Evolution Salsa
Ringraziamenti degli Autori Ringraziamo: Adriano Piroddi, per il contributo tecnico e per la ricerca bibliografica compiuta in tanti anni di collaborazione con Lazaro Martin Diaz, utilizzata nel presente volume; Angelo Balestra, per la costante organizzazione e promozione delle attività svolte dal maestro Lazaro Martin Diaz; Manolo Micler e la sua compagnia di ballo, il “Conjunto Folklórico Nacional de Cuba”; le ballerine Garcìa Constanten Live, July Rodriguez, Dayami Couret Rodriguez e Aimèe Herrera; Michele Salcito e la Axim s.r.l., per la realizzazione degli schemi illustrativi dei passi base del programma di salsa cubana; Pablo Solis e Francesco Lesti, ballerini della compagnia “Azucar Negra”; tutti gli assistenti, collaboratori, ballerini e allievi di Lazaro e tutte le persone che si sono divertite insieme a noi e che, nei momenti più difficili, ci hanno sostenuto con affetto.
Copertina, progetto grafico e fotocomposizione: www.lamelaverde.it Crediti delle illustrazioni: Hermy Pedroso / Archivio Egrem / Archivio Sigfredo Ariel p. 12; Archivio di Karl-Arnulf Rädecke p. 15, 17, 21, 35, 37 in alto; campesinocubano. anap.cu p. 18; misfondos.com. es p. 19 in alto; geocities.ws p. 19 in basso; Guido Fuà p. 22, 38, 61-72, 74, 79, 81, 83, 85, 86, 88, 89, 90, 92, 93, 96, 103; gallery.chiquidixon.com p. 23 a sinistra; flickr. com (James Emery) p. 23 a destra; Bembe Records p. 24; © UNESCO/Montserrat Martell Domingo p. 31; guije.com p. 33 in alto; solidpumps.com p. 34; Youri Lenquette p. 36; Juan Cuadras p. 37 a sinistra; Gerhard Bersick, OdenthalVoiswinkel p. 39 in alto a sinistra; Klaus Rose, Iserlohn p. 39 a destra; Egrem p. 41, 44; diesis.it p. 42; Tumbao p. 43 in alto; sonidoseternos.blogspot. com p. 43 in basso; tomamusica. com p. 45 in alto a sinistra; youmix. co.uk p. 45 in alto a destra; tiempo. jp p. 46; thesocietyofthespectacle.com p. 47 in alto; donttouchmymoleskine. wordpress.com p. 47 al centro; Manuel Domínguez p. 49; alocubano.com
p. 50; albaceteporcuba.com p. 51; drummerworld.com p. 52 in alto a destra; Fernando Gómez, Los tambores batá, collezione Fernando Ortiz, Museo Nacional de la Música p. 52 in basso a sinistra; Fernando Gómez, El bongó, collezione Fernando Ortiz, Museo Nacional de la Música p. 52 in basso a destra; darioaspesani. it p. 53, 55 in basso a sinistra; supertimbre.com p. 54 in alto; Fernando Gómez, Las maracas, collezione Fernando Ortiz, Museo Nacional de la Música p. 54 in basso; carlomontanarimusicale.blogspot.com p. 55 in alto a sinistra; pbtradingpost.com p. 55 in alto a destra; ccaconway.com p. 55 in basso a destra; mexicanartdealing.com p. 56 la prima dall’alto; en.academic.ru p. 56 la seconda dall’alto; musikproduktiv.es p. 56 in basso a sinistra; oleplingplong.com p. 56 al centro; jazzandculture.blogspot.com p. 57 in alto; botanicamadredeagua.com p. 101; paearieldeoxala. com p. 102, 109; italocubanadejapon.at.webry.info p. 105; Francisco Santos p. 106, 112; prweb.com p. 111; cstcuba.com p. 114 a sinistra; cubadebate.cu p. 114 al centro; ireference.ca p. 116; finefretted.com p. 117 la prima da sinistra; telefonica.net p. 117 la seconda da sinistra; musicayeso.galeon.com p. 117 al centro in alto; drummersymusician.blogspot.com p. 117 al centro in basso; esacademic.com p. 118 in alto a sinistra; Federico Otero, El ékue, in