The Pill 63 Outdoor Journal ITA

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Kristin Harila

UTMB 2023

Dani Arnold

Scalare i 14 ottomila in 3 mesi e 1 giorno: è record. L'alpinista norvegese racconta cosa l'ha spinta verso questa sfida e la sua visione dell'alpinismo.

Ci sono momenti che hai aspettato talmente a lungo che poi quando accadono non ti sembrano veri. Finalmente, a Chamonix, faccenda americana è stata chiusa.

L'uomo dei record è andato a scovare la montagna sconosciuta per eccellenza per ritrovare il gusto dell’avventura: questa è la sua spedizione in Kazakistan.

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Reinhold Messner non sarà inserito nel libro dei Guinness del 2024 come il primo uomo ad aver scalato tutti i 14 ottomila senza ossigeno supplementare. A sollevare il caso è stato il giornalista tedesco Eberhard Jurgalski, sostenendo che il 24 aprile 1985 Messner e Kammerlander non avrebbero raggiunto la vetta dell'A nnapurna, ma si sarebbero fermati alcuni metri prima. Ora, tralasciando il fatto che Messner, a pelle, mi provoca lo stesso livello di affezione ed empatia di Jannik Sinner, è quasi inevitabile prendere le fila

di chi, in questi giorni, si è preso la briga di difendere la “non sportività” dell’alpinismo, che nulla ci azzecca con i primati da Guinness. Filosofie del tutto diverse che possono coincidere solo in rarissimi casi. A dare una visione del concetto ci ha pensato ancora una volta Pietro Lacasella: “sono contento che l’impresa di Messner sia uscita dalla lista dei Guinness dei primati. Sono felice che dallo stesso elenco siano stati depennati Jerzy Kukuczka, Krzysztof Wielicki, Erhard Loretan, Sergio Martini e diversi altri. Sarei ancora più entusiasta se dal volume dei Guinness fosse escluso l’intero blocco

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dell’alpinismo.” Pietro scrive tutto questo con il gusto della provocazione, senza puntare il dito contro la logica del Guinness, elemento di attrazione sociale in grado di definire con chiarezza dinamiche spesso difficili da contornare. Ma se il record attrae, allo stesso tempo può distrarre. A volte numeri e dati, se non contestualizzati, rischiano di ridurre il valore di un’esperienza, privandola di formidabili aspetti che possono renderla grande. Ecco allora che una vetta mancata di pochi metri rischia di far passare l’impresa in



EDITO BY DAVIDE FIORASO

secondo piano. Sebbene l’alpinismo tradizionale si sia dato delle regole (come raccontava Bonatti ne “Il limite di Messner” apparso su Repubblica nel 1986), la logica del record poggia su una struttura ben più solida fatta di approcci scientifici. Ed è per questo che l’alpinismo dovrebbe prenderne le distanze. O meglio, dovrebbe imparare a leggere quei numeri all’interno di un contesto plurale, dove il numero è solo una componente parziale.

plice errore di valutazione a “ingannare” gli alpinisti, convinti di aver toccato il punto più alto. A quelle altezze, fortunatamente, non ci sono croci di vetta che segnalano il punto esatto; pertanto, ha davvero poco senso dire che la vetta è a cinque o dieci metri. Questo non è uno sport, ma un modo di vivere, di conoscersi, di esplorarsi nel profondo. E siccome l’alpinismo non è uno sport, non dovrebbero esistere né competizioni né vincitori.

Jurgalski, sempre più solo nella sua roccaforte critica, dalla sua ammette la buona fede: sarebbe stato un sem-

A dispetto di questo genere di conclusioni provocatorie, rischia di passare in secondo piano il quarantennale

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lavoro di ricerca del cronista, erede del prezioso operato di Elizabeth Hawley, madre dell'Himalayan Database. Non confondiamo il valore dell’enorme massa di dati da lui raccolta con questa ostinazione personale. Chi è abituato con successo a condurre minuziosamente le proprie indagini nel particolare e nei dettagli, anche con l’aiuto delle più moderne tecniche, corre il rischio di perdere la visione generale delle cose. E questo è davvero un peccato.


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THE CREW PHOTO THOMAS MONSORNO

PRODUCTION The Pill Agency | www.thepillagency.com

SHOP & SUBSCRIPTIONS www.thepilloutdoorshop.com

EDITOR IN CHIEF Denis Piccolo | denis@thepillagency.com

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E D I T O R I A L C O O R D I N AT O R Lisa Misconel | lisa@thepillagency.com

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E D I T I N G & T R A N S L AT I O N S Silvia Galliani

COVER Dani Arnold By Thomas Monsorno

ART DIRECTION George Boutall | Evergreen Design House Niccolò Galeotti, Francesca Pagliaro

PRINT L'artistica Savigliano, Savigliano - Cuneo - Italy, lartisavi.it

THEPILLOUTDOOR.COM hello@thepillagency.com, Alessandra Sola, Maria Laurenti

DISTRIBUTION 25.000 copies distribuited in 1100 shops in Italy, Switzerland, Austria, Germany, France, Belgium, Spain, England & The Netherlands

PHOTOGRAPHERS & FILMERS Matteo Pavana, Thomas Monsorno, Camilla Pizzini, Chiara Guglielmina, Silvia Galliani, Francesco Pierini, Elisa Bessega, Andrea Schilirò, Denis Piccolo, Achille Mauri, Simone Mondino, Alice Russolo, Patrick De Lorenzi, Giulia Bertolazzi, Tito Capovilla, Luigi Chiurchi, Isacco Emiliani, Pierre Lucianaz, Alessandra Sola, Maria Laurenti

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C O L L A B O R AT O R S Filippo Caon, Chiara Guglielmina, Marta Manzoni, Sofia Parisi, Fabrizio Bertone, Eva Toschi, Luca Albrisi, Luca Schiera, Giulia Boccola, Valeria Margherita Mosca, Lisa Misconel, Chiara Beretta, Davide Fioraso, Maria Laurenzi, Alessandra Sola

The Pill rivista bimestrale registrata al tribunale di Milano il 29/02/2016 al numero 73

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CARLOS GARCIA PRIETO

P. 1 6

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P. 5 6

SIMON MESSNER & MARTIN SIEBERER

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KILLER COLLABS

P. 6 0

SYBILLE BLANJEAN

P. 2 4

ECO SEVEN

P. 6 4

HERVÉ BARMASSE

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PA RVAT “ E C O N OT E G O ”

P. 6 8

FRANCESCO PUPPI & TYLER GREEN

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C R A Z Y N E W WAY

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YOU CAN CALL IT FRIENDSHIP

P. 3 2

H A P PY B I R T H DAY C O L M A R

P. 7 6

O LY M P I C S H A D O W S

P. 3 4

MOONLINES: LINES HUNTERS

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CHRONOCEPTION

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COLUMBIA'S HIKE COLLECTION

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KOMOOT

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THE AME RICAN AFFAIR

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FJÄLLRÄVE N POL AR 2024

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SANDRA SEVILLANO

P. 1 6 4

LAST WORD

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THE DAILY PILL BY ALESSANDRA SOLA

IL MIO PE RSONAL BEST NON È U N N U ME RO BY ASICS Il 10 ottobre, giornata mondiale per la salute mentale, ASICS ha lanciato una campagna per promuovere il “personal best” come emozione e non come numero: vivere il momento e apprezzarne le sensazioni. Così viene ridefinito il concetto, anche a supporto delle difficoltà che affronta ogni giorno uno sportivo. Per farlo, in collaborazione con Progetto Itaca per la cura alla salute mentale, ha presentato otto scatti di persone molto diverse tra loro, che vivono a pieno il loro momento di “personal best”.

C O L M A R S P E G N E 10 0 C A N D E L I N E Era il 1923 quando la coppia di novelli sposi Colombo aprirono a Monza un piccolo laboratorio manifatturiero di cappelli. Il nome, plasmato sulle iniziali del fondatore Colombo Mario, oggi è conosciuto in tutto il mondo per essere uno dei brand Made in Italy più amati. Per il centenario è stata affidata la direzione artistica di una capsule collection a Joshua Vides che, rivisitando i capi più iconici del brand, omaggia la storia di Colmar con i suoi inconfondibili colori: rosso, bianco e blu.

S U C C E S S O N E P E R I L VA L L E O R C O C L I M B I N G F E S T I VA L 2 0 2 3 Dal 28 settembre al 1 ottobre si è svolta la IV edizione del festival di arrampicata nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, che ha riscontrato un enorme successo. Nato con l’obiettivo di riunire gli appassionati di montagna e di outdoor per godere delle bellezze naturali locali, il Valle Orco Climbing Festival sa da sempre creare eventi accattivanti e workshop intriganti, che quest’anno hanno stupito più di 4500 persone. C’è già gran fermento per la prossima, confermatissima, edizione.

VA N S U LT R A R A N G E E XO H I G O R E -T E X M T E - 3 Ispirata dagli snowboarder e pensata per chi non ha paura dei terreni più insidiosi, la nuova Vans UltraRange Exo Hi Gore-Tex MTE-3 è la scarpa innovativa che vuole rivoluzionare l’inverno 2023/2024. Una volta posata la tavola l’avventura non finisce con questa scarpa, che sfida l’imprevedibilità di qualsiasi terreno. Isolamento, trazione e impermeabilità sono i tre principi tecnologici su cui Vans ha voluto puntare, senza dimenticare il calore e il comfort dati alla membrana Gore-Tex Duratherm.

C I R C U L A R I T Y W O R K S H O P 2 0 2 3 B Y T H E N O R T H FA C E Dal 13 al 18 ottobre The North Face ha tenuto a Milano workshop e talk par dare nuova vita ai propri capi d’abbigliamento. L’impegno verso la circolarità è colonna portante del brand da ormai diversi anni, e confermarlo organizzando laboratori di upcycling e riparazione per i propri abiti è stato un messaggio forte e chiaro. Prendersi cura del nostro pianeta parte dai più piccoli gesti della nostra quotidianità, e The North Face fa la sua parte per cucirci addosso questa consapevolezza.

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CURIOUS BY N AT U R E We venture out into nature to reconnect with ourselves and change our perspective to look at things differently than before.

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THE DAILY PILL BY ALESSANDRA SOLA

AD ANDREA L ANFRI IL PREMIO CAL A CIMENTI 2023 Un traguardo che deriva dalla condivisione dei valori di forza emotiva e grandezza umana che Andrea e Cala, scomparso nel 2021 per una valanga, hanno saputo trasmettere. La magia che si è creata alla consegna del premio, l’8 settembre al Farasassi Climbing Festival, si può riassumere con le parole della compagna di Cala: “L’incontro con Andrea mi ha fatto riflettere: mi è stato tolto tanto ma questa vita merita di essere aggredita e vissuta a pieno, come fa lui quando tocca il cielo con tre dita.”

S C A R PA E G O R E -T E X I N A M A Z Z O N I A Un luogo unico, patrimonio naturale dal valore inestimabile per il pianeta: l’Amazzonia. Scarpa e Gore-Tex questo lo sanno bene, tanto da voler creare una community pronta ad esplorare i meandri più remoti di questo preziosissimo polmone verde. Manuela Vitulli, Anselmo Prestini, Valentina Vignali, Stefano Paleari e Riccardo Casiraghi sono i protagonisti della spedizione, durante la quale testeranno i modelli più iconici di SCARPA creati con Gore-Tex: Ribelle Run GTX e Mescalito Trk Planet GTX.

F J Ä L L R ÄV E N C L A S S I C S W E D E N 2 0 2 3 : I L T R E K K I N G U N P L U G G E D N E L L A L A P P O N I A SV E D E S E 110 chilometri a piedi, 6 notti in tenda e 1 zaino per il necessario: una sfida lanciata da Fjällräven a cui hanno partecipato più di 1600 persone da 44 nazioni diverse. Dal 2005 il motore di questa iniziativa è l’amore per la natura e la vita all’aria aperta. Una settimana lontano dalla tecnologia e dalla frenesia della vita di città, per assaporare a pieno lo spirito selvaggio delle terre che ispira da sempre i prodotti Fjällräven. Anche a voi è venuta voglia di iscrivervi alla prossima edizione?

O S P R E Y S P O N S O R T E C N I C O D E L L’A S S O C I A Z I O N E A I U T O G I O VA N I D I A B E T I C I La gestione del diabete, specie se di tipo 1, richiede un’attenzione e un i costante impegno quotidiano. Ecco perché nasce l’AAGD, a sostegno delle famiglie e dei bambini che ogni giorno combattono con questa patologia. Osprey, da settembre 2023, offre il proprio supporto fornendo zaini e prodotti per i ragazzi dell’associazione. Una collaborazione che mira a donare un supporto materiale ed emotivo per le vite dei ragazzi che non si fermano davanti a nulla, nemmeno alla malattia.

R E E L R O C K F E S T I VA L 2 0 2 3 Il 25 settembre a Milano è partito il festival itinerante dedicato ai film d’arrampicata. Reel Rock toccherà ben 20 città italiane, portando sullo schermo corto e lungometraggi che esplorano il rapporto tra uomo e roccia. Storie di imprese uniche e di cime che sembrano irraggiungibili, ma anche di amicizia, di fallimenti e di traguardi: storie dal mondo del climbing che sanno parlare a tutti, appassionati di lunga data, neofiti e curiosi. Una salita sa sempre sorprendere, anche sul grande schermo.

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DURABLE RELIABLE ADAPTABLE

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BEST MADE BY DAV I D E F I O R AS O

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2.DANNER BOOTS

3. NEW BALANCE F R E S H

POWERTEX HEMP 2IN1

JAG LOFT

FOAM X MORE V4 PERMAFROST

Un capo incredibilmente versatile grazie al concetto 2/1: all’interno si trova una giacca rimovibile con imbottitura TirolWool Responsive, all’esterno un hardshell in Powertex Cotton Hemp, cotone biologico e canapa tessile, impermeabile e antivento, combinato con Powertex 3L, un materiale altamente permeabile al vapore.

A suo agio in molteplici situazioni, offre elevato calore e un comfort simile a quello di una pantofola. Tomaia in pelle scamosciata e tessuto ed isolamento PrimaLoft Gold. Il tallone pieghevole consente di indossarli facilmente. L'intersuola in EVA riciclata dona ammortizzazione mentre la suola aderente assicura trazione anche sui terreni più difficili.

Elegante versione invernale dell’iconico modello con l’intersuola Fresh Foam più spessa di sempre. L'edizione Permafrost si aggiorna con tomaia ripstop, resistente all'acqua e priva di cuciture, per affrontare al meglio gli allenamenti nella stagione fredda. Suola in gomma HydroHesion migliorata per superfici scivolose.

4 . FJ Ä L L R ÄV E N

5.MONTURA

6.BARBOUR

KEB AGILE WINTER TROUSERS

MAGIC 2.0 JACKET

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Ideali per accompagnarti durante la stagione fredda in qualsiasi trekking, sono pantaloni softshell in tessuto a trama doppia elasticizzata a quattro direzioni, con interno spazzolato per un maggiore calore e comfort. In misto nylon, poliestere ed elastane riciclati con DWR senza PFC e rinforzi in G-1000 Stretch sulle tasche delle cosce, ginocchia e orli.

Giacca unisex dalla massima versatilità, adatta a disparate attività outdoor: scialpinismo, climbing, trekking, running. Magic 2.0, uno dei capi intramontabili Montura, si trova a suo agio sia con clima estivo che invernale. Immancabile la cura dei dettagli: zip con doppio cursore, gli elastici pretensionati in vita, polsi regolabili, cappuccio con visiera.

Un'opzione senza tempo per la vita quotidiana. La tela cerata da 283g, la tasca esterna con zip e le cinghie regolabili in tessuto definiscono una qualità premium, mentre le due tasche laterali esterne garantiscono spazio extra. Rifinito con un badge Barbour in rilievo sulla parte anteriore.

PA R K A FA N E S 3 L

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BEST MADE BY DAV I D E F I O R AS O

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8 . L A S P O R T I VA

8.BLACK DIAMOND

9.MILLET

K ATA N A

VISION AIRNET HARNESS

INTENSE 5

L'equilibrio perfetto tra sensibilità, precisione e sostegno. Katana è la scarpetta polivalente per eccellenza con allacciatura a doppio strap contrapposto e intersuola aggiornata con implementazione del sistema brevettato P3, per esaltarne le performance e mantenere inalterata la forma della scarpetta nel tempo.

Il non plus ultra delle imbragature ultraleggere, progettata per guide, professionisti e chiunque spinga i limiti sul ghiaccio o sulla roccia. Dotata della tecnologia airNET, rappresenta l'equilibrio ideale tra peso e comprimibilità fornendo allo stesso tempo un supporto superiore. Integra la tecnologia RECCO.

Zaino d’idratazione dedicato al trail running e pensato per offrire un comfort ottimale e una buona stabilità di carico durante la corsa. Accessoriato con un sistema di attacco per faretra portabastoni e compatibile con una sacca d’idratazione, è fornito con due borracce e un fischietto. Disponibile anche nella versione da 12 litri.

10.MAMMUT

1 1.JACK WOLFSKIN

1 2.S C A R P A

A L U G AT O R U LT R A

HIGHEST PEAK 3L

RIBELLE RUN KALIBRA ST

Una delle pale in alluminio più leggere sul mercato, la prima del suo genere con struttura saldata che utilizza alluminio aerospaziale 7075 di appena 1mm. È dotata di un albero telescopico a montaggio rapido e di un'impugnatura a T per un trasferimento ottimale dell'energia. Il design salvaspazio fa sì che si possa inserire anche in un piccolo zaino.

Giacca antivento, impermeabile e traspirante, realizzata in Texapore Ecosphere Pro. Il materiale esterno è ricavato da bottiglie in PET ed è completamente privo di PFC. La membrana è prodotta con residui di taglio della produzione, mentre la fodera è realizzata con materiale certificato secondo il Global Recycling Standard.

Frutto della collaborazione con il talentuoso trail runner altoatesino Philipp Ausserhofer, Ribelle Run Kalibra ST utilizzata la tecnologia di allacciatura Wrap360 powered by BOA Fit System che avvolge completamente il piede senza creare punti di pressione. Per chi cerca la massima precisione e stabilità sui terreni più morbidi e tecnici.

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Fjällräven G-1000

50 anni di sviluppo in poche righe:

In Fjällräven lo sviluppo non si ferma mai. Sono trascorsi cinque decenni da quando, nel 1968, il tessuto G-1000 fu utilizzato per la prima volta dal nostro fondatore Åke Nordin. Da allora, lo abbiamo impiegato in tutto: pantaloni, giacche, zaini. È stato messo alla prova da appassionati di attività all’aria aperta di tutto il mondo, dimostrando di essere uno dei tessuti outdoor più affidabili in circolazione. Oggi è disponibile in un’ampia gamma di versioni funzionali, adatte a diversi climi, attività ed esigenze: G-1000 Stretch, G-1000 Air, G-1000 Lite e G-1000 HeavyDuty, per citarne alcuni. Abbiamo anche sostituito il misto di poliestere e cotone con un

misto di poliestere riciclato e cotone biologico. Inizialmente è stata una sfida, perché i materiali riciclati non erano all’altezza degli elevati standard di durata per cui G-1000 è diventato famoso. Ma abbiamo continuato a lavorare e oggi tutti i nostri tessuti G-1000 sono prodotti con poliestere riciclato e cotone organico. Le uniche eccezioni sono le versioni elasticizzate, in cui dobbiamo includere il 13% di poliestere vergine per garantire maggiore durata. (Fortunatamente, le versioni stretch contano meno dell’1% di tutto il G-1000). Questo passo avanti è sicuramente positivo per l’ambiente poiché il 30% della nostra produzione utilizza il G-1000, il

che significa che stiamo abbassando notevolmente le emissioni. Quale sarà il futuro del nostro leggendario tessuto G-1000? Non vediamo l’ora di raccontarvelo tra cinquant’anni.

www.fjallraven.com


KILLER COLLABS BY DAV I D E F I O R AS O

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1. A N D WA N D E R X A D I DAS T E R R E X X P LO R I C J AC K E T

2 . A PI D U RA X CA N YO N

3 . B RA I N D E A D X H O K A

FRAM E PACK

H O PARA

L’ultimo capitolo della collaborazione multistagionale tra adidas ed il brand outdoor giapponese trae ispirazione dai colori e dai dettagli associati alla terra e alla natura, come linee e ombre. Fiore all'occhiello della collezione la giacca impermeabile Xploric con un guscio esterno RAIN.RDY antipioggia.

Un gamma completa di borse da bikepacking sviluppate in collaborazione con gli esperti di Apidura, progettate appositamente per la Grizl e ottimizzate per trasportare tutto ciò di cui hai bisogno. Ideale per weekenders e overnighters, Frame Pack è realizzata con l’esclusivo materiale Hexalon, impermeabile e resistente alle abrasioni.

Dall’incontro tra i creativi di Brain Dead e Hoka nasce un rivoluzionario sandalo da montagna che va oltre ogni convenzione; un mix di stile e performance per conquistare qualsiasi terreno con facilità. Realizzato con attenzione meticolosa per i dettagli, è dotato di collo in neoprene e suola in gomma con tasselli multidirezionali da 4mm.

4 .EMILY H A R R O P X M I L L E T

5 . H I K I NG PATRO L X K E E N

6 .COLMAR X JOSHUA VIDES

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Sviluppato con l’atleta Emily Harrop, vincitrice della Pierra Menta 2023, questo zaino da scialpinismo, certificato ISMF, permette di trasportare l’essenziale: ramponi, sci, borraccia, pala e sonda. Struttura adatta all’anatomia femminile e caratteristiche tecniche studiate per le competizioni.

Hiking Patrol, spazio digitale sul mondo outdoor e lifestyle fondato e diretto da Wai Tsui, celebra i 15 anni dell’originale sneaker Jasper con due colorazioni esclusive della versione Rocks ispirate all'affascinante e misterioso mondo delle rane, ovvero la rana Cuban e Phantasmal Poison.

Colmar compie 100 anni e per l'occasione lancia Colmar 100, collezione di 10 capi in collaborazione con Joshua Vides. L'artista visivo statunitense, partendo dall'archivio storico del brand, è intervenuto su alcuni capi best seller attraverso il suo riconoscibile tratto pittorico. Pezzo iconico è la mitica giacca degli anni 70 per la Valanga Azzurra.

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KILLER COLLABS BY DAV I D E F I O R AS O

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7.N OCTA RU N N IN G X NI K E

8 . HUCKBERRY X MYSTERY RANCH

9.TAYLO R STI TCH X DA N N E R

TO P C A M O

GREENBELT HYBRID 30L BACKPACK

RIDGE BOOT

Dopo una timida apparizione alla Maratona di Berlino, Nike ha svelato la nuova collezione di abbigliamento da corsa Nocta, frutto della collaborazione con il rapper canadese Drake. Stampa mimetica e blocchi di colore nero per questa maglia in Dri-Fit con cerniere autobloccanti e dettagli riflettenti.

Dalla stabile collaborazione tra Huckberry e Mystery Ranch nasce questo zaino ibrido da escursionismo/lavoro, connubio tra artigianato e funzionalità. Resistente tessuto ripstop rinforzato in nylon balistico, apertura con cerniera a U per un rapido accesso all'attrezzatura, custodia imbottita per laptop da 15 pollici.

Taylor Stitch e Danner hanno unito le forze per creare la Ridge & River Collection, cinque articoli progettati per trailblazers e avventurieri di tutti i giorni. Pezzo forte di questa edizione limitata il Ridge Boot in printed camo che incorpora uno speciale pannello di tela cerata realizzato dagli esperti di Halley Stevensons.

