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Indice Prefazione di Carlo Verdone
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Carolina Crescentini
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Maria Grazia Cucinotta
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Premessa dell’Autore
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Pianti e fughe
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Jane Alexander
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Christian De Sica
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Claudio Amendola
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Giuliana De Sio
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Ambra Angiolini
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Gianni Di Gregorio
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Luca Argentero
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Anna Falchi
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Serena Autieri
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Saliva zero
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Lino Banfi
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Pierfrancesco Favino
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Jonis Bascir
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Christiane Filangieri
69
Maurizio Battista
25
Camilla Filippi
70
Monica Bellucci
26
Lorenzo Flaherty
72
Fabrizio Bentivoglio
29
Anna Foglietta
72
Marco Bocci
30
Alessandro Gassman
74
Attori giĂ da piccoli
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Il cinema che mi piace vedere
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Massimo Boldi
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Giuliano Gemma
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Anna Bonaiuto
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Massimo Ghini
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Barbara Bouchet
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Serena Grandi
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Baci mancati
37
Nicole Grimaudo
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Raoul Bova
38
Gloria Guida
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Nancy Brilli
40
Leo Gullotta
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Massimiliano Bruno
42
Caterina Guzzanti
87
Cristiana Capotondi
43
Vanessa Hessler
88
Kaspar Capparoni
44
Gianfelice Imparato
88
Antonio Catania
46
Francesca Inaudi
90
Laura Chiatti
48
Antonia Liskova
92
Gabriele Cirilli
49
Teresa Mannino
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Giorgio Colangeli
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Vinicio Marchioni
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Marco Columbro
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Ivano Marescotti
96 Indice
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Valerio Mastandrea
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Elena Sofia Ricci
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Alessandra Mastronardi
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Katia Ricciarelli
142
Maurizio Mattioli
99
Giacomo Rizzo
143
Ricky Memphis
101
Alba Rohrwacher
144
Sandra Milo
101
Alessandro Roja
145
Francesco Montanari
103
Vincenzo Salemme
147
Maria Amelia Monti
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Imprevisti del mestiere
148
Caterina Murino
105
Enzo Salvi
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Il mio primo bacio
108
Claudio Santamaria
151
Francesca Neri
110
Giulio Scarpati
153
Maurizio Nichetti
113
Monica Scattini
154
Filippo Nigro
115
Francesco Scianna
156
Andrea Osvart
116
Yvonne Sciò
157
Giorgio Panariello
118
Alessandro Siani
159
Francesco Pannofino
120
Enrico Silvestrin
160
Rocco Papaleo
120
Valeria Solarino
162
Giorgio Pasotti
122
Tullio Solenghi
163
Valentino Picone
123
Emilio Solfrizzi
164
Sbagliando s’impara
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Sebastiano Somma
167
Leonardo Pieraccioni
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Gianmarco Tognazzi
169
Veronica Pivetti
128
Jasmine Trinca
171
Michele Placido
130
Partner
172
Alessandro Preziosi
131
Carlo Verdone
174
Pino Quartullo
132
Daniela Virgilio
178
Michela Quattrociocche
134
Fabio Volo
180
Isabella Ragonese
135
Luca Ward
181
Micaela Ramazzotti
136
Checco Zalone
184
Francesca Rettondini
137
Se tornassi indietro
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Indice analitico
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Indice
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Prefazione di Carlo Verdone (il regista che ha battezzato tutte le attrici del cinema italiano)
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a “prima volta” su un set è sempre stata e sarà sempre, per un attore, un’emozione indelebile. La paura di non essere all’altezza, il terrore di non soddisfare pienamente il regista, la distrazione nell’avere davanti a te tante persone che ti fissano in silenzio, l’ossessione di non ricordarti le battute, il pensiero che dovrai lasciare assolutamente un buon ricordo per poter continuare a lavorare, sono patemi d’animo che tutti, anche i più grandi, hanno dovuto sopportare nel loro esordio. Chi non soffre queste incertezze del debutto non sarà mai un buon attore. L’ansia è qualcosa di umano e spesso appartiene, se non diventa parossistica, a chi ha “sensibilità”. E “il sensibile”, avendo una marcia in più, è destinato a soffrire. Sì, questo lavoro è fatto di grande sofferenza e mille turbamenti. Ma è più che comprensibile in chi (e questo ce lo dimentichiamo sempre) deve abbandonare la propria anima per entrare in un’altra. È uno sforzo di concentrazione e di “spersonalizzazione lucida” terribile. Infatti la grandezza dei veri attori è riposta in un grande talento che sa raccontare tante anime diverse. Un buon attore è quindi un eccellente psicologo. Non basta avere “la faccia”, “il volto cinematografico”. A questo dovrà corrispondere un adattamento psicologico al ruolo veramente speciale e profondo. Molti ragazzi oggi si illudono che questa professione sia alla portata di tutti. Ma non è così. Se ragionano con tanta leggerezza è perché hanno visto diventare famosi i protagonisti di qualche reality o perché vedono altri avere opportunità grazie ad “interessamenti” o “spinte”. Il guaio di tutto ciò è che molti tentano questa strada senza grande preparazione o senza che qualcuno, autorevole, abbia detto loro, onestamente, che non c’è talento. Purtroppo il mondo dello spettacolo è pieno di cattivi consiglieri. E spesso ci si circonda di adulatori interessati. Non possiamo affatto generalizzare perché non tutti si comportano allo stesso modo. Ma per molti ragazzi raggiungere la “visibilità” è già un grande obiettivo. E questo è un madornale errore, nonché un sintomo di scarsa intelligenza. Dobbiamo dare la colpa, in gran parte, alla televisione che ha reso e rende tutti famosi per un giorno o per una stagione. Ma è una fama scritta sull’acqua. Perché la televisione, per sua natura, cerca nevroticamente il ricambio immediato. Avrai tutte le copertine che vuoi Prefazione di Carlo Verdone
