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LO SGUARDO DA FUORI
QUI LONDRA
SARA ROSSI, PARTITA PER IMPARARE L’INGLESE OGGI È UNA SOMMELIER AFFERMATA NELLA CAPITALE BRITANNICA
DI TERESA FAVI
LA SOMMELIER PRATESE SARA ROSSI NELLA CANTINA DEL TRINITY RESTAURANT A LONDRA
Grandi occhi azzurri che contrastano con i capelli castani, e un fisico asciutto da atleta. Sara Rossi, da tre anni è la sommelier del Trinity, il noto ristorante di Londra dello chef stellato Adam Byatt che lo scorso maggio ha ospitato anche i principi Carlo e Camilla. Sara ha lavorato anche da Gordon Ramsay e al Dorchester di Park Lane, ma quando è arrivata a Londra da Prato nel 2010 - 23 anni, un diploma in tasca e tanta voglia di migliorare l’inglese - di vino ne sapeva poco o niente.
Com’è iniziata, allora, la tua avventura nel mondo della sommelerie?
Durante il primo lavoro che sono riuscita a trovare appena arrivata a Londra. Facevo la cameriera in un wine bar a conduzione familiare. La sera, capitava spesso che rimanessi a parlare con i colleghi più esperti e lì ho scoperto che dietro al vino ci sono storie incredibili.
Il passo successivo?
Sempre a Londra, ho studiato alla Wine Spirit Education Trust School e ho iniziato a fare esperienza al Dorchester, dove ho conosciuto Vanessa Cinti, una delle migliori sommelier al mondo. Ci siamo piaciute ed è diventata la mia mentor, come si dice qui. La mia guida.
Come sei arrivata al ristorante di Ramsay?
Vanessa mi ha dato il contatto dell’ex-sommelier di quel ristorante. E’ stata un’esperienza formativa: un tre stelle vuole disciplina, concentrazione, il miglior servizio. Non c’è spazio per l’errore. Si mira alla perfezione. Ho lavorato per tutto il tempo con Matt Abé, un fidato di Ramasy.
E lui, Ramsay, lo hai conosciuto?
Anche se vive negli Stati Uniti, qualche volta è venuto al ristorante di Chelsea. E’ molto socievole, parla con tutti.
Adesso al Trinity, come ti trovi?
Molto bene, è un bell’ambiente, ben frequentato. Il locale è suddiviso in tre ristoranti, due dei quali ospitati in un’elegante edificio di Clapham, un quartiere storico a sud della City: lo stellato al piano terra e il Trinity Upstairs, più informale ma di qualità elevata, al primo piano. Il Bistro è poco distante da qui.
Che gusti hanno i londinesi in tema di vino?
Storicamente la Francia è al primo posto. Adesso l’interesse va anche a zone di minori come il Portogallo e l’Ungheria. Dal Coronavirus in poi è in cresciuta mlto l’attenzione per le produzioni organiche e i packaging ecosostibili.
Se ti chiedo un abbinamento classico?
Un piatto signature del Trinity Upstairs, la sogliola di Dover in salsa Bonne Femme (con crema di funghi) con un Macon-Pierreclos “Tri Chavigne”, Domaine Guffin-Heyen, Burgundy 2014, un vino strutturato, cremoso, che riporta ai sapori del bosco.
E uno più contemporaneo invece?
La tartare di manzo battuta finissima in salsa di soia, caviale e funghi, su emulsione di midollo… All’inizio l’abbinavamo al Riesling, io però ho iniziato ad accompagnarla con il sakè, e ora è un abbinamento che piace molto, soprattutto ai frequentatori dell’Upstairs, un target più giovane del Trinity.
Come sta andando in questo momento il settore food&wine a Londra?
Durante il lockdown il consumo di vino è cresciuto molto in quantità ma anche in qualità. La tendenza ora è bere meglio di prima. Nel food, invece, molti ristoranti alla riapertura si sono ritrovati senza personale, complici Brexit e pandemia. Fa un certo effetto per una città come Londra.
Pensi mai a Prato, ti manca un po’ la tua città?
Sì, mi manca molto. Mi manca la mia famiglia, mio padre Fabio (chef delle Farnete, ndr.) che mi ha insegnato a lavorare sodo e il valore dell’umiltà. Mi manca piazza del Duomo, i pranzi della domenica da mia nonna e sentire l’accento pratese per strada.
È PARTITA PER LONDRA 11 ANNI FA. LÌ HA FREQUANTATO UN CORSO PER DIVENTARE SOMMELIER. HA LAVORATO DA GORDON RAMSAY E ADESSO LA INCONTRIAMO IN UN RISTORANTE STELLATO NEL QUARTIERE DI CLAPHAM
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