1 0. DSPTCH X ENGINEERED GARMENTS UNIT VERTICAL POUCH

11.ROARK RUN AMOK X BLACK SABBATH MATHIS 1971 RUNNING TEE

12.PAS NORMAL STUDIO X FIZIK FE ROX CARBO N

Engineered Garments, marchio menswear fondato dal designer giapponese Daiki Suzuki, mette la propria firma sulla collezione RND di DSPTCH, caratterizzata da una struttura in tessuto composito Dyneema tinto su misura. Unit è una custodia verticale a forma di mezzaluna per riporre in modo discreto gli oggetti essenziali.

Dopo Motörhead, Roark mostra ancora una volta la propria anima rock & roll presentando una nuova capsule per i Black Sabbath, pionieri dell'heavy metal britannico. Due le running tee nella collezione, entrambe in tessuto DriRelease a rapida asciugatura con grafiche ufficiali della band su fronte e schiena.

La lavorazione artigianale italiana si fonde con l’inconfondibile stile del marchio danese Pas Normal Studios in questa versione della scarpa da XC e gravel più reattiva e performante di Fizik, a suo agio quando sono necessarie prestazioni elevate, stabilità e comfort. La prima di una serie destinata ad evolversi nei prossimi anni.

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MOUNTAIN ME-TIME Abbigliamento da montagna premium creato da donne per donne

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ECO SEVEN BY DAV I D E F I O R AS O

M 0 . 0 N S H O T: L A P R I M A S C A R PA AL MONDO A ZERO EMISSIONI NETTE Durante il Global Fashion Summit di Copenaghen, Allbirds ha ufficialmente svelato M0.0NSHOT, scarpa a zero emissioni di carbonio. Gli step eseguiti e i risultati raggiunti sono raccontato nel RECIPE B0.0K, toolkit open source con cui Allbirds spiega come è arrivata allo zero netto. M0.0NSHOT è realizzata con lana rigenerativa, intersuola in schiuma SuperLight carbon-negative derivata dalla canna da zucchero, occhielli in bioplastica carbon-negative realizzati da microrganismi che convertono il metano in un polimero.

S A LO M O N W I N T E R S P O R T S P U B B L I CA I B I L A N C I D E L S U O L I F E CYC L E AS S E S S M E N T

Nel tentativo di creare un sistema di riferimento per l'industria degli sport sulla neve, che propenda verso una progettazione più sostenibile dei prodotti, Salomon ha reso pubbliche le sue ricerche in materia di innovazione e misurazione del suo LCA. Lo studio, iniziato nel 2019, consente ai diversi team dell'azienda di individuare l’impatto ambientale di ogni fase del processo e guidare così la strategia climatica aziendale. Tre anni fa Salomon è stata la prima azienda degli sport invernali a sottoscrivere il Science Based Target (SBT) e, ad oggi, l'unica a soddisfare questo standard.

MILLET: SOSTENIBILITÀ E TECNOLOGIA ALLA BASE DELLA NUOVA SCARPA INTENSE Sviluppata presso l’Advanced Shoe Factory 4.0, il primo stabilimento automatizzato di calzature sportive in Francia, la nuova calzatura da trail running di Millet consentirà di localizzare la produzione nei territori limitrofi e limitare notevolmente i trasporti. Questo progetto incentrato sull’innovazione sostenibile, apre la strada alla rilocalizzazione durevole di un settore essenziale. Il marchio, che punta a diventare un’impresa rigenerativa entro il 2030, ritiene infatti che l’industria di settore debba mettersi costantemente in discussione per affrontare l’urgenza climatica. 24


Picture’s new Backcountry Touring range brings together everything that defines who we are: venturing out of bounds, riding new lines with friends, exploring the great outdoors, and promoting sustainable solutions for everyday life. To explore the backcountry in search of fresh powder and to push your limits, take advantage of our full range of jackets and pants that feature our most advanced technologies.


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SEA TO SUMMIT ANNUNCIA L A PA R T N E R S H I P C O N D O W N L I T E Sea to Summit, apprezzato marchio di outdoor e travel gear, ha annunciato la nuova partnership con Downlite, leader nella lavorazione di piumini e piume di provenienza responsabile, la prima azienda ad aver ricevuto il certificato RDS Scope (Responsible Down Standards), nonché partner del sistema bluesign e dell'American Feather & Down Council. Phil Bailey, Head of Supply Chain di Sea to Summit, ha dichiarato: “Questa partnership si allinea perfettamente con il nostro impegno e garantisce che i nostri clienti possano fidarsi della produzione etica dei nostri prodotti.”

SKI INDUSTRY CLIMATE SUMMIT 2023: UN RISULTATO PROMETTENTE A FAVORE DEL CLIMA Il recente Ski Industry Climate Summit di Salisburgo, organizzato da Atomic, ha segnato una tappa significativa nell'impegno dell'industria dello sci nell’affrontare le sfide climatiche. L'evento ha incoraggiato un'interazione significativa tra i rappresentanti del settore, favorendo il dialogo e la cooperazione tra le parti interessate: brand di sci e snowboard come Rossignol, Head, Salomon, Völkl, Burton, Niedecker, rivenditori come Decathlon, Sport Conrad, Bründl e organizzazioni come l'European Outdoor Group, la Snowsports Industry Association e Protect Our Winters.

VA U D E D I F F O N D E I L N U O V O R E P O R T D I S O S T E N I B I L I TÀ Trasformazione del sistema energetico, e-mobility, riduzione delle emissioni di CO2, divieto di PFAS, riciclaggio dei tessuti, equilibrio vita-lavoro. Sono questi i claim del nuovo Report di Sostenibilità che illustra i progressi di Vaude nella lotta al cambiamento climatico. Dal 2021 al 2022 il marchio è riuscito a ridurre le sue emissioni del 5%, sia presso la sede centrale che lungo tutta la sua catena di fornitura, ottenendo al contempo un aumento del 13% dei ricavi. Il successo è principalmente attribuito alla maggiore efficienza energetica e all’uso di fonti a basse emissioni nella produzione di materiali.

ZEROCO2 RIVOLUZIONA IL SISTEMA D I M O N I T O R AG G I O D E I S U O I P R O G E T T I D I R I F O R E S TA Z I O N E zeroCO2, Società Benefit e B Corp attiva nella lotta al cambiamento climatico attraverso progetti di riforestazione ad alto impatto sociale, ha annunciato il lancio della nuova piattaforma che consentirà ad aziende e privati di immergersi in una nuova esperienza di monitoraggio delle foreste create. L’obiettivo alla base è dare più visibilità ai progetti di riforestazione messi in atto dalle aziende e dai singoli utenti che ogni giorno contribuiscono a invertire la rotta dell’emergenza climatica e a impattare positivamente sull’ambiente attraverso l’adozione di nuovi alberi.

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Photo: Daniele Molineris

a new way

montura.com 27


THE PILL BRANDS BY ARIANNA COLOMBO

Parvat “Eco not Ego” made in Arco Parvat è un brand di nuova generazione che nasce nella culla dell’arrampicata: Arco. Abbiamo intervistato i due fondatori, Samuel Betta e Mattia Gardella per conoscere quella che definiremmo più una missione, orientata ad un riutilizzo completo del materiale principe di questo sport: la corda. Maggio 2022, Arco (TN) centro storico. L’appuntamento è al parcheggio ex Carmellini e insieme attraversiamo la via principale della cittadina trentina per raggiungere la piazza. Mi mostrano con orgoglio la vetrina che un negozio ha deciso di dedicargli, con i loro prodotti e un poster, di cui riconosco il protagonista. La primavera è ormai inoltrata e il caldo inizia a spingere. Ci sediamo in piazza. “Birretta?” Samuel e Mattia, raccontatemi qualcosa di voi. Siamo nati ad Arco, cresciuti tra queste pareti che abbiamo sempre amato e iniziato ad apprezzare qualche anno fa, quando la passione per l’arrampicata è scoppiata. Vivere qui è un privilegio: siamo nella Mecca dell’arrampicata e amiamo questa atmosfera. Personalmente, adoro tutte le discipline, ma il boulder è quello che prediligo. Samuel è quello delle vie lunghe. Che cos’è per voi l’arrampicata? L’arrampicata è un’attività completa, come un processo in divenire dove ognuno ha il suo stile, il suo approccio, ma l’essenza rimane una competizione con sé stessi. L’arrampicata concilia

la meditazione e proprio per questo abbiamo scelto per il nostro brand un nome che richiamasse questo aspetto. La pratica della meditazione nasce anticamente nel Punjab, in India e utilizzare la parola hindi per “montagna” ci è sembrata la soluzione adatta per veicolare il nostro concetto di arrampicata. Come nasce Parvat? Due anni fa ci siamo chiesti come mai non fosse ancora presente un brand dedicato a questo settore che avesse sede proprio qui. E così da una piccola chiacchierata abbiamo iniziato a concepire qualcosa di più serio, ma con un obbiettivo molto preciso. Ogni mese vengono dismesse almeno 30 corde solo ad Arco e i nostri fornitori principali trovano difficoltà nello smaltire questi materiali. Abbiamo raccolto alcune informazioni a riguardo e le corde vecchie costituiscono un rifiuto da inceneritore o discarica e in entrambi i casi è richiesto un compenso per lo smaltimento. Quello che facciamo è recuperare queste corde, lavarle e ridargli nuova vita attraverso accessori come sacchetti porta magnesite, fasce e cinture. Abbiamo molti progetti in cantiere e siamo in

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fase di sperimentazione, ogni giorno cuciamo e modifichiamo. Siete proprio all’inizio, ma le prime soddisfazioni cominciano ad arrivare… Siamo molto cauti, ma l’entusiasmo che ci contraddistingue ci ha portato a conoscere molte persone, tra cui un paio di atleti che sponsorizziamo. Siamo presenti con i nostri prodotti in alcune palestre di arrampicata, dove ci rechiamo per presentare il progetto e sensibilizzare sulla raccolta di corde usate. L’anno scorso Parvat, solo dopo cinque mesi dall’avvio, è stata selezionata dalla Provincia di Trento come finalista tra le migliori 60 aziende italiane che lavorano nell’upcycling. È stato un grande onore per noi essere presenti alla serata di premiazione e raccontare della nostra startup. Mentre a livello di distribuzione? Iniziamo ad essere distribuiti nei negozi più importanti del settore, ma la nostra produzione è comunque subordinata alla materia prima, il che rende il nostro business sostenibile. Non a caso abbiamo scelto il nostro claim “Eco not Ego” che nella sua semplicità comunica in modo netto e preciso la nostra visione.


La JKT LEVITY ridefinisce il concetto di abbigliamento da montagna Fast & Light: il piumino con cappuccio e zip pesa solo 207 grammi (taglia M uomo) e 185 grammi (taglia S donna). Il suo segreto? Ne ha 3.

Less is more.

Abbiamo ridotto al minimo il numero di cuciture. La piuma rimane al suo posto grazie a pratici inserti incollati. La giacca ha solo una tasca interna e una sul petto: l’essenziale per gli alpinisti.

Diamond Down.

Il punto forte della giacca è l’imbottitura che abbiamo scelto: Diamond Down. Le piume vengono selezionate a mano una ad una e vengono scelti solo i fiocchi più voluminosi.

Tessuto esterno.

E’ estremamente leggero e rende l’interno del capo elastico per dare il massimo comfort durante l’attività. Leggero, elastico e incredibilmente compattabile.

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THE PILL BRANDS BY ALESSANDRA SOLA

Crazy New Way Può sembrare impossibile far convivere amore per lo sport e per la moda, ma Valeria Colturi, fondatrice e designer di Crazy, da oltre 30 anni ci riesce alla grande. La stagione 2023 è stata ricca di sorprese, una su tutte ha regalato a Crazy una nuova luce: un eclettico rebranding. Abbiamo fatto una chiacchierata con Valeria, per farci raccontare i retroscena e l’idea che c’è dietro questa evoluzione. Ci ha confermato la sua presenza a capo della direzione creativa, che punterà a mantenere alta l’attenzione sulla necessità di distinguersi di chi sceglie Crazy. Il restyling del logo infatti, è stato pensato proprio per rispecchiare al meglio l’animo Crazy. Colori e fantasie - viola e zebrato - che sanno sicuramente come distinguersi e tirare fuori il carattere eclettico del brand. A questo proposito le abbiamo chiesto com’è nato il restyling del logo e come è stato sviluppato. “Abbiamo semplificato il logo focalizzando l’attenzione sul nome Crazy, piuttosto che su un’icona. Crazy è quello che siamo e lo mettiamo a centro palco! Inoltre abbiamo voluto rendere il logo più unico e “crazy”, con il colore viola e con pattern zebrato. Sono elementi che fanno parte di noi e del nostro stile, qualcosa di diverso nel mondo outdoor ma con un tocco decisamente fashion.” Non è segreto che Crazy si rivolga a un pubblico prevalentemente femminile (il 60% delle loro collezioni è woman, il 40% man). Questa dinamica ha avuto un flusso naturale derivante da un prodotto che viene pensato in ottica femminile, e non semplicemente riadattato dalla collezione maschile, come spesso accade in altri brand outdoor. Un posizionamento che mostra un chiaro messaggio alle donne che scelgono Crazy:

voi ci siete e Crazy lo sa! Abbiamo chiesto a Valeria come sono queste donne Crazy. “La donna Crazy è una donna che in montagna non accetta i compromessi imposti da un’industria in cui le donne sembrano in secondo piano. Vuole prodotti pensati per lei, con giusti tessuti, un fit che la valorizza e caratteristiche tecniche che rispettano le esigenze uniche delle donne rispetto agli uomini. È anche una donna che non vuole uno stile omologato, ma osa e lo fa con stile!” Il comfort rimane, comunque, al primo posto, ma è un gradino del podio che condivide a pari merito con lo stile. L’attenzione per i tessuti e le caratteristiche tecniche adatte al corpo femminile, sono il must delle collezioni che caratterizzano Crazy. Quando abbiamo chiesto a Valeria quale fosse il suo capo preferito di questa collezione, lei non ha saputo risponderci: “Impossibile rispondere! È come chiedere il figlio preferito. Sono orgogliosa della nuova collezione invernale, ho lavorato tantissimo su colori fantasie nuovi. Se dovessi dire il prodotto che utilizzo di più potrei citare la giacca Levity, che a parte essere la giacca più leggera al mondo, è un prodotto tecnico con una versatilità straordinaria! Caldo, elastico,

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confortevole e leggero: ha alle spalle una ricerca e sviluppo inimmaginabile per i non addetti ai lavori, è veramente un prodotto unico.” Non per niente, negli anni abbiamo imparato ad apprezzare il brand perché, nel suo sapersi distinguere, ha sempre mantenuto un livello molto alto per quanto riguarda la tecnicità del prodotto, sia per le collezioni donna che uomo. Essendo precursore del Fast&Light made in Italy, siamo sicuri che dai nuovi capi non possiamo fare altro che aspettarci una ricerca sempre più accurata di tessuti performanti e innovativi. Non a caso, il nuovo payoff, recita “Performance mountainwear from the Italian Alps”. La magia di Crazy sta nel creare un’immagine molto distante da quella che si associa alla Valtellina, ma che allo stesso tempo sa benissimo come valorizzarla. I suoi colori, le forme uniche delle Alpi e le linee precise sono, fin da quando una giovanissima Valeria cuciva le tute da sci per lei e le sue compagne di squadra con ritagli di materiali tecnici, tratti distintivi di un brand che sa, da sempre, come stupire.


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THE PILL INTERVIEW BY MARIA LAURENZI

Happy Birthday Colmar 100 anni di storia da leggere, altrettanti e più ancora da scriverne Le storie del made in Italy, in qualche modo, si assomigliano tutte. La “radice” italiana odora di imprese straordinarie spesso poco conosciute, vere e proprie saghe familiari che attraversano decenni di storia sociale e culturale cavalcando i cambiamenti e operandone talvolta di propri. Racconti di famiglie, lavoro, intuizioni, trame di abili mani che assemblano, sperimentano, sfidano le convenzioni. Storie di botteghe che diventano marchi e contribuiscono a plasmare l’identità italiana verso un’eccellenza fatta di innovazione tecnica, di estetica stilistica e funzionale. Storie di carattere, immaginazione e visione. Storie come quella di Colmar.

Di quel giorno a Monza nel 1923 Tutto comincia un secolo or sono in quel di Monza. Lì, il 31 ottobre i novelli sposi Mario e Irma Colombo aprono ufficialmente la Manifattura Mario Colombo & C., che da piccolo laboratorio di cappelli evolve ben presto in qualcosa di rivoluzionario grazie all’idea di utilizzare i coni di feltro di lana difettosi per creare ghette. Sono proprio le ghette il primo importante prodotto realizzato da Colmar, che nel frattempo adotta il nome che l’avrebbe accompagnata nel successivo secolo di storia. L’incipit avviene in uno scenario storico non troppo felice, ma nonostante tutto Colmar riesce a prosperare e diventa a tutti gli effetti un’azienda di abbigliamento, riconvertendo la produzione verso le tute da lavoro che, come si scoprirà

ben presto, si adattano bene anche ai pionieri dello sci. Primo fra tutti a incontrare il brand è l’austriaco naturalizzato italiano Leo Gasperl, campione di chilometro lanciato e piccola celebrità, che finisce per diventare un ufficioso primo testimonial del brand. Proprio su misura per lui viene disegnato Thirring, il mantello di tela che gonfiandosi somiglia a un’ala di pipistrello. Dopo quel leggero librarsi a mezz’aria, altri temporali improvvisi, con la prematura scomparsa di Mario e le difficoltà del dopoguerra. Alla vittoria di un appalto per la produzione di giacche sahariane per la Legione Stra-

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niera Francese, seguono i primi fili di quello che sarà un rapporto di quasi 50 anni con la FISI e soprattutto i suoi campioni, uno su tutti Zeno Colò. Primo italiano a vincere i Mondiali di discesa libera e primo campione del mondo di slalom gigante, Colò segna le sorti del brand quando le sue esigenze performative incontrano la genialità di Irma, che estrae dal cappello la famosa “guaina Colò”, biglietto d’ingresso al mondo dello sci. Grazie a Giancarlo e Angelo iniziano le distribuzioni di brand esteri come Mizuno, Elan, adidas e Lacoste, per citarne alcuni, e le prime esportazioni. Poi arriva il boom dello sci e l’Italia diventa


THE PILL INTERVIEW BY MARIA LAURENZI

una delle migliori al mondo. Nasce il mito della Valanga Azzurra e Colmar segue la nazionale su numerosi podi tra cui quello Olimpico. Seguono gli anni della pubblicità con le campagne avveniristiche che vedono sciatori su Piramidi e grattacieli trasmesse in televisione. Sono gli anni di Alberto Tomba, superstar internazionale dal 1986, di Debora Compagnoni e dei suoi eccezionali sedici podi in Coppa del Mondo. Compaiono la giacca multistrato Bormio e Tecnologie, e il logo cambia, con la scritta Colmar preceduta da un fiocco di neve stilizzato. Al chiudersi degli anni ottanta si chiude anche il rapporto con la FISI

(seppur non con il mondo delle gare), mentre apre il primo di una lunga serie di negozi monomarca. Il salto successivo è nel 2009 con la linea Originals, in cui l’abbigliamento tecnico è ormai parte del quotidiano segnando il ritorno dell’ormai iconico bollo rosso e blu dismesso nel 1985, ma anche la riedizione di capi iconici dal successo straordinario. Continua l’esplorazione con i tessuti tecnici, ma avviene anche l’incontro con il mondo della moda. Nascono importanti collaborazioni come quella con Directa Plus, produttrice di Graphene, e la collezione in partnership con Shayne Oliver, direttore creativo

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di Hood by Air, primo progetto ad unire musica, streetwear e lusso. Entra in scena la quarta generazione con Stefano, Roberta e Riccardo, e crescono i valori. Il tema della sostenibilità viene affrontato attraverso una governance attentissima e il risultato è una conoscenza millimetrica di tutte le dinamiche di produzione, da quelle dei tessuti a quelle dei capi. La progettazione, ancora tutta made in Monza, continua a restituire la storia e la cultura dell’azienda. Esattamente come un secolo fa, ai tempi di Mario e Irma.