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per diverse settimane, poi un altro o un’altra dovranno assolutamente prendere il tuo posto. E l’illusione svanisce di colpo. Parlando di cinema, non può che farmi piacere essere considerato un regista serio che cura molto i suoi attori. È una questione di rispetto e di responsabilità. Dico “responsabilità” perché molte volte ho scelto attori e attrici alla loro prima esperienza e questo comporta in me un grande senso di protezione. Se non li dirigo con estrema attenzione rischio di penalizzare la loro carriera e, insieme, di penalizzare il mio film. In ogni caso, nei miei lavori, la cura per gli attori è di gran lunga superiore a quella che riservo a me stesso. Oggi vedo e incontro molti giovani attori e attrici, e devo dire che, potenzialmente, la maggior parte di loro ha una gran voglia di fare e di fare bene. Sento molta responsabilità e voglia di arrivare. Alcuni hanno un proprio piccolo talento innato che va esaltato e curato, così da permettere loro di maturare e sentirsi sempre più sicuri. Altri hanno il viso, la “faccia”, ma a questa non corrisponde nessun tipo di talento. Il problema di oggi è che pochi riescono a elaborare una propria “fisionomia”, una propria personalità assolutamente esclusiva. Ma prima o poi arriverà qualcuno in grado di imporre un proprio stile e un modo nuovo di far ridere. Non è facile scrivere uno sketch. Scrivere una raffica di tormentoni è più semplice ma diventa complicato dare poi un’anima al personaggio che stai interpretando. Se riesci a creare l’“anima”, darai piano piano vita a un personaggio che potrebbe avere potenzialità di più largo respiro nella commedia cinematografica. Checco Zalone a questo proposito è l’esempio di un attore di commedia che la sua fisionomia la sta cercando. Come Filippo Timi, sempre più sicuro e intenso sul versante drammatico. Altri, che sarebbero “eterni” come attori di spalla (e ce ne sarebbe tanto bisogno!) lo ritengono un ruolo ingrato e puntano subito al ruolo di protagonista o co-protagonista. Un errore tragico. La Commedia, la grande Commedia italiana ha avuto la sua forza proprio nelle figure dei “non protagonisti” che sono rimasti eterni nei nostri ricordi. Un protagonista può sparire dalla nostra memoria. Una grande “spalla” mai. È il condimento essenziale della nostra Commedia. Devo ammettere che qualche volta resto molto colpito da scelte senza senno di attori che, superate le prime prove con successo, non hanno alcun senso della propria amministrazione accettando ruoli e copioni non adatti. Alcuni, al secondo successo, assumono un atteggiamento poco umile e molto pretenzioso. Credo invece che l’umiltà e il mettersi sempre in discussione siano un’ottima palestra, come anche il rifiutare più che l’accettare. Un buon attore crescerà come interprete spesso rifiutando. Perché sia 8
Prefazione di Carlo Verdone
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chiaro che il 60% di quello che si fa nel cinema non è assolutamente di qualità ma di “quantità”. Intesa come incasso popolare. Per carità, ci vogliono anche i film semplici di commedia. Ci mancherebbe altro. E il lavoro, di questi tempi, scarseggia tra gli attori. Ma bisogna essere bravi, se si crede nel proprio talento, a non navigare troppo in quelle acque così insidiose. Che rischiano di appiccicarti un’etichetta che ti toglierai di dosso con grande fatica. Avendo avuto la fortuna di conoscere Sordi, Tognazzi, Volonté, la Vitti, la Cardinale, Mastroianni e tanti altri della passata generazione, posso dire che avevano la robustezza di una gavetta durissima e, allo stesso tempo, la possibilità di essere diretti da registi veramente grandi. Oggi mancano, come numero, i grandi registi e questo è un grosso problema per gli interpreti odierni. Alcuni mi chiedono perché le donne che io scelgo restano per sempre nelle teste degli spettatori e nei loro desideri. Perché amo profondamente “la donna” nei suoi vizi, nelle sue virtù, nella sua affidabilità e anche nella sua inaffidabilità. Nella sua fragilità e nella sua forza. La donna è un pianeta molto interessante da indagare e scoprire. Molto più di quello maschile. Ogni volta che scelgo un’attrice è perché m’innamoro del suo volto, a cui deve però corrispondere un temperamento particolare. Il cinema è fatto essenzialmente di “primi piani” ed è chiaro che quello che colpisce subito un regista è il viso. In genere procedo così: cerco di entrare in contatto con l’attrice con la quale mi piacerebbe lavorare e cerco di frequentarla al fine di comprendere bene il suo carattere nella vita. Tic, pregi e difetti... Una volta in possesso dei lati più interessanti, buffi o intriganti della sua personalità, le scrivo il ruolo non allontanandomi troppo da alcune particolarità che possiede nella vita privata. È un metodo per indirizzarla su un binario a lei, ovviamente, molto congeniale. Ma per fare questo ci vuole una buona dose di psicologia. Io credo che amiate molte delle mie attrici perché sono vulnerabili e fatali. Vere. Spesso quelle della porta accanto o della finestra di fronte. Tutto qua. Ho bei ricordi di quasi tutte le attrici che hanno lavorato con me. Ma perché ognuna era sempre l’opposto dell’altra, anche se il comune denominatore era identico: molto rispetto, perfetta sintonia e grande professionalità. Per esempio, con Claudia Gerini c’è sempre stato, fin dall’inizio, un grande feeling, uno sguardo ironico simile sulle persone e sugli atteggiamenti di certa società. Con Claudia non c’è mai l’ossessione della prova perché capisce al volo quello che io voglio e il più delle volte improvvisa lei stessa durante la ripresa atteggiamenti e frasi (se non addirittura battute) con una creatività sorprendente. Prefazione di Carlo Verdone
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Foto di gruppo per i vincitori del Nastro dʼargento 2003. Tra gli altri, si riconoscono Carlo Verdone, Gabriele e Silvio Muccino, Gabriele Salvatores, Ferzan Ozpetek, Giovanna Mezzogiorno, Gigi Proietti e Pino Insegno.