Fernando Ortiz, Los instrumentos de la música afrocubana p. 118 al centro; folkcuba.com p. 118 a destra; Fernando Gómez, La yuka, collezione Fernando Ortiz, Museo Nacional de la Música p. 119 a sinistra; americanhistory.si.edu p. 119 al centro in alto; deliveryboys.net p. 119 al centro in basso; rumbainstruments.blogspot.com p. 120 a sinistra; bonkopercusion.blogspot.com p. 120 al centro; motherlandmusic.com p. 120 a destra. Per quanto possibile, l’Editore ha cercato di risalire ai nomi degli autori di tutte le immagini pubblicate, per darne doverosa segnalazione. Le ricerche, però, non sono sempre state premiate dal successo ed è pertanto con vivo rammarico che l’Editore chiede scusa di eventuali errori, lacune od omissioni, dichiarandosi fin d’ora disposto a revisione in sede di eventuali ristampe e al riconoscimento dei relativi diritti ai sensi dell’art. 70 della legge sul diritto d’autore n. 633 del 1941 e successive modifiche. Stampa: C.S.R. – Roma Copyright GREMESE 2011 © E.G.E. s.r.l. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.
ISBN 978-88-8440-656-9
Lazaro Martin Diaz
con la collaborazione di Domitilla Petriaggi
Evolution Salsa Storia e tecnica del ballo pi첫 amato dagli italiani
GREMESE
Sommario
Introduzione Evolution Salsa Capitolo 1 Il ballo a Cuba: dalle danze aborigene alla salsa ◗ La colonizzazione spagnola: primi esempi di “transculturazione” ◗ Diffusione e sviluppo della cultura africana ◗ L’influenza francohaitiana: dalla contradanza al danzonete
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◗ I balli afroispanici: la rumba e il son ◗ Il ballo nelle feste cubane: carnevale, Parrandas e Charangas ◗ Il XX secolo: mambo, cha cha cha, salsa e timba
35 39 42
Capitolo 2 Strumenti e peculiarità della musica cubana 48 ◗ Gli strumenti della musica cubana 52 ◗ Elementi di ritmica musicale applicati alla salsa 57
Capitolo 4 Programma di salsa cubana ◗ Passi base ◗ Vueltas (giri) ◗ Tomas (prese) ◗ Posición de baile social (posizione in coppia) ◗ Passi in coppia ◗ Le figure ◗ Le combinazioni Capitolo 3 Insegnare a ballare: tecniche e consigli pratici ◗ L’apprendimento motorio ◗ Strategie d’insegnamento ◗ La struttura della lezione ◗ La progressione didattica
60 60 65 71 73
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Appendice 1 Gli Orichas
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Appendice 2 Gli strumenti musicali
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Bibliografia
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Introduzione
Il
caldo avvolgente dell’amata Cuba. Una vecchia radio che suona. Mia madre che svolge le faccende domestiche, cantando. Tornato a casa, mio padre la salutava invitandola a ballare, per farci sentire la sua presenza dopo una giornata di lavoro. Vederli danzare mi emozionava più di qualsiasi gesto d’affetto o romantico discorso. Così la musica e il ballo sono entrati nella mia vita, e il ritmo ha iniziato a cadenzare la mia fantasia. Mi inventavo di tutto pur di creare della musica, a volte utilizzando solo il coperchio di un barattolo di latta, un filo di nylon e un bastoncino. Avevo un’immensa voglia di comunicare, e le percussioni sono state il primo approccio a un linguaggio corporeo, allora tecnicamente sconosciuto, che ben presto sarebbe diventato parte integrante della mia vita.
