Scrivere un film

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Piccola Biblioteca delle Arti Scrivere un film



Alessio Billi

SCRIVERE UN FILM Guida pratica alla scrittura cinematografica


In copertina: Un’inquadratura dal film Thelma & Louise (1991 © Pathé Entertainment/Metro-Goldwyn-Mayer) Stampa: Tipografica Artigiana s.r.l. – Roma Copyright GREMESE 2012 © New Books s.r.l. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta e trasmessa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-703


Indice Introduzione

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1. ELABORARE UNA STORIA 1.1. Pescare l’idea giusta 15 1.2. Sintetizzare l’idea 21 1.3. Lavorare sulla scaletta 25 1.4. Scrivere un soggetto coinvolgente 30 1.5. Un esempio di idea e di soggetto: Quattro passi tra le nuvole (1942) 31 1.6. Scrivere un trattamento 35 1.7. Dedicare tempo a preparare la sceneggiatura 2. INNESCARE UN CONFLITTO 2.1. Far scattare l’identificazione 41 2.2. Creare conflitti esteriori 43 2.3. Creare conflitti interiori 47 2.4. Aggiungere ostacoli sulla strada del protagonista 50 2.5. Modulare la progressione della storia 2.6. Non esagerare con il conflitto 54 2.7. Tenere in sospeso la scena 56 2.8. Un esempio: I soliti ignoti (1958) 57

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3. DARE SPESSORE AI PROTAGONISTI 3.1. Entrare nella storia attraverso il protagonista 5

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3.2. Caratterizzare i personaggi 66 3.3. Tracciare un profilo 69 3.4. Immaginare un antefatto 70 3.5. Incarnare un personaggio 71 3.6. Il personaggio è quello che fa 73 3.7. Il vostro eroe ha riportato un trauma 3.8. Il vostro eroe ha un vuoto interiore 3.9. Raccontare la motivazione 85 3.10. Conferire un obiettivo 86 3.11. Esplorare l’inconscio 90 3.12. Presentare l’eroe96 3.13. Un esempio di sceneggiatura: Profumo di donna (1974) 102

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4. STRUTTURARE L’INTRECCIO 4.1. Ordinare la storia in tre atti 107 4.2. Iniziare in modo interessante 114 4.3. Determinare il primo punto di svolta 116 4.4. Far partire il secondo atto 123 4.5. Arrivare alla seconda svolta 129 4.6. Culminare nel terzo atto 132 4.7. Far cambiare i protagonisti 141 4.8. Rinunciare alla trasformazione dei protagonisti 143 4.9. Un esempio di sceneggiatura: Gomorra (2008) 147 5. UTILIZZARE TUTTI I MEZZI ESPRESSIVI DEL CINEMA 5.1. Gestire i punti di vista 151 5.2. Dare ritmo all’azione 161 5.3. Gestire il tempo cinematografico 167 5.4. Seminare e raccogliere: impostare gli sviluppi 178 5.5. Mettere la parola al centro della rappresentazione 184 5.6. Un esempio di sceneggiatura: Io e Annie (1977) 188 6


INDICE

6. CONCEPIRE SCENE INTERESSANTI 6.1. Adeguarsi al formato tecnico 193 6.2. Dare a ogni scena una funzione drammatica 200 6.3. Costruire la singola scena come l’intera sceneggiatura 202 6.4. Rendere la sceneggiatura plastica e visiva205 6.5. Modificare le aspettative dei personaggi e del pubblico 208 6.6. Un esempio di polarizzazione: Il successo (1963) 211 7. SCRIVERE OTTIMI DIALOGHI 7.1. Non sottrarre forza alle immagini 217 7.2. Scrivere dialoghi essenziali 218 7.3. Cancellare la soggettività 220 7.4. Mettere a punto il congegno dialogico 222 7.5. Variare la tipologia dei dialoghi 231 7.6. Far parlare i personaggi con il loro linguaggio

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8. LAVORARE IN ITALIA 8.1. Progettare un film è come scrivere sulla sabbia 245 8.2. Entrare in contatto con il pubblico 247 8.3. Riflettere sul tema della storia 249 8.4. Lavorare in team 256 8.5. Trarre esempio dai più bravi 259 8.6. Vendere il copione 261 8.7. Tradurre la complessità del mondo 263 Filmografia delle principali opere menzionate Bibliografia 271

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Introduzione «Le pellicole italiane che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali. […] Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta e alcuni film degli anni Ottanta, e ora sento che è tutto finito». (Quentin Tarantino)

