentino Human resources (Canale 13) il gioco la fa da padrone. Due persone disoccupate che sono in cerca di lavoro nello show prima raccontano le loro storie e rispondono a domande relative al lavoro al quale aspirano. Poi si sottopongono alla prova pratica: un giorno di lavoro non retribuito. Sono gli spettatori a scegliere il migliore, che alla fine dello show ottiene il contratto. Nel campo delle relazioni, nell’americano Wanted prevalgono l’istinto della ricerca e della giustizia, nella tradizione del west e nel mito della frontiera. Anno dopo anno, tra mille polemiche, il programma ha assicurato alla giustizia decine di latitanti. In Chi l’ha visto? la dominante è l’esile speranza di ricomporre un gruppo di famiglia che non sopporta il vuoto di una tessera mancante. Anche l’inglese Factual cerca persone scomparse, ma affida la ricerca a una squadra di ricercatori esperti. Prevale il poliziesco con incursioni nel paranormale. Al terzo caso, cercare qualcosa che non hai immaginato, appartiene Find a fortune, un emotainment di prima serata che ha grande successo in Gran Bretagna. È un Chi l’ha visto? della fortuna inaspettata, che va alla ricerca di un tesoro che aspetta il suo legittimo proprietario. Gli inviati del programma, con la complicità dei telespettatori, trovano premi assicurativi, tesori sepolti, eredità mai riscosse. Poi raggiungono gli ignari beneficiari e trasmettono in diretta l’emozione del loro improvviso benessere.

— Consigliare Manuali di istruzioni per l’uso della vita, dalla ricerca della seconda casa all’educazione dei figli, come in S.O.S. Tata (La7). — Scegliere In un mondo di incerti la televisione si propone di semplificare le scelte dell’essere e dell’apparire. È la logica del dating. Divertente e provocatorio, vagamente incredibile. La tv preseleziona nel mare del possibile una rosa di incontri e il compito del protagonista si traduce semplicemente nel «saper scegliere» in un mondo di occasioni ridotte e semplificate. Magari lasciando aperta la possibilità di dirsi che in fondo è solo un gioco... " Quando sceglie il protagonista, Uomini e Donne, ma anche Street meet, un reality d’appuntamenti che si svolge lungo le strade, dove i protagonisti devono riconoscere al volo la persona giusta. Love in the fast lane: un ragazzo sceglie rapidamente la sua preferita tra dieci ragazze. Un gruppo di celebrità scommette sui gusti di lui e di lei. Se le previsioni sono esatte la coppia può vincere un viaggio e un premio in denaro. The box of love è un classico gioco di scelte che si svolge con l’aiuto della chat dove le anime gemelle si trovano nel tempo di una trasmissione o nella settimana che divide una puntata dall’altra. Nel londinese Perfect match scopo dei single è trovare la propria metà attraverso domande e test di «corrispondenza perfetta» con tanto di reality finale sulla coppia vincitrice assoluta, partita per un’isola deserta. In Dating hell, che si autodefinisce un «dating game bollente», due misteriosi single (un uomo e una donna) scelgono tra altri cinquanta che vivono la loro stessa condizione. Quando la rosa di «candidati a una sto-


