• ISSUE 36 •
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EDITO BY
D AV I D E F I O R A S O RICOMINCIARE. Il sole è li, che prova a far finta di niente. Sono gli ultimi giorni di una stagione che non e più padrona. Nell'aria si rincorrono, anacronistici, i profumi e i colori di una terra di mezzo, di un periodo transitorio tra una dimensione e l’altra. E’ quel periodo in cui riprendono lavori, ripartono progetti. Con un pizzico di nostalgia, e un po’ di rassegnazione, oppure con quella carica derivante dalle tante cose belle viste, vissute e capite durante la pausa estiva. Ogni anno, nel momento in cui il ritmo riprende il suo corso, la domanda che ci si presenta è sempre la stessa: abbiamo ancora qualcosa da imparare oppure sappiamo già tutto? Torniamo annoiati e soddisfatti, oppure curiosi e aperti a quello che possiamo trovare? Se ci fate caso lo schema delle vacanze, e dei suoi racconti, è sempre lo stesso: prima le cose andavano male, eravamo stanchi, poi, ad un certo punto, abbiamo incontrato il Paradiso e tutto è andato per il meglio, tutto si è aggiustato. Perché accade questo? Perché in fondo, le pause, i viaggi, ci rassicurano sul fatto che la vita, ad un certo punto, incontra il suo lieto fine. Si alimenta in noi l’illusione che possa esistere qualcosa che ci risolva i problemi per sempre, che ci restituisca la tanto amata libertà. Sogniamo un’esistenza in cui ci si senta sempre bene e mai fuori posto. Ma una cosa così non esiste nel tempo, non esiste nella storia. Tutti i testimoni, tutte le località da sogno, hanno una propria realtà dietro la facciata da cartolina. Una realtà che non si fotografa, che non si racconta, ma che c’è e che è quella che permette proprio il lavoro necessario a capire e a riconquistare certe parole, certe verità, certe sicurezze. Ricominciare significa proprio questo: essere certi che la propria vita non si fonda su miti, illusioni o sentimenti, ma che si costruisce nell’esatto punto di mondo in cui ci si trova a vivere. Il posto che ci è stato assegnato; il luogo dove può avvenire il miracolo più grande. Per ricominciare, ogni mattina, a camminare.
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ISSUE 36 CONTENTS & CREW T H E D A I LY P I L L BEST MADE
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EDITOR IN CHIEF
Denis Piccolo | denis@hand-communication.com
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ANGELES CREST
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C O L L A B O R ATO R S
B I VA C C O
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DA N N E R L I G H T 4 0 T H A N N I V E R S A R Y B O O T
P. 5 2
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B R E A K T H E L AW O F G R AV I T Y
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SAKURA MICHI
P. 6 6
P E R F E C T O M U N D O . S T E FA N O G H I S O L F I
P. 7 0
A PA S H E R P A
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È MORTO IL PRIMO GHIACCIAIO
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ELIOT T SCHONFELD
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HOME TO LAKE
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FA B I A N O V E N T U R A
P. 9 4
E D I TO R I A L C O O R D I N ATO R S
Davide Fioraso , Giulia Boccola , Silvia Galliani
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Giulia Boccola , Silvia Galliani, Federico Mura PHOTOGRAPHERS & FILMERS
Sofia Parisi, Matteo Rossato, Fabrizio Bertone, Enrico Santillo, Dario Toso, Dario Marchini, Eva Bonk, Luca Albrisi, Antonio Isaja, Marta Manzoni C O M PA N Y E D I TO R
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hello@hand-communication.com | +39 333.7741506 The Pill rivista bimestrale registrata al tribunale di Milano il 29/02/2016 al numero 73
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Quando nella vita ti ritrovi sommerso dalla tua attrezzatura. Drew Smith riorganizza Ol 'Blue dopo essere tornato da un lungo viaggio di sei settimane in Sud America. ELIZA EARLE © 2019 Patagonia, Inc.
Trasporta il tuo equipaggiamento in tutta tranquillità. Borse Black Hole® in materiale riciclato Non dovrai più scegliere tra un borsone resistente e una borsa che riduce la quantità di rifiuti gettati nelle discariche. La collezione Black Hole® di questa stagione ha riciclato 10 milioni di bottiglie di plastica per realizzare il tessuto e le fettucce di questi resistenti compagni di viaggio.
THE DAILY PILL BY DAV I D E F I O R AS O
EUROPEAN OUTODOOR FILM TOUR 19/20 Con una premiere su invito che si è svolta il 9 ottobre a Monaco di Baviera, ha preso il via la nuova edizione dell’E.O.F.T., il più grande outdoor film festival d’Europa: oltre 500 serate in 20 paesi
diversi. Da 19 anni consecutivi l’European Outdoor Film Tour porta sul grande schermo film e
documentari d’eccezione che parlano di viaggi, azioni e avventure. Accanto a discipline classiche, come la mountain bike, il freeride, l’arrampicata o le spedizioni alpine, il tour si interessa anche a
nuove destinazioni del mondo outdoor, lontane dai terreni conosciuti, per offrire attimi di suspense e sorprese inaspettate. Info, date e programma completo su www.eoft.eu.
M A M M U T A N N U N C I A U N A N U OVA PA R T N E R S H I P C O N AVA L A N C H E G E E KS Mammut ha annunciato la partnership con Bruce Goodlad e Mike Austin di Avalanche Geeks, principale società di avalanche education nel Regno Unito. Bruce, guida alpina per 19 anni, ha lavorato come istruttore di alpinismo e guidato comitive in tutto il mondo, dall'Antartide alla Groenlandia.
E’ un ex direttore tecnico della British Mountain Guides (BMG), dove ha partecipato allo sviluppo
del loro programma di sicurezza. Mike è assistente di sci alpino nella American Mountain Guides ed è un membro professionale dell'American Avalanche Association. Bruce e Mike lavoreranno con Mammut per lo sviluppo del prodotto, condividendo le loro esperienze e diffondendole ai loro allievi.
PATA G O N I A A P R E U N N U O V O S T O R E A B E R L I N O Patagonia ha aperto un nuovo spazio a Berlino progettato per essere sia un negozio al dettaglio, sia
un punto di riferimento per gli attivisti e la comunità outdoor. Lo store in Münzstraße, nel quartiere Mitte, commercializza abbigliamento per arrampicata, sport invernali e trail running. Ospita
inoltre un punto di riparazione Worn Wear permanente, uno spazio dedicato al networking delle ONG, eventi, proiezioni, conferenze e opere di artisti locali. Patagonia può contare attualmente
su 9 negozi monomarca in tutta Europa e l’apertura dello store di Berlino si unirà alla già esistente location di Monaco come seconda destinazione tedesca.
NIMS PURJA NEL TEAM OSPREY EUROPE Osprey è orgogliosa di accogliere nella sua squadra l’alpinista Nirmal “Nims” Purja, membro dell’Ordine dell’Impero Britannico (MBE). Dopo aver trascorso più di 16 anni nelle forze armate
britanniche, ricoprendo anche ruoli nelle forze speciali, e più di 6 anni come guida alpina e capo spedizione, Nims si sta attualmente cimentando nel Project Possible, ovvero il tentativo di scalare i 14 Ottomila in soli 7 mesi e battere oltre 7 record di velocità su queste altitudini. La sfida ha segnato
il suo primo traguardo alle 5.40 del 22 maggio, quando Nims è arrivato in cima all’Everest con il suo zaino Aether Pro 70.
IL REBRANDING DI WOOLRICH Woolrich si rinnova dando una svolta contemporanea all'inconfondibile Buffalo Check, l’iconico
pattern che oggi racconta la nuova collezione FW 19-20. L’azienda, che ha da poco nominato
un nuovo amministratore delegato, Stefano Saccone, si racconta tra heritage, expertise e dinamismo. La riprogettazione passa attraverso lo storico motivo che ha sempre rappresentato la
contaminazione tra tradizione scozzese, patrimonio inglese (quello di John Rich il fondatore) e radici americane. Il restyling è stato curato dallo studio di design londinese Pentagram. A partire dalla nuova collezione l'emblema sarà presente su tutti i capi.
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ORTOVOX PROTACT 2024 ProtAct 2024 è un piano complessivo di azioni per una produzione sostenibile che Ortovox ha
presentato a ISPO 2019. Partendo da una serie di “pilastri” della propria filosofia, Ortovox porterà avanti progetti e azioni per arrivare entro il 2024 ad un assetto il più possibile sostenibile. In particolare verranno amplificate le seguenti iniziative: la Ortovox Wool Promise, la compliance con
tutti i requisiti della Fair Wear Foundation, l’Origine Alpina (entro il 2024 il 60% della produzione
sarà in Europa), la protezione della montagna, l’eliminazione dei PCF da tutti i prodotti, il riciclo e riuso delle materie prime (lana e fibre sintetiche riciclate).
NASCE IL BOA PERFORMANCE FIT LAB Boa Technology ha annunciato l’apertura, presso la sede di Denver, del Boa Performance Fit Lab,
un laboratorio di 250 m² in cui sperimentare le soluzioni e le innovazioni del fit, per ottenere i massimi benefici nella performance. I dati biomeccanici raccolti nelle tre aree principali (velocità
e agilità, salute e resistenza, potenza e precisione) serviranno a dimostrare scientificamente i vantaggi del fit nell’ambito degli sport competitivi. I test verranno condotti utilizzando strumenti e
tecnologie innovative, come un carrello metabolico, piastre di forza, un percorso di hiking artificiale e altro ancora. Prima di essere utilizzati nella fase di ricerca e sviluppo, i dati saranno validati dall’Università di Denver.
CHRIS HUFNAGEL NUOVO GLOBAL BRAND PRESIDENT DI MERRELL Wolverine World Wide, azienda proprietaria, tra gli altri, dei marchi Chaco, Saucony e Sperry, ha
annunciato la nomina di Chris Hufnagel a nuovo global brand president di Merrell, ruolo precedentemente ricoperto da Sue Rechner. Da 10 anni in Wolverine, Hufnagel è stato recentemente presidente del marchio Cat Footwear e vicepresidente senior della Wolverine Way Forward. Prima
di entrare in Wolverine, ha ricoperto ruoli di leadership in Under Armour, Gap e Abercrombie & Fitch. Hufnagel riferirà direttamente a Todd Spaletto, presidente del Wolverine Michigan Group.
N I K E E S PA N D E I L S U O E U R O P E A N L O G I S T I C S C A M P U S Con il nuovo centro di distribuzione di Ham, in Belgio, Nike amplia il campus logistico europeo, inaugurato nel 1994, che oggi comprende sei strutture dislocate tra Laakdal, Meerhout e Herentals. The Court, così ribattezzato, espande le capacità logistiche di Nike promuovendo nel contempo
un’architettura altamente sostenibile, in cui il 95% dei rifiuti generati viene riciclato. 140.000 mq
alimentati completamente da energia eolica, solare, geotermica, idroelettrica e da biomassa. La
rete di canali circostanti consente al 99% dei container in entrata di giungere a destinazione eliminando circa 14.000 viaggi su gomma ogni anno.
K AT H M A N D U D I V E N TA L A P I Ù G R A N D E B C O R P O R AT I O N I N AU S T R A L A S I A Con il recente riconoscimento di B Lab, Kathmandu diventata uno dei più grandi marchi di abbigliamento e attrezzature outdoor, a livello globale, a ottenere la certificazione B Corporation, il
primo elencato pubblicamente in Nuova Zelanda. Il processo di valutazione misura le prestazioni di un'azienda in cinque categorie: governance, lavoratori, clienti, comunità e ambiente. Scopo del movimento è fare in modo che la performance ambientale e sociale sia misurata in maniera tanto
solida quanto i risultati economici, rendendo trasparente il punteggio ottenuto attraverso il protocollo B Impact Assessment. Ad oggi sono oltre 3.000 le aziende certificate B Corps. 8
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Il secondo strato ideale da indossare prima, durante o dopo l’allenamento. La particolare lavorazione a maglia facilita la circolazione dell'aria e consente un perfetto equilibrio con la propria temperatura corporea. Ogni dettaglio è pensato per offrire un alto livello di comfort e una grande libertà di movimento con una totale assenza di cuciture e l’utilizzo di fibre ultraleggere e traspiranti. Un look da indossare facilmente in ogni occasione.
Lo smartwatch progettato per resistere alle condizioni ambientali più estreme. E’ sviluppato secondo lo standard militare USA 810G che garantisce resistenza termica e un'impermeabilità fino a 100 metri. Bussola a 3 assi e altimetro barometrico, multi ricezione dei sistemi satellitari Gps, Glonass e Galileo in grado di rendere l'acquisizione più precisa, anche in aree remote. Le funzioni di tattica includono la modalità Stealth che interrompe e disattiva qualsiasi comunicazione.
Resistenza e stile in un modello di classe concepito per l’All Mountain, l’Enduro e il Freeride. Il palmo è composto da un singolo pezzo di cuoio che evita fastidiose cuciture e fornisce un feeling ottimale sulla presa manubrio. Il dorso presenta una struttura in mesh traspirante con protezioni aggiuntive sulle nocche e un inserto in microfibra per asciugare il sudore del viso. La caratteristica Digital_Tips facilita l’uso di qualsiasi touchscreen.
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Un nuovo compagno di viaggio per gli appassionati di vita all’aria aperta. W20 di Outxe è un power bank wireless da 20.000 mAh in grado di ricaricare fino a tre dispositivi contemporaneamente. Dispone di un pannello solare ed una pratica torcia a LED con 3 modalità di illuminazione. E’ resistente alla polvere, agli urti e agli schiacciamenti. Vanta un grado di protezione IP67 e può essere immerso fino a un metro di profondità.
Kammok, marchio divenuto celebre per le sue amache, ha lanciato su Kickstarter la prima collezione di zaini e travel bag: il daypack Burro Zip 18, pensato per le piccole avventure, lo zaino Burro Roll 26 e il Duffel 30 per viaggi prolungati. Forti, leggeri e funzionali, tutti i modelli utilizzano una costruzione in nylon ripstop Adamas 70D con rivestimento in Pu, cuciture nastrate e zip Ykk AquaGuard. Sono dotati di un pannello posteriore imbottito in Eva e tasche esterne in Lycra Stretch Mesh.
Fresca vincitrice del Red Dot Award 2019, Skotti è una griglia portatile dal peso inferiore ai 3 kg, facile da trasportare all’interno di qualsiasi zaino grazie alla comoda custodia. E’ composta da pannelli in acciaio inossidabile di alta qualità, sagomati a laser, che possono essere montati e smontati in un batter d'occhio e puliti con estrema facilità. Viene fornita con la sua bombola di gas, ma può anche funzionare con carbone o legna.
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Aclima ha prodotto il primo woollen overall sul mercato, uno strato termico che elimina il problema del freddo e della neve sotto i vestiti. La comodità di utilizzo è data dalle cerniere a doppio cursore nella parte anteriore, attorno al fondoschiena e lungo le gambe. Ha dei fori per i pollici sulle maniche per mantenere le mani calde ed un cappuccio che può diventare scaldacollo o passamontagna. La versione 3/4 è concepita per l’utilizzo con scarponi da sci.
Una nuova imbragatura all’insegna della polivalenza, caratterizzata dall’innovativa costruzione Smart Webbing Technology che offre ai climber un comfort mai provato prima garantendo una distribuzione del carico uniforme. L’imbottitura in Eva espansa traforata e l’interno in mesh 3D assicurano un’eccellente traspirabilità mentre il sistema DeltaFrame sui cosciali è sinonimo di grande supporto quando si resta appesi in sosta o durante le calate in doppia.
L’originale custodia termica che protegge lo smartphone dagli effetti del sole e dagli sbalzi termici. Realizzato con tecnologia delle tute spaziali, Apollo di Phoozy è la prima custodia al mondo che riflette più del 90% delle radiazioni solari, salvaguardando il dispositivo dal calore e dal freddo estremo. L’Impactor Core Layer fornisce protezione agli urti e impatti al suolo da un’altezza di 180 cm, permettendo anche il galleggiamento in acqua.
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Scarpetta ottimale per l’arrampicata di precisione, con una flessibilità che si presta bene su appoggi di aderenza. La costruzione della tomaia e il sistema di tensione si concentrano su un unico obiettivo: combinare performance, efficienza e comfort. Booster si adatta alla dinamica del piede in movimento e trasmette piena fiducia in ogni situazione. Un modello innovativo caratterizzato da materiali di alta qualità: microfibra di ultima generazione, Alcantara e quattro densità di gomma.
Giant ha voluto affinare il concetto di mountain bike elettrica trasformando la piattaforma Reign in una e-mtb che ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo punto di riferimento nel settore dell’enduro a pedalata assistita. Con la batteria obliqua perfettamente integrata sul telaio, una linea sinuosa e una colorazione che non passa inosservata, dispone di geometrie moderne e componentistica al top, completando un quadro esaltante per i rider che cercano una compagna affidabile.
Un modello unico e brevettato, ripiegabile in quattro parti, per diventare il più compatto dei crash pad. Le cinghie rimovibili, sul lato inferiore, vengono fissate tramite chiusure in velcro e possono essere riposte nella tasca integrata. E’ composto da due tipi di imbottitura per garantire una protezione ottimale: 15mm di schiuma Eva impact reducing e 10 cm di schiuma poliuretanica ad alta densità. Può essere suddiviso in due metà indipendenti per l'uso su traversi, o come materasso da bivacco.
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Durante la settimana della moda di Parigi WM ha presentato la nuova collaborazione con Eastpak; un incontro tra design, funzionalità e tecnologia. Novità assoluta questa Vest Bag, disegnata da Yosuke Aizawa, che può essere adattata secondo lo stile e indossata in tre differenti combinazioni. Presenta scomparti modulabili e molteplici tasche con chiusura a zip. Lo streetwear giapponese a nuovi livelli.
Norse Projects, brand nato nel cuore di Copenhagen, anche per l’autunno/inverno presenta una capsule prodotta in collaborazione con Gore-Tex. Una tavolozza di colori Glacier Grey, Black o Dark Navy che vede il gran ritorno del parka Rokkvi in una versione imbottita con piuma d'oca certificata secondo lo standard UE 90/10. Massima impermeabilità (28.000 mm colonne d'acqua) e alta traspirabilità.
1 . PATAG O N I A X DA N N E R R I V E R S A LT WA D I N G B O OT S
Dopo il successo delle prime partnership con adidas Originals, Gore-Tex presenta la collezione PT3 Lascu fondata su tre componenti: la filosofia adidas Originals "the past empowers the future", la collaborazione open source con Conroy Nachtigall e le tecnologie Gore-Tex. Nella collezione AW 2019 due copricapi impermeabili e traspiranti nonché pantaloni Gore-Tex Infinium resistenti al vento.
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Merrell e Dogfish Head Craft Brewery hanno lanciato una scarpa da trail running che celebra due passioni comuni: la vita all'aria aperta e la birra. Il design e la colorazione si ispira alla birra più dissetante che Dogfish Head abbia mai prodotto: la SeaQuench Ale. Sono realizzate, ove possibile, con soluzioni sostenibili: gomma di scarto rigenerata, schiuma di alghe Bloom e plastica riciclata.
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7. A T M O S X C O L U M B I A
8.HUCKBERRY X HOWLER BROTHERS
9.SWIFT INDUSTRIES X KONA
Dopo il grande lavoro svolto dal team di Atmos per la capsule outerwear rivelata a inizio 2019, Columbia ha chiesto al marchio giapponese di personalizzare la sua ultima creazione in fatto di calzature. Si tratta della nuovissima sneaker SH/FT OutDry Mid uscita a settembre. La tomaia in stretch-knit impermeabile e gli inserti in pelle pieno fiore sono stati rivisitati con una colorazione ispirata dalla cultura rave.
LI G H T N I N G Q U I LT E D JAC K E T
ROVE ST
Howler Bros. è stato uno dei primi marchi a credere nella visione di Huckberry. Da allora i due sono diventati come Butch Cassidy e Sundance Kid. La Lightning Quilted Jacket fa parte della North Coast Jungle Collection, capsule in edizione limitata caratterizzata dall’esclusiva Jungle Print. Una giacca ultraleggera con isolamento PrimaLoft da 60 g e fodera esterna in poliestere ripstop resistente all'acqua.
Kona Bikes ha stretto una partnership con il brand di Seattle Swift Industries per equipaggiare il suo modello da bikepacking Rove ST con borse abbinate e tocchi personalizzati. La Swift Rove, così ribattezzata, esce in soli 201 esemplari allestiti con borse laterali Jr. Ranger, borsa da manubrio Paloma e borsa da sella Zeitgeist. Portapacchi anteriore Tubus Tara Lowrider Big Apple e sella Brooks B17 Imperial.
1 0 . RAPHA X COLONNA
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COFFEE CAPSULES
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Ciclismo e caffè sono due termini spesso associati. E Rapha, da sempre, celebra questo connubio. Nessun giro di gruppo termina senza una sosta e nessuna clubhouse è completa senza la sua macchina da caffè. Il brand fondato da Simon Mottram ha lavorato con i coltivatori locali nella regione di Antioquia, in Colombia, per creare La Palma, una miscela fornita in comode capsule 100% plastic-free e completamente riciclabili.
Questo capo unisex, dall’'esclusivo stile postpop , è realizzato sulla base del Signature Pro race fit jersey utilizzando tessuti italiani di alta qualità con maniche a micro-trama intrecciata. Tutti i profitti della vendita andranno in beneficenza al World Bicycle Relief.
Helly Hansen e Puma hanno presentato la nuova capsule trail-ready per l’autunno/inverno 2019. Una collezione che prende ispirazione dagli anni '90 guidata da tre modelli di sneaker con un gradito miglioramento alla silhouette: Nitefox, Trailfox MTS e LQS CELL Omega. Utilizzano la stessa combinazione di colori con inserti in arancione vivido, dettagli all terrain e logo a marchio congiunto.
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ECO SEVEN BY DAV I D E F I O R AS O
˜ FAIRPHONE 3: IL NUOVO SMARTHPONE ECQUOSOLIDALE Fairphone è un’impresa olandese che produce smartphone ecosostenibil.Intervenendo sulle sfide sociali e ambientali dell’industria elettronica, cerca di creare un impatto positivo sulla catena di estrazione dei minerali, sul processo manifatturiero e sul ciclo di vita del prodotto. Fairphone 3 è un telefono veloce, sicuro e affidabile realizzato mediante l’approvvigionamento responsabile di materiali riciclati provenienti da fonti in cui viene garantito il sostegno ai lavoratori. Utilizza un sistema operativo Android 9 con processore Qualcomm Snapdragon 632, una batteria sostituibile a lunga durata e una struttura modulare che lo rende facilmente riparabile anche da casa. Nella confezione non sono inclusi carica batteria o cuffie, così da riutilizzare quelli che hai già e contribuire alla riduzione di rifiuti elettronici.
ORTOVOX WOOL PROMISE: UN PER LA LANA EQUO SOLIDALE
IMPEGNO
Oltre all’impegno per garantire condizioni di lavoro eque, Ortovox sente una grande responsabilità nei confronti dei suoi fornitori a quattro zampe. Con il programma Wool Promise, il marchio tedesco ha creato uno standard per la lana che pone il benessere degli animali al primo posto. Basandosi sul Responsible Wool Standard, Ortovox Wool Promise ha optato per un approccio ancora più ampio, concentrandosi anche sulla gestione delle farm, del territorio, sul trasporto e la macellazione. Ortovox ha stipulato contratti a lungo termine con sette aziende della Tasmania, instaurando un contatto stretto e personale con gli allevatori. Nel corso di visite regolari i collaboratori dell’azienda incontrano i partecipanti alla catena di commercializzazione, scambiando opinioni dirette per incentivare le buone pratiche d’allevamento.