Quali sono i segreti di Billy Elliot, Le iene e Tootsie? Perché Chinatown, Ufficiale e gentiluomo, E.T., Thelma & Louise e Il Padrino ci emozionano? Che ruolo giocano la struttura e l’intreccio in Mystic River e Quarto potere? Per quale motivo i protagonisti de Il sorpasso e Gomorra sono coinvolgenti? Quali sono le ragioni del successo de Il discorso del re e Qualcosa è cambiato? Come si scrivono scene efficaci? Cosa porta il pubblico a seguire un film? In sostanza, quali sono i ferri del mestiere di uno sceneggiatore? Le pagine seguenti intendono rispondere a queste e a molte altre domande. L’obiettivo è divulgare i metodi di costruzione di una sceneggiatura, offrire a una cerchia estesa di appassionati gli strumenti per “leggere” un film o “scrivere” un copione e rivolgersi agli addetti ai lavori che abbiano il desiderio di perfezionare la propria tecnica, attraverso gli esempi di opere di successo ed estratti delle sceneggiature più riuscite.

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Per la loro formazione artistica, gli aspiranti pittori studiano la fisica della luce e le opere di Cezanne e van Gogh. I musicisti forgiano il loro talento apprendendo la teoria della composizione e allenandosi sulle partiture di Mozart e Beethoven. Cosa fanno gli sceneggiatori per migliorarsi e imparare i rudimenti del loro lavoro? La scrittura cinematografica è basata sulla conoscenza di alcune linee guida, di criteri che si possono desumere dalle opere dei predecessori. Solo assorbendo le strategie utilizzate dai maestri si impara la tecnica e si hanno opportunità per svilupparne una personale. Imparare dai migliori per imitarli, e rendersi conto degli errori per non ripeterli, è sacrosanto. Come ha detto Age, autore della commedia all’italiana, chi crede che si possa scrivere un copione senza conoscere la tecnica, si sbaglia. «La tecnica sostiene l’ispirazione e viene dall’esperienza, dallo studio e dall’osservazione di ciò che gli altri hanno fatto». I segreti di “cucina” dei grandi autori, gli artifici narrativi del cinema di genere, gli espedienti dei film americani, le battute celebri dei vostri attori preferiti, la capacità di sorprendere che hanno certe storie europee e hollywoodiane: sono tutti esempi che rivendicano la necessità di una teoria della narrazione universalmente riconosciuta e che fanno i conti con una prassi consolidata dello scrivere. Assorbire i modelli alti di cinema vuol dire far scorrere al rallentatore una carrellata di sequenze indimenticabili. Ecco perché questo libro è anche un viaggio attraverso le migliori scene della cinematografia, un percorso avventuroso che unisce teoria e pratica. In Italia c’è stato un ritardo storico nell’analisi del codice narrativo dei film. Il cinema, arte popolare per eccellenza, si è scontrata con lo snobismo degli intellettuali. Molti professionisti si rifiutano ancora oggi di rapportarsi a una “teo-

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INTRODUZIONE

ria della scrittura”. Esaltano l’istinto e guardano con sospetto alla tecnica. Si domandano se esistano dei principi stilistici nell’arte, se sia possibile insegnare a scrivere un film e se si possa associare il successo di un’opera alla cognizione del suo funzionamento. Il pragmatismo degli Stati Uniti, invece, ha portato a investigare da subito il linguaggio audiovisivo. L’orientamento al mercato ha condotto gli americani a stabilire una matrice comune del know-how di scrittura. Sembra giunta l’ora, anche in Italia, di emanciparsi dall’idea aristocratica dell’arte come folgorazione divina, di cancellare l’immagine romantica del “sacro fuoco” dello scrittore. Il fatto che alcuni talenti abbiano connaturato al loro modo di raccontare efficaci congegni narrativi non toglie la possibilità a una nuova generazione di autori di studiare da vicino gli elementi drammaturgici e di riconoscere strutture narrative che funzionano perfettamente. Sapere quali sono i principi analitici di costruzione di un film non mette lacci alla creatività personale e alla libertà di elaborare un’opera totalmente originale. Questo libro mostra la completa strumentazione dello screenwriting. Mira a formare spettatori meno passivi e ad aiutare i talenti ineducati a migliorarsi. Approfondisce la riflessione sulla scrittura partendo dalla nostra situazione culturale e dalla sua specificità. Offre stralci di sceneggiature come esempi di ciò che è riuscito nella pratica. Attraverso un approccio empirico, propone un possibile metodo di scrittura e fruizione dei film, senza tuttavia la presunzione di fornire soluzioni valide per tutti o facili ricette per il successo. Per chi si cimenta nella sceneggiatura, valgono le osservazioni di Amos Oz: «Per scrivere bisogna essere capaci di assumersi una mezza dozzina di conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di convinzioni, veemenza ed empatia». Se ci si accosta a una materia tanto complessa senza la minima predisposizione, meglio non