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ria» si riduce a cinque le prove si fanno particolarmente provocatorie e divertenti. In Come sposare un miliardario cinquanta selezionatissime ragazze accettano di sposare al buio un misterioso miliardario. Attraverso una serie di selezioni ne rimangono cinque, che trascorrono una settimana di vacanza nella villa in Costa Azzurra dell’uomo dei loro sogni. Una sola riuscirà naturalmente nell’intento: il finale è scandito da una vera e propria promessa di matrimonio, con tanto di scambio degli anelli e bacio finale. Non si sceglie solo il partner, naturalmente. Anche la baby sitter per i propri figli oppure sono i figli stessi a selezionare il nuovo genitore, come nel provocatorio Sleepless in south London. I piccoli di single o di divorziati cercano un partner per la propria mamma e papà, passando un intero pomeriggio con loro, visitando la loro casa e frugando nel frigorifero di casa, cercando indizi rivelatori oltre la maschera che i candidati indossano davanti a loro. Che cosa li conquista? In Hot property è in gioco la scelta dell’abitazione. Tre appartamenti a puntata e una sola preferenza finale. I proprietari magnificano i loro appartamenti in vendita, magari smentiti dagli esperti che arrivano a sorpresa per mettere in luce limiti, falle e aspetti negativi. In Deals on wheels (Endemol Uk) persone vere con soldi veri comprano macchine vere. Il pubblico assiste alla tensione della scelta, nella quale spesso il protagonista investe tutti i suoi risparmi. " Quando sceglie la tv. L’inverso dello scegliere è essere scelti. Decide la tv, magari tramite una giuria di esperti. Oppure il pubblico, attraverso la tv. Che lancia sempre nuove sfide, mosse da un unico, possibile imperativo: «dimostrami chi sei!». Non solo cantanti, ballerini e astri nascenti dello spettacolo, ma anche falegnami, artigiani, barman che si sfidano all’ultimo cocktail (Cocktail challenge); self

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made man e uomini d’affari che – in The money game – forniti di diecimila dollari, passaporto, patente di guida, vestiti e qualche rigida regola puntano ad accumulare in tre giorni la maggior fortuna possibile. Si comincia dalla piú bella della nazione e si arriva a un futuro astronauta (Destination Mir); dalla prossima top model del Paese (Italia’s next top model e America’s next top model), al personaggio piú famoso di tutti i tempi (Il piú grande, Rai 2). Lungo il percorso si incontrano le nuove proposte per il Festival internazionale della canzone, o la possibilità di formare una squadra assolutamente vincente: un gruppo rock (Pop Idol) o un gruppo di audaci spogliarellisti alla Monty Pyton. In grado di fare il goal nella vita (nel sociale, come Solidarity) o per raccontare i goal che non hanno una storia (Footbal team) o per rendere meno duri i tempi per i troppo buoni (Super Robert). Nel gioco degli estremi troviamo la scelta del miglior carcerato degli Stati Uniti e del futuro presidente degli Stati Uniti, da cui dipendono i destini del mondo: American candidate, del 2004, il cui obiettivo era trovare un giovane Lincoln, l’uomo politico nascosto nell’uomo della strada, «strappandolo all’anonimato e offrendogli una chance di grandezza». Non importava la sua provenienza, l’importante era che sapesse entusiasmare le folle. E quando tutte le possibili selezioni sono state esplorate basta spostare la punteggiatura un po’ prima e decidere che l’oggetto della ricerca non è chi è già arrivato alla perfezione del suo ruolo ma potrebbe raggiungerla. «Vederli diventare» è lo slogan di quei programmi nei quali si sceglie una potenzialità. Tutte le idee in cui si attraversa il retroscena per arrivare alla scena. Dove la vittoria è rimanere in corsa per la vittoria. Non solo nel mondo dello spettacolo. Nel format inglese Spy master dodici persone vengono seguite dalle telecamere mentre frequentano un corso di spionaggio che


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dura dieci giorni. Cominciano in molti, dopo due giorni rimangono in dodici, pochi arrivano alla fine.

Le idee di secondo e terzo grado. Come costruirle Combinare idee è il metodo principale al quale si dedicano quotidianamente i laboratori di idee televisive. È – sul piano della libertà creativa – qualcosa di simile all’opificio di letteratura potenziale immaginato e realizzato da Georges Perec. Un luogo virtuale di creazioni, ricreazione, ricreazioni. Molti dei programmi di ieri sono nati in un tempo nel quale i programmi non avevano ancora un passato con il quale confrontarsi. Per questo – parafrasando quello che Barjavel disse a proposito del cinema – a volte sono troppo fragili per sopportare gli sguardi del presente. Occorre un lavoro paziente, per risvegliarli. Un procedimento creativo e insieme artigianale e industriale, direi quasi scientifico, fatto di continue proiezioni in avanti (nelle aspettative del pubblico piú in là) e di ritorni all’indietro. Incontrandosi e scontrandosi tra loro le idee diventano altro. Qualche volta diventano «nuove».

