#AImagazine - The Art Review | Summer 2017 Nr. 76

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#AImagazine €5,00

THE ART REVIEW*

CANTON TICINO CHF 6,00

PORTFOLIO

Luigi Presicce JACOPO EMILIANI STUDIOPEPE. interview

Ginevra Bria

interviews&folio

Giulio Paolini DIEGO CHIARLO ADRIANO ANNINO DISCIPULA

* Nr. 76 · Summer 2017




table of contents

[LE IDEntità]

#AImagazine,The Art Review | Summer 2017

«Solo, senza fede del governo e molto inquieto nella mente. » Lorenzo Lotto

8 | L’editoriale La pagina bianca

byAndrea Tinterri, Christina Magnanelli Weitensfelder

10 | Interview&folio strumenti di ricerca. giulio Paolini byAndrea Tinterri

18 | Portfolio prodigiosa verità. luigi presicce by Domenico Russo

23 | Art Market finarte by Nicoletta Crippa

26 | Interview&folio i centri termoclini di adriano by Domenico russo

36 | Dietro l’obiettivo Rapporti (visivi) con la realtà

Artwork: How Things Dream(Communication): Domotics, digital print on aluminium, floor stand bracket on wheels, 190 (variable) x85x70 cm (part.)

by Cristina Casero

39 | Interview&folio superfici riflettenti. la saggezza della gravità byAlessandra Ioalè

46 | Interview&folio sistemi di controllo byAndrea Tinterri


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#AImagazine The Art Review

Il quadrimestrale di arti visive più innovativo. Inconfondibile.

#AImagazine - The Art Review | Summer 2017. Giulio Paolini, ‘Giovane che guarda Lorenzo Lotto’, 1967 (particolare)

“Ogni uscita è un punto di riferimento e un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di arte, design e fotografia che non rinunciano al piacere di conoscere quel qualcosa in più, quella visione prospettica da cui osservare tutti gli angoli di ricerca dell’arte.” Edizione ‘ AIM - The Book of Visual Arts ‘ inclusa. Per poter sfogliare la maxi pubblicazione di portfolio e solo testi critici, in lingua inglese e collezionarle assieme.

1 anno entrambe al prezzo esclusivo di € 49,90 per ricevere il form di abbonamento inviare una e-mail con i propri riferimenti a:

subscribe.aimag@gmail.com www.ai-magazine.it AImagazine / AIM The book of visual arts. www.gretaedizioni.com Facebook:



table of contents

[LE IDEntità]

#AImagazine,The Art Review | Summer 2017

57 | Interview Starters ‘estetici’

85 | Intemporanea musica, suono e percezione

60 | About photography and Law

by Mario Mariani

byJennifer Malvezzi

86 |About La città sbilanciata

una scultura ‘ispirata’ ad una fotografia: contraffazione o parodia?

by ScAle architects

93 | Portfolio Cronache marziane

byAvv. Cristina Manasse

62 | About Marco circhirillo. identità spettrali

by Paolo Barbaro

102 | Portfolio Fashion design: studiopepe.

by Bianca Trevisan

by Nicola Pinazzi

71 | Interview Ginevra Bria by Christina Magnanelli Weitensfelder

78 | Interview elementi espressivi by Gaia Conti

82 | La Jetée fiat lux et lux facta est

Artwork: Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (Oh Petroleum), Il Giudizio delle ladre, 2014, performance aperta al pubblico.Teatro Romano, Lecce. Fotografia Luigi Negro. Courtesy gli Artisti e Teatro dei Luoghi Fest, Lecce.

byJennifer Malvezzi

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«Non domandarci la formula che mondi possa aprirti sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. » Non chiederci la parola – Eugenio Montale

Giosetta Fioroni Le cortigiane da Carpaccio, 1966, smalto su tela, 200x100 cm


l’editoriale

#AImagazine,The Art Review | Summer 2017

La pagina bianca spaventa, perché va riempita di elementi significanti, di parole che abbiano una successione logica, che non si spacchino a metà, che non cadano inciampando goffamente.