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sprecare tempo. Ma se avete il coraggio di assumere una vocazione, se cercate un legame con un pubblico, allora questo libro fa al caso vostro. La cassetta degli attrezzi del narratore sarà utile per sapere come incantare lo spettatore. Poi toccherà a voi la parte creativa, lavorando per ore davanti al pc nel tentativo di portare alla luce idee intense, coniugando l’aspirazione all’ordine con la libertà inventiva. Le pagine seguenti si propongono di spazzare via tanti luoghi comuni. Il primo tra tutti è che la funzione dello sceneggiatore sia secondaria rispetto a quella del regista e che i copioni non abbiano valore nella fase embrionale di un film. Un giorno Robert Riskin, collaboratore di Frank Capra e sceneggiatore di È arrivata la felicità, stanco di sentire parlare del “Capra’s touch”, come era stato ribattezzato lo stile del regista, gli inviò 120 pagine bianche e sul frontespizio la scritta «Caro Frank, applica il tuo celebre tocco a questo». Nel nostro ambiente cinematografico si ha la percezione che il regista sia l’unico autore del film. Dopodiché, in ogni produzione italiana prevale un atteggiamento caotico per cui l’unica cosa che conta è trovare uno sbocco produttivo e il testo del copione è qualcosa che verrà. Negli anni Sessanta, Ennio Flaiano chiosava amareggiato: «Un orologio costa molto meno di una sceneggiatura, ma se si guasta nessuno si sogna di mettersi a ripararlo. Tutti invece in Italia sono convinti di conoscere il trucco. Lo sceneggiatore, in questi casi, è uno che ha tempo. Il suo lavoro però dovrà essere rivisto da persone fidate del produttore o del regista: parenti bravi in italiano, portieri, segretarie, amanti, insomma, dal cosiddetto pubblico».1 Questo vizio ideologico sembra oggi addirittura più radi-

1 Ennio Flaiano, su «Cinema Nuovo», 1954, riportato in Narrare col cinema oggi in Italia, Roma, Dino Audino, 1993, pag. 45.

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INTRODUZIONE

cato. La professionalità dello sceneggiatore e il suo sapere tecnico trovano scarso riconoscimento. Lo sceneggiatore italiano resta “uno che ha tempo”. La natura stereotipata dei nostri prodotti e la loro mancata penetrazione fuori dalla penisola derivano anche dall’approssimazione con cui sono progettati. La rete che lega la sceneggiatura al mercato appare piena di buchi. La svalutazione della fase di scrittura, l’impreparazione e talora l’inesistenza di “lettori” preposti a valutare i copioni, hanno contribuito a un impoverimento del mestiere. Non è un caso che scrittori e cineasti italiani manchino spesso all’appello dei grandi festival. I loro racconti per immagini faticano a imporsi al box office e sul target giovanile (eccetto alcune fortunate commedie). Queste storie non parlano del nostro paese e della trasformazione della società, né fanno i conti con il cambiamento dell’immaginario e dei modi di fruizione degli spettatori. Un altro luogo comune, duro a morire, è che si debba per forza essere neorealisti. Molti produttori invocano il dovere di attingere a fatti reali, come se fosse la soluzione di ogni problema. Questo sfrenato desiderio di verismo non tiene conto del fatto che l’invenzione del cinema, alla fine del XIX secolo, ha creato uno spazio in cui la realtà è trasfigurata e ristrutturata. Il cinema, fin dalla sua nascita, si è assunto la responsabilità dell’illusione, reintroducendo la “realtà vissuta” in un campo di relazioni illimitato. Una grande fabbrica di sogni che parla di tutto: scienziati che usano la macchina del tempo, disoccupati che improvvisano spogliarelli, extraterrestri che scendono sulla terra, e così via. La tanto sbandierata verità della scrittura non esiste. Il neorealismo non è un modo specifico di narrare, né l’unico possibile. Semplicemente, un buon film crea un universo a cui lo spettatore crede. Cappuccetto Rosso si muove in un mondo possibile, in cui i lupi parlano, anche se l’esperienza empiri-

