Carlo Dell’Amico ZEITGEBER
A cura di / Curated by Andrea Tinterri
Carlo dell’amico ZEITGEBER A cura di / Curated by Andrea Tinterri Direzione artistica / Art direction Christina Magnanelli Weitensfelder Il presente catalogo è pubblicato in occasione della mostra / This catalogue is published on the occasion of the exhibition CARLO DELL’AMICO Zeitgeber In collaborazione con / In collaboration with tØ Art Exhibit Group Press Office BILDUNG INC. / contact@bildung-inc.com
CATALOGO / PUBLICATION CArlo Dell’amico zeitgeber 978-88-99367-10-7 Casa Editrice / Publishing House Greta Edizioni Direzione artistica / Art direction Bildung Inc. (bildung-inc.com) Testo / Text by Andrea Tinterri Traduzione inglese / English translation Daniel Clarke Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta e/o trasmessa in qualsiasi forma, mezzo elettronico o meccanico o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore. / No part of the publication may be reproduced and/or stored in a retrieval system or transmitted in any form or by any means without the prior permission in writing of copyright holders and of the publisher. Tutti i diritti sono riservati. / All rights reserved. For images © Carlo Dell’Amico
Stampa / Print by Graffietti Stampati, Italy Finito di stampare nel mese di novembre, 2015 / Printed in November, 2015
gretaedizioni.com via degli Abeti 104 61122 Pesaro (Italy) ph. +39 0721.403988 greta@gretaedizioni.com
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Sincronizzazioni di/ by Andrea Tinterri
Una sovrapposizione di passaggi volti a raggiungere una maturazione e una coscienza del mondo: lavori ciclici, come fossero i raggi di una molla che innalzandosi si accumulano progressivamente; visti dall’alto scompaiono in un solo disegno circolare nascondendo il lento rinnovamento. L’opera di Carlo Dell’Amico, nella sua vastità, possiede un’unità importante, una coesione che risulta essere la testimonianza di un avvicinamento; il tentativo di una crescita interiore capace di approssimare l’essere ad un tempo assoluto, a quel principio cosmico da cui tutto e tutti dipendiamo. È alla luce di tale ricerca, di questa sovrapposizione progettuale che il titolo della mostra Zeitgeber e questi lavori, assumono una forma intrinsecamente coerente e significante. Nella rappresentazione dell’immagine l’artista fa uso dagli anni novanta del particolare supporto – matrici offset lastre di zinco – in cui la pittura e l’antica tecnica di stampa operano sullo stesso piano; queste lastre, che da medium per la riproduzione seriale espressa nella semplificazione chiaroscurale, vengono traslate nell’unica forma simbolica conservata da Dell’Amico attraverso la sua opera che ne esalta il valore di un fuoco impercettibile al di là di ciò che è rappresentato, freddato dall’inchiostrazione nera nell’attimo che precede il processo ripetitivo. L’artista inserisce radici capovolte all’interno di rigide strutture attraversate da segmenti i cui equilibri aurei vanno ad intersecare la “materia”. Capovolgimento significa inversione non solo fisica ma percettiva. È la volontà di attingere da un Tempo altrove, da quel principio da cui siamo dipendenti in modo tale da trovare una possibile armonia; la materia di questi elementi bloccati in posizione verticale e sospesi attinge dall’alto mettendo in relazione equilibri distanti. Lo Zeitgeber da regolatore biologico si eleva ad archetipo di giustizia misteriosa, la luce a cui aspira il simbolo umanizzato della radice capovolta, si nutre a quella fonte e si consuma in un rapporto senza rapporto con l’imma-
nente, offerta di luce e tempo che si trasformano in dono. Dell’Amico umanizzando il corpo della natura converte la materia oggettuale dell’opera in metafora: la luce materiale è luce interiore, mistica, intima. Un intimismo conoscitivo teso al rinnovamento del proprio io. Lo Zeitgeber muta da luce legata al suo ciclo naturale al tempo di quella luce. E se consideriamo la ricerca di Dell’Amico una continua crescita spirituale, una forma di ascesa a definire cerchi sovrapposti che si accumulano, risulta chiaro il tentativo di conciliazione, di equilibrio: “ogni individuo è l’artefice della propria risalita verso il principio autocurandosi ciclicamente attraverso le mutazioni”. È proprio la mutazione una delle possibili chiavi di lettura dell’opera di Dell’Amico che andrebbe colta nella sua estensione temporale e come tale è parte integrante di un’unica intenzionalità progettuale, un unico sviluppo per un’unica risalita.
