Rain Dogs
Danimals
"Padronanza assoluta del mezzo, stile unico e a tanta esperienza. Un’esperienza sconvolgente che mi ha messo a dura prova."
"È cambiato molto da quando ero un ragazzino, ma l’anima è rimasta la stessa "
Evergreen "Sono più interessato alla combinazione di tutto questo piuttosto che alla difficoltà di un singolo trick."
A BOOT WITH NO LIMITATIONS SO YOU CAN RIDE ANYWHERE AND ANYTHING YOU WANT, ALL SEASON, EVERY DAY. JUST LIKE SAM.
Intorno agli anni ’90 ero un giovane skater che esponeva orgoglioso sotto la sua tavola l’adesivo “skateboarding is not a crime”. Spesso per via degli slide sulle panchine la parola “not” veniva cancellata e si leggeva “skateboard is a crime”, mio padre carabiniere non ne andava molto orgoglioso. Poco più tardi iniziarono a vedersi i primi snowboard. Poche serate come cameriere nel bar del paese ed eccomi lì con i miei risparmi che mi compravo la mia prima attrezzatura, una tavola Nidecker Camille Brichet twin tip, attacchi Drake e scarponi Airwalk. In quegli anni si sentiva fortemente il senso di community, pochi ma uniti, tutti insieme rivendicavamo il diritto di accedere agli impianti, ma nulla. Le stazioni lo skipass proprio non ce lo volevano fare, ci dicevano che rovinavamo le piste. Non ero altro che ragazzino, studiavo fotografia. Odiavo ma allo stesso tempo amavo quel momento in cui mi negavano la possibilità di acquistare lo skipass, perché mi sentivo di non far parte di un sistema, risalendo a piedi sulle piste mi sentivo un trasgressore. E mi piaceva. Passano gli anni, inizio a fotografare snowboard per alcune riviste, e anche se anno dopo anno le stazioni sciistiche iniziano a farci gli skipass, rimaniamo sempre etichettati come “trasgressori” perché andiamo fuoripista, costruiamo salti nelle piste a mano, saliamo sui rail con le tavole. Capitava spesso che le forze dell’ordine ci chiedessero i documenti o sequestrassero le tavole a fine giornata. Poi d’improvviso, uomini alienati e insoddisfatti, annoiati dal lavoro d’ufficio e dalle mura di casa iniziano ad essere attratti da questo strano fenomeno dello snowboard, da questo stile di vita, da questa trasgressione. Lo ski era diventato tremendamente noioso. Ed è così che settimana dopo settimana nei comprensori si vedono sempre più snowboar-
der, sempre più jump, park, eventi e party dove se ti avvicini vestito da skier di certo non torni a casa con una ragazza. L’attrazione verso la trasgressione, anche se solo per qualche ora, era troppo forte. Avvocati si camuffavano con improbabili colori sgargianti ed impazzavano ai party, imprenditori, operai, studenti, non mancava nessuno. Non vi era distinzione, di giorno si raidava e di notte di festeggiava. Per poi il lunedì rifarsi il nodo alla cravatta e tornare alle vite grigie ed al sistema che ci era stato imposto. Arrivano le Olimpiadi e Terje Haakonsen, il più influente rider della storia, si mette immediatamente contro di esse dicendo in una sua intervista: “Odio le Olimpiadi. Ci stanno rubando lo snowboard. Distruggeranno il nostro sport”. Il resto è storia. Passano gli anni. Arriva il 2020. Il Covid19. Il lockdown. La chiusura degli impianti. Non ti puoi allontanare da casa oltre il tuo comune. Ma per alcuni la neve è più importante dell’aria che respira e quindi l’unica soluzione illegale è prendersi pelli e split, camminare per ore, assaporare il gusto della fatica e del sudore e guadagnarsi ogni singolo centimetro di polvere, immacolata, perfetta. Allora si carica la tavola in macchina ben nascosta dalle coperte, illegalmente si varca il confine, si parcheggia in un luogo appartato, si cammina fino in cima. Sudore, fatica, perseveranza. Finalmente si raggiunge la vetta. “Trasgressore” è l’aggettivo che rimbomba nella testa prima di droppare. Un flashback degli anni ’90 quando si era “trasgressori” solo per il fatto di essere snowboarder. Di nuovo per amore si trasgredisce, si ritorna a far parte di una community. E solo chi ne fa parte può riconoscere il sorriso che hai stampato in faccia di ritorno dalla montagna do-po quel drop. Snowboarding is not a crime (anymore).
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Sam Taxwood by Oli Gagnon
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Un flashback degli anni ’90 quando si era “trasgressori” solo per il fatto di essere snowboarder. Di nuovo per amore si trasgredisce, si ritorna a far parte di una community. E solo chi ne fa parte può riconoscere il sorriso che hai stampato in faccia di ritorno dalla montagna dopo quel drop.
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Top of the Line. High-stakes gear for getting to the no-fall zone and back in one piece. [ak] delivers relentless performance when every layer counts.
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Northwave 30 years anniversary still everything but ordinary
La storica azienda Italiana di snowboard boot compie oggi 30 anni. Tre decadi caratterizzate da un’incessante innovazione e una mentalità anticonvezionale che li ha portati a concepire e poi rivoluzionare il concetto moderno di scarpone da snowboard. Corre l’anno 1989 quando PIVA Srl, azienda di calzature nata negli anni ’70 e già attiva nella produzione di scarpette per scarponi da sci, comincia a realizzare scarponi da snowboard per conto terzi. Gianni Piva, ne vede un’opportunità e dopo soli due anni debutta sul mercato con Freedom, il primo snowboard boot firmato Northwave.
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l Freedom è assolutamente innovativo e impiega tecnologie finora sconosciute al giovane mercato dello snowboard: termoformatura, regolazione del flex e design all’avanguardia sono tre delle caratteristiche che lanciano la company alla conquista del mercato globale dello snowboarding.Dopo pochi anni il brand inaugura una collaborazione con il campione di half pipe Svizzero Reto Lamm, con cui con cui Northwave svilupperà il primo pro model in assoluto di scarpone specifico per half pipe. Lo scarpone prevede un design assolutamente innovativo, con un’altezza del gambale ridotta ed un flex customizzato: diverrà uno standard per tutti gli scarponi freestyle negli anni a venire. Il boot presenta un’originale suola oversize che avvolge la tomaia, questo design rimarrà per lungo tempo il segno distintivo degli scarponi Northwave. Negli stessi anni tale design viene adattato ad una sneaker che diverrà (e ancora è) un’assoluta icona degli anni ’90: la Espresso. La pianta oversize mutuata delle calzature da snowboard varca i confini Europei conquistando i mercati mondiali, in special modo il Giappone. Parallelamente, Northwave comincia a sviluppare calzature per la mountain bike. È datata 1993 la iconica Integral MTB shoe bicolore, caratterizzata da un design assolutamente inconsueto per il mondo della bicicletta e da due scarpe di colori diversi. Questo segmento prenderà sempre più importanza negli anni a venire. Northwave non si fa scappare una singola occasione e si butta nel mercato degli hard boots, riscuotendo in breve
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tempo un successo internazionale. Debuttando nel 1993, raggiunge lo stato dell’arte con il .950, che a detta dei carver hardcore, rimane tutt’ora uno dei migliori hard boot di sempre. Forti del successo internazionale, nel 1996 viene inaugura una sede americana a Seattle, che incorpora ufficio vendite e marketing per il mercato statunitense. Il crescente successo globale di Northwave porta all’inaugurazione del Worldwide Marketing Department, sempre con sede a Seattle, che coordina team, campagne pubblicitarie e brand identity su scala globale, coordinandosi con gli uffici americani ed europei. Da qui parte il mercato delle acquisizioni, che nel 1997, nell’ottica di ampliare la sua offerta a livello di prodotti, acquisisce il brand di attacchi Drake, anch’esso italiano. Due anni dopo è la volta del brand di accessori canadese Bakoda. Analogamente a Northwave, anche esso è volto all’innovazione e i numerosi design award e la menzione su magazine extra settore come Men’s Journal e Maxim ne sono testimonianza. Nel frattempo, i prodotti innovativi e qualitativamente eccellenti, oltre alla presenza massiva di Northwave sui media di settore e la sponsorizzazione di un team che conta i migliori rider dei tempi, elevano il brand italiano a dominatore assoluto del business dello snowboard footwear: Mikey LeBlanc, Kevin Jones, Andrew Crawford e Gian Simmen sono solo alcuni dei nomi di rider che militeranno nelle file Northwave.
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Matteo Rossato
I primi anni del nuovo millennio vedono la nascita di un altro ambizioso progetto, APX Project. Nato per il mercato giapponese e caratterizzato da un design assolutamente all’avanguardia e dall’impiego di materiali e tecnologie innovativi, APX riscuoterà un enorme successo internazionale e realizzerà uno degli scarponi da snowboard più iconici in assoluto, firmati dal pro Kevin Jones, che in quegli anni è assoluto mattatore di podi e video part. Gli scarponi Northwave calcano I gradini dei podi più prestigiosi come Gravity Games, G-Shock Air & Style, gli X-Games, gli U.S. Open of Snowboarding e collezionano medaglie Olimpiche a Nagano 1998 e Salt Lake City 2002. Il 2005 è ancora un anno di innovazione, da una parte, Northwave lancia il suo brand di tavole Venue, che completa l’offerta hardgood della company, dall’altra introduce le prime scarpe in Gore-Tex per il ciclismo. Sempre nel 2005, il brand presenta il suo esclusivo sistema di allacciatura rapida Super Lace, che rivoluziona il sistema di chiusura degli scarponi. Ancora oggi Northwave impiega l’evoluzione di tale sistema. Le due anime di Northwave corrono sin dalla nascita in parallelo e lavorano in sinergia. Molte tecnologie nate in un settore sono mutuate nell’altro e viceversa, garantendo così una continua innovazione e focus sulla tecnologia senza compromessi. Una nuova generazione di rider popola le fila Northwave: Antti Autti, Victor De Le Rue, Nejc Puko, Alvaro Vogel, Mercedes Nicoll, Luca Pandolfi, Niklas Askmayr, David Djite, Nick Visconti e Kohei Kudo, nuovi movie project supportati dalla company mettono in luce la quantità di talento presente nel team: la serie Anttisworld, Camp Out Tour 2012 e altri. Nel 2009 arriva il Compasso D’Oro, un prestigioso design award per un’innovativo sistema di allaccia"La parte più importante del lavoro del Northwave Lab è che si tratta di un team di talenti creativi dalla mentalità aperta e fortemente impegnata, in cui contributo di tutti è prezioso per migliorare e affrontare le nuove sfide di tutti i giorno".
Gianni Piva - Northwave founder
tura che si ispira a livello di concetto e di alcuni materiali al mondo della bike: è il T-Track, con chiusura ad overlap laterale anziché classica linguetta verticale. Facciamo un veloce salto in avanti e arriviamo al 2018, quando Alex Stewart, mente dietro Rusty Toothbrush nonché rider, entra in scena in qualità di International Team Manager ed arruola nuovi talenti nel team. Ethan Morgan, che peraltro firmerà il primo pro model dopo quello di Kevin Jones, il Gaper69, è seguito da una orda di talenti provenienti da ogni angolo del mondo: Jake e Joe Simpson, JJ Rayward, Dusan Kriz, Keisuke Shimakata, Tyler Chorlton, Nejc Pucko, Nicolas Huber e Jason Anderson. Per il 2021 infine, è stato creato un female team composto da Sofia Scholl, Paula Benito e Lia Mara Bosch. Le tre girl filmeranno durante tutto l’inverno e il risultato sarà un edit in uscita a fine 2021. Infine, per celebrare i 30 anni di Northwave, è stato organizzato un tour americano per la promozione del brand e per filmare assieme al Team US: il risultato uscirà a breve e sarà costituito da una serie di tre edit, con crew di rider divisi per generazioni: Generazione Z, Millennials e Generazione X. Le tre crew si sono sfidati su altrettanti terreni raidando storici modelli di boots provenienti dall’intero repertorio storico Northwave. But that’s not all folks! Nonostante il periodo non sia dei migliori, il Northwave Lab sta lavorando a nuove tecnologie e progetti degni del suo nome, che verranno presentati con la collezione 22/23. Sappiate solo che, per quanto abbiamo potuto capire, scateneranno una nuova rivoluzione dello scarpone da snowboard. Ma del resto cosa potremmo aspettarci da Northwave? Tutto, fuorché l'ordinario. dello snowboard e supportare la scena con il team e le sponsorizzazioni mi rende orgoglioso del mio lavoro e alimenta la mia passione. Mi sento come Q in James Bond quando parlo con i pro rider.”
Davide Smania - Marketing & Product manager "È incredibile indossare i miei stivali Gaper69.”
"È il sogno di tutti trasformare una passione autentica in un lavoro. In Northwave, questo sogno diventa realtà ogni giorno. Che si tratti di surfare sulle piste per provare un nuovo paio di scarponi o di fare rilassante giro in bici durante la pausa pranzo, snowboard e ciclismo nella nostra vita quotidiana ci ispirano e infiammano la nostra immaginazione.”
Davide Rossetti - Northwave GM "Sto vivendo il mio sogno, quando ho iniziato a snowboardare negli anni '90 il mio primo set era composto da scarponi Northwave e attacchi Drake, non si dimentica mai il primo amore! Essere parte dell'evoluzione
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Ethan Morgan - Northwave pro “Sono molto entusiasta di essere parte del team Northwave e Drake. Sono onorato di popolare le fila di un brand così rispettato e di far parte di una grande squadra.”
Kohei Kudo - Northwave pro "È un vero onore lavorare con un brand leggendario che sta ancora spingendo per realizzare i migliori scarponi del settore per più anni di quanti io ne abbia vissuto.”
Alex Stewart - Northwave pro & TM
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WE DIDN’T SET OUT TO REINVENT THE BINDING— WE SET OUT TO PERFECT IT. Introducing the all-new aluminum A-Series & composite C-Series RIDE binding collections.
Sparked by our love for Japanese mountains, culture, people, and snow, we moved the office and designed our boards, boots, and bindings in Hakuba, Japan. We rode in the mornings, worked in the evenings, and immersed in culture at night.
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Blotto
ITW
HERE
Alex Adrian by Matteo Rossato
MariaThomsen
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opo otto anni di silenzio, Burton torna con un nuovo film. Voluto da Jake Burton, è stato lui stesso a chiedere a Zack Nigro di “farlo corto ma che spacchi”. Sicuramente One World spacca di brutto, grazie a una produzione di alto livello, a una selezione musicale, di spot e una lista dei rider di prim’ordine, non siamo sicuri solo sull’essere corto! Ma comunque, è il capolavoro che ci aspettavamo dal brand che dato vita alla rivoluzione dello snowboard. Abbiamo parlato con Alex Adrian, co-regista del film, per sapere come sono stati in grado di realizzare un progetto del genere nei tempi difficili che stiamo vivendo.
