The Pill Outdoor Journal 57 ITA

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Nadir Maguet

Atleta del Centro Sportivo Esercito, la scorsa estate ha stabilito tre nuovi FKT su montagne simbolo dell'arco alpino.

The charm of Ortles

Una cima la cui bellezza lascia un profondo segno su chiunque tenti di conquistarla.

UTMB Chamonix

La gara più grande al mondo ma anche uno dei momenti centrali nell’economia di questo sport, nel bene e nel male.

€6

It’s more than a jacket. It’s Athlete Tested, Expedition Proven.

Christina Lusti / Baffin Island

EDITO

Di recente un caro amico, il cui pare re vale moltissimo, mi ha accusato di avere una voce triste nelle mie ultime parole. Scegliere di vedere le cose per quello che sono, caro D., senza nascon dere la testa sotto la sabbia, significa essere realisti, non pessimisti. Io credo nel futuro. Credo nella forza della mia generazione e in quella speranza ap pena nata cantata da Guccini in “Dio è morto”. Perché come lui anche io credo che “Se Dio muore, è per tre giorni poi risorge.”

Ti lascio l’ultima lettera scritta da Dhe li a un altro caro amico, M. Sperando tu voglia pubblicare questo spunto di riflessione che tanto ha a che vedere con la voglia di cambiare e migliorare e poco con la tristezza.

“Da questo mio ultimo viaggio in Oriente, il terzo nel giro di un paio d’anni, torno provata. Solo se esistes se la macchina del tempo, potrem mo definirci ancora “viaggiatori”?

Pare che ogni cosa sia inquinata e l’aria, forse, non è poi il peggiore dei mali. Ho visitato il Monastero di La mayuru, costruito in alto, in pietra di pinta di bianco e legno resistente. Un parallelepipedo bianco e lucente, ar roccato su terra friabile, sovrasta una conca crepata sul fondo da un fiume di fango. Se non fosse per quell’orren da linea catrame che segue, laggiù, l’acqua torbida. O se non fossi stata accolta da un monaco svogliato, con cappellino Nike in testa, chiavi Su zuki in mano, e Apple Watch al polso. Se avessero mantenuto i sandali inve ce delle Crocs. O se piuttosto noi tutti, fossimo ancora capaci di camminare scalzi nel mondo, forse trovare rispo sta a quel “perché esistere” parrebbe più facile. Quando mi manca il fiato mi ripeto: “ricordati di respirare”. È un mio mantra e spesso mi porta a cercare posti sopraelevati. No, nes sun bisogno di conquista, è che in alto mi sembra di respirare meglio, e

vedere più lontano. Su questa sottile cresta di scaglie di pietra, un chörten sommerso da bandierine colorate è il mio rifugio. Quei panni sbrindellati, ammassati come ogni cosa in India, mi battono in viso. Sono schiaffi, non carezze. Ne afferro uno, non sono un’esperta ma sono certamente tenu ti insieme da fibre di poliestere. Pla stica. Non voglio pensarlo, mi forzo a non farlo, ma mi sembra un’altra bella scusa per inquinare, questa del la fede. Il buddismo, tuttavia, è ben più anziano dei derivati del petrolio. Immagino quelle stesse preghiere di pinte su panni in cotone, l’immagine del monaco di poco fa, che scrolla il feed di Facebook mentre mi timbra il ticket d’ingresso, mi rende difficile ogni immaginazione, ma io non mi arrendo.”

E vedo luminosa, seppur difficile, la traccia da percorrere. Non è poi que sto, l’andare in montagna?

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Filippo Caon, Chiara Guglielmina, Marta Manzoni, Sofia Parisi, Fabrizio Bertone, Eva Toschi, Luca Albrisi, Luca Schiera, Giulia Boccola, Valeria Margherita Mosca, Lisa Misconel

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COVER Federico Epis Salewa Ortles Jacket

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il 29/02/2016 al numero 73
THE LIGHTEST SPEED TOURING SYSTEM LIGHT
6 ISSUE 57 PHOTO TUCKER PRESCOTT THE DAILY PILL BEST MADE KILLER COLLABS ECO SEVEN MIZUNO WAVE NEO KAYLAND STELLAR CAMPZERO SLOW TRAVEL BLACK DIAMOND GLOVES CHIARA GUGLIELMINA STEFANO GREGORETTI AL TOR CON SCARPA ANDREAS REITERER P.8 P.12 P.16 P.20 P.24 P.26 P.28 P.32 P.36 P.40 P.42 P.46 P.50 P.54 P.58 P.64 P.70 P.74 P.82 P.90 P.96 P.104 P.112 P.120 P.130 P.142 FJALLRAVEN CLASSIC FREE TO RUN THROUGH THE FOREST 4T2 GONE RUNNING WESTERN STATES FROM ROCKS TO WAVES DOLOMITI DI BRENTA TRAIL A MARRIAGE WITH TOR MAIRA OCCITAN TRAIL THE CHARM OF ORTLES NADIR MAGUET UTMB CHAMONIX VAST LADAKH

The new shoe for rough terrain, powered by Carbon

“With these rockets on my feet

get used to going faster, quick to my dreams” Manuel Merillas, Mont Blanc and Monte Rosa

with Golden Gate Kima

August

Rebound
Technology.
I
FKT
RT,
2021. SCARPA.COM GOLDEN GATE KIMA RT THE ALPINE ELEVATOR.

THE DAILY PILL

ATOMIC SPONSOR TECNICO ESCLUSIVO DI SCI CLUB CORTINA

Sci Club Cortina e Atomic proseguono la collaborazione iniziata due anni fa, nel 2020. L’azienda austriaca continuerà ad essere fornitrice di materiali tecnici per atleti, tesserati e allenatori: sci, scarponi, attacchi, ma anche maschere, occhiali e accessori come protezioni, zaini, borse e sacche. A partire dalla stagione 22/23, inoltre, Atomic supporterà con un programma specifico anche gli atleti dello sci di fondo per i quali è stato previsto materiale dedicato. Un team di succes so, con gli stessi valori di passione e agonismo, che rimarrà legato fino al 2024.

NATURE BATHING, LA NUOVA COLLEZIONE DI ASICS

ASICS ha lanciato Nature Bathing, la sua prima collezione ibrida con scarpe da road running ridisegnate per l’off road. La linea si ispira alla frase giappo nese “shinrin-yoku” ovvero “camminare in una foresta per cercare la pace dei sensi”, concetto conosciuto in molte culture come nature bathing. La collezione comprende quattro scarpe da uomo e da donna: Novablast 3 TR, Gel-Nimbus 24, Gel-Cumulus 24 TR e le GT-1000 11 TR. La linea è completata con un look da testa a piedi con maglia a manica lunga e pantaloncino da running per uomo, top e pantalone a vita alta con taglio ciclista per donna.

THE NORTH FACE X URBAN WALL

Mercoledì 21 settembre 2022 la palestra di arrampicata Urban Wall, che ha sede a Pero, alle porte di Milano, ha visto tantissimi appassionati ritrovarsi per scalare insieme, sfidarsi nelle maratone di boulder e lead e, soprattutto, testare la nuova struttura Urban Tower grazie all’evento organizzato da The North Face. Urban Wall è diventata la prima palestra di arrampicata italiana scelta da The North Face per una collaborazione di questo tipo e i due hanno unito le forze per creare un appuntamento unico, alla presenza dell’atleta del team The North Face Stefano Ghisolfi.

ORTOVOX A IMPATTO ZERO PER L’INVERNO 2023

Ortovox ha annunciato le collezioni di scialpinismo e freeride per l’inverno 2023, entrambe definite a neutralità carbonica. L’impatto della loro produzio ne è ridotto al minimo e compensato, dalla produzione della materia prima, fino alla filiera produttiva e distributiva. Questo risultato è il frutto di anni di lavoro, in particolare a partire dal 2018 quando è stato avviato il progetto interno ProtACT 2024 che definisce gli obiettivi del brand di riduzione e compensazione dell’impatto carbonico. Tali obiettivi sono già stati raggiunti per questa stagione, con un anticipo di 18 mesi sulla tabella di marcia.

FACTION SKIS È CERTIFICATA B CORP

Faction è un’azienda che intende rispettare al meglio gli standard di perfor mance sociale e ambientale con la massima trasparenza e responsabilità. Que sto impegno è stato riconosciuto attraverso la certificazione B Corp: l’azienda, infatti, ha superato i criteri di valutazione riguardo il suo approccio verso lavo ratori, consumatori, fornitori, comunità e ambiente ottenendo un punteggio di 93,5 e superando gli 80 punti richiesti. Faction ha guadagnato buona parte del punteggio perché produce sci in uno stabilimento alimentato al 100% da ener gie rinnovabili, riducendo le emissioni di carbonio del prodotto di quasi 50%.

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THE DAILY PILL YVON CHOUINARD CEDE PATAGONIA AL PIANETA

“Il nostro unico azionista ora è il pianeta”: queste sono le prime parole di Yvon Choui nard nella sua lettera nella quale annuncia al mondo che cederà la sua azien da per salvare il pianeta. Nella lettera scrive: “Stavamo facendo del nostro meglio per combattere la crisi ambientale, ma purtroppo non era sufficiente.” La soluzione di Chouinard è stata quindi cedere il 100% delle azioni con diritto di voto al Patago nia Purpose Trust, creato per tutelare e proteggere i valori aziendali. Il 100% delle azioni senza diritto di voto, invece, andrà all’Holdfast Collective, un’associazione no profit che si impegna nella lotta alla crisi ambientale e alla difesa della natura.

FERRINO E IL PROGETTO

“CAMMINAUTISMO A SANTIAGO 2022”

Anche quest’anno si è concluso il Cammino di Santiago e con lui il “Cammi nAutismo a Santiago 2022”, iniziativa dei ragazzi dell’associazione di Mu lino Sambuy di San Mauro Torinese. Il progetto ha coinvolto i ragazzi, le loro famiglie e i loro educatori lungo i 114km finali del Cammino, ovvero le ultime sei tappe. Ferrino, con sede nel medesimo territorio comunale, ha deciso di supportare con entusiasmo l’iniziativa equipaggiando il gruppo al meglio con gli zaini Finisterre, prodotto iconico del brand.

NORTHWAVE CELEBRA I RIDER CON #RIDEYOURWAY

Northwave celebra i rider che amano vivere lo sport all’aria aperta e in na tura, un contesto che permette ad ognuno di sviluppare il proprio stile di riding. Il brand lo fa attraverso una serie di documentari su YouTube chia mata #RideYourWay, che vedrà come protagonisti alcuni tra i migliori rider al mondo, che siano in sella ad una MTB o a disegnare le migliori linee in fresca con la propria tavola da snowboard. In questo modo, Northwave inco raggia tutti i rider ad esprimere il proprio stile, a esplorare la propria creati vità e non perdere mai la propria passione per queste discipline.

IL GUSTO DI CAMMINARE: LA COLLAB TRA SCARPA E SLOW FOOD EDITORE

Il gusto di camminare è il nuovo libro di Slow Food Editore in collaborazione con il Club Alpino Italiano e l’azienda di calzature outdoor SCARPA, dedicato a chi sceglie di scoprire il nostro Paese e la sua ricca cultura gastronomica e naturalistica a ritmo lento. Questo libro mette in contrapposizione a una vita quotidiana così frenetica e fugace due gesti caratterizzati da lentezza, come il camminare e il gustare, oggi quasi sovversivi e anticonvenzionali. Riscoprirli, però, ci permetterà di esaltare i piccoli dettagli e restituire intensità alla vita.

ON AMPLIA LA SUA GAMMA DI CALZATURE OUTDOOR

On ha recentemente aggiornato la sua collezione di scarpe per l’outdoor, in troducendo Cloudwander Waterproof, Cloudvista Waterproof e Cloudrock 2 Waterproof. Inoltre, ha migliorato la sua tecnologia Missiongrip utilizzata nelle suole, ora con maggiore aderenza e trazione su tutti i terreni. Olivier Withworth, footwear developer in On, afferma: “La nuova Missiongrip è la nostra gomma adesiva più performate. La sua aderenza sul bagnato è stata migliorata del 30%, pur mantenendo una mescola altamente abrasiva. Si tratta di un vero e proprio cambiamento di gioco che ci pone al livello dei leader di mercato.”

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1.BARBOUR

RHOBELL FLANNEL OVER SHIRT

L’inizio della stagione fredda segna il ritorno della flanella, un tessuto mor bido e confortevole con armatura a saia. La camicia Rhobell presenta una miscela di 67% cotone e 33% polie stere, con una finitura spazzolata che conferisce un aspetto vissuto già dal primo utilizzo. Audace motivo check con toppe e bordi in velluto a coste.

4.RUMPL

BLANKET

Birra fredda? Bene. Mani fredde? Male. A questo ci ha pensato Rumpl con la “coperta” per bevande in 100% polie stere riciclato post-consumo con finitu ra DWR resistente alle macchie. E una volta che hai finito di bere (responsa bilmente), si comprime sul suo taschi no. Disponibile in decine di fantasie, si adatta a tutte le lattine da 33 o 50cl.

BEST MADE

2.CAMELBAK

M ULTIBEV 2-IN-1

La soluzione definitiva: thermos, borrac cia e tazza da viaggio in un unico prodot to. Per il caffè al mattino, l'acqua durante il giorno, una birra all'aperto. L'acciaio inox con isolamento a doppia parete mantiene le bevande calde per 14 ore o fredde per 20. Il coperchio pieghevole Roll and Fold si inserisce nel tappo Pak scomparendo fin tanto non lo si abbini alla tazza estraibile.

5.DJI

O SMO ACTION 3

Spingi ogni avventura oltre il limite con Osmo Action 3. Nuovissimo design a sgancio rapido per una veloce installa zione orizzontale o verticale e un dop pio touchscreen (anteriore/posteriore) per un pratico controllo dei parametri e della riproduzione. Capacità miglio rate in termini di resistenza al freddo, durata della batteria e impermeabilità.

3.LA SPORTIVA

T X 2 EVO

La calzatura più leggera della serie ap proach Traverse X: soddisfa le esigenze di grip, protezione, minimo ingombro e leggerezza richieste in avvicinamen to tecnico e durante le vie multi-pitch. Adotta un pacchetto suola con battistra da 100% risuolabile che ne raddoppia il ciclo di vita ed impiega materiali riciclati per un minor impatto ambientale.

6.ZIPPO

FIRE STARTING MULTI TOOL

Zippo Fire Starting ha tutto ciò di cui hai bisogno per accendere il fuoco in modo affidabile, semplice e veloce. Questo multi-utensile compatto inclu de una ruota a pietra focaia, 38cm di fire paracord, lama in acciaio al carbo nio, lama per sega a doppio taglio, cac ciavite a testa piatta, apribottiglie ed un piccolo spazio per depositare la selce.

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B EER
www.fjallraven.com

7.SALEWA FANES ENGINEERED AL PINE MERINO HYBRID JACKET - WOMEN

Realizzata con oltre il 50% di fibre na turali, ingegnerizzate per ottenere un capo traspirante che offre protezione efficace dal freddo e dal vento. L'im bottitura in TirolWool Responsive allo stesso tempo ricicla il calore emesso dal corpo. La struttura micro-waffle delle maniche assicura una piacevole morbidezza ed elasticità.

10.VAUDE

SESVENNA PRO JACKET

Giacca termica sviluppata per lo ski touring e l’alpinismo, ideale per le basse temperature. Tecnologia di iso lamento sintentico HeatSphere Eco formata da soffici sfere realizzate con bottiglie in PET riciclate al 100%. Co struzione ibrida funzionale per assi curare un'eccellente traspirabilità e una vestibilità comoda.

BEST MADE

8.THE NORTH FACE

B ASE CAMP VOYAGER LUNCH COOLER

Realizzato con l’iconico tessuto Base Camp Voyager (durevole, resistente all'acqua e completamente riciclato), questo lunch box è dotato di un am pio scomparto con cerniera e maniglia superiore per riporre, trasportare e mantenere al fresco cibo e bevande. Una sezione interna in rete consente di separare gli oggetti.

11.SOLO STOVE

M ESA TABLETOP FIRE PIT

L’ultimo nato in casa Solo Stove si chia ma Mesa, un braciere da tavolo che ele va l'estetica di qualsiasi spazio esterno. Consente a chiunque di sperimentare un fuoco scoppiettante e senza fumo grazie al sistema Signature 360° Air flow e all’alimentazione Dual Fuel che gli permette di funzionare con pellet o con legna tradizionale.

9.MIZUNO W AVE NEO WIND

PET riciclato, intersuola in PEBAX a base biologica, soletta con infuso di alga Blo om. Con il 60% di materiali eco-friendly (ed il 100% di acqua risparmiata nel pro cesso di colorazione) Neo Collection è la linea di calzature più sostenibile nella storia di Mizuno. Wave Neo Wind è la versione pensata per fornire la massima propulsione in fase di transizione.

12.SCARPA

R APID MID GTX

Calzatura da avvicinamento progettata con filosofia Fast&Light per muoversi velocemente sui terreni montani con il giusto supporto e protezione. Un model lo leggero, versatile e flessibile che rap presenta il punto di incontro tra scarpe da escursionismo, corsa e arrampicata. Collarino 3D Autofit che avvolge la ca viglia accompagnandola nei movimenti.

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1.HELLY HANSEN X SEIKO

PROSPEX SBDC181

Prendendo ispirazione dalla sua Tacti cian Gore-Tex Race Jacket HH12050, Helly Hansen ha collaborato con Seiko per questa edizione limitata basata sul modello Mechanical Divers Willard del 1970. L'orologio collaborativo, so prannominato Prospex 1970 Mechani cal Divers SBDC181, sarà disponibile in sole 550 unità.

4.ROARK RUN AMOK X MOTÖRHEAD BOMMER 2.0 SHORT 7”

Roark annuncia la sua prima colle zione nata dall'incontro tra musica e corsa: 14 capi tecnici che incarnano lo stile di Run Amok e del gruppo heavy metal britannico Motörhead: caos sfre nato e libertà di muoversi al proprio ritmo. Bommer 2.0 è lo short eco-frien dly più versatile della serie realizzato in poliestere riciclato Repreve.

KILLER COLLABS

2.PUMA X TRACKSMITH

SPEED CITY SINGLET

Jeff Staple, inesauribile creativo e pio niere dello streetwear, celebra i clas sici di casa Fossil reinterpretandoli con elementi in stile retro-futuristico e mid-century. Con dettagli ispirati al motivo veneziano, Nate è stato ripro gettato per sembrare “come estratto dalla Terra”. Cassa da 44 in acciaio inossidabile rivestita in silicone.

5.MATADOR X VOLCOM

FREERAIN 22 PACKABLE BACKPACK

Basandosi sul successo della collabo razione 2021, Matador, pluripremiato produttore di travel equipment, e Vol com, l'iconico brand di board sports, hanno annunciato la nuova collezione Bark Camo, un robusto assortimento di prodotti che include Freerain22, zaino ad alte prestazioni, impermeabi le e comprimibile, ideale per i viaggi.

3.SALOMON X TEMPLIN

FAMILY BREWING LA NEIGE IPA

Salomon North America e T.F. Brewing, birrificio a conduzione fami liare con sede a Salt Lake City, hanno presentato La Neige, una IPA facile da bere ispirata alla West Coast con lup poli Cascade e Strata. Prodotta per ce lebrare il 75° anniversario del marchio francese, una percentuale del ricavato andrà a Protect Our Winters.

6.KITH X BIRKENSTOCK

ARIZONA SHEARLING

L’amatissima Birkenstock Arizona in pelle scamosciata si mostra in una ver sione invernale particolarmente como da e morbida, grazie alla pelliccia natu rale di agnello presente nel sottopiede e nel rivestimento interno dei cinturini. Versione esclusiva Mink/Dark Brown firmata Kith, brand newyorkese con 7 flagship stores all’attivo.

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www.4T2.run

7.INJINJI X KNOCKAROUND

P REMIUM SPORT SUNGLASSES

Collaborazione tutta Californiana quella tra Injinji e Knockaround, mar chio di occhiali da sole fondato nel 2005 da Adam Moyer. La limited edition del la Sorrento Valley arriva sul Premium Sport, modello unisex per attività all'a ria aperta dotato di montatura e nasello gommato antiscivolo e lenti polarizzate UV400 resistenti agli urti.

10.FILSON X BUCK

104 COMPADRE CAMP KNIFE

Filson e Buck Knives, due iconici marchi con oltre un secolo di storia. Dal Pacific Northwest un coltello tuttofare per gli amanti della vita all'aria aperta: lama cava a goccia in acciaio per molle 5160 con finitura Cerakote che protegge dalla ruggine e dalla corrosione. Impugnatu ra in Micarta impermeabile all'acqua e al sudore. Fodero in pelle personalizzato.

KILLER COLLABS

8.ELEMENT X MILLET

CONCRETE JUNGLE COLLECTION

Element, brand di skateboard che gravita nell’orbita del colosso sta tunitense Boardriders, si è unita a Millet in una collezione sfaccettata e attraente per il prossimo autunno/ inverno. Prodotti pensati per misce lare streetwear, arrampicata e atti vità outdoor, con un uso diffuso di materiali riciclati.

11.TOPO DESIGNS X REDINGTON FLY FISHING KIT

Un kit sensazionale dedicato a chiunque abbia il desiderio di portare sempre con sé una canna da mosca. Grazie all’incon tro con il marchio di Far Bank specia lizzato nel fly fishing, il Mountain Hip Pack di Topo Designs si completa con una canna da 6 pezzi, mulinello Redin gton Zero Fly Reel prebobinato, set di 6 mosche secche, fly box, leader e finali.

9.HAPPY SOCKS X WWF

ADOPT NATURE BASED SOLUTIONS SOCKS

Indossa ai piedi uno slogan che guarda al futuro. La nuova collezione Happy Socks, realizzata in cotone biologico e poliammide riciclato, mette in luce gli sforzi compiuti dal WWF, rendendo omaggio ai trend più recenti e alle tap pe più importanti del suo lavoro a tutela dell'ambiente. Fino al 2024 Happy Socks destinerà al WWF il 10% delle vendite.

12.ATHLETIC BREWING COMPANY

X KANE FOOTWEAR EVINE

Athletic Brewing Company, una delle 100 aziende più influenti del 2022 secondo TIME, si unisce a Kane Footwear per una partnership che simboleggia l'impegno condiviso nel rendere il mondo un posto migliore. Revine, con schiuma Bounce Back derivata dalla canna da zucchero, si ispira alla colorazione di Run Wild, l'IPA analcolica Made in Connecticut.

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ECO SEVEN

C ONSERVATION ALLIANCE LANCIA

I L PROGRAMMA CONFLUENCE 2022

The Conservation Alliance (TCA), organizzazione che sfrut ta il potere collettivo delle imprese per sostenere la protezio ne dei luoghi selvaggi del Nord America, ha annunciato il lancio del Confluence Program 2022. TCA assegnerà 4 sov venzioni pluriennali a gruppi guidati da comunità storica mente escluse dal punto di vista razziale. Ogni beneficiario riceverà $ 50.000 nel 2022 e altri $ 50.000 nel 2023 per soste nere gli sforzi nel proteggere e conservare la terra e l'acqua promuovendo un pianeta in cui luoghi naturali, fauna selva tica e persone possano prosperare insieme.

I L GRUPPO OBERALP PRESENTA I PRODOTTI REALIZZATI CON LA CANAPA

I n occasione di un evento intersettoriale sul tema della canapa, il Gruppo Oberalp ha presentato la collezione Al pine Hemp di Salewa. Da diversi anni il marchio sporti vo ed alcune aziende partner collaborano al progetto per riportare e riscoprire la canapa industriale, con l’obietti vo di tornare a coltivarla in Alto Adige e in Tirolo set tentrionale e lavorarla dagli steli ai semi, come si faceva una volta. Per raggiungere una produzione autonoma da integrare nella sua linea prodotti, l’azienda ha calcolato un periodo di tempo di 10 anni.

L A NUOVA CAMPAGNA GORE-TEX METTE IN MOSTRA L'IMPEGNO VERSO LA SOSTENIBILITA’

La divisione Fabrics di W. L. Gore & Associates ha intro dotto una nuova campagna Gore-Tex intitolata "Our Work is Never Done". Realizzata dallo studio berlinese AKQA, e lanciata sui canali digitali di tutto il mondo, la campagna celebra l'introduzione dei nuovi prodotti Gore-Tex nella stagione AW22, mettendo in mostra quattro decenni di in novazione della divisione tessuti. Con il nuovo slogan "An dare oltre, insieme" introduce novità che rappresenteranno una pietra miliare nell’attuale percorso di responsabilità e sostenibilità dell’azienda.