Ricordo che in Viaggi di nozze la scena di Ivano e Jessica che vogliono fare un figlio in acqua, in un’enorme piscina, dopo aver pensato ai vari nomi da dare all’eventuale bambino o bambina (Kevin, Alan, Maria), fu riscritta al volo da me e da lei in venti minuti esatti. Questo accadde perché la scena originale non doveva essere ambientata lì, ma al mare. L’arrivo di un temporale e il mare mosso non ci permisero di seguire il copione. Ci spostammo di trenta chilometri in un grande acquafan e rapidamente, per salvare la giornata, ci buttammo a scrivere la nuova scena. Il risultato fu esilarante perché le nostre idee erano molto più efficaci del copione. Durante la scena sul bordo della piscina le allungo un piede in faccia e le accarezzo le guance con le dita nere del piede, con una volgarità senza limiti. Lei non perse mai la concentrazione e non sbottò mai a ridere. Anzi ci mise del suo. Chi sbottò a ridere fu l’intera troupe. Tant’è che la scena fu doppiata. Ma noi continuavamo imperterriti a improvvisare con furore creativo! Ecco, se Claudia dava il massimo di sé nell’improvvisazione, Laura Morante aveva bisogno di provare dieci, venti volte. È il suo modo per caricarsi. Ricordo che un’azzeccata litigata notturna ne L’amore è eterno finché dura è stata il frutto di venti, trenta estenuanti e inutili prove su una 10
Prefazione di Carlo Verdone
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scena che già durava quasi quattro minuti. Ero talmente esausto che quando diedi il ciak venne fuori tutta la mia rabbia per la spossatezza di averla ripetuta un’infinità di volte. E mai fui tanto arrabbiato con lei con sorprendente verità. Il risultato però fu ottimo. È stata la litigata più vera e perfetta della mia carriera. Al contrario della Morante, ossessionata dalla perfezione (anche se è un’attrice già impeccabile al primo ciak), Asia Argento era ossessionata dall’essere vera, credibile sulla sedia a rotelle di Perdiamoci di vista. Aveva paura di interpretare una paraplegica in modo meccanico. E allora chiese di farsi portare a casa una sedia a rotelle per fare delle prove. Un giorno, mentre attraverso via Tagliamento con la moto, vedo una ragazza sulla sedia a rotelle che corre dribblando i passanti. Dentro di me dico: “Poveretta… così giovane. Ammazza, però, quanto corre…”. Guardo meglio e mi prende un colpo: era Asia, con i capelli raccolti, che faceva le prove dal vivo. «Ma che sei matta?» le urlo. E lei: «Mi serve! Soprattutto per capire come mi guarda la gente… Tutti troppo gentili e ipocriti…». Asia è sempre stata una forza della natura, completamente stravagante ma geniale nel suo coraggio. Forse l’attrice più professionista che abbia mai avuto. L’unica ad aver imparato a memoria l’intero copione un mese prima delle riprese. Mi sono trovato molto bene con tutte le attrici con le quali ho lavorato. E ognuna ha fatto perfettamente quello che le chiedevo. Penso che andando avanti con gli anni finirò prima o poi per lavorare di nuovo con la Buy. Non so come e quando ma lei è un’attrice assolutamente completa. Brava nel brillante e notevole nel drammatico. Mi ci vedo con lei ad avere a che fare con dei figli… Mi ci vedo a litigare e mi ci vedo nei nostri duetti comici. Con lei non c’è bisogno del dialetto, anche appena accennato, perché come una brava tennista ti rimanda la palla con velocità e ti impone una bella partita a due con grande eleganza. I giovani attori oggi vogliono, pretendono di essere diretti bene con idee chiare. Anche quelli più maturi attendono sempre delle direttive intelligenti che li possano esaltare. Non mi è mai capitato nessun attore che abbia voluto fare di testa sua. Forse Sordi in Troppo forte. E infatti non era quello il personaggio che avevo immaginato per quel film. Sembrava che avesse paura di non far ridere e forzava molto la voce, facendola assomigliare a quella di Oliver Hardy. Non ci fu verso di farglielo capire. Peccato… Comunque resterà per me sempre un grandissimo attore e un grande amico. Tra i giovani attori, l’irriconoscenza e il rinnegare cose che li hanno fatti conoscere al grande pubblico appartiene a molti. Parecchi miei colleghi si lamentano di questi atteggiamenti. Ma non sono altro che il sintomo Prefazione di Carlo Verdone
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di una grande confusione e di una grande insicurezza. In altri casi è pura e semplice presunzione. Ma sono destinati a darsi una regolata quando prendono qualche “tranvata”. E allora tornano con i piedi per terra. Non è, questo, periodo di superbia perché il cinema è qualcosa di molto delicato e precario. Dovrebbe essere invece il periodo dell’umiltà, quello in cui ci si tiene stretti quei pochi amici sinceri e schietti che non usano l’adulazione, e ascoltarli nei loro pareri. Per concludere, senza aver la pretesa di dispensare verità assolute, mi auguro (come tutti ci auguriamo) una nuova generazione che possa arrivare a pieno titolo sul set del primo giorno. Serviranno senz’altro alcuni consigli che ho scritto in questa prefazione, ma servirà assolutamente da parte di chi si occupa di Cultura nel nostro Paese una maggior attenzione alla didattica. Tagliare fondi a Scuole di Cinema o di Prosa e non incoraggiare nuovi talenti e nuove proposte significa mortificare l’arte di un Paese che tanti anni fa era un riferimento di eccellenza in tutto il mondo. Questo non lo dobbiamo permettere. Per concludere, vi auguro una buona lettura con questo libro in cui scoprirete – raccontati da loro stessi – gli inizi di molti attori e attrici: i loro dubbi, le loro paure, le loro timidezze, con gli episodi insoliti o buffi che hanno accompagnato i loro primi passi sul set. In una parola, un pizzico di quella umanità tenera e imperfetta che si agita dietro le luci della ribalta.