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Salsa
Una sera, dopo essere stato con i miei genitori a casa di alcuni loro amici, passammo davanti a un locale in cui si ballava la salsa. Al richiamo della musica mio padre decise di entrare. L’ingresso era vietato ai minori e io avevo circa sei anni, perciò dovevamo trovare un escamotage. I miei genitori si misero uno dietro l’altro e io ben schiacciato tra loro. C’era tantissima gente in fila e la sicurezza non si accorse di nulla. Una volta all’interno, mi nascosi sotto un tavolo e, alzando un lembo della tovaglia che lo copriva, guardai le persone ballare. Tanti colori, mille evoluzioni e insolite gestualità rapivano il mio sguardo, la mia mente, la mia anima. Pur ignorando le movenze e i passi, ero mentalmente coinvolto da ciò che stavo vedendo. Non ne sapevo nulla di una vuelta (giro) o di un dile que no (figura di apertura), ma un impulso irrefrenabile mi spinse a tentare di imitare quei fantastici movimenti. Così, mi gettai nella mischia liberando le mie emozioni.
Un’eccitazione incredibile. Le persone presenti pian piano mi lasciarono lo spazio necessario per farmi ballare, sorprese, e al contempo compiaciute, dalla mia simpatica e insolita performance. Tuttavia, ciò richiamò l’attenzione della sicurezza, che in pochi secondi ci buttò fuori. La nostra serata danzante terminò lì, ma il mio amore per il ballo era appena sbocciato. Non avevo dubbi: dovevo alimentare questa forte passione, anche se quanto imparavo non era mai abbastanza rispetto alla mia voglia di conoscere. Finalmente arrivò l’occasione che mi introdusse nel mondo della danza. Mio zio, Emilio O Farri, fondatore del corpo di ballo “Conjunto Folklórico Nacional de Cuba” e noto esponente della cultura cubana, decise di portarmi con sé a vedere uno spettacolo di afro al Teatro Marti di Cuba. Nella mia mente rimasero
impresse le coreografie e i pezzi liberi eseguiti con maestria dai ballerini, l’energia che emanavano e la gioia dei loro movimenti. Non dormii tutta la notte; il giorno dopo andai a scuola distrutto, ma con il futuro nel cuore. La danza stava diventando la mia vita. La gente del quartiere, affascinata dal mio modo di ballare, mi metteva i soldi nelle tasche, quando mi esibivo, e gli amici di mio padre mi chiamavano per “scatenarmi” alle loro feste. Eventi, questi, che mi hanno dato la possibilità di sperimentare coreografie sempre diverse, che hanno ampliato il mio bagaglio artistico. Il sostegno di mio padre, uomo dolce ma esigente, al quale devo l’eleganza e lo stile del movimento, è stato fondamentale. Assistendo alle varie competizioni a cui partecipavo, spesso aveva affermato che la ballerina più adatta a me era Ilda Ferrer Diaz. E fu in questo senso che il destino e il signor Caseres Manzo, direttore della gara nazionale “Para Bailar”, ebbero un ruolo decisivo. Nella suddetta competizione ero in coppia con Lazara Perez Martinez, mentre Ilda ballava con Albertico (Alberto Gonzales); ma arrivati alle semifinali sia Lazara che Albertico dovettero ritirarsi. Non
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volevo credere che, dopo innumerevoli sacrifici e altrettanti sogni, la gara finisse in quel modo, in quel momento. Come solitamente succede quando si è nel bel mezzo di un problema, non ero abbastanza lucido da trovare un’alternativa, tanto la mia mente era appannata dalla desolazione. Il signor Manzo, invece, la trovò: io e Ilda avremmo continuato la competizione ballando insieme! Arrivammo primi e fu un successo. Una casuale unione e un naturale affiatamento ci permisero di portare avanti un incontro artistico molto fortunato. Un percorso forse tracciato dal fato, ma sicuramente annunciato anni prima da una cerimonia santera. Avevo circa nove anni quando mio padre mi portò da un santero, Gullermo, officiante della religione filocattolica yoruba (conosciuta anche come santeria), il quale per prima cosa mi affidò alla protezione di tre divinità guerriere: Elegguá, Oggún e Ochosi. Successivamente mi predisse quello che sarebbe accaduto nella mia vita e ciò che avrei dovuto evitare. Nel corso della cerimonia mi fu preannunciato un destino pieno di successo nell’ambito della musica e, soprattutto, del ballo; mi venne proibito di salire sugli alberi e