PATAGONIA: FIGHT THE CLIMATE CRISIS Il nostro modo di vivere, governare e condurre gli affari sta surriscaldando la Terra e danneggiando irreparabilmente l'acqua, l'aria e i terreni fertili di cui abbiamo bisogno. Patagonia combatte da anni per proteggere luoghi selvaggi, fiumi incontaminati e animali selvatici, lottando per apportare i cambiamenti necessari. Come dice il fondatore Yvon Chouinard, la cura contro la depressione è l'azione. Con una campagna a favore dei giovani attivisti che manifestano per il futuro del nostro pianeta, Patagonia ha fortemente supportato il Global Climate Strike a favore di un'azione audace, urgente, che infonde energia a un movimento. Tutti noi oggi condividiamo una sfida comune: solo questo può darci speranza. Non è troppo tardi. Ognuno di noi può fare qualcosa. Tutti ne trarremo beneficio.
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ECO SEVEN OSPRE Y E IL PIANO DI SOSTENIBILITA’ Osprey ha annunciato il piano per diventare il brand di beni outdoor più innovatore, trasparente e sostenibile al mondo. Un viaggio iniziato nel 1974 con la creazione del suo primo zaino fatto per durare nel tempo. Tra i punti salienti la All Mighty Guarantee, con cui garantisce di riparare e rimettere in uso i propri articoli, e l’ampio programma di ricondizionamento che, solo nel 2018, in Europa, ha permesso di dare una seconda vita a oltre 2.000 zaini. Questo impegno porta con sé anche l’esigenza di sviluppare nuovi processi: nella primavera 2020 ci sarà il lancio del rivestimento C0 DRW e si avrà il primo passaggio a materiali riciclati negli zaini delle nuove serie Archeon e Arcane. Proseguirà inoltre il sostegno a progetti ambientali, sia locali che internazionali, anche attraverso nuovi piani di collaborazione con Eoca.
RECORD DI SOVVENZIONI PER LA CONSERVATION ALLIANCE The Conservation Alliance, collettivo di imprese che dal 1989 supporta le organizzazioni ambientaliste negli sforzi per proteggere i luoghi selvaggi in tutto il Nord America, ha annunciato un nuovo ciclo di sovvenzioni, a 22 diversi progetti di tutela, per una cifra record che raggiunge i 900.000 dollari. Si tratta della più grande sovvenzione mai erogata prima dalla sua fondazione. Complessivamente, questi progetti mirano a proteggere più di 19 milioni di acri di terra e 1.046 miglia fluviali. Le sovvenzioni coprono principalmente progetti negli Stati Uniti e in Canada. Due delle 22 organizzazioni hanno ricevuto finanziamenti da The Conservation Alliance per la prima volta: Alachua Conservation Trust e Ducks Unlimited.
BIOLITE NELLA CHANGE THE WORLD LIST 2019 DI FORTUNE Grazie al suo impegno nei mercati emergenti e alle sue innovazioni nelle soluzioni energetiche off-grid, BioLite è una delle sei società nominate nella lista Change the World: Ones to Watch dalla celebre rivista Fortune. I prodotti HomeStove e SolarHome 620 oggi sono in grado di fornire metodi di cottura, ricarica e illuminazione in modo sicuro e conveniente alle famiglie che vivono in condizioni di povertà energetica, riducendo le emissioni da combustibile e generando energia pulita da cui è possibile caricare un dispositivo mobile e ottenere illuminazione a Led. Ad oggi, BioLite ha avuto un impatto positivo su oltre 515.000 persone, generando quasi 382 milioni di Watt di elettricità ed evitando oltre 216.000 tonnellate di CO2.
VF CO R PO RATI O N PIAN I FI CA D I SOS PE N DERE GLI ACQUISTI DAL BRASILE Dall'inizio dell'anno più di 70.000 incendi boschivi stanno devastando le foreste pluviali dell’Amazzonia. Roghi dolosi appiccati per vari scopi, dalla prevenzione di incendi spontanei all'ottenimento di nuove terre per l'agricoltura. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, VF Corporation, proprietaria di marchi come Vans, The North Face e Timberland, sta pianificando di sospendere l’acquisto di cuoio e pellame dal Brasile. Il paese è difatti il maggiore esportatore di carne bovina al mondo e anche il più grande fornitore di pelle. Il ruolo degli allevatori di bestiame nel paese sudamericano è enorme. VF ha dichiarato: L'attività non riprenderà fino a quando "non avremo la fiducia e la certezza che i materiali utilizzati nei nostri prodotti non causeranno ulteriori danni ambientali nel paese".
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Climbing Team Vibram
Barbara Zangerl, Eva Hammelmüller, Jernej Kruder, Fanny Gibert, Nicolò Balducci e Jorg Verhoeven. Il nuovo Climbing Team Vibram. Provengono da Austria, Slovenia, Francia, Italia e Olanda, e sono specializzati in diverse discipline dell’arrampicata. Ma sono tutti accomunati dalla stessa passione, entusiasmo e grinta. Le stesse caratteristiche di Vibram che, ancora una volta, riconferma la sua volontà di supportare il movimento climbing e di investire sempre più risorse per proporre al mercato soluzioni performanti e innovative. Conosciamoli nello specifico!
Barbara Zangerl, austriaca, 31 anni, scala da quando ne aveva 14. Esperta di salite in libera, nel suo palmares vanta El Capitan (El Nino, Zodiac, Magic Mushroom), la prima ascesa femminile in libera di Odyssee sull’Eiger, diverse arrampicate sportive fino al 9a e il recente titolo di “Adventurer of the Year 2019” di National Geographic. Sempre alla ricerca di nuove sfide, Barbara porta nel team Vibram tutta la sua esperienza e la sua voglia costante di affrontare nuove sfide. Jernej Kruder, nato in Slovenia nel 1990, è il vincitore della Bouldering World Cup 2018 e primo ripetitore di “Es Pontas”, famosa via di deep water solo sull’arco di Maiorca. Uno scalatore poliedrico a cui piace cimentarsi nelle diverse specialità tra cui trad, deep water soloing, arrampicata sportiva e climbing multi-pitch. Tra i prossimi obiettivi di Jernej le Olimpiadi di Tokyo 2020 e la conquista di nuove vie. Fanny Gibert conosce l’arrampicata da bambina sull’Isola di Reunion. Classe 1993, è iscritta alla facoltà di ingegneria meccanica, dividendo la sua vita fra studio e boulder. Vince per tre volte il campionato francese di boulder, nel 2018 conquista il terzo gradino del podio della Bouldering World 22
Cup. Il suo obiettivo per il futuro è partecipare alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Altra quota rosa, Eva Hammelmüller, a soli 19 anni ha già vinto due volte i campionati europei giovanili di lead e combinata ed ha ottenuto un ottimo quarto posto ai campionati mondiali giovanili di boulder 2016. Sempre alla ricerca di nuove sfide nelle quali cimentarsi, Eva trasmette determinazione e grinta a tutto il team. Jorg Verhoeven, nato nel 1985, è l’altro veterano del team nonché capitano. Da oltre 15 anni compete a livello internazionale e vanta numerosi successi (oltre 25 podi di lead e bouldering) e la vittoria dei Campionati mondiali 2008. Le sue conquiste più significative annoverano il The Nose (5.14), Dihedral Wall (5.14), Brento Centro (8b), in aggiunta a vie di arrampicata sportiva fino al 9 grado e boulder al 8C. Chiudiamo il cerchio con il più giovane del team. Nicolò Balducci ha solo 16 anni ma da sempre vive a stretto contatto con le Alpi. In poco tempo ha raggiunto risultati eccezionali e ha scalato fino all’8B di boulder e ripetuto prestigiose vie di arrampicata sportiva.
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Garmin e Ortovox Obiettivo sicurezza
Garmin e Ortovox hanno unito le proprie forze per la stagione invernale 2019/20. Sono molte infatti le caratteristiche che accomunano i due noti brand: l’altissima qualità dei prodotti, l’attenzione alla ricerca tecnologica e la passione per il mondo outdoor. Ma c’è un altro aspetto che rende le due aziende più unite che mai, la priorità che danno al tema della sicurezza. Ortovox, fin dalla sua fondazione, ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo di prodotti per le emergenze in montagna, che, ancora oggi, contribuiscono a rendere gli sport alpini più sicuri e a salvare vite umane. Garmin, invece, grazie all’affidabilità dei suoi prodotti e alla continua ricerca di soluzioni dedicate ai diversi e specifici utilizzi del ricevitore satellitare, è diventata leader nel settore outdoor e la sua strumentazione è indispensabile per qualsiasi tipo di attività. Da anni Ortovox porta avanti il programma Safety Academy, dei corsi ed eventi legati alla sicurezza
su neve coordinati e gestiti in collaborazione con guide alpine UIAGM a garanzia della massima qualità e uniformità didattica e operativa su tutto l’arco alpino. Proprio nell’ambito di questo programma di incontri si realizzerà concretamente la collaborazione tra i due brand. In ognuna delle date in calendario, Garmin sarà presente con il suo staff tecnico per la presentazione dei prodotti inReach e in particolare del suo ultimo dispositivo, il GPSMAP 66i, con tecnologia di comunicazione satellitare integrata, che permette di richiedere soccorso in caso di necessità in qualsiasi luogo ci si trovi, soprattutto laddove non esiste copertura telefonica, appoggiandosi alla rete Iridium, la più performante rete di satelliti per la comunicazione. Sarà quindi l’occasione per scoprire in dettaglio un eccellente dispositivo di sicurezza e di vederlo in azione in uno degli ambiti, la montagna, in cui il suo supporto può rivelarsi di vitale importanza.
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Sono molte infatti le caratteristiche che accomunano i due noti brand [...] Ma c’è un aspetto che rende le due aziende più unite che mai, la priorità che danno al tema della sicurezza.
Hansi Heckmair PHOTO
Fondata nel 1980 ai piedi delle Alpi bavaresi, ORTOVOX rappresenta il più sofisticato SISTEMA PER LA PROTEZIONE e il CONFORT nelle attività di montagna, realizzato nel pieno rispetto di persone e ambiente. Prodotti per la sicurezza innovativi, zaini tecnici e capi da montagna funzionali, realizzati in lana totalmente sostenibile, sono il cuore della nostra azienda. Scoprite di più su ortovox.it
Under Armour From Street to Summit
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Si chiama From Street to Summit ed è la nuova collezione FW19/20 di Under Armour che supporta gli sportivi in diverse attività all’aria aperta. Giacche tessute, body eleganti, gilet tattici e pantaloni in pile, una linea completa dalla testa ai piedi ed ideale per ogni disciplina dal running al training.
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l brand unisce il suo know-how sull’abbigliamento performante ad elementi di stile senza perdere mai di vista la propria mission, rendere ogni atleta migliore. Allenarsi all’aperto infatti combatte lo stress, cambia l’umore e ci pone sempre davanti a nuove sfide con cui confrontarci e migliorarci. Ispirati da questo cambiamento nell'ambiente, questi nuovi prodotti sfruttano materiali e silhouette ottimizzati per l'atleta moderno che deve affrontare tutti i tipi di paesaggio. Under Armour ha collaborato con la maratoneta Chase Carter, nativa delle Bahamas e cresciuta correndo per le strade di Nassau, per progettare i look di questo primo drop della capsule per uomo e donna per l'Autunno/Inverno 2019. La seconda parte della linea sarà lanciata invece a Dicembre 2019. Oltre a capi di abbigliamento la collezione comprende anche una nuova calzatura outdoor. La UA Valsetz Trek nasce partendo dallo stivale tattico di lunga durata di Under Armour ed è una ri-progettazione che offre velocità, comfort e linee moderne per percorrere tutti i tipi di terreno. Così come gli altri prodotti della linea è realizzata con tecnologia micropile Polartec ed è composta al 100% da materiale riciclato post consumo. La struttura crea sacche d'aria termiche per trattenere il calore senza rinunciare alla traspirabilità. Ne deriva una scarpa resistente, traspirante, idrofoba e ad asciugatura rapida adatta a qualsiasi tipo di condizione.
Under Armour ha collaborato con la maratoneta Chase Carter, nativa delle Bahamas e cresciuta correndo per le strade di Nassau, per progettare i look di questo primo drop della capsule uomo e donna per l'Autunno/Inverno 2019.
La scarpa dalla costruzione moderna presenta un sistema di allacciatura web tecnico ispirato all’escursionismo ed una suola fuoristrada costruita per la velocità e la trazione in qualsiasi ambiente. Intersuola Eva Micro G Tm ultraleggera e suola in gomma ad alta trazione che aderisce a qualsiasi superficie, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche, ne fanno una calzatura confortevole e dalle alte prestazioni.
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ATTRACT
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Aku, Gore-Tex e Vibram. Un matrimonio storico e duraturo. L’autunno inverno 2019 di Aku porta con sé un bel po’ di novità. Per la collezione Mountain Inspired, il brand italiano presenta Bellamont III Gtx, restyling di un modello diventato ormai un’icona della collezione.
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autunno inverno 2019 di Aku porta con sé un bel po’ di novità. Per la collezione Mountain Inspired, il brand italiano presenta Bellamont III, nuovo design di un modello diventato ormai un’icona della collezione. Questa calzatura per il tempo libero ispirata alla montagna è 100% Made in Europe ed è caratterizzata da nuove linee essenziali e dettagli stilistici sulla tomaia che ne valorizzano il design e la funzionalità. Il collarino in pelle di alta qualità segue la forma anatomica del malleolo e garantisce eccellente comfort di calzata mentre la protezione della punta in gomma è ridimensionata in modo da offrire al tempo stesso eleganza e protezione in escursioni facili e adatte per il fine settimana. La nuova mescola della suola Vibram XS Trek Evo Compound aumenta il livello di tenuta su superfici fredde e umide, rendendola adatta anche per l'uso invernale. La fodera è in Gore Tex Performance Comfort che offre un livello di isolamento moderato in grado di mantenere i piedi asciutti e comodi durante le attività all’aperto con diverse condizioni climatiche e temperature da fresche a variabili, mantenendo l’impermeabilità durevole nel tempo.
dizionale di Aku. Si tratta di una scarpa casual da utilizzare sia nel tempo libero che in viaggio e che mantiene il piede sempre caldo e protetto dalle intemperie, garantendo la giusta traspirabilità per favorire la fuoriuscita del sudore. La suola è in Vibram Cruise che assicura massima aderenza e ammonizzazione su ogni tipo di terreno mentre la fodera è in Gore Tex Extended Comfort, ideale in condizioni climatiche variabili, da temperature miti a più calde. La traspirabilità elevata previene il surriscaldamento del piede mentre l’ottima conduttività termica e la eccellente gestione dell’umidità assicurano un comfort climatico all’interno della scarpa sia durante attività a sforzo elevato così come nella vita di tutti i giorni.
L’altra novità interessante fa parte della collezione Multiterrain, una linea che comprende scarpe versatili e ultraleggere per un utilizzo dinamico e intenso. Il modello Rapida NBK amplia infatti la sua offerta con una nuova versione in pelle Nabuk. Una scarpa morbida che protegge il piede ed è quindi ideale per le escursioni in montagna e le gite a contatto con la natura. Questa speciale calzatura dal look sportivo e con dettagli altamente tecnici aggiunge stile e versatilità al comfort tra-
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Questa calzatura per il tempo libero ispirata alla montagna è caratterizzata da nuove linee essenziali e dettagli stilistici sulla tomaia che ne valorizzano il design e la funzionalità.
BY GIULIA BOCCOLA
Scarpa tinge di rosa la montagna.
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iamo a Livigno, nell’incantevole piccolo Tibet delle Alpi, destinazione che nel 2026 ospiterà le gare di snowboard e freestyle dei Giochi Olimpici, invitati insieme ad altre giornaliste al primo camp tutto al femminile organizzato da Scarpa, azienda famigliare trevigiana che dal 1956 si è fatta strada tra sacrifici, successi, sfide e conquiste, diventando quella che oggi è considerata come leader nella creazione di calzature da montagna. S.C.A.R.P.A acronimo per Società Calzaturifici Asolani Riuniti Pedemontana Anonima, oggi vede Cristina Parisotto come unica donna della famiglia al vertice, mente creativa che con il suo carisma e la sua energia è riuscita ad incantare tutte le ragazze presenti al female camp. Unica donna della seconda generazione, inizia a lavorare insieme al papà Francesco a soli 13 anni occupandosi degli ordini commerciali, seguendo le vendite delle calzature nei negozi del Trentino Alto Adige. Da subito realizza che il suo essere donna l’avrebbe da sempre sfavorita nel realizzare i suoi personali progetti di vita, ma nonostante sia sempre stata l’unica quota femminile, Cristina è riuscita a farsi strada da sola, seguendo le orme del padre, dando vita ad una delle scarpe più famose e vendute in tutto il mondo: la Mojito, che quest’anno compie il suo decimo compleanno, nonché uno dei modelli più copiati nel mondo outdoor. Da vera appassionata di montagna, ha esplorato e viaggiato moltissimo nel corso della sua vita, lasciando il suo cuore in un luogo molto importante per lei, il Nepal, dove grazie al suo aiuto Scarpa ha finanziato la realizzazione di una scuola. Raccontandoci del suo marchio e della sua magnifica storia, ci ha parlato anche delle quote rosa sempre più numerose in azienda e del fatto di voler far conoscere il brand ad un pubblico sempre più femminile, e quale modo migliore se non farlo tramite un camp tutto rosa? Una due giorni all’insegna dello sport, dello stare bene e del relax, circondate da splendidi paesaggi e profumi inebrianti. Lontano da tutto e da tutti, due giorni di puro edonismo.
Quest’esperienza è iniziata ad Avventurando, il nuovo parco avventura realizzato dalle Guide Alpine di Livigno in Val delle Mine, dove insieme al nostro caschetto e al nostro imbrago, e con quel mix di adrenalina e paura, abbiamo passato il pomeriggio ritornando bambine, all’insegna del divertimento grazie alle discese in carrucola, agli attraversamenti aerei su ponti tibetani e alle piccole ferrate. Qui la nostra più grande alleata è stata la Neutron 2, un modello comodo dall’ottima ammortizzazione, in grado di avvolgere il piede come un calzino, garantendo una buona stabilità su ogni tipo di terreno. Dopo aver compiuto la nostra super impresa, abbiamo concluso la giornata nell’area Wellness&Relax del centro di Aquagranda, dove abbiamo avuto modo di rilassarci e di regalarci delle vere e proprie coccole, come la partecipazione al rituale dell’Aufgussmeister, dove tramite delle gettate di vapore abbiamo purificato la nostra pelle. La seconda giornata è iniziata invece con un piacevolissimo risveglio muscolare mattutino, studiato ad hoc solo per noi per aiutare ad armonizzare e a rinforzare gli organi fem-
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minili. Una pratica molto dolce iniziata con un massaggio all’ombelico, centro energetico fondamentale del nostro corpo, per poi proseguire con una successione di asana volte a darci la giusta carica per affrontare al meglio le due ore di hiking che ci avrebbero aspettato subito dopo. In seguito ad un cambio abiti molto veloce, eccoci di nuovo all’aperto, questa volta alla scoperta della Val Federia; una valle meravigliosa con le sue Tee che si fondono perfettamente con l’ambiente circostante. Un paesaggio ampio che si sviluppa in lunghezza, ricca di colori e profumi, adatta a qualsiasi tipo di gamba grazie al suo facile accesso. Per questo leggero hiking, abbiamo testato le Mescalito, studiate appositamente sui volumi del piede della donna. Comode, performanti, con un super grip a prova di scivolamento. In cima alla valle si trova la Malga Federia, dove ci siamo concesse un bel piatto di pizzoccheri e sciatt per poi lasciarci scaldare dal tepore del sole. Due giornate che ci hanno donato un’energia tutta nuova. E si sa, l’energia si trova in ogni cosa, in tutto ciò che ci circonda, sta a noi saperla incanalare nel modo giusto!
Patagonia 100% Recycled Black Hole B Y S I LV I A G A L L I A N I
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impegno di Patagonia nei confronti della salvaguardia dell’ambiente è ben noto. Lo dimostra bene la mission del brand californiano, “We are in business to save our home planet”, “Siamo in business per salvare il nostro pianeta”. Per l’autunno 2019 questo impegno si concretizza in una linea di zaini, borsoni da viaggio, borse e marsupi realizzati con materiali 100% riciclati. Nella rinnovata collezione Black Hole sono infatti stati eliminati i tessuti vergini, limitando così la nostra dipendenza dai prodotti petroliferi. Ogni tessuto, rivestimento e fettuccia dà una seconda vita a ben 10 milioni di bottiglie di plastica e scarti di fabbrica, riducendo in questo modo del 59% le emissioni di CO2 dell'intera collezione e non compromettendo la salute del pianeta. La serie Black Hole utilizza ripstop in poliestere riciclato post-consumo da 396g e 900 denari e 295g e 300 denari (tinto in massa al 22%) con lamina in pellicola TPU e trattamento DWR (idrorepellente a lunga durata). Il rivestimento è in poliestere riciclato da 119g e 200 denari con rivestimento in poliuretano e trattamento DWR. Tutti i tessuti sono approvati da bluesign, l’ente che monitora il lavoro delle aziende per quanto concerne l’elaborazione e la produzione sostenibile di prodotti. Articolo di punta della collezione è Black Hole Duffel, il borsone portatutto e resistente all’acqua che consente di organizzare al meglio ogni tipo di attrezzatura e offre la giusta quantità di spazio per un weekend avventuroso o per un viaggio più lungo. È realizzato con tessuto e fettucce riciclati al 100% e presenta un’ampia apertura per accedere allo scomparto principale, tasca laterale con zip e tasche in rete sotto il risvolto di chiusura. La tracolla imbottita è rimovibile e i manici rinforzati assicurano un facile trasporto. La base si presenta imbottita per proteggere ogni oggetto contenuto e i robusti anelli di fettuccia sono rinforzati per l'aggancio di materiale. Infine gli spallacci sono imbottiti per una maggiore comodità e permettono di trasportare la borsa come uno zaino, facendone un oggetto altamente versatile. Nella nuova collezione di Patagonia c’è molto altro ancora. Sono infatti 22 i prodotti che uniscono design innovativo e sostenibilità, tra cui uno zaino ultraleggero, l’Ultralight Black Hole Pack 20L, il nuovo marsupio Ultralight Black Hole Mini Hip Pack 1L, leggero e pratico da portare ovunque, lo zaino di dimensioni intermedie Black Hole Pack 32L e la robusta Black Hole Gear Tote, la borsa giusta in cui stipare ogni genere di attrezzatura.
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U LT R A L I G H T B L A C K H O L E MINI HIP PACK
BLACK HOLE
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DUFFEL
GEAR TOTE
U LT R A L I G H T B L A C K H O L E
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PACK
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Canada Goose Live in the Open B Y S I LV I A G A L L I A N I
“Live in the Open”, una campagna globale che documenta il rapporto tra le persone e la loro comunità e racconta le storie di Alice Pasquini, Jiayi Zhao e Jordin Tootoo. Canada Goose, outdoor brand canadese fondato nel 1957, sbarca a Milano con il suo primo store in Italia e secondo in Europa dopo Londra. In via della Spiga 10 sarà infatti possibile testare le giacche del marchio in ogni condizione climatica estrema e fino a -25 gradi grazie ad una speciale “cold room”.