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NEW SESSION GLOVES

133g PrimaLoft® Gold Cross Core insulation on the back, 60g PrimaLoft Gold Eco Insulation with Grip Control on the palm

Goat leather construction is the perfect blend of durability and flexibility

The single piece knit cuff features a custom blend of yarns, creating a revolutionary construction that perfectly blends weather resistance, dexterity, warmth and maximum breathability

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By combining engineered knit technology that’s water resistant, stretchy and breathable with premium goat leather construction and PrimaLoft® Gold Cross Core insulation, the Session Knit Glove offers best-in-class dexterity and performance while maintaining maximum comfort for everyday shredders.

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ECO SEVEN

N ORRØNA PUNTA A RIDURRE

L’IMPATTO AMBIENTALE ATTRAVERSO UN’AMBIZIOSA ROADMAP

Il marchio norvegese ha annunciato la sua linea di azione ver so il cambiamento nella responsabilità ambientale e sociale: 10 obiettivi trasparenti e ambiziosi che coinvolgeranno tutte le parti dell'azienda, allineandosi in occasione del suo centenario. La tabella di marcia tiene conto dell'intera catena del valore, toccando temi che riguardano l’impronta ecologica, i materiali, la tracciabilità, il corretto uso del suolo, la biodiversità, gli spre chi, la libertà degli animali e le condizioni di lavoro. I dettagli di Roadmap 2029 si possono trovare su www.norrona.com.

Impermeabilità, anche senza cuciture nastrate. Jack Wol fskin, uno dei principali produttori europei di outerwear, aggiorna la sua linea di prodotti sostenibili con la giacca Tapeless, in grado di eliminare circa 18 metri di nastro ade sivo da ogni capo. Il peso del nastro di cucitura (e della colla utilizzata per mantenerlo in posizione) limita la traspirabi lità, la mobilità e la durata dei prodotti. La tecnologia Zero Tape di Jack Wolfskin è una soluzione innovativa in grado di creare un'alternativa ancora più traspirante al nastro per cuciture con comfort e prestazioni di primo piano.

DOLOMITE RINNOVA IL PATTO CON LA NATURA INSIEME AL PROGETTO TRENTINO TREE AGREEMENT

Come impegno a praticare e comunicare uno stile di vita so stenibile, Dolomite rinnova il patto con la natura in collabo razione con Trentino Tree Agreement, il progetto di raccolta fondi promosso dalla Provincia Autonoma di Trento per il recupero dei boschi distrutti dalla tempesta "Vaia". Dolomite non solo sostiene economicamente il progetto, ma attraverso una più ampia cooperazione fornirà una voce e un'immagine con l’obiettivo di sensibilizzare le generazioni attuali e future. Il progetto riparte proprio dalla ricostruzione dei boschi come propulsore di un cambiamento più ampio e più profondo.

D ONAZIONE RECORD DEL FONDATORE DI LULULEMON AL BC PARKS FOUNDATION

Dennis "Chip" Wilson e sua moglie Summer hanno donato la cifra record di 100 milioni di dollari a BC Parks Foundation per proteggere e valorizzare la natura selvaggia della Colum bia Britannica. La donazione, annunciata durante un evento allo Stanley Park di Vancouver, andrà a far parte della cam pagna pluriennale 25x25 e immediatamente utilizzata in tre ecosistemi: il Santuario di Falling Creek, quello di Teit e le sorgenti di Bourguiba. Il miliardario e filantropo canadese è il fondatore ed ex CEO del brand di athleisure Lululemon ed ha partecipazioni nella multinazionale Anta Sports.

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THE PILL PRODUCTS

Wave Neo Collection di Mizuno

Per l’arrivo della stagione invernale, l’azienda giapponese presenta la sua prima linea running eco-friendly in grado di offrire una corsa orientata alla performance.

Anche per questa stagione, Mizuno ha cercato di fare passi avanti verso innovazione e sostenibilità, il risulta to è la Wave Neo Collection, una linea running ispirata dalla natura e realiz zata in ottica eco-friendly. Le calzatu re Wave Neo Ultra e Wave Neo Wind sono progettate per andare incontro alle nuove richieste dei consumatori, mosse da uno spirito maggiormente rispettoso verso il pianeta e in armo nia con la natura.

Per poter sostenere di avere tra le mani un prodotto eco-friendly, Mizuno si è impegnata per ricercare processi e materiali che avessero meno impatto sul pianeta. Un esempio è l’uso delle componenti tecnologiche in PET ri ciclato al 100% e la tomaia non tinta per abbattere completamente l'uso dell'acqua. Inoltre, entrambe le scar pe presentano l’intersuola e la piastra Wave in Pebax a base biologica, come risultato della lavorazione dei semi di ricino. Questo processo permette di ridurre del 25% la produzione di CO2. Un’altra novità coinvolge la lavorazio ne della Mizuno Enerzy Foam e della soletta, entrambe prodotte con infuso di alga Bloom attraverso un processo che trasforma l’aria e l’inquinamento delle acque in una biomassa vegetale rinnovabile con proprietà termopla stiche. Ma entriamo nei dettagli tec nici per capire meglio la nuova linea di Mizuno.

Wave Neo Ultra

Una scarpa caratterizzata da una alta ammortizzazione data principalmen te dalla suola composta da un mix di Mizuno Enerzy Core, Mizuno Enerzy Lite e Mizuno Enerzy. La tecnologia Wave lavora con l’intersuola a due strati a doppia densità per offrire un appoggio confortevole e stabile. La suola G3 conferisce una costante sensazione di leggerezza e un grip ot timale che consente il giusto scarico delle forze favorendo una maggiore propulsione. Per questa calzatura è stato utilizzato il 70% di materiali eco-friendly.

Wave Neo Wind

Un modello che concentra la sua at tenzione sulla massima propulsione in fase di transizione. La tomaia è leggera e traspirante, realizzata in

knit ricavato da un materiale mono filamento. La suola è composta da Mizuno Enerzy Lite, dalla piastra Mizuno Wave e da Mizuno Ener zy nella parte bassa dell’intersuola, composizione che garantisce un’alta reattività. Per realizzare Wave Neo Wind è stato utilizzato il 60% di ma teriali eco-friendly.

L’intera collezione Wave Neo ha con sentito una riduzione complessiva di emissioni di CO2 che va dal 10 al 13%. Ma questo non è l’unico passo avanti compiuto da Mizuno verso un futuro più sostenibile. L’azienda nipponica, infatti, ha aderito al programma Na tional Forest Foundation che consiste nella piantumazione di due alberi per ogni paio di Neo Collection venduta in modo da compensare le emissioni di CO2 derivate dalla loro produzione.

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Kayland Stellar Una collezione dedicata all’alpinismo tecnico e veloce

Kayland, azienda produttrice di calzature per l’outdoor, consiglia per l’alpinismo

invernale la sua linea Stellar, attualmente rappresentata da tre modelli: Stellar GTX, Stellar AD GTX e Stellar GTX Nubuk.

Stellar GTX

Una scarpa ramponabile da quota che mantiene alti livelli di comfort e agilità, utile per un uso veloce su terreni misti, roccia, neve e ghiaccio. In particolare, è caratterizzata dalla nuova tecnica costruttiva del blocco suola Vibram Stellar: il piede entra in contatto con l’intersuola in PU, in grado di massimizzare i benefici dell’ammortizzazione anche nell’ap poggio oltre che nell’impatto col ter reno. La costruzione interna della suola integra uno scarico a nido d’ape in grado di alleggerire la struttura e assicurare l’effetto shock-absorbing. La tomaia è in microfibra e tessuto resistente alle abrasioni e presenta un rinforzo in gomma sul puntale in modo da garantire una maggiore protezione. La sua impermeabilità e traspirabilità, fondamentali in am bito alpinistico, sono suggerite dal nome stesso della scarpa: Stellar GTX, infatti, utilizza una membrana in Gore-Tex Extended Comfort.

Stellar AD GTX

La sorella della Stellar GTX ma più leggera e destrutturata, ideale per chi ricerca una scarpa ramponabile da quota ma con una costruzione più bassa per un uso multiactivity. Mantiene il blocco suola Vibram Stellar della Stellar GTX, garan tendo ancora una volta ammortiz zazione e comfort. La tomaia è in tessuto con applicazioni di PU re sistente alle abrasioni e un rinforzo in gomma sul puntale. La calzata è facile e veloce grazie al sistema di allacciatura Smart Lance System con pulsante double lance stopper che aiuta ad ottenere precisamente la vestibilità desiderata.

Stellar GTX Nubuk

Una combinazione tra performance, innovazione e pregio dei materiali utilizzati. La tomaia in Nubuk lavo ra insieme alla membrana Gore-Tex Performance Comfort per garantire comodità e protezione da acqua e neve. La costruzione dello scarpo ne permette una calzata avvolgente ma soprattutto sicura grazie al bor do protettivo e al collarino in lycra. Monta la suola Vibram Stellar che integra l’inserto per la predisposi zione alll’utilizzo del rampone se mi-automatico, la zeppa interna in PU espanso bidensità è posizionata sopra il sottopiede di montaggio in PU forato per scaricare il peso e au mentare la stabilità torsionale, dimi nuendo i rischi di infortunio.

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STELLAR GTX STELLAR AD GTX STELLAR GTX NUBUCK

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CampZero

Da sasso nella foresta ad Active Luxury Resort

Recentemente sono stato ospite di CampZero, un particolare Luxury Resort nascosto tra i boschi di pini di Champoluc. Di speciale non ha solo la location, ma offre ai suoi ospiti anche una vastissima scelta di sport: climbing, hiking, trekking, scalata su ghiaccio, biking, trail running e molto altro. Per approfondire meglio passato, presente e futuro di questa gemma in mezzo alla foresta, ho fatto una chiacchierata con Rudy Perronet: Guida Alpina e General Manager di CampZero.

Raccontami com’è nata, nel 2018, l’idea di questo hotel. L’idea è nata dal luminare Silvio Scaglia, già fonda tore di Fastweb. Silvio passava molto tempo negli hotel a 5 stelle per lavoro e io lo conoscevo perché ero Guida Alpina della sua famiglia. Spesso mi diceva: “Rudy, passo la vita nei 5 stel le ma manca sempre qualcosa, sono davvero noiosi. Dobbiamo fare qual cosa di speciale, che abbini il lusso allo sport.” C’era questo grande prato tra i pini e Silvio ci ha visto CampZe ro, lo spazio era ampio, ti garantisco che non abbiamo dovuto toccare nes sun albero. Agli albori del progetto, Silvio ci diceva: “Per costruire Cam pZero partiamo da un sasso, immagi nate un sasso nella foresta: è il nostro blocco di calcestruzzo che costituisce la palestra e la parete d’arrampica ta.” Tutto partiva da lì, quello era ed è tutt’ora il cuore pulsante di Camp Zero. E, intorno a quel fulcro, è stato

costruito l’intero hotel. La palestra ha 40 vie di arrampicata dal 3 all’8a. Il nostro “sasso” in inverno diventa una cascata di ghiaccio per fare ice clim bing; magari non tutti gli ospiti ci si cimentano, ma sicuramente il 100% degli ospiti la fotografa. In sostanza, CampZero è un nuovo concetto di 5 stelle a Champoluc, ma soprattutto un nuovo concetto di sport e lusso ad alto livello in Europa. Per noi il lusso non è tanto all’interno di CampZero ma fuori, invitiamo le persone a veni re qui per godersi le esperienze nella nostra zona.

Chi è l’architetto che ha elaborato il progetto di CampZero? È uno studio di locali chiamato BladIdea, si trova a Saint Vincent. CampZero per loro era il primissimo progetto di hotel.

Ho notato che sono stati inseriti mol ti materiali nella costruzione dell’e dificio. Come mai questa scelta? Il

cemento utilizzato è cemento armato a vista e abbiamo deciso di lasciarlo grigio per mantenerne la percezione materica, rappresentando in questo modo la nostra roccia. Abbiamo inol tre utilizzato il larice, legno locale, trattato solamente in autoclave e una lega di rame e acciaio che arruggini sce naturalmente e si integra bene con l’ambiente. Abbiamo recentemente vinto un premio come terzo eco-hotel al mondo, infatti facciamo davvero at tenzione alla sostenibilità. Questa at tenzione passa attraverso l’utilizzo di auto elettriche, il tipo di detersivo, la cucina zero waste, il riscaldamento a pavimento a pellet, i pannelli fotovol taici e molto altro. Cerchiamo di esse re ospiti di ciò che ci circonda, anzi ché avere un atteggiamento invasivo Ho visto che avete molte collabora zioni con diversi brand. Sì, ma per noi è importante avere innanzitutto collaborazioni con i locali: in parti

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colare, cerchiamo di assumere di pendenti delle zone. Abbiamo anche collaborazioni con aziende e fornito ri, come Grivel che ci ha dato subito fiducia e che ci fornisce i materiali tecnici. Inoltre, abbiamo una mostra permanente dei materiali Grivel nel Boulder Bar. Recentemente anche SCARPA ha accolto con piacere il no stro progetto. Per le collaborazioni a livello automobilistico, invece, ci sia mo rivolti a Lexus, padri dell’ibrido e dell’elettrico.

Avete un desk con Guide Alpine ed esperti. Assolutamente sì, io ad esempio sono Guida Alpina e Sport Manager. Abbiamo istituito anche un’altra figura nell’accoglienza che si chiama Sport and Adventure Ma nager, una persona che consiglia le esperienze da fare fuori dall’hotel e le persone giuste con cui farle. Una figura che spesso ci è stata copiata in tutta Europa.

Chi arriva a CampZero da inesper to che tipo di attività può fare? Il Monte Rosa è una catena dolce, che permette di essere esplorata da tutti: il posto giusto dove muovere i pri mi passi in montagna. Si parte dalle escursioni più semplici come il Lago Blu che accontenta tutti, perché già a ridosso del ghiacciaio. Subito dopo ci sono una serie di rifugi alpi ni bellissimi come il Quintino Sella o il Mezzalama. L’ultimo step: il 4000, Breithorn in giornata o Castore in due giorni. Abbiamo anche tracciati per trail running e bici (che forniamo noi), sia sentieri che strade bianche. D’inverno consigliamo anche tour in backcountry, nato in queste zone, e il freeriding, discipline per le quali ab biamo il nostro noleggio dedicato. Sviluppi futuri? Sono previste nuove stanze, probabilmente creando propo ste più allettanti come le suit con vista cielo. Un altro sviluppo nasce dalla do manda sempre più frequente dei no stri clienti: “Dove andiamo in vacanza

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a CampZero ma in un’altra parte del mondo?” Sicuramente replicheremo il concept, probabilmente al mare per poter fare sport d’acqua ed estivi come arrampicata, vela, apnea, surf, canoa, corsa, bike.

Da dove deriva il nome CampZero? S’ispira all’alpinismo himalayano, quindi il CampZero corrisponde al Campo Base. Ci definiamo una base di partenza per grandi avventure dove partire, ritornare, rigenerarsi e ripartire.

Chi è il cliente medio? 80% stranieri, 20% italiani. Di quell’80% di stranieri, il 50% sono scandinavi e inglesi, il re stante 30% è dal resto del mondo.

I local come hanno reagito a Camp Zero? Prima di aprirlo hanno reagito con molti dubbi e perplessità, adesso molto bene perché non facciamo con correnza a nessuno visto che i nostri prezzi sono decisamente più alti: in alta stagione la tariffa più alta in pae se è di 250 euro, noi arriviamo anche a 800 euro. Un altro motivo, è che i no stri ospiti, alto-spendenti, acquistano nelle attività locali. Dalle statistiche, sembrerebbe che i clienti degli hotel a 5 stelle spendano oltre 100 euro al giorno sul territorio.

Un altro sviluppo nasce dalla domanda sempre più frequente dei nostri clienti: “Dove andiamo in vacanza a CampZero ma in un’altra parte del mondo?”

Sicuramente replicheremo il concept, probabilmente al mare per poter fare sport d’acqua ed estivi come arrampicata, vela, apnea, surf, canoa, corsa, bike.

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Il valore dello slow travel

Myra Stals ha scoperto il suo amore per la montagna solo nel 2012, quando si è trasferita in Italia dall’Olanda. Inizialmente ha lavorato in ambito accademico a Firenze ma, man mano che scopriva l’Italia in sella alla sua bicicletta, l’amore per l’outdoor e lo slow travel ha preso il sopravvento. Infatti, al momento è nel team di comunicazione dell’Associazione Europea delle Vie Francigene. Nel 2020 ha avviato il suo progetto ambientale Cycle to Recycle, mentre nel 2021 ha percorso tutti i 3200km della Via Francigena come social media manager per la marcia a staffetta Road to Rome 2021.

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Qual è il tuo ruolo nella Associa zione Europea delle Vie Francige ne? Ho iniziato a lavorare nell’EAVF per un progetto europeo chiamato rurAllure ma dopo alcuni mesi ho iniziato ad occuparmi dell’evento Road to Rome, tenutosi l’anno scorso per festeggiare i vent’anni della Via Francigena. Il Road To Rome consiste nel percorrere tutti i 3200km della Via Francigena in una sorta di staffetta nella quale sono stati coinvolti co muni, regioni ecc. In questo caso, ho raccontato tutto il Road to Rome come Social Media Manager.

Quindi hai percorso tutti i 3200km? Esattamente! Ci ho mes so 4 mesi, siamo partiti il 15 giugno 2021 da Canterbury e siamo arrivati a Santa Maria di Leuca, in Puglia, il 18 ottobre 2021.

Credi di avere imparato qualcosa? Lavoravo per la Via Francigena da soli 4/5 mesi, quindi ho imparato molto

sia sulla Via che su di me. Ho cono sciuto tante persone, culture, storie, gastronomie: viaggiando lentamente percepisci ogni piccolo cambiamento. Tra tutti i luoghi che hai visitato lungo la Via, quale ti ha colpito di più? È una domanda molto difficile alla quale rispondere. Però posso dir ti un paio zone che mi hanno colpito di più rispetto ad altre, ad esempio la Lunigiana, in Toscana, è stato un luogo speciale per me. Autentico, con tanto potenziale di sviluppo. Anche la parte Svizzera mi è piaciuta molto, soprattutto perché è circondata da montagne!

Hai avuto qualche incontro parti colare che ricordi? Ho conosciuto tantissime persone diverse e ognu na mi ha dato qualcosa di speciale, è difficile scegliere un incontro in particolare. Mi viene in mente una persona che ho conosciuto a Fondi, in Lazio. Lì c’è il Monastero San Ma

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gno gestito da un prete che è spesso vestito casual e in passato faceva il DJ. Dopo alcuni momenti difficili è passato dal mondo della musica al mondo religioso e ha dato vita a un ambiente moderno, dove la religione trova spazio nella contemporaneità. È un posto accogliente e pacifico, ci si sente a casa.

Per tutto il Road to Rome hai cam minato indossando le 9.81 N Air G 2.0 Mid WMS GTX di Garmont. Come ti sei trovata? Sono sempre stata una ciclista e non avevo mai fat to lunghi cammini, quindi ero davve ro curiosa di vedere come avrebbero reagito i miei piedi. Posso solo dire che è stata una meraviglia. Sicura mente avevo anche delle buone calze, però in 3200km non ho avuto assolu tamente alcuna vescica o dolore. One stamente non me lo aspettavo, ero pronta a sentire un po’ di scomodità, invece nulla! Ho usato un modello

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mid per proteggere meglio le cavi glie e onestamente non ho nemmeno sentito il caldo, nonostante fossimo in piena estate.

Cos’è Cycle to Recycle? Un proget to ambientale che ho ideato nel 2019 mentre guardavo un documentario sull’inquinamento da plastica. Avevo già fatto due giri importanti in bici per l’Europa e per l’Italia ed, effetti vamente, c’è davvero plastica ovun que. Quindi ho unito le due cose: fare un viaggio in bici in tutta Italia rac cogliendo la plastica che trovavo per strada. Sulla mia bici da viaggio non c’era spazio, quindi ho preso per la prima volta una bici cargo solo per po ter raccogliere più plastica possibile. Quanta plastica hai raccolto? Du rante il giro in cargo ho attraversato 16 regioni italiane, in 107 giorni ho raccolto poco più di 78kg. Sembrano pochi, però c’è da considerare che una bottiglietta vuota da mezzo litro

pesa circa 10 grammi, quindi si arriva quasi a 8000 bottigliette. E, purtrop po, sono riuscita a raccoglierne solo una piccola parte.

Un ultimo consiglio per chi vuole affrontare la Via Francigena? Sicu ramente non aspettatevi un secondo Cammino di Santiago, la Via Franci gena è molto diversa. Fatela con men te aperta! Un consiglio in particolare per le donne: non abbiate paura di fare la Via in solitudine. Spesso mi viene chiesto se è sicuro per una don na da sola, vi confermo che lo è. Certo, bisogna essere realiste e stare attente, ma sia io che molte altre donne abbia mo viaggiato da sole e non ci siamo mai sentite in pericolo. Però capisco che, chi non ha ancora provato, possa avere timore. Non lasciatevi limitare da queste paure! Personalmente sono cresciuta molto viaggiando da sola e non è giusto che qualcuno debba pri varsene.

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Black Diamond Gloves

Trovare il paio di guanti perfetto può trasformare i nostri momenti outdoor da spiacevoli giornate al freddo a mirabolanti esperienze in un paese delle meraviglie invernale. Black Diamond, dal 1957, lavora in questa direzione e nel corso degli anni ha costruito una solida reputazione basata sulla sfida agli elementi, in modo da garantire a tutti gli appassionati di attività all’aria aperta qualità, comfort e innovazione.

Sia nell’attraversare un ghiacciaio che costruendo un pupazzo di neve, Black Diamond ci fornisce il giusto paio di guanti per mantenere le mani calde, asciutte e pronte ad utilizzare tutti i tool che ci possono servire in monta gna. Ne abbiamo discusso con Loïc Tonnot, Product Manager Europe per la sezione Ski & Mountain di Black Diamond, che ci ha anche presentato i nuovi modelli del brand per la stagione invernale alle porte.

L’expertise di Black Diamond nel realizzare guanti è di lunga data. Qual è la vostra forza in questo spe cifico settore? Black Diamond nasce negli anni ’50 nella Yosemite Valley, California, come marchio di attrezza tura da arrampicata. Abbiamo iniziato a produrre guanti più di 30 anni fa per ché volevamo dare la possibilità agli alpinisti di svolgere la propria attività in montagna proteggendo le mani da gli elementi e allo stesso tempo utiliz zandole come un vero e proprio stru

mento. Negli corso degli anni abbiamo apportato sempre nuove migliorie e innovazioni al reparto guanti, che ora conta un’ampia offerta per ogni attività di montagna.

Black Diamond è stato fra i primi brand a realizzare guanti con le fa langi tagliate. Da dove nasce l’idea?

Qual è il vantaggio? L’idea nasce circa 30 anni fa con i nostri primi modelli. Il particolare design permette una mi gliore articolazione delle dita. Da un alto questo rende la posizione di ripo so più confortevole, dall’altro permette di afferrare ed utilizzare l’equipaggia mento al meglio.

Quanto sono importanti i guanti nelle attività outdoor invernali? Il guanto può sicuramente essere con siderato uno strumento di sopravvi venza. Un guanto che non performa al meglio in una determinata situazione può portare al fallimento dell’intero progetto, o comunque ad una serie di

situazioni spiacevoli. Il modello ideale deve tenere le mani al caldo grazie al corretto isolamento, ma deve essere anche abbastanza robusto e durare nel tempo. Anche la vestibilità è importan te in modo da impugnare ed utilizzare l'attrezzatura nel miglior modo possi bile. Il guanto deve fare in modo che le nostre mani diventino uno strumento aggiuntivo di cui avvalersi.

Come nasce il progetto e lo sviluppo di un guanto? Quando si progettano nuovi guanti di solito c’è un aspetto fondamentale che prendiamo in con siderazione, ovvero le specifiche ri chieste che l’attività per cui il guanto nasce richiederà. Ad esempio, quando abbiamo iniziato a sviluppare prodotti per l'arrampicata su ghiaccio, c'era una richiesta specifica da parte degli atleti di avere prodotti molto robusti ma al tempo stesso sottili e da qui abbiamo iniziato a lavorare. Cerchiamo di re alizzare il miglior guanto possibile per l’attività specifica che si andrà ad

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intraprendere e da lì costruiamo l'in tera gamma. Al momento abbiamo 7 diverse categorie (8 se si conta la linea kids). La serie pro è realizzata per i pro fessionisti della montagna, le guide, gli atleti professionisti e tutte quelle per sone che lavorano con i guanti nelle stazioni sciistiche. Per usi meno tecnici partiamo da quegli stessi modelli pro, realizzandoli con materiali diversi e di conseguenza collocandoli in una di versa fascia di prezzo. Ogni modello è quindi pensato per un'esigenza speci fica, i prodotti multiuso esistono ma è fondamentale avere ben chiaro in men te cosa si andrà a fare con quel guanto in modo da fare il miglior acquisto in termini di tecnologia, vestibilità, isola mento, ecc.