viene tirato dentro a un cerchio da cui non si scappa senza essersi guardati negli occhi. Perché l’opera si rinnova nel tempo, e si dilata nelle migliaia di pubblicazioni a cui è sottoposta. Sempre nuovi interlocutori, sempre nuovi partecipanti che sono costretti ad essere osservati, a trasformarsi in opera, in artista (forse). E tutto questo semplicemente invertendo la prospettiva, grazie ad una frase, a parole che capovolgono un pezzo di tela, capaci di attivare continuamente l’interazione tra modello, artista e pubblico, spostando l’opera in una posizione inconsueta, in cui non dovrebbe stare.

la pagina bianca Spesso si dice che la pagina bianca spaventa come se fosse un difetto, come se nulla ci dovesse bloccare, come se potessimo scrivere senza credere nella necessità del gesto compiuto. Fortunatamente spesso la pagina bianca spaventa, perché la paura è una delle tante forme d’attenzione, e non si parla della paura coercitiva e vigliacca, ma di quel sentimento che fa aspettare, che dilata il tempo, che rende necessario tutto ciò che viene detto o scritto.

by Andrea Tinterri / Christina Magnanelli Weitensfelder

È giusto che la pagina bianca spaventi, e dovrebbero spaventare ancora di più le pagine retroilluminate di uno smartphone o di un PC per la loro capacità di trasformarsi in sabbia, diventando merce di scambio per altri non previsti interlocutori. Ed è, probabilmente, anche per queste ragioni che abbiamo scelto di mettere in copertina l’opera del 1967 ‘Giovane che guarda Lorenzo Lotto’ di Giulio Paolini. Una riproduzione fotografica di un ritratto del 1505 dell’artista di origine veneziana: un lavoro che acquista significato dal titolo stesso, ossia dalle parole che ribaltano l’immagine e la nostra relazione con il volto dello sconosciuto. Siamo noi ad essere osservati, siamo noi l’artista, siamo noi il pubblico che

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Non siamo semplici voyeur di immagini appese a una parete, ma siamo costretti a partecipare all’evento, a farne parte. In questo modo l’osservazione, il nostro essere davanti all’opera, si trasforma in un gesto performativo e, consapevoli o meno, attiviamo un meccanismo di relazioni che non si limita alla singola apparizione, ma mette in moto l’intera storia dell’arte, l’intera storia del ritratto, intere collezioni private e pubbliche, interi musei che automaticamente devono rispondere ad una sollecitazione, a uno sforzo probabilmente non calcolato a priori. E tutto questo grazie alla parola, all’invenzione di una frase, di un accostamento e alla sovrapposizione di linguaggi. Fortunatamente spesso la pagina bianca spaventa, come deve spaventare un buco nero, un qualcosa da cui tutto può fuoriuscire, inghiottendo chiunque si affacci improvvisamente al cratere, senza nessuna distinzione razziale o di altro tipo. E riguardare all’opera di Paolini, alla sua lunga produzione significa soprattutto ripensare agli strumenti del linguaggio, ai meccanismi della scrittura, qualunque essa sia e ribadire la centralità della parola intuendone la prospettiva storica, la durata nel tempo. Ed è per questo che fortunatamente la pagina bianca spaventa, come tenere al guinzaglio una bellissima tigre che ha già dimenticato la docilità della prima infanzia, che si volta in un gesto sensuale, guardandoti negli occhi e ti bacia mostrandoti i denti.




the portfolio interview



interview&folio

#AImagazine,The Art Review | Summer 2017

Strumenti di ricerca.

Giulio Paolini by Andrea Tinterri |©GiulioPaolini

«L’arte ignora ogni altro rapporto che non sia la sua stessa storia, quanto cioè la precede nell’itinerario che oggi le chiede di manifestarsi.» Giulio Paolini 14


Guardare al linguaggio,alla sua sintassi,ai limiti della tela come spazio in cui racchiudere un disegno archetipo. Giulio Paolini interroga la storia dell’arte, sintetizzandone le dinamiche interne: verifiche necessarie alla lettura del racconto. Un lungo percorso che vede la sua prima personale nell’autunno del 1964 alla galleria romana La Salita, per poi proseguire un’importante stagione espositiva internazionale, dal Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1980 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1988, dalla Fondazione Prada a Milano nel 2003, alla Whitechapel Gallery a Londra nel 2014 e numerose partecipazioni sia alla Biennale di Venezia che a Documenta di Kassel. Un breve elenco, purtroppo sintetico, per citare solo alcune delle significative tappe di una ricerca ancora in corso.