Dall’Italia ci spostiamo all’Artico Norvegese con Jiayi Zhao, guida di spedizioni Polari nata a Pechino. Da sempre viaggiatrice instancabile, Jiayi ha sentito il richiamo profondo della natura e la forte connessione con l’ambiente esterno nella foresta di Redwood, vicino a San Francisco, California ed in breve tempo è diventata una delle guide più richieste per le spedizioni ai Poli.
Inoltre in occasione dell’evento, verrà presentato “Live in the Open”, una campagna globale che documenta il rapporto tra le persone e la loro comunità e racconta le storie di Alice Pasquini, Jiayi Zhao e Jordin Tootoo. Tre pionieri oltre i confini che stanno coraggiosamente aprendo nuove strade, motivati a restituire il loro lavoro alla gente e ai posti che li hanno ispirati. Dietro alla campagna, il regista Janssen Powers, selezionato al Festival di Cannes di quest’anno per due documentari, e la fotografa Diana Markosian, che ha lavorato per National Geographic, The New Yorker e New York Times.
Raggiungiamo la nostra destinazione finale, il Nord del Canada, dove Jordin Tootoo, il primo giocatore Inuk di Hockey su Ghiaccio dell’NHL, attivista, e adesso Goose Person, rende omaggio alla bellissima e selvaggia terra di Nunavut. Finita la sua carriera professionistica, Jordin ha dedicato il suo tempo a parlare alle comunità indigene, affrontando temi sociali delicati e portando la sua storia personale come esempio.
Canada Goose, outdoor brand canadese fondato nel 1957, sbarca a Milano con il suo primo store in Italia e secondo in Europa dopo Londra.
Si parte proprio dall’Italia con Alice Pasquini, street artist nostrana ma conosciuta in tutto il mondo, che narra del suo popolo, gli italiani, e i loro momenti di vita quotidiana attraverso le sue opere. I suoi graffiti sono dei ‘regali alla comunità’, realizzati in angoli quasi nascosti o dimenticati dall’architettura circostante che hanno come scopo quello di riqualificare quartieri e aiutare piccole città e comunità a tornare in vita.
[...] sarà infatti possibile testare le giacche del marchio in ogni condizione climatica estrema e fino a -25 gradi grazie ad una speciale “cold room”.
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Picture Organic Clothing, I made your clothes
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ostenibilità, tutela dell’ambiente, stile di vita eco-friendly sembrano essere ormai diventati temi di grande attualità. Se ne fa tanto parlare e sono numerosi i brand che se ne proclamano portavoce. Ultimamente però si sta cominciando ad assistere ad un’inversione di tendenza: il consumatore comincia a guardare alla “moda” del sostenibile con sospetto. In una società dove ormai la maggior parte delle informazioni sono reperibili da tutti, c’è una sempre crescente consapevolezza riguardo gli acquisti e spesso si sceglie un capo non solo per l’oggetto in sé ma anche per i valori che il brand rappresenta.
Le aziende che si proclamano ecosostenibili devono quindi farsi portavoce di valori ben precisi e avere alle spalle un lavoro in tutela dell’ambiente saldo e consolidato e che al tempo stesso si rispecchi nello proprie scelte aziendali. Sostenibilità e trasparenza sono due parole chiave che necessariamente devono andare di pari passo. E sono anche i pilastri sui cui si basa Picture Organic Clothing.
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Sostenibilità e trasparenza sono due parole chiave che necessariamente devono andare di pari passo. E sono anche i pilastri sui cui si basa Picture Organic Clothing.
Picture ha deciso fin da subito di utilizzare materiali e processi che riducessero il proprio impatto sull’ambiente.
S O ST E N I B I L I TÀ
Il brand nasce in Francia nel 2008 e sin dalla sua fondazione si è distinto per la realizzazione di capi di abbigliamento per snowboard, sci, surf e outdoor creati con materiali eco sostenibili, riciclati e bio-sourced. Ad oggi l'industria tessile è responsabile di circa l'8% delle emissioni globali di carbonio e la lotta ai cambiamenti climatici passa anche dall’eliminare i combustibili fossili e forse non tutti sanno che anche solo il modo convenzionale di produrre tessuti tecnici prevede l'estrazione di petrolio greggio. Esistono però altre opzioni. Una in particolare, chiamata bio-sourcing, consiste nel realizzare tessuti a base vegetale, ad esempio da canna da zucchero o semi di ricino.
L’obiettivo è essere pienamente responsabili dell’intero ciclo dei prodotti, dai materiali di base all’imballaggio e alle spedizioni, senza dimenticare la seconda vita e la fine vita di ogni capo.
Picture ha quindi deciso quindi fin da subito di avventurarsi fuori dai sentieri battuti e utilizzare materiali e processi che riducessero il proprio impatto sull’ambiente. L’obiettivo è essere pienamente responsabili dell’intero ciclo dei prodotti, dai materiali di base all’imballaggio e alle spedizioni, senza dimenticare la seconda vita e la fine vita di ogni capo. È importante realizzare capi che durino il più a lungo possibile in modo da diminuire l’impatto generale che hanno sull’ambiente e Picture si impegna a riparare i danni che ogni suo prodotto può subire nel corso del tempo.
T R AS PA R E N Z A
La spedizione di merci è un altro aspetto che contribuisce enormemente alla crisi climatica. Sono 450.000 i prodotti del brand che mediamente ogni anno vengono spediti in 40 paesi nel mondo e ciò ha un impatto sul nostro ecosistema. Il brand francese ha deciso di utilizzare solo spedizioni marittime e via terra quando le consegne sono locali. Una nave mercantile sostituisce circa 1000 aerei Airbus A380 ed una tonnellata di merce via fiumi e canali emette in media 40 volte meno CO2 che per via aerea.
La scelta di questi luoghi è importante e avvalora il concetto di trasparenza che il brand vuole portare avanti. Perché non ci sono capi Made in France? La risposta è semplice, il brand ha sempre cercato di rendere gli acquisti responsabili accessibili al grande pubblico e raggiungere il maggior numero possibile di persone, anche chi non è impegnato nel movimento ambientalista. L’intero processo lavorativo in Francia avrebbe costi troppo alti e non permetterebbe di vendere un prodotto eco-friendly allo stesso prezzo di una giacca della gran distribuzione.
La produzione di qualsiasi prodotto inoltre richiede energia, ed è un dato di fatto che il 42% di tutte le emissioni di carbonio nel mondo provenga dall’elettricità. Picture si impegna a lavorare a stretto contatto con le fabbriche che utilizzino fonti di energia rinnovabili e a conoscere tutti nella catena di approvvigionamento. La produzione dei prodotti a marchio Picture Organic Clothing avviene perlopiù in sole due fabbriche, che lavorano e collaborano con il brand fin dalla sua fondazione nel 2008. Stiamo parlando della fabbrica di Li Lian in Dongguan, Cina, che produce i capi tecnici in poliestere riciclato e di origine biologica e la fabbrica di Seyfeli a Izmir, in Turchia, che invece si occupa dei capi di ispirazione lifestyle in cotone organico e poliestere riciclato.
Il brand è inoltre membro della Fair Wear Foundation, un'organizzazione si occupa di migliorare le condizioni di lavoro per i dipendenti nel settore dell’abbigliamento. Ogni anno FWF conduce un audit sulle pratiche di acquisto dei vari brand, sui loro rapporti con le fabbriche e sulla loro capacità di attuare iniziative a beneficio dei lavoratori. Nel 2019, il 100% delle fabbriche con cui lavora Picture partecipa al programma FWF e l'84% del volume di produzione è attualmente sottoposto a audit. Nel 2018 infine è stato creato il programma Picture For Good con lo scopo di ridistribuire le risorse generate dalla loro attività per sostenere diverse cause responsabili dal punto di vista ambientale o sociale.
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Michael Wipfler. Escape the Noise “Avventura, indipendenza e libertà sono sempre state le mie priorità [...] „
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≠ Decidere consapevolmente di fuggire dalla folla. Questa la semplice strategia di Michael Wipfler. Instancabile viaggiatore, amante del surf e delle montagne, il adidas Terrex ambassador ci racconta cosa significa per lui la parola avventura e la ricerca della natura incontaminata contrapposta al caos cittadino della vita di tutti i giorni. Raccontaci qualcosa di te. Sei sempre stato un amante dell’avventura? Sono cresciuto in un piccolo paesino di soli 2500 abitanti nel sud ovest della Styria, una regione dell’Austria. Nessuna alta montagna o mare nei paraggi, ecco perché fin da subito è nata in me la voglia di viaggiare. Avventura, indipendenza e libertà sono sempre state le mie priorità, motivo per cui ho deciso di raccogliere tutti i miei risparmi appena terminata la scuola e acquistare una VW T4 California usata per viaggiare e scoprire il mondo. È un modo per muoversi semplice e rilassato. Stabilisci il tuo ritmo, pianifichi il percorso e hai sempre la tua piccola casa su ruote con te che ti permette di conoscere luoghi nuovi e meravigliosi. Non avrei mai pensato che il mio desiderio di avventura sarebbe diventato un lavoro. Probabilmente il sentiero che io sto percorrendo in questo momento è appena asfaltato. I social media e Instagram mi hanno aperto molte porte per poter vivere di ciò che amo e credo ci sia ancora tantissimo potenziale inesplorato. Che consiglio daresti a chi vorrebbe intraprendere un percorso simile? Il miglior consiglio che posso dare rischia di sembrare vecchio e sdolcinato, ma la penso davvero così: se ti piace quello che fai, non mollare. Fai sempre quello che ti fa star bene. Per me questo è l'unico modo per rimanere reali. Ci sono stati momenti in cui hai avuto reali difficoltà sia fisiche che mentali? Per un progetto al Parco Nazionale degli Alti Tauri, in Austria, ho avuto modo di sperimentare la natura selvaggia, senza elettricità
e contatto con la società per qualche tempo. Durante un'escursione verso un ghiacciaio ho sottovalutato il tempo necessario, che in estate è di circa 8 ore. Ad un certo punto non si vedeva più il sentiero a causa della neve alta più di un metro. Quando il sole è tramontato, con molto rammarico, ho deciso di tornare indietro. A quel punto oltre che fisica era diventata una sfida anche mentale perché mi sono dovuto dichiarare sconfitto senza nemmeno raggiungere il mio obiettivo. Quando le batterie dei faretti si sono spente, verso mezzanotte, il ritorno si è fatto ancora più difficile. È stata davvero un'esperienza difficile, ma sono tornato al rifugio sano e salvo alla fine. Hai fatto anche heliski in Canada. Ho fatto un road trip di tre settimane in Canada, surfando a Tofino e facendo sci alpinismo a Whistler e nel Banff National Park. Mi hanno dato da testare i loro abiti invernali e in cambio ho solo dovuto fare tutto ciò che amo! L'heliski è stato irreale, un’esperienza unica ed un modo inedito per raggiungere terreni incontaminati dove non ci si può recare in altri modi. Avere tutta la natura per te è fantastico. Non c’è niente di meglio che tracciare una prima linea in un vasto paesaggio invernale immacolato. Progetti futuri? Ci sono tanti progetti interessanti che vorrei realizzare, ma ad un certo punto devi scegliere saggiamente quale è la direzione migliore per te. Questo a volte potrebbe significare dire “no” e piuttosto rincorrere un'idea diversa ma più adatta alla tua identità. Ho passato l’estate in Europa, fra i Pirenei e i Paesi Bachi, lavorando al mio primo libro. È
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idealmente il racconto di una strada perfetta dalla Germania al Portogallo dove mostro i miei spot preferiti per fare escursioni o surfare, luoghi ancora inediti e incontaminati che in pochi conoscono. Vorrei creare qualcosa che rimanga più a lungo di un'immagine su Instagram. È un campo totalmente nuovo per me e richiede molto più lavoro di quanto si possa pensare all’inizio, ma sono super entusiasta di questa opportunità e cercherò di sfruttarla al meglio.
Ho passato l’estate in Europa, fra i Pirenei e i Paesi Baschi, lavorando al mio primo libro. È idealmente il racconto di una strada perfetta dalla Germania al Portogallo dove mostro i miei spot preferiti per fare escursioni o surfare, luoghi ancora inediti e incontaminati che in pochi conoscono. Vorrei creare qualcosa che rimanga più a lungo di un'immagine su Instagram.
T E X T BY DAV I D E F I O R AS O PHOTO ALICE RUSSOLO
A journey among the most beautiful mountains in the world I N S I D E D O LO M I T I D I B R E N TA T R A I L
“Un sabato di settembre, saccheggiando la dispensa dell’albergo, il mio compagno riempì i nostri zaini, mi offrì il viaggio in corriera e arrivammo a Molveno. Sei ore a piedi per salire al rifugio, una notte agitata, sveglia prestissimo e via per il Sentiero delle Bocchette. Improvvisamente, girato lo spigolo della Brenta Alta, mi si parò davanti il Basso. Era tutto in ombra con la cima illuminata dal primo sole. Stava davanti a noi, verticale, strapiombante, incombente, cupo e nello stesso tempo invitante.“ Qualche mese fa, tra le mie letture estive, stavo mettendo in archivio “E se la vita continua” di Cesare Maestri, il Ragno delle Dolomiti, personaggio discusso e travagliato, protagonista di accesi dibattiti nel mondo alpinistico. Un nome indissolubilmente legato alle pareti del Brenta. Dal celebre Campanile Basso, alla grandiosa Cima d’Ambiez, al possente Crozzon. Ricevuto l’invito per correre questa gara, mi trovavo di fronte ad una inaspettata coincidenza e non potevo certo rifiutare. Alle spalle c’era un programma di allenamento estivo, ovviamente disatteso, e una testa lungamente assente da questo mondo. Ma in cuor mio tanta rilassatezza; tanta voglia di lasciarsi andare e vivere questa esperienza con lo scopo di raccontarla, com’era successo alle Orobie. Le premesse, oltre a queste, erano commenti più che lusinghieri: “una delle gare più belle e meglio organizzate a cui abbia mai partecipato”, “in mezzo alle Dolomiti di Brenta ti sembra di stare su di un altro pianeta”. A Molveno, quel sabato, ci sono arrivato in auto e non ho dovuto saccheggiare alcuna dispensa dell’albergo. Nei miei occhi, oramai, scorreva l’intero scenario di queste montagne. Salvo trovarmi a partire nella direzione opposta da come me l’ero immaginata. “Partivamo da Molveno in piena notte, ognuno si caricava uno zaino che pesava dai trenta ai quaranta chili […]. Ogni ora e mezzo di cammino ci concedevamo un riposo di dieci minuti. Il primo lo facevamo a metà della Val delle Seghe,
il secondo al Rifugio Selvata, il terzo al Baito dei Massodi e il quarto in prossimità del Pedrotti. La mia sosta preferita era quella della Selvata perché la Cesira aveva tre figlie, una delle quali aveva un seno favoloso.” E’ stata una gara goduta dal primo all’ultimo km (oddio, l’ultimo non proprio), gestita con parsimonia e risparmio. Nei primi 20 km, 2000 m di dislivello scorrono via lisci e regolari. Un bellissimo single track, quello sul sentiero 301, anticipa il pianoro di Malga Spora, per poi salire in maniera costante, verso il Passo della Gaiarda, sferzati da vento freddo e pioggia fine. Da qui, in quota, su piacevoli saliscendi fino ai 2442 m del Passo Grosté. Ma è superato il rifugio Graffer che inizia il vero spettacolo. Per le gambe, per la mente, per gli occhi. Lasciato a malincuore il Tuckett il Sentiero del Fridolin guida attraverso un mare di roccia fino alle larghe cenge e i ghiaioni che risalgono la Val Brenta Alta. Dal Brentei è come se si spalancasse una porta verso l’ignoto, verso i pendii innevati della Bocca di Brenta. Il Tosa Pedrotti è un sospiro di sollievo. Un bicchiere di thè caldo e una lunga discesa verso valle, con il sorriso in volto, cercando di recuperare qualche posizione, lasciata indietro nelle precedenti divagazioni. Da Pradel in poi sono gli ultimi km, quel contorno che sembra non finire mai. Piazza S. Carlo è la passerella su Molveno, il lungolago il suo punto di arrivo. “Al Rifugio Brentei, il giorno della convocazione, oltre al Bruno Tessasi e Pisoni c’era tutto il 44
gotha del Club Alpino. Stavano tutti con il naso all’aria, armati di binocoli, perché avevano saputo che sarei sceso arrampicando dal Crozzon di Brenta […]. Verso le dieci mi affacciai alla parete e iniziai a scendere arrampicando lungo quel muro verticale che avevo percorso in salita da solo un anno prima. Per la prima volta nella storia dell’alpinismo un uomo scendeva da solo una via di sesto grado.” Ora, a mente fredda, ricalco le tappe e focalizzo i ricordi sulle persone che ho avuto accanto, con le quali ho scambiato qualche chiacchiera, condiviso qualche sorpasso, costruito fantasie. Medito aneddoti, domande e considerazioni. Sul fatto che cenare a base di farina di castagne la sera prima non faccia parte delle “grande idee”. Sul perché Olanda e Vicenza siano state le nazioni maggiormente rappresentate (per omaggiare quest’ultima hanno persino trasferito una parte delle Gallerie del Pasubio dopo il Croz dell’Altissimo). Sul motivo per cui i local over 50 non guardino in faccia nessuno, ostentando anche un pizzico di arroganza. Su come sia riuscito, quel personaggio, con due telefonate tra il Tuckett e il Brentei, a mettere d’accordo moglie e figli sulla prossima meta delle vacanze, chiamare l’agenzia di viaggi e inviare un bonifico per la caparra. O sulla questione per cui conoscere il gestore di un rifugio comporti inevitabilmente un ristoro a base di birra media. In tutto questo, una sola e unica
certezza: la sezione centrale tra il Graffer ed il Brentei è qualcosa che ognuno dovrebbe vedere almeno una volta nella vita. Non lo nego, amo le gare corribili, quelle da risolvere senza troppi strappi nervosi, senza un profilo altimetrico da elettrocardiogramma. In alternativa, prediligo quelle immerse in un contesto paesaggistico talmente affascinante da saper dirottare la mia mente altrove, come raccontano le parole di Alessandro Locatelli: “Ho bisogno di essere presente in un posto dove mi sento minuscolo e inutile, dove i miei problemi sono ridicoli e dove posso perdermi per ore senza sentire il passaggio del tempo.” Adoro ed ho adorato il Dolomiti di Brenta per questo. Il fondo tecnico, le viste mozzafiato, la roccia nuda, una curva che sale costante in un’unica soluzione. Adoro ed ho adorato ancor di più la sua atmosfera ovattata, mistica. Le nuvole basse, la pioggia leggera, la neve di Settembre. Per la prima volta in vita mia ho fatto partire il GPS e nascosto l’orologio dentro lo zaino. Non volevo sapere distanze e dislivello. Solo godermi il viaggio senza distrazioni. Questa volta, il DBT, si aggiudica un posto da podio nella mia personale classifica.
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[...] Una sola e unica certezza: la sezione centrale tra il Graffer ed il Brentei è qualcosa che ognuno dovrebbe vedere almeno una volta nella vita. Il fondo tecnico, le viste mozzafiato, la roccia nuda, una curva che sale costante in un’unica soluzione. Adoro ed ho adorato ancor di più la sua atmosfera ovattata, mistica. Le nuvole basse, la pioggia leggera, la neve di Settembre.
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Viaggio di sola andata per la Angeles Crest BY F R A N C E S C O “ PAC O ” G E N T I LU C C I
Alla partenza hai il batticuore. Sei sotto lo stesso striscione in cui da trentadue anni le persone si domandano se saranno in grado di arrivare in fondo a prescindere da quanto veloci sono: tutte queste persone prima di te, e come te, si sono domandate se erano pronte.
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l fatto che molte persone si chiedano stupite se sei venuto apposta dall’Italia per correre questa gara, tuttora vissuta dalla gente del posto come una corsa di paese pur essendo una delle più prestigiose al mondo - la quinta nella storia nonché quella col record più antico - ti fa capire di essere nel posto giusto. Il pacco gara è rappresentato dal tuo pettorale e una maglia in cotone Gildan, di pessima qualità. La grafica è la stessa che c’è da trentadue anni e una delle due signore dello staff ti consiglia di prendere la taglia Large, che tanto poi si restringe in la-vatrice, e ci cresci dentro. L’organizzazione non mette a disposizione una navetta per tornare alla partenza, niente doc-ce all’arrivo né chip né cronometristi. Puoi pure essere Kilian Jornet, ma ti devi trovare un passaggio in autostop per tornare alla partenza dopo la cerimonia di premiazione. Se ti ritiri, avresti dovuto prenotare prima la navetta al costo di 30$; se non l’hai prenotata cazzi tuoi. L’altro aspetto affascinante di Angeles Crest è la distinzione tra “solo” runner e corridori con la crew. Se corri come “solo” non può aiutarti nessuno se non i volontari nelle aid station, non hai diritto a un pacer né a qualcuno che ti passa dell’acqua, anche se stai morendo di sete ai
bordi del percorso. Il primo atleta “solo” viene infatti premiato con un premio speciale e ap-plaudito di più. Svegliandoti alle tre e mezzo del mattino ma tanto non stavi dormendo – noti che sì, sei un filino agitato. Alla partenza hai il batticuore. Sei sotto lo stesso striscione in cui da trentadue anni le perso-ne si domandano se saranno in grado di arrivare in fondo a prescindere da quanto veloci so-no: tutte queste persone prima di te, e come te, si sono domandate se erano pronte. Sotto quello stesso striscione che sarà smontato dopo la partenza e rimontato all’arrivo, 160 chilo-metri più avanti. La pelle abbronzata degli allenamenti sotto al sole è sensibile al vento soffice di agosto e fa venire la pelle d’oca. Tra qualche ora, quando il sole sarà alto in cielo, l’inferno scenderà sulla corsa: infuocherà l’asfalto, renderà l’aria soffocante e l’acqua nelle borracce bollente. Costringerà molte persone a cercare motivazioni ben più profonde di una fibbia di ferro per arrivare in fondo; sfinirà un terzo dei partecipanti al punto di volersi ritirare. In pie-no agosto, sulle montagne della città chiamata Los Angeles, ci saranno demoni e corridori con bandane riempite di ghiaccio strette attorno al collo, che fanno smorfie di dolore.
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Sono le cinque del mattino e sei presente sul momento. Ti senti un privilegiato a startene ai bordi dell’inferno. E non come uno che guida un Ferrari in mezzo alle Punto, ti senti un privi-legiato per il fatto di essere parte nella storia, di qualcosa di più grande di te, come singolo. Mentre il solito ranger un po’ fuori di testa, lo stesso che alle premiazioni sbraita il nome di uno a uno gli arrivati da trentadue anni e che al mattino ha stretto la mano a tutti i 300 par-tenti, urla quella che è una specie di preghiera. Dice “che possa essere sempre presente e ac-compagnarti lungo tutto il percorso, passo dopo passo, attraverso il giorno e la notte, conti-nuando a spingerti in avanti.” Non nomina nessun dio e, per quanto ti riguarda, sta parlando della tua motivazione. Alcune frontali sono accese, qualcuno non la usa per risparmiare peso, dovrà accodarsi a qualche altro corridore fino all’alba. Gli sguardi di tutti sono fissi in avanti, nel buio: non fa freddo ma hai i brividi e vuoi partire. Five urla qualcuno. Four, rispondono altri, Three dice anche il tizio che ti è vicino, Two senti il rumore delle persone da dietro, One urli anche tu.