suggerito di fare attenzione al mare e ai laghi. Avevo preso con molto scetticismo le parole del santero. Finché mio padre, per farmi sentire meno il peso della separazione in corso tra lui e mia madre, decise di mandarmi a Santa Clara: qui trascorrevo il tempo a studiare e giocare a baseball. Un giorno, il maestro portò me e altri ragazzi al lago. Passeggiavo spensierato sulla riva, quando la sabbia perse consistenza e sprofondai. Mentre ero sott’acqua, mi s’incastrò un piede in una staffa di ferro. Attimi lunghissimi, istanti infiniti. Più andavo giù e più mi tornavano alla mente le parole del santero: dovevo evitare i laghi e il mare. Se solo avessi dato ascolto a quelle premonizioni! Sono vivo grazie al mio maestro, il quale, non vedendomi e notando sulla sabbia impronte fresche che a un certo punto si interrompevano, senza alcuna indecisione si tuffò e mi riportò a galla. Da quel momento iniziai a credere che anche quanto comunicato nella cerimonia santera di inerente al mio successo professionale potesse essere vero. Quando mio padre si ammalò di cancro, mi trasferii da lui a L’Avana. Non sapevo nemmeno cosa fosse un cancro, ma accompagnandolo a una serie di visite mediche
capii che presto lo avrei perso. Il dolore era immenso, la carriera e il successo divennero il mio ultimo pensiero. Non sapevo cosa fare: papà era malato e ciò mi frenava psicologicamente, tuttavia dovevo prepararmi per il futuro; così, seguendo il suggerimento di Omero Gonzales, iniziai a studiare danza in una scuola per ballerini professionisti. Conobbi tanti artisti famosi, tra cui George Dixon, mio maestro di afro, e Pancho, un insegnante di danza classica proveniente dalla scuola russa che talvolta ci “correggeva” usando un bastone (un metodo un po’ rigido!). Mi venne data l’opportunità di ballare per un mese alla festa patronale della Charanga de Bejucal. Dovevo interpretare Oggún. A quel tempo non conoscevo le caratteristiche del guerriero. Avrei potuto ballare per imitazione, basandomi su quello che avevo visto, tuttavia non mi bastava perché volevo eseguire al meglio la mia performance. Mi rivolsi a Jejo, capo musicale, vecchio santero e, secondo la religione yoruba, figlio di Oggún. I suoi suggerimenti furono decisivi poiché mi permisero di trasformarmi durante la danza, interpretando la divinità così fedelmente da identificarmici. Scoprii solamente dopo, in un’altra consulta santera, che io stesso ero figlio
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di Oggún (a dispetto di tanti che mi vedevano come figlio di Changó, dio della musica). Nella medesima occasione mi predissero altre cose, che in seguito si sarebbero rivelate ancora una volta veritiere: la morte di mio padre, il conflitto con una persona a me legata da vincoli di sangue (avuto, appunto, con mio fratello) e il fatto che per trasformare il mio talento in successo sarei dovuto diventare santero. Nel giro di due anni si verificò tutto. Divenni santero, grazie alle cure e ai sacrifici della madre della mia prima moglie, per la quale ero come un figlio. Poco dopo venni chiamato da un amico per sostituire un ballerino in uno spettacolo. Da supplente divenni titolare e partii con la compagnia di allora per lo spettacolo Balle de Caujeri di Cuba. Era la prima volta che prendevo un aereo e, scherzando, dissi che la seconda volta sarebbe stato per andare all’estero. In quel momento il coreografo del “Tropicana”, noto locale cubano famoso in tutto il mondo, mi propose una tournée in Messico. Fu proprio questa tournée che mi consacrò, a livello internazionale, nel mondo della danza. Lazaro Martin Diaz