Carlo Verdone
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Prefazione di Carlo Verdone
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Premessa dell’Autore
C’
è chi non ha dormito per giorni prima di girare, chi sul set è svenuto, chi è cascato, chi si è trovato accidentalmente con i capelli di un altro colore, chi è finito all’ospedale, chi è andato in galera… Scrivendo questo libro fatto di 101 racconti in pillole della prima volta degli attori, racconti divertenti, spassosi e interessanti, ho avuto la conferma che gli artisti, con il loro carattere comunque particolare e sensibile, superata la diffidenza iniziale sono disponibili a raccontare paure e ansie dei loro debutti, anche quelle private, pur sapendo di non fare bella figura. Leggendo il libro tutti diranno: “Allora non sono l’unico”. Paura e tensione appartengono a chiunque di noi e di loro, anche se in molti casi gli artisti intervistati hanno avuto la fortuna di arrivare sul set abbastanza presto e film dopo film hanno trovato il modo di rimanerci in pianta stabile, affinando la tecnica, migliorando quello che appariva acerbo, diversificando toni ed espressioni. Per gli attori lavorare è un sogno a occhi aperti, riuscire a trasmettere quell’emozione del set è adrenalina. E per noi, sapere di più, conoscere tutto il possibile e immaginabile di chi ci fa sognare è appassionante, alimenta il mito. Conoscere il suo privato ce lo fa apparire più vicino. Sui nostri miti, su quelli che ci emozionano o ci divertono sono stati consumati fiumi di inchiostro. Ma per una volta, finalmente, sono loro stessi a raccontarsi e io a rigirarvi i loro ricordi, quelli fatti della paura di non farcela e dell’incredibile consapevolezza di avercela improvvisamente fatta. Cercarli, scovarli, intervistarli e ricordare con loro non è stata un’impresa facile. Da quando ho iniziato a scrivere si parla di crisi del cinema italiano, ma nessuno degli attori che ho sentito era a casa disoccupato. Molti erano impegnati a teatro, altri su un set, altri ancora a preparare un testo. Italian dream. Il cinema italiano va a gonfie vele, i nostri attori sono sempre più amati, e se pure si è forse persa la dimensione del sex symbol – perché ora agli attori chiediamo soprattutto emozioni e risate – l’attrazione che subiamo non è meno forte delle belle facce di una volta. Fan club, blog, social network pullulano di notizie e indiscrezioni spesso false sui nostri beniamini. Be’, qui troverete solo la verità, quella Premessa dell’Autore
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che avremmo sempre voluto leggere e che loro ci hanno voluto raccontare rendendosi disponibili. Se sai essere discreto, infatti, puoi conoscere i segreti di tutti. Puoi sapere ogni cosa se la gente ha la conferma che non strumentalizzerai la sua immagine e le sue dichiarazioni. È quello che ho sempre pensato: scadere nel gossip più estremo non fa che allargare la distanza tra chi viene chiamato a scrivere di un personaggio noto (il giornalista) e il vip. Attore, showgirl, cantante, presentatore, nessuno di loro avrebbe problemi a parlare delle proprie ansie, delle proprie paure, dei propri rapporti sentimentali, a patto che i giornalisti riprendessero esattamente quello che viene loro detto, senza inventare. Non tutto è gossip: Nicole Kidman ha confessato ultimamente di non aver potuto dedicare l’Oscar vinto con The Hours a nessun suo amore, a quei tempi assente dalla sua vita e ora invece al centro dei suoi interessi. Intorno a questa piacevole confessione c’è chi ricamerebbe insuccessi, scelte sbagliate, storie e dipendenze mai avute e soprattutto dichiarazioni mai rilasciate. Tutti gli attori che ho conosciuto negli ultimi venti anni si sono subito fidati di me (come di molti altri che scrivono per passione) per un motivo: chiedo prima di scrivere, non inseguo e non cerco lo scoop, me lo hanno sempre dato loro (è sempre stato così) facendomi promettere che non avrei rivelato a nessuno che erano stati proprio loro a rivelarmi quella notizia segretissima. Non basta controllare la fonte, quello che gli attori vogliono è che venga scritta la notizia esattamente come viene rivelata. Riportando le loro parole così come ci sono state dette, spero di potervi comunicare anche il messaggio che tutte loro sottendono: quando c’è entusiasmo e talento – e un pizzico di fortuna – si può improvvisamente arrivare a toccare con mano i propri sogni e viverli da protagonista. In bocca al lupo a tutti, qualunque sia il vostro sogno.
Sergio Fabi
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Premessa dell’Autore
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La prima volta‌ (sul set!)
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Jane Alexander
Quando Faenza mi fece piangere
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o esordito a letto nel film Le donne non vogliono più di Pino Quartullo, ero una modella, avevo una sola battuta tipo “Sandro, ho lasciato la macchina in garage”. Feci un provino come modella, io ho lavorato fin da piccola nella moda. Anche nel film di Tornatore L’uomo delle stelle cercavano una modella. Ho sempre amato fare quel mestiere, mi dava l’opportunità di viaggiare, di conoscere tante persone, è normale che dopo ore e ore per preparare una sfilata le ore sul set non mi hanno mai preoccupato, anzi ho trovato il set sempre familiare. Solo che quando fai la modella devi solo camminare e sorridere, sul set un po’ di paura arriva. Sul set di Quartullo è andato tutto liscio, nessuno mi ha fatto pesare nulla, tutti sapevano che non ero un’attrice e poi Quartullo e gli altri erano molto simpatici. La cosa che ricorderò sempre è io e mia madre che doppiavamo in croato E la nave va, il film di Fellini, e Fellini che ci riporta a casa col suo autista in macchina, io avevo dieci anni, mio padre era un direttore di doppiaggio. Visto che mia madre è croata e che sia io che lei parlavamo il croato, ci avevano offerto questa esperienza. Per quanto riguarda i miei baci sul set, sono andati sempre bene, mai avuto problemi o ansie. O bacio benissimo o trovo partner che sanno baciare benissimo, ma penso di essere una che riesce a mettere le persone subito a loro agio. Amo tantissimo recitare nei film in costume, ho lavorato sia in “Elisa di Rivombrosa”, che in “Elisa di Rivombrosa 2”, che ne “La figlia di Elisa – Ritorno a Rivombrosa”, tre serie che ho amato fare. Nella mia carriera c’è però una scena che non rifarei, quella del taglio della torta nel film Prendimi l’anima di Roberto Faenza. Ho impiegato veramente tanto a tagliare quella torta, tanto tempo e tanti ciak, lui è un vero Jane Alexander
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perfezionista, ma comunque mi ha fatto piangere e vi garantisco che non piango facilmente.