Antiprogrammi

Comprendono le parodie, come Mai dire banzai e Mai dire tv, il francese Drole de tv (Telerentola, La7, 2001), Mai dire domenica. Nascono in simbiosi con l’idea portante, della quale sono in qualche modo complementari ma senza autonomia come Mai dire Grande fratello, dallo spirito irriverente. Altre volte sono idee che nascono identificando l’essenza di un programma già esistente e rovesciandola, staccandosi da essa. La grande notte di Raidue riprende dichiaratamente il modello del Gran premio internazionale della televisione, intro-

ducendo nuove categorie e cambiandone radicalmente il tono: dall’enfasi celebrativa all’ironia graffiante. — Epiloghi In letteratura l’epilogo riprende la vita dei protagonisti in un tempo successivo per offrire al lettore uno spaccato della loro vita quando finisce il racconto. Gli spot televisivi, i telefilm e molte pubblicità radiofoniche utilizzano regolarmente questo espediente narrativo. Rispetto alle idee, l’epilogo non è semplicemente un’appendice, ma un nuovo programma che si sviluppa a partire dalla fine di un altro. L’esempio piú semplice è la continuazione interna allo stesso testo: Stranamore…e poi, ad esempio, che riprende le vite dei suoi stessi protagonisti e le aggiorna in un tempo successivo. Altre forme di epilogo sono extratestuali e non denunciano neppure la loro origine iniziale. L’esempio piú interessante (potremmo definirla una successione di epiloghi successivi) è l’inglese Sette volte ogni sette anni (Channel 4, diretto da Michael Apted) che racconta la vita di sette persone comuni raccontate a intervalli regolari, appunto ogni sette anni. — Espansione Può riguardare il tempo, lo spazio, l’ambito. Dilata un’idea fino a trasformarla in altro. — Estensione Piú che sull’idea lavora sul brand, sul marchio vincente che si allarga fino a comprendere nuove proposte, unite da alcuni elementi interni o esterni alla formula. Immaginatela come la crescita di una città che, espandendosi, ingloba frazioni e comuni che prima non appartenevano al suo tessuto urbano. Telecamere salute, Uno mattina salute (che ingloba il vecchio marchio di Check up) sono esempi di estensione. Un esempio straniero viene da Pet


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rescue, una docusoap dalla quale si sono sviluppati – sempre su Channel 4 – Pet rescuers, che raccoglie storie eccezionali di animali e lo speciale itinerante The Pet rescue road show. — Ipermediazioni Considero ipermediazioni le idee che provengono da un altro medium o da un testo che appartiene a un linguaggio contiguo a quello televisivo. Dallo spot per British airways realizzato da Hug Hudson, il regista di Momenti di gloria è nata l’idea di The human painting. L’idea è quella di umanizzare le tessere del dòmino e di realizzare una gara evento tra squadre nazionali impegnate a riprodurre immensi quadri viventi.

Innesti, trapianti

— Motivazione Come nel gioco degli scacchi, la motivazione è una «mossa a scoprire», perché sposta un pezzo per aprire il gioco a un altro che fino a quel momento è rimasto coperto o bloccato. Rispetto alle idee, si tratta di rintracciare in una preesistente un elemento cardine che in qualche modo è appannato o oscurato da altre linee di forza, valorizzandolo e facendone il nucleo centrale della nuova proposta. — Pastiches e autopastiches Nel promo della stagione 2002/2003 di Fatti vostri un megafono conserva la voce di Michele Guardí, come fa la conchiglia con il suono del mare. Un’idea che voleva ribadire l’elemento vero di continuità in una trasmissione che si presentava con un cast completamente rinnovato e una serie di novità strutturali. Il cambiamento interno a un’idea confermata, ottenuto accentuando i propri tratti caratteristici fino a produrre cambiamenti anche notevoli si definisce autopastiches. Quando parte da un’idea altrui e la rielabora fino a staccar-

