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Narratori Francesi Contemporanei

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Philippe Vilain

Non il suo tipo romanzo

Traduzione dal francese di Giulia Castorani

GREMESE


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Titolo originale: Pas son genre Copyright © Editions Grasset & Fasquelle, 2011 Copertina: Giulia Arimattei Stampa: Tipografica Artigiana s.r.l. – Roma Copyright edizione italiana: GREMESE 2012 © New Books s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-708-5


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A Pauline


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«Notevole è lo stato di chi non sente la tentazione di ciò che non fa; non lo stato di chi è tentato e rinuncia. In termini realistici, il primo è la pace, il secondo è lo strazio. Checché ne dicano gli eroici. Soffrire è una sciocchezza». CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere


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n amore, mi capita di pensare che non ho mai vissuto nulla, che forse mi sono lasciato sfuggire le cose essenziali e che, anche se ho conosciuto delle donne e le ho amate, non mi sono mai risolto a impegnarmi, sposarmi, creare una famiglia; senza dubbio per pigrizia, per la voglia di non sconvolgermi la vita o di preservare la mia indipendenza; che so, per indecisione, perché sento che impegnarmi non mi darebbe poi più soddisfazione del non impegnarmi; e niente mi sembra più assurdo di dover scegliere fra un’insoddisfazione e un’altra. È una constatazione, non un rimorso. Non saprei dire, infatti, se l’indecisione di cui ho sofferto, che mi ha causato tanti imbarazzi, mi abbia più nuociuto o giovato; e se non sia stata proprio questa vacuità che, facendomi apprezzare ogni tipo di donna, alla fine mi ha portato a non legarmi a nessuna. Forse, mi ha impedito di condividere sentimenti duraturi, ma mi ha fatto conoscere la passione; mi ha dispensato dalle unioni per interesse a cui si prestano alcuni uomini del mio ambiente; sicuramente ha fatto di me un essere solitario, ma mi ha permesso di sfuggire al conformismo bor9


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ghese, ai suoi pregiudizi, e in questo modo mi ha fatto capire quanto le nostre scelte, le nostre decisioni, non dipendano tanto dalla nostra determinazione quanto dagli obblighi, non abbiano a che vedere con il desiderio ma con la rinuncia; e come nella maggior parte dei casi siano gli altri, le circostanze, a scegliere per noi. La mia indecisione ha questo di singolare: riguarda solamente la sfera affettiva, il mio rapporto con le donne, l’impegno, la difficoltà di risolvermi a favore di una di loro. Ho dovuto compiere scelte importanti in altri ambiti, al momento di optare per la carriera di insegnante, ad esempio, ma queste scelte non mi sono pesate, le ho compiute tranquillamente, o almeno senza l’impressione di mettere in gioco qualcosa di cruciale, come avviene con le donne. Invidio gli uomini sicuri di aver trovato l’anima gemella, la donna della loro vita, come sono soliti dire: una scelta del genere è per me impossibile! Quando devo decidermi riguardo a una donna, ho l’impressione di infilarmi in un vicolo cieco, non penso a tutto quello che ne ricaverei, ai benefici che mi porterebbe questa scelta, bensì a tutto ciò di cui mi priverebbe, a quanto perderei in termini di vantaggi, indipendenza, libertà e anche di possibilità di sognare, perché l’indeciso non vuole rinunciare a nulla, e sicuramente non ai suoi sogni. 10