Claudio Amendola I set dove mi sono fatto male
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o esordito nel 1981 ma per gioco avevo già fatto la comparsa in alcuni film nei quali recitava mio padre. Nel primo avevo cinque anni, era un film con Little Tony, Vacanze sulla Costa Smeralda, nel ’68. Dopo tanti anni ho esordito nell’81 come attore nella miniserie “Storia d’amore e d’amicizia”. Mia madre era amica del regista Franco Rossi, lui le confidò di avere uno dei ruoli Insieme a Francesca Neri. ancora disponibili – in pratica il mio identikit –, lei gli parlò di me e feci un provino che superai. Anche a quei tempi come oggi non sono mai teso prima di girare, la prendo sempre senza crederci troppo. L’importante è essere coscienti che è un mestiere e che bisogna saperlo fare, senza però mai prendersi eccessivamente sul serio. Il primo bacio l’ho dato a un provino sempre per “Storia d’amore e d’amicizia”. Lei era Barbara De Rossi, bacio dato in maniera casta e tecnica. Rifarei ogni cosa, anche perché mi ricordo tutto, i set sono stati tanti e tutti differenti, in ognuno mi sono divertito e di ognuno conservo un ricordo. Ma le scene che mi sono rimaste più impresse sono quelle in cui mi sono fatto male e sono tantissime: ho preso le botte, sono caduto, ad esempio in Napoléon di Yves Simoneau, del 2001, dove sono cascato da cavallo, cosa successa anche nella miniserie televisiva “Jesus” del progetto “La Bibbia”, in cui ero Barabba. Nonostante il mio lavoro, non sono un grande appassionato di cinema, preferisco vedere i film del passato che i nuovi.
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Claudio Amendola
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Ambra Angiolini
Galeotta fu la canzone di Gabriella Ferri
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essuno lo sa, ma la mia primissima volta è stata una comparsata nella serie “Una donna per amico” con Elisabetta Gardini ed Enzo De Caro. Ho fatto anche un provino per quella scena, che ho superato. La mia prima volta importante, da professionista, su un set cinematografico è stata con Ferzan Ozpetek per Saturno contro. Volevo fare il provino ma gli ho subito detto che avevo timore di potergli rovinare il film, e lui mi ha risposto: «No, mi offendi, sono sicuro». Nel film esordisco cantando una canzone di Gabriella Ferri, “RemeAmbra è Francesca nel film Immaturi. dios”, e mi ha aiutato perché Gabriella Ferri è una cantante da sempre familiare, il che mi ha messo in una condizione di totale rilassatezza che mi ha aiutato tantissimo per tutto il film. Ricorderò per sempre, durante la lavorazione, un messaggio che Ferzan mi ha mandato: “Grazie per quello che hai fatto oggi” dopo una scena molto difficile. Prima di arrivare sul set, non sono mai sicura, ho paura di fare qualcosa di orrendo, non voglio fare la persona umile, è che non sono serena di mio. Sul set di Immaturi mi sono trovata veramente bene, eravamo tutti attori conosciuti ma nessuno si è permesso di fare la star, a volte abbiamo anche avuto il meteo contro ma siamo andati avanti in armonia. Nella storia dovevamo ripetere l’esame di maturità, io ho frequentato il liceo linguistico ed ero una secchiona, ho sempre avuto questo senso di dover fare meglio di tutti. Non ho mai avuto problemi nelle scene di bacio, anzi mi diverte, fare cose così trasgressive che magari nella vita non ti concedi mai…
Ambra Angiolini
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Luca Argentero Ricordati che il film “rimane�
Nel film La donna della mia vita.
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icordo un’infinità di giornate piacevoli. Ma il primo giorno rammento di aver pensato: “Se mi daranno la possibilità di vivere facendo questo lavoro, sarò un uomo felice”. Ho debuttato due volte, in tv e al cinema. La prima volta su un set in assoluto è stata per la serie “Carabinieri 4”, mentre il primo set cinematografico è stato quello di A casa nostra di Francesca Comencini. Il primo giorno su questo set mi avvicina un macchinista che con spiccato accento romano mi domanda: «È il tuo primo film?». «Sì», rispondo io. E lui: «Ahò, fa’ attenzione! Nun fa’ cazzate!». Panico. «Perché?». «E come perché? Perché il film rimane». Porto sempre dentro di me queste parole. Il primo giorno di “Carabinieri” ero terrorizzato, ingessato, troppe persone intorno a me di cui ignoravo il ruolo… Non credo neanche di aver sentito le parole “Ciak… Motore… Azione”, troppa confusione in testa. Dopo poco, però, ho perso completamente il timore e ho iniziato a divertirmi. Non c’è voluto molto… Un mio collega mi ha detto: «Preoccupati quando smetterai di preoccuparti», mi sembra un saggio consiglio, mai essere troppo sicuri di sé, mai perdere l’attenzione e l’adrenalina del set, mai dare per scontato anche il ciak apparentemente più insignificante. Rifarei ogni film, li ho amati tutti, molto. Ho avuto la fortuna, non solo sui primi set, ma sempre nella mia breve carriera, di essere circondato da grandissimi attori. Guardo, osservo, rubo, chiedo. E più sono talentuosi e affermati, più si sono dimostrati disponibili e complici. Di baci ne ho dati molti… imbarazzante il primo, imbarazzante l’ultimo. Condividere l’intimità con una persona che magari incontri mezz’ora prima non è semplice. Credo che nessun attore dirà mai che si diverte a girare scene d’amore o di sesso. A volte gli amici t’invidiano… difficile spiegargli che non sono momenti granché divertenti… Sono un collezionista di dvd, vedo tutto e continuerò a vedere tutto! Al cinema preferisco vedere qualcosa che motivi il “grande schermo + dolby”, intrattenimento puro!