THE PILL FILMS BY C H I A R A B E R E T TA

P H OTO S L AY L A K E R L E Y

Moonlines: cacciatrici di linee Il film “Moonlines” parla di linee. Quelle da disegnare sulla neve polverosa e ancora intatta mentre, con gli sci ai piedi, si insegue la curva perfetta delle montagne. Ma anche quelle tese nel vuoto, da affrontare a piedi scalzi mettendo alla prova anche il senso dell’equilibrio più allenato. Le linee del freeride e le linee dell’highline. Sono queste le due passioni che uniscono le protagoniste del cortometraggio prodotto, scritto e diretto da Coline Ballet-Baz, con il sostegno di Arc'teryx che la supporta anche nella vita da skier. Oltre a Coline stessa, sullo schermo ci sono Silvia Moser, Chloë Roux-Mollard e Aurelia Lanoe. Quattro eccezionali sciatrici che per alcuni giorni hanno condiviso un viaggio originale tra le montagne del Queyras, regione francese al confine con il Piemonte. Sci e pelli ai piedi, le quattro donne - dopo qualche iniziale difficoltà nel trovare condizioni nevose adeguate - hanno prima raggiunto la remota baita tra le vette che è stata la loro base per tutta la durata dell’avventura e poi si sono dedicate ai due sport estremi che le hanno spinte verso questo breve ritiro tra le Alte Alpi. Racconta Coline Ballet-Baz: «L’idea alla base del film era quella di passare qualche bella giornata in montagna mixando freeride e highline, che personalmente ho iniziato a praticare un paio di anni fa grazie a Chloë. Insomma, trascorrere momenti di gioia in quota con un bel gruppo, senza grandi pretese per il film. Inizialmente il piano era

tornare nella remota baita alpina in cui avevamo girato “Recipe”», documentario sul freeski femminile, sempre firmato da Ballet-Baz, filmato nell’inverno 2021-22. Lo spot che avevo in mente era perfetto sia per il freeride che per l’highline, e questo era fondamentalmente il motivo per cui avevo pensato di unire le due discipline. Una settimana prima della partenza, però, non c’era assolutamente neve e le previsioni meteo erano pessime. Per avere buone condizioni, dunque, siamo finite nel Queyras: qui sapevamo che non avremmo avuto problemi sulla parte dello sci, ma non sape-

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vamo se avremmo avuto uno spot adatto a fare highline. Alla fine ne abbiamo trovato uno vicino alla baita, anche se non straordinario. Siamo state fortunate, tutto sommato». Come compagna per questa avventura Coline ha subito pensato a Chloë, che aveva già preso parte a “Recipe”. «Chloë è una specialista dell’highline: senza di lei non avrei nemmeno pensato di mettere questa disciplina nel film», prosegue Coline. Cercando nel loro giro di conoscenze comuni donne che fossero sia sciatrici che highliner esperte, poi, la creazione del resto del


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gruppo è venuta abbastanza naturale. «Ho conosciuto Coline quest’anno ad Arc’teryx Freeride in Austria», racconta Silvia Moser, stella italiana del freeride. «Mi ha parlato subito della sua idea: sciare insieme tra amiche e fare anche un po’ di highline. Non ho esitato nemmeno un secondo, ho detto subito sì!» Moser presenterà il corto alla Arc'teryx Women in Adventure Session, al Kendal Mountain Festival, il prossimo 18 novembre. Le sciatrici si conoscevano tutte già tra loro per varie ragioni, insomma, «ma Coline è stata il collante definitivo che ha creato questo fantastico gruppo», prosegue Silvia. L’amicizia e la complicità tra le protagoniste in effetti

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traspaiono chiaramente dal corto. Non è un segreto che in montagna, ma non solo, sono le persone con cui condividi un’esperienza a fare davvero la differenza, a creare il mood giusto. Silvia, Coline, Chloë e Aurelia ballano, ridono, brindano, esultano, tifano una per l’altra. Insomma, si divertono. Si divertono un mondo. «È stato proprio così», conferma Silvia. «Ogni volta che ci vediamo tra noi è sempre uno spasso, perché siamo tutte legate dalla grandissima passione per la montagna e per le avventure. Questa volta abbiamo vissuto delle giornate incredibili insieme. Durante le riprese è stato come essere in famiglia, è stato tutto un flow incredibile, magico. Sono tornata da quel viaggio davvero conten-

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ta: non sapevo cosa sarebbe uscito nel video, ma già l’esperienza vissuta insieme era un bellissimo regalo.» Silvia, Coline, Chloë e Aurelia nel corto non si divertono solo nei momenti di relax tra le quattro mura della baita ma soprattutto fuori, sulla neve e sospese nel vuoto delle montagne. «Non ero mai stata nel Queyras, ma è stata una grande sorpresa», prosegue Silvia. «È una zona sciabile, non troppo estrema da raggiungere, ma abbiamo avuto fortuna: non ci aveva ancora sciato nessuno e quindi ci siamo trovate in questo enorme spazio senza tracce, con una neve davvero al di sopra di qualunque aspettativa. Bisognava comunque stare attente, perché il livello non era altissi-


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mo e sotto c’era ancora qualche sasso. Io, ad esempio, entrando in una linea ho beccato un sasso che mi ha fatto cadere e perdere lo sci, che per fortuna è rimasto vicino. Poi sono riuscita a finire di sciare la mia linea, che era davvero stupenda. Insomma, è andato tutto bene.» Le discese nei lunghi e stretti canaloni, in cui le quattro freerider sfrecciano sollevando nuvole di polvere sono audaci, creative e gioiose. La concentrazione che una simile discesa richiede, ma anche l’entusiasmo contagioso che genera, emergono tali e quali anche quando le quattro atlete tendono la highline tra due alberi e si divertono ad attraversarla, andando avanti fino a quando il tramonto

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tinge di rosa le montagne innevate e un’immensa luna piena rischiara la notte. «Secondo me sci e highline sono accomunati dall’aspetto mentale», commenta Silvia. «In entrambi i casi bisogna essere molto concentrati, sentire il proprio corpo ed essere connessi, anche attraverso il respiro, con il momento presente, con l’istante preciso in cui si è. Sicuramente lo sci è la mia comfort zone, mi sento più sicura di me. Nell’highline invece, nonostante l’abbia fatto per tanto, c’è sempre un minimo di lotta nel riuscire ad arrivare al di là della linea. Ma entrambe le cose trasmettono sensazioni molto simili.» Coline Ballet-Baz è della stessa idea: «Come dice Silvia, il principale pun-

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to in comune tra i due sport è la sfida mentale, il modo in cui hai bisogno di stare concentrata. Ma ci sono molte somiglianze: entrambi sono bellissimi, secondo me, e si praticano in montagna. In definitiva, sono molto soddisfatta del risultato del film: considerando le condizioni di partenza e il fatto che abbiamo dovuto cambiare piani più volte, è stato un successo. Anche dal punto di vista umano questo viaggio è stata un’esperienza bellissima, un aspetto che per me è molto importante.» Che si tratti della linea sinuosa tracciata con gli sci o di quella tesa nel vuoto tra le vette, insomma, la conclusione per le quattro “cacciatrici di linee” è sempre la stessa: guardandosi indietro, resta solo gioia.


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Hiking autunnale fra foliage e primi freddi; la collezione Fall Hike di Columbia È arrivato quel periodo dell’anno che, per una serie di motivi, spinge tanti di noi a viaggiare con lo sguardo verso l’alto e a desiderare le montagne.

L’euforia estiva si spegne a poco a poco e l’atmosfera si sposta verso una specie di torpore che ci chiama alla natura. Muta la luce, cambiano i colori, l’aria si svuota di umidità e si fa fresca. È il momento ideale per camminare sul foliage o inseguire il sole sui sentieri rocciosi. Ma è anche il periodo dei venti imprevedibili, delle piogge improvvise e dei raffreddori che perseguitano perché, neanche a dirlo, si è voluto fare i grandiosi e il giusto abbigliamento la si ha lasciata a casa insieme alla canottiera, ignorando le raccomandazioni della mamma. «Prudentia est auriga virtutum» dicevano i medievali, e non possiamo che dirci d’accordo e suggerire a tutti, esploratori, amatori ed esperti montanari, di fare sempre bagaglio delle giuste protezioni dal freddo e dalle intemperie, prima di infilare gli scarponi e imboccare il sentiero. Per permetterti di godere delle mera-

viglie autunnali senza preoccupazioni, Columbia presenta la collezione Fall Hike 2023: pile, giacche, calzature, berretti… un intero armadio di capi versatili per ogni scenario e condizione climatica. Vediamoli, dunque.

Giacca Explorer’s Edge L’abbiamo detto, ce n’è per tutti, esploratori, amatori ed esperti, uomini o donne che siano. Explorer's Edge offre supporto in caso di vento, pioggia, freddo. Dotata dell’innovativa tecnologia Omni-Tech, una costruzione multistrato che respinge acqua

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e vento, garantisce impermeabilità. Poi, grazie al sistema termoriflettente Omni-Heat Infinity, il calore corporeo è riflesso da puntini dorati e rimandato sulla pelle, donando immediato piacere termico senza compromettere la traspirabilità. Da ultimo, non le mancano certo i comfort di base. Cappuccio, tasche numerose di cui una sul petto, fondo e polsini regolabili per respingere la pioggia.

Pile Columbia Hike Se si vogliono fare le cose bene, poi, sarebbe sempre opportuno abbinare


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la giacca a un capo antifreddo come si deve. Il Pile Columbia Hike è un buon candidato: traspirante e antisudore, così sei sicuro di restare asciutto anche mentre ti muovi. Per capirci, è dotato dell’avanzata tecnologia Omni-Wick, che allontana l’umidità dalla pelle e la diffonde lungo tutta la superficie del tessuto, in modo che evapori più rapidamente. Anche lui ha tasche per le mani e una sul petto protetta da una sovralaminatura extra in tessuto.

Pile Back Beauty Donne, non disperate, c’è una versione anche per voi, altrettanto traspirante e antisudore, per una freschezza giornaliera. La tecnologia è sempre Omni-Wick, che permette di diffondere l’umidità sull’interezza del capo e disperderla in minor tempo tramite evaporazione. Questo modello ha anche il colletto regolabile, asole per i pollici e pratiche tasche, per garantire comfort e vestibilità ottimali.

Pantaloni Triple Canyon II

Berretto Lost Lager II

Gambe protette sono gambe felici. I Triple Canyon di Columbia soddisferanno anche voi rivelandosi versatili in ogni avventura. Grazie alla tecnologia idrorepellente avanzata Omni-Shield, respingono acqua e sporco senza nulla sacrificare in elasticità. Potrete muovervi liberamente grazie alle ginocchia preformate a alla vita parzialmente elastica. Per tenere fermo il pantalone quando vi muovete, poi, basterà stringere i ganci a fondo gamba. E poi certo, tasche a volontà.

Per chiudere in bellezza, un capo must have per proteggere quella parte del corpo spesso trascurata e che sopporta le sferzate di vento più forti, salvo poi tirarne fuori tonsilliti e febbri che costringono a dieci giorni di letto. Il berretto Lost Lager II vi accudirà capo e orecchie in montagna come in città, facendo propri uno stile all’avanguardia e un DNA ecosostenibile, in solo tessuto riciclato Repreve.

Leggins Windgates Gambe fresche e comode, gambe femminili, ecco i leggings Windgates, nei quali torna la tecnologia Omni-Wick, che protegge dall’umidità favorendone l’evaporazione rapida grazie alla diffusione del sudore sull’intera lunghezza del capo. Due piccoli extra sono la tasca nascosta all’interno vita e quella laterale sulla gambe.

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Siamo giunti a chiusura. Come lasciarci? Ascoltando Dante, perché no, che si adatta bene ad ogni campo della vita. «Dalla prudenza vengono li buoni consigli, li quali conducono sé e altri a buono fine nelle umane cose e operazioni.» Parole sante. Quindi ascoltate la voce della prudenza, che sia incarnata in vostra nonna o nel negoziante del vostro negozio sportivo preferito, e andate a fare un giro tra la nuova collezione Fall Hike di Columbia.


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Jack Wolfskin Texapore Ecosphere Nel 2017 Jack Wolfskin lancia Texapore Ecosphere, un tessuto performante, impermeabile e traspirante, realizzato con membrana, tessuti esterni e fodera riciclati al 100%, compiendo in questo modo un importante passo in avanti nell'offerta di materiali avanzati e sostenibili nella sua collezione di abbigliamento. Premiato nel 2017 con l'Outdoor Industry Award e il UK Outdoor Industry Award, Texapore Ecosphere ha richiesto due anni di sviluppo, il tempo necessario per il brand e i suoi partner produttivi di trovare una soluzione che garantisse prestazioni ai massimi livelli. All’inizio erano solo sei i prodotti della categoria hiking ad integrare l’innovativa tecnologia mentre, entro l'inverno 2023, Texapore Ecosphere Pro sarà utilizzato in 58 modelli, tra cui accessori, calzature e abbigliamento. In questo modo Jack Wolfskin prevede di aver recuperato quasi 96 tonnellate di membrana, equivalenti a 3,2 milioni di metri. Inoltre, entro quest'inverno, il brand avrà anche riciclato l'equivalente di 63 milioni di bottiglie da un litro. Texapore Ecosphere rappresenta una svolta in quanto è il primo tessuto impermeabile e traspirante riciclato al 100%. La sua membrana è realizzata con gli scarti generati durante la produzione che vengono riutilizzati nel ciclo produttivo seguendo il concetto di zero-waste. Il tessuto esterno e la

fodera sono sono invece prodotti con materiali riciclati come le bottiglie. L'equilibrio tra la sostenibilità dei tessuti e gli elevati standard di performance che richiede il settore outdoor, quali impermeabilità, traspirabilità, antivento e comfort, è da sempre una sfida per l'industria dell'abbigliamento sportivo nello sviluppo di nuovi materiali. Jack Wolfskin ha accettato la sfida e oggi con Texapore Ecosphere Pro è in grado di offrire a tutti gli avventurieri delle prestazioni ai massimi livelli. Diamo un’occhiata ad alcuni dei prodotti di punta della collezione invernale 2023.

Highest Peak 3L Jkt & Highest Peak 3L Jkt W Modello da hiking ideale in molteplici situazioni, indipendentemente dal clima. Realizzato in tessuto Texapore Ecosphere Pro Stretch a tre strati derivato da materiali riciclati al 100%, è una giacca impermeabile, antivento e altamente traspirante. Le cerniere laterali possono essere aperte garantendo in questo modo un flusso d'aria fresca durante le escursioni più impegnative. Il cappuccio è completamente regolabile. 100% PFC-Free, è un prodotto certificato bluesign che assicura che ogni componente dell'intero processo produttivo sia ecologico e sostenibile.

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Salier 3in1 Coat W Questo cappotto dal design classico e sobrio è l’ideale per l’esplorazione urbana. 100% PFC-Free e certificato bluesign, grazie alle sue tre diverse opzioni di vestibilità è un capo altamente multifunzionale, adatto per tutte le condizioni atmosferiche. Il cappotto esterno ha uno stile moderno ed è realizzato in tessuto Texapore Ecosphere Pro Suede a due strati traspirante, impermeabile e antivento. Un gilet isolante in piuma d'oca rimovibile offre ulteriore calore e protezione ma può anche essere indossato separatamente per uno stile ancora differente. Gli spacchi laterali possono essere aperti con la zip per una maggiore libertà di movimento e una ventilazione immediata, a seconda delle necessità.

Kammweg 3L Jkt M Questa innovativa giacca da trekking combina caratteristiche e funzionalità di alto livello, garantendo elevato comfort e protezione anche durante le escursioni più lunghe. Il nuovo tessuto Texapore Ecosphere Pro Schoeller è realizzato con materiale parzialmente riciclato e 100% PFC-Free e combina la tecnologia di proprietà della membrana con i tessuti high tech di Schoeller. Le due ampie tasche sul petto sono posizionate in modo da essere facilmente accessibili anche quando si indossa uno zaino.


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Fjällräven Polar 2024: verso l’Artico L’uomo ha conquistato più o meno ogni angolo della terra, trovando il modo di “addomesticarne” anche le zone più estreme. Eppure, la natura selvaggia esercita un richiamo potente. Fatica, durezza, tempra. Testare i propri limiti può rivelarsi fatale, ma è anche il più autentico modo di essere vivi. C’è un motivo per cui inseguiamo le sfide. C’è qualcosa nella durezza che ci tiene vivi. Ce lo ricordano le opere di Jack London, i cui due maggiori successi, non a caso, si ambientano nell’Artico più estremo.

Proprio all’Artico fa ritorno anche Fjällräven, con una spedizione alla ricerca di quello che non si smette mai di trovare nelle realtà che più ci mettono alla prova. L’iniziativa si chiama Fjällräven Polar ed è una spedizione di 20 persone e 180 cani da slitta attraverso 300 chilometri di Lapponia sopra i 66°33’39” nord. Insomma, sopra il Circolo Polare Artico. Inizialmente si trattava di una gara, nata dall’incontro nel 1990 tra il musher svedese Kenth Fjellborg e il fondatore di Fjällräven Åke Nordin. All’epoca, Kenth aveva appena partecipato all’Iditarod, la più dura compe-

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tizione di mushing al mondo. Ispirato, Åke lanciò il Fjällräven Polar e per dieci anni, dal 1997 al 2006, premiò un musher ad ogni edizione fino al 2006. La dimensione competitiva dell’esperienza non aveva mai sposato del tutto i valori fondanti del brand: ispirare e incoraggiare le persone a scoprire la vita outdoor, per questo, dopo una pausa di qualche anno, nel 2012 Fjällräven Polar tornò sulla scena, più rivoluzionario e irresistibile che mai. Il nuovo Fjällräven Polar ha le stesse sfide, le stesse fatiche, ma nessun esperto pronto ad affrontarle. I nuovi protagonisti sono le persone ordinarie. Sembra una follia, ma una dalla portata rivoluzionaria. Fjällräven ci prende sottobraccio e ci dice che non ha importanza se le nostre abilità di sopravvivenza nella natura selvaggia non si vedano nemmeno col binocolo.


THE PILL EVENTS BY MARIA LAURENZI

Chiunque di noi, con la giusta guida e la giusta attrezzatura, può farcela. Non capita tutti i giorni. Anzi, diciamolo, non capita quasi mai. Immagina: è il 2 aprile 2024 e tu sei arrivato in Lapponia. Ad accoglierti c’è un team di esperti di Fjällräven e 19 altre persone come te ma del tutto diverse. Vi ritrovate in una classe a conoscervi l’un l’altro, raccolti da ogni angolo di mondo, e vi vengono insegnate le nozioni fondamentali per sopravvivere l’Artico, la vostra casa per i prossimi cinque giorni. Ti vengono affidati sei cani. Sono tuoi da conoscere, da comprendere, da accudire. Tutto il resto dipende da te. Guidato da un gruppo di musher professionisti e accompagnato dal team Fjällräven, lasci la zona di Jukkasjärvi per avventurarti al nord. Sevujärvi, Kattuvuoma, Råstojaure e

Pältsa - una delle più grandi aree di permafrost d'Europa - fino ai margini dei fiordi norvegesi a Signaldalen. Nomi dall’atmosfera fantastica, fatti di bianco abbagliante, acque ghiacciate, freddo affilato e buio, buio, buio senza fondo. Dormi al riparo di una tenda o sotto cieli stellati e ti occupi dell’accampamento, che monti ogni sera e smonti ogni mattina, del cibo che prepari con cura, della tua muta che accudisci con attenzione, e degli imprevisti di un meteo che non perdona. E ne ami ogni frammento. Se ti sei fatto tentare, ecco le date da ricordare: 30 ottobre - 19 novembre 2023. Questa la finestra per candidarsi all’edizione 2024 del Fjällräven Polar. Le modalità non sono cambiate. Sempre tre challenge, sempre lanciate sui social settimanalmente, sempre focalizzate sulle ispirazioni e

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aspirazioni personali dei candidati. Una sfida per indagare i perché che ci spingono a desiderare avventure come il Fjällräven Polar. Un’altra per mettere a nudo le nostre paure e prepararci alla sfida. Un’ultima per testare i nostri valori di sostenibilità. Una selezione che non smentisce l’orientamento del brand. Avviato durante l’evento di lancio globale, il concorso consiste nel caricamento di video, immagini e testi sul proprio canale Instagram, accompagnandoli con i tag @fjallravenofficial, #FjallravenPolar2024 e numero della sfida: #Challenge1, #Challenge2 o #Challenge3. I vincitori, selezionati dal team di alumni Fjällräven Polar, ambassador e protagonisti dell’azienda, saranno rivelati l’11 dicembre 2023. Step successivo? L’Artico Lappone.


THE PILL PRODUCTS BY LISA MISCONEL

La storia a lieto fine di Remoca Pad by LaMunt Il Veneto, l’heritage, la passione. E ancora le donne, la visione, la freschezza delle idee. Quando si pensa che un’idea possa essere ingenua o troppo ottimista, quando si crede che se non è mai stato fatto è perché è impossibile. La storia di Remoca Pad, di Imbotex e di LaMunt in generale è una di quelle che ti fanno capire che quando la passione, la cultura e l’esperienza si incontrano non ci sono limiti. Remoca Pad. Un sistema completamente circolare made in Italy che riutilizza gli scarti della propria azienda, Oberalp. Come? È molto semplice: Dalla fabbricazione di pelli di foca Pomoca come per ogni categoria, ci sono degli scarti. Questi scarti vengono raccolti dal processo di cucitura, vengono poi sfibrati per ricavarne le fibre di tessuto. Queste fibre vengono rimesse in circolo nella creazione del padding che viene poi utilizzato come imbottitura in nuovi capi Oberalp. Ecco come nasce ReMoca Pad, l’imbottitura sintetica di casa Oberalp derivata da scarti di pelli da scialpinismo. Con performance tecniche impressionanti e grande isolamento termico, si tratta di un sottile strato isolante sintetico realizzato utilizzando il 60% di scarti di produzione provenienti dalle pelli da scialpinismo Pomoca e il 40% di fibre di poliestere riciclato post-consumo.

Come spesso accade per le piccole grandi rivoluzioni, anche qui tutto è nato da un incontro: da un lato un’azienda giovane e rivoluzionaria a misura di donna, dall'altra una storica casa di produzione nata negli anni Cinquanta, condotta da due donne. Imbotex nasce a Cittadella (PD) producendo imbottitura per materassi includendo fin dal principio scarti dell’industria tessile locale, la leadership femminile degli ultimi decenni ha poi ampliato la strategia aziendale verso la produzione di manufatti tessili per il body wellness interamente Made in Italy. Nasce poi nel 2019 Imbotex Lab, una parte dell’azienda completamente focalizzata su upcycling ed economia circolare, culla perfetta per la nascita di progetti rivoluzionari come quello

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di Remoca. I processi utilizzati all’interno dello stabilimento sono meccanici, minimizzando allo stesso tempo il dispendio energetico, la produzione di rifiuti ed il consumo di acqua. Ma da dove viene l’idea degli scarti di pelli da scialpinismo? Fondatrice e Brand Manager di LaMunt, nonché vice presidente del gruppo Oberalp, Ruth Oberrauch ci racconta l’intuizione proprio all’interno delle mura di Imbotex durante una visita all’azienda questa primavera. Ci racconta che ogni piccola, magari pazza idea, ogni spiraglio di riutilizzo è la scusa per raccogliere materiale e cercare assieme ai produttori le più svariate soluzioni. Così, da una visita alla casa madre di Imbotex, Ruth torna con un sacco pieno di scarti di pelli e lo sot-


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topone all’occhio esperto delle donne di Imbotex. Entusiasmo, esperienza e gioco di squadra si sono rivelati poi gli ingredienti per un nuovo ingegnoso progetto che avrebbe portato tante soddisfazioni ai due partner. Ecco quindi che a partire dalla collezione fall winter 23/24, le amanti del “Mountain Me-Time” possono indossare il risultato di questa bella storia in quattro capi dai nomi inspirati come da regola, a donne della community: Irmi, Alberta, Sophia e Nora: rispettivamente una giacca imbottita reversibile, una giacca ibrida, un gilet ed un midlayer a manica lunga.

Irmi Reversible Insulated Jacket Capo chiave della collezione con imbottitura Remoca è reversibile e bicolore: da un lato, ha cuciture trapuntate che gli conferiscono un aspetto tecnico in linea con il caratteristico design Ali Shape di LaMunt. Dall'altro lato, è realizzato in tessuto seersucker testurizzato, privo di PFC, per garantire uno stile unico e massima libertà di movimento. La giacca è dotata di cappuccio a collo alto, tasche con zip integrate e si compatta facilmente per adattarsi a zaini di diverso litraggio. Nelle giornate invernali è ideale come strato intermedio per lo scialpinismo grazie anche al trattamento rispettoso dell’ambiente DWR (Durable Water Repellent) senza PFC.

Alberta Hybrid Jacket Un capo versatile pensato come partner ideale per le giornate autunnali in montagna e fra i boschi così come un uso quotidiano in città grazie al suo design ricercato e alla grande attenzione ai dettagli. Realizzata con imbottitura Remoca Pad, è una giacca dal comfort eccezionale anche grazie a caratteristiche come il cappuccio preformato con bordo elastico, visiera e colletto preformati, una fascia elastica sulla nuca e inserti elasticizzati in vita.

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New Balance Fuelcell Supercomp Trail La prima cosa che si nota delle New Balance Fuelcell Supercomp Trail, e che è un po’ il loro tratto caratteristico, è la loro linea filante e “magra”. Le scarpe piastrate degli ultimi anni hanno visto un generale aumento dei volumi, compensato da un progressivo alleggerimento dei materiali. Questa tendenza ha diminuito la stabilità e il controllo sui terreni più tecnici. La scelta di New Balance invece, è stata quella di unire dei materiali aggiornati e una piastra a una scarpa con una concezione più tradizionale. Il risultato è una scarpa racing estremamente stabile e versatile, adatta anche ai sentieri europei. Calzata e spessori Una calzata che ci sentiremmo di definire narrow, stretta, ma non per questo costrittiva o fastidiosa: è una calzata da scarpa da gara, precisa, sicura e salda sul piede. Anche la sagoma del battistrada è abbastanza stretta e questo è funzionale sui terreni rocciosi o con radici, soprattutto in discesa, per mantenere il controllo. Il peso della scarpa è ridotto a 272 grammi, ma al di là del dato, è soprattutto la struttura generale della scarpa a contribuire a una sensazione di leggerezza al piede. Lo stack è di 36,5 millimetri sul tallone e 26,5 millimetri sull’avampiede, per un drop complessivo tallone-punta di 10 millimetri. Da un lato è un drop molto pronunciato, dall’altro si tratta di un comparto intersuola complessivamente basso, che alla corsa si traduce in una sensazione di contatto a terra.