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Scrivendo, mi rendo perfettamente conto di quanto la mia indecisione nasca da una determinazione più alta, dal mio idealismo, da una visione perfezionistica dell’amore, che mi impone di cercare nella realtà una donna che corrisponda al mio modello. La mia rappresentazione ideale della donna che dovrebbe fare al caso mio è talmente precisa, ho un’immagine talmente chiara di come questa donna dovrebbe essere, e sono talmente determinato a ottenerla, che finisco sempre per trovare nelle donne con cui esco tante imperfezioni o, almeno, tante quante bastano a evitare di impegnarmi con loro. In un certo senso, la mia indecisione è la vendetta della realtà sui miei sogni, sull’ingenua convinzione che il mio ideale femminile esista davvero su questa terra, e che le probabilità che io lo incontri sono tante quante quelle che non lo incontri. La perversità di questa convinzione, oppure diciamo il suo lato ludico, è che facendomi paragonare le donne a questo ideale finisce per indifferenziarle tutte ai miei occhi, rafforzando la mia indecisione: non scegliere è scegliere di sognare. La mia indecisione non è tanto l’irresolutezza del vile quanto la risolutezza del sognatore. Mi diverte pensare all’imbarazzo in cui mi troverei se, nel migliore dei mondi possibili, mi trovassi circondato da donne che corrispondessero, ognuna per un motivo diverso, alla mia immagi11


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ne di donna ideale, e se dovessi scegliere fra una di loro. Almeno allora, sarei in grado di scegliere? L’ipotesi di questa situazione, tanto straordinaria quanto assurda, d’altronde non risolverebbe il mio dilemma, semplicemente lo sposterebbe. Infatti, supponiamo che fossi costretto a scegliere una sola di queste donne (alle quali io piacerei senza riserve), non mi troverei anche lì di fronte allo stesso dubbio incontrato al momento di dovermi decidere a favore di una donna qualsiasi, dato che anche allora non avrei né più né meno ragioni di preferire una donna a un’altra? Neanche fra queste donne ideali ci sarebbero differenze, e per fare la mia scelta dovrei comunque scommettere su una di loro, puntare sulla valutazione di vantaggi, interessi e affinità che potrei avere con lei o con un’altra; ma anche ammettendo che questa valutazione fosse a sua volta equivalente, e che io potessi andare altrettanto d’accordo con tutte queste donne, avere le stesse affinità e ottenere gli stessi vantaggi presso di loro, allora sceglierne una mi farebbe rimpiangere di non averne scelta un’altra e, soprattutto, non mi renderebbe felice, poiché la possibilità di esserlo con una verrebbe immediatamente annullata dal pensiero che avrei potuto esserlo altrettanto, se non di più, con un’altra. È per questo che la mia indecisione non è solo il risultato di un conflitto fra la realtà e l’ideale, e non 12


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deriva né dalle donne stesse né, per quanto posso giudicare, da un’incapacità psichica, o da non so quale patologia dell’agire, bensì da una precedente scelta di non scegliere, che mi fa concepire qualsiasi opzione come un ostacolo alla mia libertà, alla mia felicità, e la decisione come un’oscillazione irreversibile verso la reclusione. Mi manca quella sicurezza di gusti necessaria per elaborare criteri su cui fondare il mio giudizio e mantenerlo nel tempo, criteri che mi permetterebbero di affermare la mia preferenza; oltretutto, non amando mai le stesse donne, come non dubitare che la mia scelta possa limitarsi a un solo tipo, a una sola donna, e che questa donna non possa, in fin dei conti, finire per piacermi, un giorno? Per spiegare il meccanismo della mia indecisione, il modo in cui le donne si equivalgono tutte ai miei occhi, mi viene naturale utilizzare l’immagine del crocevia: quando devo decidere, mi trovo come all’intersezione – al punto A – di quattro strade, W, X, Y e Z, che conducono a destinazioni altrettanto attraenti. In questa configurazione, posso scegliere di inoltrarmi per la strada W come per la strada X, Y o Z, sapendo che, una volta che mi sarò avventurato, sarà difficile tornare indietro, se dovessi pensare di essermi sbagliato, e che la scelta di una destinazione segnerà un momento di non ritorno. Il mio dilemma, o la mia fortuna, chissà, è 13