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sene completamente diventa semplicemente pastiches. — Riattivazione Nelle pagine precedenti ho parlato di risvegli. La «riattivazione» ne è un aspetto preciso. Basta leggere i libri sui quiz classici d’oltreoceano per ritrovare i meccanismi di Chi vuol essere milionario?, cosmico successo di fine millennio dell’inglese Celador. La riattivazione gli ha dato però una modernità che lo ha reso «nuovo» e autonomo. — Riattualizzazione «Riattualizzare» un testo è un’operazione profondamente diversa dal riprodurlo o replicarlo. Riattualizzare un programma comporta la reinvenzione del suo senso profondo e passa attraverso i processi di motivazione e valorizzazione. — Rimediazioni «Cluedo: dal meccanismo del famoso gioco da tavolo è nato Il delitto è servito (Canale5 1992-93). In ogni puntata sei personaggi accusati di un drammatico omicidio venivano interrogati dal pubblico in studio, che doveva identificare l’assassino». Oltre al classico poliziesco (che vanta numerose varianti, tra cui lo svizzero Sergio Colmes indaga, che dà piú spazio alla ricostruzione teatrale) rientrano nelle rimediazioni molti classici giochi di società, ai quali i programmi televisivi si rivolgono con metodo, incontrando successi scontati e qualche insormontabile difficoltà. I piú «facili» sono i giochi di memoria (Memory, Simon, dove si accoppiano carte uguali grazie a una forte memoria visiva o si compongono sequenze musicali, secondo una altrettanto pronta memoria acustica). Le carte del Monopoli (imprevisti e probabilità) sono le mosse piú utilizzate dal mondo come giocatore ma il Monopoli continua a non trovare un convin-


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cente adattamento televisivo (la casa produttrice offre una grossa cifra a chi trova un’ipotesi realmente convincente). Ispirato invece ai classici giochi di percorso è il talk show con venature di game Il gioco del Mondo che ho scritto con Maurizio Canetta per Rsi. Da un’intuizione del direttore Dino Balestra. Piú semplici si sono rivelate le rimediazioni televisive di Indovina chi?, vero e proprio gioco degli identikit come il fortunato Soliti ignoti identità nascoste e del piú «mosso» tra i giochi di animazione-creatività: Pictionnarry, dove con lavagnette hi-tech uno dei due concorrenti deve intuire nel piú breve tempo possibile quale parola-titoloconcetto l’altro gli sta indicando attraverso un disegno. Tra i piú originali quelli ispirati ai giochi di associazione. Dal gioco di Kevin Bacon e prima ancora da una teoria sociopsicologica particolarmente fortunata nasce l’americano Sei gradi di separazione (versione italiana Il mondo è piccolo, Rai1, prodotto da Einstein Multimedia, una sola puntata sperimentale condotta da Carlo Conti nell’estate 2000). — Rovesciamenti di ruolo o di prospettiva Quando sembra che non ci siano piú margini di innovazione in una direzione, non resta che rovesciare la prospettiva. È la tecnica del giocoliere. Quando è impossibile gestire un numero superiore di oggetti in aria l’idea diventa farli cadere per terra e lavorare sulla spettacolarità dei rimbalzi. Andrew Niccol, lo sceneggiatore di The Truman show, ha definito il suo film successivo, Simone, un Truman capovolto. Un esempio di rovesciamento televisivo è l’uso della camera a raggi nel fortunato programma inglese In the dark: i protagonisti devono condire un piatto di spaghetti, rifarsi il makeup o infilarsi il pigiama nel buio assoluto. La televisione non ha (piú) bisogno di nascondersi per vede-