Tomaia

Intersuola, piastra e suola

La tomaia è realizzata in un tessuto arioso e leggero con una struttura 3D e irrobustito sulla punta da un rinforzo interno, minimalista ma comunque protettivo. La linguetta è sottile ma distribuisce bene la pressione dell’allacciatura, realizzata con un sistema a cinque fori che lavora in modo uniforme sul collo del piede

Per l’intersuola gli sviluppatori New Balance hanno deciso di utilizzare la mescola Fuelcell a bassa densità realizzata con 3% di materiali bio. Ma la vera innovazione della scarpa è naturalmente la piastra in carbonio. Si tratta di una piastra molto spessa e larga, laddove nelle scarpe da trail vengono usate normalmente piastre

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molto più esili, in modo tale adattarsi meglio al terreno. In realtà, alla corsa le Fuelcell Supercomp risultano le scarpe da trail con piastra meno rigide che abbiamo provato: sono flessibili, forse meno reattive rispetto a scarpe da trail con un taglio più “stradale”, ma allo stesso tempo molto più versatili. New Balance sembra aver capito prima di altri brand, che per i terreni tecnici e ripidi una piastra troppo rigida limita fortemente la capacità di utilizzo della scarpa. La piastra e l’intersuola sono integrate da una struttura chiamata Energy Arc volta a garantire un ritorno di energia maggiore in fase di rullata. La suola invece è Vibram Megagrip Litebase in tre pezzi, con una tassellatura multidirezionale.

Sensazione alla corsa Nel complesso, la sensazione alla corsa è quindi quella di una scarpa ben bilanciata, né ammortizzata né secca. Pur restando una scarpa molto leggera e veloce, è forse anche tra le più democratiche della stessa categoria, per questo la vediamo ai piedi di un pubblico relativamente ampio, o comunque più ampio rispetto alle concorrenti. La sconsigliamo invece ai corridori con una pronazione molto pronunciata e che hanno bisogno di supporto sull’arco plantare, in quanto la scarpa è poco supportiva in questa zona, e che secondo noi potrebbe essere il vero punto da migliorare in un futuro aggiornamento. A parte questo non vediamo grandi difetti o problematiche: è una scarpa con uno scopo molto a fuoco, che è riuscita a declinare in modo originale una tecnologia che si stava consolidando su una tipologia di scarpa molto diversa, e tutto sommato poco europea. In questo senso, per il genere di terreni su cui siamo abituati a correre noi, e quindi più montani, è forse la scarpa con carbonio più adatta a questo scopo.

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THE PILL INTERVIEWS B Y S I LV I A G A L L I A N I

Eternal Flame

Interview to Jacopo Larcher È il 1989 quando il fortissimo team tedesco composto da Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykor, traccia la via lungo lo sperone sud della Nameless Tower (Trango Tower, Pakistan). Devono passare esattamente 20 anni prima che la prima salita in libera venga realizzata da Thomas e Alexander Huber (7c+ con 800 metri di dislivello in trenta tiri).

Stiamo parlando di Eternal Flame, la cui terza ripetizione in libera è stata possibile solo nell’estate 2022, a 13 anni dalla prima, grazie alla cordata composta da Barbara “Babsi” Zangerl e Jacopo Larcher, che ha concluso l’ascensione e la discesa in sei giorni, dal 18 al 23 luglio. Per celebrare l’impresa è stato realizzato il lungometraggio, “Burning the Flame” che, raccontando la scalata, propone anche uno sguardo inedito e trasversale sul rapporto tra essere umano e roccia. “Burning the Flame” è stato presentato all’anteprima milanese di Reel Rock Italia, la rassegna di corto e medio metraggi a tema arrampicata, che quest’anno torna per il suo appuntamento annuale con un tour di 20 tappe italiane. Abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Jacopo

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Larcher per saperne di più su questa formidabile avventura. Ciao Jacopo! Com’è nata l’idea di scalare questa via? E come vi siete preparati ed allenati? Abbiamo sempre avuto il sogno di affrontare una via così rinomata ma, quando abbiamo iniziato ad avvicinarci al mondo delle vie lunghe, ci sembrava un'impresa irraggiungibile. Poi 4 anni fa abbiamo iniziato a pensarci più seriamente e nel 2021 siamo andati per la prima volta in Pakistan ma a causa del brutto tempo abbiamo dovuto rimandare e siamo tornati l’estate scorsa. Era un'impresa totalmente nuova per noi come cordata quindi la preparazione è stata un po’ improvvisata. Sapevamo che le difficoltà arrampicatorie non erano così alte rispetto a vie che già avevamo affrontato ma la nostra grossa incognita era come avrem-


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mo reagito all’altezza. Io non avevo mai scalato così in alto e Babsi non era mai stata in quota. Come allenamento abbiamo semplicemente cercato di fare un po’ più di cardio e di prepararci meglio dal punto di vista della resistenza fisica. In più ci siamo dovuti occupare di tutta la parte logistica a livello di spedizione, visti, ecc. Una volta arrivati in parete abbiamo avuto sei giorni di studi e tentativi conclusisi poi il 23 luglio 2022 quando, dopo 24 tiri, siamo arrivati in cima! Quali dubbi e paure avevate prima di affrontare la scalata e come li avete affrontati? La quota era il fattore che più ci intimoriva ma a cui abbiamo reagito entrambi bene. Mentre la cosa che non avevamo calcolato è stato il clima, speravamo in temperature elevate per poter scalare in libera invece queste hanno portato allo scio-

glimento della neve e ciò, a sua volta, ha causato il bagnarsi delle lunghezze dei tiri costringendoci a fermarci ogni due/tre ore di scalata aspettando che rinfrescasse. Quanto influisce il compagno di cordata nella realizzazione di un’impresa del genere? Tantissimo! Abbiamo la fortuna di essere una coppia non solo in parete ma anche nella vita e questo aiuta molto perché ci si conosce perfettamente e abbiamo totale fiducia l’uno nell’altro. Scalando sempre insieme si conoscono benissimo i punti forti e deboli dell’altro quindi ci si compensa e ci si aiuta. Da quanti anni fai parte della famiglia La Sportiva e qual è il tuo ruolo nel team? Con che scarpette hai affrontato Eternal Flame? La Sportiva è stato il mio primo sponsor quindi

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far parte del loro team ha per me un valore affettivo. Collaboro con loro da almeno 20 anni, è una vera e propria famiglia. Nel corso degli anni ho avuto la possibilità di testare diversi prodotti durante il processo produttivo e dare i miei feedback. Questa è anche la cosa bella dell’azienda. In via ho usato le Futura e le Katana Laces: la prima non presenta i classici spigoli della suola ed utilizza uno strato di gomma più sottile ed omogeneo che aumenta la sensibilità e consente al piede di esercitare una spinta uniforme. La seconda ha un'eccezionale polivalenza d’uso a cui si aggiungono soluzioni tecniche in grado di offrire performance ancora più elevate. Per l’avvicinamento ho utilizzato gli scarponi G-Tech che garantiscono performance massime nelle situazioni più tecniche ed estreme.


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Sandra Sevillano Skyrunning fra medaglie, allenamenti all’alba e famiglia Parlando con la maggior parte degli atleti in qualsiasi campo riguardo gli inizi della loro carriera, diranno che lo hanno fatto fin da piccoli in maniera diversa, più o meno competitiva. Molti sono stati introdotti dai genitori, altri hanno scoperto per caso il loro talento mentre altri ancora lo hanno da sempre coltivato. Se in uno sport come lo sci è praticamente impossibile arrivare a determinate performance avvicinandosi allo sport in età adulta, per la corsa e soprattutto per il trail running questo non vale. L’età non è altro che un numero che va di pari passi con i chilometri nelle gambe e la maturità. Ne è un bellissimo esempio Sandra Sevillano, atleta del team Millet che si è avvicinata alla corsa solo dopo il suo primo figlio. Qualche gara su strada, una vittoria alla mezza di Bilbao, poi il primo trail alla Mendi Trail di Bilbao dove ha scoperto i sentieri. Una buona dose di motivazione si è aggiunta al talento fino a quel giorno sconosciuto, e la sua vita è cambiata. Sandra dimostra che gareggiare ad alti livelli può essere conciliato con la vita lavorativa e quella da mamma, ci vuole però del rigore... e la sveglia presto, per allenarsi prima di iniziare la routine di ogni giorno. Parlando di rigore, ogni dettaglio viene curato: dalla nutrizione all’allenamento e in questo Sandra è impeccabile. Particolare e simpatica la sua attenzione ai “porta fortuna” e agli elementi che la fanno sentire sé stessa

durante la corsa, come la sua amata visiera. Quest’anno ha già messo in tasca una lunga lista di appuntamenti importanti portati a termine con ottimi risultati, iniziando con la Transgrancanaria, fino all’ambita Chamonix passando per un argento ai campionati europei di Skyultra in Montenegro. Ed è proprio a Chamonix che l’abbiamo incontrata, il giorno prima del suo esordio a CCC, incredibilmente tranquilla e sorridente, come se non stesse per correre una 100km da lì ad una manciata di ore. Ha tagliato il traguardo in 14:08:18, guadagnandosi il 18esimo posto femminile, questa intervista ci riporta indietro a sensazioni e momenti pre gara. Come ti senti? Nervosa, concentrata, focalizzata.

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Domani alle 9 la partenza di CCC qui a Chamonix, ci sarai anche tu. È stata una stagione molto lunga a partire da Transgrancanaria, LUT, poi gli europei di Skyrunning... La chiave per me è gareggiare, gareggiare e gareggiare per questo non potevo mancare a questo appuntamento. Correre distanze sempre più lunghe è uno dei miei obiettivi correnti e futuri. Al momento mi sento molto bene e sicura di me. È la prima volta che prendi parte a CCC qui a Chamonix? È un momento molto importante ed iconico che può essere un’arma a doppio taglio per ciò che riguarda la dimensione mentale. Sebbene io abbia già corso su questi sentieri, è la mia prima volta in gara in questa occasione così im-


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portante. Voglio mantenere uno spirito tranquillo e positivo. Non essendo fra le favorite, la testa è più leggera da pressioni e ansie. Voglio quindi godermi ogni passo e sono pronta a farlo al meglio delle mie possibilità. Sei abituata a terreni molto tecnici e ripidi. Qui invece troviamo un percorso molto più corribile. Come la vedi? Ovviamente è molto diverso, perché sono una skyrunner. Però in futuro vorrei correre sempre di più su terreni come questo, essere camaleontica. C’è qualche punto della gara che temi? No, sono tranquilla. Ho pianificato tutto.

ci sono i Pirenei, i Paesi Baschi, Picos de Europa, Leon. Come è iniziato il tuo rapporto con Millet? Dopo i campionati europei di ultra skyrunning 2021 in cui ho vinto, Millet mi ha contattata. Mi è piaciuto da subito il loro approccio e il fatto che si trattasse di un marchio storico nato nelle Alpi, con 100 anni di storia e di sponsorizzazioni per atleti di alto livello nell'alpinismo e nella montagna. In più coincide con il mio ideale di skyrunning, montagne con pendenze importanti nella loro forma più pura. Com’è il tuo pre gara? Che cosa indosserai? A livello di pasti mangio

Millet all’interno della categoria trail running ha scelto di focalizzarsi sullo skyrunning. C’è qualcosa di specifico che è diverso nello skyrunning rispetto alle altre sfumature del trail? Mi piace fare di tutto, ma devo dire che lo skyrunning è la mia passione più grande. A livello di attrezzatura, seppur simile, l’ammortizzazione e la trazione devono essere al massimo. La collezione Trilogy di Millet per me è perfetta e ho sempre trovato tutte le caratteristiche di cui ho bisogno mentre sono in quota. Backpack, cosa userai domani? Intense 12, dove posso riporre tutto il materiale obbligatorio. Normalmente amo correre con Intense 5, di cui adoro le tasche capienti e strategiche. Per gare di questo tipo, quanto è importante l’allenamento in altura? Per me, molto importante! Io vivo al livello del mare per esempio, vicino a Bilbao. Riesco a raggiungere una piccola montagna in venti minuti da casa per poco meno di 500m di dislivello, ma da lì a correre le gare a cui partecipo c’è una bella differenza. Battito cardiaco e sensazioni subiscono cambiamenti per me rilevanti a seconda dell’altitudine, per questo nel weekend mi sposto spesso in montagna per gli allenamenti. Fra i posti che preferisco

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riso, patate, ciò che mi consiglia il mio nutrizionista. Ma la cosa a cui tengo e do priorità massima è il relax. Indosserò il completo Trilogy color blu, lo zaino Intense 12 e la visiera senza la quale non corro mai, è il mio segno distintivo e porta fortuna! C’è qualche momento della gara che aspetti con ansia? Non vedo l’ora di essere in alto! Dove posso vedere lontano, respirare l’aria più pura. Come gestisci la solitudine, la notte, il silenzio? Non ho mai paura. Il silenzio mi aiuta, la notte mi piace. Mi alleno spesso con la frontale quindi sono abituata.


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Carlos Garcia Prieto il tracciatore felice del Tor Des Geants BY ENRICA GOUTHIER PHOTOS ANJA BAKOWSKA, ROBERTO ROUX

Mi ha subito conquistata, prima con i messaggi e poi quando abbiamo fatto la video call per l’intervista. Ha una passione smisurata per il suo lavoro, talmente forte che potrei iniziare a seguire le sue orme. Il suo mestiere è disegnare gare: sognarle, immaginarle e poi realizzarle. E per far questo si avvale dei migliori strumenti GPS per tracciarle e far sì che il percorso da seguire sia impeccabile. Nel mentre ha unito questo lavoro all’organizzazione delle gare (ebbene sì, organizzare gare è un lavoro, difficile e oltremodo complesso). Ha iniziato nel 2008, quando il mondo sapeva a malapena cosa fosse il trail running e le competizioni in questo sport si potevano contare sulle dita delle mani. Ha sempre corso e per questo motivo, prima ancora di iniziare come tracciatore, aveva già percorso tutti gli eventi esistenti. Da lì, il passo successivo è stato breve. Anzi, quasi breve. Laureato in architettura, ha cercato lavoro nel suo ramo di studi, a Milano, senza avere i risultati sperati. Successivamente lo contatta Antonio Zito, fondatore della Zitoway, che chiede un aiuto ad organizzare le sue manifestazioni. Da una situazione ne nasce un’altra e ad oggi non si ricorda neanche quante gare ha tracciato. Uno dei ricordi più vividi è l'aneddoto di come ha iniziato a traccia-

re la Lavaredo Ultra Trail. Con una mail in cui spiegava al direttore di gara di come il suo percorso non fosse disegnato bene, di tutta risposta gli fu chiesto se sapesse fare meglio. Il guanto di sfida è stato lanciato e si ritrovò nel team di lavoro della gara veneta. Ci rimase per undici anni. Ora è appena rientrato dalla Cina, dove crea in continuo nuove gare, e sono riuscita ad intercettarlo con una video call: io in Corsica e lui in Spagna. Sarei andata avanti per ore ad ascoltare i suoi discorsi, i racconti e le spiegazioni di come si traccia una gara. Ha passione, come vi dicevo, un’incontenibile passione per ciò che fa. E dopo aver terminato con lo stesso entusiasmo il mio Tor Des Geants, non potevo esimermi nell’intervistare colui che ha creato la traccia ufficiale 2023 della gara di ultratrail più difficile al mondo.

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Cosa vuol dire cosa fare il tracciatore? Sono due lavori: il primo è disegnare la gara, scegliendo il percorso dove gli atleti devono correre. Si va in perlustrazione, valutando i sentieri ed i passaggi da far fare ai concorrenti e tramite dispositivi GPS si traccia il sentiero. Il secondo è mettere le bandierine o le fasce, i segnali per rendere visibile il percorso. Questa è la prassi per quando si crea una gara nuova o se ne modifica una già esistente. Per il Tor è stato diverso. Il disegno era deciso da anni ma la traccia conteneva delle imperfezioni.

Planet, che organizza le quattro gare nel deserto (Cile, Namibia, Mongolia, Antartide). Con la gara valdostana ho raggiunto il massimo di chilometri tracciati fino ad ora. Che strumenti utilizzi per il tuo lavoro e quali avete impiegato durante il Tor? Il Garmin eTrex SE è il mio preferito, preciso e sicuro, so che non mi abbandona mai. È compatto e piccolo, ideale per moltissime occasioni. Ma non porto solo lui con me. Normalmente viaggio con due GPS accesi e un terzo di scorta spento. Dunque l’altro mio compagno di viaggio è il Garmin GPSMAP. Mi trovo bene con tutta la gamma, dalla versione 65 al nuovo 67. Questi strumenti erano con me durante la tutta tracciatura del Tor Des Geants. Quando vado a perlustrare i sentieri e le strade per creare le nuove manifestazioni, se ho la possibilità di spostarmi con un mezzo, uso il Garmin GPS 276cx. Lo schermo è davvero importante e riesco a vedere bene i percorsi. Inoltre ha i tasti ben distanziati tra di loro e posso lavorare anche con i guanti. La batteria è inesauribile. Unico neo è la sua grandezza che mi consente di usarlo solo quando mi sposto con macchina o simile.

Come è nata quindi la necessità di tracciare il Tor? Come ti dicevo, aveva una traccia imperfetta con punti di riferimento troppo distanti tra di loro. Per gli organizzatori era diventato fondamentale ricreare un nuovo modello da seguire, soprattutto perché questo evento richiama molti trail runner. Dopo la chiamata di Garmin e la loro proposta non ho potuto rifiutare. Quando vivevo a Milano, andavo spesso lì ad allenarmi. Ora che sono lontano è molto più difficile. Questa è stata l’occasione per tornare in un luogo a me caro. Quanti eravate a tracciare il Tor? Lavoro da solo normalmente, ma in questo caso non era possibile. Avrei impiegato davvero tanto tempo. Ho chiesto a Garmin “l’assunzione” temporanea dei runner Courmayeur Trailers per smaltire il lavoro ed essere più efficienti, e così è stato. Dopo il lavoro sul campo, ho unito tutte le tracce controllando che non mancassero punti, che non ci fossero deviazioni causa rimbalzi del segnale (tra due muri, il segnale salta dalla traccia che stai seguendo e lo colloca circa 400 metri più lontano) o problemi personali dei tracciatori, tra cui le necessità fisiologiche. Insieme abbiamo creato la traccia ufficiale del Tor Des Geants.

Alziamo le difficoltà, è giunto il momento di tracciare il Tor Des Glaciers (450km e 32000 D+)? È il mio lavoro, la risposta può essere scontata. Tracciare le gare, soprattutto per chi lo fa di mestiere, è fondamentale. A maggior ragione se si parla di un chilometraggio così elevato. Dunque sì, spero di poter continuare ed alzare l’asticella tracciando l’alta via 1 e 2: il Tor des Glaciers.

La serie Garmin eTrex è la mia preferita, preciso e sicuro, so che non mi abbandona mai. È compatto e piccolo, ideale per moltissime occasioni.

È stata la gara più lunga che hai tracciato o hai fatto anche altro? Prima del Tor des Geants ero arrivato a 250km, suddivisa a tappe, con l’agenzia Racing The

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Non è cosa sali, ma come lo sali

La nuova prima silenziosa ascesa di Simon Messner e Martin Sieberer in Karakorum BY LISA MISCONEL P H OTO S S I M O N M E S S N E R & M AT T EO PAVA N A

Mancano settecento metri alla vetta dell’intoccato Yernamandu Kangri, 7180m, Karakorum. Simon e Martin sono lì, seduti uno vicino all’altro, in silenzio. Se uno dei due dicesse “Basta, torniamo indietro” l’altro acconsentirebbe. Invece, seppur magari pensandolo, nessuno dice nulla. I due, in silenzio, proseguono in mezzo metro di neve verso la vetta con le poche energie rimaste. La nebbia li avvolge, è la prima ascesa. “L’alpinismo non lo erediti” mi sembra di ricordare da un’intervista di qualche tempo fa su Simon Messner. Un cognome molto pesante, un alpinista silenzioso. Parlare con Simon di alpinismo ti fa capire cosa significhi veramente questo termine oggi, dove spesso l’agonismo e l’egocentrismo ne oscurano la purezza. Forse perché l’italiano non è la sua prima lingua, o forse proprio per scelta, quando parla delle sue imprese si riferisce alle stesse con il termine “cose belle”. Non record, FKT, prime ascese o imprese... Cose belle. Era il 25 luglio quando Simon, parte del team di Salewa People, insieme al fedele compagno Martin salivano per primi un ancora inviolato 7000 nel Karakorum. Tremila metri di dislivello in tre giorni, una linea da trovare e salire contando solo sulle proprie forze.

Partiamo dalla fine. Sono passati ormai due mesi da quando insieme a Martin hai toccato la vetta dello Yernamandu Kangri. Una prima volta per te oltre i 7000, ma una prima volta per la vetta ad essere salita. Com’è stato superare un nuovo limite, che sensazioni hai avuto, cosa ti è passato per la mente in quel preciso momento? Ci saranno stati 30 metri, con la neve. A nord c’è una cornice di neve. È stato un momento prezioso, c’era nebbia e come spesso accade non abbiamo visto proprio nulla. Pensavo, prima di partire, che sarebbe stato un momento forte... E lo è stato, ma sapevamo anche che dovevamo ancora scendere, oltretutto senza corda. (Il semplice cordino che avevamo ci ha aiutato con la testa, sì, ma se fossimo caduti in un crepaccio non avremmo avuto scampo). Avevamo un bel peso su di noi, e scendere era più faticoso che salire, è strano, ma è così sempre: sei stanco, la concentrazione viene a mancare e alla fine sei lontano dalla civiltà e nessuno ti può aiutare. Avevamo in mente quella montagna da qualche anno, ma mai veramente avevamo pensato di partire. Era molto difficile trovare foto ed informazioni da altre spedizioni ed abbiamo dovuto aspettare per molto tempo il permesso per entrare in Pakistan, che

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ci è arrivato tre settimane prima della partenza. Alla fine ci è andata bene. Ero molto felice e curioso di andare in quella parte del Pakistan, il sud, il Karakorum: molto verde, la gente è gentile. Siamo arrivati al campo base, dove l’ultima spedizione era arrivata nel 1981. Non abbiamo visto nessuno, proprio ciò che cercavamo. Solo un leopardo delle nevi è venuto più volte in visita, ma di persone, neanche l’ombra. Tutto top. Ci sentivamo bene, forti... Ma il meteo non era d’accordo. Nevicava tutto il giorno, siamo rimasti al campo base a giocare a carte, a leggere, poi finalmente la finestra di bel tempo: tre giorni. Una salita rapida preceduta da un acclimatamento limitato. 3000 metri di dislivello in tre giorni. Siamo partiti pensando “ci proviamo finché riusciamo ad andare avanti.” Siamo andati avanti veloci, forse troppo veloci. Non pensavo fosse possibile salire 1000 metri in un solo giorno a quelle quote con quelle condizioni e difficoltà. Penso però che quelle erano le uniche condizioni per poter portare a termine la salita: quando eravamo in cima il meteo era già cambiato. Tre giorni che abbiamo usato al minuto arrivando fino al limite delle nostre capacità. Ad un certo punto, seduti sulla base della parete finale, ricordo bene che erava-


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mo seduti sul ghiaccio, stanchissimi. Sono sicuro che se qualcuno avesse detto “Basta, torniamo indietro” l’altro avrebbe acconsentito senza dire una parola. Invece nessuno ha detto nulla. Lo ha pensato, ma non lo ha detto. Così siamo andati avanti, in silenzio... È stato strano. C’era un po’ di pressione, quella parete finale non sembrava facile ed eravamo stanchissimi con la neve alta mezzo metro che ci rallentava ad ogni passo. Direi, e anche Martin lo dice sempre, che se avessimo portato anche la più leggera corda non ce l’avremmo fatta: 2-3kg di più ci avrebbero esaurito prima di completare il progetto. È stata una salita borderline. Ci racconti la vostra impresa attraverso 6 momenti importanti, dalla scelta della meta a quando sei tornato a casa? 1. In Europa, quando è arrivata la mail in cui c’era il nostro permesso per il Pakistan, lì è cambiato tutto. In quel momento sia io che Martin abbiamo detto “dai, adesso andiamo”. 2. L’avvicinamento, che è andato molto bene: non siamo mai rimasti bloccati, siamo stati veloci, senza malesseri e problemi fisici. 3. Arrivare al campo base, che non esisteva. Era un posto vicino al ghiacciaio che ci sembrava adatto. Il giorno dopo siamo partiti per cercare la linea attraversando il ghiacciaio. 4. L’attesa giorno dopo giorno quando il meteo non era buono. Quando poi migliorava, poter uscire. 5. Salire la via, tracciandola, la connessione tra di noi. A turni ognuno andava avanti, anche a 100 metri di distanza, senza dire nulla, ci davamo il cambio come fosse la cosa più naturale che ci sia. 6. Il momento sulla parete finale, 700 metri con una pendenza di 60 gradi. Il ghiaccio che si trova lì è molto molto duro, quasi cemento. Scalando lì non abbiamo parlato per ore, ognuno scalava per sé stesso fino alla cresta. (7. Arrivare in cima è un piccolo sogno realizzato per entrambi.)