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ca dello spettatore nega tale realtà2. In Manhunter il serial killer è un mostro che stermina famiglie, mentre nella serie tv Dexter accettiamo l’idea che sia un simpatico poliziotto. Un buon film costruisce ipotesi narrative. È una partita a scacchi col pubblico, con mosse e contromosse, per arrivare a una nuova definizione del reale. Dispiega una relazione di eventi che si incarica di rispondere se le previsioni dello spettatore su come andrà a finire sono giuste. La partita si vince in base al coinvolgimento del giocatore, e si fa scacco matto solo se tutti i pezzi, dai pedoni alla regina, hanno seguito le regole, aggirando al momento opportuno le difese dell’avversario. Questo libro, infine, vuole rappresentare un invito all’ambiente dello spettacolo a cambiare atteggiamento, passando dall’isolamento, dal cumulo di indifferenza, fatalismo e autocensura, a un modo nuovo di rapportarsi alla sceneggiatura per uscire dall’arretratezza in cui versiamo. Un’identità precisa dello sceneggiatore aumenta la coscienza del valore del copione e – nell’impossibilità di un rapporto predeterminato col mondo produttivo – stimola a inventarsi un equilibrio originale col mercato. Mestieranti e non, alla fine del libro, potranno impiegare la loro capacità affabulatoria in strade proficue. Saranno pronti a scrivere racconti non stereotipati, a coltivare i loro sogni, a cercare il successo con storie forti. L’auspicio, insomma, è che la conoscenza della meccanica narrativa e la capacità di una maggiore elaborazione teorica possano influenzare profondamente l’esperienza dello scrivere; e insieme, che il riappropriarsi di una consapevolezza tecnica, ormai smarrita, conduca a recuperare quel rapporto col pubblico – italiano e internazionale – che da lunghi, troppi anni, si è spezzato. Cfr. Umberto Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979. Un mondo possibile è «un corso di eventi configurato dall’atteggiamento proposizionale dei protagonisti del gioco narrativo», cioè dalle credenze, dalle speranze e dalle attese messe in campo dai lettori. 2

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1. Elaborare una storia «Il soggetto è sempre una curiosa ipotesi, spesso anche geniale. O comunque, quando non nasce dalla meccanica commerciale, nasce da un’intuizione di talento». (Ennio De Concini)

1.1. Pescare l’idea giusta Gli sceneggiatori sono come spugne che si imbevono di tutto il raccontabile. La loro ispirazione giunge per vie trasversali e misteriose. L’idea, come dice la sua etimologia (dalla parola greca eidos, che significa “vista”), è un’immagine su cui la mente si fissa. Nessuno conosce il segreto per catturare un’immagine nell’interminabile flusso di pensieri che attraversa la testa di uno scrittore. Secondo Bergman, l‘idea iniziale di un film sorge in modo assai vago: una frase casuale, un brano di conversazione, un tenue fatto indipendente da qualsiasi particolare situazione. Quando l’idea viene gettata su carta, è seguita da un grappolo di nuove idee e può diventare tutt’altro. Cambia fisionomia, si precisa, fa partire una concatenazione di illuminazioni che tracciano le direzioni della storia. Lo sceneggiatore rappresenta una porzione del mondo partendo da

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una precisa simulazione. “Facciamo finta che una vedova finisca sul lastrico e sia costretta a prostituirsi. Che succede poi?”. Il racconto si muove da una particolare congettura per cogliere l’autenticità degli eventi. È il metodo sperimentale dello scienziato, che formula un’ipotesi e sviluppa un esperimento per convalidare la propria ipotesi. L’autore di una storia fa dunque in modo che una finzione rifletta la sua percezione del reale, abbandona poi l’ispirazione originaria quando il suo racconto si evolve, e fa infine credere che il racconto elaborato sia uno specchio fedele della vita. «L’arte è fondata sulla verifica ininterrotta del mondo, e per attuare questa verifica noi fondiamo parallelamente al mondo, come di riflesso, un’altra realtà, mettendo a confronto l’eterogeneità della nostra sensazione e della nostra esperienza con le strutture artificiali dell’arte».1 La scrittura esplora, approfondisce, rinnova, si contraddice, cerca un suo equilibrio. Un “esperimento artistico” ha il compito di comunicare un pensiero solido e di comprovare la verità immaginata dall’autore.

Cosa succederebbe se…? Dicevamo che un modo per stanare le idee, utilizzato nell’industria cinematografica statunitense, è interrogare la storia ai suoi albori e individuare l’interrogativo che fa partire il racconto: “Cosa succederebbe se…?”. Cosa succederebbe se un attore, disoccupato e rifiutato da ogni set, scoprisse che è disponibile una parte femminile in una soap opera? La storia è quella di Tootsie. La risposta

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Viktor Šklovskij, Teoria della prosa, Torino, Einaudi, 1976, pag.