Luca Argentero
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Serena Autieri
Sul palco divento una leonessa…
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icordo la mia prima volta, per “Un posto al sole”. A quei tempi facevo teatro, a mia insaputa mia madre aveva mandato un curriculum. Allora certo ero un po’ snob, e anche se devo tantissimo a quella soap, essendo un’attrice agli inizi pensavo: “Ma che devo fare con questa soap opera?”. Facevo teatro, cantavo e avevo tutta una mia filosofia. Poi seppi che mia madre aveva mandato questo materiale audio e video quando mi chiamarono a fare un provino. Dopo un lungo litigio con mia madre decisi di andare, anche se un po’ scocciata. Così, provino dopo provino sono arrivata a quello finale non rendendomene nemmeno conto, e alla fine mi sono emozionata. Quella di “Un posto al sole” è stata un’esperienza meravigliosa, una vera famiglia, anche una palestra, cominciare a fare l’attrice girando tutti i giorni era un’emozione indescrivibile. All’inizio mi sudavano le mani, avevo un nodo in gola con la paura di non riuscire a parlare, ero terrorizzata, ma ho sempre avuto voglia e consapevolezza di voler fare questo mestiere, unita alla sfrontatezza comune a noi napoletani di buttarci senza paracadute, anche perché ero giovanissima. Il giorno prima di andare a girare sul set, avevo il copione sotto il cuscino, mia madre mi portava la camomilla, ripetevo le battute, convocazione alle sette del mattino ma alle cinque già ero pronta. Ogni volta che inizio un film nuovo per me è come fosse la prima volta, c’è sempre una troupe nuova, un regista nuovo, attori nuovi, c’è sempre la sensazione di non essere all’altezza, come mi era capitato il primo giorno sul set di “Un posto al sole”. Dopo che fai la prima “prova” e parli con attori e regista vai tranquilla ed entri subito nel personaggio, ma a ogni primo ciak si rinnova sempre quella sensazione: la notte prima non riesco a dormire, mi sudano le mani, ho timore di non ricordare le mie battute. Fa parte del mio lavoro, emozionarsi sempre, mai adagiarsi. Unʼimmagine di Femmine contro maschi.
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Certo, rispetto al teatro al cinema hai il vantaggio del ciak che puoi ripetere, sul palco c’è una tensione altissima che poi trasformi, facendola diventare positiva. Ma è una tensione che ti porti avanti per tutto il giorno e la percepisci anche dopo. Il teatro ti taglia il fiato, perché sai che non puoi ripetere, è come se fossi nuda e cruda, come se non avessi vestiti, non avessi protezioni, sei su quel palco e quando sei dietro le quinte ti senti un agnellino, credi ti abbiano dato troppa responsabilità, che tutto sarà un disastro, hai poca fiducia in te stessa. Poi quando entro in scena si annullano tutte le tensioni e divento come una leonessa, a quel punto non vorrei più andare via, vorrei stare lì tutta la notte. Diventa una vera droga. Il mio primo bacio l’ho dato proprio in “Un posto al sole”. L’ho vissuto con disagio perché avevo quel pudore da diciottenne cresciuta in una famiglia molto all’antica. Per fortuna il mio compagno di lavoro, Alberto Rossi, mi ha messo subito a mio agio spiegandomi tutti gli aspetti tecnici su questi baci – perché poi si tratta di tecnica – ed è andata benissimo, è stato delicato e intelligente. A volte puoi trovare colleghi che possono approfittarsi di te, soprattutto quando sei molto giovane. Da cinefila non perderei mai un film di Almodóvar, quando esce un suo film sono una delle prime a vederlo, ho un amore latente, costante per lui. Amo il suo modo di girare, di dirigere gli attori, il suo amore unico verso le donne che dirige, il suo modo di scrivere e raccontare.
Lino Banfi
I miei inizi con Franco e Ciccio
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icordo la mia prima volta sul set, fu con Ciccio Ingrassia, avevo una sola posa, solo due battute. Il film era I due evasi di Sing Sing, del 1964. La regia era di Lucio Fulci, insieme a Ingrassia c’erano Franco Franchi, Attilio Dottesio, Gloria Paul. La storia era quella di due uomini che in un bagno pubblico salvano la vita al re della mala che, per riconoscenza, li inserisce nel mondo della boxe.
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A quei tempi io facevo avanspettacolo e venivano spesso a vedermi. Loro aiutarono molti di noi a diventare famosi. Facevo solo teatro, non pensavo di arrivare al cinema, per me un sogno, e ricordo quel primo giorno di riprese come un giorno di festa, senza timore e paura. Ero cosciente di aver “tagliato il nastro” e che da quel momento si era definitivamente aperta la strada della mia carriera.
Jonis Bascir
Il provino che ti cambia la vita
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are che sia un classico nel mondo dello spettacolo ma io cominciai a fare l’attore per caso, perché un giorno mi trovavo con Massimo, un mio caro amico, in una cabina telefonica vicino al bar Vanni, a Roma. Stavamo facendo delle chiamate di lavoro e lui mi disse che aveva un casting alla Rai. Eravamo lì nei pressi e mi propose di accompagnarlo per poter eventualmente lasciare una foto anch’io. Il mio amico non fu preso Jonis (a destra) ne Il mercante di Pietre. mentre io sì, ma ancora oggi non ne so il motivo visto che la nostra carriera d’attore era pressoché allo stesso punto, cioè a zero. La trasmissione era “Di che vizio sei?” con Proietti. Fui “buttato” in una sala prove in compagnia di tanti attori, alcuni già esperti, molti della scuola di Proietti. Parecchi di loro avevano dei pezzi di repertorio, io nulla e la cosa m’imbarazzava. Quando arrivò Gigi in sala gli ispirai la creazione dei fratelli Wafer, due personaggi, uno chiaro e uno scuro, vestiti anche a contrasto, che in maniera completamente folle dicevano cose sopra le righe camminando attaccati uno dietro l’altro. Cominciammo la trasmissione in sordina ma con l’andare delle puntate ci diedero sempre più spazio. Un’esperienza bellissima, che mi permise altre collaborazioni con Gigi Proietti, uno che per me rappresenta una fonte d’ispirazione eccezionale e ancora oggi gliene sono grato. Il primo film fu poi Stupor Mundi per la regia di Pasquale Squitieri, 24
Jonis Bascir
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mentre il primo bacio l’ho dato a Torino sul set de “Il caso Bebawi” per la serie televisiva “I grandi processi”, con la regia di Valerio Jalongo. Interpretavo l’amante poi ucciso, e la donna da baciare era Vana Barba, già Miss Grecia e candidata a Miss Mondo nell’84, nonché ricordata da tanti come Vassilissa, la prostituta in Mediterraneo di Gabriele Salvatores. È stato un po’ imbarazzante perché ero in paranoia per la mia fidanzata, oltretutto senza motivo. Vana invece sembrava molto tranquilla e a suo agio. Da spettatore sono sempre passato da film molto impegnati a film leggeri ma sempre di qualità. Ricordo che a diciassette, diciotto anni circa io e un mio amico portammo la nostra comitiva al cinema, di domenica, a vedere L’uovo del serpente di Ingmar Bergman, noi entusiasti, gli altri ancora ce lo rinfacciano. E nello stesso tempo mi piacevano film tipo Jesus Christ Superstar o Qualcuno volò sul nido del cuculo. Oggi continuo nella stessa direzione, vedere film di diverso genere ma con un denominatore comune, la qualità.