GP: «Il titolo ‘Verifiche’ mi evoca subito le analisi del linguaggio fotografico svolte da Ugo Mulas in quegli stessi anni. Ricordo in particolare la reciproca considerazione e lo stretto rapporto che ci univa». AT: «Vorrei ripartire dal pubblico, dalla fruizione dell’opera. Perché se l’analisi è sugli strumenti della rappresentazione, l’osservatore credo non possa essere escluso dalla messa in segna, dalla costruzione della ricerca. Qual è, quindi, il rapporto tra opera e pubblico?» GP: «Mi limito a dire che l’arte fa da sé, non sa che farsene di noi e si manifesta senza interlocutori e intermediari. La sua parola, o il suo silenzio, sono quanto di più lontano dall’ambito di quella sconsiderata idolatria della comunicazione praticata dalle dilaganti kermesse di fiere e festival. L’arte ignora ogni altro rapporto che non sia la sua stessa storia, quanto cioè la precede nell’itinerario che oggi le chiede di manifestarsi. Dunque l’arte ignora lo sguardo dell’osservatore e, anche se può sembrare paradossale, ignora persino l’identità dell’autore.
 L’arte non è, né potrà mai essere politica.
 ‘Art happens’ dice Whistler citato da Borges. ‘L’arte succede, accade. L’arte è un piccolo miracolo (...) che sfugge in certo modo all’organizzata causalità della Storia. Sì, l’arte accade o non accade, questo non dipende dall’artista’. Ogni opera, ciascuna a suo modo, nasconde una regola propria che l’autore non conosce ma riconosce quando quell’opera gli si manifesta. L’opera d’arte non da voce né al mondo né al soggetto, semplicemente dà forma a sè stessa.
Un’opera, per essere autentica, deve dimenticare il suo autore».

“L’arte fa da sé, non sa che farsene di noi e si manifesta senza interlocutori e intermediari.”

Andrea Tinterri: «La sua ricerca, a partire dall’opera ‘Disegno geometrico’(1960), si concentra sull’analisi del linguaggio, sugli strumenti necessari a costruire un discorso, una scrittura. Perché questa attenzione alla sintassi che sembra escludere una qualsiasi forma di narrazione?» Giulio Paolini: «In fin dei conti tutto è narrazione (anche quando non espressamente svolta o dichiarata). Mi avventuro a dirlo così come a suo tempo Matisse, consumata la sua esperienza giovanile, arrivò a dire che ‘tutta l’arte, in fondo, è decorazione’.
 Tutto dipende però da cosa origina e come avviene l’impulso a dire o a fare. Da parte mia tendo a riferire, a raccontare non le cose del mondo ma gli aspetti del delicato percorso che occorre affrontare per giungere all’immagine.
Certo, c’è modo e modo e così si apre un altro capitolo, altrettanto sconfinato, quello dell’interpretazione». AT: «Uno dei codici su cui la sua ricerca ha insistito è il ritratto, ma spesso mettendone in discussione la storia, il rapporto stesso con il pubblico, censurandone la visione. Perché?» GP: «Le linee del ritratto, in certo senso, sono sempre le stesse... un ritratto somiglia quasi sempre al medesimo soggetto e cioè, in definitiva al suo autore».

AT: «Il doppio, la scultura che guarda la propria esatta duplicazione (‘Mimesi’ 1975), in un gioco “tra calco e calco, tra doppio e doppio, dove ovviamente si perde il punto fisso della realtà da copiare perché tutto è copia, tutto è analogo in quanto non esiste originale”, come sottolinea Arturo Carlo Quintavalle nel saggio per il catalogo della mostra organizzata dall’Università di Parma nel 1976. Anche questo rientra nel discorso sul linguaggio, sul codice della rappresentazione? In che modo?» GP: «Certo, non possiamo fare a meno di osservare, o altrimenti d’inventare nuove regole: norme di un codice intimo e personale dettato da una sorta di geometria del pensiero... linee alle quali fare riferimento, quasi una ‘forza di gravità’ imposta a nostra insaputa, a suo modo perentoria.
 È la rappresentazione a dar nome alle cose, promuovendole a personaggi e figure che soltanto così riusciamo a riconoscere».