Introduzione
È
sempre stata spontanea la mia curiosità verso la danza e l’arte in generale. Iniziai a studiare danza classica in una piccola scuola vicino casa, nel periodo dell’asilo. In seguito, dopo mille ed estenuanti preghiere, supportate dal mio evidente amore per il ballo, mia madre acconsentì a farmi partecipare alle selezioni per entrare all’Accademia Nazionale di Danza. C’erano tantissime bambine, disposte tutte in fila e pronte a muoversi come pedine di una scacchiera, alle quali venivano richiesti determinati movimenti. Sul momento non compresi bene la valenza della durissima selezione, fisica ed estetica,
fatta dai docenti. Solo alcune di noi sarebbero entrate, poche. Io risultai idonea. Ricorderò sempre quel periodo: uscivo da scuola il pomeriggio, facevo merenda in macchina, il tempo di finire il succo di frutta all’albicocca, scendevo di corsa e andavo a lezione. I genitori non potevano entrare, così mentre io ballavo insieme ad altre bambine in una sala da cui si vedeva la mia meravigliosa Roma, mamma studiava in macchina i testi per gli esami universitari di sociologia. Devo molto alla formazione in Accademia che, per quanto presentasse un’impostazione rigida e distante anni luce dal calore materno che a mio parere dovrebbe caratterizzare l’insegnamento, mi ha dato basi tecnicamente corrette e pulite che mi hanno permesso, nel tempo, di cimentarmi con facilità in qualsiasi tipo di ballo. Durante l’ultimo periodo, però, iniziai ad avere problemi di disciplina. Dopo cinque anni e diverse
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nozioni apprese, il mio carattere uscì inevitabilmente allo scoperto. Era un grosso sforzo vestirmi come le altre (tutte avvolte da un body celeste con gonnellina, tutte con calzini rosa pallido e scarpette dello stesso colore), perché non ero uguale a loro; inoltre non mi piaceva la freddezza mostrata dalle insegnanti nell’impartire i comandi, ai quali sentivo di non poter più rispondere con un sorriso. Dunque, mi allontanai dalla danza classica per tuffarmi nel nuoto, dove conseguii tutti i brevetti. Come spesso accade, però, quando l’amore è vero, sta lì e aspetta. La danza era dentro di me, nei miei pensieri. Non potevo smettere di ballare, ma non volevo rigide costrizioni. Il corso di modern jazz con Franco Bellani presso l’Associazione Italiana Danzatori (AID) fu la risposta. Un periodo divertente e spensierato. Poi l’università, la danza del ventre e il tango argentino. La danza del ventre mise in luce tutte le potenzialità della mia sensualità: sarà stata
l’età, sarà stata questa disciplina, sta di fatto che stavo diventando una donna. Non ne sapevo molto, ma sentivo che c’era un’importante trasformazione in atto e che non avrei più potuto tornare indietro, anche volendo. Avevo finalmente la libertà di mettere alla prova le mie idee e il mio corpo attraverso la bellezza del movimento. Nell’esecuzione ero del tutto indipendente: se sbagliavo, potevo rimproverare solo me stessa (in realtà la critica più severa, ai limiti dell’aspro), in caso contrario non
dovevo complimentarmi con nessun altro e mi bastava la soddisfazione che trapelava dal mio sguardo sorridente. A quel punto avevo nuovamente bisogno di regole, poiché sentivo la necessità di incanalare tanta passionalità… ed ecco il tango argentino. Per la prima volta mi dovevo fidare di qualcuno che decideva per me, lasciarmi guidare da lui e, per di più, lo dovevo fare sui tacchi! Mi sentivo donna in qualsiasi gesto, espressione e sguardo, ma con resistenze, fisiche e psicologiche, degne di un lottatore di sumo. Un equilibrio disarmante quello del tango, che cambia in modo repentino. La velocità e la leggerezza dell’esecuzione sono sensazioni intense e contrastanti, che fanno sentire quanto sangue possa scorrere nelle vene. Tutto ruota intorno a chi balla, che della realtà esterna percepisce soltanto dei flash, assaporando la complicità del partner. Aleggia un’atmosfera irreale in cui errori, sentimenti e pulsioni si intrecciano in maniera
