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LO SGUARDO DA DENTRO
VICINO DI CASA
GIGI PAOLI, DAL CICOGNINI ALL’OLIMPO DEI ROMANZI GIALLI VIAGGIANDO TRA PRATO E FIRENZE
DI MATTEO GRAZZINI
GIGI PAOLI, CLASSE 1971, GIORNALISTA DE LA NAZIONE, È IN LIBRERIA CON DIRITTO DI SANGUE
Da adolescente, e forte degli esempi di grande giornalismo ricevuti tra le mura di casa dal babbo Piero, girava per i corridoi del Liceo Classico Cicognini in via Baldanzi raccontando a tutti di aver scritto articoli su una vittoria degli Apache Firenze nello sconosciuto ai più campionato di football americano o su un canestro di JJ Anderson, luminosa stella americana della Pallacanestro Firenze. Adesso, a più di 35 anni di distanza, Gigi Paoli da Prato, sia pure con casuale nascita fiorentina, è uno degli scrittori “più bravi nel panorama italiano del giallo contemporaneo” come ha appena certificato il Corriere della Sera. Dalla quinta ginnasio alle presentazioni dei romanzi il passo è stato breve, perché in questi quasi quaranta anni Paoli ha scalato tutte le posizioni all’interno de La Nazione, transitando anche nelle ‘stanze’ pratesi e arrivando all’attuale importante ruolo nella redazione cronaca nella sede centrale di Firenze.
Giornalista e scrittore, come convivono le due anime?
Io sono un giornalista e lo rivendico con orgoglio perché ho sempre amato questa professione. I libri li scrivo di notte, un capitolo per volta. Alla fine non dormo mai. I due ruoli sono simili perché si usano sempre le parole ma i mondi sono completamente diversi. Dovrebbe unirli l’uso corretto del congiuntivo ma non sempre accade.
Già con Il rumore della pioggia è arrivato un successo clamoroso. Te lo aspettavi?
No. L’ho scritto in pausa pranzo e per il piacere di farlo, per vedere se riuscivo a scrivere un libro giallo o di spionaggio come ne avevo letti tanti. L’ho fatto leggere agli amici e mi sono arrivati incoraggiamenti a inviarlo alle case editrici. E la Giunti mi ha risposto.
E siamo al quinto, Diritto di sangue. Che dobbiamo aspettarci da Carlo Alberto Marchi, il protagonista dei tuoi romanzi?
Lo troverete un po’ acciaccato, come ci aveva lasciati ne Il giorno del sacrificio. La storia nasce con un delitto alle Cascine e con un paninaro ucciso e Marchi si troverà coinvolto per un episodio che si lega al passato della vittima.
Prato in tutto questo successo ha avuto un ruolo? C’è un po’ di Marchi in città?
C’è un aneddoto che amo tanto. La telefonata che mi fece Antonio Franchini, direttore editoriale della Giunti, per contattarmi per la prima volta dopo l’invio del primo libro alla casa editrice. Mi arrivò mentre mi trovavo proprio sotto al pulpito di Donatello, mentre stavo andando alla redazione della Nazione in piazza Ciardi.
Ora abiti in centro a Firenze. Come si vede Prato da lì? Pregi e difetti.
Sono a Firenze per motivi pratici, ho la figlia che studia qui e posso andare al lavoro a piedi, ma Prato mi manca tanto, nei suoi rapporti umani, nei sorrisi durante le colazioni al bar. E poi il pane! A Firenze non lo sanno fare, quello di Prato è straordinario. Il difetto è che la città è bellissima ma non riesce a comunicarlo, è penalizzata da una cattiva fama dovuta alla forte immigrazione cinese ma Prato deve far sapere che non è inferiore alle altre città toscane, per arte, cultura e tanti altri aspetti.
Per chiudere: dovendo scegliere tra il Premio Bancarella e la vittoria dei San Francisco 49ers al Super Bowl?
Probabilmente i 49ers. La prima passione non si scorda mai.