Ciao Alex, per prima cosa, come mai il nome One World? Bella domanda. Il nome e l’idea LEFT
Danny Davis RIGHT
Christian Haller
dell’intero film sono venuti da Zach Nigro. Durante la presentazione del film, ha raccontato una storia di quando raidava in Giappone: era notte fonda, il resort era quasi vuoto e la neve era fantastica. L’unica altra persona in seggiovia con lui era un ragazzo giapponese, e dopo poco tempo hanno iniziato a
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parlare anche se entrambi non conoscevano la lingua dell’altro, ma erano comunque super entusiasti di condividere insieme l’esperienza di una notte perfetta di neve fresca. Praticamente tutti hanno storie di snowboard condivise con persone che la pensano allo stesso modo e vedono questo “One World” come un unico mondo di snowboarder in cui stare assieme. Il nome funzionava quindi alla fine abbiamo deciso che era quello giusto per il film che stavamo girando.
Cosa pensi che le parole dette da Jake (Burton) a Zach riguardo al nuovo film significassero? “Fallo corto ma che spacchi”? Jake
amava divertirsi. Amava lo snowboard così come andare alle anteprime dei film di snowboard. La durata di un film può avere un grande impatto sul tempo trascorso a una premiere. Fondamentalmente, vuoi che il film sia abbastanza lungo da sembrare che ci sia della sostanza, ma non così lungo da diventare noioso. Se alla fine la gente dice che l’avrebbe voluto più lungo, è una vittoria, ed è quello che Jake voleva che facessimo.
Ti sei sentito sotto pressione visto che era il primo nuovo film di Burton dopo un po’? Sicu-
ramente. Non realizzavamo un film da otto anni ed essendo Burton il brand più grande del mondo snowboard, le aspettative erano ovviamente molto alte. Sapevo che i nostri team rider sono tra i migliori al mondo, così come la nostra crew video, quindi se non fossimo riusciti a fare un grande film la colpa sarebbe ricaduta su me e Lance (il co-regista).
Potremmo dire che One World sia un tributo a Jake fatto dai suoi ambassador? Sì certa-
mente. Penso inoltre che One World sia un tributo anche allo snowboard e ai bei momenti che ci regala. È stato Jake ha donarci questo sport, e cosa c’è di meglio che poterlo onorare mostrando lo snowboard nel miglior modo possibile.
Qual era l’obiettivo finale del film? A parte quello appena accennato. L’obiettivo era solo realizzare un film che ispirasse le persone e facesse venire loro voglia di fare snowboard. E credo che abbia raggiunto lo scopo.
In che modo il lockdown ha sconvolto i vostri piani? Quando il Covid è arrivato, la produzione
era in pieno svolgimento. Avevamo team dappertutto e molti viaggi programmati. Avrei dovuto volare in Austria il giorno in cui hanno annunciato il lockdoown, e ricordo di aver chiesto a Hasi (Burton Europe TM) se dovessi ancora muovermi ma lui mi ha risposto: assolutamente no! È stato difficile da accettare, ma è stata la scelta giusta. Poi praticamente tutto si è fermato, il nostro ultimo team è stato in Alaska fino alla seconda metà di marzo e anche loro sono poi tornati a casa. È stato surreale, ma tutti nel mondo erano nella stessa situazione. Oltre a perdere i mesi migliori per le riprese, il Covid ha reso il nostro processo di post produzione e montaggio molto più difficile. Mi piace essere molto pratico mentre lavoro con gli editor, mi siedo con loro e insieme guardiamo e parliamo di come sta venendo il video in tempo reale. Ovviamente il Covid lo ha reso impossibile. Il nostro team di montaggio, Justin Taylor e Dylan Parr, erano in Montana e io nel Vermont, e sono stato in grado di andare lì solo una volta per pochi giorni. Abbiamo dovuto tutti modificare le nostre routine e abbiamo trascorso molto tempo a condividere schermi su Zoom per ultimare il lavoro.
Chi ha fatto parte della produzione oltre a te e Zach? Per questo film siamo riusciti a mette-
re insieme un team incredibile. Zach Nigro e Ian Warda di Burton sono stati i produttori esecutivi, Homestead Creative (Aaron Blatt e Ryan Runke) l’ha prodotto insieme a Vanessa Violette, io l’ho co-diretto con Lance Violette, infine Justin Taylor ha lavorato al montaggio. I team manager sono stati Pat Dodge, Martin Haslwanter, Karen Yankowski Dunavin, e Alex Andrews. La nostra film crew era composta da Justin Eeles, Aaron Leyland, Malachi Gerard, Sean Aaron, Gabe Langlois, Joe Carlino, Rafe Robinson e io stesso.
Scegli tre momenti salienti dei viaggi: tre situazioni insolite, impreviste o folli… St. John’s:
Ethan, Neils, Maria e Max erano a St. John’s in Canada con Malachi, Blotto, Joe e Alex Andrews per uno street trip quando un’enorme tempesta è arrivata e ha praticamente isolato la città al punto che addirittura il cibo e la benzina venivano razionati e si doveva andare in giro a tirare fuori la gente dalle loro case. In quel periodo io ero alle Hawaii e ogni giorno ricevevo le chiamate e i messaggi più assurdi su quello che stava succedendo lì. Era stranissimo sentir parlare di banchi di neve alti 3 metri mentre surfavo in costume da bagno, non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ in colpa! Niels Spots: sono volato in Minnesota per raggiungere Ethan, Niels, Maria e Luke (con anche Joe Carlino e Blotto). Sono arrivato la sera e mi sono incontrato con la crew per cena. Dopo cena mi hanno detto che eravamo vicini ad uno spot dove Niels avrebbe voluto fare qualche trick la mattina successiva e che volevano parcheggiare un’auto in modo che nessuno ci occupasse il posto il giorno dopo. Quindi ci siamo andati ma veramente non capivo come Niels potesse anche solo pensare di raidare lì. Voleva lanciarsi da un edificio? Saltare giù dal muro? Non capivo, così gli ho chiesto e lui mi ha indicato una piccola sporgenza in mezzo a delle rocce, la mia mente è letteralmente esplosa. Difficile spiegare quanto fosse folle e insolito come spot, ma Niels è cosį e questo lo rende eccezionale. La mattina successiva l’ha chiuso perfettamente dopo pochi tentativi. Night Pipe: molte cose stavano andando storte, stavamo tentando di girare questo shot con un budget molto inferiore a quello di cui avevamo bisogno e avevamo solo una notte per portarlo a termine. Abbiamo avuto problemi di alimentazio-
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ne elettrica e ci siamo ritrovati a girare durante una bufera di neve. Le condizioni era tutt’altro che ideali ma nonostante lo stress accumulato alla fine è venuto fuori un bel lavoro.
Scegli tre rider che ti hanno lasciato senza parole durante le riprese di One World. Cosa ti ha sorpreso di ognuno di loro? È piuttosto difficile sceglierne solo tre, onestamente hanno tutti spaccato nel film.
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Max Zebe
Maria Thomsen: la prima volta che ho filmato con lei è stato durante il viaggio in Minnesota e sono rimasto veramente stupito del suo riding e delle sue abilità. È una vera forza e il footage parla da sé. Luke Winkleman: conosco Luke fin da quando era un ragazzino, e ho sempre saputo che fosse un fortissimo snowboarder ma vederlo in azione è stato unico. Quello in Minnesota è stato il suo primo street trip e ha portato in strada lo stesso stile che ha sulle piste. Molto bello da vedere.
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Anna Gasser: Anna è una perfezionista, vuole sempre vedere subito i suoi shot ed è la più severa critica di sé stessa. Passare alcuni giorni con lei e vederla migliorare costantemente è stato davvero fantastico. Le sue part sono molto belle ma sono certo che avrebbe voluto dare ancora di più. Penso che tra qualche anno sarà una vera forza del backcountry.
Ultima ma difficile domanda: la morte di Jake ha lasciato un vuoto incolmabile non solo nella sua azienda, ma in tutto il mondo dello snowboard. In che modo quello che ci ha lasciato onorerà la memoria di Jake d’ora in poi? Penso che la cosa migliore che possiamo fare per onorare Jake sia assicurarci che lo snowboard sia sempre il più inclusivo e aperto possibile in modo da continuare a condividere questo unico mondo che abbiamo. Dopo che Donna ha visto il film per la prima volta, ha detto che Jake l’avrebbe adorato, e questo ha significato tantissimo per tutti quelli che hanno lavorato a questo progetto.
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Ethan Deiss
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Danny Davis
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YOUR MOUNTAIN
IS CALLING
NEW MELLOW
– IDEAL FOR SURF STYLE SLASHES, TREE RUNS AND ROLLING TERRAIN With a new shape for 2021, the Mellow is made for bringing surf-style turns and aesthetics to the mountain. With a tighter sidecut and an all-wood topsheet, it cuts through deep tree runs and cruises over slush, leaving only dust in its wake.
| SAM MC MAHON PROUD MEMBER OF
PROUD MEMBER OF
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Rúnar Hjörleifsson & Víðir Björnsson
LOCATION
Eastfjords, Iceland
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Fjőrd Lines è un appassionato progetto sviluppato insieme al regista e surfista VĦir Bjųrnsson. L’idea del film ha iniziato a prendere forma mentre esploravo le montagne vicino alla mia città natale, Neskaupstaрur, nella regione dei fiordi orientali dell’Islanda, l’Austurland. Questo territorio presenta innumerevoli caratteristiche e diversità e non c’è motivo di andare altrove quando hai un posto come questo proprio fuori dalla porta di casa. Attraverso il film, volevamo mostrare ciò che il territorio qui ha da offrire e il nostro obiettivo era filmare a breve distanza dall’oceano e dalla mia città natale. Io stesso vivo in un van durante la stagione invernale, in modo da essere il più vicino possibile alla natura e alla montagna, e concentrarmi maggiormente sullo snowboard. Fino alla metà di marzo mi trovavo in Austria e sono riuscito a tornare a casa in Islanda con il mio van appena in tempo prima che chiudessero le frontiere a causa del Covid. Abbiamo quindi iniziato le riprese all’inizio di aprile: gli impianti di risalita sono stati chiusi anche qui in Islanda, quindi abbiamo dovuto muoverci sempre a piedi. A quel tempo, la neve non era delle migliori in Austurland, ma era in arrivo una grande tempe-
sta nel nord dell’Islanda, quindi ho preso il van e mi sono incontrato con gli altri ragazzi. Alla fine siamo addirittura rimasti bloccati in una piccola città per qualche tempo perché tutte le strade erano chiuse e non potevamo andare da nessun’altra parte. Tuttavia, abbiamo finito per divertirci nella bufera di neve, raidando in una sorta di rifugio tra le case, dove si erano accumulati mucchi di neve. Quando il tempo finalmente è migliorato, le onde erano giganti! Con me c’erano diversi surfisti, quindi abbiamo programmato un’escursione giornaliera e con le nostre tavole da surf ci siamo diretti verso uno spot con belle onde e buone linee nelle vicinanze. Probabilmente è stata la giornata migliore che abbiamo trascorso, anche se sono caduto in un fiume gelido! Dopo aver esplorato il nord dell’isola in macchina per alcuni giorni, sono tornato a casa per stare un po’ con gli amici e passare il tempo libero in van. Le previsioni hanno iniziato a sembrare di nuovo promettenti, ho quindi chiamato VĦir e Filip chiedendo loro di raggiungermi. Sono rimasti per più di due settimane e ci siamo divertiti un sacco a bordo dei nostri van e battendo diverse linee nei fiordi orientali. Sono stati giorni fantastici: non ero mai riuscito prima
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a mostrare alla gente cosa davvero ha da offrire questo territorio. Per me qua si trovano le migliori montagne dell’Islanda per fare snowboard e splitboard, con altezze di quasi 1000m e direttamente a picco sull’oceano. Alcune vette sono davvero ripide, quasi quanto quelle in Alaska. Ovviamente ci sono anche mete più tranquille e la maggior parte delle montagne è abbastanza facile da raggiungere a piedi, a volte ci vogliono solo un’ora o due per arrivare in vetta. È veramente il sogno di ogni splitboarder. Qui si possono trovare sia ripide montagne a picco sul mare dei fiordi occidentali che vette più tranquille e alla portata di tutti. Basta uscire dalla propria porta di casa, camminare qualche ora e si arriva in cima, da lì si può scendere attraverso diversi canaloni. Raidare qua è fantastico soprattutto perché di solito c’è molto vento. Inoltre ci sono tante strade che portano alle montagne dei fiordi, quindi è facile avvicinarsi alle linee. Sicuramente c’è l’imbarazzo della scelta per divertirsi! A giugno ci siamo diretti a “Dyrfjöll”, uno dei miei posti preferiti a est e ci siamo accampati lì con la mia ragazza e Víðir per qualche giorno. Le vette montuose qua sono davvero spettacolari con laghi glaciali turchesi cristallini. C’era un
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sacco di neve, e l’intero viaggio è stato fantastico. Abbiamo filmato durante uno degli inverni più rigidi degli ultimi decenni. La selvaggia natura islandese e i venti dell’Atlantico non perdonano, ecco perché siamo veramente grati di aver potuto raidare quelle linee fantastiche. Tutto si è svolto in modo davvero naturale. Abbiamo voluto girare un film semplice, che mostrasse esattamente quello che ci piace fare: spostarsi in van alla ricerca di belle linee e divertirci. Il mio amico Filip mi ha aiutato ad ottenere uno sguardo più ravvicinato, inseguendomi su per tutte le vette invece di usare solo droni o teleobiettivi. È venuto fuori un bel prodotto, quindi sono grato del grande aiuto che ci ha dato Filip! Inoltre, un valore aggiunto del film è che tutti coloro che sono stati coinvolti nella sua realizzazione sono islandesi. Abbiamo collaborato anche con Margrňt Rŏn, membro di una delle nostre band preferite, Vųцk, che ha prodotto l’intera colonna sonora del film! Siamo davvero felici di aver portato a termini questo progetto e di poter mostrare il nostro stile di vita e ciò che l’Islanda ha da offrire per tutti gli appassionati di snowboard.