Sincronizations A superimposition of passages aimed at the reaching of a maturity and a knowledge of the world: cyclical works, like the rings of a spring which progressively accumulate as they rise; seen from above they merge into a single circular design, hiding the slow renewal. The work of Carlo Dell’Amico, in its vastness, possesses an important unity, a cohesion which is the testimony of an approach; an attempt to find an interior growth which can approximate our existence to an absolute moment, to the cosmic origin on which everything and everyone depends. It is in light of this research and this superimposition that the title of the Zeitgeber exhibition and these works take on an intrinsically coherent and meaningful form. For the representation of images the artist has, since the 1990s, made use of a particular media – zinc offset plates – in which painting and antique printing techniques operate on the same level; these plates, which, from a media for serial reproduction expressed in the simplicity of chiaroscuro are translated into the only symbolic form conserved by Dell’Amico through his works which exalts the value of an imperceptible focus which goes beyond that which is depicted, frozen by the black inking in the instant before the duplicative process. The artist inserts upturned tree-roots into rigid structures which are crossed by segments whose golden balance intersects the “matter”. The upturn-
ing is an inversion which is not only physical but also perceptive. It is the willingness to draw on a distant Time, on that principle on which we depend so much as to find a possible harmony; the matter of these elements held vertically and suspended draws from above, bringing together distant equilibria. The Zeitgeber is elevated from biological regulator to an archetype of mysterious equity, the light to which the humanized symbol of the upturned root aspires, it feeds from that source and is consumed in a rapport without rapport with the immanent, the offering of light and time which are transformed into a gift. Dell’Amico in humanizing nature converts the objective matter of the work into a metaphor: the material light is internal light – mystical, intimate. A cognitive intimism aimed at the renewal of one’s own self. The Zeitgeber is transformed by light bound to its natural cycle to the rhythm of that light. And if we consider Dell’Amico’s artistic journey as continuous spiritual growth, a form of ascent to define accumulating superimposed circles, the attempt at reconciliation, at balance, is clear: “every individual is in charge of their own reascent towards the origin, curing themselves cyclically through mutation”. And it is this very mutation which is one of the possible interpretations of Dell’Amico’s work, which should be examined in its temporal entirety and as such is an integral part of a single artistic objective, a single development for a single reascent.
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Storia di un’opera unica
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La sensibilità più intima dell’opera di Carlo Dell’Amico è espressa dal sentimento interiore e irrappresentabile che l’artista affronta attraverso una continua rilettura dell’operato umano rivolto all’immanenza, l’amore come lotta: tema costante di ogni civiltà. Nelle sue espressioni formali si sviluppano sempre tensione e contrapposizione tra elementi formali opposti, anche nella dialettica tra i segni di una possibile geometria latente o rivelata. Carlo Dell’Amico nasce a Perugia nel 1954, gli studi artistici non aggiungono nulla, o quasi, alla sua innata libertà espressiva che sembra essere il vertice o l’obiettivo per un raggiungimento di eguaglianza di base in cui le attitudini vengono portate sullo stesso piano con uguali possibilità di contribuzione all’opera globale, ogni sfumatura dell’esperienza è aperta alla luce di un ritorno, ogni singola idea sostiene l’improporzionalità tra causa ed effetto. L’artista si pone sempre come figura tollerante tra le indissolubili connessioni esistenti, l’artificiosità dell’azione che conduce all’opera si avvale dei valori della forma pittorica o di quella aggettante se non della scultura vera e propria, i segni si uniscono alle proiezioni luminose, ogni supporto è in dialettica formale; la totale esclusione di scelte tematiche sostiene gli elementi per una ricerca la cui verità è radicata in ogni individuo oltre le differenze storiche. Dalle origini del suo lavoro accomuna i segni e le voci disseminati nei millenni, ne riassume nell’attualità delle sue opere la “bellezza”, l’essenza che pervade la materia nelle sue manifestazioni. Dell’Amico preferisce indicare l’avvio del suo percorso dagli anni 1973/74 con una serie di opere nelle quali la rappresentazione di elementi scultorei tratti dal mondo archeologico sono resi così impenetrabili e ambigui tali da smentire il loro significato originario, eludendo sia l’aspetto citazionista che imitativo. Sostanzialmente sono le madri arcaiche che dominano i suoi interessi, frequentemente distrugge molti dei suoi lavori o ricorre all’eclissamento degli stessi, il suo è sempre un giudizio assoluto che pone in ombra molti aspetti del suo operato. Proprio questa oscurità sull’origine e sull’identità del soggetto-oggetto visi-