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Bivacco TEXT GIAN LUCA GASCA P H O T O A LT R I R I P I A N I P OW E R E D BY SA L E WA
U N B I VAC C O, LU O G O T R A N S F R O N TA L I E R O D’INCONTRO E CONDIVISIONE, E S P O STO S U L L’ I S O L A D I S A N S E R VO LO IN OCCASIONE DELLA 58ª EDIZIONE D E L L A B I E N N A L E D ’A R T E D I V E N E Z I A . U N ’ I D E A PA R TO R I TA D A L L’A S S O C I A Z I O N E A LT O AT E S I N A A R T I N T H E A L P S C O N G I U N TA M E N T E A L B RA N D B O L Z A N I N O SA L E WA .
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n bivacco, luogo transfrontaliero d’incontro e condivisione, esposto sull’isola di San Servolo in occasione della 58ª Edizione della Biennale d’Arte di Venezia. Un’idea partorita dall’associazione altoatesina ArtintheAlps che, congiuntamente al brand bolzanino Salewa, ha voluto rappresentare in modo forte e quasi fisico l’animo della terra altoatesina: un luogo aperto, oltre i confini, dove le montagne non sono barriera ma cerniera tra il nord e il sud d’Europa. Per questo, in occasione dei cento anni dalla stipula del trattato di Saint-Germain che divise il Tirolo attribuendo all’Italia Alto Adige e Trentino, uno storico bivacco eretto nel 1972 da Reinhold Messner in memoria del fratello Günther, tragicamente scomparso nel 1970 sul Nanga Parbat (8125 m, Pakistan), si è trasformato in arte.
SETTE OPERE PER SETTE ARTISTI Deve aver fatto un certo effetto ai maestri d’arte trovarsi di fronte a un bivacco da immaginare come spazio espositivo. Piccolo e minimamente attrezzato, sempre aperto, non custodito e non climatizzato. Una vera sfida a cui hanno aderito con coraggio sette giovani ragazzi. Primo tra tutti Hannes Egger, ideatore di tutto il progetto Bivacco, che ha immaginato un adesivo ispirato a quelli lasciati negli anni dai club alpini. Solitamente contengono il numero d’emergenza da contattare in caso di necessità, quello dell’artista ha invece un codice QR che permette di scaricare sul cellulare una performance audio in grado di accompagnare fisicamente il visitatore nella storia del riparo. Ad accompagnarci nei primi approcci con la struttura è l’opera di Jacopo Candotti, che fondendo monete da 20 centesimi di Euro ha lavorato il metallo risultante a formare una maniglia che si avvolge all’originale. Un rimando all’Europa e ai suoi fragili ideali dove l’Euro sembra rimanere una delle poche forze trainanti e transfrontaliere. Dentro sono Simon Perathoner e Nicolò Degiorgis a ricordarci la vera anima del bivacco. Struttura alpina Perathoner ha intagliato in un blocco di Dolomia la formula chimica del minerale stesso inviando, simbolicamente, la montagna al mare; Degiorgis immagina invece tutto un altro panorama per le Dolomiti andando a prendere le pagine della rivista “Peak”, che rappresenta il gruppo montuoso attraverso le forme di vette e valli, e disponendo la foto di mezza montagna accanto alla metà di un’altra montagna.
U N V E R O B I VAC C O A V E N E Z I A Fa un certo effetto, passeggiando nel bel giardino dell’isola di San Servolo, imbattersi in un vero bivacco dolomitico. Oggi non si producono più bivacchi fissi di questo tipo, in lamiera e con ben poche comodità. D’altronde la loro funzione non è certo quella di offrire comfort e bellezza. Il bivacco è un rifugio d’emergenza, un ultimo avamposto umano in terra d’avventura, a cui appoggiarsi in caso di necessità. Luogo sempre aperto dove vigono regole non scritte, come la condivisione e la fratellanza. Quando si bivacca si è tutti fratelli e, per quanto possa essere romantico nel racconto, bivaccare non è mai piacevole. A dirlo schiettamente è Simon Messner, figlio di Reinhold e nipote di Günther. Bravo alpinista (buon DNA non mente) che lo scorso 17 settembre, in occasione della sua presentazione come atleta Salewa, è stato protagonista di un interessante dialogo insieme a Patrizia Spadafora (presidente ArtintheAlps), Christiane Rekade (curatrice del progetto Bivacco) e Stefan Rainer (general manager Salewa).
Anche le fodere delle coperte di lana diventano arte grazie a Maria Walcher che mette insieme i sentieri transfrontalieri, usati dai pastori per raggiungere i pascoli, alle vie di fuga dei migranti in Europa. I primi ricamati sul cotone, le seconde tinte in blu: insieme danno vita a una costellazione, punto d’orientamento o speranza per il futuro. Lascia invece tante domande l’opera di Leander Schönweger che trasforma il bivacco in una chiesa di montagna, un’idea visionaria della struttura che apre a domande e riflessioni.
Esposizione immaginata dall’artista Hannes Egger, ha richiesto innanzitutto il permesso da parte di Reinhold Messner al trasloco della storica struttura che in via definitiva entrerà a far parte del circuito museale dei Messner Mountain Museum. Trasportato quindi dai 2510 metri, ai piedi della parete nord della Gran Vedretta, fino agli zero metri dell’isola di San Servolo il bivacco ha dapprima subito un restauro, avvenuto per mano della stessa persona che cinquant’anni fa l’ha costruito, quindi è passato nelle mani di Rekade a cui è stato affidato il compito di portare l’arte dentro l’arte. Il bivacco in sé, posizionato nel contesto veneziano, si materializza come una specie di Ufo arancione agli occhi dei visitatori. Un oggetto sconosciuto ai più, al cui interno si trovano, oltre ai classici prodotti di necessità come candele, pale da neve, coperte o una piccola stufa, anche sette opere di sette artisti.
Julia Frank, la più giovane tra gli artisti coinvolti, si ispira infine alla storia di Günther Messner installando bandiere fatte di corde colorate ai lati del bivacco. Grazie a un intreccio di nodi su queste bandiere compaiono le scritte “lie” – bugia – e “true” – verità – a ricordare la lunga lotta portata avanti da Reinhold per rivendicare la veridicità sugli eventi del 1970 e come, con la scomparsa di Günther, la sua versione dei fatti se ne sia andata per sempre con lui.
Il bivacco è un rifugio d’emergenza [...] Luogo sempre aperto dove vigono regole non scritte, come la condivisione e la fratellanza. Quando si bivacca si è tutti fratelli [...]
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Danner Light 40th Anniversary Boot B Y S I LV I A G A L L I A N I
C H A R L E S DA N N E R C R E D E VA N E L L A C R E S C E N T E R I C H I E STA D I S CA R P E A R T I G I A N A L I D I Q UA L I TÀ . E COSÌ, CON SOLO CINQUE DIPENDENTI H A I N I Z I ATO L A S UA P R O D U Z I O N E .
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a storia di Danner inizia nel 1932, quando Charles Danner decide di aprire la Danner Shoe Mfg. Company nei pressi di Chippewa Falls, Wisconsin. L’America era nel pieno della Grande Depressione e decidere di lanciare un brand di calzature premium sarebbe potuto sembrare una decisione rischiosa, ma Charles Danner credeva nella crescente richiesta di scarpe artigianali di qualità. E così, con solo cinque dipendenti, ha iniziato la sua produzione. A quel tempo, dei robusti stivali da lavoro si trovavano in vendita a 4 dollari al paio. Nel Pacifico nord occidentale, tuttavia, dove l'industria del disboscamento era fiorente, scarponi equivalenti venivano venduti a 10 dollari al paio. Si tratta di un’opportunità irrinunciabile per Charles Danner tanto che decide ben presto di trasferire la sua intera famiglia e l’azienda completa a Portland, Oregon. È il 1936. Passano gli anni ed in Europa scoppia la guerra, c’è grande richiesta di stivali resistenti sia da lavoro che militari, e Danner aumenta la produzione di scarponi in modo considerevole, facendone il pilastro del marchio fino alla fine degli anni ’60. Intanto in Stati Uniti esplode il fenomeno outdoor, i grandi spazi aperti catturano l'immaginario del pubblico americano e sempre più persone cominciano ad appassionarsi ad hiking, backpacking e mountain climbing. Questa tendenza si rivela come un’altra occasione di crescita per l’azienda che inizia a produrre scarpe da hiking a livello nazionale. Danner imbocca una nuova strada grazie all'introduzione di robusti scarponi multiuso da escursione, una decisione che si sarebbe rivelata un enorme successo. Il modello Danner 6490 era un resistente stivale tecnico che si comportava molto bene in ambienti outdoor e vantava una robusta durabilità e una raffinata fattura. Backpacker Magazine lo descriverà in seguito come “la scarpa da hiking quasi perfetta”. I modelli successivi di questo stivale sarebbero stati chiamati Mountain Light e avrebbero lanciato un'intera collezione da escursionismo dal design classico e funzionale. Arriviamo al 1979. Nel frattempo il brand ha trasferito la sua produzione alla sua quarta fabbrica nella regione, raddoppiando la sua capacità produttiva. Quest’anno però scrive la storia di Danner grazie ad un altro evento fondamentale: Il modello Danner la collaborazione con Gore-Tex. Danner è infatti il 6490 era un resistente primo marchio di scarpe a sviluppare, brevettare e realizzare uno stivale veramente impermeabile. stivale tecnico che si Fino a quel momento nessun’altro brand aveva mai usato quella particolare membrana impermeabile e traspirante nelle calzature. Danner invece stravolge il mercato con l’introduzione di Danner Light, il primo stivale con rivestimenti in Gore-Tex.
comportava molto bene in ambienti outdoor e vantava una robusta durabilità e una raffinata fattura. Backpacker Magazine lo descriverà in seguito come “la scarpa da hiking quasi perfetta”.
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Sono trascorsi esattamente 40 anni da questa intuizione rivoluzionaria che ha cambiato il mondo delle scarpe tecniche e l’industria outdoor. Specialmente in Giappone, dove Danner ha una forte comunità di clienti affezionati, Danner Light è diventato un'icona di culto nel settore moda lifestyle e outdoor, rappresentando il giusto equilibrio tra gli appassionati di entrambi i mondi. Il brand ha quindi deciso di celebrare questa scarpa ed il suo anniversario con una speciale ed esclusiva ri-edizione. Il Danner Light 40th Anniversary Boot rende omaggio allo stivale originale. Ogni scarpa, oggi come allora, è realizzata a mano a Portland, utilizzando materiali di pregio e garantendo la massima qualità artigianale. Heritage, design e impegno concreto nel creare calzature di altissima qualità ancora oggi pongono Danner come uno dei migliori marchi di stivali da hiking e lifestyle nel settore. Questa speciale limited edition di ispirazione classica si rivolge al moderno esploratore. Lo scarpone viene realizzato completamente a mano con cuciture in grado di offrire stabilità e comfort al piede. La tomaia presenta una ricca pelle full grain e nylon 1000 Denier che la rendono estremamente durevole. Il rivestimento esterno è al 100% impermeabile e traspirante grazie allo strato in Gore-Tex che evita all’acqua di penetrare, consentendo al tempo stesso la fuoriuscita di sudore e umidità. La suola è in Vibram Kletterlift, un materiale specificamente progettato per offrire massimo comfort e durata, ne deriva un eccellente assorbimento degli urti mentre la mescola in gomma garantisce un’ottima trazione e stabilità sia su superfici bagnate che asciutte. Danner Boots nel corso degli anni ha varcato i confini degli Stati Uniti, raggiungendo Europa, Australia e Asia. L’azienda ha continuato ad espandersi ed altri nuovi store sono stati aperti per far fronte alla crescente domanda. Il brand oggi opera attraverso molti canali in tutto il mondo: vendite all'ingrosso, negozi specializzati, vendite dirette al consumatore sia online che in negozi fisici.
Il Danner Light 40th Anniversary Boot rende omaggio allo stivale originale. Ogni scarpa, oggi come allora, è realizzata a mano a Portland, utilizzando materiali di pregio e garantendo la massima qualità artigianale.
Il segreto di questo successo? Semplicemente seguire le stesse tradizioni e gli elevati standard di qualità messi a punto da Charles Danner e dalla sua famiglia generazioni fa. Danner Boots oggi continua a progettare e produrre una linea completa di scarponcini e stivali da hiking, caccia, militari, da lavoro e di ispirazione lifestyle nella sua famosa fabbrica a Portland, Oregon. Oggi come allora, tutte le calzature sono realizzate con lo stesso impegno e maestria per cui l’azienda è famosa fin dal 1932.
O G G I C O M E A L LO R A , T U T T E L E CA L Z AT U R E S O N O R E A L I Z Z AT E CON LO STESSO IMPEGNO E MAESTRIA P E R C U I L’A Z I E N D A È FA M O S A F I N D A L 1 9 3 2 .
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Mio nonno ha inventato lo Street Boulder T E X T M AT T EO PHOTOS THOMAS AT H L E T E M I C H A E L POWERED BY
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PAVA N A MONSORNO PICCOLRUAZ MAMMUT
ante persone non lo sanno, ma un movimento importante dell’arrampicata è nato e si è sviluppato in città, non in falesia o in alta montagna. A dirla tutta questo movimento, se così si può chiamare, è nato anche fuori dalle palestre, ma solo per il semplice fatto che le palestre, per come le intendiamo noi oggi, non esistevano ancora. Ricordate ad Arco la storia degli alpinisti che sono scesi dalle montagne per iniziare il gioco dell’arrampicata libera? Ecco, in tal senso potremmo affermare che da quel momento l’arrampicata poi si è evoluta, almeno in parte, in città. Per esempio a Trento ho conosciuto scalatori e alpinisti della generazione degli anni ’60 e ’70 che in giovane età si ritrovavano sotto le arcate della ferrovia in via Gocciadoro per allenarsi, magari in tarda serata illuminati da una lampada da cantiere tra una bottiglia di vino e l’altra. La città si trasformava nella montagna. Esistevano centinaia di problemi da risolvere in pochi metri quadrati di muro, ma bisognava guardare con occhi diversi. C’erano volte in cui ci si allenava anche sulle case, sugli edifici o sulle infrastrutture. C’erano altre volte in cui trovare la cosa più originale da scalare diventava un vanto, come fosse una forma d’arte a cui ispirarsi per divertirsi. Questi piccoli gruppi di persone venivano etichettati con l’appellativo di “disagiati”, “buoni a nulla”, “pazzi”. È divertente vedere come è andata a finire poi, ad anni di distanza: è come se mio nonno avesse inventato lo street boulder. In assenza di palestre indoor, automobile con cui spostarsi e di luce per scalare in falesia si rimediava con la cosa più immediata, semplice, veloce ed efficace: si usciva di casa per scalare su un muro qualunque, era quello che passava al convento, anzi, probabilmente avevano scalato anche quello.
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⌛ Questa piccola introduzione serviva più a me che a voi per ricordarmi della ciclicità delle cose, come il tempo sia assolutamente necessario per perfezionare un qualsiasi evento e azione. In questo caso una cosa semplice come un allenamento sotto un porticato si è dimostrato essere, a distanza di anni, la visione di una tendenza moderna e molto praticata come lo street boulder. Con il quarto episodio della serie di Mammut Elements Thomas ed io abbiamo voluto ispirarci a questo fenomeno e aggiungere l’elemento artistico dei murales. Le periferie di Milano e Reggio Emilia si sono rivelate essere un parco giochi perfetto per uno scalatore del calibro di Michael Piccolruaz, atleta Mammut e della nazionale italiana d’arrampicata. Questo ultimo episodio lo abbiamo voluto chiamare “Wonderwalls”, letteralmente “Muri delle Meraviglie”. Architettura e sport si mescolano insieme come due colori in una bella sfumatura, almeno in fotografia. La realtà è che il ritmo della città è una successione disordinata a una certa frequenza di una qualsiasi forma di movimento, che si svolge nel tempo della nostra quotidianità. Le sue note sono i rumori, i frastuoni. Il tempo invece viene battuto da un inesorabile ed inarrestabile meccanismo macroeconomico. Ogni tanto sorge una pausa, un breve intervallo tra un rumore e l’altro, di natura casuale e fatale. Quella musica fatta di note diverse e disordinate riprende all’improvviso, più forte di prima. Si distinguono i timbri diversi di ogni strumento facente parte di quell’orchestra maldestra e meccanica, che sia il motore di un’auto, la cassa di un altoparlante, la suoneria di un telefono cellulare. Eppure il risultato è una successione di suoni coerenti, percepiti quasi secondo una logica, in una realtà in cui la logica, forse, non c’è nemmeno mai stata. Alle volte, non sempre, ma alle volte è necessario lasciarsi prendere dall’istinto senza tanto domandarsi della logica delle cose. Questo, logicamente parlando, è negare la nostra stessa essenza, quella razionale dell’essere umano. Fortunatamente, siamo anche degli esseri dalla natura randagia e selvaggia, e alle volte occorre seguire l’istinto per proseguire in un progresso, se non quello della mente, almeno quello del cuore. Perché non esiste niente di più irrazionale che alzare i piedi da terra quando ci sono stati dati per camminare. Perché non esiste niente di più irrazionale di scalare.
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Alle volte, non sempre, ma alle volte è necessario lasciarsi prendere dall’istinto senza tanto domandarsi della logica delle cose. Questo, logicamente parlando, è negare la nostra stessa essenza, quella razionale dell’essere umano.
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Break the law of gravity - Be Free
PHOTO THOMAS MONSORNO | TEXT MAGDALENA MITTERSTEINER L O C AT I O N U L LT E N VA L L E Y | V I L N Ö S S VA L L E Y | S E L L A PA S S POWERED BY MAMMUT
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iaggiare e visitare luoghi nuovi è sempre un’esperienza affascinante. Ma, come spesso si suol dire, non c'è nessun posto come casa. E anche quei paesaggi che ai tuoi occhi sono così familiari, molte volte riescono a stupirti con aspetti inediti, pronti per essere scoperti. Magdalena Mittersteiner è nata in Alto Adige e conosce molto bene le montagne di casa. Quelle vette altissime sono il suo primo ricordo fin da bambina, e col tempo ha sviluppato il naturale desiderio di volerle condividere con il mondo, in modo che tutti, anche le persone più lontane, potessero provare lo stesso entusiasmo che quelle montagne suscitano in lei. Magdalena ha iniziato a scattare foto. Nella stagione 2019/2020 Mammut si è unito alla giovane fotografa per mostrare proprio le sue terre di casa, l’Alto Adige, attraverso tre dei posti preferiti di Magdalena.
Il primo giorno ci troviamo nella Val d'Ultimo, nella parte occidentale della regione. Foreste verdi scuro con tracce gialle d'autunno, nebbia sulle cime degli alberi e paesaggi assonnati sul lago caratterizzano il quadro. Magdalena conosce le montagne di Ultental da quando era bambina, infatti dal suo villaggio natale, Lana, la valle si estende verso ovest e offre meravigliose passeggiate per tutte le età. In estate è possibile esplorare le foreste, camminando sui prati alpini e trovare ristoro in piccoli corsi d’acqua. La Val d’Ultimo regala tranquillità e una natura incontaminata.
Il secondo giorno proseguiamo verso est fino alla valle di Villnöss nelle Dolomiti altoatesine. Magdalena si aggira per terreni rocciosi con superfici mutevoli, pietre taglienti e paesaggi coperti di muschio secco. Uno scenario lunare parzialmente coperto di neve, grigio come la roccia. Non ci i sono molti hotel e si può vivere le montagne nella loro essenza più pura. Durante la camminata è impossibile perdere di vista l'imponente Geisslerspitzen, che ci rimanda un tipico quadro dolomitico da cartolina. Da lì si può raggiungere la cima Tullen (2647 m). Anche nel tardo autunno, con l'attrezzatura giusta, rimane un'escursione molto interessante. Il terzo giorno è dedicato al Passo Sella, il più famoso dei quattro passi alpini del cosiddetto "Sella Ronda”, è un passo famoso e soprattutto in estate è molto frequentato da motociclette e altri veicoli, ma nei periodi di transizione autunnale e primaverile si possono fare tranquille passeggiate. Il panorama è unico e offre un'ampia vista a 360 gradi sulle famose vette delle Dolomiti. Al giorno d’oggi sta diventando ancora più ripido, le rocce sempre più pietrose e i percorsi ogni volta più sconnessi. La cosa più importante è avere vestiti e scarpe su cui poter contare in quei momenti. Il cielo intanto si schiarisce sempre di più mentre finiamo la nostra escursione in Alto Adige con una vista mozzafiato sul gruppo innevato del Sella e sui maestosi Piz Ciavazes.
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La cosa più importante è avere vestiti e scarpe su cui poter contare in quei momenti. Il cielo intanto si schiarisce sempre di più mentre finiamo la nostra escursione in Alto Adige con una vista mozzafiato sul gruppo innevato del Sella e sui maestosi Piz Ciavazes.
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Sakura Michi Dialogo con il cervello di un runner BY F I L I P P O CA N E T TA I L LU ST R AT I O N M AS S I M I L I A N O M A R Z U C C O POWERED BY WILD TEE
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a Sakura Michi Kokusai International Nature Run, ovvero la corsa internazionale sulla strada dei ciliegi in fiore, nasce dalla mente dell’autista di autobus Sato Ryoji che un giorno si fermò lungo la tratta Nagoya-Kanazawa che percorreva abitualmente. Stavano spostando un ciliegio di oltre 400 anni per la costruzione di una diga artificiale e ne rimase così impressionato che andò tutti i giorni a controllare che le radici del vecchio albero avessero attecchito nella sua nuova collocazione. La forza della pianta lo colpì così tanto che decise di cominciare a piantarne lungo la strada che percorreva ogni giorno. Purtroppo Sato morì a soli 47 anni lasciando la sua opera a metà ma da 26 anni si rende onore alla sua iniziativa percorrendo di corsa i 250 chilometri che separano Nagoya da Kanazawa durante la fioritura dei ciliegi da lui piantati. L’idea di correre la Sakura Michi mi ronzava in testa da così tanto tempo che non mi ricordo neanche più dove avevo letto della gara. In uno slancio di poesia mi vedevo correre leggero senza fatica su un morbido tappeto di petali di ciliegio per 250 chilometri. Cervello: “sei il solito sognatore” Ma a me piace sognare ed ero curioso di vedere se ancora ero in grado di farlo. Chiamo un amico che grazie a dei colleghi giapponesi mi mette in contatto con Mr. Hogo, l’organizzatore. La partecipazione alla Spartathlon mi assicura l’iscrizione nel ristretto numero di partecipanti stranieri. “non riuscirai mai ad allenarti per una gara del genere, sono passati 3 anni dalla Sparta-thlon e sei un vecchio” Ma io ci provo, corro più che posso in tutti i momenti liberi perché non è facile prepararsi mentalmente per correre 250 chilometri. L’obiettivo è spropositato e tutto quello che fai sembra riduttivo. Arriva presto il momento
di partire per il Giappone, con me c'è mio figlio Claudio che seguirà il percorso su un pulmino dell’organizzazione.
“certo che devi mangiare, non fare come al solito, se va bene ne avremo per una trentina di ore e 20.000 Kcal”
“è la prima volta che siete soli, tu e lui ad una gara, cerca di mantenere una dignità, non fargli vedere come ci si riduce dopo 30 ore”
Il sole scotta sulla pelle, mi bagno il più possibile per mantenere accettabile la temperatura corporea e non sprecare energie per raffreddarmi. Cerco di contare i ciliegi per distrarmi e trovare il passo, ma perdo velocemente il conto. Sono più costanti ma interrotti dall’avanzare dell’urbanizzazione del territorio che non ne fa leggere il disegno. Non è il lungo viale alberato che mi ero immaginato.