Parlando di Martin; siete una squadra affiatata e collaudata da anni che è forse anche uno degli elementi che ha permesso la buona riuscita di questa impresa. Da quanto tempo scalate insieme, cosa vi rende una coppia così unita? Ho conosciuto Martin 4 anni fa, solo prima di partire per la mia prima volta in Pakistan nel 2019. Ho subito notato che era molto forte, che è uno che ha voglia di fare le cose e le fa senza tanto parlare. Dopo la prima salita insieme è partito tutto, abbiamo fatto un sacco di belle cose anche nelle Alpi come ad esempio la Bonatti sul Cervino in giornata dalla valle. È molto importante trovare una persona che ha più o meno la stessa motivazione tua. Non con tutti i compagni hai questo tipo di connessione. Quando scala non devo mai pensare a lui, ho completa fiducia nelle sue capacità e penso anche lui con me, così funziona. Forse, anzi sicuramente anche il fatto che Martin come me in passato scalava in solo aiuta tantissimo, perché abbiamo più o meno lo stesso livello e se lui riesce a scalare slegato, riesco anche io. Un’altra parola d’ordine per questa impresa è lo stile alpino. Che significato dovrebbe secondo te avere la parola alpinismo? L’alpinismo è un’attività con molta storia. Oggi non si sa più come vedere le cose, capire come si salgono le montagne... Il come è molto importante. La maggior parte di chi può permetterselo, sale le montagne con grande aiuto esterno, diciamo così, e possono farlo. Ma per me l’alpinismo è qualcosa di diverso, è provare a salire una linea della mia mente con le forze che ho io. E lo stile alpino vuol dire averlo fatto senza aiuto se non quello del tuo partner. L’alpinismo non è uno sport, ha delle connessioni allo sport, ma non è sport. È molto difficile misurarlo, le condizioni cambiano così come il meteo. Parlando del Pakistan, del K2 ad esempio, che è molto vicino a dove eravamo noi, lì è un mondo totalmen-

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te diverso, non per forza negativo, ma è un’altra cosa. Due, tre, quattrocento persone che salgono insieme in cima usando corde, ossigeno, elicotteri, campi. Non è sbagliato per forza, ma è diverso. Ad oggi sia per Martin che per me la voglia di andare su un ottomila è zero, ma zero veramente. Non ha niente a che fare con l’andare in montagna. Se sei da solo in montagna ogni decisione sta a te, ma se vai in un gruppo cambia tutto: uno decide e gli altri seguono. La tua esposizione mediatica è, negli anni, andata in crescendo dai primi anni in cui scalavi senza essere seguito da nessuno. Cosa è cambiato e perché? Da bambino era normale che la vita di mio padre fosse esposta ai media. In parte era molto normale per noi bambini, dall’altra sapevo che l’esposizione mediatica può aiutare ma non è tutto positivo. Ho sempre letto il mio nome online, sapevo di essere conosciuto nell’alpinismo e per questo ho sempre dovuto stare attento. La gente mi ha sempre osservato, notando ogni passo falso e così ho deciso di farlo per me, per esprimere me stesso e alla fine quei primi anni sono stati il periodo più bello, totalmente libero e spensierato. In quegli anni ho imparato le cose fondamentali, sono andato tanto in free solo, cosa che oggi non farei più, e sono cresciuto come un alpinista normale. Poi non so cosa sia cambiato, sono migliorato e cresciuto, ho fatto belle cose, non lo so. Comunque è sempre importante mantenere una parte di quello che fai, solo per te. In questa intervista tanti sono i punti che mi piace rileggere, forse perché Simon è riuscito ad esprimere delle cose che non avevo mai sentito prima, forse perché il modo in cui lo ha fatto è diverso e sincero. Nei giorni precedenti all’intervista, forse per il periodo particolarmente intenso per la tematica, mi sono spesso chiesta cosa fosse l’alpinismo. Ora lo so un po’ di più.


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Sybille Blanjean: il freeride come forma d’arte BY M A R TA M A N ZO N I

Sybille Blanjean, manco a dirlo, inizia a sciare da piccolissima, nel Vallese, la sua casa, che presto diventa anche il playground preferito per discese di freeride da urlo. Disegnando linea su linea, nel 2022 riesce, al primo colpo a vincere “The Xtreme”, la gara di freeride più leggendaria del mondo. Sybille raccontaci chi sei, parole tabù, sci e neve Sono una persona positiva e piena di energia. Sono anche una perfezionista: mi piace fare bene le cose, e quando so che non riuscirei nel mio intento, preferisco astenermi del tutto.

Ci racconti il tuo ultimo progetto nelle regioni alpine più elevate del Vallese? Era un progetto che avevo in mente da tanto tempo: avevo il desiderio di esplorare la parte più alpinistica legata allo sci, che mi era sconosciuta, avendo sempre sciato vicino alle piste e alle stazioni sciistiche. Inoltre, volevo conoscere meglio le cime della mia zona: nel Vallese abbiamo delle montagne davvero stupende, inaccessibili con gli impianti di risalita, e desideravo sciarle imparando a fare un po’ di alpinismo. Ho deciso di affidarmi a delle guide alpine, delle professioniste della montagna che mi accompagnassero in queste avventure, e volevo fossero delle donne: nel Vallese ci sono poche guide alpine donne, delle quali si parla raramente, e mi sembrava opportuno dare loro più visibilità. Inoltre, abbiamo in comune la stessa passione anche se la viviamo in maniera diversa e volevo condividere con loro questa esperienza. Le guide alpine avevano il compito di organizzare le salite, scegliendo montagne che avessero un significato particolare per loro. Ho salito Le Catogne, una montagna delle Alpi del Monte Bianco con la guida alpina Caroline George, mentre il Grisighorn, una delle montagne più iconiche del Vallese, e il Polluce, un monte del massiccio del Rosa nelle Alpi Pennine sul confine tra la Valle d'Aosta ed il Vallese, entrambe con la guida alpina Ramona Volken. Abbiamo salito queste cime con picca e ramponi e in discesa abbiamo sciato. Ho imparato molto da queste esperienze: intanto come usare i ramponi! La lezione più importante che ho ricevuto è stata che le montagne sono più forti di noi. Più volte durante le ascese abbiamo incontrato condizioni sfavorevoli – spesso faceva troppo caldo a causa del riscaldamento climatico – e siamo dovute tornare indietro. Ho capito

Come è iniziata e come si è sviluppata la tua carriera nel Freeride World Tour? All’inizio ho fatto sci alpino, ma poi a dodici anni, quando ho dovuto scegliere se unirmi o meno al team regionale, ho deciso che preferivo essere più libera e divertirmi insieme agli amici. Così ho iniziato a fare freeride, ma a quel tempo era solo per godermi lo sci. Solo dopo ho iniziato a fare gare, quando avevo quattordici anni. Presto ho iniziato a ottenere buoni risultati, ed ero felice: il freeride mi dava davvero delle belle soddisfazioni! Così ho continuato, e a diciotto anni ho iniziato a partecipare alle qualificazioni per competere nel Freeride World Tour. Così è iniziato tutto, in maniera molto naturale, semplicemente divertendomi, e ottenendo buoni risultati. Essendo cresciuta a Verbier, è sempre stato un sogno partecipare al Freeride World Tour: proprio qui, infatti, si tiene “The Xtreme”, la gara di freeride più leggendaria del mondo. Per il primo anno nel Freeride World Tour mi sono divertita con spensieratezza, ma ho davvero realizzato di competere nel circuito solo quando mi sono trovata a partecipare al “The Xtreme”: nel 2022, ho vinto la competizione, al mio primo tentativo. Il sogno era diventato realtà! È stato un traguardo inaspettato: è chiaro che mi sarebbe piaciuto raggiungerlo, ma non credevo proprio di farcela al primo colpo! In generale è bello prendere parte al circuito, mi trovo a mio agio con gli altri atleti, c’è un bel clima, e ci divertiamo a viaggiare insieme per il mondo conoscendo nuovi posti e persone.

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l’importanza di saper avere pazienza e della rinuncia, quando la sicurezza lo richiede. Alla fine della giornata, la cosa più importante è sempre tornare a casa sani e salvi. Anche se molte volte non siamo riuscite a raggiungere la vetta, abbiamo comunque trascorso dei momenti incredibili insieme condividendo la stessa forte passione. Quello che conta non è sciare linee stilose o quanto sali in alto: l’importante è stare con belle persone, divertendosi. Queste esperienze hanno portato alla creazione di un film che racconta della scoperta delle vette più alte dell’area nella quale sono cresciuta e della condivisione di passioni e idee. Rifletto anche sul fatto di come io mi senta profondamente a mio agio in montagna e sull'esperienza della paura durante le avventure in alta quota.

be: un’adrenalina che non provo in nessun altro modo. Il freeride, alla fine, come una droga. Sei una pazza o una eroina? No, non sono un’eroina, sono solo una persona che ama fare quello che le piace. Forse per alcune persone sono un po’ pazza, ma è una pazzia sempre calcolata: presto molta attenzione alla sicurezza, è importante divertirsi, ma lo è ancora di più non farsi male. Alla fine la neve non è altro che acqua a uno stato diverso, e tu sei amante anche degli sport d'acqua. Cosa accomuna questi sport, e quali emozioni diverse ti trasmettono questi due elementi della natura? Entrambi sono sport che ti fanno “scivolare” sopra elementi naturali, permettendoti di vivere delle sensazioni molto speciali. È anche bello stare al freddo, e poi godersi il tepore di climi più temperati.

Cosa rappresenta per te il Vallese, la tua terra d'origine, e cosa significa invece uscire dalla propria comfort zone, e scoprire ciò che non ci è familiare? È qualcosa che affascina e spaventa allo stesso momento. Quando sei lassù, realizzi quanto sei in alto e quante altre montagne incredibili ci sono da sciare: questa sensazione mi ispira e mi fa venire voglia di scoprirle tutte!

Come nasce l'ispirazione per disegnare la tua linea sulla neve? Quando guardo una montagna, per prima cosa cerco di trovare una linea che credo sarà divertente sciare e in secondo luogo penso all’aspetto estetico, che ritengo molto importante: una linea dev’essere bella e fluida da vedere anche per le persone che osservano dal basso, che in questo modo riescono anche a capire quanto mi sto divertendo!

Ci sono ancora molti pregiudizi sulle donne che vanno in montagna da sole. Qual è il ruolo delle donne in montagna e quanto è importante divertirsi solo tra donne? Possiamo fare esattamente le stesse cose degli uomini: è sbagliato pensare che una cima sia troppo alta o difficile per essere salita. Dovremmo imparare a tenere meno in considerazione il giudizio delle persone, uomini o donne che siano. Ci si può divertire anche con gli uomini, ci mancherebbe, ma essere in montagna solo con donne è qualcosa di diverso: si hanno più cose in comune e personalmente, spesso è solo con altre donne che mi sento davvero protetta e al sicuro, so che non devo dimostrare nulla e non sarò giudicata se dico che ho paura. Questo rende tutto più facile e mi fa sentire a mio agio. È anche bello divertirsi e motivarsi a vicenda!

Quanto è importante l’estetica nel freeride? Credo sia una delle cose più importanti: penso che il freeride sia una forma d’arte. Quale è la linea che sogni di sciare? Dove si trova? Qualsiasi linea sciata in Alaska sarebbe la realizzazione di un sogno! Cosa fai quando non pratichi sport? Studio fisioterapia, che amo molto, si sposa bene con lo sport e la mia passione: mi piace prendermi cura degli altri, inoltre mi aiuta a capire meglio il mio corpo durante gli allenamenti e quando non mi sento in forma. Quali progetti bollono in pentola? Questa stagione l’obiettivo più importante è continuare a competere nel Freeride World Tour, non ho grandi progetti legati a film ma vorrei che questa attività continuasse a occupare una parte importante della mia vita.

Hai mai paura prima di una discesa, magari quando il pendio è particolarmente ripido? Come affronti la paura? Spesso sono molto spaventata prima di una discesa, ma cerco di analizzare questo sentimento e capire se è dettato da un pericolo reale oppure solo da apprensione o stress. Ora ho anche più esperienza, quindi riesco a interpretare meglio le montagne, capire quali sono le effettive condizioni, sapere se esiste davvero un rischio e quindi prendere decisioni più sagge.

Chi vorresti essere in una prossima ipotetica vita? Non saprei, al momento faccio fatica persino a sapere cosa farò il prossimo anno! Mi piacerebbe diventare mamma, e condividere la mia passione per la neve con i miei bambini. Già questo sarebbe stupendo! Penso che si possa essere una grande sciatrice e una brava mamma. Sono ispirata da una super freerider, che è anche mamma: Jackie Paaso.

Chi te lo fa fare di prendere tutti questi rischi? Le emozioni intense che sento quando scendo una linea, e alla fine so che l’ho sciata contando solo sulle mie gam-

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Sensibilità e passione Hervé Barmasse a Courmayeur BY

DENIS PICCOLO

Ospiti per una due giorni al rifugio Torino di Courmayeur grazie a SCARPA, con Hervé Barmasse, dove ha fatto una piccola magia. Nella meraviglia degli scenari della Skyway Monte Bianco, l’alpinista valdostano è riuscito a regalare un racconto della montagna profondo ed evocativo. D’altronde, è così che la vive, con sensibilità e passione. Nel corso dell’evento organizzato da SCARPA, Barmasse ha parlato di alpinismo, ma anche di tutela dell’ambiente. La montagna è intima e universale. Racchiude in sé storie dai tanti volti che appartengono un po’ a tutti e un po’ a nessuno, quelle storie che si possono reinventare in mille modi perché tutti sappiamo fare nostre.

è stupido la felicità la tiene stretta, ne fa ragion di vita.” Una vita che si sviluppa in verticale, tra salite e discese, alti e bassi, cadute e successi. E su quei dislivelli che si incontrano i significati. Faccia a faccia con sé stessi, si scopre cos’è la solitudine e quanto da lei si possa apprendere. “Andare in montagna da solo non per essere migliore di altri, ma per scoprire qualcosa di più di me stesso. In solitaria non puoi mentire. Sei tu, solo, e la montagna. Devi riflettere veramente su ciò che stai facendo, dove mettere i piedi, cosa fare.”

Per quel frammento di tempo tra le nuvole del Monte Bianco, Hervé ha offerto la sua. Una storia che, come spesso accade, comincia con una sfida dolorosa. Promessa dello scialpinismo, a 16 anni ha un’incidente che mette fine a ogni sogno di carriera.

La montagna mette a tu per tu con i propri limiti e, dunque, le proprie possibilità. “La solitudine mi ha regalato la bellezza di ascoltare gli altri. E in una società come quella di oggi, ascoltare è difficile.” Sulla cresta si scopre il valore dell’altro e in particolare dell’amico. “Che cos’è la cordata? È l’amicizia. Non è un filo di nylon ciò che ci lega davvero in monta-

“Il percorso non è stato semplice, ma alla fine mi sono rimesso e a distanza di due anni sono arrivato in cima al Cervino. Mi si vede in quella foto, una foto che mi ha cambiato la vita. Non solo perché mi sono rimesso dall’incidente. Lassù sul Cervino ho ritrovato la felicità, ho scoperto quello che avrebbe potuto essere il mio futuro: scalare le montagne. E se uno non

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La vita è sempre preziosa e bisogna sfruttarla al meglio, ma dobbiamo anche capire il senso di quello che facciamo su questo pianeta. L’unico consiglio è solo una parola: felicità. Se siete felici non c’è ostacolo che vi fermerà, non c’è obiettivo che non riuscirete a raggiungere, non c’è sogno che non riuscirete a realizzare. spalle. Il primo 8000 (Tibet, Shisha Pangma 8027m) Barmasse lo affronta con un’idea ben chiara in testa: una scalata pulita. Ed è sempre quest’idea, che il come conti tanto quanto il che cosa, ad arrestare l’impresa a tre metri dalla fine.

gna, è l’amicizia. Dopo un infortunio, a più di cinquecento metri di altezza, senza elicottero, cosa fai? Lì devi essere amico. In una cordata vera, se hai fiducia in chi è con te, ne esci fuori.” Risuona qualcosa? Certo, Barmasse è un’alpinista e molti di noi sono lungi dal definirsi tali, ma la sua storia è anche un po’ la nostra. Chi è l’alpinista? È una persona normalissima, dice Barmasse, una persona normalissima con delle capacità che talvolta ha l’occasione di mettere al servizio di altri.

“Rischiando la vita ho compreso quanto è importante, ma non per questo la voglio buttare. Quella salita sarebbe finita a tre metri dalla cima. Rinunciare in montagna non è un fallimento, è semplicemente un’esperienza, una che ti fa crescere e ti permette, in futuro, di tornare a provare. È stato anche importante raccontarla questa cosa qui. La vita è preziosa. Non la buttiamo, la viviamo con passione e amore. Reinhold Messner al Trento Film Festival ha detto ‘non importano i tre metri che non avete fatto, importano i 2500 metri che avete fatto prima, e come li avete fatti’. Quello era il succo, che le montagne, anche gli ottomila che affronti per la prima volta, le puoi affrontare in modo pulito, lasciandole intonse.”

“In un giorno di pausa decidiamo di andare a scalare una cascata di ghiaccio. Bellissima, 1000 metri di scalata. Lì ho rischiato di morire. La montagna mi è crollata addosso. E lì allora la domanda: ma della nostra vita che cosa facciamo? Quanto abbiamo ricevuto? Quanto stiamo dando agli altri? È sempre una questione di equilibrio: ricevere e dare, ricevere e dare. Far sì che ci sia quell’equilibrio è una cosa importante. Dopo quell’esperienza ho capito che quando sarei andato a scalare una montagna, non l’avrei fatto per raggiungere un primato o un record, non l’avrei fatto solo per me stesso. Là dove avessi potuto, avrei cercato di aiutare gli altri con quel poco che posso fare io, con le mie conoscenze.”

La montagna si fa ancora una volta maestra di vita nei racconti di Barmasse, che conclude con un solo consiglio, anzi, una sola parola. “La vita è sempre preziosa e bisogna sfruttarla al meglio, ma dobbiamo anche capire il senso di quello che facciamo su questo pianeta. L’unico consiglio è solo una parola: felicità. Se siete felici non c’è ostacolo che vi fermerà, non c’è obiettivo che non riuscirete a raggiungere, non c’è sogno che non riuscirete a realizzare.”

Un alpinismo che certo sogna montagne come i leggendari 8000, ma che sogna anche il “come” raggiungerle. Non conta più solo la vetta, conta anche come la vetta la si raggiunge, e le tracce che ci si lascia alle

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Vita da chalet fra chiacchiere e corsa Francesco Puppi & Tyler Green BY DENIS PICCOLO

Durante le giornate più colorate dell’anno a Chamonix, abbiamo avuto la fortuna di poter alloggiare allo Chalet Nike, condividendo qualche giornata con alcuni dei protagonisti della settimana di UTMB. Fra gli ospiti, due atleti Nike dall’età, background ed esperienza differente, ma con tante visioni in comune. Francesco Puppi, ormai parte della famiglia di The Pill ma che siamo soliti vedere in modalità “dirtbag” durante le gare oppure “nerd del prodotto” durante i nostri test, è, sia prima che dopo la sua strabiliante

performance, sotti i riflettori e impegnato ad incontrare amici e seguito da tutto il mondo. Tyler Green è arrivato dagli States con la sua famiglia dopo un secondo posto alla regina delle ultra, Western States, per concludere in bellezza la stagione. Il sogno della top ten, i mille dubbi, i sacrifici, ma anche una moglie che corre OCC ed un gran finale con un settimo posto overall. Noi di quei giorni pre gara abbiamo tanti ricordi di momenti semplici, e queste poche righe di chiacchiere davanti ad una birra.