Quali sono le caratteristiche in dispensabili che un guanto deve avere? Ovviamente variano a secon da dell'attività che si andrà a svolge re perché ogni guanto è realizzato in modo diverso in base all’utilizzo per cui è stato pensato. Ci sono tuttavia due aspetti da considerare nella scelta di un guanto, ovvero la vestibilità del modello e a quale temperatura verrà utilizzato. Ad esempio, uno snowbo arder avrà semplicemente bisogno di un guanto caldo perché non userà molto le mani, invece uno scialpinista necessita di un prodotto differente, con più isolamento sulla parte esterna del guanto per proteggere le mani dal freddo e meno invece su quella interna, in modo da avere un grip migliore su sci e bastoncini.

Come scegliere il guanto perfetto a seconda dell’attività che si andrà a svolgere? Dopo avere valutato fit e temperatura in cui utilizzeremo un paio di guanti, si possono prendere in considerazione un’altra serie di fat tori che variano appunto a seconda dell’attività che andremo a svolgere: il sistema di chiusura del gambetto, la protezione che offre il guanto grazie ai suoi rinforzi, le cuciture in Kevlar con

tro l'abrasione o anche delle specifiche toppe in morbida pelle sul pollice per pulire gli occhiali da sole o togliere il sudore, ecc.

Raccontaci qualcosa delle nuove linee di guanti Black Diamond. Da dove nasce l’idea per questi model li, quali sono le feature principali, quali le innovazioni tecnologiche. Abbiamo una linea di guanti freeri de di grande successo da diversi anni che viene costantemente migliorata ed espansa. Per la stagione 22/23 abbiamo ampliato la linea introducendo la serie Mission, versatile e affidabile grazie a materiali di prima qualità tra cui una fodera in Gore-Tex e un isolamento Pri maLoft Gold per il massimo del calore.

Qual è il vostro modello di punta per questo inverno? Quali sono le sue caratteristiche? Sicuramente Session, un guanto piuttosto unico per via del la sua costruzione interna in pelle con

isolamento PrimaLoft Gold Cross Core e con una tecnologia a maglia ingene rizzata all’esterno, elastica e imperme abile, ispirata alle scarpe da calcio. Si tratta di un guanto da freeride di fascia alta con una vestibilità molto slim per afferrare meglio sci e bastoncini.

Quanto tempo richiede l'intero pro cesso di creazione di un nuovo mo dello di guanto? Di solito ci vogliono circa 18 mesi. Siamo nel settore da tanti anni e abbiamo i nostri fornitori ma cerchiamo costantemente di evolvere il nostro processo di creazione anche con un occhio di riguardo verso la so stenibilità.

A proposito di sostenibilità, come vi approcciate alla questione? La soste nibilità è un fattore che cerchiamo di ricercare il più possibile, ovviamente non è sempre facile, ad esempio non si può avere della pelle riciclata che per formi nel modo in cui vogliamo noi. La

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pelle vegana esiste ma è più utilizzata sulle calzature, e non funziona altret tanto bene sui guanti. L’isolamento di tutti i nostri modelli è realizzato con materiali riciclati, il processo di concia non utilizza sostanze chimiche tossi che e usiamo prodotti idrorepellenti DWR privi di PFC.

In che genere di situazioni e da che tipo di tester vengono testati i nuo vi modelli? Abbiamo diversi tester che provano i prodotti sul campo in diver se attività specifiche. Tutti i nostri atleti europei e americani, ma anche profes sionisti della montagna, guide, perso ne che lavorano outdoor o nei resort. Tutte queste persone ci danno costan temente suggerimenti innanzitutto sul fit del guanto, che deve essere in linea con i nostri modelli già esistenti, e poi se il modello risponde alle aspettative dell’attività che si pratica. Altri fee dback che riceviamo riguardano la tra

spirabilità del guanto, se tiene il giusto calore, se la costruzione in pelle è abba stanza buona o necessita di rinforzo, se il polsino è della giusta lunghezza, ecc. Raccogliamo tutti questi piccoli detta gli e facciamo continui aggiustamenti in modo da dare al cliente finale la mi gliore esperienza outdoor.

Progetti futuri? Rinnoviamo costan temente la nostra collezione in modo da avere una gamma più chiara ed esaustiva possibile. Un settore su cui puntiamo e contiamo di espanderci è quello del trail running che sta viven do una vera e propria crescita espo nenziale. Il nostro scopo è realizzare guanti da trail running che abbiano esigenze specifiche per la disciplina quali traspirabilità, impermeabilità, etc. Questo è ciò su cui ci stiamo con centrando al momento utilizzando tut to l’expertise maturato negli anni.

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La sostenibilità è un fattore che cerchiamo di ricercare il più possibile, ovviamente non è sempre facile, ad esempio non si può avere della pelle riciclata che performi nel modo in cui vogliamo noi.
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EMPLOYEE OF THE MONTH

Chiara Guglielmina

Chiara lavora da qualche anno con noi oramai, ci sarebbe molto da raccontare di lei, perchè sa fare tutto e tutto molto bene, scrive, fotografa, filma, edita ed è anche laureata in design. Ma quello che ci piace di lei è la passione con cui si immerge letteralmente nel raccontare le storie di montagna e persone.

Parlami di te, non del tuo lavoro. Sinceramente faccio fatica a parlare di me senza parlare del mio lavoro, non so se è un bene o un male. Tutto quello che faccio per lavoro, ovvero fotografia, scrittura e video, non riesco a vederlo come tale, fa parte di me. Quando ho del tempo libero faccio comunque le stesse cose, vado a scattare fotografie da qual che parte oppure scrivo i miei pensieri. Sono una persona che ha tante passio ni, troppe probabilmente. Ad esempio, sono una grande appassionata dell’u manità: mi piace conoscere le persone, dallo sherpa nepalese al mio vicino di casa. Forse è proprio per questo che amo raccontare storie. Adoro il cinema e mi piace stare all’aria aperta ma non sono solita vivere l’outdoor come una sfida da cronometrare. Mi piace anda re a funghi con la mia famiglia, andare a pesca, camminare e correre. Tra tutti gli sport outdoor, lo sci è nel mio cuore perché ho avuto un passato agonistico importante. Sono una persona dolce e emotiva, potrei piangere per un tra monto, però sono anche caparbia. Direi che sono una persona complicata.

Cosa fai in The Pill e cosa fai nella vita? Sinceramente, non l’ho ancora capito. In The Pill per lo più scrivo e fo tografo, idem nella vita. Ultimamente mi sto occupando dei miei primi docu

mentari a livello di direzione artistica e di montaggio, ma vorrei indirizzare sempre di più il mio percorso verso la fotografia. Professionalmente sono an che maestra di sci.

Qual è il tuo strumento preferi to per esprimerti? Dipende da cosa devo dire! La scrittura ad esempio è molto intima e personale, la coltivo da quando ho 15 anni. Per me è importan te non solo per raccontare storie, ma an che per rilassarmi. Però, ripeto, ci sono linguaggi diversi da adottare in base a quello che si vuole raccontare, i miei mezzi sono sempre le parole, le fotogra fie e i video.

Quale attività outdoor svolgi mag giormente durante l’anno? A livello lavorativo scio spesso, mentre a livello personale credo che l’attività che svolgo di più sia l’hiking, mi piace molto cam minare in montagna.

Qual è il tuo ultimo viaggio e quale sarà il prossimo? Il mio ultimo viag

gio è stato ad agosto in Ladakh (raccon tato in questo numero di The Pill), una regione a nord dell’India situata tra il Pakistan e il Tibet. È stato un bellissimo trekking in alta montagna, sempre tra i 4500 e i 5500 metri. Il prossimo viag gio sarebbe dovuto essere in Nepal, ma non potrò andare. Onestamente spero che la mia prossima tappa sia l’Islanda o il nord Europa.

Se per un giorno dovessi essere qualcun altro chi vorresti essere?

Sinceramente? Nessun altro. Chi di noi conosce veramente le altre persone e le loro vite? Siccome ho già le mie cose da capire, preferisco continuare a lavorare su me stessa piuttosto che essere qual cun altro. Certo, ci sono persone che ammiro e stimo ma non vorrei essere loro. Sicuramente sono individui che hanno raggiunto certi livelli lavorativi o personali perché hanno percorso una determinata strada, io voglio percorre re la mia per arrivarci. Voglio farlo ri manendo Chiara.

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OUTFIT FJÄLLRÄVEN JACKET HIGH COAST HYDRATIC PANTS ABISKO TREKKING TIGHTS PRO HOODIE KEB FLEECE BEANIE VARDAG CLASSIC

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Questione di ultracorpi e ultramenti

Stefano Gregoretti

Stefano Gregoretti, atleta Rudy Project, è nato al mare, a Riccione, e da bambino ha sempre avuto degli importanti problemi di scoliosi. Oggi, nel suo carnet di imprese può vantare gare di triathlon, ultra trail e missioni nei posti più inospitali al mondo, dal Canada Artico in inverno alla Death Valley in estate. C'è chi trova la propria comfort zone nelle comodità di una casa e chi invece deve spingersi oltre ogni limite per "sentirsi a casa".

“La montagna mi ha sempre chiamato, anche quando ero bambino: il mio com pleanno cade il 2 settembre, e ogni anno il regalo che chiedevo ai miei era sempre lo stesso: andare a trascorrere la giornata in montagna. Non sono mai stato attrat to dal mare e da tutti gli sport che lì si possono praticare, mentre i miei amici e compagni facevano vela e windsurf io di voravo i libri di Bonatti.”

Però poi non sei diventato un alpinista... Diciamo che tutti gli sport e tutte le attività per me sono sempre state un mezzo per poter perseguire il mio obiettivo finale, che erano ap punto le mie imprese. Poi nella vita è tutto collegato, è tramite il triathlon e le gare di ultra trail che ho conosciu to Ray Zahab, per intenderci quello che ha attraversato a piedi il deserto del Sahara per più di 7000 chilome tri, oppure il deserto del Gobi, e con

lui, grazie al legame fortissimo che si è creato tra di noi, poi sono nati i nostri progetti più recenti. La prima spedizione insieme l'abbiamo fat ta sull'Isola di Baffin e da lì io sono entrato nel suo mondo e lui nel mio creando esperienze di ultra enduran ce incredibili: abbiamo attraversato insieme tutto il deserto della Patago nia, dall'Atlantico al Pacifico, tutta la Namibia in piena estate dal confine con il Sudafrica a quello con l'Ango la per 1900 chilometri fatti di corsa, e poi ancora: sette spedizioni nell'Ar tico compresi i territori canadesi del nord ovest.

Chissà cosa pensano i medici che ti hanno curato la scoliosi da ra gazzo... Sai cos'è? Che a me questo mondo è sempre piaciuto, e siccome l'alternativa sarebbe stata portare il busto tutta la vita, mi sono mes

so particolarmente di impegno per curarla. Io sono stato un forzato del nuoto: per anni e anni sono andato in piscina tutti giorni, e la odiavo an che, poi le cose cambiano, sono anche finito a giocare a pallanuoto per dieci anni, ma per me lo sport è stata una medicina nel vero senso della parola.

Comunque a livello di sport ne hai praticati veramente tanti e molto intensamente, adesso su cosa ti concentri? Adesso solo sulle spedi zioni, che sono abbastanza delicate e complicate già dalla preparazione, sia logistica che fisica: devo consi derare un lasso di tempo di 11 mesi nonostante io sia già allenato per l'ottanta per cento. Ma se devo cor rere in un deserto per 70 chilometri il giorno o trainare una slitta di 110 chili nell'Artico la preparazione chia ramente cambia.

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PHOTOS TUCKER PRESCOTT

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Sono situazioni diametralmente opposte. Come ti prepari? Sono si tuazioni estreme sia per il fisico, e sia da un punto di vista metabolico: nel deserto praticamente mangio solo car boidrati perché le proteine e le fibre non si mantengono, quindi devo adat tare l'organismo ad avere quel tipo di alimentazione mentre nell'Artico l'80% della mia dieta sono grassi.

Grassi? Considera che ho la possibilità di mangiare solo una volta al giorno: anche solo sciogliere la neve per reidra tare i pasti è un'operazione di molte ore che non posso fare nelle ore di luce, che sono poche al giorno e che mi servono per correre.

Quindi adesso tutta la tua attività è dedicata alle missioni? L’ultra trail è affascinante, ma sono delle gare: quel lo a cui mi sono appassionato ultima mente sono delle vere e proprie missio ni, è diversa proprio la filosofia che ci sta dietro.

Cosa ti spinge? La voglia di cono scere posti che sono ancora per mol ti versi incontaminati, dove riesco a sperimentare un senso di vuoto dove io, inspiegabilmente mi sento a casa. Nell'Artico canadese un elicottero im piega tre giorni ad arrivare, se ha visi bilità, questo vuol dire che nell'arco di 700 chilometri tu non hai nessuna for ma di vita se non quelle che vivono lì, quindi orsi polari e volpi artiche. Non c'è niente di niente. Ecco, io lì mi trovo in un contesto che apparentemente è problematico, ma che, per me, inspie gabilmente, è confortevole. Provo un tale senso di comunione in questi posti che dopo una settimana è come se fossi a casa. Io sono fatto per stare in mezzo alla natura più selvaggia. Una delle ul time missioni che ho fatto per accom pagnare un gruppo era nel Canada Artico e nell'Isola di Baffin e lì la sera io dormivo come un sasso, dieci ore fi late, nonostante fossi dentro una tenda sbattuta dal vento e con fuori degli orsi polari, quando a casa a malapena ne ri

esco a dormirne sei. Sono scomodo nel letto, ci sono rumori fuori, insomma, non sono mai tranquillo. Ecco, per me quella è casa mia, quindi quello che mi spinge, in sostanza, è tornare a casa.

Ti senti a casa nel Canada Artico, ma anche la Death Valley la fre quenti parecchio... Sì, io e Ray abbia mo appena terminato una missione lì. L'abbiamo attraversata dal confine est fino al confine ovest nel mese più cal do dell'anno, con una media di 50-55 gradi al giorno totalmente fuori stra da infilandoci nei canyon e nelle gole, con rifornimenti d’acqua che avevamo seppellito giorni prima ogni 30 chilo metri per una lunghezza totale di 140 chilometri.

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La montagna mi ha sempre chiamato, anche quando ero bambino: il mio compleanno cade il 2 settembre, e ogni anno il regalo che chiedevo ai miei era sempre lo stesso: andare a trascorrere la giornata in montagna.

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4 words with Silvia & Pablo Al Tor con SCARPA

Per la tredicesima edizione del TORX siamo stati con SCARPA immersi in una vera Live Experience che ci ha fatto osservare ancora più da vicino la preparazione fisica e mentale dei Giganti che partecipano a questo evento. Durante le varie soste ai rifugi abbiamo avuto la fortuna di incontrare Silvia Trigueros Garrote e Pablo Criado Toca.

Silvia Trigueros Garrote è la Gigan tessa per eccellenza: questo è stato il sesto anno in cui l’ultrarunner ha partecipato alla competizione, dopo tre vittorie consecutive. Nel 2022 non è riuscita a scalare il primo gradino del podio del TOR330 ma si è assicu rata il secondo posto con un tempo di 84:58:32, dietro alla britannica Sa brina Verjee. Ci ha commentato così la sua gara: “Questa volta ho finito il mio Tor des Géants in seconda posizio ne. Verso la fine della gara non sono proprio riuscita a mantenere il ritmo di Sabrina Verjee, però sono felice di aver dato il massimo! Ammetto di essere commossa dall’affetto delle persone che ho incontrato, dal loro incoraggiamento e dal loro rispetto.”

Pablo Criado Toca è un altro nome noto tra i Giganti: l’ultrarunner spa gnolo, nel team SCARPA dal 2015, ha concluso il Tor des Géants sei volte e in due occasioni ha portato a casa il podio. Quest’anno ha tentato il TOR450 ma, purtroppo, un infortu nio ha fermato la sua corsa al Rifugio Guide di Frachey dopo circa 300km e 97 ore dalla partenza. Nato 46 anni fa

e padre da due anni, per Criado Toca il TORX è una delle competizioni più belle in assoluto: “Ho un legame affet tivo verso il TORX: il posto è bellissi mo, siamo nel cuore delle Alpi. Ho corso anche in Colorado, sono posti più espo sti ma più semplici, i sentieri sono più puliti. La difficoltà sta molto nella quo ta. Poi dipende dove vai, se nel deserto o in montagna. La corsa americana forse è più simile alla maratona e ultramara tona su strada, mentre in Europa abbia mo dislivelli più ripidi. Probabilmente è anche per questo che preferisco le zone alpine.”

A proposito delle persone incontrate durante la competizione, racconta: “La gente è amichevole, mi sembra di essere a casa! Alla fine sono spagnolo, voi siete italiani, siamo entrambi latini e questo si sente. Però, in Spagna, chi non arriva primo non viene molto con siderato. In questi paesi alpini, invece, ogni volta che ho gareggiato ci sono sta te persone che si sono complimentate in dipendentemente dalla posizione in cui mi sono classificato. Riconoscono che non è per niente facile quello che fanno gli ultrarunner. Qui la gente capisce la montagna, il ruolo del finisher.”

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THE PILL HEROES

Tra il passaggio alle basi vita dei vari Giganti abbiamo assistito alla presen tazione in anteprima della Spin Pla net, il nuovo modello da trail running di SCARPA, abbiamo potuto toccarla con mano e scoprire tutto ciò che la accomuna e differenzia dalle altre calzature da trail.

È pensata per chi inizia ad approc ciarsi alle lunghe distanze, affer mazione supportata in particolare dall’intersuola a volumi maggiorati in grado di assorbire al meglio ogni tipo di impatto, assicurando un cu shioning protettivo. Chi conosce il modello Mojito Planet del brand di Asolo avrà già capito che anche la Spin Planet ha un concept sosteni bile riguardo ai materiali utilizzati. La fodera è in microfibra riciclata, la tomaia è ricavata da filati riciclati al 100% e la stessa intersuola, citata precedentemente, è in EVA ricicla ta al 45%. Un punto fondamentale è anche il battistrada realizzato con il 30% di gomma riciclata, l’attuale per centuale necessaria per mantenere le medesime performance di una suola nuova.

Proprio riguardo le performance della Spin Planet, Marco De Gaspe ri, Brand Manager si SCARPA, ci racconta: “Quello che abbiamo cerca to di ottenere è un prodotto che avesse delle certificazioni e che potesse essere il più riciclato possibile mantenendo però le performance che per noi sono condizioni imprescindibili. Ad esempio, vogliamo dare la giusta cura e attenzio ne nella ricerca e sviluppo del materiale per fare in modo che il prodotto non si usuri troppo facilmente e che mantenga le performance adatte per affrontare le classiche situazioni in montagna. Si tuazioni in cui grip e affidabilità della tomaia sono di fondamentale impor tanza, perché si può andare incontro a sentieri poco battuti e ricchi di pietre e rocce, in cui si rischia facilmente una distorsione.”

In termini di chilometraggio, SCAR PA progetta i suoi modelli per coprire un minimo di 450km e lo stesso vale per la Spin Planet. Poi, i trail runner lo sanno bene, tutto dipende anche dal tipo di terreno.

Ogni nuova soluzione riciclata, ri ciclabile o di origine naturale è un passo avanti verso il benessere del pianeta e crediamo sia importante che le aziende lavorino con costanza e dedizione su questo punto, con meno compromessi possibili.

“Questa volta ho finito il mio Tor des Géants in seconda posizione. Verso la fine della gara non sono proprio riuscita a mante nere il ritmo di Sabrina Verjee, però sono felice di aver dato il massimo! Ammetto di essere com mossa dall’affetto delle persone che ho incontrato, dal loro incoraggiamento e dal loro rispetto."

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Andreas Reiterer

A Chamonix funziona così: un’azienda, facciamo che quell’a zienda si chiami Asics, prenota un albergo per ospitare i propri atleti. Per tenerli lontani dal marasma di persone che invade il paese nei giorni di UTMB e dallo stress che ne consegue, è pro babile che quell’albergo si trovi in una zona residenziale, defilata rispetto al centro: chiamiamo il quartiere La Rosière, e l’albergo Eden. Ora, per risparmiare agli atleti inutili spostamenti verso il paese, l’azienda, Asics, organizza le conferenze e gli incontri con la stampa all’interno di quello stesso albergo, tenendo gli atleti in un accogliente tepore termale, una specie di liquido amnioti co pregara, prima di buttarli in mezzo alla mischia con tutti gli altri cavalli, a correre cento chilometri sotto la pioggia. È una tecnica ormai rodata e, va detto, funziona.

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BY FILIPPO CAON PHOTOS ALBIN DURAND

Per una settimana quell’albergo diventa l’hea dquarter aziendale, al cui interno avvengono diverse cose: pranzi, interviste, presentazioni. Il foyer viene trasformato in uno stand per i prodotti dell’anno successivo, sulle finestre vengono applicate delle vetrofanie e il giardi no si popola di bandiere aziendali. La sala da pranzo è bianca, con grandi vetrate che danno sull’Aiguille du Dru, tutti parlano sottovoce tanto che riesco ad ascoltare chiaramente An dreas Reiterer parlare dal tavolo a fianco. Dieci minuti sono sufficienti per essere assorbiti da quel soffice tepore. Dopo il caffè ci spostiamo in una piccola sala del piano terra predisposta per le interviste, e facciamo una chiacchierata con Andreas.

È iscritto a CCC, che parte la mattina successi va da Courmayeur. Su quei chilometraggi An dreas è probabilmente l’atleta più forte in Italia.

La sua stagione è iniziata con un quinto posto alla MIUT a Madeira, dietro a Walmsley, Garri vier, Tschumi e Blanchard (tre di questi rispet tivamente secondi, quarti e decimi a UTMB). A maggio Andreas ha corso i campionati italiani, vincendoli, e a giugno è andato a Cortina per la LUT, dove si è ritirato per il secondo anno di fila, a Malga Ra’ Stua. LUT per qualche ragione non gli riesce, e quando gli chiedo secondo lui perché mi risponde, ridendo, “boh”. Poi fa una pausa, e aggiunge: “ma io ci riprovo ogni anno, vaffanculo”. Andreas non proferisce fiumi di parole, ma dice quello che deve. La cosa che mi piace degli atleti come lui è che non accampano scuse per spiegare perché gli va male, non ne ha bisogno: si allena come un dannato, si pre senta sulla linea di partenza, e corre, il resto sembra non importargli più di tanto.

Mi racconta di quel ritiro senza troppi patemi: “ero con Hannes, sono arrivato a Cimabanche che stavo bene ma nella salita successiva mi è venuto un colpo della strega e non sono più riuscito a correre”. Semplice, fine. LUT e CCC sono due gare relativamente compatibili: LUT è una 120 con 5500+, CCC è una 100 con 6000+, la seconda è più dura, ha tre salite da 1000 me tri di dislivello in successione negli ultimi 50 chilometri, ma resta comunque una gara che i

primi riescono a correre a ritmi molto veloci. Nel 2021 Andreas la ha chiusa al quarto posto in 10:57, quest’anno punta al podio e ad abbas sare il tempo.

C’è un’idea diffusa per cui l’Italia non abbia atleti in grado di competere per i podi su gare internazionali, almeno su distanze come quelle di CCC o LUT, tanto meno di UTMB. In effetti non sono tanti, ma qualcuno c’è, e per qualche ragione poco chiara, spesso quel qualcuno vie ne dall’Alto Adige. L’Alto Adige nell’ultrarun ning è un mondo parallelo: no, l’Alto Adige è un mondo parallelo in tutto, e in generale non abbiamo molto chiaro cosa ci accade. Però di tanto in tanto capita che ai campionati italia ni arrivi un atleta che parla con un accento un tantino duro, e stampi un primo posto corren do a bocca chiusa. Sono in quei pochi momenti in cui ci ricordiamo che esiste una comunità anche là, delle gare. Un giorno ci faremo rac contare da Andreas com’è su di là, che non è poi così in là. Comunque, nel caso vi interessasse, Andre as a CCC ha chiuso terzo, abbassando di una mezz’oretta il tempo dell’anno prima, dietro solo a un Petter Engdahl (che stampa il record del percorso, prima volta sotto le 10 ore) e a un Jonathan Albon questa volta davvero di un al tro mondo.