L’idea di correre la Sakura Michi mi ronzava in testa da così tanto tempo che non mi ricordo neanche più dove avevo letto della gara. Ci siamo, la cerimonia di apertura della gara (totalmente in giapponese) è estremamente formale, non capisco nulla ma il rituale mi tranquillizza, tutto è al suo posto in Giappone e così mi immagino sarà anche per la gara. La notte prima dormo pochissimo a causa del fuso orario, guardo fuori dalla finestra e c’è un’alba magnifica sul castello di Nagoya. L’attesa è finita, ora non mi resta che correre e vedere se arrivo dall’altra parte del Giappone. I primi chilometri sono sempre strani, abbiamo l’obbligo tassativo di fermarci ai semafori ed il serpente dei 120 partecipanti si compatta e poi si spezza continuamente ad ognuno dei mille stop. Finita l’agonia dei semafori, i più forti accelerano vistosamente e noi dietro li lasciamo andare. Inutile prendere rischi in questa fase. Preso da quella strana forma di bulimia che assale i corridori, mi faccio tutti i ristori che sono estremamente ben forniti di frutta e onigiri, gli alimenti migliori per il mio povero stomaco.
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“benvenuto sulla terra, la realtà non è mai come te la immagini” I chilometri passano e più avanzo più mi è evidente quanto il Giappone sia sempre in bilico tra tradizione e modernità. Mentre nelle città alienate da ritmi di lavoro asfissianti tutto tende verso la modernità, nel Giappone più rurale il richiamo della natura e delle tradizioni sono ancora molto vive. Intanto sebbene la mia velocità di crociera sia ancora buona comincio ad essere un po’ stanco, fatico a distinguere le ore del giorno a causa del fuso orario. Arrivo al cancello orario del km 110 con un buon margine. Ora comincia la salita che mi porterà nel punto più alto a metà gara. “è ora di fermarsi, lascia stare la gara, prima che sia troppo tardi” Il sole tramonta, presto sarà buio, recupero la frontale, accendo tutte le luci attaccate al pettorale e mi metto una maglia a maniche lunghe. “invece fa ancora caldo e stai sudando” Forse ho perso un po’ di lucidità. Mi tolgo la maglia a maniche lunghe correndo per un pò a torso nudo cercando di non farmi vedere da nessuno, non sia mai che da qualche parte nel regolamento scritto in giapponese ci sia scritto che è vietato.
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“non sei neanche a metà gara e hai già perso la ragione” Per fortuna salendo la montagna, la temperatura scende e posso tenere la maglia indosso. Verso sera il traffico diminuisce e rimaniamo solo noi sulla strada che diventa magicamente silenziosa. Con la luce del tramonto, i petali dei ciliegi di colore rosa chiaro risplendono. I ristori sono situati all’interno di officine, falegnamerie e luoghi di lavoro, caldi e accoglienti. Il livello di gentilezza dei volontari mi sorprende, non ho mai bisogno di quello che mi offrono e mi dispiace rifiutare le loro continue offerte. “ti hanno appena offerto una brandina e sei scappato senza neanche salutare” Arrivo sulla vetta della montagna, apparentemente il grosso della gara è passato senza problemi, al di sopra della mia testa c’è la luna piena e mi sento molto bene. Comincia una leggera discesa e mi sembra di volare, è un momento perfetto, quello che vale il prezzo del biglietto. In piena estasi, supero un paio di concorrenti. “bravo! Fai il brillante, vediamo alla fine della discesa” Non m’importa niente delle conseguenze, anche se non dovessi più riuscire a correre, ora sono vivo e corro a tutta, la fatica non esiste. Dopo qualche chilometro comincia un lungo tratto in saliscendi con lunghissime gallerie che attraversando le montagne. L’alternanza del buio della notte e della luce artificiale delle gallerie mi manda in crisi. Sono un po’ confuso. “sono due notti che non dormi, il giorno e la notte sono quasi invertiti, devi dormire!” Come spesso succede quando l’equilibrio si rompe cominciano i problemi. Nelle gallerie ci sono 20 gradi, fuori ce ne sono 3-4 e io non ho la lucidità e la forza di svestirmi quando entro e di vestirmi quando esco. Cerco di farlo ma sbaglio i tempi, mi vesto in galleria e mi svesto mentre sto uscendo. “non ce la fai più, arrenditi all’evidenza” Mi arrendo all’evidenza, ho preso freddo e mi viene mal di stomaco, devo trovare una soluzione. La paura di non farcela mi ridesta, decido di fermarmi per rimettere insieme i pezzi. Mi sdraio su quella brandina che finora ero riuscito ad evitare.
“bravo, ho dovuto farti venire il mal di stomaco per farti fermare, non puoi consumare tutte queste energie”
“stai tutto sommato bene, ce la puoi fare”
Mi addormento e so che dopo andrà meglio ma alzarsi, lasciare un caldo giaciglio e riprendere nel cuore della notte non è semplice. Piano, piano le gambe si scaldano e ri-prendono a girare. Lo stomaco non è ancora a posto ma riesco a tenere un ritmo dignitoso. Non incontro altri concorrenti da molto tempo, nei paesi dormono tutti. Sono solo, ma finché mi muovo la solitudine non mi pesa. Incontro Claudio che mi dice che sono nei tempi previsti. Ma io so di aver sbagliato i calcoli e di essere in ritardo.
In piena trance agonistica, all’ultimo ristoro abbandono l’attrezzatura per la notte e mi metto i miei amati pantaloncini Wild Tee, una maglietta Hawaiana ed un paio di velocissime Hoka Tracer. Comincio a correre anche in salita, mi sembra di volare. Se mi sbrigo riuscirò ancora a stare sotto le 30 ore, un tempo che nella mia testa rappresentava lo spartiacque tra fare bene e fare male. Correre bene gli ultimi chilometri su 250 è qualcosa di meraviglioso. Sarà questo il ricordo che si cementerà nella mia testa. Arrivo all’ultimo viale che porta al castello di Kanazawa e lo trovo pieno di ciliegi in fiore.
“fai bene a non crederci, hai sbagliato e non arriverai mai dall’altra parte”
“devo riconoscere che, nonostante le premesse, anche questa volta ce l’hai fatta”
Quando i conti non tornano, tutto sembra più difficile di quello che è. L’unica cosa da fare rimane suddividere il problema in sotto problemi più piccoli, come arrivare al ristoro successivo e a quello dopo ancora. Intanto sta per sorgere il sole mentre arrivo all’ultima salita importante. Per fortuna è molto ripida e non può essere fatta di corsa. Mi rendo conto, stupito, di aver sempre corso dalla partenza. Comincio a camminare, il livello di sforzo diminuisce e una strana spossatezza si impossessa del mio corpo. “se rallenti ti addormenti” Fatico a tenere gli occhi aperti ma so che se mi sdraio non mi rialzerò più e me ne pentirò. Barcollando arrivo in cima alla salita e in un impeto di rabbia ricomincio a correre, sperando di lasciarmi alle spalle la crisi. Mancano meno di 50 chilometri, il più è fatto. “50 chilometri sono un’eternità e tutto può ancora succedere” Come spesso capita, arrivo a un punto in cui tutti i dubbi su un possibile esito negativo si dissolvono e corro senza pensare alle conseguenze. È come se le crisi servissero a risparmiare delle energie per il gran finale. Comincio a recuperare altri concorrenti, leggo sui loro volti una profonda stanchezza. Mentre li supero ci scambiamo un veloce gesto d’intesa, anche loro sanno che in qualche modo arriveranno al traguardo. In quel momento la mia mente e il mio corpo finalmente la pensano allo stesso modo e l’arrivo non mi è mai sembrato così vicino.
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Come spesso succede quando l’equilibrio si rompe cominciano i problemi. Nelle gallerie ci sono 20 gradi, fuori ce ne sono 3-4 e io non ho la lucidità e la forza di svestirmi quando entro e di vestirmi quando esco.
Perfecto Mundo Stefano Ghisolfi
I T W S I LV I A G A L L I A N I P H OTO M AT T EO PAVA N A P OW E R E D BY L A S P O R T I VA - T H E N O R T H FAC E
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Stefano Ghisolfi, classe 1993, a soli 26 anni è considerato uno degli atleti più forti del mondo, tra i 4 arrampicatori ad aver mai scalato il grado 9b+. Nel 2010 è il miglior atleta italiano nella Coppa del Mondo lead di arrampicata, e nel 2017 sale al secondo gradino del podio della classifica generale. Oggi, indiscusso numero uno italiano e tra i migliori arrampicatori al mondo, Stefano ha solo un sogno, le Olimpiadi di Tokyo 2020. Come ti sei avvicinato al mondo dell’arrampicata? Il mio primo approccio allo sport in generale è stato attraverso la bicicletta. Ho iniziato con le gare di mountain bike perché mio padre è un maestro di bici e proprio dopo una di queste garette mi hanno fatto provare una parete artificiale su una diga in Val d’Aosta. Da quel momento ho capito che la bicicletta non faceva per me e ho iniziato a scalare. Mi piaceva così tanto arrampicare che salivo su ogni lampione o cartello stradale della mia città, Torino, e mio papà, invece di dissuadermi e dirmi di scendere, mi incoraggiava nel cercare di andare sempre più in alto. Ecco come è iniziata la mia passione per questo mondo. E ormai sei uno dei più forti climber esistenti, il quarto al mondo ad aver scalato un 9b+, Perfecto Mundo, come ti è venuta l’idea di questo progetto e come ti sei preparato sia fisicamente che psicologicamente? L’idea mi è venuta nel dicembre 2017, mi ero recato in Catalogna per cercare qualche via interessante dato che è il luogo dove si concentrano le vie più dure del mondo. Lì ho provato un paio di 9b e poi Perfecto Mundo che allora era ancora un progetto che non aveva completato nessuno. Ho tentato qualche via che ho chiuso velocemente a gennaio 2018. Questo mi ha fatto capire che il mio limite fisico era diverso da quello che mi aspettavo, Perfecto Mundo poteva essere la giusta via per me. Ho iniziato a provarla, ho fatto diversi tentativi, alcuni anche abbastanza senza speranza ma ho continuato in altri 5 viaggi successivi durante tutto il 2018 fino a dicembre, quando sono riuscito a salirla, esattamente un anno dopo. Adam Ondra, con cui ti alleni spesso, è stato il primo a parlarti di Perfecto Mundo. Com’è scalare con lui e che tipo di rapporto avete? Lui è quello che mi ha fatto conoscere questa via. Una volta stavamo scalando insieme e mi ha suggerito di provare questo progetto che lui, ai tempi, non lo aveva ancora fatto. Sapeva che Chris Sharma l’aveva chiodato senza mai scalarlo e Adam pensava potesse essere il mio stile. Con lui mi sono allenato spesso anche su altri progetti o in falesia, soprattutto ad Arco. Ci stimoliamo a vicenda e spesso uno chiude delle vie prima che l’altro abbia anche solo il tempo di provare a scalare. Abbiamo questo tipo di agonismo che però è pulito, una sorta di competizione positiva e stimolante sia in gara ma anche sulla roccia. Come ci si sente ad aver portato a termine un progetto così ambizioso, un traguardo che solo in pochi al mondo sono riusciti a raggiungere? Come dicevo, a dicembre 2018 sono riuscito a salire Perfecto Mundo, una via di difficoltà 9b+ ovvero la seconda difficoltà a livello mondiale e per me è stato il coronamento di un sogno e di un obiettivo che ho portato avanti nel corso di tutto l’anno. È stato
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Perfecto Mundo poteva essere la giusta via per me. Ho iniziato a provarla, ho fatto diversi tentativi, alcuni anche abbastanza senza speranza ma ho continuato in altri 5 viaggi successivi durante tutto il 2018 fino a dicembre, quando sono riuscito a salirla, esattamente un anno dopo.
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... emozionante ed anche liberatorio al tempo stesso, era un progetto che avevo da una anno e da un certo punto di vista era un obiettivo che mi motivava ma al tempo stesso mi frustrava. Mi è capitato di cadere ad un passo dal completamento, altre volte mi sentivo molto in forma ma la via era bagnata, quando finalmente ce l’ho fatta mi sono sentito libero di dedicarmi ad altro. Anche se nel frattempo ho continuato lo stesso ad allenarmi per le competizioni, portare a termine questo grande obiettivo ha rappresentato anche la fine di un periodo della mia vita, la chiusura di un cerchio che mi ha dato, ad oggi, forse la più grande soddisfazione della mia vita. Dopo Perfecto Mundo ho iniziato un nuovo periodo della mia vita, quello dedicato a cercare di qualificarmi per le Olimpiadi. Oltre alla motivazione, quanto è importante avere qualcuno che ti supporta nel tuo percorso? Io dico sempre che il mio motivatore principale è la mia ragazza Sara che mi accompagna un po’ dappertutto, è venuta con me durante tutti i viaggi per andare a fare Perfecto Mundo ed era lì che mi faceva sicura quando scalavo. C’è un motivo particolare per cui lei è una spinta per me, quando siamo andati la prima volta a provare quella via era una situazione un po’ difficile a causa della sua condizione di salute particolare tanto che abbiamo dovuto portare con noi anche un macchinario per la dialisi durante i viaggi in Spagna. Non era facile per lei accompagnarmi, ma l’ha sempre fatto col sorriso e per me è stata la motivazione più grande. La vedevo affrontare talmente tante difficoltà che mentre arrampicavo pensavo che quello che stavo facendo io erano delle cazzate in confronto! Quindi sì, avere qualcuno che ti supporta e che crede in te e che anche condivide la tua stessa passione è vitale. Noi viviamo insieme, scaliamo insieme e viaggiamo insieme e questo mi da una motivazione in più per farlo. Il climbing ha guadagnato un'enorme popolarità nel corso degli anni, fino ad arrivare al coronamento definitivo appunto con le Olimpiadi. Da quando il climbing è nato negli anni ’80 è sempre e solo cresciuto nel tempo quindi sicuramente non si tratta di una moda del momento ma piuttosto di una progressione costante di un’attività che è sempre più facile praticare. Stanno aprendo palestre in tutte le città, ci sono sempre più pareti chiodate, più gente che scala e adesso è più facile praticare questo sport rispetto a qualche anno fa, quindi è una disciplina che giustamente sta crescendo tanto. Non mi sento di dire che sia solo una moda, perché le mode vanno e vengono, quanto piuttosto uno sviluppo naturale di uno sport che tante persone stanno scoprendo. Adesso è sicuramente più facile scalare rispetto a molti anni fa e la cosa bella è che è uno sport sociale, andare a scalare con gli amici è decisamente più divertente che farlo da soli! Progetti futuri a lungo termine, dopo la carriera da climber? Molti climber si sono dedicati all’alpinismo alla fine della loro carriera da scalatori, ma al momento non è una cosa che mi attira perché sono concentrato su quello che sto facendo ora e non ho ambizioni alpinistiche non avendo mai provato. Sono nato nell’arrampicata sportiva e non nell’alpinismo quindi vedo la mia attività come fine e non mi sono mai posto il problema di trasferirmi su altro. Sicuramente la mia carriera da atleta prima o poi finirà per ovvi limiti fisici e umani ma mi piacerebbe rimanere nell’ambiente dell’arrampicata. Ad oggi è questo il mio lavoro ma al tempo stesso è anche la mia passione e non credo si esaurirà anche una volta che non dovesse più essere la mia professione. Dovrò solo trasformarlo in un lavoro diverso da quello della pura prestazione sportiva ma credo ci siano molte possibilità. Ancora devo trovare la mia strada ma spero di avere ancora tanto tempo a disposizione per scalare!
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Da quando il climbing è nato negli anni ’80 è sempre e solo cresciuto nel tempo quindi sicuramente non si tratta di una moda del momento ma piuttosto di una progressione costante di un’attività che è sempre più facile praticare.
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s Apa Sherpa. Il diritto di scegliere. BY M A R TA M A N ZO N I
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a scalato l’Everest 21 volte. È uno dei più grandi alpinisti viventi. Ma non ha scelto di esserlo. “Da bambino il mio obbiettivo era diventare un medico. Volevo ricevere un’istruzione e studiare per salvare la vita delle persone”. Apa Sherpa è nato a Thame, ai piedi della vetta più alta della Terra. Quando aveva 12 anni suo padre è morto. Lui ha smesso di andare a scuola e ha iniziato a lavorare prima come facchino per le spedizioni e poi come guida di trekking. “Dovevo sostenere economicamente la mia famiglia ma non guadagnavo abbastanza per mantenerci. Così sono diventato un portatore
d’alta quota: era un lavoro molto rischioso ma più remunerativo, non è stata una scelta, avevamo bisogno di soldi” racconta Apa. Prima dell’Everest ha scalato molte montagne, piano piano sempre più alte. Ha iniziato a trasportare carichi sulla vetta più alta del mondo nel 1988. Il 10 maggio del 1990 raggiunge la cima per la prima volta: “mi ricordo bene la sensazione che ho provato: ero completamente eccitato, mi sembrava di essere in paradiso!” Loved by All, il documentario premiato al Banff Film Festival, al Trento Film Festival e al Film Festival di Telluride racconta la sua storia. Assolutamente consigliato.
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Come si svolge la giornata di un portatore d’alta quota? “La parte più pericolosa è scalare le cascate di ghiaccio: per questa ragione bisogna svegliarsi la mattina presto, molte ore prima dell’alba, alle due o alle tre, e attraversarle prima che sorga il sole, perché altrimenti diventa troppo rischioso. Non puoi sapere se tornerai a casa vivo oppure no: anche per questa ragione preghiamo sempre due volte al giorno, la mattina presto e la sera, e rivolgiamo sempre un pensiero alle nostre famiglie, preghi e scali, preghi e scali. Cerchiamo di organizzare i nostri bagagli in modo da rendere agevole riportarli indietro ai nostri cari nel caso dovessimo morire. Se riesci a tornare a casa alla fine della spedizione, che dura diversi mesi, ti aspettano tante faccende da sbrigare ma anche l’amore della tua famiglia. Cerchi di godere dell’affetto delle persone che ti vogliono bene e assaporare ogni momento con loro perché sai che ogni istante è prezioso. Quando siamo tutti insieme ci rilassiamo, mangiamo e beviamo e soprattutto parliamo, parliamo tantissimo!” Quale è il ruolo dei portatori durante le spedizioni? “È un lavoro molto duro. Dobbiamo assicurare le corde alle quote più alte, portare tutto l’equipaggiamento necessario per la spedizione, le tende, l’ossigeno, l’acqua, i viveri, allestire tutti i campi e andare avanti e indietro da uno all’altro, in continuazione, trasportando un carico pesantissimo, spesso senza usare ossigeno. Inoltre dobbiamo controllare il meteo per capire quando è il momento migliore per procedere. Quando il tempo non è favorevole bisogna aspettare, a volte a lungo: la spedizione può impiegare da un mese e mezzo fino a oltre due mesi. Bisogna concentrarsi sulla missione, prendere decisioni, assumersi responsabilità, gestire la logistica e il lavoro di squadra, sacrificarsi. Appena le circostanze sono adatte abbiamo il compito di portare i clienti in cima e riportarli poi al campo base. A questo punto per gli alpinisti l’impresa è conclusa: si rilassano e tornano a casa. Spetta a noi sherpa il compito di pulire, sistemare e riportare l’attrezzatura indietro: questo è un momento delicato, dove accadono molti incidenti, perché si fa sentire la stanchezza dei tanti metri di dislivello ad alta quota che abbiamo percorso facendo su e giù”.
Com’è nata l’Apa Sherpa Foundation? “Dal desidero di offrire alle nuove generazioni un’alternativa a questa vita così pericolosa. Questo lavoro non concede giorni liberi e quindi è automatico per i bambini abbandonare la scuola. Voglio che gli abitanti dei villaggi della mia comunità possano diventare medici, ingegneri, avvocati, scegliere la vita che vogliono e arrampicare solo se hanno voglia, per vivere un’avventura, come fanno gli alpinisti. Quando ho smesso di fare questo lavoro sono riuscito a permettere ai miei figli di studiare negli Stati Uniti: sono molto fortunati e mi rendono orgoglioso. Insieme alla mia famiglia siamo impegnati anche per la tutela dell’ambiente, ogni anno torniamo insieme diverse volte in Nepal per visitare le scuole e pulire le montagne, è importante trasmettere l’importanza del rispetto della natura e della loro terra. Contestualmente volevo adoperarmi per la formazione dei giovani della mia comunità e degli altri villaggi nepalesi, desideravo ancora ‘salvare la vita delle persone’, come da piccolo e come avevo fatto durante il mio lavoro da sherpa, riuscendo a portare a casa sani e salvi tutti i clienti che ho avuto. Così abbiamo iniziato a organizzare le iniziative per promuovere l’educazione fino a quando, quattro anni fa, abbiamo incontrato Thule: è stato grazie al suo fondamentale supporto che siamo riusciti a costruire una Fondazione efficace, attiva in tante scuole. Contribuiamo allo sviluppo dell’istruzione sotto diversi fronti, ad esempio abbiamo provvisto ogni studente di un computer: nel mio villaggio d’origine i bambini non ne avevano mai visto uno, quindi lo considero un risultato del quale essere fiero! Inoltre paghiamo gli insegnanti e offriamo il pranzo agli allievi, che spesso percorrono Non sono andato lunghe distanze per andare a lezione. a scuola, non Anche questo è un successo importante perché di solito saltavano il pasto”. sono diventato Cosa ti rende felice? “Pensare che le prossime generazioni delle comunità nepalesi potranno scegliere di non morire sulle montagne. Non sono andato a scuola, non sono diventato un medico, ma il mio obbiettivo è rimasto lo stesso: ‘salvare la vita’ ai giovani grazie all’educazione”.
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un medico, ma il mio obbiettivo è rimasto lo stesso: ‘salvare la vita’ ai giovani grazie all’educazione”
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BY STEFANO TIOZZO P OW E R E D BY S E VA P R O J EC T
È morto il primo ghiacciaio.
È
una grigia mattina a Reykjavik il 18 agosto 2019, ma nonostante tutto fa abbastanza caldo, sui 14 gradi, ampiamente sopra le medie stagionali. Purtroppo l’Islanda è una delle terre che ha subito il riscaldamento maggiore negli ultimi 20 anni. In un piccolo parcheggio di periferia, un gruppetto di circa 80 persone si raduna davanti a un bus. Sono vestiti da montagna, una classica escursione di gruppo. Se non fosse che la destinazione di questa escursione non esiste più.
Jakobsdottir, primo ministro islandese. Accanto a lei un elegante signore dalla pelle scura visibilmente in difficoltà con il clima freddo, probabilmente legato ad Amnesty International, e Mary Robinson ex primo ministro d’Irlanda e oggi impegnata nella questione ambientale. Gli ingredienti per una giornata storica ci sono tutti. Inizia la salita. Sono a due passi da Katrin, mi si avvicina la sua assistente chiedendomi “voi per quale emittente lavorate?” Non ci penso su due volte e mento dicendo “la televisione italiana”. Però mi credono, anche perché Simone, il nostro fonico, ha di gran lunga l’attrezzatura più vistosa e professionale di tutto il gruppo, l’abito a volte fa il monaco. E così improvviso un’intervista per il nostro documentario. Mi sento quasi in imbarazzo ma cerco di concentrarmi sulle domande e in qualche modo ci portiamo a casa un gran contributo, del tutto inaspettato, che da grande valore al nostro lavoro.
É il 2014 quando un team di glaciologi annuncia pubblicamente la scomparsa dell’Okjökull, un piccolo ghiacciaio negli altipiani centrali islandesi degradato ufficialmente a nevaio. La causa è il global warming. Questo ghiacciaio lo abbiamo ucciso noi con il riscaldamento globale causato dalle eccessive emissioni di gas serra nell’atmosfera. Dopo qualche anno di monitoraggio, la diagnosi è confermata. Tocca dire addio al primo gigante bianco che ci abbandona in questo bizzarro percorso autodistruttivo che abbiamo imboccato. Gli 80 escursionisti stanno per salire in cima a una montagna per celebrare il primo funerale di un ghiacciaio nella storia dell’umanità. E noi siamo con loro.