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Perché il trail e non la strada? Francesco. Mi piace che tutto nel trail sia imprevedibile e che le variabili siano più numerose, in una gara di trail devi prestare attenzione a molti più fattori ed il tuo sforzo percepito è di gran lunga più rilevante. Non è che il trail running mi piaccia più della strada, come ripeto sempre Io sono un corridore, punto. Su ogni superficie! Tyler. Sento che c’è più informalità nel trail running, più gioco. Quando sono su strada spesso mi metto a cercare ostacoli, perché sento che più riesco a incorporare il gioco nella corsa, più questa risulta divertente e coinvolgente. Se davvero analizziamo questo sport, ci accorgiamo che non si tratta solo di corsa: è piano, salita, discesa, anche un sacco di camminata e movimenti laterali evitando ostacoli e via dicendo. È estremo uscire e correre per tutto quel tempo e essere poi capace di alzarsi e possibilmente farlo ancora il giorno dopo. La dimensione di coinvolgimento di cui parli, la ritrovi anche durante le gare? Tyler. Soprattutto durante le gare è interessante. Perché puoi essere dietro a qualcuno e vedere dove va. Lì entra in gioco il proprio modo di vedere le cose. Ti guardi intorno, guardi a dove mette i piedi lui e magari capisci che puoi scegliere un’altra strada, che c’è una strada migliore. Spostiamoci su running e lifestyle: come mantieni in equilibrio corsa e vita al di fuori della corsa? Tyler. Sono stato maestro alle scuole medie per un paio di anni e parallelamente facevo anche il coach di cross country, e conciliare tutto non era facile. “Sveglia presto, corsa, dimentica il corridore per il resto della giornata”. Quest’anno sono riuscito a lasciare la posizione da insegnante, continuando a fare un po’ di coaching. Mia moglie ed io abbiamo una bambina di undici mesi ed entrambi corriamo per Nike, per cui dobbiamo coordinare la corsa di entrambi con la cura della bambina. Questo sport ri-

chiede tanti sacrifici ma è importante dedicare il giusto tempo e mente alle altre cose importanti della vita, basti immaginare la possibilità di un infortunio: è importante avere una rete di cose intorno a sé che contribuisca alla salute mentale e a dare valore alla propria vita. E tu Francesco? Come mantieni l’equilibrio tra la vita fuori e dentro la corsa? Francesco. (Ride) Non penso di averlo ancora decifrato appieno. È sempre un equilibrio precario tra la vita da atleta, i tempi di recupero e tutto il resto. In alcuni periodi mi concentro sull’allenamento e cerco di liberare del tempo da altri hobby e occupazioni. È chiaro che tutto ciò non è sempre possibile, e occasioni come questa, in cui Nike segue tutto il team verso una gara, per me sono incredibili. Permettono a noi atleti di essere presi in cura, di avere intorno persone che si occupano di noi con la massima attenzione e gentilezza. Potrebbe succedere più spesso, non mi dispiacerebbe (ride). E poi voglio menzionare che è importante non lasciare che la corsa ti definisca. Può essere pericoloso, i tuoi risultati non definiscono chi sei, ci sono altre cose di cui devi occuparti nella vita. Quanto spesso ti alleni? E c’è un luogo in particolare dove ti piace allenarti? Francesco. Mi alleno tutti i giorni, a volte due volte al giorno. Occasionalmente mi prendo un giorno di riposo e alla fine il volume si aggira intorno alle 15-20 ore a settimana, con una media di 160km. Oltre a ciò ho alcune sessioni di cross running. Mi piace l’approccio “tortura”diciamo, superi la porta di casa e corri. Certo, a volte c’è bisogno di allenarsi su terreni specifici, ma la flessibilità è la chiave. Tyler. Beh, io corro distanze lunghe, 100 miglia o più sono la mia specialità. Il mio allenamento consiste in un range stabile di 80-90 miglia, il che significa 140-150km circa a settimana. Poi, un fattore che sono piuttosto convinto sia essenziale per me, è l’ag-

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giunta di alcuni allenamenti specifici. Non tutti i corridori ne hanno bisogno, ma io ho 39 anni e, insomma, più si invecchia più quell’extra diventa necessario, per cui aggiungo sessioni di rafforzamento core e di lavoro biometrico. Infine c’è il training camp, anche quello essenziale per me. Tre o quattro giorni di lunghe distanze, in cui verso gli ultimi due inizio a correre con fatica. È nella fatica che simulo ampie parti della gara e solidifico le mie intenzioni. Quali sono i percorsi che preferisci quando si tratta di downhill o uphill? Francesco. Per quanto riguarda sentieri downhill, uno dei ricordi più divertenti risale all’anno scorso. Una corsa di 22 miglia che feci con Tyler sul Mount Hood nel Pacific Crest Trail. È stata parecchio speciale, scendeva fulminea e il panorama era semplicemente bellissimo. Sono rimasto molto ispirato da quella corsa. Per quanto riguarda la salita… Penso che un posto molto popolare e in semi-salita sia il Barr Trail in Colorado. Rocce rosse e terreno arido. È molto speciale, un’atmosfera unica. Per quanto riguarda Nike… Cos’è che il brand ha da offrire al mondo del trail e cosa lo distingue dagli altri brand? Tyler. Il mondo del trail running è rappresentato come un incontro tra aziende di montagna e aziende di corsa su strada, e quindi come il mescolarsi di due mondi fondamentalmente diversi, con stili di corsa e modi di realizzare i prodotti differenti. Ogni brand ha la sua visione delle cose ed è un fattore cruciale che Nike abbia quel passato su strada. Significa, tra le altre cose, che Nike ha un mucchio di partecipazione nel running su strada e, quindi, un mucchio di opportunità di portare nuove persone al mondo del trail running. Non c’è bisogno di gettare la gente su sentieri dritti come muri. Come in ogni disciplina, c’è una dimensione del trail accessibile a tutti e godibile da tutti.


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Tu chiamala se vuoi amicizia BY I L A R I A C H I AVAC C I P H OTO S M AT T EO PAVA N A

Alessandro Beber ha 37 anni, è guida alpina da 14 e per riuscire ad iscriversi all’agognato corso di roccia ha dovuto vincere le resistenze dei suoi, crollate quando aveva 13 anni. Anche Alessandro Baù è una guida alpina, ma in realtà fa l’ingegnere: per lui il contatto con la montagna è stato agevolato dal padre, che lo portava a scalare, e da una borsa di studio per fare una scuola di sci. Si sono conosciuti mentre entrambi frequentavano l’Università a Padova.

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Quella che porta due alpinisti ad aprire vie in giro sull’arco alpino da decenni e a mantenere intatto tanto il legame d’intesa quanto l’eticità e il rispetto. Alessandro Beber e Alessandro Baù, insieme a Nicola Tondini e sostenuti da Montura, hanno aperto Enigma, una nuova via sulla Torre Trieste.

Quella che porta due alpinisti ad aprire vie in giro sull’arco alpino da decenni e a mantenere intatto tanto il legame d’intesa quanto l’eticità e il rispetto. Alessandro Beber e Alessandro Baù, insieme a Nicola Tondini e sostenuti da Montura, hanno aperto Enigma, una nuova via sulla Torre Trieste. Alessandro Beber ha 37 anni, è guida alpina da 14 e per riuscire ad iscriversi all’agognato corso di roccia ha dovuto vincere le resistenze dei suoi, crollate quando aveva 13 anni. Anche Alessandro Baù è una guida alpina, ma in realtà fa l’ingegnere: per lui il contatto con la montagna è stato agevolato dal padre, che lo portava a scalare, e da una borsa di studio per fare una scuola di sci. Si sono conosciuti mentre entrambi frequentavano l’Università a Padova, chiaramente l’incontro è avvenuto in una palestra di arrampicata. «Da lì abbiamo iniziato ad andare a scalare insieme e la prima proposta di uscita che ho ricevuto da Ale Bau è stata fin da subito una via bella tosta sul versante nord ovest del Civetta: siamo partiti in quarta, è stato una specie di blind date piuttosto impegnativo, ma abbiamo visto che ci venivano bene anche le cose difficili e da lì abbiamo continuato» inizia a raccontare Ale Beber. «Siamo due persone affini con la stessa passione che hanno fatto scelte diverse: io ho provato a sovrapporre passione e lavoro, a farne un tutt’uno. Questo ha dei pro, perché vivo costantemente in montagna, però ha anche dei contro perché poi è difficile trovare degli spazi personali in questo ambiente. Ci si spende tanto per realizzare i sogni e gli obiettivi degli altri, che poi finiscono per diventare anche i propri: è una cosa bella e gratificante, però lascia un po’ meno spazio ai progetti puramente personali. Ale ha scelto di fare un lavoro diverso che però gli permetta di avere tempo per andare in montagna: dove vuole lui, quando vuole lui e con

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chi vuole lui e penso che entrambe le scelte abbiano luci ed ombre.» «Entrambi cerchiamo di giocare con le bocce che abbiamo a disposizione e farle girare nel migliore dei modi possibile. A volte viene bene, a volte un po’ meno» prosegue Ale Baù. «”Enigma”, come tante delle vie che abbiamo aperto, è stata battezzata da Ale Beber: è lui che ha la capacità di sintetizzare concetti ed emozioni. “Enigma”, perché ci abbiamo pensato tanto. “Enigma”, perché ci si pone tante domande prima di andare su una parete che ha fatto la storia dell’alpinismo: volevamo fare una cosa bella perché non volevamo rovinare con la nostra via quelle preesistenti, rispettando un’etica precisa.» Ale Beber: «Noi alpinisti ci tiriamo un sacco di menate: quando si va ad aprire una via su una parete storica si cerca di rispettare la tradizione di quella parete. La Torre Trieste è una delle pareti più belle delle Dolomiti, una di quelle che richiamano l’ambizione degli alpinisti, però bisogna trovare un compromesso tra l’ambizione e lo stile corretto, che rispecchi quello della parete. Nel 2023 linee e vie ce ne sono già abbastanza e, se per aprire una via nuova, bisogna incrociare o andare a sovrapporsi alle vie precedenti, questo è un motivo di demerito: sarebbe un po’ come prendere un quadro famoso e andarci a fare dei ritocchi a proprio piacimento. Bisogna porsi delle regole ferree, che poi devono essere rispettate durante tutto il momento dell’apertura.» Parlate di questa via come un trionfo dell’amicizia, perché? «Abbiamo aperto la via tornando per tre volte e per due giorni ciascuna: di solito ci prendevamo questo tempo per bivaccare» spiega Ale Beber. «La penultima volta io non potevo esserci perché avevo già promesso un viaggio familiare: Ale Baù e Nicola Tondini, che ha partecipato con noi all’apertura di “Enigma”, sono an-


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”Enigma”, come tante delle vie che abbiamo aperto, è stata battezzata da Ale Beber: è lui che ha la capacità di sintetizzare concetti ed emozioni. “Enigma”, perché ci abbiamo pensato tanto. “Enigma”, perché ci si pone tante domande prima di andare su una parete che ha fatto la storia dell’alpinismo.

dati avanti in quelle due giornate da soli senza di me e, forzando un po’ la mano e tirando sul ritmo, sarebbero potuti arrivare in cima e finire la via, invece mi hanno aspettato e mi hanno lasciato l’ultimo tiro da aprire. Che, detta così, sembra una cosa da poco, ma anche in termini di time consuming vuol dire tanto: significa tornare giù e poi prendere altre due giornate per risalire e rifare altri 800 metri di scalata per aprire la via tutti insieme. Per me è stato veramente un trionfo dell’amicizia e del rapporto umano e, dal mio punto di vista, un gesto che ho apprezzato tantissimo, perché c’è dietro tanta fatica fisica ma anche organizzativa.» «Eravamo indecisi se andare oppure no, perché mancava Ale, poi con il fatto che era fine stagione e che c’era un’altra cordata che stava aprendo vie lì nei dintorni, abbiamo deciso di andare. Però non saremmo mai potuti arrivare in cima senza di lui» integra il racconto Ale Baù. «Montura ha sostenuto la spedizione a livello di materiale, ma soprattutto ci ha aiutati a documentare la salita attraverso l’obiettivo di Matteo Pavana: è sempre difficile documentare queste salite perché sei occupato, non dico a sopravvivere, ma quanto meno a toglierti da situazioni potenzialmente pericolose, che la documentazione passa in secondo piano.» Che voi sappiate è stata già ripetuta? Ale Beber: «Sì, durante i primi di settembre da due ragazzi del CAI Eagle Team: Marco Cordin e Matteo Monfrini. Io e Ale abbiamo ripetuto pochissime volte via aperte dagli altri. Aprire una via impone un livello diverso in termini di sforzo: sia mentale, che fisico, che logistico ed organizzativo e non tutti sono disposti a fare questa fatica. In più si necessita di un ottimo feeling e sintonia della cordata. Tra noi questo c’è e quando riusciamo ad incastrare i nostri impegni spa-

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riamo sempre alto per non sprecare delle giornate buone. Il fatto che questo venga riconosciuto per noi è una grande dimostrazione. Insieme abbiamo aperto una decina di vie: sul Civetta, sul Campanile Basso, sulla Cima Tosa, una sulle Pale di San Martino che si chiama “Fiaba della sera” e che ha vinto il premio come miglior scalata del 2021. Una sul Cimon della Pala, che si chiama “Fumo negli occhi” e un’altra sempre in zona che si chiama “Viva gli sposi” perché era l’anno in cui Ale Baù si è sposato. “Colonne d’Ercole”, in Civetta, è diventata una via ad alta difficoltà delle Dolomiti: sono venuti spagnoli, greci, sloveni svizzeri a rifarla ed è stata riconosciuta anche in interviste internazionali.» Ale Baù: «Sono tutte vie che vengono ripetute e per le quali vengono scalatori da tutto il mondo: noi siamo un po’ di parte, ma è sempre difficile farsi notare o avere del riconoscimento sulle montagne di casa, è più facile avere della risonanza su montagne lontane e celebri ma, dal punto di vista dello stile, della difficoltà tecnica e della bellezza, sono delle belle vie. Chi è dentro l’ambiente questo lo sa e ci sono scalatori che per nostra soddisfazione sono venuti dall’estero per ripetere le nostre vie.» Ale Beber: «È un segnale che le vie sono state aperte con uno stile chiaro ed onesto. Questo è frutto di tutti i problemi che ci facciamo prima di andare in parete: il risultato è una via che, oltre ad essere bella esteticamente e dal punto di vista della scalata, ha anche un valore intrinseco condiviso dal punto di vista del rispetto dell’etica. La gente questo lo riconosce e lo apprezza.» Avete qualche nuova via sulla quale avete messo gli occhi? «Questa è una malattia dalla quale siamo molto lontani dal guarire, quindi stiamo già pensando alla prossima.»


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Ombre olimpiche BY PIETRO LACASELLA P H OTO S LU CA M ATAS S O N I

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Sciafilo. Ho appreso il significato di questo insolito termine pochi giorni fa, mentre camminavo con un amico ai margini del bosco. Sciafilo significa che prova simpatia per l'ombra e, di solito, si riferisce a piante che prediligono ambienti poco illuminati o ad animali con abitudini crepuscolari o notturne. Mentre ripetevo a bassa voce quella parola, come per imprimerla meglio nella mente, ha preso corpo una riflessione capace di creare un ponte tra l'ecologia e l'antropologia. "Spesso le popolazioni alpine sono sciafile", mi sono detto, guardando l'ombra proiettata al suolo dai larici. Non amano vivere sotto i riflettori, soprattutto quando viene loro richiesto di esprimersi contro i grandi interventi infrastrutturali programmati per l’attività turistica montana. Opere non di rado ad alto consumo di risorse collettive, economiche e ambientali.

insuccesso. Provando a fare un esercizio empatico, è una dinamica comprensibile, sebbene non sempre facile da giustificare. Tuttavia, come scrivevo, chi abita in montagna è incline a rifugiarsi nell’ombra anche per un secondo motivo. Un motivo forse ancora più difficile da afferrare per chi è abituato a vivere in contesti cittadini o metropolitani. Spesso, all’interno di un paese, in modo più o meno diretto ci si conosce tutti. Prendere posizione, magari su un tema spinoso e divisivo, equivale quindi a sottoporsi al giudizio sociale; a essere investiti con un’etichetta che il sovrappopolamento delle metropoli mimetizza con maggiore facilità. Le riflessioni personali, se esternate, acquisiscono così un peso maggiore. Pertanto, anche quando gli abitanti delle nostre montagne sono contrari alla deturpazione del loro territorio, tendono alla “sciafilia”. Ma l’antropologia, materia umana, è ovviamente ricca di eccezioni. Perciò, ogni tanto, assistiamo a forti prese di posizione da parte delle comunità montane. Una di queste è avvenuta domenica 24 settembre, a Cortina d’Ampezzo, dove i residenti hanno deciso di mobilitarsi nel tentativo di fermare un enorme e azzardato investimento di denaro pubblico, destinato a togliere lucentezza alla Perla delle Dolomiti con un’opera che, per altro, rischia di rimanere incompiuta. Sto naturalmente parlando della pista da bob in programma di realizzazione per le Olimpiadi invernali del 2026. Oltre 120 milioni di euro – dicono le stime – in favore di uno sport che in Italia conta una manciata di atleti. Le spese di esercizio, inoltre, costeranno al Comune di Cortina la bellezza di un milione e mezzo di euro all’anno. Il continuo rinvio dei lavori ha infine dimezzato i mesi a disposizione per ultimare la struttura entro i limiti definiti

I motivi di tale reticenza sono essenzialmente due. Il primo è dato dal fatto che nuove cabinovie, nuovi trampolini, nuove piste da bob, nuove disco-baite pensate per gli après-ski, (…) in molti casi rappresentano l'unico modo che le comunità montane hanno per ricevere un po' di attenzione da parte dalle istituzioni; per sperare nell’arrivo di servizi essenziali per un vivere dignitoso. È una sorta di ricatto da parte dei grandi investitori, perché si investe quasi sempre in un’unica direzione, senza presentare alle comunità scenari socio-economici alternativi. O la pista o niente. O il trampolino o niente. O il bob o niente. Considerato che la parola “niente” terrorizza chi per secoli è stato vittima di un’esistenza segnata da privazioni, fatiche e migrazioni, allora si tende ad accettare “tutto” acriticamente. Magari anche quando l’investimento è destinato a un rapido

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dal cronoprogramma: il rischio che il cantiere inizi senza essere completato in tempo è oggi quanto mai realistico. Insomma, per queste e per altre ragioni la pista da bob si è fatta simbolo – parte per il tutto – di un modello economico fuori tempo massimo, che erode irrimediabilmente ambiente e beni collettivi.

amico ho attraversato le Alpi da Pinerolo a Briançon. Abbiamo toccato i posti più belli della zona: i valloni selvaggi della Val Germanasca, la strada dell'Assietta, i Monti della Luna. Ho scoperto posti nuovi di fianco a casa e mi sono stupito della bellezza di altri che già credevo di conoscere. Al rientro – ha poi proseguito – ho percorso una strada alternativa. Ho deciso di andare a scoprire l'altra faccia delle Olimpiadi del 2006. Lassù, alle quote più alte, rimangono le infrastrutture abbandonate: prime fra tutte la pista da bob di Cesana e il trampolino di Pragelato. Ho trovato conferma di quello che avevo già intravisto e sentito dire: le Olimpiadi non hanno giovato al territorio montano tanto quanto alla pianura. Le strutture olimpiche sono vandalizzate, il rame dei circuiti elettrici rubato, la mancata manutenzione ha evidentemente compromesso il funzionamento degli impianti. La mole delle opere ha cancellato pascoli e deturpato paesaggi. Intorno, a parte alcune eccezioni, i paesi sono frequentati da un pugno di cittadini in villeggiatura ed i residenti si vedono costretti a cercare molti dei servizi in pianura. Capire meglio l'eredità delle Olimpiadi mi ha aperto gli occhi su come l'idea di sviluppo della valle degli ultimi vent’anni sia stata inefficace. Investire su infrastrutture come la pista da bob e i trampolini è stato fallimentare nel rilanciare l'economia dell'alta valle. E se ieri questa idea di sviluppo era sbagliata, oggi, con il riscaldamento globale e la neve che scarseggia, lo è ancora di più.»

L’appello degli ampezzani era rivolto a tutti coloro che hanno a cuore il futuro delle nostre montagne e la risposta è andata oltre le aspettative. A Cortina sono scese in piazza circa mille persone. Tantissime considerata la sua difficile collocazione geografica. Tra queste c’era un ragazzo piemontese. Biondo, barba incolta, sguardo di chi ha viaggiato tanto. Durante il corteo spingeva una bicicletta carica di tutto il necessario per allontanarsi qualche giorno da casa. Mi ha spiegato che arrivava da Trento, dove attualmente abita. Aveva deciso di partecipare alla mobilitazione in rappresentanza di Protect Our Winters Italia, organizzazione nata negli Stati Uniti dall’idea di uno snowboarder professionista e subito apprezzata da diversi rappresentanti del mondo degli sport invernali. Appoggiandosi all’esperienza di divulgatori e scienziati, Protect Our Winters mira a diffondere una maggiore consapevolezza sul riscaldamento globale e sui suoi effetti. Quel ragazzo si chiama Michele Filippucci e, quando gli ampezzani hanno messo a disposizione il microfono per permettere ai partecipanti di contribuire con una riflessione, ha preso la parola con garbo e fermezza.

Da quelle parole traspariva lo spaesamento e la malinconia di chi vive in prima persona le trasformazioni di un paesaggio familiare provocate da progetti a corto raggio e privi di un’influenza benefica sulle società. E a corto raggio, come riportato da Michele, è stato il ciclo vitale di diversi impianti realizzati per Torino2006. Ho avuto modo di visitare l’Alta Val di

«Vorrei raccontarvi un’esperienza vissuta qualche settimana fa – ha esordito – quando ho deciso di farmi una pedalata dalle parti dove sono nato e cresciuto (Pinerolo, in bassa Val Chisone, nel Torinese). Con un

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I trampolini olimpici di Pragelato, costati la bellezza di 34,3 milioni di euro e fermi dal 2008. Non è andata meglio all'impianto del freestyle di Sauze d’Oulx, costato 9 milioni e chiuso dopo appena sei giorni di attività (è stato smantellato nel 2012).

Susa lo scorso autunno, un periodo eccezionale per inoltrarsi tra le sue pieghe, perché, essendo coperta di larici, si tinge di sfumature preziose. Proprio in questo paesaggio fiabesco sorgevano, abbastanza acciaccati, i trampolini olimpici di Pragelato, costati la bellezza di 34,3 milioni di euro e fermi dal 2008. Non è andata meglio all'impianto del freestyle di Sauze d’Oulx, costato 9 milioni e chiuso dopo appena sei giorni di attività (è stato smantellato nel 2012). Per non parlare della pista da bob di Cesana, rimasta in funzione solo sei anni. Ha ospitato una ventina di eventi, Olimpiadi comprese, ed è costata 110 milioni. Eppure c'era un impianto già pronto ad appena un’ora di auto, a La Plagne, in Francia, ma sarebbe stata un'onta troppo grande chiedere un aiuto ai cugini francesi: "Se le Olimpiadi sono in Italia – si diceva – la pista da bob deve restare in Italia". Sorte simile è toccata al Jumping hotel, situato alla base dei sopracitati trampolini, 120 posti letto e 20 milioni di costo, e all’impianto del biathlon di Sansicario, altri 6 milioni. Questa è l'eredità che Torino2006 ha lasciato alle montagne piemontesi. Non sono trascorsi nemmeno vent’anni e la storia si sta per ripetere. Con MilanoCortina2026 stiamo infatti per inciampare maldestramente sugli stessi errori. Queste Olimpiadi, decorate dagli organizzatori con la medaglia alla sostenibilità, alla prova dei fatti di sostenibile hanno ben poco: sia sotto il profilo economico, che sotto quello ambientale. La pista da bob, come scrivevo, si è fatta emblema dei paradossi e delle incoerenze dei prossimi giochi invernali. E pensare che ad appena 150 chilometri, a Igls (Innsbruck), ci sarebbe un impianto pronto a ospitare le gare, permettendo così di risparmiare risorse economiche e ambientali.

Considerare questa alternativa non sarebbe un fallimento progettuale, ma un’ottima occasione per dimostrare che il nostro paese, con forza e lungimiranza, può farsi portabandiera di una rinnovata modernità. *** Ho scritto questo articolo due giorni dopo la mobilitazione del 24 settembre. Se venti giorni fa i polpastrelli scottavano sulla tastiera, oggi sono a dir poco roventi. Stiamo però parlando di un calore differente, ora piacevole, perché nel mentre è giunta un’importante novità, per voce del presidente del CONI Giovanni Malagò: «(…) il Governo ci ha informati che sta valutando l'opzione migliore e più sostenibile, ovvero non realizzare lo Sliding Center (pista sa bob, ndr) e spostare le gare in una sede già esistente e funzionante e di conseguenza Milano Cortina 2026 deve individuare un'altra sede fuori dall'Italia». Si andrà all’estero, quindi. Ora bisogna capire dove. Le località più quotate sono St. Moritz e, guarda caso, proprio Innsbruck. Questa decisione è sicuramente frutto di una cattiva organizzazione, ma anche – occorre sottolineare con una punta di soddisfazione – è stata influenzata da chi si è impegnato a gettare le basi per creare un movimento d’opinione più attento alle reali necessità dei territori montani.