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imprevedibile, travolgente. Le spinte emotive si sviluppano in un turbinio crescente di ricordi, emozioni, dolori. Il fiato rimane sospeso, finché ogni cosa si dissolve come polvere, in un soffio. All’improvviso tutto finisce. La sensazione di uno schiaffo appena ricevuto e appena dato. Venendo dal tango, consideravo la salsa troppo “popolare” per me, ma forse ero io a essere un po’ troppo “snob” per lei. Stavo affrontando un periodo davvero difficile, un po’ di spensieratezza e allegria avrebbero fatto al caso mio. Presi superficialmente sottogamba la salsa, non capendone il valore artistico ed emotivo, fino a quando, al termine di una lezione, raggiunsi una mia amica cilena (ma nata a Cuba) in un famoso locale salsero con musica dal vivo. Mi sentii un po’ come nella favola di Alice nel Paese delle Meraviglie quando, guardando dalla serratura di una porticina, mi apparve un mondo fantastico. Un giovedì sera come tanti, in un locale pieno di gente; il tavolo davanti al palco, qualcosa da bere. Colori soffusi, ritmi che smossero una parte istintivamente gioiosa di me. I pensieri erano confusi, ma sentivo una forte curiosità e una totale apertura
mentale verso quel mondo ancora inesplorato. Tra la folla riconobbi un ragazzo che avevo conosciuto pochi giorni prima. Gli andai incontro per salutarlo e gli sorrisi. Il gruppo dominicano iniziò a suonare Valio la pena. Lui, ballerino bravissimo, mi invitò a ballare chiedendomi: «Lo sai di chi è questa canzone?». Un po’ imbarazzata, feci cenno di no con la testa. «Marc Anthony», disse lui, sorridendo divertito dalla mia inesperienza. Fu così che ballammo. In quel momento provai un’emozione fortissima: non capivo nulla di ciò che stava succedendo, ma mi sentivo bene e mi stavo divertendo tantissimo. Come d’incanto, la gente sembrava sparita, la mente era tanto libera quanto confusa, il corpo completamente attraversato dalla musica e dalla voce del cantante. Sentivo che quel ragazzo sprigionava e trasmetteva una forte energia positiva, passionale, solare. Era lì che dovevo arrivare, e intendo arrivare tuttora. Quando sento quella canzone ripenso a quel giorno e di conseguenza a tutti i progressi fatti, a tutte le cose accadute, agli stage frequentati, alle persone che sono entrate a far parte della mia vita e
a quelle che ne sono uscite, a tutto ciò che devo ancora imparare. Un viaggio artistico pieno di sfaccettature ed esperienze, che spero continui in questa direzione. Io, che senza l’amore e la curiosità per le contaminazioni artistiche e culturali non so vivere, adoro l’idea che ogni persona, ballando, diventi un insolito, misterioso e affascinante “traduttore”. Grazie alla danza, infatti, la musica si trasforma in movimento e il ballerino comunica ciò che ascolta attraverso il linguaggio del corpo, per poi trasmetterlo agli altri senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Un incontro di emozioni e sensazioni che arrivano direttamente all’animo umano. Il desiderio di conoscere quanto più possibile il complesso e variegato mondo della danza mi ha spinto a collaborare alla stesura di questo libro, frutto della pluriennale esperienza maturata da Lazaro Martin Diaz nel campo dell’insegnamento della salsa. Ballerino, maestro e coreografo cubano di fama internazionale, attraverso il
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racconto delle sue esperienze Diaz svela la vera essenza di questa affascinante danza caraibica, proponendo un nuovo e stimolante approccio a un tipo di ballo troppo spesso sottovalutato. Domitilla Petriaggi
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N