STÅLE SANDBECH • STALE MOD STALE CREWZER STALEFISH STALE CLEAVER
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i sono innamorato dello snowboard, ormai parecchi anni fa, perché rappresentava libertà, innovazione, stile. Quando ripenso ai primi anni passati sulla tavola, le immagini che visualizzo nella mia mente sono seggiovie, piste battute, snow park e neve fresca, nelle giornate più fortunate. Ormai ho trascorso davvero molti anni sulla tavola e ho visto questo mondo cambiare, evolversi, assumere forme completamente diverse. Ma forse, a conti fatti, sono anche io ad essere cambiato molto da allora. Con il passare del tempo ho imparato a innamorarmi di aspetti molto diversi del mondo che mi circondava quando mi trovavo con una tavola ai piedi. La mia attrazione verso quello che stava “oltre” i tracciati battuti è diventata sempre più irresistibile e ho deciso di portare il mio sguardo più in là, verso pendii non ancora tracciati e verso le cime delle montagne dal cui senso estetico ero attratto in modo viscerale. Ho mosso i miei passi in ambienti nuovi e affascinanti con la tavola sulle spalle e delle ciaspole ai piedi prima e, successivamente, con una splitboard. Ho iniziato ad apprezzare tutto quello che pensavo essere solo il “contorno” del mondo dello snowboard e, rapidamente, quello “stare intorno” è diventato il centro assoluto del mio mondo. Ho iniziato ad apprezzare la solitudine, la neve in ogni sua forma, il rumore degli elementi naturali e l’incertezza di quei luoghi dove l’antropizzazione sembra non poter arrivare. O forse dove spero non sia mai in grado di arrivare. Ho imparato che non sempre si raggiunge la cima ma che la cima non è per forza la meta che dà maggior soddisfazione. Ho capito che togliere, molto spesso, è di gran lunga più importante di aggiungere, e come le emozioni possano scaturire a qualunque quota e su qualunque pendenza. Tutto quello che ho imparato l’ho riportato “a valle” ed è diventato irreversibilmente parte di me, della mia vita quotidiana e del mio modo di essere. Mentre scrivo queste parole stiamo attraversando tutti un momento fino a qualche tempo fa inimmaginabile. In un breve periodo quelli che erano le nostre abitudini di vita e i modi di approcciarci a qualunque azione, sono stati completamente stravolti. E con esse
anche le dinamiche economiche, sociali e organizzative di tutto il mondo. Per quanto riguarda le realtà di valle, ad oggi non c’è certezza dell’apertura degli impianti e, a dirla tutta, in alcuni casi nemmeno della possibilità di andare in montagna. Ci troviamo a dover ripensare completamente il nostro modo di approcciarci a questi luoghi, creando alternative possibili a quello che c’è stato fino ad ora. Ad alcuni sembra economicamente insostenibile, ad altri meno, ma questa è la condizione oggettiva in cui ci troviamo. Non sono un “venditore di ottimismo” ma certamente sono uno che tende a trovare soluzioni o punti di vista diversi. E allora mi chiedo se questa nostra condizione non possa servire da spunto per chiederci se la montagna possa essere anche vissuta diversamente da come la massa è abituata a fare. Se questa non possa essere l’occasione per andare oltre a quello che per anni è stato lo “standard”, sia per quanto riguarda l’approccio del singolo che per quanto riguarda le logiche di sviluppo territoriale. Una delle cose che più mi ha colpito le prime volte che organizzavo dei camp di splitboarding era come le persone si stupissero del fatto che con una split ai piedi si potesse andare “ovunque”. Cioè di come non fossimo per forza costretti a percorrere certi tracciati o piste (se non ovviamente per questioni legate alla sicurezza). Quello che mi viene spontaneo pensare allora è che ci siamo ridotti a vivere la montagna in modo non troppo diverso da come si vivono luoghi più antropizzati. Seguendo percorsi, pagando un biglietto, rispettando gli incroci. E non dico che ci sia qualcosa di sbagliato in questo. Ma sono convinto che la montagna non possa e non debba essere solo questo. Quindi forse questa può essere l’occasione per un approccio un po’ diverso, silenzioso, rispettoso e sicuramente con un po’ di avventura in più. È un periodo difficile per tutti e per molti aspetti delle nostre vite ma, tutto sommato, tolti gli impianti, tolta la neve artificiale, tolti i rifugi, gli apres ski, le piste, tolte le settimane bianche, tolte le code, i parcheggi, tolto tutto questo, le montagne saranno ancora lì e, forse, avremo l’occasione di conoscerle un po’ meglio di quanto pensavamo di conoscerle prima di tutto questo.
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Luca Albrisi
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Elisa Bessega & Matteo Pavana
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kicircus Saalbach Hinterglemm Leogang Fieberbrunn, un vero paradiso del freeride nelle Alpi Austriache. Se fare le tue prime curve al mattino presto galeggiando in powder è ciò che ti piace, lo Skicircus potrebbe essere il posto adatto per il tuo prossimo viaggio in snowboard alla ricerca di belle curve e powder. Questo posto ha davvero tutto: discese adrenaliniche facilmente raggiungibili attraverso le moderne seggiovie o, se ti piace andare fuori dai sentieri battuti, fantastici luoghi per il backcountry accessibili con semplici hike. La zona è anche nota come meta di vacanze per il turismo invernale grazie alle sue piste perfette e ai moderni e comodi impianti di risalita che attirano migliaia di sciatori e snowboarder ogni inverno. Ma offre anche un’ampia varietà di divertimento fuoripista dove la neve spesso rimane intoccata per giorni dopo una nevicata. Qui si possono seguire fantastiche tracce fra gli alberi, grazie alla combinazione di bassa quota (il punto più alto raggiunge i 2096m) e nevicate più pesanti rispetto alle zone circostanti, e quando il cielo si schiarisce, le piste più ripide di Fieberbrunn ti aspettano. Considerata come una vera Mecca del freeride, la zona è anche casa del Freeride World Tour a marzo, quando i migliori freerider del mondo arrivano tutti qui per
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Tommaso Bernacchi
tracciare le loro linee lungo la parete scelta per la competizione. È un luogo davvero unico e in quei giorni si respira davvero il “mood freeride” che circonda il posto, sicuramente è un ottimo momento per pianificare un viaggio qui se vuoi goderti l’atmosfera e vedere i grandi nomi della scena che si danno battaglia. Frieberbrunn è caratterizzata da ripide pareti nord che si affacciano sulle Alpi di Kitzbühel, come le vette di Henne Nord e Wildseeloder dove i freerider più esperti possono prendersi la loro dose di adrenalina. Naturalmente, per godere in sicurezza di questi splendidi terreni, si consiglia una Guida Alpina. Sanno meglio dove portarti, a seconda delle condizioni del tempo e della neve. Lo Skicircus Saalbach Hinterglemm Leogang Fieberbrunn è anche un’ottima scelta se stai muovendo i primi passi nel freeride. La sicurezza qui è una priorità assoluta e gli addetti hanno fatto un ottimo lavoro offrendo al pubblico un’ampia offerta di attività per imparare a vivere al meglio il backcountry. Campi di sicurezza, laboratori, checkpoint artva, campi di ricerca LVS per esercitarsi, Skicircus Saalbach Hinterglemm Leogang Fieberbrunn offre ai freerider di tutte le età e livelli di abilità molte op-
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saalbach.com / Christian Wöckinger / Roman Lackner / Daniel Roos / Klaus Listl
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portunità per prepararsi adeguatamente per raidare fuori pista. Ci sono 15 checkpoint LVS installati su tutto il comprensorio sciistico. Questa offerta combinata con i due campi di ricerca LVS, il sistema di informazioni sulla neve auto-sviluppato e il sistema di allarme valanghe LO.LA, fa del freeride park e dei suoi percorsi freeride segnalati un luogo ancora più sicuro in montagna, inoltre garantire attrezzatura freeride funzionale e completa è visto come un must assoluto qui. Valore aggiunto è l’esclusivo partner per la sicurezza dello Skicircus, Ortovox, che garantisce i più alti standard in attrezzature da valanga e di emergenza. Lo Skicircus Saalbach Hinterglemm Leogang Fieberbrunn offre davvero un’ampia varietà di attività per tutti, un bel mix di neve fresca durante i giorni e divertimento notturno la sera. Se vuoi goderti la vita di montagna a 360°
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questo posto merita davvero una visita.
Abbiamo chiesto al local Clemens Bergmann qualche domanda sulla sua home resort. Quanto ha aiutato la tua carriera di snowboarder il fatto di essere nato e cresciuto in questa area sciistica? In quanto freerider, è
stato per me un onore ed un privilegio crescere in un’area come questa. Sin dai miei primi giorni su una tavola, ho provato a lasciarmi alle spalle le piste, tracciando le mie linee in neve fresca. Da allora ad oggi, 20 anni dopo, posso dire che trovo ancora nuovi spot, dove scendere sempre più forte, con pendii più ripidi e salti più alti. Questo è ci che spinge sempre avanti.
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Con il passare degli anni sei stato testimone dello sviluppo di quest’area nel tempo. Cosa ti piace di più del tuo resort? Sono successe tante cose durante gli ultimi anni in quest’area. La fusione ha reso Skicircus uno dei più grandi comprensori d’Europa. Questo ha aperto nuove possibilità anche per il freeride. Ciò che mi piace di più è che difficilmente si trovano discese in neve fresca che non portino agli impianti. Questo ti permette di risalire subito per un’altra run indimenticabile .
Per quale motivo fare freeride in quest’area è così speciale? Ogni singola area dello Skicircus
offre un sacco di differenti possibilità. Su un versante puoi trovare dei pendii divertenti, con degli ostacoli naturali in mezzo alla neve fresca, oppure
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discese ripidissime tra rocce affilate e cliff enormi e quando il tempo è brutto ci si può divertire tra i tanti boschi dell’area. Dall’altro lato invece puoi goderti curve infinite sulle piste tenute in maniera perfetta, alla ricerca di qualche side hit mentre raggiungi il Nitro Snowpark Leogang, dove ti potrai divertire una volta che non c’è più neve fresca.
Qual è la tua linea preferita nel comprensorio? Ce ne sono veramente troppe ma penso che
la mia preferita di sempre sia quella dalla vetta del versante utilizzato per il FWT che scende fino a Wildseeloder. Questo ripido e ombroso versante nord, mi fa sempre divertire molto quando ci sono le giuste condizioni! Anche se forse è adatto solo ai rider più esperti!
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Matteo Rossato
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Jaakko Posti
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Questa citazione di Theodor Roosevelt che Antti ha menzionato in un recente discorso riassume piuttosto bene il suo stile di riding e la sua opinione sulla sua stessa carriera, da prodigio dell’Half Pipe, a avventuriero del freeride, fino a talentuoso storyteller attraverso i suoi tre film. Abbiamo avuto una piacevole chiacchierata con Antii sulla nuova normalità che stiamo vivendo, sulla vita, i progetti e il suo profondo legame con Madre Natura e i territori nordici.
Ciao Antti, potresti definire questa nuova normalità che stiamo vivendo o credi che sia in continua evoluzione?
Credo che sia decisamente in continua evoluzione. Tutto cambia, intanto cresci e invecchi, si spera diventando anche più saggio, e inizi a vedere le cose da prospettive diverse, trovando anche nuovi modi per dedicarti alle tue passioni.
Hai dichiarato che lo snowboard è la tua passione, ma la tua famiglia la vede più come la tua ossessione. Cosa significa lo snowboard per te? Direi che se si vuole pratica-
re questo sport in modo professionale si debba esserne un po’ ossessionati, ma anche essere in grado di capire quando si sta esagerando. Nel mio caso, mi sono reso conto che ero continuamente alla ricerca delle migliori condizioni e stavo diventando decisamente fissato col powder e quantità di tempo che volevo passare a raidare in inverno. Questo mi ha portato a pensare che se la mia mente era soddisfatta solo dalla qualità della neve e dal numero di uscite, allora dovevo cambiare qualcosa perché a lungo termine quello stile di vita non sarebbe stato né salutare né sostenibile. Questo è uno dei motivi principali per cui ho deciso di iniziare a praticare splitboarding. Ti muovi più lentamente, sei più presente e il viaggio diventa fondamentale piuttosto che il solo ricercare neve e linee perfette. È tutto il processo in sé ciò che conta.
Qual è il tuo ricordo più bello legato allo snowboard? E qual è stata la tua più grande conquista finora? Ho molti
bei ricordi quindi è difficile sceglierne solamente uno, sicuramente tutte le uscite in splitboard da solo, sono dei momenti fantastici perché siamo solo io e i miei pensieri. Invece penso che la mia più grande conquista sia stata essere stato in grado di evolvermi nella mia carriera e non perdere mai la grande passione che ho per questo sport.
Il tuo background di gara ti ha aiutato in qualche modo a dare forma alla nuova direzione che hai intrapreso con lo snowboard? O semplicemente ti sei allontanato dal mondo delle competizioni? Quando si parla di raidare e affrontare
ostacoli naturali è stato sicuramente utile, ma per capire le condizioni di neve al meglio e muoversi in sicurezza nella natura ho dovuto iniziare da zero. Raidare ostacoli mi ha dato un punto di partenza straordinario per il controllo della tavola, ma è importante anche capire quando è sicuro mettere in pratica quelle abilità.
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Sembra che tu abbia una tua forte opinione sui film di snowboard. Da quando hai diretto per la prima volta un film, Closer, hai portato il tuo stile personale e il tuo mood sullo schermo. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo? Gra-
zie, nei progetti con il filmmaker Iisakki Kennilä ci confrontiamo sempre molto. Iisakki si occupa dell’aspetto tecnico e cinematografico mentre io cerco di mettere insieme varie idee che possano adattarsi perfettamente al concetto che vogliamo trasmettere. Ad esempio filmare solo una certa parte della tavola quando è in movimento, o creare un diverso tipo di effetto della neve ecc. Concentrarsi sui dettagli permette di raidare in modo più rilassato. Inoltre anche le emozioni hanno un ruolo importante durante le riprese, il montaggio e il riding stesso, e lo spettatore deve potersi immedesimare.
Come prendono vita i film con Iisakki Kennilä, che lavora con te fin da Closer? Iisakki è sempre stato molto coinvolto nei miei progetti. Lavoro con altri pochi filmer, Jaakko Posti e Joonas Mattila. Sono entrambi super esperti di montagna, quindi fare uscite con loro è semplice e sicuro. Lavorare in alta montagna presuppone di dover essere sempre attenti a cosa succede intorno e non concentrarsi solo sul riding stesso. In Closer e Yukiguni il riding era il centro dei film ma nei progetti futuri vorrei concentrarmi molto di più anche su come spostarsi e muoversi in montagna.
Parliamo di Roam, il tuo ultimo progetto. È anche un modo per celebrare la tua patria? È un inno alle montagne del
nord e alle sue zone innevate. Si tratta del viaggio di uno splitboarder nel territori della luce in continua evoluzione. Molto probabilmente Roam sarà il mio ultimo cortometraggio con Iisakki. Volevamo filmare qualcosa incentrato sulle montagne nel nord da un po’, lo stile del film è simile a quello di Closer e Yukiguni, e penso che farà venire voglia alle persone di venire qui per fare delle belle curve!
È abbastanza chiaro che ami i tuoi territori del nord, ma hai passato molto tempo anche in Giappone. Quanto è diverso lo snowboard nella Terra del Sol Levante rispetto all’Europa? Penso che in Giappone la cultura della montagna sia differente a seconda delle varie regioni, ma mi piace il loro approccio consapevole e il rispetto che hanno per questo sport, è il motivo per cui mi ci sono recato per molti anni. Inoltre ho instaurato un forte legame con la gente del posto, che ora sono diventati miei amici. Inoltre, la neve è semplicemente la migliore del mondo!
Quanto è profonda la tua connessione con Madre Natura? Molto e sento che ogni anno diventa ancora più profonda. Rifletto
molto su come rispettare al meglio la natura, soprattutto per quanto riguarda i viaggi, ma mi faccio anche molte domanda riguardo alla politica del mondo in cui stiamo vivendo. Il vero cambiamento deve avvenire lì e l’unico modo che abbiamo è prendere una posizione e votare.
Sei recentemente diventato parte della Jones family. Ti senti in sintonia con Jeremy riguardo il modo di praticare snowboard in maniera sostenibile? Credo che Jones SnowboTEXT
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ards sia una perla rara nel mondo dello snowboarding. È stato il primo brand a mettere l’amore per la montagna e il rispetto per la natura al centro del proprio business, il che è anche un fattore positivo per l’intero sport perché ha spinto anche altre aziende a pensare all’ambiente.