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Chronoception: linee senza tempo in Kyrgyzstan BY E VA TO S C H I PHOTOS JEREMY BERNARD

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Ci sono mille modi per raccontare una storia: questa segue un modo diverso di vivere il tempo, che guida i protagonisti del film Picture per tutti i ventidue giorni della spedizione tra le montagne del Kyrgyzstan. Seguendo le orme dell'antica Via della Seta, Thomas Delfino, Léa Klaue e Aurélien Lardy intraprendono un'avventura in uno dei luoghi più remoti e ancora inesplorati dell'Asia: le montagne Kokshaal-Too. Questo dream team con il supporto delle guide alpine Hélias Millerioux e Jean-Yves Fredriksen, si trova catapultato in un mondo in cui il tempo e lo spazio sembrano essersi fermati. Ci sono animali selvaggi, naturalmente, ma altrettanto selvaggi sono i paesaggi montani e le condizioni meteorologiche. Il tempo accelera quando i rider arrivano e fanno le loro prime curve dall'altra parte del mondo, tracciando linee mozzafiato su cime davvero immacolate. Questa avventura molto intima e vissuta profondamente fa entrare il Kyrgyzstan e la sua cultura nel cuore di ognuno dei rider che l’hanno intrapresa. Thomas Delfino ci racconta della sua "Chronoception”.

Visto che il tempo e lo spazio sono delle concezioni decisamente personali, dove e quando inizia questa avventura per te? Per me quest’avventura è iniziata quando stavo cercando delle montagne selvagge da sciare e il Kyrgyzstan, in particolare quest’area, l’ho scoperta guardando delle foto di alcuni alpinisti che avevano salito delle linee lì. Come ho visto le immagini mi sono detto che sarebbe stato assolutamente una ficata organizzare una spedizione lì e provare a salire e sciare quelle montagne. Non avrei mai pensato che sarebbe successo in così poco tempo ma visto che una spedizione organizzata da Picture in Russia è saltata per via della guerra in Ucraina, abbiamo colto l’occasione ed ho tirato fuori la carta “Kyrgy” per giocarla con il resto della crew, che si è subito buttata nell’avventura.

molto diversa da come ce la immaginiamo qui in Europa. Ad esempio, mi ha affascinato come alcuni locali vivano nelle tende yurta, lavorino con i cavalli e con il bestiame. I colori, le danze, i musicisti hanno dato un grande apporto a creare il mood del nostro documentario. È una cultura totalmente di immersione. In cosa le montagne e l’approccio a queste sono diversi dalle Alpi? Sai, quando si parte per una grande missione nel profondo delle montagne, soprattutto in paesi con poche infrastrutture, devi approcciarti a loro in maniera molto diversa rispetto a quello cui sei abituato nelle Alpi. Non c’è possibilità di essere soccorsi, innanzitutto, perché questo richiederebbe troppo tempo. Per questo ho sciato molto sul conservativo; credo sia qualcosa che tutti debbano fare quando si ritrovano in queste spedizioni in terre profondamente selvagge. Questo significa, per me, stare intorno

Cosa ti ha colpito della cultura Kyrgyca?La cultura del Kyrgyzstan è molto interessante: è

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La cultura del Kyrgyzstan è molto interessante: è molto diversa da come ce la immaginiamo qui in Europa. Ad esempio, mi ha affascinato come alcuni locali vivano nelle tende yurta, lavorino con i cavalli e con il bestiame. I colori, le danze, i musicisti hanno dato un grande apporto a creare il mood del nostro documentario. È una cultura totalmente di immersione. Che connessioni hai creato durante il viaggio? Non abbiamo conosciuto nessun local perché eravamo molto lontani, nel profondo delle montagne, ma quando siamo rientrati dalla spedizione abbiamo passato un mese a viaggiare per il paese e ci siamo mischiati nella vita di tutti i giorni, cercando di assaporarla. In verità durante la spedizione abbiamo avuto contatto con un locale: il nostro cuoco Davan. È stato molto divertente perché abbiamo avuto molta difficoltà nel comunicare reciprocamente.

al 60% delle mie capacità di discesa. Quando prendiamo dei rischi in montagna lo facciamo con consapevolezza e adattiamo il nostro stile in base a questo. Come è stato scenderle? È stato veramente incredibile. Quando siamo arrivati inizialmente al campo base eravamo un po’ preoccupati perché da dove eravamo ci siamo messi a osservare le montagne con il binocolo e abbiamo trovato moltissimo ghiaccio sulle pareti che volevamo sciare. Per fortuna siamo stati “graziati” da un meteo severo che ha portato neve ed ha coperto le lastre di ghiaccio. Ci è capitato di svegliarci al campo base con 20cm di neve fresca destinata a sciogliersi durante la giornata ma che, in ghiacciaio o più in alto sarebbe restata e avrebbe creato delle ottime condizioni. Prima di iniziare le discese abbiamo fatto qualche test e questo ci ha aiutato molto visto che non siamo riusciti a reperire alcuna informazione sulle condizioni e lo storico della neve. Abbiamo comunque trovato belle condizioni, siamo stati fortunati.

Una linea che hai sciato che ti ha segnato particolarmente? Durante il film vedi tre differenti linee su tre differenti montagne: le prime due sono più linee divertenti dove potevamo andare veloce e tracciare poche e ampie curve mentre la terza, la “Midnight Butterfly”, è stata un’esperienza totalmente diversa. Si trattava di una montagna più imponente, con ampi crepacci e per confrontarci con questa abbiamo dovuto approcciarla in maniera totalmente differente. Se devo pensare a una linea che mi rimane particolarmente impressa è questa, perché ha richiesto capacità diverse. Anche se mi piace andare veloce in neve fresca e fare curve ampie, mi è piaciuto altrettanto – se non di più – come abbiamo sciato questa linea. Abbiamo dovuto cercarla, aspettarci, e abbiamo condiviso un’esperienza più completa anche come gruppo.

Dimmi di più di questi giorni di spedizione: cosa avete fatto esattamente? Devo confessarti che abbiamo passato tanto tempo in attesa. Su tre mesi in montagna abbiamo sciato solo tre giorni. Abbiamo avuto tre giorni e mezzo di bel tempo; è stato molto frustrante perché eravamo lontani ma allo stesso tempo vicino alle montagne ed abbiamo dovuto aspettare molto prima che il meteo fosse buono. Un elemento chiave in spedizione quello di imparare a giocare al “Gioco dell’attesa”. Abbiamo giocato a carte, ci siamo raccontati storie, abbiamo suonato e danzato. È stato molto divertente, preso a sé. Poi, quando finalmente il meteo è migliorato ci siamo focalizzati su quello per cui eravamo venuti, e l’azione ha avuto inizio.

Come finisce questa avventura, se finisce. Questa è una bella domanda. Se quest’avventura finisce? Non lo so. È la questione di tutto il film. Perché quando abbiamo finito di sciare siamo dovuti tornare a casa, o perlomeno nella società “civilizzata” e poi da quando siamo tornati a casa siamo pieni di memorie che saranno per sempre nella nostra mente. Potresti avere ragione, questa storia potrebbe non avere fine.

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Correre Esplora(ndo) BY STEFANO LIONET TI PHOTOS DENIS PICCOLO RUNNERS SARA ARMENTO & STEFANO LIONET TI

Noi esseri umani siamo pigri e abitudinari. Io di certo non faccio eccezione. E allora finisce che a un certo punto – un po’ per pigrizia, un po’ per abitudine e un po’ per non perdere troppo tempo – quando esci a correre fai i soliti giri a cui sei abituato, arredando con molta attenzione la tua zona di comfort. Ma se penso al perché mi sono avvicinato al trail running, uno dei motivi principali era scoprire posti nuovi, posti belli. E allora se posso accettare di fare sempre le solite quattro vie quando mi tocca un allenamento su asfalto, divento refrattario a tornare negli stessi posti quando si tratta di off road. Così, quando Sara mi ha proposto un giro di 2-3 ore ho pensato fosse la giusta occasione per fare qualcosa di diverso.

nuovi filtri che consentono di selezionare parametri come dislivello, durata, distanza e molto altro. La mappa è arricchita da marcatori animati che indicano la direzione del percorso, linee colorate che distinguono le diverse tracce e punti di partenza che evidenziano le opzioni proposte. Per utilizzare queste funzioni, è sufficiente selezionare lo sport desiderato e inserire una località dalla bacheca Esplora sulla piattaforma web o tramite il pulsante "Trova la prossima avventura" sulle app iOS e Android. Komoot mostrerà quindi i percorsi migliori sulla mappa. Gli utenti possono avviare la navigazione, salvare il percorso sul proprio profilo, condividerlo con altri o modificarlo tramite il Tour Planner.

Per correre su nuovi sentieri, e farlo senza continuare a fermarsi chiedendosi se si stia correndo dalla parte giusta, strumenti come komoot ti salvano letteralmente l’allenamento. Di recente sono state implementate le nuove funzioni “Esplora” che – come suggerisce il nome – sono state pensate per portarti in posti nuovi con facilità. Un’ interfaccia cartografica innovativa ed interattiva con oltre 5.5 milioni di tour disponibili in tutto il mondo per scoprire percorsi partendo dalla posizione desiderata. Questo processo è reso ancora più personalizzabile grazie a

Decidiamo di partire da Runaway, a Milano in zona Isola, lì troviamo Luca che ci dà qualche suggerimento sui sentieri. Apro komoot, seleziono l’attività Trail Running e mi geolocalizzo per trovare qualche opzione a massimo un’ora di automobile. Grazie ai filtri riesco a inserire tutte le mie specifi-

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Quando usciamo dal bosco il paesaggio è spettacolare: i colori attorno a noi sono di quel rosso-bruno che ti aspetti in questa stagione e la roccia di questi luoghi sbuca arrabbiata dal terreno che richieste e tra le proposte mi salta subito all’occhio il Monte Due Mani: ci sono stato una sola volta qualche anno fa e me lo ricordo bello e selvaggio, con uno di quei bivacchi di metallo in vetta che ricordano un modulo di atterraggio lunare. È deciso.

Hai visto che non c’è in giro anima viva? Sì, è stupendo. Poco dopo siamo in cima. Le nuvole sono basse e il sole è semi-nascosto, dilatando la golden hour in modo surreale. Il bivacco è chiuso e troviamo alcune “testimonianze” del fatto che la popolazione locale non apprezza questa scelta. Ci sediamo sotto la croce a riposare e fare qualche foto: “Ehi, lo vedi quello stambecco laggiù? Tra poco mi sa che ci raggiunge.” Abbiamo ancora una mezz’ora di luce piena e ce la godiamo correndo avanti e indietro sulla cresta, la salita non è stata molto corribile e a guardare le mappe non lo sarà nemmeno la discesa, almeno facciamo girare un po’ le gambe.

Al Monte Due Mani si può salire in molti modi, il percorso proposto parte in valle, poco dopo Balisio, a nord di Lecco. Non è la strada che avevo fatto la volta scorsa: meglio così. Superiamo l’Alva Market – vera e propria istituzione locale per stomaci forti – e parcheggiamo poco più avanti. Salvo la traccia anche in versione offline perché tanto so già che di lì a poco non avremo più segnale, condividiamo la traccia sui rispettivi sportwatch e partiamo. Saliamo dritto per dritto, è il pegno da pagare quando vuoi fare un minimo di dislivello e hai poco tempo a disposizione. Ma va bene così, siamo in pieno ottobre ma le temperature superano i 26° C, la salita non perdona e inzuppiamo di sudore le canottiere. Quando usciamo dal bosco il paesaggio è spettacolare: i colori attorno a noi sono di quel rosso-bruno che ti aspetti in questa stagione e la roccia di questi luoghi sbuca arrabbiata dal terreno; troviamo evidenti segni del fatto che il luogo sia territorio di capre e stambecchi. Al bivio controlliamo la traccia sull’app, ci dividiamo mezza barretta e una manciata di caramelle gommose e ripartiamo.

Alla fine avevamo ragione, lo stambecco ci ha raggiunto, anche se poi è si rivelato essere un caprone. Ci fa capire che questa è casa sua, tanto oramai era ora di scendere. Un ultimo check alla traccia del ritorno e giù veloci, non vorremmo mai che il buio calasse mentre siamo nel bosco. Arriviamo al parcheggio poco prima che il sole sparisca del tutto dietro il Resegone, fa ancora un caldo innaturale. Un altro percorso da salvare e condividere con i miei amici e con tutta la community di runner presenti su komoot. Rifiatiamo. Ci cambiamo. Pizza? Pizza.

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S TA R T

MAGGIO

ZUCCO DI DESIO

CIMA DI MUS’CIADA

B I VA C C O LO C AT E L L I

TIME

02:19 D I STAN C E

12,2km ASCENT HEIGHT DIFFERENCE

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12KM ACCESS THE TRAIL TRACK ON THE PILL OUTDOOR KOMOOT PROFILE H E RE

1.500M

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Una faccenda americana UTMB Chamonix 2023 BY FILIPPO CAON P H OTO S P H I L I P R E I T E R , J O R D I SA R AG O S SA , DAV I D M I L L E R

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Sono da poco passate le otto, il sole è spuntato dall’Aiguille du Dru e sta iniziando a scaldare i marciapiedi di Chamonix. Sono seduto in un bistrot di Rue Joseph Vallot, a sorseggiare il secondo café Américain della mattinata con la sedia rivolta verso la strada, guardando gli arrivi delle 38 ore dell’Ultra-Trail du Mont Blanc e cercando di riunire le idee sulla settimana che sta finendo. La rivista quest’anno era stata chiara: vai a Chamonix e fai quello che vuoi, ti guardi attorno, ti godi la città e poi ci scrivi il pezzo. Mi era sembrata una cosa pulita e così, senza fare troppe storie e con gli strascichi del jet-leg, ho impacchettato per l’ennesima volta la mia tenda, ho abbandonato i tiepidi lidi adriatici e sono venuto in Francia.

questa gara in tanti modi diversi, ma in fondo tutti anche allo stesso modo. Il mio racconto difficilmente aggiungerà qualcosa di nuovo, difficilmente fornirà un’interpretazione illuminante, questo perché sembra una storia già scritta, il suo arco narrativo è talmente limpido e definito da lasciare poco spazio di manovra a chi la racconta: è il viaggio dell’eroe, e una di quelle storie destinate a diventare un mito. Dove inizi, questo racconto, è difficile dirlo. Potrebbe iniziare vent’anni fa, con la prima edizione di UTMB e la prima vittoria femminile americana. Potrebbe iniziare coi record di Rory Bosio e di Dauwalter. Potrebbe iniziare coi fallimenti di Twietmeyer, Jurek, Karnazes, Meltzer, Krupicka. Potrebbe iniziare con la “maledizione degli americani”. Potrebbe iniziare con le tante teorie, regolarmente smentite dai successi femminili, del perché nessun atleta uomo americano avesse mai vinto questa gara. Potrebbe iniziare nel 2017 con la prima partecipazione di Jim Walmsley, la vittoria di D’Haene, e i quattro americani in top 10 (Tollefson, Walmsley, Bowman, Miller). Oppure potrebbe iniziare un anno fa, con Walmsley che lascia Flagstaff, i cactus e l’Arizona e si trasferisce in Beaufort per imparare dal suo amico François come si vince l’UTMB, lui che ne ha vinti quattro; una versione ultrarunner di Luke Skywalker e Yoda o Uma Thurman e Pai Mei. Potrebbe iniziare in tutti questi modi, e andrebbero tutti benone, spiegherebbero questo UTMB dal primo all’ultimo chilometro, e ne farebbero apparire il finale limpido e inevitabile come la sceneggiatura di un film, too good to be true come cantava Frankie Valli. È una bella storia da raccontare, dopotutto.

Così una settimana dopo mi trovo per la terza volta nella scomoda situazione di essere a Chamonix per una rivista patinata a scrivere un pezzo sull’Ultra-Trail du Mont Blanc. Inizialmente immaginavo il solito articolo paraculo in cui glissare elegantemente dalla cronaca a dettagli insignificanti e analisi sociali, con descrizioni approfondite del caffè della sala stampa e delle birrerie locali; tutto naturalmente per risparmiare a voi e a me il supplizio di una cronaca di abbandoni, ritiri e deflagrazioni, risolta con l’ennesima anodina vittoria francese. Per motivi strettamente professionali, onestamente, un po’ lo speravo; ma in maniera del tutto inattesa la sorte mi ha riservato una storia rara e romantica, una storia che avevo atteso per anni ma a cui non avevo davvero mai creduto fino in fondo. Insomma, una gara da raccontare. Questo Ultra-Trail du Mont Blanc verrà ricordato come l’UTMB degli americani, e nei prossimi giorni e nelle prossime settimane la stampa e i media parleranno di

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Così questo racconto lo faremo partire un po’ dopo, quando il resto della storia è già iniziato. Sono le 18:12 del primo venerdì di settembre e lungo la ciclabile, a Bossons, verso Les Houches, adidas ha affittato un intero bar e dà fuori birre gratis. Io sono a bordo sentiero con Francesco, Gloria e Luca, e un gruppo di ragazzini francesi. C’è una tensione febbrile e, non avendo misurato precisamente la distanza dal centro, azzardiamo ipotesi sui primi passaggi. Quando arrivano finalmente i primi, sembra un film già visto: Jim inghiottito dal gruppo che cerca di restare in controllo, prima di mandare tutto all’aria quattro chilometri più tardi, sulla salita di Les Houches, passando primo a Les Contamines insieme a uno Zach Miller all’arrembaggio, e per poi mandare tutto all’aria alle prime luci dell’alba, una volta entrati in Italia. Al terzo chilometro ci sono già persone grondanti di sudore e prossime al ritiro: non importa che siano prime o ultime, non contano l’età o la provenienza, non conta tantomeno l’esperienza, c’è poco da farci con l’esperienza quando sei piegato in due a vomitare e hai fatto ottocento metri di dislivello su diecimila.

andando come ogni altro anno: gli americani in testa, almeno fino a Courmayeur, ci sono sempre stati, ma svegliarsi la mattina successiva e scoprire che una volta in Svizzera erano ancora lì ci ha pervasi di un senso di cauto ottimismo. Da Courmayeur la gara sale verso il Rifugio Bertone per una salita ripida e lunga, da lì segue un tratto molto corribile sulla Val Ferret, in cui Zach aveva imposto un ritmo forsennato che aveva distaccato leggermente Jim. Sulla discesa in Svizzera la corsa di Jim si era appesantita al punto da essere ripreso da Germain Grangier. Zach era rimasto dieci minuti davanti a loro, a tenere il suo ritmo insostenibile, e sarebbe stato il prossimo, ho pensato. Una storia scritta: gli americani davanti, ad accoltellarsi fra loro, e un francese poco dietro, come un avvoltoio, pronto a raccoglierne i cadaveri. Con questa mesta prospettiva, io e Alessandro gettiamo il nostro cappellino Make America Great Again in un bidone di Chamonix e prendiamo il bus dell’organizzazione per la aid station di Trient. In Svizzera perdiamo i dati e con loro gli aggiornamenti. Il servizio, per chi fa assistenza, costa 80 euro, ma per noi membri della stampa nazionale è gratuito. Quando arriviamo a Trient la aid station è in fermento, è successo qualcosa ma non sappiamo cosa, la diretta sui monitor nell’organizzazione è indietro di venti minuti. Ale accende i dati del cellulare: Jim è davanti, ha ripreso 10 minuti a Zach e lo ha staccato in discesa, Grangier è rimasto dove stava, 9 minuti indietro. Quello yankee ci ha messo sei anni per tirare fuori la lama, ma il suo momento sembra finalmente arrivato. Quando arriva alla aid station si alza un boato. Zach arriva un minuto dopo, con una corsa più pesante e accaldato, e immerge ripetutamente il trucker hat nella fontana che c’è fuori dal ristoro.

Ci sono quelli che sono già morti perché sono partiti troppo forte (tutti), quelli che si sono allenati troppo (pochi) o troppo poco (molti), sono davanti e dietro al gruppo, e sono tanti. Finita la fiumana di gente ci incamminiamo verso una birra: una India Pale Ale sembra davvero l’unico modo per affrontare il giorno successivo. La notte, quest’anno, la lascio ai rookies. D’altronde dovrei spostarmi con l’autobus dell’organizzazione e a pensarci bene l’astinenza da sonno non mi sembra più una priorità professionale, così bevo la mia birra e vado a dormire. Ora, per comprendere la storia è necessario sottolineare che, stando a quanto ne sapevamo in quel momento, la gara stava

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Piantiamo lì tutto e ci fiondiamo alla aid station successiva. Quando entriamo nel tendone troviamo D’Haene che riempie le borracce e prepara il tavolo del ristoro per Jim, che arriva un’ora e quaranta dopo, con sedici minuti su Miller, guadagnati in meno di 10 chilometri. Quando Jim entra nella aid station il boato iniziale si placa lasciando spazio a un silenzio chiesastico, interrotto di tanto in tanto dal tifo di un Francesco Puppi galvanizzato. François ha gli occhi rossi ed è commosso, Jim è calmo e dentro di lui sta pregando ogni santo di non saltare in aria: è quello che si è perso al novantesimo miglio di Western States, mentre era primo, con mezz’ora sul record. Gli urliamo you got it; not yet si ripete tra sé e sé. Beve l’ultimo sorso e sparisce dal ristoro, io e Fra usciamo dal retro e iniziamo a corrergli a una cinquantina di metri di distanza insieme ad altre quattro o cinque persone; poi restiamo solo noi. Sul sentiero in leggera salita che da Vallorcine porta a Col de Montets Jim corre a 4’04’’ al chilometro, dopo 155 chilometri e 18 ore di gara.

ze sono comunque proibitive. Jim corre e sbacchetta, sprigiona potenza e io quasi fatico a tenere il passo – in effetti mi vergogno di me stesso, follia farsi staccare da uno che corre da 150 chilometri. Sul sentiero ci sono tante persone ad assistere e un paio, vedendo il cartellino stampa, mi fermano per chiedermi aggiornamenti sulla gara. Prendo fiato un paio di minuti e penso di averlo perso definitivamente, poi la salita si interrompe e scende per un sentiero tecnico e lento in cui riesco a riprendere contatto visivo. Appena lo vedo, sul fondo, tra le fronde, mi rialzo. Quando superiamo la linea degli alberi si intuisce la posizione della funivia della Flegère, dove finisce la salita e inizia l’ultima discesa. Sulle ultime rampe ci sono centinaia di persone e quasi si fatica a passare in mezzo. C’è Billy Yang a filmare e ha gli occhi lucidi, vorrei dirgli che sono felice per loro ma tiro dritto. Jim si ferma inaspettatamente al ristoro per ricaricare l’acqua e decido di superarlo per vedere l’arrivo. Affronto la discesa a un ritmo controllato ma non lentissimo, lui è un paio di centinaia di metri indietro così appena si fa più tecnica accelero. Poi inizio a vedere il paese dall’alto, passo sulla terrazza della Floria e arrivo a Chamonix.

Sul sentiero un Dylan Bowman sotto ecstasy grida a Jim, ancora una volta you fucking got it. Jim tira dritto, testa bassa, falcata lunga, frequenza bassa. Quando il sentiero finisce resto da solo, Francesco torna indietro. Vorrei aspettare Zach ma poi capisco che non me ne frega niente: vengo a Chamonix da anni per vedere vincere Jim Walmsley, e cascasse il mondo sarò sulla linea d’arrivo quando accadrà. Così attacco la salita dietro a lui, a un centinaio di metri, abbastanza da restargli sotto ma abbastanza poco da non farmi vedere o sentire, per non infastidirlo. Sul sentiero ci sono lui e il cameramen della diretta, e io, un centinaio di metri indietro.