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che queste destinazioni si equivalgono tutte ai miei occhi, e non trovo più ragioni di andare per W piuttosto che per X, per X piuttosto che per Y, per Y piuttosto che per Z, se vi troverò un piacere identico. Quindi non mi incammino per nessuna di queste strade e scelgo l’immobilità del mio punto A per continuare a sognare le mie quattro destinazioni possibili. Se non fossi tanto sognatore, forse mi deciderei per una di queste strade senza pormi domande, sicuro di volermi inoltrare per una destinazione concreta, mentre l’indecisione, lei, mi porta altrove, verso il sogno, vale a dire da nessuna parte. Ma i sogni di alcuni sono spesso gli incubi di altri, se si realizzano a loro scapito; e sono consapevole sia delle conseguenze infelici che le mie esitazioni hanno portato nella vita di alcune donne, sia della crudeltà che mi ha portato a impegnarmi nei loro confronti senza sentirmi realmente coinvolto e dando loro false speranze, sia dell’ironia che me le ha fatte ferire per timore di ferirle, deluse dal tentativo di far loro piacere. Una donna è caduta in depressione perché io non mi decidevo; un’altra ha finito per tradirmi; un’altra ancora, che avevo messo incinta, ha abortito per non mettere al mondo un orfano. Per aggravare il mio caso, devo dire che queste esperienze non hanno affatto corretto la mia indecisione, che ancora non riesco a considerare 14


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un difetto, una debolezza, una mancanza di carattere. Per me l’indecisione continua a essere una qualità, addirittura il segno di una flessibilità di carattere, di una certa raffinatezza di spirito, l’opera della lucidità che mi fa intravedere immediatamente le molteplici possibilità di un problema, i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti; non mi sembra neanche l’assenza di volontà di colui che non sa cosa vuole, bensì mi appare come la coscienza stessa di questa volontà; una coscienza troppo risoluta per scegliere, nell’urgenza, una cosa qualsiasi in un modo qualsiasi, e che sa fin dall’inizio che tutte le sue scelte saranno vane, destinate all’insoddisfazione. La mia indecisione è proprio colpa di una determinazione troppo forte. Se vogliamo, sono in un certo senso risoluto all’irresoluto, determinato all’indeterminato. Forse, dopo tutto, la mia indecisione è solo un’astuzia della noia, un modo per distrarmi. A volte mi sembra di essere indeciso perché mi annoio, perché bisogna pur tenere occupata la mente; altrimenti, se non mi annoiassi, non avrei di che decidere, e probabilmente la vita sarebbe più noiosa. È possibile che l’indecisione non mi renda felice quanto immagino, che mi dia solamente l’illusione di esserlo, di avere la libertà di esserlo, ma almeno dà un senso alla mia esistenza, il che non è poco. Con il tempo, è diventata una posizione morale, filosofica, che mi 15


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permette di meditare sulla mia esistenza e di rimettermi agli eventi; e non è affatto fatalismo, poiché non ritengo che gli eventi siano predeterminati dal destino; quel che mi impedisce di decidere non è infatti la certezza che ciò che accade debba accadere, e che io non possa far nulla per oppormi agli eventi; al contrario, è la certezza che, almeno in amore, ci accade realmente solo ciò che non decidiamo, ma che, tuttavia, decide per noi. In amore, per usare un’ultima immagine, l’indecisione mi rende simile a un galleggiante trascinato dalla corrente: mi lascio andare alla deriva, in attesa che il pescatore mi riporti a sé o che un pesce, dall’altra parte della lenza, mi trascini in profondità. Forse non scelgo, in modo da lasciarmi scegliere; non decido nulla, affinché una donna decida per me; per essere deciso da una donna, una qualsiasi, per lasciarmi imbarcare nella sua esistenza, nella sua storia, e fuggire dalla mia, di esistenza, di storia; sì, forse non decido nulla affinché mi accada qualcosa, una storia che si svilupperebbe senza la mia partecipazione, un’esistenza che si svolgerebbe senza di me.

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