bile consente alle immagini di affrancarsi da valenze illustrative particolari per sollecitare il livello intuitivo della mente. Dal 1985 al 1990 Dell’Amico attraversa una modificazione rivolta ad un orizzontalizzarsi della scena, le forme geometriche emergono rispondendo alla loro funzione articolante dello spazio per rituffarsi talvolta nella uniformità del colore monocromo su piani e dimensioni al di là di quelle esperite ordinariamente. La funzione simbolica e traslativa tra superiore e inferiore si fa evidente nelle costruzioni estroflesse che ripropongono e scaturiscono dalla conoscenza di un mondo archeologico ipogeo. Questo rapporto nuovo sostiene e indica esclusivamente la coerenza dell’operato dell’artista che non veicola se stesso esclusivamente nel corpo mortale dell’opera, facendo dell’immagine soltanto un mezzo utile ma subordinato. Dell’Amico penetra nei depositi sotterranei, riapre alla vita le case lasciate vuote per la dipartita, usa soffitti e pareti, le riveste con pigmenti e terre e dello stesso sudore e di umidità; insegue le leggende del vissuto usurpando la paStory of a unique work The most intimate sensibility of Carlo Dell’Amico’s work is expressed by the internal and unrepresentable feelings that the artist confronts through a continuous re-reading of the actions of mankind towards immanence, towards love seen as a battle: a constant theme in every civilization. His formal expressions always manifest tensions and contrasts between opposing elements, for example in the exchanges between the signs of a possible latent or revealed geometry. Carlo Del’Amico was born in Perugia in 1954. His studies in art added little or nothing to his innate expressive liberty which seems the peak, or the objective, for the achievement of a fundamental equality in which his abilities are raised to the same level, with equal possibilities of contribution to the global work, every aspect of the experience is open to the possibility of a return, every single idea supports the improportionality between cause and effect. The artist always presents himself as a tolerant figure among existing indissoluble connections, the artificiality of the actions that lead to his work draws on the values of painting or three-dimensional forms of expression, if not of true sculpture itself. These gestures are combined with illuminated projections; every support is in formal dialect; the complete exclusion of thematic choices supports the elements for a study whose truth is rooted in every individual regardless of historical differences. The origins of his work unite signs and voices scattered over the millennia, the topicality of his work summarizes “beauty”,
the essence that pervades the matter in his manifestations. Dell’Amico prefers to indicate 1973/74 as the beginning of his artistic career, with a series of works in which the representation of sculptural elements taken from the world of archaeology are rendered so impenetrable and ambiguous as to distance them completely from their original meaning, eluding both to their citationist and imitational aspects. Essentially, it is the archaic Mothers which most capture his interest, he often destroys many of his works, or eclipses them, his is always an absolute sentence which overshadows many aspects of his work. It is this very darkness on the origin and the identity of the visible subject-object which allows the images to take on particular illustrative aspects which stimulate the intuitive realms of the mind. From 1985 to 1990 Dell’Amico underwent a modification through the horizontal orientation of the scene, geometric forms emerged, answering to their function of articulating the space to then return at times to the uniformity of monochromatic colour on levels and dimensions beyond those ordinarily faced. The symbolic and translational function between superior and inferior becomes evident in the everted constructions which suggest and draw from the knowledge of a hypogeal archaeological world. This new rapport exclusively supports and demonstrates the consistency of an artist who does not communicate himself exclusively through the mortal body of his work, using the image simply as a useful but subordinate medium. Dell’Amico digs deep into underground deposits, he reopens to the light houses