C’è un’idea diffusa per cui l’Italia non abbia atleti in grado di competere per i podi su gare internazionali, almeno su distanze come quelle di CCC o LUT, tanto meno di UTMB. In effetti non sono tanti, ma qualcuno c’è, e per qualche ragione poco chiara, spesso quel qualcuno viene dall’Alto Adige.

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Il fascino selvaggio dei cammini del Nord Europa Fjällräven Classic

Non importa arrivare a fare qualcosa di necessariamente estremo per met tersi alla prova e spostare un pochet tino più in là l’asticella di quelle che sono le nostre possibilità: l’Europa è costellata di cammini, più o meno difficili, più o meno estremi. Ognu no può scegliere come modulare il proprio impegno, ma c’è un aspetto che difficilmente si può abbattere ed è quello della solitudine, a questo però ci ha pensato Fjällräven con i suoi “Classic”: trekking spettacolari di più giorni in cui si condivide l’e sperienza del cammino con centina ia di altre persone. Lo spirito della prima Fjällräven Classic mai orga nizzata nella storia, nel 2005, era in fatti proprio questo: dimostrare che chiunque, dotato della giusta attrez zatura e della giusta preparazione, potesse essere in grado di affronta re un viaggio nel cuore della natura più incontaminata. Il percorso scelto era, ed è ancora, lungo 110 chilometri e attraversa alcuni dei paesaggi più spettacolari della Lapponia svedese: il trekking che da Nikkaluokta con duce ad Abisko è uno dei più belli e ambiti di tutto il nord Europa e fa parte del mitico cammino Kung sleden. Nel 2005 all’appello di Fjäll

räven risposero in 152, l’edizione del 2022 ha visto la presenza di più di 2000 partecipanti provenienti da 49 diverse nazioni. Il format dell’evento è estremamente semplice: a ogni par tecipante è richiesto di portare a ter mine un percorso di 110 chilometri in circa sei giorni, durante i quali si dorme in tende, ci si cucina ognuno il proprio pasto e si cammina ognuno al proprio ritmo. Tutta l’attrezzatu ra necessaria per questa avventura deve essere trasportata in una zaino: prima di partire ognuno riceve una bombola di gas da campeggio (suffi ciente per l’intera durata del percor so), un sacchetto per raccogliere la propria spazzatura (è severamente vietato lasciare rifiuti lungo il per corso), un rotolo di carta igienica e le prime razioni di cibo liofilizzato (le altre vengono distribuite giorno per giorno lungo il cammino). Il percor so infatti non solo è ben tracciato, ma è anche intervallato da checkpoint dove sia lo staff che i volontari di Fjällräven offrono cibo e aiuto, qua lora ce ne fosse bisogno. In Svezia poi vige l’Allemansrätten, ovvero il dirit to svedese di accesso ad aree pubbli che e private per attività ricreative o per esercizio fisico: è quindi possibi

le accamparsi ovunque per la notte, ogni partecipante è libero quindi di stabilire sia il giorno della partenza che il ritmo da seguire: questo con sente di vivere appieno e in totale libertà l’esperienza di un trekking in una zona selvaggia e decisamente poco affollata della Svezia.

Non importa arrivare a fare qualcosa di necessariamente estremo per mettersi alla prova e spostare un pochettino più in là l’asticella di quelle che sono le nostre possibilità: l’Europa è costellata di cammini, più o meno difficili, più o meno estremi. Ognuno può scegliere come modulare il proprio impegno, ma c’è un aspetto che difficilmente si può abbattere ed è quello della solitudine, a questo però ci ha pensato Fjällräven con i suoi “Classic”.

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Attraverso gli occhi di una pianista abbiamo attraversato anche noi una parte della Lapponia svedese: ecco cosa succede durante un Fjällräven Classic.
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Il cammino di Tamara

Noi abbiamo vissuto l’esperienza della Fjällräven Classic attraverso gli occhi di Tamara Salcher, che è un’appassionata trekker, ma non cer to un’atleta, e che si è buttata anima e cuore nell’esperienza. “Il mio com pagno lavora per il brand ed erano anni che insistevo per provare a fare anche io la Classic, perché se è vero che passo tantissimo tempo immersa nella natura, è anche vero che volevo mettermi alla prova, più che altro nel non avere le co modità e i lussi di casa.” Sapersi arran giare, fare con quello che c’è: anche nel vivere la montagna oggi siamo poco abituati ad essere essenziali, ecco, un’esperienza come la Classic porta a confrontarsi con le proprie esigenze cercando di soddisfarle con il minimo indispensabile. “Parteci pare a un evento del genere va ben oltre il concetto di sport, perché è proprio un modo di vivere che la nostra società or mai ha perso.”

Ma quindi, com’è andata? An che meglio di quanto mi aspettassi, sono stata troppo bene, soprattutto dal punto di vista emotivo. Anche perché c’è un mix costante di situa zioni: si passa dallo stare in gruppo, dall’aiutarsi a vicenda legandosi in maniera molto profonda allo stare anche tanto da soli con se stessi. Du rante il giorno, quando camminavo, stavo principalmente da sola, poi in vece nei check point, o la sera vicino alle tende, era bello sedersi insieme e condividere il momento. Però nes suno ti obbliga a fare niente: ognuno può scrivere la sua personale storia di questo cammino.

Non hai mai avuto nessuna crisi? Fortunatamente sono molto allenata, quindi dal punto di vista fisico non ho sofferto (va anche detto che avevo un’attrezzatura top, a partire dallo zaino che pesava molto poco) e quel la era la mia principale paura, perché ho avuto un’ernia al disco proprio poco tempo fa. La verità è che dopo due giorni ti abitui anche al peso

dello zaino, a un certo punto mi sono caricata anche di alcune cose di una ragazza che era molto in difficoltà e sofferente: se sei attrezzata bene ti riesci ad abituare a tutto. Quello che mi ha messo più a dura prova a dire la verità è stato il clima: era freddis simo, i primi due giorni ha anche ne vicato, e poi il meteo in quelle zone cambia da un’ora all’altra imponen do di adattarti magari anche a delle botte di caldo improvviso.

Lo rifaresti? Ripartirei subito. Per me è stata un’esperienza quasi mi stica, ero come in trance: è stata una parentesi solo positiva, nonostante la fatica. Non mi aspettavo che sarebbe mancato così tanto una volta finito il cammino.

Quindi ne farai altri? Assoluta mente: con una mia amica stiamo già guardando l’edizione in Colorado, perché oggi i Fjällräven Classic sono in tutto il mondo, non solo in Svezia. Rispetto a organizzarsi in solitaria, aderire a un’iniziativa del genere dà un aiuto notevole anche solo dal punto di vista logistico. Però sono rimasta talmente legata al cammino che abbiamo fatto in Svezia, che è solamente una parte di un cammi no più ampio che prende il nome di Kungsleden, che adesso vorrei farlo tutto. Ho scoperto che c’è anche la possibilità di farlo più in velocità, quasi correndo, con uno zaino più leggero e con la possibilità di dormi re nei rifugi.

Se tu dovessi riassumere quello che ti ha colpito di più? L’immen sità dei paesaggi, le montagne in fin dei conti assomigliano molto alle nostre, ma lì c’è una vastità di pro spettiva alla quale noi non siamo abi tuati: è tutto molto più ampio e poi il paesaggio cambia in continuazione: passi dalla ruvidezza di una pietraia a una vallata lussureggiante nel giro di un passo. E poi c’è una fauna in credibile, abbiamo visto moltissime renne, un’alce e tanti tipi di uccelli diversi.

La lezione più importante di que ste giornate? Dovremmo tutti quan ti reimparare a stare di più in mezzo alla natura: in Svezia ad esempio c’è un rispetto per la natura che da noi non c’è. In tutto il tragitto non ab biamo visto neanche un pezzettino di carta o un rifiuto, di nessun tipo. Quando hai un traguardo da rag giungere metti una grinta diversa nell’approccio con la montagna, che è un ambiente che io vivo tutti i giorni, ma la cosa per la quale sono in as soluto più grata è il fatto di essermi messa costantemente alla prova.

Tu sei una pianista, in quei mo menti ti sei sentita particolar mente ispirata? Ah, quello mi suc cede sempre quando sto a contatto con la natura! Mi rendo conto che dopo aver trascorso una giornata nel bosco riesco a fare meglio tutto: suonare bene, ma anche relazionar mi con gli altri e stare bene con me stessa.

Il ritmo è il cuore del tuo lavoro, com’è stato il tuo ritmo durante la Classic? Alla fine è tutta una que stione di ritmo, non solo in cammino, ma anche nella vita: perché ognuno ha il suo, e se tu trovi il tuo vivi bene. Non devi cercare di inseguire il rit mo di qualcun altro, altrimenti sarai infelice, nella vita così come nel cam mino.

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Ripartirei subito. Per me è stata
un’esperienza quasi mistica, ero come in trance: è stata una parentesi solo positiva, nonostante la fatica. Non mi aspettavo che sarebbe mancato così tanto una volta finito il cammino.
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Free to Run

A documentary by The North Face

Quando si parla di questioni sociali di altri posti sento sempre un certo disagio, questo perché mi rendo conto di essere particolar mente ignorante in proposito. Trovo molto difficile dare un giudizio su argomenti come il valore della donna in Medio Oriente o il consumo di foresta in Sud America.

Ad esempio, quando si parla di Afghani stan mi vengono in mente poche immagi ni confuse, probabilmente sbagliate. Siamo in generale molto ignoranti su quel pezzo di mondo, non solo sul piano politico. Non sappiamo bene nemmeno come sia fatto l’Afghanistan, che forma abbiano le case, come sia il paesaggio, quanto lontano sia una città dall’altra. Insomma, è molto diffi cile che chiudendo gli occhi qualcuno di noi sia in grado di immaginarsi passeggiare per le strade di Kabul: come sono le strade a Ka bul? Chi lo sa, figurarsi avere un’idea chiara di come vivono le persone che ci abitano. Non sappiamo nulla, o se non nulla molto poco. E quel poco che sappiamo è l’idea con fusa di un pezzo di mondo astratto e lonta

no, frutto della sedimentazione di racconti a metà, depositati nella nostra coscienza collettiva.

Questo è il primo pensiero che mi è venuto quando ho visto Free To Run. Free To Run è un documentario prodotto da The Nor th Face; lo trovate su YouTube, dura una mezz’oretta. Il film si sviluppa su due bina ri, il primo è l’obiettivo dell’atleta americana Stephanie Case di correre e finire il Tor Des Glacier (TOR450), il secondo è raccontare l’attività di Free To Run, un’associazione fondata da Stephanie che si muove per con sentire alle donne di impegnarsi in modo sicuro e audace in attività outdoor nelle regioni colpite dalla guerra, attraverso una combinazione di programmi sportivi, svi luppo delle competenze di vita e sensibiliz zazione della comunità – questo è quello che si legge sul sito dell’associazione – in altre parole, aiutare le donne a recuperare lo spa zio pubblico e a cambiare punto di vista sui ruoli che possono (e dovrebbero) svolgere in una società (chiudete le virgolette).

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A essere maliziosi viene in mente una do manda: siamo davvero sicuri che in un paese con problemi sociali ed economici come l’Af ghanistan quello che possiamo fare per loro è farli andare a correre? O non è il frutto dell’i pocrisia occidentale, che per qualche ragione si sente in dovere di espirare i propri peccati, senza capire che un diritto che noi diamo per scontato per loro è solo la conseguenza di un sistema di sociale, di pensiero, religioso, mettete la parola che volete, che a quei livelli non può essere combattuto attraverso azioni simboliche?

In realtà la cosa è più frammentata di così. Per non raccontare la storia dell’Afghanistan degli ultimi cinquant’anni, e soprattutto per evitare di raccontarla con mille errori, vi basti ricordarvi che fino a un anno e mezzo fa, cioè prima che i talebani riprendessero il control lo del paese, la qualità di vita in Afghanistan era tale da permettere a un’associazione oc cidentale di lavorare in una prospettiva che noi definiremmo progressista, anche attra verso lo sport. Tutto questo è finito nel 2021: ricordate le immagini delle persone che as salivano gli aerei in decollo da Kabul? È quel momento lì. L’associazione di Stephanie fu costretta a lasciare il paese, ma riuscì a far espatriare alcune ragazze. Insomma, in un momento in cui aiutare le donne afghane a trovare indipendenza attraverso lo sport non era più evidentemente in cima alla lista di priorità (i bombardamenti preoccupavano di

più), l’associazione di Stephanie non ha preso armi e bagagli e se ne è andata, ma ha provato fino all’ultimo a fare quanto era in grado, con la speranza di non dire addio a quel paese, ma semmai un arrivederci, per quanto tragi co.

Così tutto prende un altro senso, non è vero?

Due delle ragazze che sono riuscite a lasciare il paese, Zeinab e Zahra, oggi studiano e si muovono con l’associazione per preservare i diritti di persone come loro; ma non con quell’idiota perbenismo tipico di noi occiden tali che facciamo le corse benefiche e diamo soldi in beneficenza, ma con la consapevolez za di una persona che quella condizione l’ha vissuta. Come dice Zeinab nel film: “sì, sono grata per l’opportunità che ho avuto, e vado a correre, ma non riesco a non pensare a tutte le persone che sono ancora là”. In altre paro le, non pensiamo di fare qualcosa di così sov versivo, di così utile a qualcun altro, corria mo per noi, e facciamo qualcosa per liberare l’Afghanistan, le due cose non sono correlate. L’associazione di Stephanie ha fatto entram be le cose: ha provato a usare lo sport quando sembrava uno strumento efficace, e ha fatto di più quando quello non era più sufficiente. Non penso che la corsa abbia significati so ciali, correre non dà la libertà, ma se possia mo allacciarci le scarpe e uscire significa che siamo liberi; quindi lavoriamo per un mondo in cui tutti siano liberi di andare a correre.

Non penso che la corsa abbia significati sociali, correre non dà la libertà, ma se possiamo allacciarci le scarpe e uscire significa che siamo liberi; quindi lavoriamo per un mondo in cui tutti siano liberi di andare a correre.

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Correre senza destinazione

Ogni anno, durante l’estate, migliaia di finlandesi con le loro famiglie si incamminano nei boschi limitrofi alle loro case ed iniziano a cercare. C’è chi si chiede cosa ci sia di così importante da movimentare un’intera famiglia verso delle radure boschive, ma in effetti qualcosa di sorprendente c’è: centinaia di metri quadrati di piante da mirtillo. I finlandesi ne raccolgono grandissime quantità e li congelano in attesa dell’inverno. Ed è un po' così che inizia il nostro viaggio: nelle infinite distese di verde e laghi della Finlandia a mangiare mirtilli durante una corsa.

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La regione dei laghi

Ci troviamo nella regione Kymen laakso, in una delle zone più meri dionali e verdi della grande Suomi, circondati da parchi nazionali e apparentemente infinite distese di acqua. Ogni pochi km, mentre la macchina scorre attraverso campi coltivati, ci ritroviamo ad ammirare laghi, piccole paludi e fiumi, tutti disposti con un ordine e pulizia che nel mio spirito italiano sembra qua si utopico. Destinazione? Il Repove

si National Park, un luogo che forse racchiude alla perfezione lo spirito selvaggio e la sensazione: “Ma wow, che posto è questo?” Conosciuta anche come “la regione dei laghi” racchiude in sé fitte foreste che at traverso un paesaggio collinare si alternano a profondi laghi e corsi d’acqua tutti collegati tra loro. Con i suoi terreni variegati e tecnici risul ta così il luogo perfetto per allenarsi e scoprire qualcosa di nuovo.

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Le nuove Ikoni Trail

In occasione dell’iconico ed annuale Running Camp Experien ce, siamo con Karhu Running che ci presenta le nuove ed ine dite Ikoni Trail e noi, in attesa di un’avventura, all’alba siamo già lungo i sentieri per testarle. Volume allargato per offrire maggiore comodità al piede e profilo rialzato per garantire della protezione in più, è la novità trail di un’azienda che ha fatto la storia nel mondo running. Con l’aggiunta dell’Ascen ding Fulcrum, l’AeroFoam Trail per ammortizzare l’impatto della corsa ed infine una nuova suola ridisegnata, non avremo alcun problema su ogni terreno. Le Ikoni Trail ci accompagne ranno dalle coste rocciose alle foreste ricoperte di legno, fino alla tundra artica.

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Correre senza destinazione

Non ci rimane che continuare a scoprire qualcosa di più di queste terre. Al nostro fianco due runner finlandesi: Ossi Peltoniemi e Hanna-Maija Rantakylä che ci raccon tano piccoli aneddoti e curiosità di questi luoghi inconta minati. Passo dopo passo, dopo un ulteriore scorpacciata di mirtilli, arriva anche il momento di fermarsi e perché no, di un bagno. Per quanto il parco nazionale sia sel vaggio e distante dalla città, moltissime famiglie finlan desi camminano ed esplorano i sentieri, sembra che la meta preferita per ognuno di loro sia proprio la natura incontaminata. Nonostante sia estate e ci troviamo in un paesaggio collinare, le temperature ricordano quelle dei laghi alpini e affianco a noi piccole imbarcazioni naviga no sull’acqua piatta.

The Running Camp

È tempo di accendere un falò e gustarci un buon panino di dark rye bread e salmone. Non c’è nulla di più speciale di una giornata di allenamento nelle foreste e delle belle chiacchiere con dei nuovi amici. Il bello di queste Running Experience è proprio questo: scoprire nuovi luoghi e condividere al meglio delle corse con persone che, come noi, amano questo sport in tutte le sue forme. Non ci rimane che guardare il sole scendere sull’orizzonte senza mai tramon tare. La golden hour in queste colline non finisce mai e a noi non rimane che continuare a correre instancabilmente. Correre per il semplice gusto di farlo, senza una destinazione precisa.

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4T2

Gone running

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Il Dipartimento delle Finanze riporta che in Italia nel secondo trimestre del 2022 sono state aperte 125.392 partite IVA, il 15% in più dello stesso periodo nel 2021.

Chi è questa gente?

Molte sono persone che senza sapere a cosa vanno incontro lasciano un lavoro sicuro e confortevole per lanciarsi in un progetto nuovo, creando nuove opportunità in un vecchio paese quando va bene, altre volte purtroppo non creano niente, e spesso la colpa è del vecchio paese.

Per semplificare, questo è quello che ha fatto Jurian Elstgeest, con la differenza che lo ha fatto in un paese più avanzato del nostro, in cui l’idea di aprire un’azienda di scarpe da corsa suona comunque ardita, ma non del tutto folle come sembra a noi. Dopo aver la vorato per venticinque anni in grandi azien de sportive, stanco della retorica un po’ trita della performance e del marketing di settore, Jurian ha sentito l’esigenza di avviare un pro getto che rappresentasse di più la sua idea di corsa e di sport, che, per farla breve, si riassu me in: meno retorica sulla performance, più sensazioni.

Così è nata 4T2 (leggetelo forty-two), da lì ha iniziato a sviluppare dapprima un’azienda e poi una scarpa che rispecchiassero questa idea, riducendo lo storytelling incentrato sul prodotto e sui materiali verso un approccio più semplice, intuitivo ed essenziale. Così è nata weekdays., una scarpa con un design pulito e con materiali di qualità utilizzati e assemblati in modo lineare: 6 millimetri di drop, una dop pia intersuola a diverse densità e una tomaia semplice, in cui gli elementi di supporto sono ridotti all’essenziale. L’idea all’origine del pro getto era di sviluppare un prodotto non trop

po strutturato, senza tecnologie che forzassero il gesto della corsa o difetti posturali come supporti, piastre e contrafforti interni. Insom ma, una scarpa da corsa senza fronzoli: allac ciatura tradizionale, tomaia, suola, doppia in tersuola, e basta. Secondo Jurian, queste erano le caratteristiche necessarie per avvicinarsi di più alla sua idea, ossia quella di una scarpa che non cercasse esclusivamente la performance pura, che fosse uno strumento semplice e in tuitivo per un’azione naturale come la corsa ma che siamo costretti a comprimere in mez zo a mille altre cose che facciamo ogni giorno.

Chiacchierando di varie cose, chiedo a Ju rian che posizionamento vorrebbe avesse 4T2 nel panorama corsa dei prossimi anni. È un mondo che sta cambiando in fretta, e in cui stanno nascendo molte nuove aziende, che per qualche ragione poco chiara, riescono a diventare blasonate ancora prima di produr re effettivamente qualcosa di interessante. Gli chiedo insomma se non abbia paura (o perché no, se invece non desideri) che i suoi prodotti possano diventare status symbol di una nicchia della nicchia, principalmente ne gli ambienti delle grandi città, in cui la corsa sta prendendo delle strade molto fashion.

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“Il problema di questi brand” mi dice, “è che si posizionano come esclusivi. Hanno prezzi piutto sto inaccessibili, il che non c’entra molto con uno sport come la corsa. Per questo abbiamo deciso di posizionare le nostre scarpe in una fascia di prez zo abbastanza standard per il mercato di oggi (160 euro, ndr), anziché metterle a 300 euro come al cuni marchi di nicchia che stanno nascendo ora.”

In effetti è una buona risposta: 4T2 non è l’uni co brand di scarpe ad essere nato negli ultimi anni, ma senza dubbio, a differenza di altri, è nato per fare scarpe da corsa, e non per i servi zi patinati a Potsdamer Platz, usando modelli con il mullet e che non hanno mai corso un chilometro in vita loro (niente contro il mullet, ma era per capirci). Insomma, se maldigerite la deriva fashion di questo sport, non temete, non sembra essere l’orizzonte di 4T2. Jurian vorreb be che il design fosse qualcosa in cui il cliente riconosca il suo modo di vedere la corsa, e non qualcosa di strumentalizzato per obiettivi che non riguardano lo sport in sé.

Trovo interessante la scelta di non usare tec nologie particolari, e ancora di più di non sviluppare una comunicazione attorno a questo, in un mondo in cui sembra che per fare una buona scarpa da corsa sia necessario avere tecnologie con nomi registrati, scritti rigorosamente in maiuscolo. Insomma, an che basta. I ragazzi di 4T2 hanno dato due nomi alle mescole usate per l’intersuola: joie. e flow., tanto, dai, sul serio vi fa differenza sapere di cosa sono fatti?

A parte questo, la scelta dei materiali viene fatta tutt’altro che a caso, e prestando atten zione all’origine dei prodotti. Sull’aspetto della sostenibilità Jurian ha un’opinione inte ressante, parafrasando un po’, mi dice: “vedi, sarebbe facile per noi dire che le nostre scarpe sono sostenibili, come fanno tutti, perché le mescole che usiamo hanno origine biologica. Ma la verità è che una scarpa da corsa non è mai sostenibile, è

comunque fatta di composti chimici, anche se di origine vegetale. Per questa ragione non diciamo che le nostre scarpe sono sostenibili, ma cerchia mo di rendere sostenibile il processo, creando un prodotto in modo intelligente e modulare. Signifi ca che gli stampi da cui vengono ricavati i diver si componenti che costituiscono la scarpa, sono forme standard da cui possono potenzialmente creare modelli diversi a seconda di come vengono accoppiati. Questo, ad esempio, vale per la doppia mescola dell’intersuola, in cui gli strati di schiu ma a diversa densità e drop diversi possono essere modulati e accoppiati in modo diverso, creando prodotti diversi.”

Il che, parlo io, significa creare una scarpa a partire da pezzi semplici e separati che per mettono di essere divisi facilmente. Ad esem pio, il lato dell’intersuola su cui viene applicata la suola è completamente liscio, per permettere a un calzolaio di risuolare facilmente la scarpa, dandole una seconda vita, come scrivono loro stessi sul sito, per “tagliare l’erba o per portare a spasso il cane ;-)” (la faccina è loro, ndr). È un progetto interessante, di cui siamo curio si di vedere gli sviluppi. All’orizzonte ci sono novità interessanti, ma ci hanno vietato dire qualunque cosa ;-) (faccina mia).

Sarebbe facile per noi dire che le nostre scarpe sono sostenibili, come fanno tutti, perché le mescole che usiamo hanno origine biologica. Ma la verità è che una scarpa da corsa non è mai sostenibile, è comunque fatta di composti chimici, anche se di origine vegetale.