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Immagino non ci sia bisogno di presentare gli Scandalnavians e il secondo capitolo del loro omonimo progetto video, probabilmente uno dei migliori snowboard movie di questo strano inverno. Un coraggioso progetto di due anni che ha coinvolto la crème di una delle terre più fertili per lo snowboarding, la Scandinavia. Ci siamo confrontati con Kristofer Fahlgren aka Kuske, la mente del progetto e leader della crew Barbarian. Chi sono gli Scandalnavians? Gli Scandalnavians sono praticamente i nostri rider Scandinavi preferiti. Può farne parte chiunque che abbia il nostro stesso mood e stile di vita. Non è una crew, cambia di anno in anno. Ma la regola generale è che devi piacerci, non è fondamentale essere il più grande snowboarder di sempre. Se non ci piace passare del tempo con te, allora la cosa non può funzionare.
Scandalnavians, il primo film, è uscito nel 2013. Poi 6 anni di silenzio e, finalmente, nel 2019 è stato annunciato il sequel e pubblicato il teaser. Ci racconti cosa è successo nel frattempo? Il motivo principale dietro la reunion è stato Len Roald Jørgensen. Era anche nel primo film, e da quando abbiamo girato quel primo progetto insieme non ha fatto altro che parlare di un sequel. Ogni anno mi chiedeva quali altri progetti avevo, ma sia io che gli altri rider eravamo sempre impegnati in altre cose. Poi, all’improvviso, tutto si è incastrato. Nessuno aveva piani per il 2019 e una volta che siamo riusciti a coinvolgere tutti per un anno, abbiamo pensato, perché non lavorarci invece due anni? Abbiamo pensato che sarebbe venuto doppiamente bene perché tutti noi abbiano usato il doppio del tempo per filmare. Inoltre, ciò ha anche permesso ad alcune persone che ancora gareggiano di avere finalmente il tempo di filmare una parte completa invece di prendersi solo un paio di settimane in primavera come accade di solito in un anno normale.
Anche la colonna sonora è complemente scandinava: volevi che fosse un manifesto della Scandinavia? Ovvio. Penso che la scena mu-
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sicale sia davvero forte in Scandinavia e volevo mostrare anche questo aspetto. La musica aiuta davvero a creare l’atmosfera dell’intero film con canzoni che hanno una connessione naturale con i rider, i loro paesi e le loro lingue. Penso che circa il 30% delle canzoni del film siano in lingua originale mentre le altre sono in inglese. Tuttavia, tutte le canzoni provengono al 100% dalla Scandinavia.
Erik Nylander
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Tutto è esclusivamente scandinavo tranne gli spot: siete espatriati dalla Scandinavia alla ricerca di neve o avevate in mente spot precisi? Non volevamo limitare nessuno riguardo a dove andare a filmare, la Scandinavia ha nevicate, terreno e condizioni meteorologiche piuttosto limitate, quindi abbiamo pensato che fosse meglio essere in grado di andare ovunque per trovare la neve migliore. Ci siamo recati in Giappone, Canada e nelle Alpi per cominciare, ma poi a marzo è arrivato il Covid e praticamente tutto ha chiuso. Siamo stati costretti a rimanere a casa, nei nostri paesi, e riprendere il progetto da lì.
Come è stata formata la crew? Come dicevo prima, non avevamo una crew fissa quindi ognuno poteva unirsi a noi. Ovviamente ci tenevo ad avere gli stessi rider del primo film come Sven Thorgren, Len Jørgensen e Nils Arvidsson. Poi abbiamo selezionato 2-3 atleti da ogni paese e siamo finiti con l’avere una crew incredibile.
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Sven Thorgren
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Chi ha diretto i lavori? Ero io a dirigere lo spettacolo. Ho ricontrollato con i rider quali trick volevano mettere e se erano d’accordo con la selezione musicale. E poi mi hanno dato praticamente il controllo totale del montaggio della loro parte e del film. Troppe opinioni e diversi punti di vista sarebbero semplicemente risultati troppo opprimenti e stressanti, quindi ho pensato che fosse meglio essere il solo ed unico responsabile dell’intera faccenda. C’è qualche rider nordico che non sei riuscito ad avere nel film per qualche motivo? Abbiamo cercato di coinvolgere nel film Rene Rinnkangas, ma il primo anno era impegnato nelle riprese del video di
Snowboarder Mag mentre il secondo stava filmando la sua parte per Xgames Real Snow (che gli è valsa una doppia medaglia d’oro, quindi una buona scelta immagino). Dopo purtroppo si è infortunato e ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico alla caviglia a metà stagione. Quindi è stato praticamente l’unico rider che avremmo voluto avere ma che non ha potuto partecipare al film. Alla fine abbiamo filmato con 10 atleti, che è circa il numero massimo che puoi avere in un film di snowboard. Ma ci sono tanti altri grandi rider con cui ci piacerebbe lavorare in futuro. Niklas Matsson, Markus Olimstad, Sami Luthanen, Roope Rautiainen e tutti gli altri giovani finlandesi.
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Come ti è venuto in mente di dedicarti ad un progetto di 2 anni nell’era di TikTok e delle Instagram Stories? la soglia d'attenzione media dei giovanissimi?? Effettivamente questo aspetto mi spaventava un po’. Ma ho sentito una cosa davvero interessante l’altro giorno nel podcast di Bomhhole con Justin Meyer, filmer ed editor di Videograss. Ha detto qualcosa del tipo: con Instagram, TikTok e tutti gli input che scorrono nel feed, non ci si stacca mai. Non ti sazi mai, sgranocchi sempre. Mentre con un movie completo, ti siedi con tutti i tuoi amici e fai una grande scorpacciata. E ti sazi davvero, invece che ingoiare tutto a spizzichi e bocconi costantemente. Inoltre, essere in grado di riunire tutti gli amici, la
famiglia e le persone che amano lo snowboard per una premiere, guardarla su un grande schermo, bere qualche birra e parlarne dopo, non ha prezzo. Ovviamente quest’anno a causa del Covid non siamo stati in grado di fare un tour in anteprima su larga scala, ma siamo riusciti a metterne in piedi uno a Stoccolma prima che i regolamenti diventassero più rigidi e questo mi ha ripagato di tutto, penso che sia per questo motivo che grandi progetti del genere avranno ancora un posto e uno scopo anche in futuro.
Differenze e somiglianze con il primo Scandalnavians? Quest’anno avevamo un budget molto più grande, quindi siamo stati in grado di pagare i fil-
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Kristofer Fahlgren RIGHT
Ludvig Billtoft
mer e anche un po’ di viaggi, ma alla fine non è stato molto diverso dal primo film. Siamo ancora solo un gruppo di amici che cercano dare il massimo. Non puoi pianificare troppo in anticipo quando si tratta di spot, viaggi e trick. Esci e fai il meglio che puoi ogni giorno. Se ci piace il risultato finale e se ne siamo orgogliosi, è solo un bonus se piace anche a chi lo guarda. È online da circa un mese ormai, le visualizzazioni sono in costante aumento e i commenti complessivi sono stati estremamente positivi finora, quindi siamo entusiasti.
Momento migliore e peggiore durante le riprese? Probabilmente quando ho avuto un principio
riprese del secondo anno (-20 gradi Celsius a Kiruna, Svezia). Lo stesso giorno ho anche dimenticato di loggare gli shots e formattato la memory card, quindi la giornata è stata una totale perdita di tempo.
Se dovessi descrivere gli scandinavi con 3 aggettivi, quali sarebbero? Nudi, belli, orgogliosi. Dovremo aspettare altri 6 anni o il caloroso benvenuto che ha ricevuto il nuovo movie vi ha dato la spinta per lavorare su un terzo sequel? Forse sì. Ma penso che un film ogni 7 anni sia una stima più ragionevole.
di congelamento alle dita dei piedi il primo giorno di
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Sven Thorgren
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Come vive questo lockdown uno snowboarder? Loris: Uno snowboar-
der con passione in questa situazione riesce comunque a fare dello snowboard di qualità, facendo escursioni con split, costruendo spot ed esplorando. Impianti chiusi non significano niente snowboard. Leo: Uno snowboarder sfrutta un momento del genere per tenersi in forma, riposarsi e visualizzare nuovi trick per tornare più in forma di prima.
È iniziata a Courmayeur circa 10 anni fa, ricordo che la cosa che mi piaceva di più era raidare neve fresca a lato dello skilift. Leo: Mentre mio fratello già praticava snowboard io sciavo, poi piano piano il mio amico Matteo e mio fratello mi hanno convinto a provare e da lì non ho più smesso, mi sono innamorato di questo sport.
In molti dicono: snowboarding is dead. Tu cosa ne pensi? Loris: Per
pensare di essere un rider completo, sia a livello di trick cercando sempre di girare in tutte e 4 le rotazioni, sia a livello di riding, quindi sui salti, sui rail, in powder e spot. Leo: Direi abbastanza all-rounder, anche se ora come ora faccio principalmente gare. Mi piacciono tutti i lati dello snowboard, dalla fresca agli spot alle gare.
me è tutt’altro che morto e sono talmente preso da non rendermi conto se sta cambiando qualcosa, spero proprio di no. Leo: Non è vero, vedo gli snowboard clubs avere sempre più iscritti e ragazzini gasatissimi. E anche tra i più adulti vedo movimento, un esempio lo splitboarding ed il freeride sono sempre più praticati. Speriamo che questo non sia il picco di questo bellissimo sport ma bensì una partenza.
Quando e come è iniziata la tua storia d'amore con lo snowboard? Loris:
Parlami del rapporto con tuo fratello. Loris: Mio fratello è la persona che mi dà
Che tipo di rider sei? Loris: Mi piace
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le soddisfazioni più grandi, sono sempre gasatissimo a girare con lui e vederlo migliorare sempre di più. Mi ritengo molto fortunato a poter condividere la passione dello snowboard con lui. Leo: Mio fratello maggiore è un ottimo rider! Abbiamo la stessa passione e amiamo entrambi fare sport quindi andiamo decisamente d’accordo, ogni tanto si litiga ma è normale tra fratelli.
Che cosa ruberesti a lui ed al suo riding? Loris: Mio fratello è molto solido e stiloso, se dovessi scegliere qualcosa in particolare direi i suoi frontside 1080 indie, sono veramente stilossisimi! Leo: Sinceramente nulla.
Progetti per questo pazzo 2021? Loris: Between! Gare a parte il mio proget-
to di edit con Dave continua ad andare avanti, trovate tutta la serie di edit sul mio Instagram @loris-framarin. Leo: L’obbiettivo è quello di spaccare, e in più fare un po’ di gare con la Nazionale!
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Denis Piccolo
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Loris Framarin BELOW
Leo Framarin
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Sam McMahon
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l termometro segna -15 gradi fuori dalla nostra Rodeo Isuzu del 1990 mentre mi faccio strada fra la neve caduta durante la notte che mi arriva fino alla vita. Questa è quella che si definisce una “bassa stagione” in Giappone e le previsioni davano solo una decina di centimetri di neve, ma il primo giorno del nostro viaggio si rivela essere diventato uno di quelli che avremmo solo potuto sognare. Prendere le cose con calma ci ripaga con delle belle scoperte inattese, immagino.
no in una spirale autoreferenziale nel raccontare il proprio dietro le quinte. Di solito, questo aspetto mi entusiasma tanto quanto il sentir parlare delle difficoltà di altre persone in ufficio. Qualsiasi lavoro è duro, ecco perché si chiama lavoro. Ma l’ultima volta che sono stato in Giappone, sono rimasto colpito da quanto orgogliosamente i locali prendessero il loro lavoro, da chi spala la neve, a chi dirige il traffico, fino a chi mette la sciolina agli snowboard. Si chiama “ikigai”, una filosofia che insegna a trovare soddisfazione attraverso uno scopo.
Anche se non si è mai presa in mano una videocamera, non dovrebbe stupire che filmare lo snowboard sia difficile. Le didascalie di Instagram sono piene di storie di lunghe giornate per ottenere solo una clip di tre secondi, e anche i film spesso cado-
Mathieu Crepel è il compagno perfetto per questa avventura. Finché lo fai vincere a carte la sera il
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suo umore rimane alto ed è pronto ad esplorare lo snowboard in tutti i suoi aspetti, il suo curriculum la dice lunga ed è eguagliato solo dal talento che ha sulla tavola. Certo, devi gettare le basi giuste per prendere le cose con calma, motivo per cui ci troviamo fra le catene montuose centrali di Hokkaido. L’isola più grande del Giappone dopo la terraferma, è il luogo in cui viene girata la maggior parte degli shot degli snowboard movie. La neve è frutto di venti occidentali, della gelida tundra russa e della relativa vicinanza delle montagne alla costa, ma dopo diversi viaggi nel corso degli anni, sono le persone che mi spingono sempre a tornare qui. È interessante notare che la maggior parte della popolazione è relativamente nuova, terze e seconde generazioni venute da Honshu, stufe della frenesia della vita cittadina. È un luogo in cui le
persone hanno scelto di vivere e tendono a coltivare un senso di orgoglio e connessione con il paesaggio. Narihito, il proprietario della nostra Rodeo, è un vero abitante di Hokkaido. Ciascuno dei van che affitta viene fornito di un iPad con su le sue mappe personalizzate che mostrano i suoi onsen preferiti, i parcheggi notturni e i “bei posti da visitare”. Si rivela un fonte di ricchezza inestimabile mentre esploriamo l’isola con l’obiettivo di non inseguire l’hype ma cercando di trovarlo per caso. Ecco perché ci troviamo accampati nel parcheggio della funivia di Asahidake il primo giorno. Appena usciti dal vialetto di Nari abbiamo cominciato a pensare a dove andare, tutti dicevano che il Giappone stava soffrendo per l’insolita poca neve quell’anno. Con noi la nuova Mellow di Nidecker,
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una tavola è famosa per essere ottima sia in fresca che su neve più compatta, quindi ci siamo ripromessi di sfruttarla al meglio su tutto ciò che avremmo trovato.
gendoci nel bianco che rimane sospeso nell’aria. Mathieu sa bene come affrontare la situazione e in pochi minuti stiamo volando, sapendo che è un’esperienza unica nel suo genere. È come planare sulle nuvole. Ci dirigiamo poi a Rumoi sulla costa occidentale, sperando di trovare un po’ di onde visto che Mathieu ha la tavola da surf con sé. Le onde però non sono il massimo, quindi torniamo di nuovo ad Asahidake per completare il viaggio con il sole che finalmente illumina le montagne. Il picco è ora visibile, insieme a qualche gigantesca nuvola di vapore che da lontano sembra una colonna di neve che si riflette nel cielo. Finalmente possiamo ammirare la vastità del parco giochi qui. È piccolo comparato alle mie Alpi o ai Pirenei di Mathieu, ma rispetto alle catene costiere di Hokkaido che conosciamo meglio, le opzioni qui
Il jet lag mi ha tirato giù dal letto alle 5 del mattino, davanti ai miei occhi il parcheggio pieno di neve. Senza saperlo ci siamo ritrovati con una giornata super, la nevicata inaspettatamente profonda ha reso l’accesso difficoltoso a chi viene da fuori e siamo abbastanza certi di avere il posto tutto per noi. Ancora storditi, prendiamo i biglietti della funivia, ci uniamo alla piccola fila di altri fortunati e aspettiamo. La neve è così leggera che spesso ci ritroviamo a raidare sul ghiaccio e sul manto nevoso compatto che c’è sotto i centimetri di fresca, qualsiasi leggero movimento la fa volare via immer-
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sono infinite. Seduti nel mezzo del cratere del Monte Asahidake, dobbiamo ritagliarci del tempo fra un’ondata di turisti e l’altra, ma non ci scoccia aspettare. Non avevamo nulla di programmato, e questo modo di prendere le cose con calma sembra averci benedetto con condizioni perfette. Nessuno di noi sente davvero la febbre della vetta, scegliamo di passare gli ultimi giorni a esplorare diverse linee intorno al limite del bosco, sempre correndo indietro alla funivia ogni mezz’ora, spesso perdendola. È impressionante quanti terreni diversi possiamo raggiungere attraverso una funivia con 500m di dislivello.
un tramonto spettacolare. L’ultimo shot del video che stiamo girando, A Guide to Mellow Livin’, viene ripreso direttamente dal mio telefono, la luce è così perfetta che si potrebbe filmare anche con una patata e verrebbe comunque spettacolare. Non so dire se il viaggio sia stato così bello perché l’abbiamo vissuto con semplicità, o se sarebbe stato lo stesso con condizioni diverse, ma so che prendendocela con calma e lasciando che fosse la strada a guidarci siamo finiti in un bel posto. Mentre torniamo all’aeroporto, ci prepariamo alla frenesia di Tokyo, a tornare in mezzo al trambusto e poi finire questo 2020. Come nota a me stesso, mi dico di ricordarmi sempre di prendere le cose con calma.