on è un caso che il titolo del presente volume, Evolution Salsa, eluda la corretta forma inglese “salsa evolution”. Lazaro Martin Diaz, infatti, ripercorre la storia di questo ballo prestando particolare attenzione ai cambiamenti e alle contaminazioni che l’hanno caratterizzato e mettendone in luce le peculiarità tecniche e artistiche, nonché gli aspetti meno noti o scarsamente considerati. In tal modo, egli intende contrapporre alla generale disinformazione sulla cultura cubana un contributo genuino alla conoscenza della salsa nella sua forma più autentica. Talvolta, grandi organizzatori di eventi e maestri internazionali hanno negato la partecipazione di ballerini e artisti cubani a diverse manifestazioni, forse a causa di pregiudizi o probabilmente per il semplice fatto di ✱M iguelito Cuní (1920-1982, a sinistra) e Félix non aver compreso lo spirito cubano e la vera radice Chappottín (1907-1983, a destra), dal 1950 membri del “Félix Chappottín y su Conjunto todos estrellas”, del ballo conosciuto a livello internazionale come uno dei più famosi gruppi son cubani. salsa. Cuba, invece, ha sempre offerto, e continua a offrire, al mondo una vasta gamma di balli e ritmi, come il cha cha cha, il mambo, il son, la rumba e la salsa stessa, da cui hanno attinto, per trovare ispirazione, diverse generazioni di artisti, tra i quali molti compositori, musicisti (basti pensare alle sonorità afrocubane del latin jazz), ballerini e registi. La musica, il ritmo e la danza sono una parte fondamentale del patrimonio culturale cubano, e la salsa rappresenta l’emblema della mentalità di
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questa terra. Il popolo cubano, infatti, affrontando con ottimismo e ironia le numerose avversità e sfide della vita, dimostra che si può essere felici anche con poco: basta un po’ di musica, un sorriso e un ballo in compagnia degli amici. Molti paesi, tra cui Venezuela, Santo Domingo, Porto Rico, Colombia, Perù e Stati Uniti, hanno introdotto alcuni elementi folcloristici della loro cultura nella salsa, che però ha conservato la struttura musicale cubana. Tante nazioni hanno altresì rivendicato come propria la nascita di questo ballo, ma la storia della danza cubana ne rivela ampiamente l’origine autentica. La salsa, infatti, è frutto tanto dei forti cambiamenti socio-culturali avvenuti a Cuba, quanto dell’evoluzione di una serie di balli di provenienza europea e africana (conga, danza, contradanza, danzón, son, rumba, mambo, cha cha cha, ecc.). La salsa è una danza nata in maniera spontanea e anonima, trasmessa oralmente di generazione in generazione. La scelta di utilizzare il nome “salsa” è stata un’operazione strettamente commerciale, realizzata dall’industria discografica americana, che ha reso famoso questo ballo in tutto il mondo. Nel linguaggio popolare cubano, la parola “salsa” veniva invece utilizzata per indicare qualcosa di piacevole da assaggiare, da ascoltare o, se riferito a persone, da ammirare. Nel luogo in cui è nata, la salsa (intesa come musica e ballo) è conosciuta come casino, e tuttora continua a essere chiamata così tra i cubani puristi o di una certa età. Il casino era un club privato dove i ragazzi della media borghesia sperimentavano forme di danza innovative, eseguendo balli di strada in modo più raffinato e realizzando una commistione di balli popolari tradizionali. Così, modificando il tempo e il passo base del son e introducendo, proficuamente, alcuni passaggi del rock’n’roll, ha preso progressivamente vita la salsa. Ballata in tutto il mondo, essa assorbe inevitabilmente i valori etici ed estetici dei diversi luoghi in cui viene praticata e, di conseguenza, è un tipo di danza ancora oggi in continua evoluzione (per figure inedite o innovative gestualità), che lascia ampio spazio alla creatività, alla libera espressione individuale nonché alla fantasia, alla personale interpretazione e all’inserimento di nuovi elementi, frutto delle più diverse e brillanti contaminazioni artistiche.
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