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Western States is always Western States Luzia Buehler

BY FILIPPO CAON

Non si sa bene per quale ragione, il sabato della LUT ci si ritrova tutti a Col Gallina. Si va per guardare gli altri soffrire, per dare l’estrema unzione a chi si è ritirato, per lamentarsi dei propri acciacchi, o per bere una birra, forti del fatto che a soffrire, dall’altro lato del sentiero, c’è qualcun altro. A Col Gallina ci siamo sempre tutti, fisicamente, ma la testa è altrove.

Dopo una mattinata a prendere il sole sul prato della malga, più o meno in orario caffè, dall’altra parte del mondo, sulle montagne della Sierra Nevada, inizia un’altra gara, proprio quando la nostra sta per finire. È Western States 100-Mile

Endurance Run, la prima 100 miglia della storia, una corsa leggendaria vinta dai più grandi ultramaratoneti di tutti i tempi, e che noi poveracci sogniamo ogni anno, ogni volta che ci allacciamo un paio di scarpe da corsa.

Come mai quella gara abbia quella presa non l’ho ancora capito. Forse è soggezione, forse è che tutto ciò che non ha un ancoraggio solido pri ma o poi scivola verso la California, come diceva Frank Lloyd Wright. Non lo so. Fatto sta che ogni strama ledetto giugno, a Col Gallina, sotto ai 3224 metri della parete sud-est della Tofana di Rozes, non sognia mo di essere lì sopra, ma nei canyon polverosi della Sierra Nevada, a su dare l’ultima goccia di anima, con una borraccia a mano e una banda na bagnata stretta attorno al collo.

A rendere la gara ancora più entu siasmante, quest’anno c’è anche uno sparuto gruppo di nostri amici ita liani, e poi c’è un’altra persona che conosco, Luzia. Avevo visto per la prima volta Luzia nel 2019, a Tren to, tre settimane prima della sua seconda Western States, ma non ci eravamo presentati. Poi l’ho ri vista qualche mese fa in Liguria, a SciaccheTrail, dove abbiamo corso insieme i primi chilometri, almeno fino a quando non hanno fermato la gara per una tormenta di neve. Alla fine, abbiamo registrato questa intervista sei giorni dopo Western, che ha chiuso quarta in 18:08:32 .

Sai che non so cosa fai di lavoro?

Faccio l’assistente sociale e lavoro con le persone che hanno bisogno di aiuto.

Mi pare un lavoro difficile da con ciliare con l’allenamento. Senti, se non sbaglio era la tua terza volta a Auburn. 2016, 2019 e 2022. Sei en trata con la lottery o con un ticket?

La prima volta con un ticket, ne ave vo solo uno e sono stata fortunata.

Fu davvero dura, ci misi 27 ore e 6 minuti. Una lunga cavalcata. Nel 2019 invece ho vinto Georgia Dea th Race, e presi il Golden Ticket per quello stesso anno, andai e la corsi in 20 ore e 23.

Hai fatto un sacco di gare negli Stati Uniti: JFK, Sean O’Brian, Black Canyon, Georgia Death Race, Wasatch 100 che hai vinto, tre Western States. Cosa trovi là che qua non trovi? Non è un gran ché prendere molti aerei, per cui negli ultimi anni ho gareggiato di più in Europa, ma mi piacciono le persone che trovi là. È tutto più facile, qui in Europa sono tutti focalizzati su quel lo che fanno, e si presentano ore pri ma della partenza. A Western ci sono sì e no 350 persone che si presentano là 5 minuti prima di partire. Ci si fa

gli auguri e si parla di cose divertenti, e poi si parte. È così semplice. È dav vero una comunità diversa rispetto a quella europea.

È cambiata l’atmosfera di WS da quando sei stata la prima volta?

Sai, secondo me non è cambiata più di tanto. Ci sono sempre 369 persone, e la gara grosso modo è come sei anni fa. Sì, ci sono tanti filmmaker, mol ti fotografi, ma a parte questo non è cambiato un granché, Western è ri masta Western.

E invece il tuo modo di approcciare la gara, da un punto di vista emoti vo, è cambiato in base a come sono cambiati i tuoi obiettivi (alla fine hai tolto quasi 10 ore rispetto alla prima volta) oppure no? Sì, direi di sì. Nel 2016 ho capito che era una gara davvero bella, ha tanta salita, ma anche tanto terreno corribile, fa caldis simo e devi continuare a muoverti se vuoi arrivare in fondo. Quell’anno ho deciso che volevo tornarci, quindi ho provato a prendere un Golden Ticket. Nel 2019 sono tornata forse con trop pa pressione addosso, perché avevo il Golden Ticket e volevo arrivarci nel miglior modo possibile. E alla fine non ho avuto una gran giornata: ero arrivata undicesima, avevo tolto sette

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ore rispetto alla prima volta, era an data bene, ma sapevo che potevo fare di meglio. Ora ho il mio tempo, e pen so che per me vada bene.

Come prepari una gara come WS vivendo in Svizzera? Cerco di corre re tutto l’inverno, ma mi prendo an che il tempo per sciare. Quindi faccio i miei lavori sugli sci, facendo 3000 metri di dislivello, talvolta di più, talvolta di meno, e poi cerco di dare continuità alla corsa durante la setti mana facendo lavori specifici, sessio ni di tempo run, e easy run. Quest’an no avevo Istria, quindi ho cercato di lavorare sulla salita fino alla gara, e poi ho iniziato ad allenarmi di più nel Ticino, così da avere sentieri più cor ribili e adatti a Western, continuando comunque a fare lavori in salita, che mi aiutano di più rispetto a quelli di velocità. Ho fatto delle sessioni in sauna dopo gli allenamenti, anche fino a quattordici saune a settimana. Come hai gestito la gara? Come al solito sei riuscita a riprendere posizioni nella seconda parte, mi pare che tu abbia corso in nona posizione per la maggior parte del percorso. Le prime 50 miglia sono le più tecniche. Ci sono molte pietre e dovevo continuare ad aggiustare il ritmo. Durante la settimana prece dente alla gara mi sono sentita abba stanza stanca, non so se a causa del volo. Per cui ho camminato tanto e corso poco, tanto che mi sono detta “oggi sarà dura”. Quando sono arri vata a Robinson Flat, e ho trovato la mia crew, mi sono sentita meglio, ho bevuto qualcosa di fresco, ho mangia to e sono ripartita. Da Robinson Flat fino a dopo Forest Hill mi sono sen tita bene e sono riuscita ad andare a un ritmo più forte. Credo sia stata la parte in cui ho fatto meglio. Ho conti nuano a riprendere posizioni. La par te più calda è stata quella fra Forest Hill e Rucky Chucky, l’aria bruciava. A Robie Point, che è l’ultimo miglio, ho superato Emily, che aveva corso la prima parte di gara davanti insie me a Ruth Croft. Da Rucky Chucky a

Pointed Rocks continuavano a dirmi che avevo due ragazze davanti a circa 5’. Una era Marianne Hogan, che mi aveva superato a Rucky Chucky, ma non sapevo che l’altra fosse Emily. Dopo No Hands Bridge, sull’ultima salita fino a Robie Point, ho visto una frontale e ho visto che era Emily. L’ho raggiunta, le ho detto di continuare a spingere, ma era davvero stanca, così sono andata avanti e nell’ultimo mi glio l’ho superata.

Tieni di più al quinto posto a UTMB dell’anno scorso o al quarto a Western? Sono gare molto diverse, terreni diversi, ambienti diversi. Non credo che sia il piazzamento a farmi la differenza, ma il tempo. Quello che ho fatto a Western per me è un gran tempo, per quanto riguarda UTMB invece credo di poter fare ancora di meglio. Più o meno lo stesso feeling che ho avuto dopo la Western del 2019. Sapevo che avrei potuto fare Western in due ore in meno, e ora l’ho fatta e ne sono orgogliosa. Con UTMB anco ra mi manca. Puoi fare una gran bella gara ma semplicemente quel giorno avere davanti gente più veloce di te, e chi se ne importa? Non è il piazza mento che conta, ma il tempo che po tresti fare. Quando sai che quello è il meglio che puoi fare, va bene così. Mi interessa l’aspetto emozionale delle gare, soprattutto su atleti di alto livello come te, che si approc ciano alle gare con più ambizioni rispetto a quanto faccio io. Al di là del risultato tutti sogniamo di correre WS un giorno, così come UTMB. Ma tu di quale hai un ricor do più intimo? O magari ti senti più affezionata a Wasatch, che ne so, anche se è una gara meno im portante, perché no. Sì, penso di capire cosa intendi. Da questo punto di vista, Western è una gara molto più emozionale di altre. Forse Geor gia Death Race è stata ugualmente emozionante. Non tanto per il Gol den Ticket, ma perché l’avevo vissuta davvero bene, con amici e così via. Ti porti via tanti ricordi di ogni gara, e

i ricordi di WS sono più vivi, anche quelli del 2016, molto più di UTMB.

A Chamonix per assurdo passi tanto tempo da sola, per me WS è un posto davvero bello per correre, sono tutti amichevoli, i volontari sono disponi bili, è proprio un livello diverso.

Hai mai pianto alla fine di una gara? 2016. Because it was so hard.

Senti questa me la devi spiegare: what the fuck is a Schissihüsli?

Ahah. Non lo so, la gente continua a mettere foto di montagne bellissime quando è in vacanza, posti perfetti, paesaggi bellissimi, così ho detto, dai, basta. Così ho iniziato a fare le foto degli Schissihüsli quando li vedo.

Sì, no, ho capito, ma sono davvero dei bagni di legno in montagna? Sì, certo che sono veri! Servono ai pasto ri. Non ci sono in Italia?

Ahah, no, mai visti. Comunque ti avevo promesso questa intervista a Sciacche ma direi che ora c’era davvero una buona ragione per farla, grazie Luzia. Grazie a te.

Negli ultimi anni ho gareggiato di più in Europa, ma mi piacciono le persone che trovi là. È tutto più facile, qui in Europa sono tutti focalizzati su quello che fanno, e si presentano ore prima della partenza. A Western ci sono sì e no 350 persone che si presentano là 5 minuti prima di partire. Ci si fa gli auguri e si parla di cose divertenti, e poi si parte. È così semplice. È davvero una comunità diversa rispetto a quella europea.

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Dalla roccia alle onde e ritorno

Un fotografo e un climber compongono un racconto visivo che traccia una linea che unisce surf e arrampicata in una serie di scatti che sono diventati una mostra.

Se nasci e cresci in Versilia le Apuane non possono che essere una costante della tua vita: dominano il paesaggio praticamente da qualunque punto, le vedi guidando, passeggiando, surfando.

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È così che si sono conosciuti Filippo Maffei e Luca Andreozzi, fotografo uno e climber per SCARPA e Ferrino l’altro, uniti dall’essere cre sciuti entrambi sotto l’ombra di queste fanta stiche montagne e dalla passione per il surf e per l’arrampicata. Ci incontriamo nello studio di Filippo a Camaiore, paesino incastrato tra il mare e la montagna dal quale si raggiungono in pochi minuti a piedi alcune delle pareti più amate dai climber della zona. Lo studio è pieno di cose, ci sono i libri di Richard Avedon e Hen ri Cartier-Bresson, ma si capisce subito che il playground di Filippo è il mare: oltre ai volumi di Chris Burkard e Todd Glaser spuntano anche mille riviste dedicate al mondo del surf e del lo skate. Filippo dopotutto le ossa, anche come fotografo, se l’è fatte in acqua, seguendo atleti e scattando campagne. Sull’enorme tavolo da lavoro ci sono le dieci stampe del progetto che Filippo e Luca hanno realizzato insieme, Lines in the Mind, scatti di grande impatto visivo che tracciano una linea tra due mondi per certi versi molto affini, quello del surf e quello dell’arram picata, che sono state esposte alla Manifattura Tabacchi a Firenze. Una linea li unisce, e in entrambi la linea è un elemento fondamentale del gesto atletico, che si tratti di una via o di un’onda. Luca, che surfa e che ha iniziato ad ar rampicare da piccolissimo, questa connessione l’ha esplicitata grazie a Filippo. La prima vol ta in parete per lui è stata a cinque anni, con delle vecchie scarpette del padre che, preso per sfinimento, lo ha portato a scalare, tante erano le sue richieste. Non appena Luca ha toccato la roccia la prima volta ha capito subito che l’ar rampicata avrebbe guidato tutta la sua vita, solo che all’epoca non c’erano palestre, o scuole, così diffuse come adesso e probabilmente il suo ap proccio al climbing dipende proprio da quello. Non c’erano altri bambini che scalavano: come e quando praticare Luca doveva inventarselo. Un percorso lungo che lo ha portato prima a Torino, dove ha imparato a disegnare le linee indoor, e poi a Firenze, dove ha aperto Area 51, la sua palestra di climbing.

Siamo intorno al tavolo, il loro progetto è lì e si percepisce quanta passione entrambi provino per questi mondi, che insieme hanno unito.

Filippo: Ho trascorso praticamente tutta la vita in mare, ma le Apuane erano sempre lì, a guar darmi e ad esercitare questo enorme fascino su di me. Frequentavo molto le cave per questio ni di shooting, ma non avevo mai provato ad arrampicare fino a poco tempo fa, e più questa passione cresceva in me, e più sentivo e coglievo delle affinità con il surf. Ho iniziato a frequen tare assiduamente la zona di Candalla e così ho conosciuto Luca, che mi ha coinvolto facendo crescere in me l’esigenza di provare a scattare in parete, che per me è una cosa essenziale: che si tratti di acqua o roccia io voglio avere la stes sa prospettiva dell’atleta, condividere lo stesso sforzo fisico e lo stesso elemento. Il mio obietti vo nel seguire Luca in parete era di avvicinarmi il più possibile a quello che lui stesso vede. Il fe eling tra di noi è stato immediato: i primi scatti li abbiamo fatti a Calafuria, vicino Livorno, un pomeriggio intero in cui lui scalava e io scattavo nel silenzio più totale, con solo le onde del mare di sottofondo.

Luca: Nel momento in cui abbiamo iniziato a scattare sono uscite subito le foto che poi sa rebbero andate alla mostra, io mi ero appena messo le scarpette e mi stavo solo scaldando, mentre Filippo aveva iniziato a fare degli scatti di prova. La sintonia è stata subito totale, come se ci conoscessimo da una vita.

Filippo: Quello che di Luca mi è piaciuto fin da subito è il suo approccio alla scalata. È sì tec nico, perché lui è fortissimo, ma ha anche una sua vena artistica. Il suo è un modo di vivere la montagna tutto suo, con Ray-Ban, jeans e ca pelli sparati.

Luca: Io scalo da una vita ma, soprattutto ne gli ultimi anni, ho cercato di fare cose che mi rispecchiassero veramente, di dare la mia vi sione dell’arrampicata. Per me è sì uno sport, ma anche un modo di essere e di esercitare la mia creatività. Mi sono vestito in maniera ati

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pica rispetto all’arrampicatore classico proprio per questo, perché mi è sempre piaciuto dare il mio tocco: oggi, per i miei gusti, l’accento vie ne posto troppo sulla performance e si stanno perdendo tutte delle sfaccetture che per me nell’arrampicata sono essenziali. In palestra vedo gente scalare tutti i giorni, ed è chiaro come l’approccio di libertà di questo sport si stia andando a perdere: è tutto numeri, gradi, codificazioni. Rompere un po’ gli schemi è stato bellissimo, Filippo ha concretizzato su pellicola la mia visione dell’arrampicata.

Filippo: Veniamo tutti e due dal mondo del surf e dello skate, che è uno stile di vita a tut to tondo, questi non sono “solo sport”, ma rac chiudono in sé dei mondi. Anche il solo fatto di girare per cercare lo spot giusto per potersi esprimere al meglio è qualcosa che appartiene molto alla cultura surfistica, o street dello skate, in cui devi scegliere dove praticare e poi trovare il modo di piazzare le luci funzionali allo scatto: è qualcosa che si discosta molto dal discorso di performance dura e pura. Grazie a Luca ho sco perto dove poter arrampicare nei luoghi di casa, sia sulle Apuane che sul Romito, una location particolarmente inedita anche per i local. Tutto è partito dalla mia richiesta di trovare uno spot da cui si vedesse il mare.

Luca: Ecco, la creatività nell’arrampicata per me sta proprio in questo, nel dove andare a cercare la scalata: questo è indice di un processo di ri cerca che è molto, molto creativo. Solitamente si tende ad andare sempre negli stessi posti, dove è tutto già stato scoperto, già catalogato, già fat to e si va semplicemente a fare sport, quindi a ripetere un gesto. Per me però l’arrampicata non è questo, ma un processo di ricerca e avventura: vedere una linea dove nessuno l’ha mai vista, o andarla a cercare dove nessuno ha mai neanche voluto cercare, come nel caso di Calafuria, che è un luogo totalmente fuori dalle mappe della scalata. È un posto che ha delle forme natura li e delle linee pazzesche, dove vado da anni a cercare nuovi giochini, perciò quando Filippo mi ha parlato del progetto non ho avuto dubbi.

Ma anche nella stessa Camaiore, che non è certo inedita nel panorama dell’arrampicata sportiva, noi siamo andati alla ricerca di linee che fossero prevalentemente estetiche, fregandocene delle informazioni tecniche o dei gradi. Anzi, ho fat to scegliere a Filippo le linee che catturavano di più il suo occhio di fotografo.

Filippo: Tra l’arrampicata e il surf ci sono mol tissime connessioni, a partire dagli aspetti più mentali fino a quelli prettamente fisici, dalla concentrazione, che entrambe le discipline ri chiedono, fino al fatto di essere totalmente im mersi in un elemento che è più grande di te, che sia il mare o la montagna, che ti impone di ave re un rispetto profondo. Sei solo con te stesso e a contrasto con questo elemento con il quale devi trovare un equilibrio, devi trovare un modo per affrontarlo, una via, una linea. Una linea la devi trovare sia che tu cavalchi un’onda e sia che tu debba arrivare in cima a una parete e ce la devi avere in testa prima di partire, la devi prima vi sualizzare e poi mettere in pratica.

Luca: Se c’è un connubio tra il surf e l’arrampi cata questo viene fuori in maniera evidente nel lavoro di Filippo, entrambi surfiamo, entram bi veniamo dalla Versilia e abbiamo trovato il nostro modo di raccontare l’arrampicata, che per noi è molto vicino al mood e alla filosofia del surf. È un connubio molto affascinante: se ci pensi l’arrampicata, proprio come il surf, è un’attività che può essere vissuta in tantissimi modi diversi, ma sicuramente ti chiama a sta re fuori, nella natura. In un caso sei solo te, la tavola e l’onda, nell’altro solo te, la roccia e le scarpette. Se la vivi come l’abbiamo vissuta noi è proprio come trovarsi in mare e dover sceglie re che onda prendere: scegli la linea che ti piace, quella che ti cattura, e la scali, senza pensare alla difficoltà o alle caratteristiche tecniche che un arrampicatore normalmente guardereb be. In questo l’approccio delle due discipline è proprio simile e poi sono entrambi sport indi viduali, dove però condividi lo stesso elemento con altri: il fatto che siate lì, entrambi a fare la stessa cosa, vi rende in qualche modo complici.

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Dolomiti di Brenta Trail

Lo scorso settembre con il team di tester di The Pill abbiamo passato un po' di giorni a Molveno per i test della Outdoor Guide e il giorno successivo alcuni di noi hanno corso la gara.

Alessandro Locatelli di Buckled e Manuel Crapelli del Ciuk Running Team di Varese, due runner differenti ma con punti di vista molto simili.

Ale, ormai sei un habitué a Molveno. Questa era la terza volta. Ho corso la 64k nel 2016 (era la prima edizione), la 45k nel 2019, e di nuovo quest’anno. A parte le gare con cui ho un conto aperto, è raro che torni a correre la stessa gara, il che fa già capire quello che penso della Dolomiti di Brenta. Il percorso della 64k è bello, ma secon do me la vera dimensione della gara si vive con la 45k.

Manu, cosa ti ha portato alla Brenta? Ero in zona con la crew di The Pill e mi incuriosiva la gara, amici che l’ave vano fatta me l’hanno davvero consi gliata e così mi sono iscritto.

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Parlaci del percorso della 45k. Sono tre sezioni: dopo un primo trat to di circa 6k veloci su forestale si sale fino al Passo della Gaiarda. È la salita più lunga, ma è abbastanza regolare, e una volta in vetta 1500m di dislivello sono andati. Da qui a Bocca di Brenta si corre sempre sopra i 2000m, in uno scenario meraviglioso con saliscendi e passaggi su pietraie un po’ insidio se. Dalla Bocca ci si lancia in una lun ga discesa che inizia, prima abbastan za tecnica e dissestata su single track e poi sempre più corribile. In fine dal Croz dell’Altissimo inizia una fore stale da correre con qualche rilancio

muscolare, per poi fare gli ultimi 4k di discesa fino al lago di Molveno.

Ale, hai visto la gara in condizioni molto diverse, in quali la prefe risci? Il primo anno abbiamo avuto praticamente sempre sole. Il secondo è stato decisamente particolare, aveva nevicato la notte prima (la prima ne vicata di stagione) e la giornata è stata sempre abbastanza brutta. Quest’an no il meteo è stato abbastanza tutto: bellissimo fino al Graffer, nuvoloso al Tuckett, pioggia fino al Brentei, pioggia mista a neve in salita verso il Pedrotti e di nuovo sole in discesa

verso Molveno. Un ciclo completo. Per assurdo, a me che piace lamentarmi di qualsiasi cosa, questo tipo di con dizioni meteo è assolutamente parte della gara e quasi ci resterei male a farmi tutto il percorso col sole.

Hai avuto una stagione un po’ strana, eri iscritto a Swiss Alps, poi hai ripiegato su North Downs Way. Perché poi sei tornato alla Brenta? I miei piani annuali si sono sgretolati a maggio quando mi è uscita una pubalgia che in parte mi porto ancora dietro, e mi sono reso conto che era impossibile prepara

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re Swiss Alps. Essendo riuscito a fare una buona base nei primi mesi dell’anno, con Davide Grazielli, il mio allenatore, sono andato in cer ca di qualcosa che fosse allo stesso tempo una sfida ma che si adattasse alla mia condizione. Per la Brenta semplicemente ho usato lo stesso allenamento del 2019: non ho quasi più corso dopo la 100 miglia e sono andato avanti per inerzia. In realtà, per la prima volta non ero qui per gareggiare seriamente ma per farmi la gara tranquillo assieme a un’ami ca, quindi è filato tutto per il verso giusto.

Qual è il posizionamento della Brenta nel panorama gare? Il ca lendario purtroppo non sta dalla loro parte (parlo degli élite) perché DBT vive tra UTMB & sorelle e TOR, due gare molto diverse da questa ma che per molti atleti sono un appuntamen to fisso. Ho visto con piacere anche quest’anno tantissimi stranieri, e la cosa mi fa piacere perché reputo la gara una delle più belle in Italia, e perché mi piace che abbiano un as saggio di Dolomiti proprio qui. Negli anni quali cambiamenti hai visto nell’organizzazione? Credo sia una delle cose che si nota in assoluto

meno della gara, che per quanto mi ri guarda è il più grande complimento che potrei fargli. DBT è una macchina che richiede un sacco di lavoro, ma funzio na talmente bene (per l’atleta che corre) che sembra quasi scorra tutto senza difficoltà. È ben segnalata, ben comu nicata, i ristori sono sempre fantastici. Manu, il giorno prima della gara scherzavamo sul fatto che non po tessi seguire la classica strategia delle tigri di Varese, andare ALL IN. Di solito cerco di preparare le gare con metodo, ma negli ultimi due mesi ho corso poco e male e prima della partenza sapevo che avrei dovuto fare

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una gara molto conservativa, oltre ad avere la (stupida) paura di non farce la. Andare ALL IN implica il rischio di poter saltare, ma sempre partendo dalla consapevolezza di essere in un buono stato di forma. Questa volta non c’erano le condizioni e mi turba va un po’ non poter “far gara”, e non ero a mio agio a dover andare piano e stare lontano dalla bagarre.

Qual è la cosa più figa che hai vi sto in gara? Da Passo della Gaiarda in poi i panorami sono incredibili con vista aperta su tutta la valle. Poi la durissima e corta salita a Bocca di Brenta è di una bellezza rara e met

te un po’ in soggezione.

Momento più basso? Prima di Pas so della Gaiarda! Ero intossicato da brutti pensieri sul ritiro, scuse e inu tili paranoie. Poi una volta arrivato in vetta mi sono sdraiato sul prato e son riuscito a scacciare quei pen sieri, anche auto insultandomi. Sono ripartito di grinta con la voglia di scoprire queste montagne.