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alla domanda è: l’attore deciderebbe di travestirsi da donna pur di ottenere un impiego. Dall’ipotesi di una situazione base (un attore frustrato perché nessuno lo fa recitare) si arriva a mutare la prospettiva: l’attore si finge donna e si candida a un ruolo femminile nella soap. Altre domande servono a esplorare i diversi bivi della storia. Nel caso di Tootsie gli sceneggiatori possono essersi chiesti: cosa succederebbe se l’attore travestito da donna facesse amicizia con un’attrice e si innamorasse di lei? E se ottenesse un successo strepitoso con la sua interpretazione nella soap? Rinuncerebbe al successo e tornerebbe nei suoi veri panni? È un gioco che si può fare con molti film. Cosa succederebbe se un carabiniere ricevesse il compito di accompagnare in un orfanotrofio una giovane vittima di abusi sessuali? E se il militare fosse di origini meridionali? E se dovesse attraversare l’Italia dal Nord al Sud? Il viaggio sarebbe l’occasione, per lui, di tornare alla propria terra e fare amicizia con una ragazzina, come ne Il ladro di bambini. “Cosa succederebbe…?” è un interrogativo che fa scaturire delle possibilità a cascata. Ogni volta che vi ponete questa domanda, esplorate il mondo narrativo. Le risposte forniscono una traccia da seguire, determinando ciò che ai vostri personaggi sarà consentito fare e gli sviluppi della situazione. Valutate dunque le direzioni, confrontatele e scegliete la migliore. Da una gemma possono nascere foglie, rami e fiori: sta a voi decidere cosa tagliare e cosa coltivare. Divertitevi a imboccare sentieri che ribaltano le prospettive. Pensate a quale idea è già stata raccontata e cosa di nuovo il pubblico vorrebbe vedere realizzato partendo dalla stessa premessa. Gli autori di The Witness – Il testimone sono partiti da una domanda: cosa succederebbe se un bambino fosse testimone di un delitto? Questa premessa sembrava abbastanza logora e già vista. Hanno interrogato la storia per imboccare

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una strada nuova. Si sono detti: e se mostrassimo un uomo d’azione, il tipico poliziotto da thriller, che protegge il testimone, ma è costretto a restare in una comunità dove la violenza è bandita e si professa il pacifismo? Facciamo ancora qualche esempio. Cosa succederebbe se un ladruncolo simulasse la pazzia per evitare il carcere? E se fosse spedito in un manicomio più autoritario dello stesso carcere? Qualcuno volò sul nido del cuculo mostra un detenuto che si finge matto e si scontra con la “dittatura” di un ospedale psichiatrico, senza piegarsi e farsi sottomettere. Cosa succederebbe se un avvocato alcolizzato e giunto al crepuscolo si ritrovasse tra le mani una causa legale importante? Il verdetto narra il riscatto esistenziale di un vecchio rudere del foro. Data la domanda iniziale, l’interesse cade più sulla figura del legale che su quella dei meccanismi processuali e suggerisce una modalità narrativa inconsueta. Lo spunto iniziale può essere originato anche dal desiderio di ribaltare lo stereotipo di un genere cinematografico. Gli sceneggiatori de Il pistolero hanno preso una figura mitica del western e l’hanno messa in discussione, rendendola problematica. Cosa succederebbe se un pistolero fosse visto come un male dalla società che egli ha sempre servito? E se il pistolero fosse anche vecchio e malato? Il punto di partenza può essere una situazione di arretratezza culturale e legislativa. Cosa succederebbe se nell’Italia degli anni Sessanta, dove la legge giustifica il “delitto d’onore”, qualcuno se ne servisse per ammazzare la moglie? Sarebbe beneficiato dall’articolo 587, si appellerebbe alla clemenza della corte e uscirebbe dal carcere nel giro di due anni. E se un marito si volesse sbarazzare della moglie perché innamorato di un’incantevole cuginetta? Ecco servito Divorzio all’italiana.

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Elaborare materiale autobiografico Lo spunto di un film può essere dato da un evento autobiografico e dall’osservazione delle proprie reazioni a quell’evento. Non buttate via le esperienze intense che avete vissuto. Una malattia, ricordi familiari, episodi dell’infanzia, la fine di un amore possono innescare domande che troveranno risposte in una storia. Narrare è quel che vi accade sommato alla vostra riflessione. Rendete interessante quello che avete da dire. Inventate un mondo tanto vicino agli altri da essere riconoscibile. Selezionate i fatti, distinguendo tra “fiori” attraenti ed “erbacce” ribelli. Prendete la giusta distanza. Mantenete un’intensa commozione per il racconto. Non fatevi tentare dagli eccessi di una trama indiavolata. Soprattutto, non cercate a tutti i costi l’eccezionale e lo straordinario: anche un piccolo evento, inserito in un racconto ben costruito, può diventare universale attraverso una scrittura coinvolgente.