Il tempo è nuvoloso ma non piove. Il vento è quasi accettabile ma il terreno è tremendamente difficile e irregolare. La salita è di circa 1h e 30 e le guide sono molto chiare nel dirci di non perdere mai il contatto visivo con il resto del gruppo: qui non c’è sentiero, il terreno è tutto assolutamente identico e soprattutto nelle highlands il tempo può cambiare in meno di un minuto e ricoprire tutto di nebbia: perdersi qui, senza alcun punto di riferimento, significa morire.
Ero arrivato in Islanda con al seguito una troupe di 3 persone per girare un documentario sul Climate Change e le rinnovabili in Islanda il cui ricavato sarebbe andato ad un progetto di riforestazione della foresta pluviale autoctona del Madagascr, il Seva Project. Avere immagini del primo funerale ad un ghiacciaio sarebbe stata un’occasione imperdibile e quindi eccoci qua pronti a seguire il convoglio funebre. L’ambiente è sereno e informale, nessuno ha loghi di emittenti televisive, sembra a tutti gli effetti la partenza di una gita domenicale.
A mano a mano che saliamo la temperatura scende, il vento aumenta. Sulle rocce iniziano a comparire dei cristalli di ghiaccio plasmati dal vento, segno di una recente nevicata in via di scioglimento, ormai ci siamo, manca poco. Arriviamo alla base di un muro di pietre, palesemente la punta della montagna che stiamo scalando, il gruppo si ferma e io ne approfitto per far volare il mio drone, dalle immagini trasmesse al controller finalmente vedo la grande chiazza bianca di ciò che resta dell’Okjökull, adagiata in quello che ha tutto l’aspetto di essere un cratere di un vulcano spento. Il vulcano è oggi visibile ma 30 anni fa non lo era. Le immagini “prima e dopo” sono impietose.
Ci aspetta un trekking di circa 1000 metri di dislivello, nulla di eccessivamente impegnativo se non fosse che non c’è sentiero, solo una grande pietraia. Mentre ci vestiamo a bordo macchina notiamo un gran movimento intorno al bus e scopriamo che è sopraggiunta per l’occasione anche Katrin
É IL 2014 QUANDO UN TEAM DI GLACIOLOGI ANNUNCIA PUBBLICAMENTE L A S C O M PA R S A D E L L’ O K J Ö K U L L , U N P I C C O LO G H I AC C I A I O N E G L I A LT I P I A N I C E N T R A L I I S L A N D E S I D E G R A D AT O U F F I C I A L M E N T E A N E VA I O .
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Chissà in un futuro lontano se mai qualcuno metterà piede quassù, in questo luogo così remoto e chissà in che condizioni sarà la Terra in quel momento. Ciò che stiamo facendo quassù equivale a mandare una lettera nello spazio, un messaggio di aiuto arrotolato in una bottiglia in mezzo all’oceano.
Mentre penso che solo 10 anni prima io non avrei mai potuto essere dove mi ero ora senza ramponi e piccozza, un uomo prende la parola: è il momento del funerale. “Purtroppo non abbiamo una tradizione per quel che riguarda i funerali dei ghiacciai, non ne sono mai stati fatti, così abbiamo deciso di seguire un’antica tradizione Islandese quando si salgono le montagne: scaleremo questi ultimi metri in silenzio, senza mai guardarci alle spalle, esprimendo 3 desideri. La tradizione vuole che se rispettiamo queste condizioni, i nostri desideri verranno esauditi”. Così saliamo, in silenzio, senza voltarci indietro, fino ad arrivare ai margini del nevaio dove su un grande masso è stato preparato il sito della lapide da installare, sui cui un epitaffio recita: “Una lettera al futuro: questo monumento è per testimoniare che sappiamo cosa sta succedendo e ciò che invece deve essere fatto. Solo voi saprete se lo avremo fatto o meno”. Un chiaro messaggio di SOS al mondo, ai governi, alle persone. Ogni anno in Islanda si fondono 11 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Entro 150 anni tutti i ghiacciai d’Islanda seguiranno lo stesso destino se non si inverte la tendenza.
posa della targa, un gruppo di uomini intona l’inno islandese a cappella e una giovane attivista ambientale islandese legge una poesia in lingua locale.
Chissà in un futuro lontano se mai qualcuno metterà piede quassù, in questo luogo così remoto e chissà in che condizioni sarà la Terra in quel momento. Ciò che stiamo facendo quassù equivale a mandare una lettera nello spazio, un messaggio di aiuto arrotolato in una bottiglia in mezzo all’oceano. La targa infine viene messa in posizione e spinta a fondo dalle mani di 4 bambini, simbolo delle generazioni future a cui stiamo lasciando un mondo ammalato. È un momento estremamente toccante, intorno a noi il silenzio, solo i click delle macchine fotografiche e il sibilo del vento. Dopo la
Mentre scendiamo gli ultimi metri la tempesta arriva sul serio e disperde quel piccolo gruppo di umani saliti in rappresentanza della propria specie per versare lacrime di coccodrillo su una scomparsa annunciata che probabilmente sarà solo la prima di una lunga serie. O forse no. La realtà è che dipende solo da noi, ed è giunto il momento di scegliere da che parte stare.
Siamo alla fine, la gente inizia lentamente a scendere perché è in arrivo una tempesta di neve. La temperatura è scesa a toccare lo zero, inizia a nevicare. Non è facile parlare davanti a una telecamera quando hai l’orologio che corre in fretta, e soprattutto i muscoli del viso semi paralizzati dal vento e dal freddo, ma devo farlo a tutti i costi. Mi impappino, mastico le parole e faccio confusione, ma decido di non pensarci, di farlo e basta. Registro il mio pezzo tutto filato e rimetto lo zaino in spalla, sotto lo sguardo impaziente dell’ultima guida alpina rimasta su. Mentre scendiamo gli ultimi metri la tempesta arriva sul serio e disperde quel piccolo gruppo di umani saliti in rappresentanza della propria specie per versare lacrime di coccodrillo su una scomparsa annunciata che probabilmente sarà solo la prima di una lunga serie. O forse no. La realtà è che dipende solo da noi, ed è giunto il momento di scegliere da che parte stare.
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Eliott Schonfeld —
Le Minimaliste: a Himalayan Adventure B Y S I LV I A G A L L I A N I
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no zaino, una tenda, un sacco a pelo, alcuni vestiti caldi, la bussola e le mappe, il telefono satellitare, un coltello, poche stoviglie, libri, taccuino e matita, la macchina fotografica. Ecco gli ingredienti fondamentali del 24enne francese Eliott Schonfeld per fuggire dalla società moderna e abbracciare la natura selvaggia, solitaria ed incontaminata. Dopo Mongolia, Canada, Alaska, il giovane esploratore che voleva “uscire dalla modernità e diventare indipendente”, ci porta con sé attraversando l'Himalaya da ovest a est, per le ampie vallate del Ladakh e percorrendo sterili passaggi e ghiacciai verso il Nepal. Voleva vivere di sola natura e ci è riuscito. Ce lo mostra nel suo più recente documentario “Le Minimaliste: an Himalayan Adventure” che sarà proiettato nel corso dell’European Outdoor Film Tour 2019/20. Abbiamo raggiunto Eliott nel bel mezzo dell’Amazzonia, immerso in quella che sarà la sua prossima avventura, per farci raccontare cosa significa vivere la natura in modo minimalista e capire quanto poco è abbastanza.
Partiamo subito dall’Himalaya, da dove ti è venuta l’idea per questa avventura?
L’ho avuta qualche anno fa. Ho deciso di voler diventare un esploratore quando avevo 21 e ho cominciato ad interessarmi a dove poter avventurarmi, cercavo sulle mappe i luoghi più remoti del pianeta, Mongolia, Alaska, Himalaya, e pianificavo i miei viaggi futuri. L’Himalaya è stato il mio primo desiderio ma poi sono riuscito ad esplorarlo solo dopo altri 3 viaggi in luoghi altrettanto remoti. Una volta ho visto questo film, anche abbastanza stupido, che sia chiama The Secret Life of Walter Mitty, dove il protagonista, Ben Stiller, finisce in una prigione in Himalaya. Quello che mi è rimasto impresso tuttavia sono i luoghi mostrati nel film, paesaggi così remoti e incontaminati che mi hanno subito ispirato.
Quindi hai deciso di diventare un esploratore a 21 anni, non è una decisione molto comune. Cosa hanno detto i tuoi genitori?
Non è una decisione che è venuta proprio fuori dal nulla. Viaggiavo già da due anni perché sono partito appena dopo aver finito gli studi. Mi sono diplomato a 18 anni e ho deciso di prendermi un anno sabbatico e viaggiare qualche mese per capire cosa fare del mio futuro. Sono partito quindi per l’Australia per 5 mesi e accidentalmente mi sono perso per una settimana nella foresta tropicale e lì ho capito veramente cosa significa essere parte della natura. In seguito mi sono recato in Canada, in Quebec, per lavorare e quando sono tornato in Francia ho deciso che sarei tornato alla vita di tutti i giorni, iscrivendomi alla facoltà di filosofia all’università. Sono resistito solo una settimana, ho lasciato la scuola e ho deciso che avrei fatto l’esploratore a tempo pieno. I miei genitori sono rimasti un po’ sconvolti ma credo che ora siano felici per me, sanno che è quello che desidero fare nel mio futuro. Ovviamente a volte sono spaventati, soprattutto alla vigilia delle partenze, ma si fidano di me e sanno che starò attento.
Viaggi per la maggior parte del tempo, uno dei motivi può essere che ti senti a volte così sopraffatto dall’uomo e dalla civilizzazione che hai bisogno di trovare dei momenti per te, da solo?
In realtà il motivo per cui ho scelto di stare a contatto con la natura non ha nulla che a che fare con una ipotetica fuga dalla civilizzazione. È semplicemente il bisogno di raggiungere un altro mondo, perdermi nella natura e poi tornare alla vita di tutti i giorni. All’inizio mi piaceva certamente scoprire nuovi mondi, conoscere popoli nomadi e così diversi da tutto ciò a cui ero abituato. Tutto questo ha cambiato il modo in cui vedo il mondo, mi ha fatto scoprire cosa il nostro pianeta può offrire e ha sviluppato in me la voglia di combattere per preservarlo.
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Dopo aver vissuto così a lungo in terre selvagge è cambiato qualcosa nella tua vita una volta che sei tornato a Parigi?
Dopo queste avventure mi sono reso conto la civilizzazione è dovunque intorno a noi, anche le popolazioni nomadi ne sono state in qualche modo toccate, non c’è modo per sfuggirvi. Quando vivevo a Parigi, prima di iniziare le mie esplorazioni, compravo cibo e prodotti quando ne sentivo il bisogno. Dopo queste esperienze invece ho realizzato quanto sia importante essere consapevoli di quello che compriamo, mangiamo, consumiamo in generale. Ovviamente questo non fermerà quello che sta accadendo al nostro pianeta perché sta succedendo tutto molto più velocemente di quanto i piccoli cambiamenti che possiamo fare nella nostra vita di tutti i giorni possano incidere. Ma è un primo passo.
Hai viaggiato a lungo, hai mai pensato di stabilirti in qualche luogo preciso o va contro alla tua idea di viaggio?
Al momento mi trovo nel bel mezzo dell’Amazzonia e quando tornerò in Francia lascerò Parigi per spostarmi sulle Alpi. Uno dei miei posti preferiti del mondo però rimane l’Alaska e uno dei mie sogni sarebbe vivere in qualche remoto luogo in Alaska o Canada. Mi piacerebbe costruire un piccolo cottage dove abitare per alcuni periodi dell’anno quando non sono in viaggio.
Quando parti per una nuova avventura sei preoccupato o spaventato all’inizio oppure è una cosa a cui ci si abitua?
Non ci do molto peso di solito, anche perché in quei luoghi remoti o in montagna il tempo scorre in modo diverso. Per giorni a volte non succede niente e più passa il tempo più inizi ad apprezzare la solitudine e lo scorrere dei giorni tutti uguali senza grandi avvenimenti. Giorno dopo giorno impari le regole dell’ambiente che ti circonda e diventa sempre più facile viverci perché hai passato la parte che riguarda la mera sopravvivenza e la vita lì improvvisamente diventa la tua routine. Cominci a sentirti parte di quel luogo che all’inizio ti sembrava tanto ostile, tanto pauroso. Non la chiamerei libertà perché non sei libero, anzi devi sottostare alle regole del luogo selvaggio che ti sta ospitando per riuscire a sopravvivere. Ancora oggi è una sensazione che mi affascina e a cui non riesco ad abituarmi.
Recarsi in posti remoti ed incontaminati aiuta a riconnettersi con la natura, pensi sia un’esperienza che tutti dovremmo fare almeno una volta nella vita?
Essere immersi nella natura ti fa realizzare quanto tu ne faccia in realtà parte, l’umanizzazione e la civilizzazione ce lo hanno fatto dimenticare ma lì, in quei luoghi così selvaggi, capisci cosa significa veramente. Non sei più tu che hai il controllo e lasci che le circostanze di quello che ti succede attorno decidano per te, ti ci devi solo abituare, ma in questo modo ti rendi conto di essere solo una piccola parte di qualcosa di più grande. È una sensazione strana, come se fossi niente ma al contempo potente, piccolo comparato a quello che ti circonda ma al tempo stesso forte per essere una parte del tutto.
Pensi ci sia una contraddizione nel rifiutarsi di vivere in mezzo alla modernità e al tempo stesso raccontare i pericoli della stessa e un modo alternativo ad essa di vivere attraverso un oggetto così tecnologico come una videocamera?
Non vedo una reale contraddizione perché, come dicevo prima, ormai la civilizzazione ha raggiunto praticamente qualsiasi angolo del pianeta. Usare qualcosa di tecnologico per promuovere uno stile di vita non tecnologico non credo sia un problema ma sono un mezzo, uno dei tanti strumenti a mia disposizione per raggiungere quelle persone che, come me, fanno uso di quel tipo di tecnologia. La cosa importante per me è essere in grado di mostrare che è possibile un altro tipo di vita, un qualcosa che ci metta in armonia con la natura, che mostri che vivere in quanto esseri umani non implica necessariamente distruggere la natura, possiamo convivere in armonia con essa. Ci sono tanti altri stili di vita e per me è importante mostrarli.
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Home to Lake BY LUCA ALBRISI
_ Non saprei dire esattamente quando mi sia venuto in mente di pianificare questo viaggio. Credo più che altro che nel corso degli anni sia cresciuta in me sempre più intensamente la voglia di “vedere cosa c’è nel mezzo”. Esplorare quei luoghi - se pur relativamente vicini - che vengono spesso ignorati perché “terre di mezzo” o di attraversamento. Dove pochi si recano e che quindi, anche se vicini, riescono a mantenersi intatti e a preservare la propria essenza.
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O
È
ormai da molti anni che cerco di vivere le mie avventure, grandi o piccole che siano, con l’intento primario di scoprire quanto di più sorprendente possa esserci vicino. Uscire dalla porta di casa in splitboard o a piedi e cominciare la mia ricerca di luoghi sconosciuti, rappresenta una sfida che mi spinge a guardare gli spazi vicini con una prospettiva diversa, creativa.
le paure e capire le insicurezze altrui. Non dare nulla per scontato se non la volontà di viaggiare tutti insieme, esplorando anche gli aspetti più interiori di questa avventura. La paura del “non essere in grado” è uno dei tranelli più infimi della nostra vita. Da quando nasciamo provano a inculcarci la perfezione come obiettivo, per paura di accettare l’imperfezione come realtà. Ma è quello, che siamo. Dovremmo piuttosto imparare a fallire alla grande e accettare la nostra imperfezione con leggerezza. Quindi - nel dubbio - partire anche senza la certezza di arrivare. Che molto spesso, la paura, svanisce proprio dopo il primo passo.
#HomeToLake è un’idea che ha preso forma negli ultimi due anni nascendo proprio con questi presupposti. Un’idea per me molto significativa proprio perché permeata di quella semplicità che rappresenta una mia costante ricerca. Di per sé un intento semplice come quello di uscire di casa, in val di Peio per correre e camminare verso il Lago di Garda. In testa un’idea di itinerario, sulle spalle l’attrezzatura strettamente necessaria, nel cuore una grande voglia di scoprire luoghi inconsueti e poter condividere momenti e pensieri con chi ho di più caro.
CHAPTER I “Nell’anima e nelle gambe”. Sentire la porta che si chiude dietro le proprie spalle è la prima divisione netta tra quello che è stato e quello che sarà. I preparativi, la mappatura, la dettagliata considerazione di quali materiali serviranno e come trasportarli. Tutto rimane indietro. Davanti c’è solo la sperimentazione di tutto quello che è stato immaginato e la voglia di lasciarsi meravigliare. Partire è soprattutto lasciare a casa i propri preconcetti e godersi tutte le avventure, e disavventure, che il nostro “muoverci nel mondo” porta con se. Abbandonare il conosciuto, il popolato, il turistico, significa immergersi in una realtà naturale dove i sentieri a tratti spariscono quasi completamente e dove i numerosi animali fuggono spaventati dalla presenza umana cui non sono soliti. Val Gelada non sembra rappresentare il carattere freddo di questo luogo ma piuttosto il suo essersi ibernato in un tempo lontano dal nostro. Eppure, nonostante questa sua distanza, sento di riconoscere me stesso più in questo luogo che non nel carattere frastornato di quella vita moderna che ci hanno inculcato di desiderare.
CHAPTER 0 Km. 0 “Nulla inizia senza paura”. I giorni sono contati, purtroppo. E quando una cosa che aspetti di fare da così tanto tempo rischia di svanire non è facile mantenere la calma. Ma il meteo, si sa, è qualcosa su cui non possiamo avere il minimo controllo, per questo rimane una delle espressioni naturali di libertà più assolute che ci siano. Sentire la pioggia che cade in modo deciso e ininterrotto sul tetto della nostra mansarda ci lascia poche speranze e pone molti dubbi. Il poco tempo a disposizione per portare a termine questo viaggio mi fa dubitare della partenza stessa. Alessandra è preoccupata sapendo che se decidessimo di partire, significherebbe unire le prime due tappe del nostro percorso. Lo spirito di questo viaggio è anche quello di percepire
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Il primo valico del nostro viaggio ci regala l’immagine del Brenta che si specchia nel lago Serodoli e mi fa rendere finalmente conto di quanto sarà affascinante e impegnativo questo viaggio. Proprio qui, non molti anni fa, ha avuto luogo un braccio di ferro tra ambientalisti e una società impianti che voleva ampliare le proprie piste da sci fino a qui. Lo stesso progetto è stato rilanciato in questi giorni e mi chiedo se noi, nuove generazioni di attivisti, saremo in grado di fermarlo ancora una volta. Comincio la mia discesa con la volontà di lottare per la preservazione delle aree selvagge e l’amara consapevolezza di quanto troppo spesso, nell’immaginario collettivo, la normalità sia rappresentata invece da uno “sviluppo” standardizzato che non tiene conto delle esigenze delle altre forme di vita o dell’importanza dei luoghi. Così prometto a me stesso di fare di più, di informarmi di più, di informare di più. Di agire di più. E di provare a non anestetizzare quel dolore nell’anima che in questo momento supera di gran lunga quello delle mie gambe.
per me, ma negli ultimi anni sto cercando di capire, piuttosto, cosa rappresento io per loro. Se sono in grado di ricambiare in qualche modo il senso che hanno generato nella mia vita. Se posso ripagarle di tutte le emozioni che mi hanno fatto vivere e dei momenti che mi porterò dentro per sempre. Guardo Ale un po’ preoccupata e guardo i miei “coni” (ndr: Coni=cani particolarmente randagi e girovaghi. Cit: Snatch) che, inconsapevoli, mi lanciano sguardi un po’ allibiti. Ci siamo alzati molto presto, eppure siamo ancora qui, fermi, ad aspettare che la neve si ammorbidisca, almeno un po’. Mi trovo di fronte alla bocca di Tuckett piena di neve, come non l’avevo mai vista. Lo strato superiore è duro, quanto la mia resistenza nel rendermi conto della necessità di cambiare itinerario. Mi risulta molto difficile realizzare questa mancanza di feeling nei confronti dell’“elemento” con cui ho maggior confidenza e a cui, almeno per ora, ho dedicato la vita. Ma in fondo, penso, siamo qui per attraversare, per viaggiare e per condividere, non per andare in snowboard. La reattività al cambiamento è una delle qualità che preferisco e che più mi affascina. Per noi significa tornare sui nostri passi, per non pochi kilometri, e poi risalire da un altro versante. Ma in fondo “sbagliare strada” spesso significa solo essere disposti a raggiungere il medesimo obiettivo tramite una percorso diverso e non previsto ma - chissà - magri più bello di quella che avevamo programmato.
CHAPTER II “Piccoli e mutevoli” Il nostro cammino verso il Brenta scorre veloce e leggero nonostante i kilometri e il dislivello non siano irrilevanti. Attraversare il fondovalle, i paesi e il flusso turistico che in questo periodo li invade fa un effetto strano sui ricordi ancora freschi di aree così poco antropizzate e della pace che le accompagna. Inconsapevolmente acceleriamo il passo per tornare in luoghi più solitari e lasciarci alle spalle i segni della civiltà e, forse, anche un po’ nostri. I tanti alberi caduti come stuzzicadenti, soffiati via dal vento, mi ricordano quanto poco controllo possiamo avere sulla vita e quanto la nostra arroganza e noncuranza possa essere spazzata via in un attimo. L’errore più grande che commettiamo è proprio quello di ritenerci fondamentali per questo mondo. Ma la realtà è che non lo siamo. So bene cosa rappresentano le montagne
... Così prometto a me stesso di fare di più, di informarmi di più, di informare di più. Di agire di più. E di provare a non anestetizzare quel dolore nell’anima che in questo momento supera di gran lunga quello delle mie gambe.
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CHAPTER III. “Legàmi”
gino il suo tragitto veloce all’interno degli stretti canyon della valle; poi giù per una cascata e poi di nuovo, rapida, verso il fondo. Tutto sommato in questo momento l’obiettivo dell’acqua non è molto diverso dal nostro: lasciarsi andare, rapida, verso il lago più vicino. So che questa attesa forzata ci costringerà a nuove modifiche di percorso, ma so anche che l’acqua trova sempre una strada. Ho i piedi a mollo nel Lago di Garda e l’animo leggero. Per tutto il viaggio mi sono immaginato arrivare qui e tuffarmi. Invece mi accontento di guardare questa immensità d’acqua e ripensare a questi ultimi kilometri di “pianura” e caldo. Di paesi e borghi attraversati ricostruendo con l’immaginazione la vita di un tempo e cercando sollievo all’ombra di qualche albero solitario o in qualche fontana, prima di rientrare nel bosco. All’ultimo passo mi sono soffermato a guardare la vallata che dà verso il lago e a pensare a quanto i luoghi conosciuti possano cambiare aspetto se raggiunti in modo diverso. A quanti luoghi diamo per scontati lasciandoli scorrere troppo velocemente.