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ternità dell’enigmatica significazione dalle mitologie alle rappresentazioni simboliche, trasforma le costruzioni ipogee in silenziosi scenari offrendo la propria luce a questi paesaggi interiori. Queste forme molto articolate quanto essenziali e non solo legate alla contemporaneità attraverso le quali l’artista non prescinde dalla rappresentazione della profondità delle sue origini, riassumono memorie che si traducono in un’esperienza globale. Architetture dell’ignoto costruite per essere lette oltre l’elemento temporale in cui la necessità impellente è l’espressione di una profondità, valendosi di un sistema di finzione prospettico nel costruire le sue superfici sagomate e sovrapposte. Dell’Amico è conscio della familiarità di una concezione acquisita attraverso l’espressività e le simbologie, continua il percorso facendosi carico di un racconto che tenta, ma sa bene di non riuscire con esso a penetrare il mistero; attribuisce al lavoro estrema nobiltà anche nei suoi aspetti insignificanti, è consapevole che nulla è realmente piccolo. Stabilito che per Dell’Amico i fenomeni generano altri fenomeni, si avvale dello stupore di ogni sogno nell’infinita catena del susseguirsi dei rapporti obbedendo al mistero. L’artista non nutre nessuna forma di compiacimento nei confronti del suo lavoro, nel rinnovamento estrae le forze misteriose per poi esercitare una distruzione che non è annientamento, ma una ripetuta rigenerazione tra essere e cosa. La particolare trasformazione del suo lavoro consiste in una ricerca definibile come un fatto fluido che si insinua in un’epoca così complessa: un’esercitazione teorica che conferma la sua attitudine all’opera mentale. Questa vibrazione caratteristica più che in una contemporaneità diffusa e riflessa, si percepisce nei lavori come con-temporalità. Intorno agli anni 2000 le strutture tubolari metalliche e l’infinità di frammenti che operano in un’area sconfinata come il campo della sua manifestazione, ricoprono le pareti del Padiglione di Arte Contemporanea di Palazzo Massari a Ferrara. L’inscindibile parametro spaziale dentro a simili strutture, consente all’artificio della finzione di afferrare il frammento, che
in questi lavori sembra perdere, soltanto apparentemente, la connessione con l’esistenziale; in realtà non si allontana mai definitivamente dal dato originario: le forme e le immagini si nutrono da sempre in un processo di trasfigurazione e di sdoppiamento dal soggetto che coinvolge l’artista e l’opera tra sentimento di amore e di morte, la particolare tensione dell’uno entra nel dominio dell’altra. Reciprocamente assistiamo alla modificazione più intima dell’esistere nella sua prassi particolare e destabilizzante: l’artista rivolgerà un’attenzione in modi e tempi diversi alla fotografia, meglio sottolineare l’uso che ne farà sempre in modo del tutto arbitrario anche prestando attenzione alle soluzioni tecnologiche di uso comune, contemporaneo. Fin dal 1989 sarà l’uso particolare delle lastre offset, già utilizzate o progettate, inchiostrate, ma mai destinate alla stampa, questo avrà un vero sviluppo come vedremo in seguito; la scelta di questo materiale, in fase alterne si rintraccia nel suo lavoro in modo ricorrente. Il tema della madrematrice evoca di nuovo quello degli anni 1973/1974, nel caso specifico riemerge abandoned after death, he uses ceilings and walls, covering them with pigments d earth, sweat and humidity; he follows the legend of past experiences usurping the paternity of enigmatic meanings from mythology to symbolic representation, he transforms hypogeal constructions into silent scenes shedding his own light onto these internal landscapes. These highly articulated and essential forms, not simply bound to contemporaneity, through which the artist does not hide from the representation of the depth of his origins, embody memories which translate into a global experience. Architecture of the unknown constructed to be read beyond the temporal element in which the impellent necessity is the expression of depth, drawing on a system of prospective pretence for the construction of his moulded and superimposed surfaces. Dell’Amico is aware of the familiarity of a conception acquired through expressiveness and symbology, following his path and taking on an account which attempts to penetrate the enigma, aware that he will not succeed with this; he attributes extreme nobility to the work even in its more insignificant aspects, he is aware that nothing is truly small. Understood that for Dell’Amico, phenomena generate other phenomena, he avails himself of the wonder of every dream in the infinite succession of relationships, obeying the mystery. The artist draws no satisfaction with regards his work, in renewing he extracts the mystical forces to then exercise a destruction which is not annihilation but rather a repeated regeneration between existence and object. The particular transformation of his work