Rifarsi alla “scuola” del naturalismo La scaturigine di un’idea può arrivare dalla lettura di un giornale, dalla forte impressione ricavata da una notizia di cronaca, dal particolare interesse verso un tipo umano o una pagina della storia nazionale. Immergetevi nella realtà e nella cronaca come cercatori d’oro a caccia di pepite, magari ritagliando gli articoli dei giornali e classificandoli in uno schedario. Indagate la realtà. Si racconta che negli anni del dopoguerra gli sceneggiatori facessero a gara per arrivare per primi all’ufficio della SIAE e depositare intere pagine di giornale. Non confidate, però, nella riproposizione meccanica dei fatti: da soli questi non bastano. La vostra raffigurazione passa attraverso la capacità di rendere leggibili le cose ma anche di inserirle in una composizione. Di per sé, gli eventi della realtà sono aperti e dispersi, e vanno iscritti nelle ma-

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glie di un racconto. Racchiudeteli tra un inizio e una fine. Formate una struttura di apparenza ricostruendo la realtà nella finzione. Optate per una chiave di lettura e analisi. Create personaggi che incarnano un universo.

Attingere dalla letteratura e dal cinema La vena inventiva non è inesauribile. Ecco perché risulta comodo metabolizzare idee desunte da romanzi e film interessanti, ispirarsi a personaggi e situazioni dell’universo letterario e cinematografico, rivitalizzare quelle storie e potenziarle. Si può leggere in modo critico la grande letteratura, anatomizzare gli schemi nar rativi e cercare di ricostruirli; sfruttare dei personaggi esistenti per inserirli in una nuova realtà; utilizzare dei film come modelli e confrontarsi in modo dissacrante con la “tradizione”, ovvero con ciò che è stato raccontato dallo stesso medium in precedenza. «La letteratura è l’orchestrazione dei luoghi comuni», amava ripetere Billy Wilder, mettendo a nudo i meccanismi ripetitivi del racconto. Allora come si produce l’originalità? Cos’è che allontanerà la vostra sceneggiatura dai luoghi comuni? «È attraverso il movimento di piccoli scarti che formano un insieme inafferrabile in rapporto al ricordo e all’attesa, che si produce nel corso continuo delle sensazioni reperibili… una rottura, o semplicemente qualcosa che non entra nel sistema delle coordinate sensoriali».2 La produzione di un testo è un lavoro occulto di “scarti” che allontanano dai materiali di ispirazione e, di stratificazione in stratificazione, arrivano a produrre un senso globale. Recuperare scheletri narrativi vuol dire mimetizzarli, 2

Serge Leclaire, Smascherare il reale, Roma, Astrolabio, 1972, pag.

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aggiungerli a una serie di intuizioni e di scoperte, fino a plasmarli in una creazione originale. Questo è tanto più evidente nel cinema di genere, dove il pubblico si aspetta di vedere schemi sperimentati. Sarà l’inserzione dei nuovi elementi a costituire la variazione nel sistema di attese, e a rendere la storia imprevedibile nella giusta misura.

1.2. Sintetizzare l’idea Francis Scott Fitzgerald consigliava agli aspiranti romanzieri di girare con carta e penna e di appuntarsi tutto quello che si pensa. Molti sceneggiatori vanno in giro con un block-notes sul quale trasferiscono le loro idee per non farsele scappare di mente. Il taccuino diventa così un laboratorio tascabile. Altri sceneggiatori utilizzano ampie cartelline in cui riuniscono appunti, articoli di giornali e fotocopie di libri. In questa fase preparatoria ognuno ha i propri rituali. Il primo passo del processo di scrittura è comunque la raccolta di idee che vengono in mente. Il secondo passo è scartare quelle meno promettenti e scegliere le migliori. Prima di andare avanti, chiedetevi se lo spunto è originale, fresco, stimolante, oppure è “già sentito”, troppo cervellotico e macchinoso. Impiegare energia in una cosa sbagliata vi farà solo perdere tempo. «Perché una storia abbia successo, è fondamentale che abbia una buona premessa. Per diverse ragioni pratiche: anzitutto, Hollywood esporta film in tutto il mondo e il grosso dei profitti le proviene dal primo weekend di uscita; ciò spinge i produttori a prediligere i film con una premessa high-concept, ovvero quei film che si possono condensare in un’unica frase accattivante e immediatamente comprensibile capace di portare nelle sale quanta più gente possibile. In