AT: «Intorno al 1965 inizia a utilizzare anche il mezzo fotografico, mi vengono in mente opere come ‘1421965’ ‘Diaframma 8’,‘Delfo’. I suoi lavori ‘fotografici’ si possono considerare verifiche?»

‘Tutto è narrazione’ e da qui la necessità della ricerca, da qui l’esigenza di definire i contorni delle ‘parole’, di un alfabeto che corrisponde alla nostra storia, alla nostra cultura occidentale, di segni e immagini.

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Artworks ©Giulio Paolini da pag. 10: Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967 Delfo, 1965 L’autore che credeva di esistere, 2013 E, 1963 Disegno geometrico, 1960 sopra: Studio per Villa dei Misteri, 2013 a fianco, dall’alto: Red Carpet, 2014 Studio per in Esilio, 2012

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about

#AImagazine,The Art Review | Summer 2017

Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (Oh Petroleum), Pentecoste (Il Giudizio delle ladre), 2013, Azienda floricola Albano, Leverano (LE). Fotografia Alessia Rollo. Courtesy gli Artisti e Museo MAMbo, Bologna.

prodigiosa verità. luigi presicce by Domenico Russo|©LuigiPresicce

«Non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.» San Paolo 18


Le tre cupole e la torre delle lingue, 2013, performance per un solo spettatore alla volta, accompagnato. Palazzo Daniele, Gagliano del Capo (LE). Fotografia Jacopo Menzani,Video Daniele Pezzi. Courtesy l’Artista e Capo d’Arte, Gagliano del Capo (LE).

Luigi Antonio Presicce (1976, Porto Cesareo, Lecce) è maestro cerimoniere che inscena performances private in abitazioni, chiese, palazzi, cave, spiagge, preferendole a luoghi istituzionali quali musei e gallerie. Creazioni visive, quadri vivi, le sue performance oltre a questo sono narrazioni alchemiche che assembrano simbologie massoniche, cristiane, folcloriche e storiche in un grande elogio dell’esistenza che unisce sacro e profano. Opere distribuite in un tempo ipotetico non circoscritto all’oggi ma aperto alla Storia, al centro del quale primeggia egli stesso nel ruolo d’artista-mago. Parliamo di tableau vivant che, superato il concetto di gesto, perpetuano sè stessi come affreschi medioevali, perché proprio questo è il punto di partenza della sua ricerca e non, come si potrebbe pensare, la pratica performativa, ma la pittura del ‘400 e del ‘500. La performance privata è il metodo definitivo cui giunge dopo un cammino di conoscenza, un percorso al cui inizio troviamo, quale prima fiaccola, la pittura. Presicce ha dipinto fino al 2005 quando, in coincidenza della nascita dell’opera ‘La danza del cervo’, si rese conto che per catturare l’invisibile non era adeguata la

rappresentazione, ma la performance privata si rivelò quale linguaggio più idoneo a esaltare l’atto e non l’oggetto. Opera e processo si sposano, dando vita a un documento, fotografico o video, che è reliquia museale dell’azione che l’ha generata. Discernimento e sapienza sono le dottrine spirituali con cui avvicina simboli tratti da varie sfere culturali, al fine di divulgare un messaggio attinente la santità. Solo colui disposto a intraprendere da solo il cammino e a confrontarsi psicologicamente con ciò che non conosce, può abbandonarsi alla contemplazione di fronte alla visione. Concentrazione, raccoglimento, preghiera, sono premesse fondamentali all’accesso nella scena; valutando inoltre il numero, l’età e la durata della permanenza, Presicce sceglie di volta in volta chi e come. Spesso sono i bambini, anime libere da preconcetti, in un’atmosfera intima e solenne, gli unici cui concede di ricevere la totalità dell’arte. In altri casi, l’adulto viene traghettato di fronte alla performance e sottoposto a una verifica severa che può spingersi fino alla cacciata, se l’atteggiamento si dimostra inadeguato, ad esempio parlando o scattando foto. Il peso acquisito dallo spettatore è dovuto alla testimonianza che può condividere con la collettività affinché questa conosca il segreto dell’immagine palesata ai suoi occhi.