re quello che i protagonisti non vedono. Italiani nel mondo (Canale 5, 1998) rovescia il meccanismo di Carràmba, che sorpresa! È il conduttore a raggiungere una persona lontana per portarle una valigia inviatale da qualcuno al quale ha voluto bene. In National lookalike talent competition persone scelte tra il pubblico imitano le star piú famose e una giuria di spettatori le vota. Dov’è il rovesciamento? Nel fatto che sono (stati) i vip autentici a esibirsi!, ma lo hanno fatto in modo tale da ingannare il pubblico. Con errori e finte incertezze. Tra bluff e ironia, può essere il peggior imitatore di se stesso a vincere. — Spin off È un frammento di programma che si sviluppa a partire da un originale, acquisendo una propria totale autonomia. A volte il programma derivato porta lo stesso titolo di quello di partenza, altre il distacco è totale e viene rimarcato dalla scelta di un titolo diverso, recidendo ogni legame visibile con la sua origine. Sono esempi di spin off i molti programmi derivati da Portobello, il gioco del Sí o no ideato da Corrado in un gioco del day time. — Successioni indirette Lo slittamento progressivo della linea centrale di un programma (!! La linea centrale) apre immediatamente uno spazio nel quale si può inserire una idea successiva, che ne riprende parzialmente i motivi dominanti e occupa il territorio rimasto libero. È un fenomeno di persistenza indiretta, o di successione non ufficiale (mentre lo spostamento dell’altro appartiene alla sfera dei cambiamenti non sostanziali). L’evoluzione di Al posto tuo, per esempio, che tendeva sempre piú alla soapizzazione, ha liberato il terreno (virtuale) per un talk che ne ha ripreso in modo visibile la formula originaria: Fai la cosa giusta! (La7, 2002).


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— Valorizzazione La valorizzazione si può definire una trasformazione di tipo qualitativo. Parte dalla stessa analisi che segnala il processo di motivazione, alla quale aggiunge un possibile elemento migliorativo, suggerito dall’evoluzione degli scenari o dall’innesto di una micro idea innovativa. La valorizzazione si traduce in differenti operazioni: spostamento del fulcro, aumento dell’importanza della posta in gioco o della mission da compiere, trasformazione o sostituzione del ruolo o dei tratti dei protagonisti, spostamento delle posizioni gerarchiche dei personaggi che fanno parte della drammaturgia.

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Una delle operazioni vincenti di Chi vuol essere milionario? è stata proprio l’ampliamento (valorizzazione) della fase di risoluzione della domanda rispetto alla soluzione (procedimento che non diminuisce l’importanza della risposta, anzi la esalta). Un esempio di valorizzazione nei nuovi reality è l’insistenza sulla preparazione dell’eroe all’impresa: valorizzare l’addestramento significa portarlo (e con lui portare lo spettatore) al raggiungimento di una temperatura emotiva che lo porta allo stato di quasi fusione tra loro. È quello che accade nei casting spettacolarizzati, (Veline, Lady Burlesque - Le selezioni, su Sky Uno) di cui parleremo piú avanti.


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Esercizi Prove tecniche di trasmissione

Cerca un’idea di programma in questo spunto: Nel racconto Diritto di voto, di Isaac Asimov si parla di un sistema elettorale molto particolare. Il voto di un solo cittadino decide per tutti. Non proprio un voto, ma un verdetto emesso attraverso l’interpretazione di domande indirette e non immediatamente interpretabili, poste da macchine in grado di tradurre reazioni e comportamenti spontanei. Il 4 novembre 2008 Norman Muller vota per tutti gli americani. Non è il piú intelligente, né il piú forte o il piú fortunato ma è stato scelto perché è il piú rappresentativo. Il grande cervello elettronico, Multivac, sa molte cose dell’elettorato statunitense e si è già fatto un’idea sulle scelte possibili, ma attraverso l’unico votante mette a fuoco le ultime certezze. Domande indirette e non interpretabili rivelano gli atteggiamenti imponderabili della mente umana, andando oltre le parole: ma dal modo in cui reagiranno il suo cervello, il cuore, i suoi ormoni e le sue ghiandole sudorifere, Multivac potrà giudicare esattamente quanto è intenso il suo pensiero al riguardo. E potrà capire i suoi sentimenti meglio di quanto non potrebbe farlo lui stesso. Poi emette il verdetto di quelle che saranno ricordate come le Elezioni Muller. Frasi letterarie Cerca un’idea in queste frasi tratte da film o romanzi:

«Strana la vita… quando uno è piccolo, il tempo non passa mai, poi, da un giorno all’altro, ti ritrovi a cinquant’anni… e tutto ciò che rimane dell’infanzia sta in una piccola scatola arrugginita…» (Il favoloso mondo di Amélie, film, 2002) «1645. Un amore finisce. Ma poiché un amore non è mai dentro una storia, non può mai finire.» Lorenzo Marini, L’uomo dei tulipani «Raccontala camminando, la tua vita.» Jonathan Lethem, Testadipazzo «Viene il giorno che la vita si scolla. Uno diventa famoso e l’altro muore di freddo nella notte.» Aldo Nove, Woobinda e altre storie senza lieto fine Film Prendiamo spunto da un film meno noto: Se fossi in te, di Giulio Manfredonia, prodotto da Cattleya cinematografica. Tre uomini si incontrano per caso in una notte estiva in riva al mare e con una sostituzione incrociata ognuno di loro entra nella vita di un altro. Anche le loro compagne sono coinvolte nello scambio di identità. Come svilupperesti un’idea di programma partendo da questo plot?


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Notizie Trasforma in una formula/meccanismo di programma (attenzione: non reportagedocumentario) questa notizia: – Il paese delle figurine C’è un paese dell’Emilia in cui tutti gli abitanti sono diventati figurine. Ogni immagine ha una sua didascalia e l’intera collezione costituisce un vero e proprio album, come quelli dei calciatori o delle bellezze della natura o dei cartoons piú famosi. – Il tesoro scambiabile Si chiama www.geocaching.com il sito piú particolare del web che unisce le nuove tecnologie alle antiche avventure sullo stile di Indiana Jones. Una vera e propria caccia al tesoro virtuale che porterà ad avere tra le mani sorprese reali. Attraverso il sito, infatti, si possono leggere le istruzioni per partecipare. È necessario, innanzitutto, avere un apparecchio gps per localizzare esattamente il luogo in cui è stato nascosto l’oggetto. Un’altra regola fondamentale è che ogni volta che si preleva un tesoro, lo scopritore è tenuto a lasciarne uno a sua volta in modo tale che si crei una catena e nessuno dei nuovi esploratori rimanga scontento. Sul sito, divise per paesi, ci sono delle schede con brevi suggerimenti scritti per aiutare i cercatori da chi ha lasciato i tesori. In Italia, si possono cercare oggetti misteriosi sul Vesuvio o nei pressi dei fori romani. Ogni volta che si sceglie un

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luogo dal grande database del sito, si visualizzerà una scheda con tutte le informazioni necessarie, inclusa la lista degli oggetti che fanno parte del sito. Le regole sono ferree: si può prendere una scatola ma si deve sempre lasciare qualcosa: all’interno ci deve essere sempre un registro dove ognuno lascia la propria testimonianza; il nascondiglio non deve essere posizionato in luoghi tutelati, riserve naturali o aree considerate beni culturali. Costruzioni – Combina tra loro due programmi appartenenti allo stesso genere fino a ottenere una nuova formula. – Combina tra loro due o piú programmi appartenenti a generi diversi per ottenere un nuovo meccanismo. – Cambia la punteggiatura. Prendi in esame alcuni programmi di intrattenimento (games, quiz, reality) e prova a vedere se e come puoi ottenere programmi completamente nuovi cambiando semplicemente la punteggiatura. – Sottrazioni. Costruisci un’idea di programma, partendo dalla sottrazione di un elemento strutturale. – Costruisci un’idea di programma sottraendo a uno dei protagonisti (conduttori, partecipanti, pubblico uno o piú elementi: competenza, informazione, meta, particolari…).


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