E qual è la cosa che ti ha urtato di più? Scoprire, dopo l’arrivo, che in gara ci fosse gente che in passato ha avuto problemi di doping, non è stato bello.

Ero intossicato da brutti pensieri sul ritiro, scuse e inutili paranoie. Poi una volta arrivato in vetta mi sono sdraiato sul prato e son riuscito a scacciare quei pensieri, anche auto insultandomi.

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A marriage with Tor

“È stato come te lo aspettavi?”

Se me lo dovessero chiedere ora, a meno di una settimana di distanza da quel traguardo voluto, cercato e tagliato con le lacrime agli oc chi, risponderei che “No, il Tor des Géants non è stato all’altezza delle mie aspettative.” Ora come ora, con le crisi di sonno che mi prendono nei momenti più disparati della giorna ta, i ricordi si intersecano come i fili di una ragnatela, lasciando spazio a luci e ombre. Ieri ho fatto un micro sonno di dieci minuti nel parcheggio del supermercato, ritenendo inop portuno mettermi alla guida con le palpebre che pesavano come piom bo. Una sensazione che ben ricordo questa, il sonno intendo, talmente intenso da bloccare il passo.

Ma partiamo dall’inizio, anzi da pri ma, cioè da quel giorno in cui dichia rai al mio ragazzo che io, il Tor, non l’avrei mai fatto. E con mai intendevo davvero mai, per nessuna ragione al mondo. Il Tor era il suo grande so gno, non il mio, e solo immaginare di mettermi a camminare per cinque o sei giorni non stop mi provocava un senso di vertigine. Come quando sei vicino al precipizio e l’occhio scappa giù di sotto. L’idea non mi metteva a mio agio, ecco tutto. Se per tutti il Tor era qualcosa di mitico, grandioso, il

viaggio dei viaggi, per me era “un trekking un po’ troppo lungo e con troppo poco tempo a disposizione”.

Il tempo, quella variabile che in po chi calcolano ma che può fare la differenza. Col tempo infatti quel “ragazzo” è diventato mio marito, e la ferma convinzione che il Tor non fosse “cosa buona e giusta” è anda ta scemando. Intendiamoci, non che improvvisamente avessi iniziato a coltivare nel mio intimo il desiderio di spararmi qualcosa come 350 chi lometri a piedi tra le montagne del la Valle d’Aosta, ma era cambiata la prospettiva. A fine 2021, dovendo ri nunciare al viaggio di nozze a causa della pandemia, avevo maturato la convinzione che sarebbe stato bel lissimo condividere un’esperienza capace di rimanere per sempre nella testa e nel cuore di entrambi. Qualco sa di speciale, che noi avremmo sapu to rendere unico attraverso il nostro vissuto. Che ci mettesse alla prova sia fisicamente che mentalmente. Che ci dimostrasse che in due si è più forti. L’ammirazione di lui per i Giganti e la tipologia di gara, mi ha portata a pensare al Tor des Géats come nostro viaggio di nozze. Una scelta un po’ alternativa e fuori dalle righe, se vo gliamo, che però è stata subito accolta con entusiasmo dall’organizzazione. E così, intorno a novembre 2021, è iniziato un percorso di allenamento che ha portato entrambi ad accumu lare chilometri e dislivello in vista del grande obiettivo.

1460 chilometri e 77000 metri D+, per la precisione. Questi i numeri di una preparazione durata poco più di un anno e che ci ha assorbiti al 100%. Perché per avere anche solo la speranza di portare a casa il Tor, non bastano qualche passeggiata in montagna e le sessioni settimanali su strada. Abbiamo dedicato alla corsa tutti i sabati e tutte le domeniche, sa crificando sia le altre nostre passioni sia, talvolta, la vita sociale. La sera eravamo talmente stanchi che appe

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“Pensavo che mai avrei corso il Tor des Géants. Alla fine questa gara estrema tra i Giganti della Valle d’Aosta è diventata il mio inusuale viaggio di nozze.”

na toccavamo il letto piombavamo dritti dritti tra le braccia di Morfeo. Un buon anticoncezionale naturale… E tutto questo per cosa? Per insegui re quel sogno, suo ma che ora era diventato anche mio. La nostra sto ria, così romantica e romanzesca, ha coinvolto emotivamente un sacco di persone che, attraverso i social, han no vissuto tutta la fase di preparazio ne atletica e, poi, anche il viaggio.

La magia dei social, che rendono tutto così vicino e a portata di mano. Che ci permettono di entrare nelle vite de gli altri, di viverle quasi. La mattina dell’11 settembre 2022, a un’ora dalla partenza e vestita di tutto punto, ho voluto condividere le mie emozioni in una storia. Non ho nascosto le lacrime per essere arrivata, finalmente e dopo tante fatiche, al momento della verità. Qualcuno mi ha detto che le emozio ni bisogna viverle piuttosto che con dividerle… Beh, ritengo che la condi visione non tolga nulla al vissuto.

Non sapevo come avrei affrontato un’esperienza del genere, quando le gambe o la testa mi avrebbero mol lato, non immaginavo come avrei re agito. Avevamo anche dato un nome al nostro progetto: Tor in Tandem. Sebbene non abbia un amore spiccato per la bicicletta né feeling con le due ruote, questa immagine figurata mi

pareva calzante. I patti erano chiari: innanzitutto affrontare il viaggio in sieme. E tagliare il traguardo insie me. La rinuncia di uno avrebbe com portato il ritiro volontario dell’altro, senza se e senza ma. Perché è giusto così, perché ce lo siamo promessi quel giorno, su quell’altare. “Nella buona e nella cattiva sorte”, metten do da parte l’egoismo e le ambizioni personali e rinunciando a qualcosa di grande. E rinunciare, chi frequen ta la montagna ne è cosciente, richie de coraggio. Sapevo benissimo che già per una sola persona arrivare al traguardo comporta un mix di alle namento, testa, cuore (tanto!) e for tuna, perché la cosa si replicasse per due persone era necessario un mezzo miracolo.

Ma se non credi nei miracoli, allora puoi anche evitare gare con il Tor, perché in quei tre, quattro, cinque o sei giorni, il corpo umano fa vera mente qualcosa di straordinario. Fa tica, si evolve, si trasforma, impara a ignorare il dolore e a fare tesoro di quell’oretta di sonno ogni 24 ore, af fina le funzioni fisiologiche, impara a digerire qualsiasi alimento e lo fa alla velocità della luce. Trasforma il tutto in energia, che dà piano piano e in maniera razionata, naturalmen te portato all’autoconservazione. E

se nelle prime due giornate di gara, complice anche il buon allenamento, il tutto “sembra” una passeggiata, poco prima della base vita di Cogne (giorno 2 e un centinaio di chilome tri dal via) arriva il Col Loson, che improvvisamente e con violenza ti riporta coi piedi per terra. Ti mette di fronte a tutta la fragilità e la de bolezza che caratterizzano noi esse re umani, una manciata di pelle e di ossa che, terminate le riserve energe tiche, non riesce più a spingersi oltre. Il Loson, il primo grande ostacolo che ti porta a pensare che in fondo e in certe situazioni, le droghe leggere potrebbero anche essere legalizzate. Una descrizione del genere porta alla mente immagini di vette ap puntite e sentieri ripidissimi. Invece no, il Loson è piatto, di un piattume sconcertante, a tratti snervante: 5 ore di salita infinita zig-zagando tra un versante e l’altro della stessa mon tagna. All’epoca del Loson avevamo già esaurito la fantasia e la voglia di giocare a “nomi di cose-animali-cit tà” che ci ha tenuti impegnati nella prima giornata. Peccato.

Dalla seconda notte si cominciano e intravedere i primi “cadaverini”, termine con cui abbiamo definito le persone che a lato del sentiero e con tanto di frontale accesa (e per fortu

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Non sapevo come avrei affrontato un’esperienza del genere, quando le gambe o la testa mi avrebbero mollato, non immaginavo come avrei reagito.
ROCCO DUCCIN & TATIANA BERTERA AUTORE DEL NOSTRO PEZZO E FINISHER DEL TOR

na, hai presente a trovartele sotto ai piedi?), si concedevano un microson no. Confesso, in una occasione anche noi abbiamo tentato di “fare i cadave rini”, salvo poi essere sorpresi dalla pioggia. Sempre dalla stessa nottata, o alla peggio dal terzo giorno, si ini ziano ad elencare vicendevolmente i vari dolori e sarebbe più veloce dire cosa non fa male rispetto a ciò che, invece, rende il cammino più diffi coltoso. Ma in fondo, che non fosse una passeggiata di salute, noi lo sa pevamo già.

Scopri di avere muscoli di cui nean che sapevi l’esistenza e che i dolori si suddividono in due grosse macro categorie: tollerabili e intollerabili. Fino a che la lista dei primi supera numericamente i secondi, tutto bene, in caso contrario intervengono i “MassaggiaTor”. Io preferisco defi nirli gli “Angeli del Tor” e sono tutti quei volontari che nella settimana della manifestazione fanno massag gi defaticanti, applicano cerotti e fa sciature funzionali, curano vesciche grandi come case e ti dicono che “a rimetterti in piedi ci pensano loro e che potrai continuare il tuo viaggio”. “Ti aspettiamo nella prossima base vita eh! Tu pensa solo a non mollare, che al resto ci pensiamo noi quando arrivi.” Grazie MassaggiaTor!

Donnas rappresenta la metà del viag gio e, si dice che, se arrivi a Gressoney e riparti, allora puoi considerarti ar rivato. Credo che Donnas, con i suoi sentieri che scalino dopo scalino por tano al rifugio Coda, sia una tappa in giustamente bistrattata. Si parla tanto male di Donnas, ma in fondo se nelle tue vene scorre sangue orobico, sai che nulla può essere peggiore dei sen tieri nervosi e malmessi delle monta gne bergamasche. Grazie Bergamo!

La festa che attende gli atleti a ri stori come il paesino arroccato di Perloz, le albe in quota, il vento che sferza il viso e abbassa la tempera tura costringendoti a correre anche quando non vorresti, la grandezza della natura e la piccolezza di noi Giganti. E poi gli incontri, di chi cammina e soffre come te, di chi ci crede quanto te e condivide le tue emozioni. Grazie Tor!

Mi dicevano “tutto questo ti man cherà, una volta tornata a casa”. Non ci credevo, non ci credevo assoluta mente, perché non poteva essere che tutta questa, quella fatica potesse far sentire la propria mancanza. Manca una cosa bella, manca mangiare le torte e fare gli aperitivi, uscire con gli amici e godersi la vita, mi dice vo, ma la fatica non può mancare. E invece avevano ragione loro. Manca arrivare in cima al Col Fenetre o al Pinter e guardare verso il basso, pen sare che c’è ancora tanta strada da fare, ma essere felici in quell’attimo. Il fatidico “qui e ora” senza pensare quel che é stato né quel che sarà. Ba starsi in quel preciso momento e nul la più. Penso che forse tutti gli infe lici avrebbero bisogno di un Tor des Géants nella loro vita. Così. Anche per imparare ad essere felici di ogni singolo piccolo successo raggiunto. Perché il Tor é proprio questo: una serie di piccoli successi da inanellare uno via l’altro. Fino alla fine. No, il Tor non è stato all’altezza delle mie aspettative, le ha addirittura e di gran lunga superate.

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Mi dicevano “tutto questo ti mancherà, una volta tornata a casa”. Non ci credevo, non ci credevo assolutamente, perché non poteva essere che tutta questa, quella fatica potesse far sentire la propria mancanza. E invece avevano ragione loro.
JONAS RUSSI VINCITORE DEL TOR 330

Maira Occitan Trail

Occitan

Geograficamente l’Occitania non esiste, non ha confini politici pre cisi come oggi noi li intendiamo, eppure la sua storia è praticamen te millenaria. È soprattutto un’area linguistico-culturale dove a unire è, appunto, la lingua: poco importa che questo comprenda territori attual mente francesi, spagnoli e italiani. In passato era soprattutto la cultura a identificare queste popolazioni:

composizioni letterarie, musiche, danze, poesie che accomunavano un territorio immenso e che erano lette ralmente portati in tutta Europa dai “trovatori”. Negli ultimi anni molti sforzi sono stati fatti per cercare di non disperdere questa lingua e que ste tradizioni e oggi fortunatamen te ci sono molte associazioni, corsi, eventi, festival che fanno sì che l’Oc citania sia più viva che mai.

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Maira

La Valle Maira fa parte del territorio occitano e, almeno per quanto riguar da il turismo proveniente dal nord Europa e in particolare quello tede sco, è sicuramente la valle più cono sciuta tra quelle cuneesi. Negli anni ‘90, sulla scia di esempi virtuosi dei cugini transalpini, è stato creato un percorso che unisce simbolicamente e fisicamente tutta la valle nei suoi due versanti, le sue borgate, i villag gi e le strutture ricettive. 170km di

sentieri da percorrere a passo lento, in 14 giorni, gustando la pace e i si lenzi che la natura ancora riserva in questo angolo di Piemonte. Cercando di valorizzare e sfruttare questo iti nerario, dal Consorzio Turistico Valle Maira con la collaborazione tecnica della società Fossanese Sportifica tion, è nata l’idea di una gara di corsa in montagna che ricalchi questi sen tieri in modo sportivo e turistico allo stesso tempo.

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Trail

Nasce così la gara dai tempi diversi, come recita a grandi caratteri la home page del sito del Maira Occitan Trail. Un evento diverso da quanto offre oggi il panorama nazionale: un anel lo che percorre l’intera valle in senso antiorario ma con una formula inte ressante, innovativa, unica nel suo genere. Quattro tappe, quattro giorni, 40km ogni giorno; insomma, 40km in montagna non sono uno scherzo, una passeggiata, ma al tempo stesso non

sono come un ultra trail che impegna giorno e notte. Si parte al mattino, si percorrono sentieri, mulattiere, si at traversano borgate, si incontrano pi loni votivi, ma si attraversano anche sentieri di cresta, alta montagna, e poi pinete, faggeti, castagni. Insom ma un gran concentrato di natura, di trail, di ossigeno. Ma al pomeriggio e alla sera la gara passa in secondo piano.

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Geograficamente l’Occitania non esiste, non ha confini politici precisi come oggi noi li intendiamo, eppure la sua storia è praticamente millenaria. È soprattutto un’area linguistico-culturale dove a unire è, appunto, la lingua: poco importa che questo comprenda territori attualmente francesi, spagnoli e italiani.

Nasce così la gara "dai tempi diversi", come recita a grandi caratteri la home page del sito del Maira Occitan Trail. Un evento diverso da quanto offre oggi il panorama nazionale: un anello che percorre l’intera valle in senso antiorario ma con una formula interessante, innovativa, unica nel suo genere.

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Queste le premesse

Sul campo, poi, tutto questo si tra sforma in un gruppo unito, una feli cità che raramente ho visto rapire così tanto dei trail runner. Sono trentuno i partenti e nel giro di poche ore di ventano una famiglia: si parte insie me, si corre insieme, si condividono i ristori. Ma dopo mezzogiorno, finita la fatica fisica, inizia un’altra avven tura umana: ci si immerge tutti nelle fontane, si mangia pranzo insieme, si discute delle emozioni del percorso, i pensieri di ognuno diventano i pen sieri del gruppo. C’è chi sostiene che quel formaggio d’alpeggio al ristoro era migliore di quell’altro; chi aspetta il proprio turno ai massaggi; chi ripete il rituale di spreparare e ripreparare lo zaino per il giorno dopo, chi si emo ziona ogni mattina alla partenza per ché questa gara gli ha smosso qualco sa dentro; tutti si godono le “coccole” che l’attenta organizzazione prova a dare in ogni momento della giornata. Quando Daniele prende in mano il microfono l’atmosfera si carica di elet tricità: come sa stimolare lui gli atleti nessuno mai, che siano in partenza o in arrivo da una tappa. Quella che era una gara diventa un viaggio da fare insieme, non solo correndo, ma duran te tutto l’arco della giornata. Possiamo

scommettere che sono nate amicizie che dureranno per molto tempo.

C’è poi anche una cronaca sportiva, com’è giusto che sia. Andrea Matteuc ci parte forte e si aggiudica la prima tappa, da Villar a Stroppo, una parte relativamente corribile di percorso. Dario Pedrotti invece parte piano, la prima fatica la conclude al settimo posto ma poi si aggiudica la seconda e la terza, da Stroppo a Chiappera e da Chiappera a Marmora: le due tappe con più montagna, dislivello, sentieri tecnici. Basterà a raggiungere il podio ma non il secondo posto, difeso con i denti fino alla fine dal “local” Andrea Barra, mentre Matteucci vola l’ultimo giorno sul traguardo di Dronero a prendersi ultima frazione e classifica generale. Tra le donne è un dominio dall’inizio alla fine della varaitina En rica Dematteis seguita dalla gemella Luisa: sono cugine dei più famosi gemelli simbolo della corsa in monta gna, Martin e Bernard. Chiude il po dio Antea Pellegrino.

Rientro in macchina, con infinite car toline che solo i paesaggi della Val Maira sanno regalare, con un solo pensiero, il prossimo anno ho proprio voglia di correrla questa 4x40.

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The charm of Ortles

Mi sono calato dentro lasciandomi avvolgere da una foschia lattiginosa, quasi tiepida, fino ad incontrare il profumo dei larici che impre gnava l'aria umida, come a ricordarmi l’arri vo dell’autunno. La nebbia ha ovattato quella cornice di austera bellezza che avevo salutato nel pomeriggio di venerdì. Ora posso elimi nare tutte le forme e immaginare quello che voglio. Posso smettere per un attimo di guar dare, posso respirare, posso chiudere gli occhi e concentrarmi sulle mie sensazioni. Le linee restano isolate, i colori non parlano più, l’Ort les si è ritirato. Eppure, nemmeno 24 ore fa, mi trovavo sulla sua cima, duemila metri più su, e ne avverto la presenza.

Ieri sera, alle 19.30, insieme a Titus Pri noth, raggiungevo la vetta più alta del Trentino-Alto Adige, nonché di tutte le Alpi a oriente del Bernina. Un filo diretto, senza sosta, che dalla chiesa di San Gel trude ci ha portato ai 3905m del "Re Ort les” lungo la cresta nord, giusto in tempo per salutare il sole che tramontava sulle Retiche Occidentali. Giusto in tempo per sospirare alla vista del Gran Zebrù e im primere nella mente quel mondo di ghiac cio che tra alcuni decenni non sarà più lo stesso.

Anno dopo anno l’Ortles affascina innume revoli scalatori. Sebbene da Solda appaia ridi mensionato, sotto un'ingannevole distorsione prospettica, a colpire è quella calotta sommita le, strabordante in impressionanti seracchi che si stagliano contro l’azzurro del cielo. Un qua dro tratteggiato con maestria da una natura la cui forza e bellezza lascia un profondo segno in chiunque si accinga a conquistarlo. Chi de cide di salire l'Ortles è consapevole di cimen

tarsi su un terreno affascinante e vario, quan to severo. Sono partito per questa esperienza con il desiderio di lasciami sorprendere, do cumentandomi solo lo stretto necessario. Ma ora voglio saperne di più e per farlo varco le porte del Messner Mountain Museum, ai piedi dalla Vedretta Alta, quella che il famoso “Atlas Tyrolensis”, disegnato nel 1774 da Peter Anich, indicava come la “fine del mondo”. Questa mo derna struttura sotterranea, dedicata al tema del ghiaccio, espone la più vasta collezione di dipinti con vedute dell'Ortles. A settembre del 1804, ben cinquant’anni prima che gli inglesi si affacciassero sulle Alpi, Joseph Pichler rag giunse la cima scalando la parete ovest lungo le cosiddette Hintere Wandln. Tutto questo accadde quando l’alpinismo aveva meno di 20 anni di storia e la sua diffusione, a causa del le guerre napoleoniche, era molto lenta. Di lui non esistono testimonianze iconografiche, non un disegno e nemmeno un’incisione. Si sape va solo che era un cacciatore di camosci, abile come nessun altro. Minuto, forte, taciturno, determinato. Sappiamo anche che sui pendii rocciosi dove gli altri, in quegli anni lontani, salivano a stento, lui si muoveva agile, sicuro e veloce. Per oltre mezzo secolo mantenne l’e sclusiva delle salite sulla montagna più alta del Tirolo: dal 1804 al 1854 (anno della sua mor te), nessuna comitiva riuscì a salire in cima all’Ortles senza di lui.

Ma oggi sono qui perché l’Ortles parla di al tro. Parla di orgoglio altoatesino, di radici, di cultura di montagna. Parla di una collezione a cui Salewa ha dato il nome, e che si fonda sul concetto del Quanto Basta, pochi ingredienti ma fondamentali: “Quando ci apprestiamo ad affrontare la nostra prossima sfida in alta

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Cammino tra le strade di Solda sotto una leggera pioggia. Da stamattina all’alba una fitta coltre di nuvole sovrasta l’intera Val Venosta. Prima di scendere l’ho ammirata da lassù, affacciandomi alla finestra del rifugio, un oceano di cotone da cui emergevano solo il Barenkopfl e le Alpi della Val Müstair, molto più a nord.

montagna, facciamo una selezione piuttosto scrupolosa degli oggetti da portare con noi. Da un lato la parola chiave è leggerezza ma, dall’altro, bisogna essere pronti a qualsiasi evenienza. Chi aspira a una maggiore agilità e performance, porterà con sé soltanto ciò di cui ha strettamente bisogno” spiega Thomas Moe, Product Director di Salewa, evidenzian do come al centro della filosofia ci sia proprio la ricerca di efficienza, essenzialità e quella “purezza del design” su cui da sempre si regge il brand altoatesino.

La collezione Ortles che Salewa rilancia in vista della stagione autunno/inverno 2022, propone una linea di abbigliamento altamente funzionale “head to toe” stu diata nei minimi dettagli per l’alpinismo di più alto livello. Oltre a porre l’accento sui concetti già espressi, ha visto un par ticolare focus sull’impiego di tecnologie all’avanguardia, come l’implementazione del tessuto Gore-Tex Pro Stretch in com binazione con una lavorazione hardshell.

La campagna della nuova collezione è im perniata attorno alla storia "Ortles Friends”, una storia di amicizia e fiducia reciproca che racconta la salita all'Ortles di Gabriel Tschur tschenthaler, alpinista ipovedente affetto sin da piccolo da un grave disturbo visivo. Luci e ombre che si alternano in una danza di sago me in movimento, contorni che diventano più definiti solo quando la luce e le tenebre si ab bracciano, all’alba e all’imbrunire. Per lui, ciò che gli occhi non vedono, viene esaltato dagli altri sensi. Ed è proprio affidandosi a essi che Gabriel vive la montagna: distinguendo il suo no del vento quando gli sussurra le sagome delle pareti rocciose o mentre ulula nelle va

ste pianure. Intuendo, grazie ad uno spiccato senso dell’equilibrio, l’esatto punto in cui va prestata maggiore attenzione e accorciata la falcata. Ma se nel corso della sua vita Gabriel ha imparato ad aprirsi alle sensazioni del suo corpo, ha anche imparato ad affidarsi a quelli che ormai sono molto più che semplici com pagni di scalata: Vittorio Messini e Matthias Wurzer, fratelli di cordata legati da una pro fonda amicizia.

Fiducia in sé stessi. Fiducia reciproca. Fiducia nella propria attrezzatura. Elementi grazie ai quali i tre alpinisti hanno conquistato non solo l’Ortles (attraverso la cresta Hintergrat) ma, più recentemente, anche alcune delle vette più impegnative della Patagonia, come la Via dei Ragni sulla parete ovest del Cerro Torre. Forse stiamo capendo che è arrivato il mo mento di vivere l’avventura senza troppe esa sperazioni. Non più in modalità fastoriented, ma come fa Gabriel, guardando oltre i propri limiti, percependo la montagna in tutte le sue sfaccettature, affidandoci ai nostri sensi. Riu scendo a sentire l’energia della roccia, la forza del ghiaccio, il tepore del sole. Dobbiamo im parare di nuovo a perderci in queste sensazio ni e lasciare che, respiro dopo respiro, nasca dentro di noi una nuova percezione della na tura. Scopriremo così di essere molto più di un ingranaggio, più di un semplice spettatore, ma una parte attiva in armonia con il grande disegno. Scopriremo che, abbracciando questa nuova libertà, il cuore e la mente acquisiranno una nuova forza, capace di superare ogni osta colo, di raggiungere ogni meta, ogni orizzonte. Avremmo tutti bisogno, un giorno, di vivere montagne come l’Ortles. Non la più alta, non la più difficile, ma una delle più emblematiche.