Mentre il giorno scivola via, torniamo in vetta per aspettare la golden hour e siamo ricompensati con
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Jerome, quando ha preso vita il progetto Heroes? Quando ho finito di girare The
pochi dove la comunicazione va di pari passo con azioni e budget reali. Ma speravo di ottenere più supporto dal mondo snowboard, cosa che non è avvenuta. Solo dopo che il libro è uscito alcuni mi si sono avvicinati, ma un a quel punto era po’ troppo tardi.
Eternal Beauty Of Snowboarding nel 2016, e mi sono reso conto che non c’era una sola ragazza nel film, ne sono rimasto deluso e ho iniziato a riflettere. Da un po’ volevo realizzare un progetto incentrato solo sulle donne, e finalmente ho trovato il tempo per dedicarmici, ci ho lavorato per un paio di anni!
Come ti spieghi che in un momento così digital, dove tutto è sui social, ci siano persone disposte a comprare un libro cartaceo? Qual è la tua spiegazione? I proget-
Come mai hai scelto proprio questo nome?
ti cartacei stanno tornando in voga nel mondo dello snowboard! Prendi ad esempio Curator, Club Sandwich e altri prodotti simili. Le persone vogliono materiale di alta qualità da tenere in bella vista in casa. I prodotti digitali non decorano la tua casa, non puoi apprezzarli a pieno. I libri d’arte invece penso siano amati da tutti. Perché sono oggetti che puoi sentire e toccare.
Eroi ed icone sono figure importanti per i rider più giovani quando crescono, senza eroine a cui ispirarsi, a nessuna ragazza verrebbe mai in mente di diventare una snowboarder. E ad essere onesti, queste ragazze spaccano e le ritengo delle vere eroine! Vanno fortissimo e non si arrendono mai.
Il libro è stato finanziato da una campagna di crowdfunding che è andata benissimo, quante copie sono state stampate? Ti aspettavi un successo così importante?
Pensi che lo snowboard sia maschilista? O almeno lo è stato fino ad oggi? Penso
di sì, solo recentemente abbiamo visto donne ricoprire ruoli chiave nei brand, e questo è un ottimo modo per far partire il cambiamento dall’alto verso il basso. Tramite questo progetto ho scoperto quanto meno le ragazze siano pagate nel mondo snowboard e quanto più debbano lottare per trovare un filmer, una crew, un fotografo. Ovviamente le cose stanno cambiando velocemente in questi ultimi due anni, ma c’è ancora una mancanza di attenzione da parte dei media, soprattutto nelle riviste. Ecco perché avevo bisogno di fare questo libro.
Mi aspettavo supporto, certo, ma sono rimasto sorpreso dalla prevendita di 400 copie! È stato fantastico e dimostra quanto sia importante questo tema per la comunità. Sono riuscito a stampare 2000 copie che probabilmente andranno esaurite presto nel 2021.
Qualche azienda ha supportato il progetto? Salomon Snowboards mi ha supportato fin dall’inizio, è un brand che ha molto a cuore i progetti legati al mondo femminile, uno dei
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Denis Piccolo
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Adoro il fatto che Heroes rappresenti un piccolo tassello in più per cambiare il mondo in cui viviamo. Più rappresentanza, più equità, più diversità. Se ci si dimentica che la diversità è la prima ricchezza dello snowboard, allora si perdono le radici. Le donne sono da sempre state fotografate e filmate molto poco? C’è un motivo secondo te? Sicuramente sì. Ma avere una
ma tutto questo cosa significa in termini creatività, di budget e di tempo? Dal
punto di vista del budget è folle, è vero. Ho speso circa 5000€ solo in pellicole, sviluppo e stampa solo per questo progetto. Ci vuole anche molto più lavoro per ottenere una sola immagine. Dal punto di vista del tempo, è altrettanto folle. Mi ci è voluto circa un giorno intero in camera oscura per ottenere 2 foto che fossero accettabili per il progetto. Ma in termini di creatività, è difficile battere la fotografia su pellicola. Ci sono così tante cose fatte a mano e così tante tecniche, processi, stili da esplorare. E poi puoi mescolare processi diversi e avere un’infinità di stili. Ad esempio, in Heroes ho mescolato la stampa in camera oscura con tecniche di incisione su lastre di rame, tranne che per l’incisione sui negativi.
donna in un video è un bell’esempio che spinge altre dieci ragazze a perseguire una vita nel mondo snowboard. In passato era bello e divertente avere ragazze prendere parte ai progetti, ma non abbiamo mai lottato per averle a bordo. Abbiamo deciso di giudicarle solo in base alle capacità tecniche e questo ci ha portato a dire semplicemente che le ragazze non erano così brave, se comparate agli uomini, quindi non c’era bisogno di coinvolgerle. Questa visione distorta è sbagliata, ma è ancora fortemente presente nel mondo dello snowboard. Ma se guardi alle ragazze senza confrontarle con gli uomini, tutto cambia!
Quante rider hai fotografato e in quanti luoghi sei stato per scattare tutto questo materiale? Direi circa 40 ragazze. E ho viag-
In che modo una immagine scattata a pellicola è diversa? Ha un’esistenza propria.
giato in USA, Canada, Finlandia, Austria, Francia, Svizzera per incontrarle. Ci sono voluti un paio d’anni ma era necessario avere una buona panoramica della scena.
Ogni negativo è unico, ce n’è solo uno al mondo. E anche le stampe in camera oscura sono uniche. Quindi, anche se l’obiettivo della fotografia è quello di essere replicato all’infinito, mantiene comunque una sua unicità.
Mi racconti un episodio particolare di una session che ti è rimasto impresso? Devo
Con “Heroes” hai dato voce a migliaia di donne che amano lo snowboard, come pensi che potranno cambiare le cose o come vorresti che cambiassero? Adoro il
dire che sono rimasto molto colpito scattando con Desiree Melancon e Nirvana Ortanez perché sono state molto efficienti e professionali nel farsi fotografare e riprendere. Hanno raidato con assoluta concentrazione, tutto il giorno, tutti i giorni. E ovviamente hanno spaccato!
fatto che Heroes rappresenti un piccolo tassello in più per cambiare il mondo in cui viviamo. Più rappresentanza, più equità, più diversità. Se ci si dimentica che la diversità è la prima ricchezza dello snowboard, allora si perdono le radici.
In un epoca dove quasi tutti i media utilizzano immagini fatte con smartphone, tu hai scattato totalmente in analogico e con una Pentax 6x7. Roba folle! Ti conosciamo da molto tempo ed è il tuo “stile”
Le copie firmate del libro di 288 pagine Heroes possono essere acquistate su www.jerometanon.com
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“Da più di un decennio è una vera ispirazione nel mondo snowboard e ancora oggi vanta un talento straordinario. È una vera ambasciatrice.“
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“Madrina del backcountry del nord-ovest, spacca in tutto quello che fa. Come di suol dire, ha veramente le palle quadre!“
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“Forse una delle rider più amate. Il suo stile preciso, le belle curve e e i movimenti fluidi conquistano tutti. Ora vive a Whistler, Canada ed è attivista di POW. “
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“Una talentuosa rappresentante della scena statunitense in ascesa. Spacca in snowpark ma ci da dentro anche in strada.“
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“Cresciuta nei park della California, ha lasciato le competizioni e ora filma in strada, come si può vedere negli ultimi due film di Snowboarder, Veer e Tangle.“
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"Elena Graglia è un mostro del jibbing con un grande sorriso, una boccata d'aria fresca scoperta di recente da tutto il mondo grazie alle sue prime video part."
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“La leggenda del backcountry di Whistler, ha fatto cose folli in Absinthe ed è la rider che ha delineano il backcountry al femminile e ha ispirato una generazione di nuove leve. “
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Chiara Guglielmina
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a vera speranza è che di polvere non se ne accumuli troppa sulle nostre tavole, ma nei garage. Non possiamo dare risposta certa a una domanda tanto complessa quanto spaventosa, dobbiamo informarci e agire. Osservare i fenomeni che ci circondano senza lasciare che una copiosa ma isolata nevicata sulle Alpi a inizio inverno ci faccia commettere gravi errori di valutazione, illudendoci di una controtendenza che non si sta verificando.
modificarsi, definisce l’intera carriera di un professionista. Per farla breve no, non bastano una decina di giorni di freddo o qualche metro di neve in più sui tetti delle baite a scongiurare la minaccia del riscaldamento globale. Le prove della sua drammaticità sono tangibili e riscontrabili nello scioglimento dei ghiacci o nell’innalzamento del livello del mare, solo per riportarne degli esempi concreti.
Ripetere le stesse parole dell’ex presidente americano dai capelli giallo canarino “ma quale riscaldamento globale?” di fronte a eventi isolati sarebbe un errore imperdonabile. Davanti all’eccezionale ondata di gelo verificatasi tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 in Nord America, in cui il freddo fece ghiacciare addirittura le cascate del Niagara, Trump rispose burlandosi della scienza con un simpatico “ci sarebbe stato bisogno di un po’ di questo famigerato riscaldamento globale”.
Una delle più impressionanti capacità dell’essere umano, anche se i comfort esagerati degli ultimi anni ce lo stanno facendo dimenticare, è il buon vecchio spirito di adattamento. Come la famosa lepre scarpa da neve che cambia colore della pelliccia in base al terreno per mimetizzarsi e sfuggire alle prede, così lo snowboarder non potendo cambiarsi la pelle modifica il terreno di gioco. Attenzione però a non smettere di lottare credendo di aver trovato un’alternativa valida. Perché per quanto ricercata possa essere la lavorazione delle piste sintetiche, mai potrà sostituire il piacere della powder che salta in bocca tra una curva e l’altra. E stiamo comunque confrontando lastre in polipropilene a fiocchi di neve fresca. Che se è pur vero che “piuttosto che niente, è meglio piuttosto” e che “chi s’accontenta gode”, è altrettanto vero che dovremmo invece “aggiustare il tiro” senza “aspettar la manna dal cielo” anche perché, a quanto dicono gli esperti, pare non arriverà.
Un errore grossolano figlio di presunzione e disinteresse per il futuro. Perché una cosa è parlare di fenomeni meteorologici, una ben diversa è parlare di clima. A voler fare un paragone con il nostro mondo possiamo paragonare il meteo all’esecuzione di un singolo McTwist di un rider che, com’è naturale, può cambiare in base a diversi fattori. Il clima è invece equiparabile allo stile di riding che, proprio perché impiega molto più tempo a
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“Le conseguenze delle nostre azioni ci prendono per i capelli, del tutto indifferenti al fatto che nel frattempo si sia “migliorati”.” - Friedrich Nietzsche Senza stare a tirare in ballo filosofi di tale calibro, le conseguenze sono evidenti dalle immagini. Se su neve vera, quella bianca e fredda, a bordo pista si rischiava di incontrare qualche capriolo (come nel famoso episodio di Kristian Ghedina sulla Saslong nel 2004), ora si scia in mezzo a prati verdi tappezzati di pecorelle. Non stiamo mettendo in discussione l’utilità e l’ingegno dietro queste strutture artificiali, speriamo tuttavia possa rimanere un’ottima alternativa nei periodi estivi e non la sola possibile scelta. Anche perché, al di là del dispiacere che noi tutti proveremmo da un addio alle nevi, le sofferenze a cui andremmo incontro sarebbero indicibili. La Groenlandia, tanto per dirne una, che ha la seconda calotta glaciale più estesa al mondo dopo l’Antartide (1,7 milioni di km2), si sta sciogliendo più rapidamente del previsto. La sua totale scomparsa comporterebbe un aumento del livello dell’acqua degli oceani di ben 7 metri. L’ultimo studio effettuato nel 2013 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (massima autorità in fatto di cambiamenti climatici) stimava che lo scio-
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glimento dei ghiacci che coprono l’intera isola avrebbe contribuito, entro il 2100, a innalzare il livello delle acque globali di 10cm. L’ipotesi è stata recentemente rivista e la stima va quasi raddoppiata: saranno 18cm. Numeri alla mano questo significa che 150 milioni di persone si troveranno sott’acqua entro il 2050 se non saremo disposti a modificare le nostre abitudini. Non serve riportare la drastica reazione a catena che le nostre azioni hanno innescato e che, se immutate, velocizzeranno il processo. Senza soffermarci solo sulla nostra amata powder, pensiamo anche ai gravi danni economici e sociali che ne deriverebbero: dalle massicce migrazioni ai sempre più ingenti danni da inondazioni. Sempre secondo l’IPCC, questi ultimi, potrebbero aumentare fino a 1000 volte entro il 2100 portandosi dietro, in assenza di adeguate opere di prevenzione, anche il 10% del PIL globale. Quali sono dunque le conseguenze delle nostre azioni? La risposta breve e cruda è che se continueremo a incappare nell’errore di concentrarci troppo su noi stessi e sul nostro qui e ora, senza pensare in maniera visionaria e globale al futuro, l’atterrare da un 720° sulla plastica piuttosto che in un metro di powder sarà l’ultimo dei nostri problemi.
Ci piace essere fiduciosi, ma il confine tra ottimismo e ingenuità è labile. Diciamolo pure senza mezzi termini lasciando da parte i negazionisti che, per fede o per semplice desiderio di andare controcorrente, diffondono spesso notizie lontane dal vero. Se si analizzano in maniera oggettiva gli ultimi studi scientifici i numeri parlano chiaro. Le creste e i picchi più alti saranno ancora innevati questo sì, per ora. Le alte quote saranno meno toccate, almeno inizialmente.
farla breve) è diminuito di circa 20-30 sulle Alpi, con località più e meno colpite. Le previsioni per il futuro, secondo gli scenari climatici attuali, non sono per nulla rosee. In assenza di provvedimenti adeguati a protezione del clima gli zero gradi, e di conseguenza la quota neve, saliranno di altri 400 - 650 metri entro il 2060. La nostra amata coltre bianca si troverà quindi tra i 1300 e i 1500 metri circa.
Non serve nemmeno spiegare che, perché l’acqua modifichi il proprio stato da liquido a solido, occorre che la temperatura sia di 0 gradi centigradi. Me l’ha ribadito l’altro giorno mio cugino di otto anni.