Maurizio Battista I ciak di Pupi
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a mia prima volta è stata sul set de Il figlio più piccolo per la regia di Pupi Avati. L’ho incontrato in ufficio e mi ha detto: «Leggi questa sceneggiatura, se ti piace chiamami». Naturalmente mi è piaciuta (e che dovevo dire? Bella, ma tutti lo avrebbero detto), poi sul set è stato tutto molto facile perché lui è un padre, un fratello, un amico, riesce a metterti a tuo agio, un maestro vero. Con Christian De Sica mi sono trovato benissimo, anche perché bisogna dire che Avati sceglie sempre bene gli attori. Pure la Morante – un’attrice molto brava, di un certo carattere e tono – si è subito sentita a casa. Nel film, che ha rappresentato il mio debutto cinematografico, interpretavo l’autista di De Sica, siamo stati anche sette ore a farci riprendere dietro il finestrino. Mi sembrava Insieme a Luca Zingaretti ne Il figlio più piccolo. quasi esagerato, ma da un maestro accetti questo e altro. Maurizio Battista
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Monica Bellucci Per fare il provino con Morgan Freeman‌ mi sono pagata il biglietto
Monica insieme a Robert De Niro e a Carlo Verdone.
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l cinema è sempre stato il mio sogno, anche se venivo dalla provincia e quella realtà era lontana anni luce. Anche la moda era molto distante dal mio mondo, ma era comunque un obiettivo più facile da realizzare. Finito il liceo classico e iniziata l’università, arrivai in un’agenzia di moda di Milano – avevo già un po’ d’esperienza visto che un amico di mio padre gli aveva chiesto di farmi sfilare quando ancora andavo a scuola – e da modella professionista iniziai a lavorare lì e poi andai a Parigi. Dopo tre anni di quell’attività, Dino Risi vide alcune mie foto e mi volle incontrare per il film “Vita coi figli”, del quale era protagonista Giancarlo Giannini. Avevo ventiquattro anni. Giannini è un attore grandissimo e mi sono trovata molto bene con lui. Era la mia prima esperienza, non sapevo nulla, era un mondo completamente sconosciuto, ma mi sono subito resa conto che la strada da percorrere sarebbe stata lunga. Poco dopo sono stata chiamata per La riffa e poi per il Dracula di Coppola, nel quale avevo un piccolo cameo. Insomma, mi sono ritrovata in questo mondo senza conoscerlo. Sapevo che il lavoro da fare era tanto, ma ero sicura di non voler tornare nel mondo della moda: in me era ormai nato l’amore per il set e per il cinema, il sogno era diventato realtà. Da quel primo incontro con Risi, è scattato qualcosa dentro di me e mi sono detta: “Questo è quello che voglio”. Sapevo di trovarmi davanti a un regista, un grande regista, e mi sono affidata a lui il più possibile. C’era un pizzico d’istinto mischiato alla paura per la totale mancanza d’esperienza. Lavorare sul set vuole dire sempre avere un rapporto a due, devi dare qualcosa di te stesso: devi ascoltare il regista, sentire quello che lui vuole ma allo stesso tempo devi creare un personaggio che diventi tuo. Si deve creare questa alchimia, questo sodalizio tra te e il regista. L’attore deve avere capacità d’adattamento anche perché ogni regista lavora in maniera diversa, ci sono registi che amano ripetere tantissimo prima di girare, ci sono altri che inventano tutto sul set mentre girano. Per loro lavorare è creare tutto in quel momento. Non è che il regista cambi metodo per te, sei tu che ti adegui. Quindi anche il tuo modo di lavorare cambia a seconda di chi ti dirige. L’importante è, come sempre, fare un lavoro personale sul tuo personaggio. I film che ho fatto sono stati tutti voluti: da Matrix Revolutions di Larry e Andy Wachowski a The Passion of the Christ di Mel Gibson, da Lei mi odia di Spike Lee a L’apprendista stregone girato insieme a Nicolas Cage. E in Italia, da L’ultimo capodanno a Tornatore in Malèna passando per Muccino in Ricordati di me, Paolo Virzì per N (Io e Napoleone), Maria Sole Tognazzi per L’uomo che ama, Marco Tullio Giordana per Sanguepazzo e Giovanni Veronesi per Manuale d’amore 3, con Robert De Niro. Solo in un Monica Bellucci
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film mi sono annoiata e quella è stata la mia unica “brutta” esperienza, che però mi è servita. Ogni volta che faccio una scelta, non la faccio pensando al percorso della mia carriera. L’importante è seguire l’istinto. Se scelgo un progetto è perché ci credo. Questo mi ha portato a lavorare con registi di diverso genere, ognuno dei quali mi ha fatto crescere. Progetti più o meno fortunati, come per tutte le carriere, ma non ho mai detto: “Questo film non avrei dovuto farlo”. So bene cosa vivevo in quel momento, so di cosa avevo bisogno, ogni film ripercorre anche una traccia di vita. Tra le tante esperienze importanti devo ricordare quella con Giuseppe Tornatore. Lo avevo incontrato per la prima volta sul set di uno spot per Dolce e Gabbana, da lui diretto. Mi disse: «Ho una storia nella mia testa, ancora non so se la realizzerò, ma se la farò, la farò con te». A quei tempi avevo fatto ancora poco cinema. Poi sono partita per Parigi, dove ho girato L’appartement di Gilles Mimouni, e avevo finito di girare Under Suspicion con Gene Hackman e Morgan Freeman. Ero in Portorico, Tornatore mi chiama e mi dice: «Ti ricordi quella storia di cui ti ho parlato tre anni fa? Ti va di farla?». Per me Malèna rappresenta una tappa