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secondo luogo, nella vostra premessa c’è la vostra ispirazione; è quella lampadina che vi si accende nella mente e che vi fa dire: “Questa è proprio una grande idea per una storia”, e l’entusiasmo che ne consegue vi spinge a dedicare mesi o perfino anni al lavoro di stesura. Questo ci porta a un altro punto importante: nel bene e nel male, la premessa drammaturgica è anche la vostra prigione. Una volta che avrete deciso di sviluppare un’idea, saranno migliaia quelle che inevitabilmente avrete lasciato fuori».3 All’inizio del lavoro sottoponete il progetto a una verifica rigorosa. Descrivete la storia concentrandovi sull’evento che dà l’avvio all’azione e sull’inaspettato esito finale che la conclude. Riportate l’essenza del film in poche frasi per capire le potenzialità del progetto. Per il produttore de I protagonisti una storia andrebbe raccontata in appena venticinque parole. Per altri, in trenta righe. Secondo un precetto circolante in Italia dal dopoguerra, gli appunti della trama dovrebbero essere contenuti sul retro di una scatola di fiammiferi. Le buone storie si riconoscono dalla loro immediatezza espressiva. Se un film può essere sintetizzato, siete sulla strada giusta. Un racconto di grande nitidezza arriva forte e chiaro alle orecchie del produttore senza perdersi in complicazioni. Se la storia vi apparirà difficile da spiegare gettatela nel cestino. La sintesi vi inchioda alle vostre responsabilità e funziona da rapporto critico con quanto avete immaginato. È una mappa per conoscere il percorso e sapere se vale la pena affrontarlo. L’errore più comune è quello di partire con la sceneggiatura senza avere una forte convinzione nella storia e un’adeguata preparazione alla stesura. Gli scrittori principianti si gettano subito nella scrittura e dopo aver dettagliato una trentina di scene si ritrovano in un vicolo cieco John Truby, Anatomia di una storia, Roma, Dino Audino, 2009, pag. 16. 3

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perché la direzione presa non li soddisfa e le possibilità di sviluppo sono inefficaci. Molti sceneggiatori si affidano a un avvio folgorante, possiedono un inizio ma non sanno come finire la storia. Altri si concentrano su un colpo di scena finale, per poi accorgersi che hanno qualche scena interessante ma sono incapaci di creare la porzione della storia che conduca ad esse. Vi chiederete: “Vado fino in fondo?”. Vi assalirà il dubbio di lasciar perdere. A volte è meglio buttare via una storia nata male se a guidarvi è la cocciutaggine. Piuttosto che intestardirvi sul canovaccio, ricominciate daccapo e scegliete un’altra idea. Ma se ci credete allora non fatevi intimidire dalla vostra parte razionale e andate avanti.

Raccontare la storia ad alta voce Immaginate di dover spiegare a qualcuno di cosa parla il film che avete in testa e di appassionare il vostro interlocutore alla narrazione tanto da convincerlo a finanziare il progetto. È quello che sarete chiamati a fare nella pratica con produttori e dirigenti televisivi, in un mondo spietato dove sono in pochi ad avere il tempo e la voglia di leggere un copione. Presentare a voce il proprio lavoro è fondamentale, talvolta più della stessa scrittura. Non trascurate la fase del lancio, perché si traduce nella vendibilità di ciò che avete fatto. Perciò sintetizzate la storia in pochi passaggi e allenatevi a raccontarla in forma condensata. Prendete il cronometro e datevi cinque minuti come tempo massimo. Mettete in luce i punti di forza della trama, curando l’esposizione verbale, puntando sugli aspetti che colpiscono di più l’immaginazione. Non siate prolissi e comunicate l’essenza della storia con meno parole possibili. Questo prezioso esercizio richiede un talento diverso da quello dello scrittore: istrionismo, enfasi teatrale, linguaggio icastico. Ci sono professionisti della comunicazione che

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hanno una maggiore predisposizione a incantare un uditorio e ad attirarne l’interesse, piuttosto che a sceneggiare. Lo storytelling è caratterizzato dall’improvvisazione e dall’uso di schemi verbali (frasi-chiave, immagini potenti, picchi drammatici) che si sovrappongono allo stile narrativo personale. Ma sottende anche una sua moralità. È come se l’autore stesse trasmettendo un segreto agli ascoltatori e dovesse conquistare la loro attenzione con ogni mezzo, purché lecito. Nell’ambiente cinematografico raccontare un film nel più breve tempo possibile si chiama pitching. Il termine è preso dal baseball, dove significa “lanciare la palla al battitore”. Lo sceneggiatore espone la propria idea, ne sottolinea i punti di forza e la “lancia” nella speranza che qualcuno la raccolga. Negli Stati Uniti gli agenti cinematografici o le persone specializzate nel pitching raccontano la storia ai potenziali compratori. Nel periodo che va da ottobre a novembre si assiste a una presa d’assalto degli studios. I dirigenti danno udienza in apposite pitch sessions, in una sorte di “mercato delle vacche”, e concedono alle proposte solo pochi minuti del loro prezioso tempo. Anche se in Italia non c’è un rituale codificato, per gli scrittori esordienti raccontare una buona storia a un produttore resta un “biglietto da visita”, un modo per farsi conoscere. Il pitch è un punto di partenza e non un punto di arrivo, perché c’è una grande difficoltà a reperire capitali e, come già accennato, una generale svalutazione dello script. La maggior parte dei progetti, purtroppo, non nasce dalla sceneggiatura, ma è facilitata dall’avere in cartellone un attore famoso o la partecipazione di un regista premiato dal botteghino.