Alla quota di località note come Livigno (1816 metri) è prevista una diminuzione della quantità totale di neve del 40-50% rispetto a oggi. Per località più alte, come il Passo dello Stelvio, la riduzione è stimata intorno al 30% rispetto ai valori odierni.
L’isoterma (le linee che uniscono i punti della terra con la stessa temperatura) di zero gradi in inverno, cinquant’anni fa, si collocava in media intorno ai 600msl. Oggi, a causa del riscaldamento invernale, la quota è salita a circa 850msl. Questo dato spaventa e i danni sono già ben visibili. Il brusco innalzamento dell’isoterma di 250 metri ha portato, tra le altre, a un forte calo dello spessore del manto nevoso in montagna, soprattutto a quote medie. Inoltre, il numero di giorni annui con copertura nevosa (le giornate in cui è possibile sciare per
In conclusione, non si può dire di essere di fronte a uno scenario promettente, ma si può affermare con certezza che se è vero che il riscaldamento globale sembra irrefrenabile, è altrettanto vero che nessuno di noi ha ancora davvero provato a fermarlo. In questi anni già troppe cose sono state rinchiuse nei garage a prender polvere. Desideriamo che le nostre tavole e i nostri sci, già fermati dall’emergenza Covid19, non ne prendano altra se non quella che noi tutti ormai chiamiamo powder. Battiamoci per questo. Insieme.
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Ciao Nico, come stai vivendo questo lockdown? Ho lavorato tanto in palestra, skatato molto a
può non andare, quindi direi questi due. Street e carving al momento non sono nei miei pensieri.
casa grazie alla bowl nuova della mia città, e cerco di andare più possibile a Laax dove sono in questo momento per snowbordare il più possibile.
Cosa ne pensi della Nazionale Italiana? È una
Cosa farei quest’ inverno? Se Madonna di Campiglio non apre cercheremo di stare più possibile qui a Laax per progredire con il mio riding.
Raccontami di quando hai iniziato a snowboardare. Mio papà è maestro di snowboard quindi per me è stato facile provarlo e mi è piaciuto subito.
Cosa rappresenta per un giovane della tua età lo snowboard? Divertimento, divertimento e
figata far parte di un team del genere, spero un giorno di essere anche io dei loro.
Molti rider scelgono di non essere parte della squadra nazionale per aver più tempo per shooting e filming. Cosa ne pensi? Io prima vorrei partecipare alle gare più importanti, poi per filmare c’è sempre tempo.
Da quale rider ti senti più ispirato ultimamente? Dusty in America è talentuosissimo, poi Red,
ancora divertimento!
Stale, Torger e tanti altri, non ne ho uno particolare, cerco di copiare il meglio da atleti che mi piacciono.
Freeride, park, street o carving? Cosa ti piace di più e dove vuoi migliorare? Nel park c’è sem-
Hai qualche trick in testa che presto vorresti fare? Vorrei provare cab 10, e perché no bs 12!
pre da migliorare ma quando c’è la neve fresca non si
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Vermon Deck
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Roberto bragotto
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Tre snowboarder, ma prima di tutto tre amici con caratteristiche e stili differenti. Oggi sono tra i maggiori punti di riferimento della scena italiana, li vediamo spesso chiusi dentro un park volare sopra landing ghiacciati, ma quando la powder chiama il loro smartphone suona irraggiungibile.
Alby, come vive questo lockdown uno snowboarder? Questo lockdown è straziante, un po’
Quest’anno sembra che molti brand ritornino a fare movie con i loro rider di punta. È bellis-
come per tutti credo. Anche se sembra che per noi vada tutto benissimo perché riusciamo comunque ad andare sulla neve ed allenarci, non è proprio così! Ogni giorno vengono annullate gare, chiusi resort, cambiati programmi e bisogna sempre organizzarsi all’ultimo con molta difficoltà!
simo che i brand abbiano ricominciato a fare video di alto livello! Ma credo anche che sia giusto che sia limitato solo alle grandi aziende dello snowboard che vogliono valorizzare non solo il brand ma anche i loro rider. Insomma credo che se devi investire per fare un video del genere deve essere una bomba, al giorno d’oggi non può essere solo carino o accettabile.
Negli ultimi anni hai dedicato molto tempo ad allenarti in park, come definisci oggi il tuo livello e quale sarà il tuo prossimo step evolutivo come snowboarder? Il park è sempre stato il mio focus principale e credo di aver raggiunto un livello molto competitivo rispetto alla maggior parte dei rider. I miei obbiettivi si sono un po’ spostati dal solo imparare trick nuovi, andando nella direzione di cercare di portare perfezione e stile anche nei trick più difficili.
Sei tra i più anziani del gruppo della Nazionale Italiana, parlami del presente e del futuro di questo gruppo. Obiettivi e programmi. Devo ammettere che la squadra ora come ora è fantastica, affiatata e cresce ogni giorno sempre di più, non credo abbiamo nulla da invidiare alle altre nazioni. Per quanto riguarda la squadra B c’è Leo Framarin che sta crescendo molto bene, e anche gli altri se la cavano.
Giri spesso con Simon Gruber ed Emil Zulian, mi dici per ognuno di loro un pregio ed un difetto? Simon l’ho conosciuto quando sono entrato in squadra e l’ho sempre visto come una sorta di idolo da imitare, è un vero amico e una di quelle persone che vorresti sempre avere in giro con te! Come difetto ce n’è solo uno, è crucco! Emil è uno snowboarder agguerrito, sempre pronto a migliorare e imparare qualcosa di nuovo, l’unica cosa è che ogni tanto si autoconvince di non sapere più fare un trick fino a non farlo più per magari un anno. Il suo difetto più grande e che non lascia mai acceso Airdrop su quel cavolo di telefono.
In molti dicono: snowboarding is dead. Tu cosa ne pensi? Lo sento spesso dire e mi metto sempre a ridere, chi dice che lo snowboard è morto non riesce semplicemente ad ammettere che lo snowboard è cambiato e sta cambiando! Ma sicuramente non è morto.
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Alberto Maffei
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Simon, come vive questo lockdown uno snowboarder? Personalmente la vivo abbastanza
Si può ancora vivere facendo snowboard in Italia? In Italia siamo rimasti in pochi che vivono di
bene, abito in Trentino e qui possiamo fare qualsiasi tipo di attività. Mi sto dedicando molto al backcountry con la split e mi sta piacendo molto, sto scoprendo un nuovo modo di fare snowboard ed approcciare la montagna.
snowboard e comunque va associato ad altre attività durante l’anno.
Sei un rider eclettico, oggi che hai raggiunto la tua maturità come atleta, qual è il tuo terreno naturale e cosa ne pensi degli altri? A 33
Station, è sempre attaccato! Emil Zulian ha dei gusti musicali, diciamo, molto rivedibili!
anni il park l’ho abbandonato anche se ogni tanto mi ci vedete girare, ma è più adatto ai giovani. Ora sono totalmente in fissa per powder, freeride e backcountry. Ho girato anni fa in street quando ero in Forum ma non mi piace proprio più.
Hai vissuto l’epoca del filming e degli shooting, viaggiando ed esplorando alla ricerca di spot e trick con i migliori filmer e fotografi della scena. Nell’epoca dei social, come è cambiata la vita dei rider in meglio e in peggio? Ho vissuto le due generazioni, quando facevo video part raidavo tutto l’inverno per tirare fuori 3-4 minuti di video che spaccassero veramente, oggi se faccio una foto o un video è subito pubblicato ma viene anche subito dimenticato, perde valore e manca l’aspettativa. Personalmente preferivo quando c’erano le video premiere anni fa.
Giri spesso con Alberto Maffei ed Emil Zulian, mi dici per ognuno di loro un pregio ed un difetto? Alberto Maffei è un vero pro della Play
Situazione della scena snowboard in Italia, un tuo pensiero. Siamo rimasti in pochi, molto pochi, ma buoni, possiamo dire così. Quasi tutto ruota intorno alla Nazionale e The Garden sta tirando su dei ragazzini interessanti per il futuro, come Nico Bondi. Vediamo cosa succederà.
In molti dicono: snowboarding is dead. Tu cosa ne pensi? Non mi piace chi lo pensa, snowboarding is not dead! Basta andare a Madonna di Campiglio e ci sono solo snowboarder.
Nelle tue pagine social sembri molto attento riguardo l’ inquinamento globale. Mi dici il tuo pensiero e come nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa? Nel mio piccolo quando vedo rifiuti in giro li raccolgo, trovo insopportabile vedere monnezza in giro per le montagne.
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Simon Gruber
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Emil, come vive questo lockdown uno snowboarder? Diciamo che con il lockdown tutto è diventato un po’ più complicato, la scelta dei posti dove allenarsi è più ristretta ma tutta la situazione è stata anche un’occasione per trovare nuovi modi per snowboardare, dal costruire qualche spottino in street al giro in fresca con le ciaspole o qualche giro in motoslitta.
Negli ultimi anni hai dedicato molto tempo ad allenarti in park. Contest e park saranno sempre i tuoi terreni preferiti o inizi a vedere un futuro differente come rider? Non penso molto al mio futuro in modo diverso da com’è ora.
Alcuni affermano che tu sia un rider sottovalutato perché hai meno visibilità di altri ma dimostri le cose con i fatti. Cosa ne pensi? Non
Nelle tua pagine social sembri molto attento riguardo il riscaldamento globale. Mi dici il tuo pensiero e come nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa? Ho preso a cuore la questione del riscaldamento globale, vedendo i ghiacciai restringersi e le stagioni invernali accorciarsi ho voluto cominciare a dare un contributo condividendo la mia esperienza per far capire a più persone possibili la necessità di un cambiamento. E da quest’anno sono anche diventato un fiero ambassador di Protect Our Winters, un’associazione no profit che vi invito a seguire.
Giri spesso con Simon Gruber ed Alberto Maffei, mi dici per ognuno di loro un pregio ed un difetto? Inizio con i difetti: Alby è testardo
penso di meritare molta più visibilità di quanta ne abbia. Ci sono rider sicuramente molto più sottovalutati di me.
oltre ogni immaginazione ma è una persona molto generosa. Un difetto di Simon è l’essere scorbutico, invece un suo pregio è di avere un’esperienza pazzesca nel mondo del filming e dello shooting.
Chi è il prossimo rider su cui puntare in Italia? La situazione dei rider giovani in Italia è vera-
Situazione della scena snowboard in Italia, un tuo pensiero. Secondo me in Italia abbiamo
mente figa! Ti dirò che è quasi difficile scegliere un nome perché ci sono tanti talenti che daranno una bella spinta alla scena italiana e spero che possano continuare la loro carriera in questo mondo! Se proprio dovessi darti un nome su cui puntare ti direi Lisa Francesia, una ragazzina di 12 anni che personalmente non conosco ma che sembra avere grinta da vendere.
una scena molto variegata e piena di personaggi forti e stilosi in ciò che fanno, c’è molto hating tra le diverse facce dello snowboard che invece dovrebbero sostenersi a vicenda. Lo snowboard è figo perché puoi scegliere di farlo nel modo in cui più ti piace, ma non ce n’è uno meglio degli altri.
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Emil Zulian
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“L’idea era quella di creare degli snowboard fighi ispirati al tipo di riding e design che mi piace. La linea conta tre tavole e volevo che fossero tutte utilizzabili in diverse condizioni e da persone con diversi stili di riding.” Siamo abituati ad avere pro model in molte collezioni di snowboard di vari brand, ma un’ intera linea è qualcosa di speciale! Qual è l’ idea dietro a questo progetto? Sì, è davvero fantastico aver avuto questa opportunità! L’idea era quella di creare degli snowboard fighi ispirati al tipo di riding e design che mi piace.
Cosa avevi in mente quando hai pensato agli shape? La linea conta tre tavole e volevo che fossero tutte utilizzabili in diverse condizioni e da persone con diversi stili di riding. Inoltre desideravo che fossero adatte per differenti tipi di terreno e neve.
Il modello “Stale Mod” è la tua arma da contest. Qual è il suo segreto? Quale sua caratteristica ti dà sicurezza permettendoti di alzare sempre più il livello? È una tavola super potente di cui posso fidarmi sia ad alte velocità che su grandi salti e atterraggi difficili.
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Tommaso Bernacchi
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Quanto è stato difficile e divertente sviluppare questi prodotti? In realtà è andato tutto abbastanza liscio. La crew di Rome è fantastica e mi ha aiutato a definire shape e specifiche, poi quando ho visto le grafiche Never Grow Up erano semplicemente perfette.
Sembra esserci una linea comune nella grafiche delle tre tavole, cosa ti ha ispirato nel progettarle? Come dicevo prima, il concetto di Never Grow Up contraddistingue tutte le tavole e le loro grafiche perché è un po’ ciò che lo snowboard significa per noi. È quello che ci fa dimenticare i problemi quotidiani e ci permette di tornare di nuovo bambini.
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Matteo Rossato PHOTOS
Julien Pearly
Tutto ciò che riguarda Sebbe è abbastanza paradossale. Un ragazzone belga di 1,95m diventa una delle superstar dello snowboard più famose. Non c'è terreno in cui il riding di Sebbe non si distingua: rail, kicker, backcountry, li affronta tutti con una grazia e uno stile unici, nonostante la sua altezza. Infine, è così umile che sembra che tutto gli sia semplicemente successo senza motivo, mentre i suoi numerosi traguardi dimostrano che ha lavorato sodo per guadagnarsi i riflettori puntati del mondo dello snowboard. E ci scommettiamo, Sebbe è qui per restare.
dopo un po’ di suppliche mi hanno finalmente permesso di partecipare ad un campo estivo al coperto in Belgio, dove alla fine ho imparato a fare snowboard.
Scherzi a parte, come hai sviluppato il tuo flow? Sembra che tu sia cresciuto raidando ogni giorno a Mammoth o Whistler, non in una pista indoor. Da bambino il mio sogno è sempre stato quello di crescere da qualche parte in montagna, ma ora sono contento di non averlo fatto. Il fatto che non vivessi vicino a un resort mi ha permesso di apprezzare molto di più quando ero sulla neve. Ho colto ogni opportunità che mi si è presentata per raidare sulla mia tavola e ho cercato di sfruttare al massimo ogni giorno che ho avuto.
Un ragazzone belga che diventa una delle superstar dello snowboard più riconosciute. Sembra una favola. Sembra
Un'altra cosa unica di te è la tua grazia sulla tavola. Le persone alte di solito sono potenti ma un po’ sgraziate, mentre tu sei così naturale e sorprendente da guardare: madre natura o hai dovuto lavorare sodo per arrivarci?
una favola anche a me. Ho avuto il privilegio di poter andare in vacanza sulla neve con la mia famiglia ogni anno ad Avoriaz, in Francia. Ho iniziato a sciare per la prima volta quando avevo 3 anni, ma mi sono subito appassionato allo skateboard e agli snowboarder del resort. I miei genitori mi hanno detto che avrei dovuto imparare a sciare ed essere un po’ più grande prima di avere il permesso di fare snowboard. Non vedevo l'ora di provarlo, così una volta ho preso i Moon Boots di mia madre e la sua tavola e, quando i miei genitori erano all’Après, l'ho provato sulla pista per principianti. Ho imparato abbastanza rapidamente, quindi
Wow grazie, che gran complimento! Non credo di avere una risposta precisa. Ho solo cercato di fare i nuovi trick a modo mio invece che ascoltare alcuni allenatori che cercavano di dirmi come farli nel modo "giusto" o con uno "stile da manuale". Penso che le cose fatte a proprio modo siano più naturali.