“Discernimento e sapienza sono le dottrine spirituali...”

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La fusione del gigante, 2015, performance per un solo spettatore alla volta, accompagnato. Kunsthalle Osnabrück, Osnabrück, Germania. Fotografia Dario Lasagni.Video Daniele Pezzi. Courtesy l’Artista e Kunsthalle Osnabrück, Osnabrück (DE).

‘Per il volto di Maria’ (2015) è un caso limite esemplificativo, dove sono rappresentate le levitazioni mistiche di San Giuseppe da Copertino in un podere privato nelle campagne salentine in Puglia. L’azione, altamente estatica, s’è svolta in assenza di spettatori, nessun partecipante, niente pubblico. Chiunque è stato escluso dalle evoluzioni spirituali intime del Santo, perché nessuno, tranne il soggetto anelante stesso, può realmente parteciparvi. La decodificazione del racconto può, tuttavia, rimanere avvolta nei dogmatici confini dell’inspiegabile o essere un sussurro soffiato attraverso lo scrigno della comprensione. I versi di San Giovanni della Croce sembrano appropriati a descrivere l’animo con cui si potrebbe avvicinarsi ai suoi quadri vivi,

alla santità, alito della sua ricerca, è l’invito ultimo alla reverenza verso un’esistenza in procinto di cambiare forma, costantemente in bilico verso qualcosa d’inafferrabile. Possiamo affermare che le sue non sono effettivamente azioni performative, bensì composizioni narrative, storie e racconti a volte ampi tanto da essere suddivisi in più parti, come il ciclo ‘Le storie della Vera Croce’. Puntando piuttosto decisamente alla persistenza si distingue, per tanto, dagli artisti della performance storica solitamente votata all’ esaurimento dell’azione in un momento conchiuso. E lo fa utilizzando il linguaggio teatrale per mettere in scena la propria liturgia in una dimensione metafisica estasiata a tal punto da superare quella teatrale stessa, fino a proiettare il pubblico in un’immagine densa di significati e di sacre rievocazioni. È come assistere a un miracolo; prendere parte alla rivelazione di un evento dai contorni ultraterreni, implica che ci si prostri alla munificenza dell’artista-mago con l’animo sbalordito del predestinato. Una volta dentro è avvertibile la sensazione di residenza in una caverna eterna dove il tempo lo si vede appeso in un’atmosfera concernente l’aldilà. Questo spazio nel presente abitato dall’artista e aperto ai suoi adepti, è uno smottamento netto nella contemporaneità dell’arte e allo stesso tempo bregma tra la vita senz’anima del nostro tempo post storico e la storia dell’umanità, tra l’immagine dell’uomo e la ricerca di quella dello Spirito.

“...uno smottamento netto nella contemporaneità dell’arte...”

Non sapevo dove entravo; ma appena là mi trovavo, ignorando dove stessi, grandi cose comprendevo; non dirò quanto intendevo: che restavo non sapendo, ogni scienza trascendendo. [Entravo dove non sapevo, di San Juan de la Crux] Principale è l’atto di conciliazione delle linee spirituali delle vicende moderne con le crespe dell’antico mediante la citazione di opere medioevali intrecciate a simboli massonici e segni di varia estrazione. Mentre il richiamo

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La benedizione dei pavoni, 2011, performance per soli due bambini. Abitazione privata Porto Cesareo (LE). Fotografia Luigi Negro, video Francesco G. Raganato. Courtesy l’Artista. La caduta di Atlante con Legno a lato diritto e gallo a lato manco, 2014, performance in tre quadri, aperta al pubblico solo per un quadro, Museo Storico, Chiostri di San Francesco, Bergamo e li Scianuli, litoranea Porto Cesareo – Sant’Isidoro (LE). Fotografia Dario Lasagni,Video Daniele Pezzi. Courtesy l’Artista e The Blank Contemporary Art, Bergamo.


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