Fissare l’idea in una bozza La premessa della storia, il suo sviluppo e la sua conclusio-

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ELABORARE UNA STORIA

ne, la “chiave” con cui entrate nell’intreccio e nei personaggi possono maturare nel corso di giorni e svilupparsi in associazione ad altri elementi. Confrontate le diverse strade che un’idea può imboccare: spetta a voi scegliere la migliore. Ogni alternativa fa germogliare l’idea in una trama con un senso specifico. Non importa quanto ci mettete a fare le vostre valutazioni. Fretta e superficialità non sono consentiti. Datevi al “cinema mentale”. Sognate ad occhi aperti le azioni dei personaggi. Recitate intere sequenze nella testa. Liberate la scrittura nel pensiero, per poi prendere i vostri appunti e fissare la narrazione su carta. Se lavorate troppo in astratto, perderete la possibilità di avere altro materiale. Mettete nero su bianco, fate ordine nel caos, aggiungete dettagli che vi vengono in mente. Preparate con scrupolo il materiale narrativo. È una tappa fondamentale, che se bene impostata consentirà di risparmiare tempo sul copione. È importante scrivere per cominciare a decidere che direzione va presa. Trasferire lo spunto sulla pagina aiuta ad evocare altre idee. Per una magica concatenazione la storia comincia a prendere forma. Elaborate due pagine che presentino il film. Precisate gli accadimenti che scandiscono la vicenda marcandone l’evoluzione. Se non capite qual è il nocciolo della storia e perché esercita un magnetico potere sulla vostra psiche, non abbiate paura. In genere, per quanto strano possa sembrare, si arriva a comprendere il significato profondo del film… solo dopo averlo scritto!

1.3. Lavorare sulla scaletta «La scaletta è uno strumento riservato esclusivamente a chi vi ha lavorato e vi dovrà lavorare su. È un documento redat-

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SCRIVERE UN FILM

to in forma ellittica, in codice, con l’uso a volte di parole gergali».4 Nella scaletta individuerete le tappe che disegnano l’invisibile tirante della storia. Fissate gli snodi narrativi certi, quelli di cui la vostra storia non potrà fare a meno. Scandite in ordine progressivo le azioni dei personaggi, sintetizzandone i movimenti. Non stendete descrizioni o dialoghi. Condensate in una riga una scena o gruppi di scene, numerandole in ordine progressivo. Leggiamo il seguente esempio desunto da una celebre commedia. 1. L’anziano CAPANNELLE fa da palo mentre il complice COSIMO tenta di rubare un’auto. La polizia arresta Cosimo, Capannelle scappa. 2. Dal carcere, Cosimo richiede una “pecora” (qualcuno che si autoaccusi del furto) perché ha appena appreso da un detenuto la dritta per un colpo e vuole uscire subito. 3. Capannelle compie la ricerca del capro espiatorio. Il primo cui vuole rivolgersi sta già scontando una pena. 4. MARIO, giovane mite e tenero, risponde con un diniego all’offerta di centomila lire per un soggiorno nelle patrie galere: non vuole dare un dispiacere alla mamma. 5. FERRIBOTTE, siciliano di guardia alla sorella da maritare, rifiuta per non compromettere il fidanzamento della ragazza. 6. Il fotografo TIBERIO non può accettare per via del figlioletto che deve accudire in assenza della moglie carcerata. 7. Il pugile PEPPE, l’unico a essere incensurato, rifiuta nella persuasione di avere davanti a sé una trionfante carriera sportiva. 8. Sul ring Peppe viene messo ko al primo pugno. 9. Peppe si autoaccusa del furto davanti al direttore delle carceri, ma non viene creduto ed è sbattuto in galera anche lui.

4

Age, Scriviamo un film, Parma, Pratiche, 1996, pag. 74.

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