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Come è stata la tua prima esperienza in backcountry con Iikka, Devun e Torstein quando avete filmato Transistors? Il mio primo viaggio per girare Transistors è stato in Giappone
Una volta era l’anima della festa. I party sono stata una parte importante nello snowboard fino a pochi anni fa, ma ora la scena sembra essere più rilassata e basata su una vita sana. Pensi che lo snowboard abbia perso il suo lato selvaggio? Sicuramente non lo sono più, mi è stata diagnostica-
con Devun, Anto e Torstein. Mi sono sentito davvero onorato a far parte della crew e vederli raidare in backcountry dal vivo è stato davvero impressionante. Guardarli snowboardare e lavorare sodo per ottenere gli shot migliori, mi ha insegnato a guardare agli spot in modo diverso e mi ha davvero aperto gli occhi sul backcountry. Più tardi quella stessa stagione abbiamo fatto un altro viaggio a Whistler dove Iikka e Torstein mi hanno insegnato a usare la motoslitta. Un vero sogno diventato realtà per me. Non avrei potuto chiedere una migliore introduzione al sled al backcountry che imparare da queste leggende.
ta una mutazione genetica che mi fa venire la pancreatite appena bevo alcolici. Non tocco alcol da circa 2 anni. Lo snowboard per fortuna non ha perso il suo "lato selvaggio". Forse è diventato più serio nella scena agonistica dal momento che si sta trasformando in un vero sport in cui non non è il massimo avere i postumi della sbornia il giorno della gara. I trick in gara sono difficili e possono diventare pericolosi se non sei concentrato. Quindi immagino che richieda uno stile di vita più sano o almeno sano fino alla fine della gara!
Raccontaci un po’ delle Olimpiadi, hai detto che ti interessava partecipare più per l'esperienza in sé che per le medaglie. Gareggerai alle prossime? Sì, le Olimpiadi per me
Quanto snowboard c'è al di fuori delle medaglie? Venendo da un paese senza montagne e con una piccola scena snowboard, non era così facile farsi riconoscere o almeno così pensavo. Quindi per me, gareggiare è stato il modo per entrare nel settore. Il che alla fine mi ha dato l'opportunità di fare le cose più pazze e filmare video part in backcountry. A questo punto sto ancora facendo un po’ entrambe le cose, ma prima o poi vorrei mettere via il pettorale e solo raidare la powder.
sono state un'esperienza di vita. Ovviamente volevo anche fare bene nelle gare, ma sembrava tutto più come qualcosa che ci si aspettava da me invece di qualcosa che volevo davvero fare. Non ho ancora deciso sinceramente cosa farò in futuro. Sicuramente vorrei ancora competere per un po’ e poi vedrò che fare.
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Ben Dietermann
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Louisa Marie Summer
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iberia? Un territorio aspro e remoto con temperature estreme e tundra infinita. La maggior parte delle persone spesso non sa molto riguardo alla Siberia. Il suo territorio si estende dai Monti Urali a ovest fino all’Oceano Pacifico a est, verso sud è delimitato dall’Oceano Artico, dalle colline del Kazakistan centro-settentrionale e dalle confinanti Mongolia e Cina. Ciò che ha davvero attratto la nostra crew di 4 persone, tuttavia, sono state le promettenti notizie di prime giornate invernali con neve particolarmente secca e polverosa e il desiderio di vivere un’avventura fuori dai sentieri battuti. Presi splitboard e powder surf Konvoi, ci siamo messi in viaggio. Ci sarà abbastanza neve all’inizio di novembre? Come comunicheremo con i locali e come ci muoveremo? Come faremo ad arrivare al piccolo rifugio in legno situato nella remota valle vicino al lago Baikal? E le condizioni del terreno e della neve ci consentiranno di surfare? Poco tempo dopo ci ritroviamo seduti davanti a una tazza di chai in una deliziosa cucinetta nella città di Irkutsk. Sorprendentemente comunichiamo molto bene con la nostra babushka, anche se in francese. Nel frattempo suo figlio sta caricando il fuoristrada e l’avventura diventa sempre più concreta di minuto in minuto.
Mamay è una piccola valle sulla sponda sud-orientale del lago Baikal. Qui la neve è profonda ed incontaminata e circonda la piccola capanna di legno. Certo, anche nelle valli vicini nevica tanto, tuttavia lì il vento che spesso soffia nella zona, porta via la neve più velocemente, perché le valli hanno una forma più diritta e allungata. In tutta la parte alta della valle ci sono parecchie capanne sparse, ma in questo periodo dell’anno solo poche sono abitate. Prima che ce ne accorgiamo, il nostro piccolo e rudimentale rifugio di legno diventa un vivace luogo di incontro. Ogni sera c’è sempre qualcuno che bussa alla nostra porta e si formano le più strane compagnie. Leggende locali come Sergey Klimov, guide della regione dell’Elbrus, principianti snowboarder da Mosca, il cuoco del rifugio vicino o altri appassionati di sport invernali come noi, è sempre divertente condividere le proprie storie fra qualche drink e molte risate. La neve poco compatta ci attrae fin da subito ed esploriamo la valle in tutte le direzioni, di solito fino al tramonto. Ogni giorno raidiamo linee diverse e il terreno delle foreste offre condizioni più che ottimali per sfrecciare sul powder con le nostre tavole senza attacchi.
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La banya, una sorta di sauna russa direttamente sulla riva del fiume, rinfresca il corpo e la mente e fa dimenticare le temperature a volte molto rigide e tutte le fatiche della giornata. Nevica tanto e spesso e tutti vorremmo rimanere più a lungo anche se i biglietti del treno sono già prenotati. Lasciamo infine l’amata valle e raggiungiamo la stazione del treno più vicina con un breve corsa in macchina. È ora di togliersi i vestiti da snowboard e rifare le valigie mentre cerchiamo disperatamente di ottenere informazioni utili dagli annunci degli altoparlanti. Dopo aver raggiunto il vagone corretto e il rigoroso controllo dei passaporti, siamo a bordo. Invece di vastità e freddo, improvvisamente ci troviamo in un caldo bozzolo. È la terza classe della ferrovia Transiberiana, si sta bene con i 28 gradi percepiti e abbiamo 39 ore da passare a bordo. Il piacevole trambusto del treno contrasta nettamente con il paesaggio arido fuori dai finestrini. Lavoratori stagionali, soldati, bambini, anziani interagiscono in
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maniera rilassata e rispettosa. Nonostante le enormi barriere linguistiche, abbiamo uno scambio vivace con i frettolosi venditori di pesce alle varie fermate perché le nostre provviste di viaggio diventano presto insufficienti. Dopo un rocambolesco cambio di treno notturno, arriviamo a Novokuznetsk sorprendentemente freschi e riposati e, soprattutto, più che pronti per altre avventure sulla neve. Un tassista non ufficiale ci porta alla nostra destinazione finale, Sheregesh, lo stesso pomeriggio. Questo centro per gli sport invernale, ci stupisce fin da subito per le varie assurdità difficili da classificare che ospita. Gruppi di persone in costume da bagno, una miniera di carbone attiva e una centrale elettrica nel centro del villaggio, quasi più operatori che impianti di risalita sulla montagna e ben due prigioni locali. Ma non ci lasciamo scoraggiare e ci fidiamo semplicemente delle rassicurazioni di un esperto rider locale che ci ha prontamente accolto il primo
giorno con bel tempo e un bel carico di neve fresca. Le piste migliori si trovano proprio davanti alla seggiovia, facilmente raggiungibili da tutta la zona, ma anche in paese ci si può divertire con le tavole, perché la neve è davvero ovunque. I ragazzi del posto ne sono subito entusiasti e una piccola ed esuberante gang locale quasi ci sequestra le nostre tavole. In questo periodo Sheregesh è un punto d’incontro per gli appassionati di sport invernali di tutto il blocco orientale. Più avanti nella stagione, saranno tutti impegnati con il lavoro, ma ora c’è ancora un po’ di tempo per riunirsi e lanciarsi per qualche bella discesa sulla fresca neve siberiana. Che si tratti di guide alpine della Kamchatka, professionisti dello snowboard del Kazakistan, veterani del powder del Caucaso, sono tutti felici di essere qui e affrontare l’inverno nel migliore dei modi. E sono anche contenti di vedere alcuni volti nuovi che vengono da lontano. In questo modo finiamo una sera alle prove di una band locale nell’ex villa del direttore della prigione. Pochi strumenti ma vari. L’intensità aumenta fino a quando improvvisamente la protesi del cantante si apre. Ci spiega che si tratta di una reliquia di giorni violenti e il ricordo di un’esperienza che lo ha segnato, ma il
ragazzo ora esprime solamente pura gioia di vivere. Ci farà in seguito anche da DJ e maestro di cerimonie della banya. Un piccolo garage di servizio è il punto di ritrovo al mattino. Qui ogni giorno si riuniscono vari gruppi e l’attrezzatura snowboard viene mantenuta viva in modo fantasioso. Nessuno acquista abbonamenti stagionali o giornalieri, c’è solo un abbonamento di 2 ore per il primo impianto di risalita, una breve pausa e poi un altro abbonamento di 4 ore per la zona di montagna successiva, dove dopo una corta salita si scende al villaggio, si prende un taxi e si torna indietro. Tutto è possibile, tutto si decide spontaneamente. Il tempo vola e assaporiamo lentamente l’ultimo giorno di neve. L’ultima notte ci danno l’addio tutti i nuovi amici che ci siamo fatti. Alle prime luci dell’alba, siamo già in volo per tornare mentre assistiamo all’ultima nevicata. Tornati a casa, l’inverno è ancora dietro l’angolo ma la nostra crew si è ampiamente dispersa. Rimarranno solo tanti vividi ricordi. Momenti bellissimi sulla neve e incontri che ci hanno scaldato il cuore. Curiosi, brevi, divertenti, simpatici, inaspettati, calorosi, spontanei e soprattutto tanti. La Siberia è diversa. Diversa da come te l’aspetti. Siberia, torneremo sicuramente.
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Matteo Rossato
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Matt Georges & Oli Gagnon
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Da semplice ragazzo del midwest a uno dei più incredibili e talentuosi rider in street, una definizione abbastanza calzante per Dan Liedahl detto Danimals. Calmo, tranquillo e decisamente umile di persona, quanto selvaggio ed esplosivo sulla tavola, Danimals è pacato e raccolto, e assolutamente non ha paura di mostrare il suo lato umano: Clark Kent nella vita quotidiana, Superman quando mette gli scarponi. Ci ha raccontato un po’ delle sue radici del midwest, del futuro dello snowboard e di come a tutti manchi tanto Dillon Ojo.
la possibilità di incontrare tante persone e progredire velocemente. È cambiato molto da quando ero un ragazzino, ma l’anima è rimasta la stessa e per questo motivo non avrei voluto crescere come rider in nessun’altro luogo.
cui mi diverto a raidare non sembrano volerla abbandonare, ma ho seguito un sacco di corsi sulla sicurezza in caso di valanga negli ultimi anni e le montagne sono davvero un posto che vorrei esplorare di più.
Come mai una piccola montagna del midwest è diventata la culla dello snowboarding 2.0? Sicuramente l’im-
Come definiresti il tuo stile in tre parole? Caspita! Non credo di dover essere
Ciao Dan, perché il soprannome Danimals? Mi hanno fatto questa domanda
Ti vedresti mai lasciare la street per il backcountry in futuro? Sono mol-
molte volte e non so esattamente come sia nato il soprannome, ma ce l'ho da circa 15 anni. Il mio amico Nick Buckner ha iniziato a chiamarmi così un giorno mentre stavamo raidando a Hyland, e da quel momento non me lo sono più scrollato di dosso. Com’è crescere a Hyland Hills? Crescere a Hyland è stupendo! Entusiasmante e spaventoso al tempo stesso, ma hai
pianto di risalita ha avuto una grande importanza, anche perché è facilmente raggiungibile e accessibile a tutti. Inoltre, è un posto più economico e meno impegnativo rispetto a una grande montagna.
to interessato al backcountry. Raidare all’aperto ti dà una sensazione completamente diversa da quella con cui sono cresciuto e mi rende felice sperimentare qualcosa di diverso.
Dove vedi Danimals tra qualche anno? Sicuramente a raidare la powder!
Penso che girerò sempre in street perché fa parte di me e tanti dei miei amici con
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io a definirlo.
Il modo in ti approcci al riding è molto diverso. Qual è il tuo processo mentale nel trovare uno spot? Cerco solo
di sperimentare cose diverse e di mantenere una mente aperta a tutte le possibilità. A volte uno spot è difficile da vedere, altre volte ce l’hai proprio in faccia e lo riconosci immediatamente. Inoltre, non voglio raidare le stesse cose per tutta la vita.
Vedi qualche aspetto positivo per lo snowboard nonostante la difficile situazione a causa del Covid19? Sì,
certo, voglio dire, riusciamo ancora ad andare a snowboardare. È sicuramente un privilegio. Potrebbe non essere esatta-
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mente il modo in cui vorremmo raidare, ma per me personalmente è bello stare con i miei amici e divertirci insieme.
Il nome di Dillon è dappertutto. Appare in ogni film Vans da quando non c’è più, e il suo nome è anche sulla tua tavola Ride. Chi era Dillon Ojo? Dil-
lon era una persona a cui ti ci affezionavi subito. Pensare a lui non mi rende triste, ma felice e ogni tanto verso una lacrima per lui ma di felicità per averlo potuto conoscere. Era aperto e gentile, non aveva mai dubbi su cosa fosse giusto o sbagliato, cosa fosse bello e cosa non lo fosse. È ancora un ottimo modello.
Compareresti la scena del midwest con l’era d’oro di Salt Lake City? In
realtà no. Può sembrare simile in qualche modo e sicuramente tanti pro del tempo sono anche venuti in Minnesota a filmare, ma lo stile era diverso. Spesso sem-
bra come se l'esplosione della scena del midwest fosse stata causata dall'era d'oro della street a Salt Lake City. Era una cosa destinata ad accadere a prescindere, anche solo per quanti ragazzini bravi che giravano c’erano qui. Penso che l'epoca d'oro della street a SLC abbia solo accelerato tutto ciò perché a quel tempo era quello a cui tutti noi ci ispiravamo.
Instagram sta uccidendo l’ industria dei film, o viceversa i ragazzini stanno iniziando a capire che i contenuti di Instagram sono solo degli snack ma quando hai davvero fame hai bisogno del film intero? Credo che al
giorno d’oggi siano un po’ entrambe le cose. Mi piace vedere le persone pubblicare contenuti su Instagram ma all'inizio pensavo anch’io che la scena video stesse morendo a causa di ciò, ma ora credo che le due cose possano coesistere. I video che escono in questo momento sono
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pazzeschi e tutti i ragazzi che fanno video part postano anche cose online. L’unica cosa che non vorrei sarebbe rovinarmi la sorpresa vedendo immediatamente alcuni shot su Instagram quando potrebbero adattarsi perfettamente ad un movie. Mi piace la sorpresa.