consists in a study which can be defined as a fluid reality which penetrates into a truly complex era: a theoretical exercise which confirms his attitude towards mental creation. This characteristic vibration, rather than as a common and reflexive contemporaneity, is perceived in his work as a con-temporality. In the 2000s the metallic tubular structures and infinite fragments which operate in a boundless area such as the field of his expression were to cover the walls of the Pavilion of Contemporary Art at Palazzo Massari in Ferrara. The inextricable spatial parameter within similar structures allows the artifice of the invention to grasp the fragment, which in this work seems, only apparently, to lose its connection with the existential, in reality it is never definitively distanced from the original fact: the forms and images are forever nurtured in a process of transfiguration and division of the subject which places the artist and the work between feelings of love and death, the particular tension of one enters in the domain of the other. We reciprocally bear witness to the most intimate modification of existence in its particular and destabilizing procedure: the artist makes use of photography in different moments and in different ways, always using it in a completely arbitrary way, also attentive to technological solutions of common, contemporary usage. Since 1989 he has made particular use of offset plates, already used or created, inked, but never destined for printing – these will have a particular development which we will see further on; the choice of this material can be seen in alternating phases throughout his work. The theme of
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stanti, rimane la spinta che attraversa quel mondo tenebroso sostenuta dal redigere una sagomatura del Sé, ciò nonostante la moltitudine di “ritagli e di frammenti” che raccoglie, tratti da riviste e libri che conserva disordinatamente, hanno prodotto un virtuoso girovagare tra queste immagini. Nel 2005 un altro elemento entra a far parte del suo bagaglio interpretativo, si tratta di piccoli alberi sradicati e capovolti racchiusi talvolta in scatole di vetro o disposti sulle città, sul tessuto rizomatico di queste estensioni e del possibile essere abitate; le radici capovolte e la loro disposizione efficace successiva di neon blu fluorescenti, toglie e aggiunge alla scena intersecando le stesse, azzerando i cromatismi ambientali esterni. Le radici come elemento residuo passano in secondo ordine per assumere ruolo di emblema della parola come la spada biblica, diventano espressione del puro pensiero, qualora non rimangano un epifanico ricordo dell’albero naturale nel processo di disseccamento. Dell’Amico affida a questo elemento naturale l’intera sua storia umana trasformata in un azione, the mother-womb evokes once more that of the 1973/1974 period, specifically in the partial tracing of geometric lines and interrupted constructions, or wax drippings. The contents of this extreme two-dimensionality hold the traces of an experience which emerges from the subconscious, the substrate, taking the place of the drama of human tragedy. In 2005 he created grand maps, observing great metropolitan cities from space, which contrast with those of earlier years, in which he had dug into the depths of the earth, bringing to light submerged architecture. The particular complexity of the layout of these works allows for a privileged point of view on the outside world, the artist prefers to distance himself from that frenetic activity, choosing an active solitude, focussing his attention not on the course of daily life, but on the point of escape and of meeting in which the unique horizon of absolute and perhaps unobtainable beauty of living relationships converges. His interpretive criterion continuously oscillates between intellectual and material worlds to uncover moral light in equal measure. In 2006, with the grand maps of these infinite cities, he constructed a large installation within the Museo Archeologico delle Scuderie Aldobrandini in Frascati, projecting fragments of sentences cut from books on contemporary architecture. In the same year, with a similar installation, he covered the large convex walls of the Museo Laboratorio of the Università La Sapienza in Rome which hosted one of the rare performances by Dell’Amico in which a mime artist, substituting the artist, takes possession of the scene, becom-
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tra tracce di linee geometriche parziali e costruzioni interrotte nello spazio, o colature di cere. I contenuti di questa estrema bidimensionalità trattengono le tracce di un’esperienza che emerge dall’inconscio, dal substrato e si sostituiscono al dramma della tragedia umana. Nel 2005 realizza delle grandi mappe, osserva le grandi città metropolitane dallo spazio, che si contrappongono a quelle degli anni precedenti, quando aveva scavato le profondità della terra restituendo le architetture sommerse. La particolare complessità dell’impostazione di questi lavori consente un punto di osservazione privilegiato del mondo esterno, l’artista preferisce estraniarsi da quell’attività frenetica