Le prime luci del giorno stanno illuminando la Bocca di Tuckett completamente innevata alle mie spalle, mentre attraversiamo la valle dirigendoci verso il nostro prossimo punto di valico. Cerco di non pensare a come sarebbe stato e concentrarmi su come sarà, anche se non è sempre così semplice muovere i nostri pensieri nella direzione che desideriamo. Scendere per poi risalire, in fondo è una costante metafora di vita. Mi fermo a scattare qualche foto e mentre guardo Ale e i coni muoversi agili in lontananza, mi rendo davvero conto della maestosità di questi luoghi. So che questo viaggio non sarebbe stato la stessa cosa senza le mie tre compagne e mi rendo conto di quanto ogni giorno rappresenti uno stimolo a migliorarsi e superare gli imprevisti, tutti insieme. E che se la neve non ci avesse fermato non saremmo qui, ora. Forse, in fondo, non mi ha tradito nemmeno questa volta. Sono sempre più consapevole del legame che unisce noi quattro e di come stiamo imparando ad affrontare tante sfide diverse. E poi ghiaioni, ferrate e nuovi scivoli di neve - tutti insieme - giungendo sorridenti e scodinzolanti alla Bocca di Brenta. Al di là del passo non c’è più neve ma solo tanta nebbia che lascia appena scorgere alcune cime di fronte a noi, avvolte dal nulla. Lasciamo trascorrere alcuni minuti per mangiare e riposarci consapevoli che, nella vita come nei viaggi, spesso bisogna saper aspettare. Far passare il nulla, convinti dello spettacolo che ci aspetterà. E mi rendo conto di essere felice di trovarmi qui, di fronte a me stesso, di fronte ad Ale, di fronte a Kaya e Maka. Di fronte alla costante incertezza di questo viaggio. Di fronte a tutta questa natura che mi piomba negli occhi e poi scende fin giù, nel profondo. E che, come pioggia, non si può fermare.
Credo dovremmo riappropriarci del nostro diritto alla lentezza, della nostra vita e dei luoghi in cui la viviamo. Penso a tutto questo viaggio, a quanto sia distante casa e a quanti passi abbiamo fatto per arrivare fino a questo lago. Guardo Ale, Kaya e Maka, stanche e felici, e in questa felicità intravedo tutte le avventure vissute e quelle ancora da vivere, insieme. L’ultima tappa di un bel viaggio porta sempre con se un’amara eccitazione. Quella del vedere un’idea che si concretizza pur sapendo che a breve svanirà di nuovo, per diventare ricordo.
...
CHAPTER IV. Km. 130 “Come acqua, verso l’acqua.”
Perché a volte parte tutto da un’idea semplice, come quella di uscire di casa e andare al lago.
Guardo fuori dalla finestra mentre lampi e tuoni si sfogano a breve distanza dal rifugio. Immagino tutta quest’acqua riempire il torrente che scorre a pochi metri da qui, imma-
E sta tutto nel coraggio di dedicarsi a questa semplice idea, proprio come semplice è perdersi nell’avventura.
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Fabiano Ventura I T W M AT T EO PAVA N A POWERED BY FERRINO
Romano, classe 1975, fotografo. Da 15 anni sta lavorando al suo progetto fotografico-scientifico “Sulle Tracce dei Ghiacciai”, che si avvale del contributo di fotografi e scienziati per coniugare comparazione fotografica e ricerca scientifica al fine di analizzare gli effetti dei cambiamenti climatici partendo dall’osservazione delle variazioni delle masse glaciali. Se oggi vedete riportate le immagini delle conseguenze del riscaldamento globale sui ghiacciai sulle più importanti testate giornalistiche, sicuramente sono le sue.
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u Odio profondamente i negazionisti della crisi ambientale.
• I dati scientifici confermano che entro il 2050 tutti i ghiacciai alpini sotto i 3500 metri scompariranno.
Mi rendo conto che non è il modo più neutrale e diplomatico di introdursi con un articolo, ma non posso esprimermi con mezzi termini verso gli scettici e i miscredenti dell’ovvio, verso coloro che scelgono l’ignoranza e l’arroganza anziché la ricerca e l’informazione. Il riscaldamento globale è un processo reale. Se nutrite ancora dei dubbi sul tema, beh, forse vale la pena fare un ultimo e disperato tentativo con questo articolo. Il lavoro di glaciologi e climatologi è importantissimo per la divulgazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Spesso però si fa riferimento a numeri e dati e interpretarli non è per tutti. Per fortuna c’è chi ha deciso di unire la scienza all’arte. Dovete sapere che una cosa che amo tantissimo è il lavoro degli altri fotografi. È più forte di me. Chiamatela passione, deformazione professionale, quello che volete. Un po’ per questo motivo e un po’ per il mio spirito ambientalista ho deciso di scrivere a Fabiano Ventura, un fotografo il cui lavoro seguo da molto tempo.
Questi sono solo alcuni degli eventi manifestatisi. Di fronte a simili catastrofi ci si sente impotenti e si ha l’assoluta sensazione di non poter cambiare nulla e di non avere le capacità fisiche e morali per poter reagire. Anch’io mi sento così. Credetemi, fa un male cane. Mi ritorna alla mente quella volta che il mio amico Luca Albrisi, uno che ne sa una in più del diavolo o che semplicemente porta assieme alle sue citazioni anche il peso dei suoi anni, mi ha detto: "Non può esistere azione senza riflessione e non deve esistere riflessione che non porti all’azione”. Un concetto semplice, non banale, efficace. Per avere una consapevolezza di quello che sta accadendo c’è bisogno di un’opinione pubblica critica e informata. È arrivato il tempo di assumersi le proprie responsabilità per un cambiamento culturale collettivo. Questa è la base per sollevarci a collaborare come razza universale in maniera sostenibile e intelligente. Sono da sempre innamorato delle storie di uomini e donne che, attraverso la loro visione e il loro impegno, hanno portato i popoli all’azione del cambiamento. In un momento delicato come questo ho pensato fosse importante raccontarvi la persona e il lavoro di Fabiano Ventura.
Prima di parlarvi di lui vorrei fare alcune parentesi. Negli ultimi mesi sono successi o sono tutt’ora in corso degli avvenimenti che meritano di essere citati: • La Groenlandia perde miliardi di tonnellate di ghiaccio al giorno e tra una ventina di anni l'Artico potrebbe restare senza ghiacci;
Ecco, adesso posso introdurvelo. Romano, classe 1975, fotografo appunto. Fabiano è uno di quei fotografi che davanti a un tramonto è stato in grado di dirmi che “la bella luce viene solo dopo la salute” - giusto per farvi capire la dedizione alla materia -. Da 15 anni sta lavorando al suo progetto fotografico-scientifico “Sulle Tracce dei Ghiacciai”, che si avvale del contributo di fotografi e scienziati per coniugare comparazione fotografica e ricerca scientifica al fine di analizzare gli effetti dei cambiamenti climatici partendo dall’osservazione delle variazioni delle masse glaciali. Me lo dice umilmente, come se fosse una cosa normale, una cosa che è nata e si è evoluta naturalmente nel tempo. Se oggi vedete riportate le immagini delle conseguenze del riscaldamento globale sui ghiacciai sulle più importanti testate giornalisti-
• Le più grandi foreste tropicali e pluviali in tutto il mondo stanno andando a fuoco. Tali incendi producono tonnellate di anidride carbonica, contribuendo così al repentino surriscaldamento globale e conseguente fusione dei ghiacciai; • Lo scorso luglio è stato il mese più caldo mai registrato di sempre; • Il nuovo governo brasiliano ha duplicato il disboscamento dell'Amazzonia. Gli alberi sono l’unico strumento sostenibile in grado di trattenere i gas serra; • Visti i dati scientifici presto un quarto della popolazione mondiale rimarrà senza acqua e alcune zone saranno invivibili a causa dell’aumento delle temperature;
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Lo strumento della fotografia di confronto ha un forte potere di comunicazione ed è inequivocabile: si fissa il tempo in due immagini. Hai un riferimento d’inizio e di fine, il resto lo fa la nostra immaginazione. _ che, sicuramente sono le sue. L’idea è nata nel 2004 in occasione della spedizione italiana che ha commemorato il 50esimo anniversario della prima salita del K2, di cui Fabiano è stato fotografo ufficiale. Da giovane si è appassionato all’astrofotografia per poi intraprendere l’attività di fotografo freelance nel mondo dell’outdoor e degli sport estremi. Ha seguito atleti di fama internazionale in numerose spedizioni, fino a quella che avrebbe cambiato la sua vita e che presto avrebbe scosso le nostre coscienze. La potenza del suo lavoro non merita complicate spiegazioni tecniche: Fabiano riproduce dagli stessi punti, con le stesse ottiche e nello stesso periodo dell’anno le fotografie dei ghiacciai dei principali fotografi-esploratori di fine ‘800 e inizio ‘900. Questa tecnica prende il nome di “repeat photography” (fotografia di confronto).
na fino a verificare l’esattezza del luogo. Poi è solo questione di luce. Fabiano mi racconta con entusiasmo il lungo lavoro di selezione delle immagini negli archivi storici nazionali e internazionali e la ricerca del luogo dello scatto, con un po’ meno entusiasmo la burocrazia relativa a permessi scientifici, partnership con enti locali e sponsor tecnici, per non parlare della logistica delle spedizioni sempre molto complicata trattandosi di zone particolarmente remote.
Perché i ghiacciai sono così importanti? Forse vale la pena spiegarlo visto che di questi tempi la corretta informazione non è mai troppa. Partiamo dalla base: il ghiacciaio non è altro che una massa d’acqua congelata conservatasi per migliaia di anni. Alcuni studi hanno ricostruito scenari in cui fino a circa 20.000 anni fa il pianeta Terra era ricoperto per il 32% da masse glaciali. Oggi quelle masse corrispondono al 10%, in rapida diminuzione.
Ho incontrato Fabiano nella pre-spedizione “Alpi 2020”, l’ultima tappa del suo progetto decennale. Finora sono state 5 le spedizioni svoltesi sui ghiacciai montani più importanti della Terra, tutte portate a termine con successo: Karakorum 2009, Caucaso 2011, Alaska 2013, Ande 2016 e Himalaya 2018. Dati alla mano, sono stati finora analizzati 27 ghiacciai e realizzati più di 100 confronti fotografici.
Dove sta il problema? I ghiacciai sono i termometri del nostro pianeta. Più ghiaccio c’è, più è fresco. Meno ghiaccio c’è, più è caldo. Semplice no? Per fare un esempio banale potremmo dire che al di sopra di una certa temperatura, come accade al nostro corpo, il pianeta si ammala. Le cause della fusione dei ghiacciai, e quindi dell’innalzamento della temperatura, non sono naturali, ma fanno parte di un problema esclusivamente di tipo antropico. Le cause sono molteplici e sono sicuro che già le conoscerete, ma è meglio ripeterle:
Lo strumento della fotografia di confronto ha un forte potere di comunicazione ed è inequivocabile: si fissa il tempo in due immagini. Hai un riferimento d’inizio e di fine, il resto lo fa la nostra immaginazione. Lo scioglimento del candido manto nevoso, il fragore delle scariche di sassi neri sul ghiaccio puro, l’innalzamento della vegetazione sono la traduzione della lenta e straziante morte delle montagne. Il risultato è drammaticamente affascinante quanto il procedimento per arrivare allo scatto. Si ha a disposizione l’indizio di una breve descrizione sul retro della fotografia storica; il resto è una caccia al tesoro. Si ipotizzano la stagione, l’orario e la prospettiva dello scatto storico e poi si cammi-
• L’importante produzione di CO2 per via delle varie attività umane tra cui, prima tra tutte, l’allevamento intensivo (corrisponde a circa il 40% delle emissioni totali); • La combustione di combustibili fossili; • L’esteso processo di deforestazione;
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Fabiano ha deciso di rispondere con il connubio tra fotografia e scienza cercando di generare informazione e consapevolezza nell’opinione pubblica. Mai sono stato così convinto che la fotografia possa fare la differenza e il suo lavoro ne è l’espressione massima.
Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai sono catastrofiche, ma prima di dirvele preferirei spiegarvi in maniera molto sintetica la dinamica dei ghiacci. Abbiamo capito che i ghiacciai non sono altro che acqua solidificata migliaia di anni fa. Ok, fin qui ci siamo, perché basta che pensiamo al nostro freezer di casa. Un ghiacciaio si forma nel momento in cui la neve che precipita in inverno eccede quella che si fonde d’estate. In questo modo infatti la neve in eccesso, strato dopo strato, si accumula e diventa ghiaccio. I ghiacciai corrispondono al 75% delle riserve di acqua dolce sulla Terra. Il fatto che un ghiacciaio si fonda in estate e aumenti di conseguenza la concentrazione di acqua dolce è un bene per la vita. Il problema purtroppo è che l’innalzamento della temperatura media, per i motivi prima elencati, stanno fondendo i ghiacciai a un ritmo esponenzialmente rapido. La prima drammatica conseguenza di quanto avviene è la riduzione delle riserve di acqua dolce. Capite la catastrofe e tutta la reazione a catena che ne sussegue? La maggior parte dei governi del mondo ignora il problema, l’altra parte preferisce negarlo. Il perché l’evidenza venga negata penso che sia un problema che dipende dalla nostra stessa natura: di fronte a una catastrofe è meglio non pensarci, anzi è meglio ignorarla, anche se questo significa la morte di alcuni di noi o, peggio ancora, la nostra stessa estinzione. No, l’estinzione non è uno scenario improbabile, tutt’altro.
• Squilibrio della catena alimentare, poiché un innalzamento della temperatura dell’acqua e una variazione della sua salinità comporta la variazione del ciclo naturale della flora e della fauna marina.
Le conseguenze della fusione dei ghiacci sono anch’esse molteplici:
Siamo proprio sicuri di volerci scontrare con la Natura?
• L’aumento del livello degli oceani e la conseguente inondazione di intere aree continentali abitate;
Lascio la risposta ai negazionisti (o a voi che mi avete letto)
Un’altra conseguenza importante è che contemporaneamente alla fusione dei ghiacciai avviene la degradazione del permafrost artico che, per composizione chimica ed estensione, rilascia metano, quindi l’aumento esponenziale dei gas serra. Il risultato finale? L’impossibilità di adattamento da parte della specie umana e quindi alla sua sopravvivenza.
Di fronte a questa problematica occorre agire, fin da subito. Fabiano ha deciso di rispondere con il connubio tra fotografia e scienza cercando di generare informazione e consapevolezza nell’opinione pubblica. Mai sono stato così convinto che la fotografia possa fare la differenza e il suo lavoro ne è l’espressione massima. Noi tutti, attraverso una nostra personale presa di posizione, possiamo fare qualcosa. La fusione delle masse glaciali è solo uno degli effetti del riscaldamento globale. Assieme a quelle predette, esistono tante altre variabili imprevedibili.
Buona fortuna.
• Stravolgimento del clima e conseguente estremizzazione degli eventi naturali come alluvioni, tifoni, ondate di calore e forti siccità;
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My Fjällräven Classic Sweden PHOTO ANETTE ANDERSSON TEX T PIETRO IENCA GAZZOLO (TRIPINYOURSHOES)
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siste una parola in svedese che descrive perfettamente il mistero e l’incanto che uniscono tutti i grandi amanti della montagna. Questa parola è “Bergtagen”. Le sue origini sono antiche e avvolte nel mito. Raccontano la leggenda di curiosi troll che vivevano nelle grotte delle montagne e rapivano i viaggiatori solitari. I più coraggiosi e fortunati che riuscivano a fuggire erano comunque destinati a rientrare nei loro villaggi quasi come sotto incantesimo, ormai cambiati per sempre. Ecco quindi che “Bergtagen” veniva pronunciata per mettere in guardia esploratori e camminatori dai pericoli della montagna. Oggi la leggenda ha lasciato spazio a nuove interpretazioni e “Bergtagen” è spesso usata in svedese per descrivere l’ossessione di coloro che amano essere circondati dalla natura. Sono rientrato dalle montagne della Svezia ormai da diverse settimane e devo ammettere che forse qualche troll esiste ancora… Lo scorso agosto sono stato infatti invitato, insieme al mio socio e amico Luigi, a prendere parte alla delegazione media che ha raggiunto i partecipanti dell’edizione 2019 di Fjällräven Classic Sweden. Si tratta di uno dei più grandi e famosi eventi trekking al mondo, che ogni anno riunisce oltre 2.000 camminatori per percorrere 110 km nel cuore della Lapponia Svedese. A partecipare sono grandi e piccini di ogni età. Basti pensare che quest’anno il più anziano aveva 80 anni e il più piccolo solo 1 e mezzo. Grazie all’Allemansrätten, il diritto svedese di accesso ad aree pubbliche e private per attività ricreative o esercizio fisico, durante il cammino i partecipanti possono campeggiare ovunque per la notte. Possono anche scegliere il ritmo di camminata che preferiscono. Da soli, o in compagnia. L’unica regola vigente è quella di lasciare l’ambiente naturale così come lo si è trovato. Non a caso, infatti, il Classic è un evento ecologico certificato Håll Sverige rent (conosciuta anche come la “Keep Sweden Tidy Foundation”).
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[...] La leggenda racconta di curiosi troll che vivevano nelle grotte delle montagne e rapivano i viaggiatori solitari. I più coraggiosi e fortunati che riuscivano a fuggire erano comunque destinati a rientrare nei loro villaggi quasi come sotto incantesimo, ormai cambiati per sempre.
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Io e Luigi abbiamo avuto l'onore di percorrere gli ultimi chilometri del cammino insieme ai partecipanti e per l’occasione siamo stati anche chiamati a prendere parte ad un test di prodotto davvero unico. L’obiettivo era quello di provare i nuovi capi della linea d’alta quota di Fjällräven, che non a caso si chiama proprio Bergtagen e viene sviluppata con la collaborazione delle Guide Alpine Svedesi. Per farlo, abbiamo raggiunto uno dei principali ghiacciai dell’area, il Goduglaciären. Lo abbiamo scalato, fino a raggiungere i 2000 metri di quota. Uno spettacolo mozzafiato. È stato toccante vivere in prima persona la sofferenza del ghiacciaio. Sapere che in meno di 20 anni scomparirà ci ha fatto riflettere molto. Cosa mi porto a casa da questa esperienza? La convinzione che, in tema di cultura del trekking, la Svezia ha tanto da insegnarci. Che le aziende outdoor possono e devono impegnarsi concretamente per trovare soluzioni utili a ridurre al minimo l’impatto dei processi di produzione, ed aumentare il più possibile la durabilità dei loro prodotti. Che Fjällräven questo impegno lo mette in pratica seriamente e già da diversi anni. Che non esiste brutto tempo, esiste piuttosto l’equipaggiamento sbagliato. E infine che quando si cammina sulle montagne svedesi è bene stare attenti, perché ci sono certi troll pericolosi, capaci di rapire i camminatori solitari e cambiarli per sempre…
Cosa mi porto a casa da questa esperienza? La convinzione che, in tema di cultura del trekking, la Svezia ha tanto da insegnarci. [...] Che non esiste brutto tempo, esiste piuttosto l’equipaggiamento sbagliato. E infine che quando si cammina sulle montagne svedesi è bene stare attenti, perché ci sono certi troll pericolosi, capaci di rapire i camminatori solitari e cambiarli per sempre…
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Chile’n’ride B Y V O T T E R O “ S I S A” E L I S A E O L I V E R “ O L LY ” M O N D I N O P O W E R E D G I A N T, L I V, S A L E WA
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b Qui inizia il viaggio vero e proprio, quello che ti fa fare la bici dentro di te e ti provoca sensazioni così forti ed intense che quasi spaventano per la loro purezza.
A
vevamo un piano ben definito Olly ed io. Attraversare il Cile in bicicletta. Io sarei poi passata ad un paio di sci mentre Olly allo snowboard. Un piano semplice e lineare. Dopo attente ricerche avevamo individuato 6 vulcani, in mezzo agli oltre 200 del paese, che valeva davvero la pena vedere ed eravamo pronti a macinare chilometri in bici per raggiungerli.
Nella prima parta del viaggio la bici ci serve per spostarci da un vulcano all’altro, è il turno di Lonquimay, dove troviamo finalmente bel tempo. Dopo qualche ora di ascesa conquistiamo anche questo gigante. Lo spettacolo dalla vetta è magnifico. In lontananza si vedono gli altri vulcani che ci aspettano e, poco più in là l’Argentina, con i suoi vulcani su cui si può sciare all’interno dei crateri. La natura è veramente spettacolare.
Lasciamo quindi l’Italia durante un torrido ferragosto e ci risvegliamo 18 ore dopo nel fresco inverno di Santiago. La prima tappa è Termas de Chillan, ma nel momento esatto in cui tocchiamo il suolo cileno capiamo che del nostro bel piano, minuzioso e dettagliato, ce ne saremmo fatti ben poco. Conosciamo subito la pioggia che ci accompagnerà per molto tempo. La sentiremo penetrare fino alle ossa, ci sporcherà e ci farà perdere la pazienza, ma si rivelerà anche utile quando d’improvviso lascerà spazio al sole e ci regalerà arcobaleni e colori tanto inimmaginabili da togliere il fiato. Ci inviterà alla calma e alla riflessione, perché la pioggia porta con sé il silenzio, e a noi non resta che lasciarci andare ad essa.
I chilometri in bici aumentano, il vento e la pioggia non ci mollano quasi mai e ci fanno saltare altri due vulcani. Arriviamo all’Osorno, i local dicono che il giorno successivo sarà buono per salire. Dormiamo sotto un cielo di stelle che raramente ho visto così affollato. Mi sembra di vedere la Via Lattea per la prima volta nella mia vita. Il giorno successivo mettiamo le pelli, impazienti di salire. Sembra tutto perfetto, il cielo è di un blu intenso e splende il sole, ma il vento arriva all’improvviso e più saliamo più aumenta, ci schiaffeggia per bene e ci insegna una lezione che non dimenticheremo. Togliamo le pelli a qualche centinaio di metri dalla cima e ci godiamo la discesa primaverile in questo panorama lunare.
Dunque il primo giorno cambiamo anche per la prima volta il nostro programma, ci dirigiamo verso il nostro secondo obbiettivo, Antuco. Questi ulteriori chilometri in bici ci servono per rodarci ,la bici è pesante ma nonostante tutto, in quell’istante, mi sento una delle persone più felici al mondo. A darci il benvenuto qui è un nuovo amico, il vento e aspettiamo un po’ prima di provare a salire con la speranza che cali. Ci facciamo strada tra un cratere e l’altro sotto un cielo azzurro e un sole caldo. Sorrido mentre mi giro a guardare il panorama e penso che, nonostante tutto, abbiamo iniziato nel migliore dei modi.
Era il nostro ultimo vulcano, è stato bello rimettere gli sci ai piedi in pieno agosto, dall’altra parte del mondo. Arriviamo a Puerto Montt, dove inizia la Carretera Austral definita “una delle strade più belle del mondo”, pronti per la Patagonia. È estate e non sarà calda e asciutta ma la scelta di questa stagione è voluta proprio per poter viaggiare solo con il delicato rumore delle nostre bici a contatto con la terra. Qui inizia il viaggio vero e proprio, quello che ti fa fare la bici dentro di te e ti provoca sensazioni così forti ed intense che quasi spaventano per la loro purezza.
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u Il Cile è sorridente, curioso, bello da morire e l’unico limite è rappresentato dal tempo che avete a disposizione per visitarlo. Questo è stato il nostro problema.