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Fiducia in sé stessi. Fiducia reciproca. Fiducia nella propria attrezzatura. Elementi grazie ai quali i tre alpinisti hanno conquistato non solo l’Ortles (attraverso la cresta Hintergrat) ma, più recentemente, anche alcune delle vette più impegnative della Patagonia, come la Via dei Ragni sulla parete ovest del Cerro Torre.

Nadir Maguet

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Originario di Torgnon, Valle d’Aosta, Nadir Maguet è atleta del Centro Sportivo Esercito. Durante la scorsa estate ha stabilito tre nuovi FKT su tre montagne simbolo dell'arco alpino: il Piz Bernina (via Biancograt, 2:44:13), l'Ortles (via Hintergrat, 1:43:12) e Grossglockner (via Stüdlgrat, 1:30:23). È proprio Nadir, il Mago, a raccontarci i retroscena di questa sua nuova impresa.

Spiega ai profani il significato e il motivo di stabilire una FKT. FKT è una sigla che in inglese sta per "Fastest Know Time", tradotto letteralmente “il tempo più veloce conosciu to". Non è un record ufficiale, si basa sulla fi ducia e sui dati riportati dall’orologio, in par ticolare la traccia GPS con i tempi intermedi della prestazione. È una quasi certezza. FKT è un modo per stabilire un tempo cronome trico, che sia di salita e discesa o solo salita, come nel mio caso. Alla fine, è uno stimolo per gli atleti di mettersi alla prova.

Sempre per i profani... Chi è Nadir Ma guet, il Mago? Sono un ragazzo, ormai non più troppo giovane, che ha fatto sport agoni stico fin da piccolo. Ho iniziato con lo sci di fondo a due anni grazie a mio papà. Ho prova to diversi sport: biathlon e bicicletta in primis. Solo nel momento in cui mi sono imbattuto nello scialpinismo ho trovato parte della mia vera natura: vivere appieno la montagna in una forma più libera, selvatica, veloce. Amo godermi la montagna, soprattutto in solitu dine. Avere del tempo esclusivamente per me stesso mi fa stare bene, soprattutto quando posso scappare dal caos e dalla frenesia di tutti i giorni.

Si può azzardare nel dire che stai avendo un cambio di rotta? In quali mari ti piace rebbe navigare? Non direi proprio un cam bio di rotta, quanto piuttosto una trasforma zione naturale del mio essere atleta. Non mi sono mai soffermato a lungo su una determi nata disciplina, ma ho sempre variato il più possibile in base alle mie passioni e a quello che mi piace fare. So di trovarmi in una fase della mia carriera in cui ho le idee molto chia re su chi sarò tra 5/10 anni. E la polivalenza in questo senso ha sempre giocato un ruolo fondamentale: oltre a mantenermi sempre

motivato in ciò che faccio, mi fa sentire felice. La monotonia annoia.

Raccontaci del tuo progetto estivo. È nato dalla passione che ho ritrovato negli ultimi anni frequentando la montagna e facendo al pinismo. È stato soprattutto grazie a François Cazzanelli, mio mentore in questo ambiente, se ho potuto assorbire la passione nell'im maginare, elaborare e realizzare progetti in montagna. Con François ho capito che, com binando le mie caratteristiche atletiche e le mie doti tecniche in montagna, ci sarebbe stato spazio per creare qualcosa di diverso, qualcosa che andasse oltre a me stesso. E questi FKT sono stati un vero e proprio test per capire se in futuro sarò all’altezza di met termi in gioco da solo su obiettivi ben più ar dui. È stata un’estate ricca di soddisfazioni, un'estate che mi ha mostrato quello che mi piace davvero fare.

Quanto sforzo mentale e fisico serve per stabilire questi record? E quanto sforzo organizzativo? Tutti quanti in egual misura, direi. Organizzare significa pianificare ogni singolo FKT, sia dal punto di vista materiale, metereologico, comunicativo ecc. Lo sforzo mentale invece si attua ogni volta che c'è da prendere una decisione, c’è sempre il dubbio se quello che sto facendo sia giusto o sbaglia to. Questo sforzo si ritrova anche durante il tentativo di compiere il record, essendo cre ste che richiedono una dote alpinistica. Per esempio, ci sono tratti in cui essere da soli senza un compagno di cordata richiede molta concentrazione e attenzione. Lo sforzo fisico invece mi accompagna ogni singolo giorno di allenamento per la preparazione a questo tipo di obiettivi. In fondo, il giorno del tentativo è solo il momento in cui ci si esprime al 100% dopo mesi di preparazione.

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Ci sono state persone che ti hanno aiu tato? Un aspetto che mi piace nel momento in cui ci si cimenta in un progetto personale come questo è proprio creare un cerchia di persone che ti sostengono e che ti accompa gnano nell'impresa. Per me sono stati familia ri e amici, nei quali nutro una fiducia cieca. Mi hanno supportato durante la preparazione e i giorni dei tentativi dei record. Ne approfitto per ringraziare soprattutto Robert Antonioli, Gianluca Vanzetta e Manfred Reichegger che hanno sacrificato parte del loro tempo per me. Parliamo della sicurezza. Quanto è sicu ro (o pericoloso) muoversi così veloce mente in montagna? Per me essere veloci in montagna è sinonimo di sicurezza. Al giorno d’oggi, con i materiali super legge ri e performanti che le aziende riescono a fornire a noi atleti, viaggiare veloci in mon tagna equivale a spendere minor tempo al pericolo. Il fatto di andarci veloce da solo è un aspetto personale e, se vogliamo, egoi sta. Però, le emozioni si moltiplicano. La più bella sensazione che ho avuto durante i miei FKT è stata nei punti più tecnici del le salite, perché era come se fossi entrato in una bolla: la mia mente era completamen te focalizzata su quello che stavo facendo. Adrenalina pura. Poi sono anche dell’idea che condividere vie in montagna con gli amici, in cordata, sia qualcosa di veramente unico. Sta ad ognuno di noi decidere come vivere le esperienze in montagna, non c’è un giusto o sbagliato ma solo quello che più ci fa star bene.

Vedi il Fast & Light come un discendente dell'alpinismo o pensi che siano due attività su binari paralleli? Il Fast & Light può essere un discendente dell’alpinismo, soprat tutto se consideriamo la ricerca e il continuo sviluppo dei materiali da parte delle aziende. Gli alpinisti hanno sempre cercato nuove sfi de e la tecnologia permette a questa attività di assumere sfaccettature sempre nuove. Il Fast & Light è uno stile alpinistico che racchiude non solo le capacità tecniche ma anche le doti fisiche e mentali degli alpinisti. Parlaci dell'attrezzatura e delle scarpe con cui hai affrontato queste salite. Lo scarpo ne che ho usato si chiama Aequilibrium Spe ed, ideato e sviluppato da La Sportiva in colla borazione con noi ambassador appositamente per questo stile di salite veloci. Nella fase di sviluppo io ed altri atleti abbiamo portato i nostri feedback al fine di creare uno scarpone molto leggero ma allo stesso tempo perfor mante su terreni alpinistici. Penso che possa essere una calzatura utilizzata soprattutto per le vie classiche che non richiedono par ticolari difficoltà tecniche, anche da persone che si avvicinano per la prima volta al mondo dell’alpinismo.

Rispondi a una domanda che faresti a te stesso. Fino a quale limite potrei arrivare nei prossimi anni in questo stile Fast & Light e qual è la mia vera identità in questo immenso ambiente che si chiama alpinismo? La monta gna si chiama Cervino. Il record è di sua ma està Kilian. Potrò mai essere all'altezza di un obiettivo così difficile?

Il Fast & Light può essere un discendente dell’alpinismo, soprattutto se consideriamo la ricerca e il continuo sviluppo dei materiali da parte delle aziende. Gli alpinisti hanno sempre cercato nuove sfide e la tecnologia permette a questa attività di assumere sfaccettature sempre nuove. Il Fast & Light è uno stile alpinistico che racchiude non solo le capacità tecniche ma anche le doti fisiche e mentali degli alpinisti.

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Back on my miles UTMB Chamonix

Io sto combattendo da qualche minuto con la A della tastiera del mio computer mentre il si gnore davanti me sfoglia un articolo sul Papa in una rivista di gossip. Ho addosso una ma glietta da corsa, l’unica che mi è rimasta pu lita dopo questi quattro giorni. Quando apro la borsa per prendere il computer ne esce un odore acre, un misto di sudore delle magliette da corsa ancora bagnate e di condensa della tenda mescolate in un unico intruglio ammo niaco. Difficile sperare altrimenti dopo quattro giorni passati a lavarmi a pezzi nei bagni del Majestic, il centro congressi che l’organizza zione riserva alla stampa, ricavato da un impo nente complesso liberty con stanze alte cinque metri e quadri alti tre, appesi alle poche pareti senza vetrate.

Lì, qualche giorno prima, mentre svuoto il mio zainetto da corsa sudato sulla moquette della sala stampa, osservo la ragazza dietro di me googlare “Kilian Jornet” sul computer. Dopo aver letto qualche riga inserisce un breve ag giornamento sul sito della sua testata, un gior nale generico francese. Lei avrà più o meno la mia età e mi fa pensare che forse dovrei essere seduto alla scrivania come lei, e scrivere qual cosa da qualche parte e aggiornare il mondo sul fatto che Kilian ha il covid. Poi penso che Kilian sia del tutto in grado di farlo sapere al mondo anche senza il mio aiuto, e che sono a Chamonix durante la settimana di UTMB e non ho assolutamente intenzione di passarla nella sala stampa di un albergo. Così mi cam bio ed esco a girare la città.

Vado all’expo più per rito che per interesse, ma non mi fermo a guardare nulla, così mi sforzo di resistere ancora un po’. Dopo altri

cinque minuti di sforzi mi allaccio le scarpe e vado correre. Ripenso all’anno prima, e pen so che mi manca. Percorro una strada bianca lungo l’Arve, fino a un sentiero che non con duce da nessuna parte. La strada diventa un single track che taglia i tornanti di una strada più morbida, così inizio a camminare spin gendo con le mani sulle cosce fino a che non raggiungo un terrazzino con una grande lama di granito al centro, che dà sulla valle. Mi met to a cavalcioni sulla roccia e chiudo gli occhi, smetto di pensare al passato e ascolto con la pelle il sole filtrato dalle foglie delle betulle e il rumore dell’acqua glaciale che scende sopra di me. Resto così per dieci minuti.

Poi scendo e torno in paese. Fuori dallo store di The North Face presenta no il nuovo film su Pau Capell e sul suo pro getto di correre UTMB in meno di 20 ore, un sogno destinato a infrangersi qualche giorno dopo, quando si ritirerà a La Fouly e Kilian e Mathieu Blanchard correranno rispettivamen te in 19h49’30’’ e in 19h54’50’’. Questa cosa mi ricorda una massima del TRC: prima fare le cose, e solo dopo, eventualmente, parlarne. Ma non me ne preoccupo troppo, l’evento è bello e mi danno una Coca-Cola che mi salva dalla disidratazione. Dopo la proiezione vado a bere una birra con Destination Unknown all’Eleva tion 1904 dove servono la East IPA della Bro oklyn alla spina, la pago 8 euro.

La birra mi fa pensare che ChamonixMont-Blanc sia uno dei migliori esiti della gen trificazione alpina, che, va detto, non vanta grandi esiti. Cham è abitata da una fauna di skater, freerider, alpinisti e atleti che non si sa bene se le danno l’allure dell’epoca d’oro o del

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Accendo il computer per la prima volta dopo quattro giorni su un treno Torino-Vicenza. Ale è seduto tre sedili davanti a me e sta editando il recap di Buckled, che ha registrato in macchina con Marcello questa mattina, mentre ce ne andavamo da Chamonix.

la città d’avanguardia; in effetti forse entram be. È la capitale europea dell’outdoor, a pieno titolo, un angolo di mondo in cui la bohème è incoraggiata attraverso prezzi molto poco bohemien. Insomma, è il luogo in cui gli emar ginati si sentono accolti, purché siano emargi nati di una certa statura. La gentrificazione di Chamonix attira atleti da tutto il mondo, ma non abbastanza da trattenerli a lungo, tan to che presto o tardi se ne vanno tutti, anche Kilian. Comunque, per quattro giorni l’anno è

il posto in cui sogno di vivere, nonostante il freddo, i prezzi degli alcolici e di qualunque altra cosa.

Il giovedì passeggio tra i locali di Avenue Mi chel Croz fino alla statua di Paccard, giro a si nistra su Quai d’Arve e passo sotto alla statua di Balmat e Horace de Sassure, poi a destra e di nuovo a sinistra fino a Rue du Dr. Paccard. Qui mi faccio largo tra hipster, negozi di outdoor, turisti sovrappeso e atleti già vestiti per la gara del giorno dopo. Entro da Volcom dove vengo accolto da un intenso odore di erba. Hanno le stesse magliette dell’anno scorso, e alla terza delusione decido di lasciar perdere e mi dirigo verso Les Rosières, dove Asics ha organizzato un meeting per i media.

UTMB non è soltanto la gara più grande al mondo, ma è anche un momento in cui le aziende decidono la strada da prendere l’an no successivo, presentando prodotti e atleti e parlando con la stampa. Pur non essendo una fiera, negli anni UTMB è diventato uno dei momenti centrali nell’economia di que sto sport, nel bene e nel male. Per questo le aziende stabiliscono quartier generali affit tando interi hotel, ristoranti o trasformando i bar in lounge private.

Una sera finisco a un evento di ON Running a La Folie Douce Hotels, di cui gli svizzeri hanno affittato tutta la terrazza. Il balcone misurerà 50 metri di larghezza per 20 di pro fondità ed è gremito di persone, c’è musica alta e non si riesce a parlare, men che meno di lavoro, che è la cosa per cui suppongo si trovino tutti lì. Sul fondo del terrazzo c’è uno stand per la nuova scarpa dell’anno prossimo,

e poco lontano un ragazzo sulla trentina, non molto alto, biondo e con la faccia da bambino. Invito Tommy a girarsi, e gli indico il ragazzo, poi gli dico, “vedi quel ragazzino? Ecco, quel ragazzino ha vinto tre volte UTMB.”

Altra Running invece tiene una presentazio ne col fondatore dell’azienda, Brian Beckste ad, al Chai Guillaume Hotel. Ha il tipico en tusiasmo degli americani, quello che a prima vista sembra quasi finto: non lo è. Ha gli occhi illuminati e parla di UTMB come di qualcosa che conosce. È una delle poche persone che ho incontrato in questo ambiente che cor re davvero, e non parlo di jogging due volte alla settimana, ma di un UTMB, sei Wasatch 100, una Bear 100, e una Cascade Crest 100 in 23h40’. Riesco a infilarmi in uno slot per inter vistarlo e parliamo di tutto fuorché di scarpe. È un bel tipo, mi lascia il biglietto da visita e mi chiede di scrivergli se vado nello Utah, probabilmente lo farò.

Nonostante questi eventi collaterali, non mi è riuscito ancora di dimenticarmi di UTMB. I riti del venerdì sera non cambiano: Vange lis, la cosa con le mani, lo speaker, e per la prima volta dopo il Covid anche la partenza non scaglionata. È la seconda volta che vedo una partenza dal vivo, e la prima in cui non parto; fa comunque impressione. Siamo a tre cento metri dalla partenza e servono 8 minuti prima che passino tutti i corridori, il che cor risponde all’incirca a uno sviluppo lineare di due chilometri. Guardiamo gli arrivi di CCC e mangiamo la prima di tante pizze da Neapo lis, sull’Arve. Verso mezzanotte raccogliamo le nostre cose e ci spostiamo a Courmayeur per vedere il passaggio dei primi a metà gara.

Ricordo la base vita di Courmayeur gremi ta di corridori già esausti, che vagano scalzi per la palestra cercando qualcosa che possa riesumarli da ottanta chilometri corsi a un ritmo troppo veloce per loro, e poi quelli che dormono in un angolo, interrogando il proprio stomaco sulle sue intenzioni. Ma a quest’ora della notte quel momento sembra ancora lontano, e per ora quello che alle prime luci del giorno sarebbe diventato

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un ospedale militare è ancora soltanto una grande palestra ordinata, popolata da foto grafi e giornalisti che aspettano silenziosa mente. Nell’area dedicata agli atleti ci sono soltanto l’assistente di Kilian Jornet, e Jessica Brazeau, la moglie di Jim Walmsley.

Io sono appoggiato a una transenna che mi divide dal tavolo, accalcato insieme ad altri cinquanta giornalisti piantati lì alle due di mattina ad aspettare l’arrivo di due persone per guardarle mentre mangiano, va detto, po tevamo fare di meglio. Sul tavolo di Kilian ci sono solo tre gel bianchi e neri della Maurten, una ciotolina di idrogel, tre piattini di carta con cibo insapore e inodore e che ha lo stes so colore dei piattini, e un misuratore della glicemia. Sul tavolo di Jim ci sono gel colora tissimi, CocaCola, orsacchiotti gommosi, gi relle alla liquirizia della Haribo, e un tubo di Pringles. Nel silenzio della palestra una voce dall’altra parte di una radio dice 10 minuti, poi 5. Poi si sente applaudire, si vede la fron tale di Jim, e dopo 90 secondi quella Kilian.

Il silenzio che avvolge la sala è rotto dai rumo ri delle macchine fotografiche e dalle voci dei due atleti. Stanno dentro 240 secondi, poi si al zano, il silenzio viene rotto da un boato collet tivo. Aspettiamo i primi trenta corridori, che siamo ancora in grado di distinguere in base allo stile di corsa, ancora prima che si vedano le facce, pur non avendoli mai visti dal vivo in vita nostra. Sage Canadey si ritira, Hannes Namberger entra in base vita ed esce dopo tre minuti scalzo e zoppicante.

Trovarmi qui dopo un anno dopo mi lascia un misto di sensazioni. Mi manca il coinvol gimento emotivo della gara e lo stupore della prima volta, e mi chiedo se sia così anche per loro, che la corrono tutti gli anni. Ricordano le edizioni in base ai risultati, sono contenti se va bene o se va male, e talvolta neanche di quello, come Kilian, che arriva a Chamonix catatoni co. Il paese è coperto da migliaia di persone con le braccia alzate e i cellulari puntati tut ti nella stessa direzione, per riprendere altre braccia e altri cellulari. Si intuisce a che altezza della folla si trovi Kilian in base a come ruo

tano i cellulari, ma è solo una testa in mezzo a tante altre.

Internet smette di funzionare, la connessio ne rallenta. Ale mi racconterà che Bryon ci metterà 8 minuti per caricare il tweet della vittoria di Kilian. Io sono su una transenna in terza fila, l’organizzazione non ha riserva to un posto per la stampa e sono costretto a sgomitare come tutti. Appena finisce Vange lis, Kilian si siede, io smonto dalla transen na, do due spallate a chi mi trovo davanti ed esco da Chamonix per risalire al contrario gli ultimi 20 chilometri di percorso fino a Vallorcine. Trovo Jim poco sopra La Floria, in piena crisi, corre male e a vederlo sem bra essersi dimenticato la sua corsa perfetta, rotonda, con le ginocchia alte e il richiamo completo del tallone, ma è abbastanza lucido da farmi un gesto con la mano quando gli sussurro “dai Jim, you did it”.

Tre tornanti sopra c’è Zach Miller, ancora più sfinito, dopo aver infilato la gara della vita al di fuori di ogni aspettativa. Da La Flégère risalgo verso Tete aux Vents su un traverso arrabbiato e dannatamente lungo, su cui incontro Katie Schide, ha un fazzoletto zuppo di sangue infi lato nel naso ma corre meglio di tanti altri che incontro. Talvolta pensiamo che per questi at leti sia solo questione di vincere o perdere, ma nei loro occhi rivedo la stessa disperazione de gli ultimi, mentre fanno il conto alla rovescia dei chilometri, e mentre inciampano su una ra dice, e vedo la loro voglia di sedersi su un sas so qualunque e restare lì, per sempre. Scendo a ritroso la salita di Tete aux Vents, senza dubbio la più dura di tutta la gara. All’inizio trovo Al berto Ferretto attaccato alle caviglie di Kayt lyn Gerbin, la terza donna. Alberto è ancora in spinta e sale bene, è lucido, ma mi chiede se mancano 20 minuti alla Flégère, “qualcosa di più” gli rispondo (manca un’ora e mezza).

Dietro di lui c’è Tyler Green, che in quel mo mento pensa di conoscermi, “credo di no” gli dico, chissà cosa vede. Alla base vita di Val lorcine arriva Emily Hawgood. Emily è una ragazza dello Zimbabwe ma vive in Idaho. È una delle figure più positive della scena ultra,

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e soprattutto ha un grande motore, è la sesta donna e ne è evidentemente molto felice. Dopo un po’ arriva anche Francesca Pretto. La setti ma, l’ottava e la nona donna sono molto strette, ma Francesca si prende il tempo per mangiare perché sa che l’ultima sezione è tanto dura; è la scelta giusta. Quando esce dalla base vita le urliamo qualcosa, lei guarda in basso e prova a mascherare un’espressione, penso che vorreb be piangere, ma non lo fa, almeno non di fronte a noi. Non conosco molto bene Francesca, ma abbastanza da pensare che vuole vivere quel momento da sola, condividendolo con Tom my. Sta correndo la gara della vita e lo sa, e sta facendo un tempo che qualche anno fa le sa rebbe valso un podio. È bello vedere negli altri quel senso di liberazione, e ci sono poche gare che lo danno, e UTMB è una di quelle.

La notte successiva la passo in tenda in una radura del bosco comunale di Chamonix. La mattina dopo mi sveglio con un’alba livida, che avvolge il Monte Bianco, davanti a me, in un blur verdastro e settembrino. Mi scaldo il caffè restando rannicchiato nel sacco a pelo e cercando di non smuovere la condensa che si è creata dentro alla tenda. Dal prato si leva un basso strato di nebbia che nasconde i tron chi dei larici, che sembrano sospesi nel nul la, poi salendo con lo sguardo tutto si fa via via più nitido, le punte degli alberi, e qualche centimetro sopra la guglia del Dru, la cresta dell’Aiguille du Midi, il Dôme du Goûter. Resto un po’ a guardare il profilo della mon tagna, che copre ancora il sole, poi affronto l’umidità ed esco dalla tenda.

Quest’anno corri?

No, dovrei?

Non ti è piaciuta abbastanza da rifarla?

No, mi è piaciuta così tanto da non volerla rifare. Ho capito cosa fosse UTMB solo dopo averla corsa, e penso che sia semplicemente la gara più bella. È per questa ragione che non la correrò più, o almeno non più per un po’ di tempo. Non capisco il bisogno consumistico di strafogarsi di esperienze, sovrascrivendo continuamente i ricordi. Viaggiare troppo, correre troppe gare, tutte subito, senza averle desiderate, sognate, immaginate. Cinque, sei gare l’anno, di cui una da sola varrebbe l’anno intero.

Ma è un limite personale.

Vorrei correre UTMB in continuazione, più e più volte, con Camilla a ChampexLac, Paco in Grecia che fa ctrl-R sul live tracking, Ale nella notte che mi viene a prendere a un chilometro dall’arrivo, e la Svizzera, i mesi di preparazione, i chilometri macina ti per arrivarci, il processo, lo stupore. Ma quella giornata perfetta, e quei mesi e quei profumi e quelle sensazioni, che sembra no quelle dei sogni quando ci svegliamo, quelle cose sono ferme lì e non le rivivrò mettendomi un pettorale addosso. È andata bene così, e so accontentarmi. Ci sono tante altre gare là fuori. Voglio rispettare i ricor di vivendone di nuovi, essere dove mi tro vo, senza proiettare il futuro o vincolarlo a un’aspettativa.

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Quest’anno pensavo di trovare una Chamonix più pallida, e forse lo è anche stata, come è stata pallida questa estate.
Ma tornare indietro sulle miglia di quella gara e vedere gli occhi di chi la correva è stato bello, e mi basta questo.

Vast Ladakh Little Tibet

Il cinque agosto.

È cominciato tutto il 5 agosto, in Italia. Inglobata nel divano di casa, madida e sfibrata dall’estate torrida. Alla mia sinistra un vecchio libro logo ro, recuperato da mio padre in un mercatino di libri usati: “Storia dell’Alpinismo”. Dev’essere finita, viene da pensare, se ne hanno già scritto la storia.