fondamentale, ed è un film che ha poi girato tutto il mondo. Proprio quel ruolo mi ha aperto le porte di Hollywood e permesso di lavorare con i Wachowski e successivamente con Bruce Willis ne L’ultima alba. Insomma, gran parte dei miei film americani sono arrivati grazie a Malèna. Giorni indimenticabili ne ho vissuti tanti, veramente tanti. Ricordo, per esempio, il provino che ho fatto per Under Suspicion. Avevano già incontrato tante attrici, il regista era inglese e io per incontrarlo mi sono pagata il biglietto per Los Angeles. Ero un’attrice come tante altre e ricordo la camera che ci riprendeva, avevo un batticuore pazzesco all’idea di lavorare con Morgan Freeman e Gene Hackman. Finito il provino ho ripreso l’aereo per tornare a casa, la settimana successiva mi hanno richiamato per fare un provino a Londra, dove sono andata con un senso incredibile di attesa. Sono cose che quando ci ripenso sto a mille: benché siano state le mie prime conquiste, rappresentano qualcosa di ancora straordinariamente vivo. Con Mel Gibson mi sono ritrovata benissimo, mi piacciono le persone di talento. Ha un’energia pazzesca, si vede anche negli occhi, io adoro i film che fa come regista, sempre film di altissima qualità. Ricordo anche Larry e Andy Wachowski, una sorta di monaci del cinema, diversi e complementari, due geni. Spike Lee va a mille ma non ti dice cosa devi fare, utilizza più macchine e prende la cosa migliore, quella che gli interessa di più, lascia a te il lavoro. Quando mi hanno detto che avrei dovuto recitare con Robert De Niro in Manuale d’amore 3 ero felicissima. Ci sono persone che vantano carriere paz28
Monica Bellucci
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zesche eppure hanno l’entusiasmo e la voglia di fare sempre bene, la voglia di essere al momento giusto, con la persona giusta alla ricerca del personaggio. De Niro è una persona fantastica, lui come Morgan Freeman e altri. Qualche volta, invece, ti capita invece di lavorare con attori che a forza dicono la loro battuta perché non l’hanno studiata, quasi non gliene fregasse nulla, come se recitare fosse diventato per loro una sorta di routine. È importante avere ansia, fremito, emozione, quasi paura prima di girare. Se non li hai devi smettere subito di lavorare. L’incontro con De Niro è stato importante professionalmente e sotto il profilo umano. La sua semplicità ci ha lasciato tutti sbalorditi. Il cinema mi piace anche guardarlo, ma ora sono mamma e vedo molti film in dvd, visto che i figli a volte non ti lasciano la libertà di andare a vederli al cinema. Mi dedico a loro e non è sempre facile rubare del tempo per leggere un libro o vedere un film. Quando faccio l’attrice li porto sempre con me.
Fabrizio Bentivoglio Quella volta con il premio Oscar
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ultimo film che ho girato è Una sconfinata giovinezza, che segna la mia prima esperienza con Pupi Avati. Recitare su un suo set è estremamente facile e naturale, è un grande conoscitore degli attori, sa come maneggiarli. È inevitabile per un attore trovarsi bene con lui perché sa creare una giocosa complicità. Il regista a volte stabilisce la misura sul metodo da adottare: se suggerire all’attore come girare una scena o lasciarlo libero. È una misura definita dal regista, alla quale l’attore si adatta di volta in volta. Ci sono registi che sanno quello vogliono puntigliosamente e si fanno sorprendere da qualcosa di inaspettato, e registi che invece vogliono di continuo farsi riprendere dall’inaspettato, addirittura preferiscono che la scena non si provi in anticipo, ma che nasca solamente davanti alla macchina da presa. Non posso dire cosa è meglio o peggio, il cinema chiede solo di essere personalizzato e alla fine è molto malleabile, ognuno lo fa a sua immagine e somiglianza. Ricordo il mio primo giorno sul set de Il bandito dagli occhi azzurri di Alfredo Giannetti, nel 1980. Il regista mi aveva visto a teatro, serviva un ragazzo così e mi scelse. Ero emozionato anche all’idea di girare con uno Fabrizio Bentivoglio
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Insieme a Francesca Neri in Una sconfinata giovinezza.
degli sceneggiatori di Divorzio all’italiana, il film di Pietro Germi che aveva vinto l’Oscar. Paure, ansia sul set? Può capitare, anzi io credo che debba capitare, come la paura prima di entrare in scena a teatro: è necessaria, se entri troppo deciso svanisce la magia. Ci vuole quel sano timore prima di fare le cose.
Marco Bocci
Quando Bova mi disse: «Non puoi mica morire prima che t’ammazzo».
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icordo la mia prima volta sul set de I cavalieri che fecero l’impresa di Pupi Avati. Avevo tre pose, il primo giorno mi sono giocato tutte le battute che avevo, tipo “Andiamo, è lui”. Negli altri due giorni avevo pose fisiche, venivo picchiato e torturato. Non riuscendo ancora a percepire bene il limite tra realtà e finzione, in ogni caduta che dovevo fare ci mettevo tutta l’anima e soprattutto tutta la realtà e la violenza che la scena richiedeva. Il giorno dopo tornai a casa in Umbria con due costole semifratturate, ma sul set non dissi niente a nessuno. Ero terrorizzato e affascinato, avevo dubbi su qualsiasi cosa, come si cammina, come ci si siede, mi tremavano talmente le gambe che inciampavo ovunque. Raoul Bova era il protagonista del film, stavamo provando 30
Marco Bocci