preferendo una solitudine attiva focalizzando l’attenzione non sullo svolgimento della storia quotidiana, ma nel punto di fuga e di incontro in cui converge l’unico orizzonte della bellezza assoluta e forse irraggiungibile da vivere nelle relazioni. Il suo criterio interpretativo oscilla continuamente tra mondo dell’intelletto e quello della materia per restituire luce morale in egual misura. Con le grandi mappe di queste città infinite, nel 2006 costruisce una grande installazione all’interno del Museo Archeologico delle Scuderie Aldobrandini di Frascati, proiettando frammenti di frasi ritagliate dai libri di architettura contemporanea. Nello stesso anno, con un intervento analogo, riveste la grande parete convessa del Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza di Roma che accoglierà una tra le rare performance di Dell’Amico nella quale un attore mimo, sostituendo l’artista, si impossessa del dominio della scena trasformandosi in referente esclusivo, tutto il resto risulterà coinvolto dalla ritualità dei suoi gesti che prendono gradualmente forma in un contesto mai prevedibile né programmato: un cammino con silenziosa riverenza verso l’invisibile e l’ignoto facendoci assistere alla trasformazione di questa informe complessità di sensazioni in immagini. Ci sono enormi quantità di fonti che alimentano il percorso creativo di Dell’Amico, ma il suo modello, oltre gli stimoli sensoriali prodotti dalle realtà circo-
ing the exclusive reference point, everything else is involved by the rituality of his gestures which gradually take shape in a context which is always unpredictable and never programmed: a journey of silent reverence towards the invisible and the unknown, allowing us to witness the transformation of this formless complexity of sensations through images. There are a huge number of sources which from which Dell’Amico creates his creative process, but his model, beyond the sensory stimuli which come from the surrounding world, remains the impulse which crosses that dark world supported by the drawing of an outline of the Self. This notwithstanding, the multitude of “cuttings and fragments” which he collects, taken from magazines and books which he haphazardly conserves, have produced a virtuous wandering among these images. In 2005 another element became part of his interpretive experience: small uprooted trees, upturned and at times enclosed in glass boxes or superimposed over the maps of the cities, over the rhizomatic fabric of these extensions and their possible inhabitation; the upturned roots and the successive positioning of neon blue fluorescent lamps remove from and add to the scene, intersecting the roots, cancelling the external environmental chromatism. The roots as a residual element take second place to take on a role as an emblem of words like a biblical sword, they become an expression of pure thought, if not an epiphanic memory of a tree in the process of desiccation. Dell’Amico trusts his entire human history transformed into an action to this element, offering support to
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offrendo sostegno alle sue argomentazioni. Un’analoga osservazione sull’artista si può compiere considerando il modo con cui si autoregola nell’imparare a dimenticare per accedere a cose nuove. Il suo lavoro non consiste in un’arte referenziale lasciata a se stessa o esclusivamente contemporanea: in questi contesti in cui si stratificano secoli di esperienze lo svolgersi e l’evolversi dell’arte è indirizzato verso una “scienza dell’uomo” che tende ad impadronirsi dei segreti e dei misteri in funzione della propria esperienza, un rapporto ben più intimo tra umanità e un fare sedimentato. Dell’Amico intravede e si relaziona con la costante che accomuna la varietà delle forme naturali e quelle prodotte dall’uomo. Questi elementi radicali che l’artista introduce nel suo linguaggio sono ben lontani dalla riproduzione dell’oggetto naturale, da qui la necessità di addentrarsi in un mondo di relazioni in cui è il principio di armonizzazione che regola con il tutto, la mano immateriale che attraversa il corpo, la mente, per risultare di nuovo spirito. Il titolo che affida a questo genere di opere è quasi sempre “corpo” o doppio corpo, quando la radice è divisa a metà e attraversata da una luce neon che sostituisce la linfa. Gli interessi di Dell’Amico si sono spostati da tempo oltre il possibile racconto, persegue il tentativo per una rivelazione di un’eternità invincibile quanto imprendibile, è in perenne ricerca di un equilibrio che gli possa concedere vera visione, uno squarcio verso l’intelligibile tra pensiero e ciò che si intravede. Nel maggio del 2008 proietta un albero sradicato e capovolto sulla facciata del grande Tempio della Gloria di San Francesco di Assisi; la forma dell’albero si concretizza in una serie di dissolvenze dei colori dell’arcobaleno. Le relazioni geometriche matematiche di quell’architettura gotica sono sostrato e sostanza di una presenza diafana che si rivela, esaltando l’incorporeità di una luce che si manifesta nella materia mediatrice dei colori. Un’ulteriore configurazione dello stato di questo elemento radicale è la collocazione all’interno delle geometriche strutture metalliche che lo sorreggono, sottolineano l’importanza della “misura”