“Montagne e letteratura” è il titolo del dodicesi mo capitolo. L’ottava riga riporta una citazione di Lord Conway la prima volta che vide una gran de montagna: “Per me, essa non faceva parte del la terra, non aveva nulla a che vedere col mondo dell’esperienza. Quello, finalmente, era l’altro mondo, visibile, inaccessibile forse, ma presente; reale ma incredibile; solido: con l’aspetto di ciò che dura in eterno, e nello stesso tempo etereo; di una maestà soverchiante e affascinante a un tempo. Nel mio spirito non c’era neppure il desi derio di scalarlo.”

Tra meno di una settimana starò camminando in alto, nell’altopiano del Ladakh, in quel cuneo di terra montana a nord dell’India, incastonato tra Pakistan e Tibet (o quel che ne rimane). Par to così, con la voglia di camminarlo quell’altro mondo, visibile, inaccessibile forse, ma presente, con il bisogno di qualcosa di reale ma incredi bile, di qualcosa che sia lì per restarci in eterno.

Paese in un cristallo. Non è una mia visione, questa del vederlo come qualcosa di cristallizzato. Personalmente ciò che ho trovato ha più l’aspetto del pongo o della creta fresca, quella facilmente malleabile. Nella regione più arida dell’India abbiamo cammi nato sotto acqua e grandine per quattro giorni consecutivi. È un mondo, anche questo, che sta cambiando rapidamente: a livello ambientale e culturale. L’unica caratteristica che ritrovo nel

cristallo è la fragilità di un mondo trasparente, la cui immensa cultura è custodita con coraggio di fronte alle mire espansionistiche di Pakistan e Cina.

Ad ogni modo, bagnata o asciutta, la terra che ricopre la zona è sabbiosa ma senza dune. È una landa di assenze ingombranti. Ci si sente nudi in Ladakh, ma sicuri. Non bastano le ore per calco lare le distanze, sono i giorni a scandire le tappe di cammino. Di tanto in tanto un rivolo blu cre pa la sabbia color mattone, o tortora, a volte ter racotta, raramente porpora; magnifica. E quando l’aridità è interrotta il verde, invidioso e vanesio, si unisce alla composizione; abbraccia l’acqua come a esaltarne la presenza. Camminiamo tra i 4000 e i 5500 metri, ma ogni orizzonte è più alto e ogni montagna più innevata. Ogni cosa tende inesorabile al cielo, come se, contro ogni prono stico, il destino di un mondo perduto non fosse che quello di crescere.

Loro.

La pelle non è né chiara né scura. Spessa, come scudo contro sole e vento. Gli occhi socchiusi e la corporatura perlopiù minuta, ma forte. Mani di chi lavora e sguardi di chi scruta lontano, soc chiusi. Quei “loro” per noi sono Santosh, quello che cammina, Dawa, quello che cucina, e Jampa, il cavallante. Sono uomini che vivono al ritmo della Terra, senza artifici a dettarne i tempi. Si coricano quando hanno sonno e si svegliano quando sono riposati. Casualmente il tutto coin cide con il tramontare e il sorgere del sole. A par te Dawa che mangia e dorme quando e dove gli pare, un bambino di 90 chili. Si muovono tra una tradizione che sbiadisce e un progresso prepo tente. Al collo portano pesanti amuleti, eredità di antichi antenati, mentre ai piedi indossano Crocs in plastica. Forse è un oriente in progres so, forse un occidente in declino, più probabil mente semplice globalizzazione.

144 * BASATO SU FATTI REALI
Di questo terzo viaggio ai piedi dell’Himalaya racconterò quel che c’era; il bello e il brutto. E l’interpretazione la lascio a chi leggerà.

Noi.

Noi siamo più deboli di loro, specialmente quan to la quota cresce. La pelle, più chiara e sottile, si screpola fino a spaccarsi. Dovremmo essere più massicci, ma io incarno la classica eccezione che conferma la regola, finendo per essere la più piccola del gruppo. Occhi addestrati a riflette re qualunque tipo di monitor, abituati alla luce ma non a questo immenso, a fine giornata sono stanchi; bruciano. Sgomitiamo tra le giornate a un ritmo forsennato, innaturale: una fiumana di formiche impazzite. Di plastica non indossiamo solo le Crocs e non abbiamo ancora capito cosa pensare della globalizzazione.

Il viaggio.

Fatte le dovute presentazioni, a incamminarci verso le montagne siamo in cinque: due italia ni, due indiani e un nepalese. Il viaggio parte da Leh, come ogni cosa in Ladakh. La città è capitale dell’intera regione, centro di assurde contraddizioni. Gode di spazi sopraelevati pre gni di sacralità, ma convive con un mercato che si è adattato al turismo e all’occidente. Terrazze in alto, sopra le trafficate vie del centro, servono tentativi di pizza margherita e birra “Everest” al ritmo di un James Blunt, a volte di un Bob Mar ley. Intorno a una vita mondana estemporanea, vie buie circondano la zona segnando il limite tra l’India del turismo e quella dei silenzi di sab bia, quella di quell’altro mondo.

Ovunque, a Leh e nei dintorni, si costruisce: nuo ve strade, nuovi edifici. Il dispiegamento di forze militari nell’intera zona sottrae ulteriore sacrali tà e inquina l’India che fu. Del piccolo Tibet su perstite rimangono sparuti monasteri arroccati dove antichi monaci e nuovi soldati convivono. Un cartello in legno, “la via per il monastero”, ha dipinta una freccia che indica verso destra e lì, in quella destra, un soldato in uniforme stringe un fucile. La confusione è sovrana.

Più o meno disorientati siamo ufficialmente in cammino, cinque culture diverse a condividere la stessa fatica. Non parlo qui di ogni passo per ché non è il singolo passo a contare. Riporto la mia selezione.

*dal diario. 14 agosto.

Io e Santosh procediamo vicini, Mattia è dietro a fotografare. Oltre l’ennesimo orizzonte, in fondo alla steppa, un gregge di capre e pecore, magre e piccole. Raccontargli dei nostri formaggi di capra mi viene naturale. Gli spiego che da noi ogni valle ha il proprio pastore, e ogni pastore il proprio gregge e, spesso, ogni gregge produce un formaggio o una toma. Gli dico che è delizio sa ma non mi crede. E mentre lui racconta della Blue Sheep dell’Himalaya, io millanto il blu di capra, la sua pasta bianca venata e il sapore dolce e piccante.

*dialogo.

C: Quando andiamo in montagna, io e Mattia, cerchiamo di comprare cose come il formaggio direttamente dai produttori locali, dai nostri montanari.

[…SANTOSH ANNUISCE…]

C: Non solo il prodotto è migliore, ma è un modo per far sopravvivere le attività alpine. Per permettere a chi vive in montagna, di vivere di montagna.

Parliamo a lungo anche delle strade: le scorciato ie per la montagna. Non ci si accorge che l’idea di rendere più agibili e meglio raggiungibili luoghi remoti, in parte condivisibile, distrugge antiche culture e seppellisce tradizioni inestimabili. Che poi sono memorie e testimonianze trasmesse da una generazione all’altra, indispensabili per orientarsi.

Noi siamo più deboli di loro, specialmente quanto la quota cresce. La pelle, più chiara e sottile, si screpola fino a spaccarsi. Dovremmo essere più massicci, ma io incarno la classica eccezione che conferma la regola, finendo per essere la più piccola del gruppo. Occhi addestrati a riflettere qualunque tipo di monitor, abituati alla luce ma non a questo immenso, a fine giornata sono stanchi; bruciano.

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Si abbandona un patrimonio millenario in cam bio di una manciata di benessere. Il culo al caldo è bello, la pancia piena di più, ma se non ci si ac contenta ci si impoverisce. Anche nel benessere, soprattutto nel benessere. E l’essere umano non si accontenta.

*pranzi.

Ogni mattina Dawa prepara la schiscetta. Mi chiedo ancora come una quantità così esigua di cibo possa pesare tanto. Sarà la stanchezza, ma il peso specifico di quella singola patata pare quello dell’uranio. Il contenitore è un pesante barattolo metallico che ospita un bizzarro succo 100% anguria indiana, un uovo bollito, la sud detta patata, un cioccolatino stile Willy Wonka e, quando si è fortunati o quando Dawa si ricorda, una presa di sale avvolta in altro alluminio.

*dal diario. 16 agosto.

Fuori piove. All’interno della tenda tutto è umi do ma caldo. Si mescolano fumi densi; sigarette nepalesi, una pipa, cherosene bruciato a cucina re altro dahl e il respiro di tutti. Per terra c’è la terra e ai bordi, dove filtra l’acqua, una fanghi glia rossa. Santosh, Dawa e Jampa dormiranno lì. Siamo al terzo giorno di cammino e ho ormai abbandonato l’idea che la catasta di roba am mucchiata ovunque abbia un qualche ordine logico. Nel lato più riparato dal vento, l’unto che cola dal telo e il fornello di ferro arrugginito, de limitano la zona cucina. Da una parte, sporche e rotolanti, alcune pere mezze marce, dei pepe roni e tanti pomodori belli rossi. Da uno scato lone umido e strappato broccoli, cavoli e strani spinaci spuntano ogni giorno più mosci, come me. Stanchi. Al fumo, quella notte, si aggiunge l’alcool di un Cuba Libre improvvisato, fatto di Rum di dubbia qualità e resti di un fondello di Coca Cola. Ci si ubriaca e si scattano fotografie. E mentre un Dawa più spavaldo ci mostra il segno della guerra civile nepalese (un proiettile nella

Ho letto, qualche tempo prima di partire, di un progetto terrificante: la nuova Via della Seta. Una cosa enorme, voluta da quella mastodontica potenza cinese. La rete di nuove infrastrutture, di nuove colate di catrame a disegnare strade per collegare tutta l’Eurasia e l’Africa, accrescerà ulteriormente le emissioni di CO2 su questo pianeta spossato.

gamba), un Santosh donnaiolo ci parla di donne; avute e desiderate. In questi viaggi accade spes so: si mischia tutta la vita insieme.

*dal diario. 17 agosto.

Di questo Tibet superstite nel nord dell’India cosa resterà? Le cose sono già cambiate, ma nella pelle crepata dei nomadi e nella purezza degli spazi incontaminati, io sento ancora tan to. Ho letto, qualche tempo prima di partire, di un progetto terrificante: la nuova Via della Seta. Una cosa enorme, voluta da quella mastodontica potenza cinese. La rete di nuove infrastrutture, di nuove colate di catrame a disegnare strade per collegare tutta l’Eurasia e l’Africa, accrescerà ulteriormente le emissioni di CO2 su questo pia neta spossato.

*dal diario. 18 agosto.

Ho una sfiga e una fortuna nella vita, più o meno come tutti. Sono terribilmente magra, patologi camente si può dire, con una massa grassa del 12%. I motivi li conosce chi li deve conoscere ma questa naturalmente è la sfiga, perché non c’è nulla di bello nel non riuscire a mangiare. Ci stiamo lavorando su, comunque, siamo una bel la squadra. La fortuna è quella di non patire la quota e anzi, più salgo e meglio sto. Strana storia la genetica. Mi piace pensare di essere nata per vedere da vicino questo immenso; le montagne che sogno. Mattia dice che sono un piccolo yak,

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“Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente.”
- INDRO MONTANELLI

loro in basso non sopravvivono. A volte a casa mi sento così: non so come stare al mondo. Quas sù, lontano, sono libera, più fiera, persino più donna. E anche la sofferenza mi è dolce. Più sa liamo, più il verde diventa raro. Pietre luccicanti preannunciano i passi più alti. E lassù l’infinito è totale. Come la nostra precarietà in questo tutto. Chörten ricoperti di preghiere buddiste sosten gono teschi di yak. C’è della magia e del mistero nel modo in cui l’uomo segna il proprio passag gio. A me piace toccare e sfioro ogni cosa che incontro. Dieci giorni vissuti così vicino al vero li baratterei con due interi anni di vita quotidia na. Vorrei solo dare più forza alla mia voce per entrare nelle vostre case, per invitarvi a partire insieme. Per condividere.

“La felicità è reale solo se condivisa.” - LEV TOLSTOJ

*note di viaggio.

Non so se le mie fotografie sono buone. Sincera mente non m’importa che lo siano. È che le cose cambiano e io voglio ricordare.

125 chilometri. 8 giorni effettivi di cammino. 179.188 passi. 6000 metri di dislivello. Passaggio a 5420 metri. Temperatura minima -5 °C. Zero docce.

Il punto.

È il mattino del 20 agosto e una cresta di roccia e neve, sulla destra, ci sovrasta: il Mentok Range. Le vette sono sfocate, a tratti fuse con le nubi, a tratti più nitide. Fasci scuri, quasi neri, macchia no il cielo. Con il vento forte la figura si anima; lassù c’è tempesta. Il piano volge a mio favore; mi sento stanca e l’idea di lasciare quella cima al suo disegno non mi dispiace. Anzi, vorrei es sere sempre così tollerante con i miei obiettivi. Si termina con un giorno di anticipo dunque. Sento la voce della mia famiglia, l’acqua calda scrostarmi la testa e la sete placarsi di birra. Il profilo di Mattia mi dorme a fianco dopo la bre ve visita al villaggio di Korzok, sulla riva di uno

dei più grandi laghi dell’Himalaya, lo Tso Mo riri. Leggenda narra che nessuno si sia mai ba gnato nemmeno un dito; si temono correnti e… “Un’anomala forza di gravità che risucchia ver so il fondo.” Così dicono. In effetti non v’è nul la: un’immensa pozza blu come petrolio, densa, senza inizio né fine. La sporcizia non è parago nabile a ciò che ho visto in Pakistan, neppure in Nepal. Cani morti qua e là, merda dappertutto. Sui tetti delle capanne mai finite pellicce, taniche piene e vuote, plastica, copertoni, plastica, avan zi di cibo marcio, plastica e altra merda. Bambini belli e sporchi ci giocano sopra. Fotografare co sta fatica, sembra mancanza di rispetto. Intorno nessuno fa nulla. Qualcuno beve, qual cun altro sgrana un rosario buddista, i bimbi giocano e le donne, come ovunque, chiacchiera no. Mi chiedo se invece di pregare tanto non si possa costruire un cesso decente. Non giudico, m’interrogo. Perché in India, nella stessa aria in cui volano polveri nocive, fumi di cherose ne e tanfo di merda, s’innalzano verso il cielo i mantra appesi e sbrindellati, sussurrati dalle preghiere svolazzanti ovunque. E noi, che cosa facciamo volare?

Aiutatemi a rispondere. Davvero. Scrivetemi e risponderò: chiara.guglielmina93@gmail.com

P.S. Ci tengo.

Non giudico, m’interrogo. Perché in India, nella stessa aria in cui volano polveri nocive, fumi di cherosene e tanfo di merda, s’innalzano verso il cielo i mantra appesi e sbrindellati, sussurrati dalle preghiere svolazzanti ovunque. E noi, che cosa facciamo volare?

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SANTA CATERINA

CATERINA

D’OULX SAUZE D’OULX

SAUZE D’OULX

SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA

SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO MOSCO SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI ALLO SCILIAR SIUSI ALLO SCILIAR SOLDA SOLDA SONDRIO STRESA

STRESA TARVISIO TARVISIO TIRANO TIRANO

TREMEZZINA

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1607. LEADING RELAX HOTEL MARIA 1608. RESIDENCE LASTÈ 1609. RESORT DOLCE CASA 1610. HOTEL BELLAVISTA 1611. WINE HOTEL SAN GIACOMO 1612. HOTEL ALPECHIARA 1613. HOTEL PIANDINEVE 1614. SPORT HOTEL VITTORIA 1615. ALPIN HOTEL SONNBLICK 1616. HOTEL WALDHOF 1617. HOTEL BARRAGE 1618. HOTEL VILLA GLICINI 1619. HOTEL EUROPEO 1620. BEVERLY HOTEL 1621. DOLOMEET BOUTIQUE HOTEL 1622. HOTEL CRISTINA 1623. LEFAY RESORT&SPA DOLOMITI 1624. OLYMPIC PALACE 1625. BLU HOTEL ACQUASERIA 1626. GRAND HOTEL PARADISO 1627. HOTEL GARNI SORRISO 1628. HOTEL MIRELLA 1629. JOLLY RESORT&SPA 1630. RESIDENCE CLUB 1631. CHALET LA CIASETA 1632. FAMILY HOTEL GRAN BAITA 1633. HOTEL ANDA 1634. HOTEL TERME ANTICO BAGNO 1635. WELLNESS FASSA 1636. HOTEL CASTEL PIETRA 1637. FALKENSTEINER HOTEL 1638. HOTEL RUDOLF 1639. K1 MOUNTAIN CHALET 1640. MAJESTIC HOTEL & SPA RESORT 1641. PARKHOTEL SCHÖNBLICK 1642. ROYAL HOTEL HINTERHUBER 1643. GRAND HOTEL LIBERTY 1644. GRAND HOTEL RIVA 1645. HOTEL ANTICO BORGO 1646. HOTEL EUROPA 1647. HOTEL LIDO PALACE 1648. HOTEL LUISE 1649. HOTEL PORTICI 1650. HOTEL SOLE RELAX 1651. VILLA NICOLLI 1652. HOTEL LEON D’ORO 1653. HOTEL BELLERIVE 1654. HOTEL LAURIN 1655. HOTEL SALÒ DU PARC 1656. RIVALTA LIFE STYLE HOTEL 1657. HOTEL ORSO GRIGIO 1658. HOTEL VILLA STEFANIA 1659. NATURHOTEL LEITLHOF 1660. PARKHOTEL SOLE PARADISO 1661. POST HOTEL 1662. RESIDENCE SILVIA 1663. SPORTHOTEL TYROL 1664. ZIN SENFTER RESIDENCE 1665. HOTEL LA VETTA 1666. HOTEL LADINIA 1667. RENÈ DOLOMITES BOUTIQUE 1668. X ALP HOTEL 1669. HOTEL MONTE SELLA 1670. CHRISTOPHORUS MOUNTAIN 1671. HOTEL AL SONNENHOF 1672. HOTEL CHALET CORSO 1673. HOTEL CONDOR 1674. HOTEL MAREO DOLOMITES 1675. HOTEL TERESA 1676. RESIDENCE PLAN DE CORONES 1677. SPORTHOTEL EXCLUSIVE 1678. HOTEL BAITA FIORITA 1679. HOTEL RESIDENCE 3 SIGNORI 1680. HOTEL VEDIG 1681. CHABERTON LODGE 1682. HOTEL LA TORRE 1683. RELAIS DES ALPES 1684. AGRITURISMO MASO LARCIUNEI 1685. APARTMENTS SUNELA 1686. ARTHOTEL ANTERLEGHES 1687. ASTOR SUITES B&B 1688. BIANCANEVE FAMILY HOTEL 1689. BOUTIQUE HOTEL NIVES  1690. CHALET ELISABETH 1691. GRANBAITA DOLOMITES 1692. HOTEL AARITZ 1693. HOTEL ACADIA 1694. HOTEL ALPENROYAL 1695. HOTEL ANTARES 1696. HOTEL CHALET S 1697. HOTEL CONTINENTAL 1698. HOTEL DORFER 1699. HOTEL FANES 1700. HOTEL FREINA 1701. HOTEL GARNI DOLOMIEU 1702. HOTEL GENZIANA 1703. HOTEL MIRAVALLE 1704. HOTEL OSWALD 1705. HOTEL PORTILLO DOLOMITES 1706. HOTEL SOMONT 1707. HOTEL SUN VALLEY 1708. HOTEL TYROL 1709. HOTEL WELPONER 1710. LUXURY CHALET PLAZOLA 1711. MOUNTAIN DESIGN HOTEL 1712. MOUNTAIN HOME VILLA ANNA 1713. RESIDENCE ISABELL 1714. RESIDENCE VILLA FUNTANES 1715. RESIDENCE VILLA GRAN BAITA 1716. THE LAURIN SMALL&CHARMING 1717. WELLNESS RESIDENCE VILLA 1718. RESIDENCE VILLA AL SOLE 1719. HOTEL TRE CIME SESTO 1720. ALPENWELLNESSHOTEL ST.VEIT 1721. APARTMENTS RIEGA 1722. BERGHOTEL SEXTEN 1723. CIMA DODICI B&B 1724. FAMILY RESORT RAINER 1725. HOTEL ALPENBLICK 1726. HOTEL DOLOMITENHOF 1727. HOTEL MONIKA 1728. HOTEL MONTE CROCE 1729. BAD MOOS 1730. GRAND HOTEL SESTRIERE 1731. HOTEL CRISTALLO 1732. HOTEL IL FRAITEVINO 1733. HOTEL SHACKLETON MOUNTAIN 1734. PRINCIPI DI PIEMONTE 1735. ACTIVEHOTEL DIANA 1736. ARTNATUR DOLOMITES HOTEL 1737. HOTEL WALDRAST DOLOMITI 1738. MIRABELL ALPINE GARDEN 1739. NATUR RESIDENCE 1740. SCHWARZER ADLER 1741. SENSORIA DOLOMITES 1742. DOLMITES NATURE 1743. BAD RATZES 1744. HOTEL CEVEDALE 1745. PARADIES MOUNTAIN RESORT 1746. GRAND HOTEL DELLA POSTA 1747. GRAND HOTEL BRISTOL 1748. GRAND HOTEL DES ILES 1749. HOTEL ASTORIA 1750. HOTEL LA PALMA 1751. HOTEL MILAN SPERANZA 1752. HOTEL REGINA PALACE 1753. HOTEL EDELHOF 1754. HOTEL IL CERVO 1755. CURT DI CLEMENT ECO 1756. HOTEL CENTRALE 1757. HOTEL DOSSES 1758. ALPINHOTEL VAJOLET 1759. GRAND HOTEL TREMEZZO 1760. HOTEL LENNO 1761. ALBERGO ACCADEMIA  1762. BOUTIQUE EXCLUSIVE B&B 1763. GRAND HOTEL TRENTO 1764. HOTEL AMERICA 1765. HOTEL BUONCONSIGLIO 1766. BÄRENHOTEL 1767. BERGHOTEL HOTEL 1768. HOTEL CHRISTOPH 1769. KRONPLATZ-RESORT 1770. HOTEL DU LAC 1771. HOTEL ROYAL VICTORIA 1772. HOTEL VILLA CIPRESSI 1773. GRAND HOTEL MAJESTIC 1774. HOTEL ANCORA 1775. HOTEL BELVEDERE 1776. HOTEL PALLANZA 1777. GRAND HOTEL MIRAMONTI 1778. HOTEL DELLE ALPI 1779. HOTEL RESTAURANT LILIE 1780. WELLNESS PARADISE MOENA MOENA MOENA MONTEBELLUNA PADERNO DEL GRAPPA PALLEUSIEUX PASSO DEL TONALE PASSO DEL TONALE PERCA PERCA PINEROLO PINEROLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA PRIMIERO RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE/BRUNICO RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA ROVERETO SALÒ SALÒ SALÒ SALÒ SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN DOMENICO SAN GIOVANNI DI FASSA SAN GIOVANNI DI FASSA SAN GIOVANNI DI FASSA SAN VIGILIO DI FAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE
SANTA
SANTA CATERINA SAUZE
STRESA STRESA STRESA STRESA
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TREMEZZINA TRENTO TRENTO TRENTO TRENTO TRENTO
DI FIEMME
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LAST WORD

Eisenhower diceva che “le cose davve ro importanti sono raramente urgenti e le cose urgenti sono raramente importan ti.” L’urgenza sembra essere ormai una condizione ineluttabile. Se l’oro logio misura il tempo, l’urgenza ne appiattisce il trascorrere. Urgenza di parlare, di operare, di partire, di arri vare, col risultato di perdere l’oppor tunità di una riflessione, la necessità di una scelta meditata, il bisogno di un lavoro fatto con calma. Nel mar

keting l’urgenza è il linguaggio che oggi guida i “creatori del bisogno”, le quali vittime sono consumatori spesso inconsapevoli. Chi è capace di costruire “situazioni di urgenza” de tiene il potere di decidere per l’altro. Se si riesce a creare un forte senso di urgenza, allora si potrà facilmen te spingere i consumatori a fare e comprare ciò che si vuole. Sì perché le strategie per creare urgenza elimi nano la cosiddetta frizione cognitiva,

il meccanismo secondo il quale si tende a pensare e a riflettere in ma niera adeguata. Agire sotto la spinta dell’urgenza non è segno di efficien za e nemmeno di velocità. Il risultato è spesso quello di Pinocchio, che fra due strade prende sempre quella sba gliata, cieco e sordo nei confronti del le voci e delle riflessioni che necessa riamente richiedono tempo. Quando tutto è urgente, probabilmente niente è (davvero) importante.

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