Progetti solisti o crew movie? Penso
che i progetti da solista e i team video abbiano molto senso per i brand per cui queste persone raidano. Nei progetti solisti potrebbe sembrare un po’ più facile organizzare viaggi e spostarsi avendo una crew più ridotta, ma potrebbe anche esserci un po' più di pressione nel voler realizzare un bel prodotto. C'è molta più responsabilità quando non hai un intero team che sa dirti esattamente cosa funziona e cosa no. Mi piace avere un bel team quando devo realizzare un video, ma penso che anche alcuni progetti solisti degli ultimi due anni siano stati davvero fantastici.
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Morgan Maassen
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ssendo stato un surfista per tutta la mia vita, il mio interesse per lo snowboard è nato (vergognosamente) solo di recente, la neve è sempre stata un qualcosa di molto lontano sia da me che dalla mia famiglia, e ho sempre trascorso il mio tempo libero in modo completamente diverso quando avevo vent'anni. Ma è bastata una sola run per catturarmi completamente e farmi venire voglia di tuffarmi nella cultura della tavola. Tutto ciò mi ha portato ai social media di Korua, che ho venerato per la loro ricerca ossessiva di velocità e design. Le mie richieste di attenzione sono state finalmente ascoltate e sono stato invitato a unirmi al team nel nord ovest degli Stati Uniti all'inizio del 2020. Ho incontrato la crew Korua in un tetro pomeriggio di febbraio a Portland. Leggermente depressi da un'esperienza sul bagnato al Monte Baker nello stato di Washington, speravano di rifarsi sul Monte Bachelor in Oregon. La settimana successiva di snowboard è stata assolutamente selvaggia. Non abbiamo avuto due giorni uguali: in alcuni siamo stati in grado di esplorare nuovi sentieri in tutta calma, in altri il vento sembrava provenire direttamente dall’inferno e il ghiaccio ci si infilava pure nei vestiti. La montagna lì è spettacolare, un imponente vulcano che incombe sulla cittadina di Bend. L’abbiamo esplorata in lungo e in largo, conoscendo alla fine ogni centimetro come se fossimo lì da una vita. Le serate sono trascorse sorseggiando ottime birre, facendo escursioni nei parchi nazionali e ammirando la maestosità dell'Oregon,
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lo stato che ritengo il più bello di tutto il paese. Ho cercato di stare al passo con la crew, portandomi appresso la Red e alcuni dei miei pesanti obiettivi vintage mentre attraversavamo ghiacciai e sentieri battuti, ma la mia mente era costantemente sbalordita. Guardare Nicolas, Lars e Aaron snowboardare al massimo del loro livello è stato stimolante, come la prima volta che ho visto Kelly Slater o Stephanie Gilmore dal vivo. Padronanza assoluta del mezzo, unita ad uno stile unico e a tanta esperienza. Un’esperienza sconvolgente che mi ha messo a dura prova. Solo pochi giorni prima ero a riprendere immersioni in apnea in un lago ghiacciato in Islanda, ma ora cercare di tenere il passo di Nicolas in pista mi faceva sembrare la precedente esperienza facile come bere un bicchiere d’acqua. Pur non essendo al loro livello, raidare al massimo è stata un'incredibile sfida per me, ho battuto terreni di montagna sui quali non ero mai stato e ho usato la mia camera come non avevo mai fatto prima. E alla fine di ogni giornata, ero sempre nervoso quando riguardavamo tutti insieme gli shot, volevo essere all’altezza del compito che mi era stato affidato pur non avendo tantissima esperienza di questo sport. Forse mi sono perso alcuni shot che un filmer più esperto di me non avrebbe mancato, ma tutti mi hanno fatto sentire a mio agio, e quella breve gita in Oregon si è trasformata in uno dei miei viaggi più belli dei miei ultimi dieci anni di riprese.
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Tanner Pendleton byMatteo Rossato PHOTOS
Oli Gagnon
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Cole Navin
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Blake Paul
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Ciao Tanner! Il nome "Evergreen" suggerisce qualcosa che non invecchia mai. Il film in sé è così fresco e divertente che potrebbe facilmente diventare un movie che puoi guardare tra 10 anni ed essere ancora attuale. Allo stesso modo, Vans è rimasta un punto fermo sin dall'inizio. Vedi una connessione tra i due? Grazie mille! Sì, sicuramente, penso che Vans è uno di quei brand con una eredità straordinaria, che continua a costruire e migliorare nel tempo. È davvero un onore poter contribuire in qualche modo a questo. Sono davvero super aperti riguardo ai video, ma cerco sempre di tenere a mente la storia dietro al brand. Voglio realizzare qualcosa che sia fedele a tutti i rider del video, ma anche all'eredità o all'estetica di Vans.
Se Evergreen è davvero il culmine degli
ultimi tre progetti di Vans Snow, quanto di Landline, Together Forever e Lovely Day ci hai messo dentro? Volevamo realizzare un video che non fosse la copia di Landline. Quindi non sono necessariamente sicuro che Evergreen sia il culmine di tutto. Lo definirei piuttosto come il risultato di esperienze apprese e del crescere come famiglia tramite questi diversi progetti nel corso degli anni.
Perché il nome Evergreen? È un nome aperto all'interpretazione, ma vi dico la mia! Questi ultimi anni hanno insegnato tanto a tutti noi. C’è stato molto oltre lo snowboard: vita, amicizie e perdite con la morte di Dillon. Se ci ripenso eravamo veramente giovani. Siamo tutti cresciuti un po', ma mi piace pensare che ci sia ancora un po' di quell'energia dei primi giorni nell’aria.
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Cameratismo, amicizia, passione, gioia, sono tutti termini ricorrenti ultimamente nel marketing dello snowboard. Il puro business o anche lo snowboard hanno davvero bisogno di mostrare di più il lato umano? Non sono così sicuro del lato marketing delle cose, ma penso che siamo tutti davvero fortunati che l'amicizia, lo snowboard e la gioia spesso vanno di pari passo.
Quanto è importante il lato umano (le persone) per Vans. E per Tanner? Penso che sia tutto ciò che conta. Sono super orgoglioso di essere circondato da un gruppo di persone così straordinario che veramente ammiro per diversi motivi. Non so se dica qualcosa di me, ma durante le riprese mi dimentico spesso qual è il ruolo di ognuno. Non che non mi importi, ma solo non
sono troppo interessato ai dettagli. Penso che le personalità di ognuno emergano inevitabilmente attraverso le scelte di spot, trick e attrezzatura, ecc. Personalmente sono più interessato alla combinazione di tutto questo piuttosto che alla difficoltà di un singolo trick.
Hai passato un periodo davvero stressante mentre finivi Landline, perché corrispondeva a una scadenza che ti eri auto imposto. È stato più facile dopo? Oppure ogni deadline si porta appresso dello stress? Durante il montaggio penso ai rider come pubblico di riferimento, voglio renderli orgogliosi. Investono così tanto tempo ed energie nelle loro clip, che sento di avere la responsabilità di render loro giustizia. Soprattutto, voglio che siano rappresentati in un modo che sia loro fedele.
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Arthur Longo
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Oltre a ciò, i diritti musicali sono davvero l'unica parte stressante dell'equazione perché a volte trovi la canzone perfetta per quella scena ma non puoi usarla, è un vero peccato. Onestamente, prima tendevo ad essere molto più stressato montando. Mi imponevo di sedermi al computer e farlo. Ma non funzionava davvero e alla fine avevo solo mal di schiena! Negli ultimi anni ho scoperto che passare del tempo lontano dal computer, mantenermi attivo e organizzarmi mentalmente in realtà aiuta molto. Penso sia un modo di lavorare più intelligente.
Domanda personale: la vita è diventata più semplice dopo il tuo coming out? Il mondo dello snowboard come ha accolto la notizia? Ho letto che avevi paura di rivelarlo. Sicuramente non è un processo linea-
re, ma per molti versi sì. Prima dell'intervista con Torment, l’avevo già detto a tutti quelli che mi circondano da un bel po’ di tempo, quindi non è stata una rivelazione improvvisa. Tuttavia, è stato davvero speciale mostrare quel lato di me all'intera comunità dello snowboard. Per non parlare di aver condiviso quel momento con Jake, Kennedi, Chad e Jill. La risposta è stata davvero sorprendente, la mia vita è cambiata di sicuro. È incredibile vedere la comunità queer dello snowboard crescere giorno dopo giorno.
Se dovessi scegliere 5 shot pazzeschi di Evergreen, quali sarebbero? Non penso di poter scegliere! Mi piacciono tutti.
I tuoi lavori stanno senza dubbio plasmando lo snowboard moderno e i suoi attori, 152°
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Kennedi Deck
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Sam Taxwood NEXT PAGE
Arthur Longo
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come cambierà la scena in futuro? Grazie. Spero che lo snowboard diventi più inclusivo e che riusciremo a sbarazzarci di alcune costose barriere d’ingresso. Ad esempio, 150$ per uno skipass. Spero anche che i vari brand inizino a investire in progetti che rendano lo snowboard più accessibile, il che a sua volta farà diventare lo snowboard più emozionante e longevo.
quest'inverno e apprezzare la vita all'aria aperta e il tempo che abbiamo qui sulla terra. Forse rallenteremo un po’ valutando di più le piccole cose. Guardando al quadro generale, penso che il virus abbia messo in evidenza molti gravi difetti della nostra società. Si spera di poter imparare da questi segnali di avvertimento e continuare a sostenersi a vicenda, ed eleggere le persone giuste per avere un futuro migliore e più giusto.
Quali sono i tre elementi più importanti per un film di snowboard di successo e divertente? Amici, musica, pantaloni. Vedi qualche aspetto positivo in questo strano anno? Penso che ci siano molti modi per avvicinarsi al mondo snowboard, dalla strada, allo split boarding, fino a escursioni sulle montagne di casa, ecc. Si spera che saremo in grado di uscire
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AFFI ALBA AOSTA BARDONECCHIA BARI BASSANO DEL GRAPPA BELLINZAGO LOMBARDO BERGAMO BEVERA DI SIRTORI BORGOSESIA BRESCIA BRESCIA CADREZZATE CALENZANO CAMERANO CANAZEI CANAZEI CASTEL DI SANGRO CERNUSCO LOMBARDONE CERVINIA CERVINIA CESENA CESENA CHIETI CHIOGGIA CLES CODROIPO CORNUDA CORRIDONIA CORRIDONIA CORTINA D’AMPEZZO COTRONEI COURMAYEUR CREMONA CUNEO DESENZANO DEL GARDA DOMODOSSOLA EUPILIO FALZES FIDENZA FIRENZE FORNO DI ZOLDO FRABOSA SOTTANA GENOVA GIANICO GIULIANOVA GRADO GRAVELLONA TOCE GROSSETO IMPERIA L’AQUILA LIDO DI TARQUINIA LIGNANO PINETA LIMONE PIEMONTE LIMONE PIEMONTE LISSONE LISSONE LIVIGNO LIVIGNO LIVORNO MADONNA DI CAMPIGLIO MADONNA DI CAMPIGLIO MADONNA DI CAMPIGLIO MAGIONE MALÈ MANTOVA MARANO SUL PANARO MARGHERA MARIA DI PIETRASANTA MARINA DI RAVENNA MELEGNANO MERANO MEZZOLOMBARDO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MODENA MODENA MONDOVÌ OLGIATE OLONA ORIO AL SERIO OVINDOLI PADOVA PARMA PARMA PESARO PESCARA PIACENZA PIACENZA
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Ettore Personettaz PHOTO
Nicolas Wolken by Morgan Maassen
Partiamo dal principio: in generale sono contrario al concetto di divieto. Preferisco che si educhi, si formi e si responsabilizzi la persona al fine di permettere e non vietare, questo a prescindere, salvo particolari situazioni. Un concetto di libertà allargato e collegato alla responsabilità individuale e collettiva che difficilmente può trovare oppositori, soprattutto se applicato al mondo della montagna ed ai suoi appassionati frequentatori. Un concetto di libertà che questo prolungato periodo pandemico ha messo a dura prova e che può essere facilmente travisato a causa di una superficialità sempre più diffusa e di un egoismo imperante che sfocia, in particolare, sui canali “social” in un facile accanimento ed un immediato linciaggio mediatico, privo però delle dovute e necessarie informazioni. È il caso recente, ad esempio, del cosiddetto “scandalo” prenatalizio suscitato dall’ordinanza del Presidente della Regione Valle d’Aosta dove è stata consentita l’attività scialpinistica sul territorio solo se accompagnati da un professionista, Guida Alpina o Maestro di Sci. Un provvedimento che, seppure temporaneo, ha suscitato un fiume di reazioni e critiche dove l’argomentazione più forte, e se vogliamo, difficilmente non condivisibile, è stata: “la montagna è di tutti e deve rimanere territorio libero e fruibile, senza vincoli”. Riferendosi alla legge il Presidente ha semplicemente evidenziato alla Regione la possibilità di svolgere questo tipo di attività così come già previsto nell’ordinanza per le Guide Alpine Valdostane: questo avrebbe consentito ai colleghi di potersi allenare svolgendo l’attività scialpinistica là dove consentito. Mai è stata fatta richiesta in questo senso per ottenere un privilegio esclusivo. Da qui gli animi si sono subito scaldati. Voglio focalizzarmi ancora una volta sul concetto di libertà tanto rivendicato. Sino a che punto siamo disposti a difenderlo quando questo può avere delle ripercussioni dirette o indirette sugli altri? Forse la situazione di clau-
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sura forzata ma necessaria di marzo-maggio 2020 ci ha fatto dimenticare quanto il concetto di libertà, soprattutto nell’ambito alpino, è strettamente collegato a quello di rispetto di sé stessi e degli altri? Forse la montagna non è ancora riuscita ad insegnare a molti suoi appassionati quale sia il vero significato di sacrificio, di rinuncia, nell’ottica di una migliore prospettiva per tutti? Fino a che punto siamo disposti a difendere il concetto di libertà calpestando i principi di solidarietà di uno stato civile soprattutto in un contesto attuale così difficile? Queste sono solo alcune delle domande che ritengo sia utile porsi. Perché non dimentichiamoci che quando decidiamo di avventurarci in montagna non sarà mai a nostro rischio e pericolo in quanto avremo sempre l’intervento del Soccorso Alpino, persone preparate e pronte a rischiare quotidianamente la loro vita per aiutare gli altri. Perché non dimentichiamoci che quando decidiamo di opporci o, peggio ancora, non rispettare le regole stabilite per un eventuale lockdown mettiamo in serio pericolo noi stessi e gli altri e ancora una volta il personale sanitario che è schierato in prima linea per tutelare tutti noi. Proprio nel rispetto di questi “angeli” che operano, a qualsiasi condizione, si torna al concetto iniziale di libertà relativa. La situazione pandemica credo ci permetta di capire quanto sia importante ripristinare quella libertà che dovrebbe rispecchiare il motto costituzionale francese “Liberté-Egalité-Fraternité” ma soprattutto riconquistare un aspetto cardine che questo virus ha stravolto e che rischiamo di banalizzare: l’umanità. Siamo persone e pur con tutti i nostri difetti alla fine sapremo reagire liberandoci da questa situazione, ritrovando la strada giusta. Se cerchiamo un buon proposito per il 2021, forse lo abbiamo trovato.
Word out.