della radice e della sua intelligibilità simbolica, queste stesse strutture che l’artista userà per alcune grandi installazioni: a Palazzo Taverna – Roma nel 2009, nel Salone dei Mesi a Palazzo Schifanoia – Ferrara nel 2012, nello stesso anno al Museo Archeologico di Terni e alla Pinacoteca Stuard a Parma nel 2014. Una particolare attenzione va rivolta ai suoi numerosi libri d’artista, nei quali si esplicita la differenza tra la realizzazione dell’opera e il progetto, affidando alla parte mutevole un ruolo esclusivo e allo stesso tempo di relazione con il mondo esterno in una sequenza di compartecipazioni. I processi di concentrazione sulla matrice o sulla “forma” formante espiano l’esaurimento del corpo indicando, in vari modi, un vero corpo dell’opera, che nella radice come forma concettualizzata della pura sostanza raggiunge equilibrio. Questa successione di multidisciplinarietà e di istanti ritmati viene sempre sottomessa dall’artista ad un’origine leggendaria, dove il tempo del qui ed ora si arresta e l’indefinibilità fagocita l’esistente.
his reasoning. An analogical observation of the artist could be carried out considering the way in which he self-regulates in his learning to forget in order to access the new. His work does not consist in a referential art left to stand alone, exclusively contemporary: in these contexts in which centuries of experience are laid down layer after layer, the practice and evolution of art is aimed towards a “science of mankind” which tends to take possession of the secrets and mysteries according to ones own personal experience, a much more intimate relationship between humanity and a sedimentary lifestyle. Dell’Amico identifies and relates to the constant which binds the variety of natural forms and those made my mankind. These radical elements which the artist introduces into his language are much distanced from a reproduction of the natural object. Here it is necessary to go deep into a world of relationships in which it is the principle of harmonization that governs all, the spiritual hand that passes through the body, the mind, to become once again spirit. The title that he gives to this type of work is almost always “body” or double body, when the root is divided in two and intersected by a neon light which substitutes the sap. Dell’Amico’s interests have over time moved beyond the possible account, following the attempt to reveal an eternity which is as invincible as it is inexpugnable. He is forever seeking a balance which can provide him with a true vision, a glimpse toward the intelligible between thought and that which is discerned. In May 2008 he projected an uprooted and upturned tree onto the façade of the Tem-
pio della Gloria of San Francesco di Assisi; the shape of the tree took form in a series of chromatic shiftings using the colours of the rainbow. The mathematical geometrical relations of the gothic architecture were substratum and substance of a diaphanous presence which was revealed, exalting the incorporeality of a light which manifested in the mediatrix matter of the colours. A further configuration of the state of this radical element is the collocation within metallic geometric structures which support it, underlining the importance of the “measure” of the root and its symbolical comprehensibility, the very same structures that the artist was to use for a number of large installations: at Palazzo Taverna – Rome in 2009, in the Salone dei Mesi in Palazzo Schifanoia – Ferrara in 2012, in the same year at the Museo Archeologico in Terni and at the Pinacoteca Stuard in Parma in 2014. Particular attention should be focussed on his numerous artist’s books, which clearly express the difference between the creation of the work and the project, applying to the volatile aspect an exclusive and at the same time relational role with the outside world through a series of co-partnerships. The processes of concentration on the matrix or on the formant “form” expiate the exhaustion of the indicated body, in various ways, a true body of work, which in the root as a conceptualised form of pure substance reaches balance. This succession of multidisciplinary qualities and of rhythmic instants are always subjugated by the artist into a legendary order, where the time of here and now stops, and indefinability absorbs the existent.
BAG Gallery P H O T O & C O N T E M P O R A r Y
L on d on
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P arma
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greta edizioni 978-88-99367-10-7 ISBN 978-88-99367-10-7
9 788899 367107
EU 18.00