Ho una visione romantica della vita e la bici rappresenta il mio posto nel mondo, la dimensione in cui mi sento più a mio agio, anche su di un sellino e con tutti i dolori annessi. Quando sono lì sopra tutto mi sembra molto più chiaro. È davvero la combinazione perfetta, neve e bici, rispettosamente la spensieratezza e la saggezza. Gioie e dolori per entrambe. Metri e chilometri. Polvere. Ci avventuriamo così nel silenzio assordante della Carettera. Mentre organizzavamo il viaggio ho subito escuso la tenda. So per esperienza che dopo 8/9 ore in bici, riposare bene è importantissimo. Ma anche questo si rivela un errore, d’inverno la Patagonia è in letargo ed è difficile trovare dove dormire e mangiare. I nostri chilometri aumentano mentre ci trasciniamo tra un pueblo e l’altro in cerca di ristoro. Non posso dire che sia stato facile, il vento della Patagonia è talmente forte da far sembrare il vento del nord una cosa normale in confronto. La pioggia ha rallentato tutto e le strade sterrate sembravano non finire mai. I dislivelli importanti hanno involontariamente migliorato la nostra forma fisica e soprattutto quella mentale, perché quando le gambe urlavano a pochi metri dalla fine della salita la testa le zittiva con un semplice: “tranquilli, ne varrà la pena”. Ed era vero, ad ogni goccia di sudore corrispondeva un spettacolo visivo direttamente proporzionale alla fatica appena fatta. Ogni centimetro percorso ha riempito di scenari pazzeschi i nostri occhi: dai laghi ai ghiacciai innevati, dai vulcani ai campi di gelo della Patagonia, dalle città alla Pampa, dai condor alle foche passando per gli alpaca. E infine la
gente, così amabile da salutarti sempre con un semplice bip del clacson. Il Cile è sorridente, curioso, bello da morire e l’unico limite è rappresentato dal tempo che avete a disposizione per visitarlo. Questo è stato il nostro problema. Il traguardo non è stato raggiunto, non siamo riusciti a percorrere tutta la Carettera Austral, e adesso, a mente fredda, penso che in fondo sia stata una conseguenza di quello che sentivamo dentro, ammaliati da tutta quella natura in perfetta sintonia con la terra che la ospita, speravamo che il viaggio non finisse mai. Insomma un “dovete tornare” scritto tra le righe. La realtà è un’altra purtroppo: il tempo a nostra disposizione è finito e dobbiamo trovare il modo di tornare al nord, a casa hanno già buttato la pasta e io non vedo l’ora di cambiare finalmente i pantaloni che ho su da circa 40 giorni. Sulla via del ritorno, dopo infinite ore di bus, decidiamo di sgranchirci un po’ le gambe. Recuperiamo quindi tutti i pezzi che avevamo lasciato per strada e riusciamo ad incastrare l’ascesa al primo vulcano che avevamo programmato all’inizio. Doveva essere un’impresa di giornata sola, una cosina veloce per poi riprendere il bus verso Santiago. Non è andata proprio così, ma questa è un’altra storia. Que le vaia bien chicos.
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TEXT GIULIA BOCCOLA PHOTO DENIS PICCOLO
Monviso, il Re di Pietra ... Un grande classico dell’escursionismo, che ci porta indietro nel tempo, si proprio così, poiché fu intrapreso per la prima volta nel 1839 da James David Forbes, docente di filosofia naturale all’Università di Edimburgo, che insieme alla sua voglia di esplorazione, introdusse anche il concetto di trekking.
HIKERS
G I U L I A B O C C O L A , FA B I O C E R AT O , F E D E R I C O M U R A LOCATION
M O N V I S O - I TA LY - F R A N C E
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FRANCE
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I TA LY 2
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S TA R T - P I A N D E L R E - C R I S S O LO ( I TA LY )
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BUCO DI VISO
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COLLE DELLE TRAVERSETTE
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REFUGE DU VISO
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COLLE DEL VALL ANTA
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RIFUGIO VALL ANTA
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RIFUGIO QUINTINO SELLA
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LAGO CHIARETTO
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PIAN DEL RE - FINISH
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MONVISO (3 8 4 1 )
E
il Re Vesulo insieme alla sua sposa Besimauda, in seguito ad un furioso litigio, vennero tramutati in pietra per mano degli Dei infastiditi ed irritati da tale baccano, che per pietà nei confronti del Re, decisero di posizionarli al di sopra di tutti i monti, destinati così a guardarsi da lontano per l’eternità, rimpiangendo per sempre il loro litigio. E così il Re di Pietra o di Viso, potrà osservare dalle Alpi Cozie la sua Besimauda o Bisalta nelle belle Alpi Liguri. Con questo dolce e malinconico pensiero, iniziava il nostro trekking al giro del Viso.
Una giusta dose di adrenalina insieme al fatto di non sapere cosa mi avrebbe atteso, hanno fatto crescere in me quella sana voglia di esplorare, di vedere e conoscere posti nuovi, di spingermi oltre, colmando i miei occhi di meravigliosi scenari naturali e l’anima di una rinnovata e vigorosa energia. Tutto ciò che ci circonda vive di energia, ma solo se si è in grado di percepirla, la si può incanalare nel modo migliore, si può diventare parte del tutto. Questo anello di più tappe, rappresenta un’esperienza unica nelle Alpi Occidentali, costituendo, con i suoi ambienti discontinui, uno dei trekking d’alta quota più spettacolari d’Europa. Un percorso che attraversa due paesi, Italia e Francia, due parchi nazionali, vallate morbide e ricche di vegetazione che si alternano a paesaggi aspri e severi.
Un grande classico dell’escursionismo, che ci porta indietro nel tempo, si proprio così, poiché fu intrapreso per la prima volta nel 1839 da James David Forbes, docente di filosofia naturale all’Università di Edimburgo, che insieme alla sua voglia di esplorazione, introdusse anche il concetto di trekking. Il giro del Viso è infatti suddiviso per tappe che possono essere affrontate in più giorni o in un’unica giornata per i più allenati. Insieme a due giovani piemontesi, Federico e Fabio, abbiamo optato per una due giornate intense.
Sotto il sole cocente di una splendida giornata di metà settembre, abbiamo dapprima raggiunto il Buco di Viso, il più antico traforo alpino, realizzato in meno di due anni tra il 1479 e il 1480 e voluto dal Marchese di Saluzzo, Ludovico II in accordo con il Re di Francia Luigi XI, Renato d’Angiò. Questo tunnel lungo all’incirca 75 metri, alto due e largo due metri e cinquanta, aveva lo scopo di agevolare il commercio del sale proveniente dalla Provenza o della “Bera” nel gergo dei contrabbandieri della Valle del Po, riducendo di tre settimane il tragitto fino a Torino, rispetto alla via del Monginevro.
La nostra avventura è iniziata a Pian del Re, località molto nota poiché vi sorge il Po e da qui muniti di tutta l’attrezzatura necessaria e di una giusta quantità di noci e nocciole, siamo partiti alla volta della nostra destinazione, il rifugio Vallanta, posto proprio sotto la parete ovest del Monviso. Questa imponente montagna caratterizzata da una forma piramidale, e le rocce circostanti altro non sono che frammenti di un antico fondale oceanico compresso ed emerso in seguito alla collisione delle due placche continentali, quella euro asiatica e quella africana, che ha portato alla formazione delle Alpi.
Oggi il transito del tunnel è lasciato al solo passaggio degli escursionisti che come noi incuriositi, si ritrovano in territorio francese o viceversa, italiano. Lasciato il Buco
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... di Viso, abbiamo raggiunto il confine passando dal Colle delle Traversette, valico alpino alto quasi 3000 metri che unisce la Valle del Po con la Valle del Guil in Francia e da dove, secondo alcuni studiosi inglesi, il Cartaginese Annibale passò con il suo esercito e i suoi 37 elefanti.
sentieroha iniziato a salire di nuovo attraverso un fitto e fresco bosco permettendoci di ripararci per un momento dal sole. Alla fine di esso, ci siamo ritrovati in un ambiente ancora una volta diverso, caratterizzato da una distesa infinita di pietre, molto probabilmente franate dalle pareti sovrastanti e dopo un leggero falso piano, il sentiero si era fatto sempre più ripido e scomodo, facendoci rallentare il passo.
Non sono molti i metri di dislivello che ci separano dal confine, e una volta giunti al Colle, rimaniamo stupiti dalla bellezza del paesaggio che ci si presenta di fronte, un’ampia vallata sotto i nostri piedi e una ripida cresta Il cuore batteva veloce e il fiato era corto, ma non era rocciosa alla nostra destra che con lo sguardo ci accomancora finita. Ad attenderci in cima al sentiero, un altro pagna fino alle cime innevate dell’Ailefroide occidentale ripido ghiaione che ci avrebbe finalmente permesso di e del Barre des Ecrins, rispettivamente situati a 3953 e a raggiungere la valle dei menhir. Dopo circa tre ore di 4102 metri e alle nostre spalle, uno scorcio sul Monviso salita sotto il sole, siamo stati ripagati con un paesaginnevato. Dopo una breve sosta in cima e due chiacchiegio completamente differente da quello a cui ci eravamo re con un escursionista francese, ricominciamo il nostro abituati. Una serie di laghetti alpini ci avrebbero accammino attraversando la valle del Guil, incontrando compagnato insieme a delle incredibili e scenografiche diversi stambecchi lungo il sentiero. Quest’ultimi, ricomposizioni di roccia, rendendo il momento ancora schiarono l’estinzione alla fine del ‘700, sopravvissero più surreale e magico. Eravamo in prossimità del Passolamente nel Parco del Gran Paradiso e da lì vennero so San Chiaffredo. Qui il sentiero si era fatto un sali e reintrodotti sulle Alpi. Oggi si conscendi molto morbido e correva a tano oltre 35.000 esemplari e 165 mezza costa, permettendoci di avenel Parco del Monviso. Erano già re un’ampia visuale su tutta la valle Colori e profumi trascorse quattro ore e ne sarebbero sottostante. Ancora un paio di svolinebrianti ci hanno mancate altre quattro per raggiunte ed eccoci al Passo Gallarino, dal permesso gere la nostra meta. quale grazie al cielo limpido e all’asdi arricchirci senza di nuvole, abbiamo potuto Nella mente ci eravamo tolti la voosservare ad occhio nudo il Monte di una profonda gioia glia di arrivare, volevamo solo assaCervino, il Gran Paradiso, la Grie gratitudine nei porare il paesaggio. Dopo un’ora e vola e infine il Lyskamm. La fame mezza di discesa lungo questa verde confronti iniziava a sentirsi e il Quintino Sella vallata, abbiamo raggiunto il Refuge di una natura lo potevamo scorgere in lontananza. du Viso, situato a 2460 metri nel dicosì rigogliosa Un sentiero costellato di pietre ha partimento delle Alte Alpi. Davanti reso il trekking un po’ più tecnico e e ricca di storia. a noi la parete nord ovest del Monvilento, ma finalmente eravamo giunti so in tutto il suo splendore, 3840 meal rifugio insieme ad alcuni ragazzi tri di pura roccia. Dopo aver riempito le nostre borracce, che avevano appena concluso la via Normale, 1200 metri abbiamo ripreso il cammino lungo il sentiero, alla volta di parete. del Passo Vallanta. Dinanzi a noi una pietraia di circa 400 metri attendeva di essere salita e mentre procedevamo a Il Quintino Sella è adagiato proprio ai piedi del Monviso zig zag, alle nostre spalle le ombre si facevano sempre e con lui il lago grande del Viso, spettacolare per le sue più scure e più lunghe, il sole stava salutando la vallata sfumature che dal blu intenso, passano per il verde, giunscomparendo dietro ad imponenti pareti rocciose. E con gendo infine al rame. Nuovamente il paesaggio si faceva i colori del tramonto e la stanchezza nelle gambe, non ancora una volta diverso, ampie valli verdeggianti si apripotevamo chiedere uno scenario migliore. vano davanti a noi e i laghi alpini ne facevano da padroni. Uno in particolare ci aveva colpito per il suo colore turEravamo di nuovo in Italia, in Val Varaita e sotto di noi chese ceruleo, mutevole a seconda della luce e dell’ora. in lontananza potevamo scorgere il rifugio Vallanta. Dopo una ricca cena e una piacevole serata e un saluSto parlando del lago Chiaretto, unico nel suo genere to al cielo stellato, ci siamo ritirati nella nostra stanza per via dell’intensa attività glaciale dell’area. Colori e pronti per affrontare la giornata seguente che ci avrebprofumi inebrianti ci hanno permesso di arricchirci di be atteso con un’alba dalle tinte rosa tenue. Avevamo una profonda gioia e gratitudine nei confronti di una percorso circa 20 km e per concludere il giro del Viso natura così rigogliosa e ricca di storia. Un trekking di ce ne mancavano ancora 22 km. Una piccola sessione di 42 km, 2400 metri di dislivello e due giornate di pura risveglio muscolare fuori dal rifugio ed eravamo pronti e naturale sintonia con l’ambiente circostante. Adesso per partire nuovamente, destinazione rifugio Quintino quando ti vedrò da casa mia, nelle limpide giornate, Sella. Stavamo scendendo di dislivello lungo questa bela 260 km di distanza, ti guarderò con occhi diversi lissima valle ricca di vegetazione e di torrenti, quando il mio caro Vesulo.
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A R C ’ T E RY X A E R I O S FL MID GTX Calzatura adatta per le lunghe escursioni su sentieri tecnici in qualsiasi condizione atmosferica. Agile e leggera, presenta una protezione impermeabile in Gore-Tex che offre al tempo stesso protezione e traspirabilità, consentendo all'umidità di fuoriuscire e aiutando a regolare la temperatura interna per un comfort ottimale. La suola in Vibram Megagrip e l’intersuola in Eva compressa con punta in TPU assicurano agilità, stabilità e sicurezza. Il design midcut fornisce massimo supporto alla caviglia senza aggiungere peso inutile, regalando così prestazioni eccellenti ed un feeling confortevole ad ogni passo.
SA L E WA ALPENVIOLET GTX Questa scarpa disegnata specificamente per l’ergonomia femminile offre il massimo comfort specialmente nella zona critica dell’avampiede e del tallone grazie anche al drop più generoso. La suola Pomoca Alpen con mescola Pomoca Butilic ad alta tecnicità infatti asseconda il naturale movimento della rullata mentre la ghetta evita intrusioni di pietre e altri detriti. Confortevole anche dopo molte ore di escursione grazie alla costruzione leggera. La fodera in Gore-Tex Extended Comfort assicura protezione dall’acqua ed eccellente traspirazione di umidità e calore in eccesso, la soletta in Ortholite invece mantiene i piedi freschi e asciutti.
S CA R PA ZG TREK GTX Modello leggero e versatile adatto ad escursioni veloci su sentieri alpini anche con zaino a pieno carico. La tomaia è in pelle scamosciata idrorepellente con collarino in tessuto elastico, il sistema di allacciatura differenziata in due parti Speed Lacing permette di regolare la tensione e i volumi di calzata in un unico movimento e, al tempo stesso, di bloccare il laccio che divide le zone di tensione dell’allacciatura per un avvolgimento omogeneo e progressivo di piede e caviglia. Presenta una fodera in GoreTex Performance Comfort, una suola Salix Trek sviluppata in collaborazione con Vibram e un battistrada in gomma Vibram XS Trek, che rendono la scarpa durevole, confortevole e adattabile alle varie tipologie di terreno.
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HIKING SELECTION BY GIULIA BOCCOLA
1.ALPINA
2 . FJÄ L L R ÄV E N
3 . FJÄ L L R ÄV E N
KOSMIC
KEB
ABISKO SHORTS
Design classico e lenti specchiate e infrangibili abbinate alla montatura in base al colore che offrono una completa protezione da raggi UVA, UVB e UVC. Questi occhiali sono adatti ad ogni attività sportiva dal ciclismo alla corsa, fino a speed hiking e ski, inoltre garantiscono una visione priva di distorsioni grazie alle lenti decentrate.
Giacca dalla ottima vestibilità, realizzata in G-1000 Eco, un tessuto resistente ed elasticizzato che dona ampia libertà di movimento. Presenta un cappuccio antipioggia regolabile e tasche sul petto con chiusura a cerniera che la rendono adatta ad un uso 4 stagioni su qualsiasi tipo di terreno.
Leggeri e freschi, questi pantaloncini sono realizzati in tessuto G-1000 Lite, quindi adatti per condizioni calde. Molte tasche e un attacco per la cintura più alto nella parte posteriore in modo da essere più comodi quando si porta uno zaino.
4.ARC’TERYX
5.ARC’TERYX
6.MASTERS
Z E TA LT
CRESTON AR
DOLOMITI
Impermeabile e traspirante, questa giacca con tecnologia Gore C-Knit offre al tempo stesso una sensazione piacevole sulla pelle e ottime prestazioni per varie attività invernali. Confortevole e comprimibile, è arricchita da un design durevole che garantisce protezione completa in qualsiasi condizione esterna
Questo pantalone da trekking assicura massima versatilità e protezione completa nei giorni più freddi. Il tessuto si presenta leggermente spazzolato all’interno per un maggiore comfort, assicurando al tempo stesso durevolezza e resistenza. Cintura elasticizzata a basso profilo, ampie tasche e ginocchia articolate per la massima libertà di movimento.
Bastone in tre sezioni in AluTech 7075 che assicura leggerezza e resistenza, adatto per l'escursionista mediamente esperto. Il nuovo sistema di chiusura favorisce una comoda e veloce regolazione del bastone che chiuso misura solamente 66cm per un peso di 496gr.
7. S A L E W A
8 . SA L E WA
9. SA L E WA
PUEZ ORVAL 2
MTN TRAINER 22WS
ANTELAO SHELL
Pantaloni antivento e idrorepellenti che offrono una efficace protezione in montagna. Sono realizzati in Durastretch, un materiale leggero e resistente alle abrasioni, con finiture con trattamento DWR. La vita ergonomica, il tassello al cavallo e le ginocchia preformate garantiscono libertà di movimento.
Pensato specificamente per l’ergonomia femminile, questo zaino da 22L da hiking e via ferrata presenta uno schienale Dry Back Contact Flow Fit per una schiena più fresca e asciutta ed un sistema TCS - Twin Compression System che consente di ridurre il volume inutilizzato stabilizzando il carico.
Questa giacca garantisce un alto livello di protezione grazie al tessuto esterno Powertex Extreme a tre strati e cuciture saldate con trattamento DWR idrorepellente. Impermeabile e traspirante, la costruzione con soffietti permette inoltre di estendere completamente le braccia senza che si alzi il bordo inferiore della giacca.
10.FERRINO
11.FERRINO
12.SMITH OPTICS
TRIOLET
ACADIA MAN
LOWDOWN 2
Zaino 4 stagioni con struttura estendibile 32+5 che lo rende versatile a seconda delle esigenze. Presenta dei nastri porta sci, piccozze, corda, pala e sonda e una cintura a vita amovibile, il tessuto reticolare con imbottiture sagomate è traspirante ed ergonomico mentre lo schienale aiuta a distribuire il carico in maniera ottimale.
Perfetto per l’inverno in montagna, questo guscio in tessuto 3 strati si presenta leggero e resistente. Le tasche laterali con chiusura lampo con doppio cursore e la fodera in rete permettono una buona aerazione interna. Impermeabile, antivento e traspirante.
Occhiali dal look classico ma con un nuovo design sulla superficie e un frontale a base 4 più piatto. Presentano naselli in Megol antiscivolo e lenti ChromaPop per ottimizzare al meglio tutti i dettagli. Disponibili in numerosi colorazioni.
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HIKING SELECTION BY GIULIA BOCCOLA
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C A N A D A G O O S E PARK A SANDFORD
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Last Call SPORT & STYLE
In passato per oltre un secolo, le OGR-Officine Grandi Riparazioni di Torino hanno rappresentato un’eccellenza nel campo della manutenzione di locomotive. A seguito della chiusura, avvenuta nei primi anni '90, l’abbandono e il degrado portano a prevederne la demolizione, poi scongiurata. Oggi le OGR, finemente ristrutturate sono un luogo di ritrovo per i giovani torinesi, dove mangiare, fare aperitivi, godersi concerti ed importanti mostre.
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DENIS PICCOLO LOCATION
T O R I N O - O G R - I TA LY MODEL
ANDREA DAO
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(LEF T)CANADA GOOSE HYBRIDGE CW ELEMENT JACKET ( R I G H T ) W O O L R I C H TETON ANORAK
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FJ Ä L L R ÄV E N GREENL AND WINTER PARK A
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M A M M U T D E LTA X T H E I N A N O RA K
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SPORT & STYLE SELECTION BY DENIS PICCOLO
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1.CANADA GOOSE HYBRIDGE CW ELEMENT JACKET
Tessuto impermeabile Tri-Durance. La lunghezza a metà coscia offre maggiore copertura dagli elementi atmosferici, mentre i pannelli in maglia dinamica sulla schiena e sotto le braccia conferiscono morbidezza ed elasticità esattamente dove ne hai bisogno. → canadagoose.com
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2 . M A M M U T D E LTA X THE IN ANORAK
Sviluppata direttamente sul corpo e cucita secondo i movimenti naturali della persona; il singolo pezzo di tessuto con tecnologia Mammut Georganic 3D permette la massima libertà di movimento. La giacca è dotata di chip Nfc, che permette l’accesso all’app Mammut Connect. → mammut.com
3. 3.CANADA GOOSE PARK A SANDFORD
Look pulito che non sacrifica la funzionalità. Le tasche foderate in pile su due file tengono le mani al caldo. Quando le temperature aumentano, le prese d'aria posteriori e la cerniera bi-direzionale consentono di aumentare la ventilazione e il raggio di movimento. → canadagoose.com
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SPORT & STYLE SELECTION BY DENIS PICCOLO
4 .WO O L R I C H TETON ANORAK
4.
Realizzata in City Fabric e Teton Canvas idrorepellenti vestibilità relaxed, la chiusura con zip coperta da patta con bottoni, i polsini interni a coste, il logo badge sul braccio e l'etichetta flag al fianco. Imbottitura in piuma 80/20. Ispirazioni outdoor e urbane si incontrano. → woolrich.eu
5 . FJÄ L L R ÄV E N GREENLAND WINTER PARK A
Ispirato al Classic Greenland Jacket sviluppato intorno al 1970. Fit leggermente più lungo che si adatta per le passeggiate nella foresta come alla vita quotidiana in città. → fjallraven.eu
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815 Outdoor European Shop Italy 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127. 128. 129. 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 151.
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309. 310. 311. 312. 313. 314. 315. 316. 317. 318. 319. 320. 321. 322. 323. 324. 325. 326. 327. 328. 329. 330. 331. 332. 333. 334. 335. 336. 337. 338. 339. 340. 341. 342. 343. 344. 345. 346. 347. 348. 349. 350. 351. 352. 353. 354. 355. 356. 357. 358. 359. 360. 361. 362. 363. 364. 365. 366. 367. 368. 369. 370. 371. 372. 373. 374. 375. 376. 377. 378. 379. 380. 381. 382. 383. 384. 385. 386. 387. 388. 389. 390. 391. 392. 393. 394. 395. 396. 397. 398. 399. 400. 401. 402. 403. 404. 405. 406. 407. 408. 409. 410. 411. 412. 413. 414. 415. 416. 417. 418. 419. 420. 421. 422. 423. 424. 425. 426. 427. 428. 429. 430. 431. 432. 433. 434. 435. 436. 437. 438. 439. 440. 441. 442. 443. 444. 445. 446. 447. 448. 449. 450. 451. 452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459. 460. 461. 462. 463. 464. 465.
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LAST WORD Greta Thunberg 4 anni fa era una bimba sola di 12 anni, seduta fuori dal parlamento svedese, nell'agosto del 2018, il suo cartello grida: "sciopero della scuola per il clima". In un solo anno, milioni di persone, per lo più giovani studenti di 185 paesi sono scesi per le strade per partecipare alla più grande protesta climatica. "Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente passeranno quel giorno con me e forse mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa ma gli state rubando il futuro proprio davanti ai loro occhi".
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