La città esplode di persone, si ha l’impressione che ci siano molti più americani del solito e ci sono bandiere americane ovunque. Corro in mezzo alla gente e mi scende una lacrima. Raggiungo l’arco d’arrivo e supero le transenne riservate alla stampa. Ci sono momenti che hai aspettato talmente a lungo che poi quando accadono, lì, a un metro da te, non ti sembrano veri. Un vecchio film diceva che è difficile non emozionarsi col baseball. Penso che si possa dire di qualsiasi sport, e di qualsiasi bella storia. Ma una cosa è certa, è difficile non emozionarsi con l’ultrarunning: la faccenda americana è stata chiusa.

Saliamo a 1100 metri di VAM l’ora. Il nuovo percorso è leggermente più semplice rispetto a quello vecchio, ma le penden-

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Light Lines bright but non ephemeral BY E VA TO S C H I P H OTO S A DA M G A I R N S , T E R J E VA L E N H Ø I H J E L L E , V EG A R D A AS E N

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In preparazione alla chiacchierata che devo fare con Vegard Aasen e Calumn Macintyre, le due anime di Light Lines, mi trovo immediatamente ad ammirare il loro progetto fotografico: 10 immagini, 10 linee tracciate nel buio del nord. Una, in particolare, coglie subito la mia attenzione; non tanto per la sua diversità ma piuttosto perché l’ho già vista, mostrata su uno smartphone in una grigissima giornata primaverile in Lapponia da Martin, uno degli skier che ha preso parte al progetto. Martin ha iniziato a parlarmene ponendo l’accento su quanto fosse stato difficile coordinarsi per creare lo scatto perfetto; per ottenere esattamente quello che Vegard aveva immaginato e voleva riprodurre. Già solo la parte “tecnica” mi aveva affascinata; quando poi, intorno a un fuoco e bevendo una birra alla luce del sole di mezzanotte siamo passati a parlare delle motivazioni e del significato che aveva quella foto ero totalmente conquistata. Per mesi sono rimasta senza saperne più nulla (dello scatto, s’intende) e poi eccomi qui: ci rincontriamo per caso. E se a uno scatto se ne aggiungono altri 9, altrettanto coinvolgenti se non di più, e alle spiegazioni di Martin si aggiungono le parole appassionate dei due ideatori del progetto, ecco che diventa facilissimo innamorarsene. Come dice Calumn, ma di questo ne parleremo quanto prima, basta un istante e può succedere di tutto.

l’arte. Ah sì, anche un amico, Martin. Inizialmente mi ero preparata molte domande da fare al fotografo, Vegard, pensando erroneamente che Calumn fosse “solo” uno dei rider che aveva preso parte al progetto, ma dopo che alla prima domanda mi risponde proprio quest’ultimo, capisco subito il suo coinvolgimento. È stato Calumn ad accendere la scintilla, a far capire a Vegard che con la fotografia si potesse andare oltre alla spettacolarità delle immagini; che si poteva trasmettere un messaggio e scuotere gli animi, che si potesse politicizzarsi. “Molte persone nel settore outdoor” mi dice Calumn, “hanno paura di essere giudicate se esprimono idee radicali e politiche, hanno paura di esporsi. Sono stufo di questo sistema basato sui sensi di colpa personali e su quello che possiamo fare “nel nostro piccolo”, dobbiamo rendere le nostre preoccupazioni le preoccupazioni di tutti, e possiamo farlo solo se insieme agli altri. Non abbiamo idea del potere che abbiamo, come comunità. Per questo è importante veicolare un messaggio, e noi abbiamo deciso di farlo partendo dall’arte fotografica, per poi andare più a fondo tramite la parola, scritta o parlata.” Dell’impatto che poteva avere una foto se ne sono accorti insieme, dopo aver scattato “The Man in the Moon”, una foto che ha scattato Vegard e che ritrae la sagoma di Calumn dentro la luna piena mentre sale in solitaria sulla vetta dell’Austabotntind. Il feedback che arriva è che la foto aveva fatto ragionare su quanto l’uomo apparisse piccolo in relazione a questi spazi selvaggi. Così, insieme alla guida di Calumn, ambientalista con tantissima

Così finalmente mi ritrovo a parlare con due persone che sono distanti migliaia di chilometri ma con cui già so di condividere una cosa molto importante: la correlazione tra uomo e natura e la sua espressione tramite lo sport outdoor e

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Come mai avete deciso di usare le luci come simbolo delle tracce umane? - Sei un po’ fuori strada Quando un politico decide di consentire lo sviluppo nella natura selvaggia, la decisione viene presa in una frazione di secondo, ma le conseguenze sono eterne. Il paesaggio non tornerà mai più come prima. Le linee di luci, immortalate con la lunga esposizione, rappresentano proprio quei secondi, quel lasso di tempo brevissimo che può cambiare il futuro di un luogo per sempre.

esperienza ed esperto di cambiamento climatico, Vegard prende il coraggio di politicizzarsi e di usare la sua voce e la sua arte per trasmettere un messaggio. “Perché non scattare una foto di qualcuno che scia il canale che taglia a metà la parete nord del Austabotntind illuminando la sua discesa con una frontale e scattando in lunga esposizione dalla montagna di fronte?” Chiede Vegard a Calumn di ritorno dallo scatto che avevano appena portato a termine sulla stessa montagna. "Vorrei immortalare una linea di luce che segna spettacolarmente la montagna, bilanciando attentamente la luce chiara della frontale con quella del cielo scuro.” Ma qual è questo messaggio e cosa vogliono dire 10 foto scattate su 10 iconiche cime norvegesi di una linea di discesa disegnata dalle frontali di chi scia? Immediatamente penso al volere sottolineare le tracce che lasciamo, noi esseri umani con le nostre voglie e vanità, nei luoghi selvaggi. Ma capisco subito che è una visione superficiale, che vede solo una parte dell’immagine. Il soggetto e non l’insieme. Allora per andare un po’ più a fondo la domanda da fare è semplice: come mai avete deciso di usare le luci come simbolo delle tracce umane? “Sei un po’ fuori strada,” mi risponde Calumn “ma ti spiego subito: quando un politico decide di consentire lo sviluppo nella natura selvaggia, la decisione viene presa in una frazione di secondo, ma le conseguenze sono eterne. Il paesaggio non tornerà mai più come prima. Le linee di luci, immortalate con la lunga esposizione, rappresentano proprio quei secondi, quel lasso di tempo brevissimo che può cambiare il futuro di

un luogo per sempre.” Mi ritrovo molto affascinata da questo modo di interpretare, anzi di scegliere di comunicare, il messaggio dietro a queste foto. Rimango sconvolta soprattutto dal sapere, e lo capisco grazie alle spiegazioni di Calumn e Vegard, che la situazione in Norvegia non è come la si immagina da qui. Non è tutto oro quel che luccica e le loro luci di discesa lo mettono in evidenza. La natura selvaggia norvegese è sempre più minacciata dallo sviluppo: dal 1900 ne è stata sacrificata circa il 40% e si continua anche oggi su questo trend per favorire gondole, impianti idroelettrici ed autostrade. “Ho iniziato a capire che c'è un problema sistemico nel modo in cui le persone va-

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lutano la natura selvaggia” dice Calumn. “Si dice che non ci si rende conto di ciò che si è perso finché non è scomparso, e questa è la sensazione che provo in Norvegia, dove vivo ora, 20 anni dopo averci viaggiato da bambino.”

Imparo molto parlando con Calumn e Vegard, soprattutto su cosa si possa fare con la propria arte; su come possa e debba essere utilizzata e su che potere abbia. La fotografia, la scrittura, il disegno possono mandare un messaggio chiaro, smuovere coscienze e creare dubbi, senza per forza dare risposte. Perché nessuno di noi ha una risposta quando si pensa a cosa si possa fare per preservare la natura e il suo futuro - che poi corrisponde al nostro. Ma avere dei dubbi, porsi delle domande è la partenza di tutto. E una foto, una parola, una luce che dura un frammento di un secondo, può essere l’inizio di qualcosa destinato a cambiare tutto, a stravolgere il futuro, anche per il meglio.

Scopro che dal 2014, in Norvegia sono state presentate 22.000 domande di costruzione in aree protette, di cui 19.000 sono state approvate. Sono numeri giganti, che per essere contrastati necessitano di coinvolgimento ed un interesse pari se non superiore. Chiedo ai ragazzi se hanno mai ricevuto un feedback riguardo al loro progetto da parte delle istituzioni norvegesi e Calum mi risponde raccontandomi un episodio che spiega molto: “A dicembre del 2022 Espen Barth Eide, Ministro del Clima e dell’Ambiente, è andato a questa conferenza sulla natura e il clima che si svolgeva a Montreal, dove ha parlato a favore di un progetto che prevedeva la protezione del 30% della superficie terrestre dallo sviluppo. Questo fatto ci ha dato molta speranza, vedere che i politici potessero realmente cambiare lo stato delle cose, così abbiamo deciso di regalare la foto di Ringstind, quella che a detta di tutti la faceva sembrare una stazione sciistica, a Espen Barth Eide per il lavoro svolto su questo accordo e per ispirarlo a mettere la natura in cima all'agenda politica anche in patria. Abbiamo presto saputo che una volta tornato a casa, il nostro ministro ha approvato un progetto per un’autostrada in una riserva naturale così alla fine gli abbiamo scritto una lettera spiegandogli che avevamo pensato di mandargli la foto ma che per via di quello che aveva fatto abbiamo deciso di mettere la foto all’asta e utilizzare i proventi per pagare un avvocato che lotti contro la costruzione dell’autostrada in tribunale.” Una decisione di impatto, richiede una reazione d’altrettanta forza.

Imparo molto parlando con Calumn e Vegard, soprattutto su cosa si possa fare con la propria arte; su come possa e debba essere utilizzata e su che potere abbia. La fotografia, la scrittura, il disegno possono mandare un messaggio chiaro, smuovere coscienze e creare dubbi, senza per forza dare risposte. Perché nessuno di noi ha una risposta quando si pensa a cosa si possa fare per preservare la natura e il suo futuro - che poi corrisponde al nostro. Ma avere dei dubbi, porsi delle domande è la partenza di tutto.

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A mountain with no name BY I L A R I A C H I AVAC C I PHOTOS THOMAS MONSORNO

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L'uomo dei record è andato a scovare la montagna sconosciuta per eccellenza per ritrovare il gusto dell’avventura: la spedizione nameless di Dani Arnold in Kazakistan. 12 4


Un’ora, 43 minuti e 35 secondi per salire in solitaria la parete nord del Petit Dru nel massiccio del Monte Bianco dalla via Allain-Leininger, 2 ore e 28 minuti per salire la via Heckmair sulla parete Nord dell’Eiger, 1 ora e 46 minuti per salire sul Cervino, 2 ore e 4 minuti per scalare la via Cassin, 2 ore e 4 minuti per completare la parete nord del Grandes Jorasses: Dani Arnold è uno che spinge forte. Svizzero, guida alpina, le montagne nel DNA, è uno che ama le sfide, ama i record e ama il free solo: Torre Trieste, Pizzo Badile e la Cima Grande di Lavaredo salita in 46 minuti e 30 secondi i suoi capolavori. Se sei un alpinista dopotutto la tentazione di mettere tacche qua e là, dimostrare che sei il più veloce o il più forte, ti viene per forza, ma

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Dani Arnold ama anche esplorare, trovare vie dove nessuno le va a cercare, cimentarsi con la difficoltà di posti inesplorati sui quali si hanno poche informazioni in generale e alpinistiche in particolare. È uno che guarda tanto alla forma quanto alla sostanza. La sua ultima missione, che lo ha portato in Kazakistan, è stata guidata da una foto: neve bianca su terra rossa, una parete che sembra frutto dell’ingegno di un pittore e delle forme così bizzarre da stuzzicare la sua voglia di scoperta, di solleticare la curiosità di chi ogni vetta la guarda in modo diverso rispetto a come farebbero tutti gli altri. Un posto talmente bello e remoto non può rimanere inesplorato, quelle cime così poetiche intentate: è così che prendono vita le missioni alla Arnold manie-


ra, alpinista magnetico che sta radunando intorno a sé una community sempre più nutrita di seguaci appassionati, ma che non si fa illusioni sulle platee virtuali. Il racconto di questa esperienza è soprattutto il racconto di un alpinista che, con la sua crew più fidata, è andato dritto al cuore della spedizione, senza sentire la necessità di piantare bandierine, o intestarsi la paternità di una via. Lo raggiungo al telefono in Svizzera, dove lavora e vive con la sua famiglia «Come stai?» «Fa troppo caldo.» È curioso come questo incipit sia stato il leitmotiv di quasi tutte le intervi-

ste di questa estate. D’altra parte gli alpinisti, le guide alpine e in generale gli atleti di montagna sono sensibili più di altri alle tematiche ambientali perché la loro vita li porta ad osservare da vicino il disfacimento dei nostri inverni, l’arretramento inesorabile dei ghiacciai. «Lo zero termico quest’estate è stato registrato sopra i 5000 metri: questo è un dato tremendo per l’ambiente. Non me ne lamento solo perché questo rende più difficile praticare la mia passione, ovvero l’ice climbing, ma perché siamo sull’orlo del baratro. Alle persone fa piacere non avere temperature così rigide qui, però la verità è che è un dramma per il nostro pianeta.»

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Veniamo alla tua spedizione più recente, il Kazakistan. Destinazione che avevi nel cassetto da un po’… Direi che con questo viaggio abbiamo portato a un livello superiore quello che avevamo fatto in Giappone, ovvero una spedizione guidata dallo spirito di avventura: l’idea dietro questi progetti è quella di trovare qualcosa di affascinante e sconosciuto, fuori dagli itinerari più battuti e allo stesso tempo riportare in una missione lo spirito degli avventurieri. Quando parto per battere un record di velocità, o se affronto una via in free solo, ho delle enormi soddisfazioni, ma viene meno lo spirito di avventu-


ra: lì sono alla ricerca della velocità o della difficoltà, ma sono vette di cui si sa praticamente tutto, delle vette del Kazakistan non si sa quasi nulla. Grazie al mio lavoro sono stato quasi ovunque nel mondo e, anche posti remoti come la Patagonia, per me ormai non lo sono più di tanto. Ci sono stato undici volte ed è sempre un posto speciale, ma andarci non rappresenta più un’avventura per me. Velocità, free solo o spedizioni esplorative, qual è l’anima del Dani alpinista che ti rispecchia di più? L’ice climbing! In pochi lo sanno, ma il mio primo free solo in assoluto è stato sul ghiaccio, in uno spot vicino

casa, a Brunnital, è partito tutto da lì e il ghiaccio rimane la mia passione principale, quello che mi fa scalpitare più di ogni altra cosa. Partiamo dai punti fermi, come si chiama la montagna che avete scalato in Kazakistan? A dire la verità non credo che abbia un nome, non era mai stata scalata prima e, ad essere onesti, è partito tutto da una foto. Ci incuriosiva la sua forma e così siamo partiti, ma sapevamo poco o nulla di cosa realmente ci saremmo trovati davanti una volta lì. Però, dal momento che avete aperto una via, non l’avete battezzata?

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In realtà no, puoi sceglierlo tu il nome se vuoi (ride). In linea teorica quando apri una via poi ti spetta anche darle un nome certo, ma non era questo il punto della spedizione. Noi siamo andati fin là per l’esperienza in sé e perché basta guardare le immagini per rendersi conto di quanto quella vetta fosse speciale e ci chiamasse. Vetta speciale e poche informazioni, è andato tutto liscio? Abbiamo arrampicato moltissimo, ma il problema principale è stato, appunto per il fatto che non ci sono molte informazioni, che la qualità della roccia non era quella che ci aspettavamo, era molto morbida e la parete mol-


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In pochi lo sanno, ma il mio primo free solo in assoluto è stato sul ghiaccio, in uno spot vicino casa, a Brunnital, è partito tutto da lì e il ghiaccio rimane la mia passione principale, quello che mi fa scalpitare più di ogni altra cosa. to ripida. Non abbiamo praticamente usato protezioni, per via della qualità della roccia, cosa che nella parte più bassa era ok, ma man mano che ci siamo avvicinati alla cima ha trasformato la cosa in qualcosa di molto vicino a un free solo. Credo comunque che il rischio maggiore in questo genere di situazioni sia tornare a casa con un nulla di fatto, ma d’altra parte se non provi non lo puoi sapere: certo è che meno informazioni hai in partenza, riguardo all’attrezzatura da portare e a cosa potresti andare incontro, e più è difficile portare a casa il risultato. Una cosa che indubbiamente fa la differenza è avere un team coeso come il nostro, composto da Martin Echser e dal fotografo Thomas Monsorno. Con Thomas ormai lavorate insieme da molto tempo, siete un team collaudato… Direi soprattutto che siamo amici. Io ho un obiettivo alpinistico e lui fotografico, sicuramente lavoriamo duro per raggiungerlo, io scalando e lui cercando l’inquadratura migliore, il momento perfetto per scattare, però

ci interessa anche divertirci insieme senza avere la pressione del lavoro. È più un “andiamo là e vediamo cosa portiamo a casa”. Proprio mentre eri in Kazakistan il tuo profilo Instagram ha sfondato la barriera dei 100K, e adesso sei già a 171, come ti rapporti con una community sempre crescente? Diciamo che è qualcosa che devi fare anche in rapporto alla professione perché ti dà l’opportunità di raggiungere veramente tantissime persone, però non riesco a togliermi dalla testa che per me sia solo un gioco, e che non abbia nulla a che vedere con l’andare in montagna seriamente. Su Instagram c’è un sacco di showoff anche perché di base è quello che il pubblico vuole. Per me ci sono due tipi di community: una più piccola e seria, interessata ai dettagli delle spedizioni, a cui non interessano i Reel, ma vogliono piuttosto sapere tutto della via o della missione, dall’attrezzatura, alle temperature alle difficoltà e se nel secondo tiro ti sei aggrappato con la mano destra o sinistra. E poi c’è la communi-

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ty vastissima di Instagram a cui di come hai affrontato il secondo tiro non frega niente, ma si esaltano nel sapere se ti si era ghiacciato il sandwich o se ti è volata di sotto la banana. La cosa più challenging per me è riuscire ad accontentare entrambe queste platee. D’altra parte però estendere la tua community ti dà la possibilità di far arrivare a più persone messaggi che ti stanno a cuore, come ad esempio i tuoi pensieri sull’ambiente… Questo io credo sia vero fino a un certo punto: tempo fa ho fatto un post sull'etica dell'alpinismo: niente foto o video, solo testo. Ecco, quel post ha avuto veramente poche reazioni, ma se metto una mia foto senza t-shirt fa il botto, non solo, prendo molti più like rispetto a mettere la stessa foto, ma con la maglietta indosso.

In linea teorica quando apri una via poi ti spetta anche darle un nome certo, ma non era questo il punto della spedizione. Noi siamo andati fin là per l’esperienza in sé e perché basta guardare le immagini per rendersi conto di quanto quella vetta fosse speciale e ci chiamasse.

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The show must go on Kristin Harila BY I L A R I A C H I AVAC C I

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Il record dei record di Kristin Harila, alpinista norvegese che ha scalato tutti e 14 gli ottomila del pianeta in tre mesi e un giorno, è un’occasione che non dobbiamo sprecare per fare profonde riflessioni sul mondo dell’alpinismo, dalla parità di genere al sovrasfruttamento della montagna. Il 27 luglio 2023 Kristin Harila insieme a Tenjen “Lama” Sherpa ha toccato la vetta del K2, il mitico Karakorum, alle 10.45 polverizzando il record più divisivo del mondo dell’alpinismo, quello raggiunto da Nirmal Purja per aver scalato tutti e quattordici gli ottomila del pianeta in sei mesi e sette giorni. Harila ci è riuscita in tre mesi e un giorno, circa la metà del tempo. Se già questo tipo di missioni sollevano di per sé molte questioni legate all’impatto ambientale - dato dall’utilizzo delle bombole d’ossigeno e delle corde fisse, che poi non è più possibile togliere e rimangono sulla montagna generando inquinamento - questa nello specifico è entrata nell’occhio del ciclone per il tragico incidente che ha portato alla morte di uno degli sherpa coinvolti nella missione, Muhammad Hassan. Secondo quello che è stato pubblicato Hassan, pakistano di 27 anni con moglie e tre figli, avrebbe accettato l’incarico pur non essendo propriamente equipaggiato - non aveva né ossigeno ausiliare né un abbigliamento tecnico adeguato - e nel posto chiamato “collo di bottiglia” della montagna è caduto, o è franata la neve sotto di lui, ed è rimasto gravemente ferito. Secondo Harila e il suo team ha ricevuto la dovuta assistenza dai suoi compagni di cordata, che hanno provato in tutti i modi a salvargli la vita per quanto la situazione fosse disperata, secondo altri alpinisti che quella stessa mattina stavano raggiungendo la cima del K2, Harila e Lama Sherpa avrebbero lasciato Hassan morente al suo destino per continuare la corsa verso il record, addirittura scavalcando il suo corpo.

Noi come testata non vogliamo entrare nel merito della questione con un giudizio di valore ma, attraverso le risposte di Harila, provare a capire dove stia andando l’alpinismo contemporaneo, forse sempre più vicino allo sport spettacolo, con i suoi pro e i suoi contro. Incidenti come quello occorso durante la missione di Harila sono all’ordine del giorno in montagna e quello che succede veramente in questi casi non lo si saprà mai e, a meno che su un ottomila non ci si sia effettivamente mai saliti, non si riuscirà neanche mai ad avere un quadro chiaro del contesto in cui queste cose succedono. Il ruolo che gioca l’istinto di sopravvivenza, ad esempio. Sono variabili che non si possono non tenere di conto quando si maneggiano questi argomenti, così come le difficoltà oggettive di una situazione di estremo pericolo. La morte durante gli avvenimenti sportivi non è una prerogativa della montagna: di atleti che fanno cose pericolose in contesti pericolosi sono pieni i media, basti pensare al Gran Premio o alla MotoGP, quello che però è differente forse è che il tipo di narrazione è più codificato e “accettato”. Nel caso delle spedizioni alpinistiche non c’è un cronista a raccontare in maniera terza una missione, ma la narrazione è interamente affidata a chi ne è protagonista che, appunto, è un atleta e non qualcuno che di mestiere fa la cronaca degli eventi. Kristin Harila aveva il suo messaggio da supportare con il record e il suo racconto si è concentrato su quello, bypassando almeno in un primo momento la questione dell’incidente. Avrebbe potuto mandare un messaggio altrettan-

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E hai pensato a questo nel momento in cui hai raggiunto la vetta e hai realizzato che il record era tuo? Ho pensato che sì, ce l’avevo fatta e avevo segnato un passo importante per le donne in questo mondo. Il mio secondo pensiero è andato poi subito a “Lama”, ovvero Tenjen, lo sherpa senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile. È un riconoscimento importante non solo per me, ma anche per Lama e per tutta la comunità degli sherpa, che fa un lavoro prezioso che consente a tutti gli alpinisti di poter compiere imprese di questo genere, sono gli sherpa che mettono le corde fisse e allestiscono i campi base. A me personalmente non importa così tanto del record, ma condividerlo con loro ha un significato enorme, in più ora possiamo usare questo risultato per provare a cambiare qualcosa per tutte le ragazze e le donne in questo settore, per cercare di renderlo il più equo possibile. Credo sia importante che ci siano dei modelli femminili che dimostrino che certe cose siano possibili: nel momento in cui noi ragazze cresciamo, è importante avere qualcuno che è simile e noi a cui ispirarsi.

to forte rinunciando al record a poche centinaia di metri dalla cima per provare a salvare Hassan anche a fronte dell’inutilità del tentativo? Probabilmente. E ancora: tutti questi messaggi che gli atleti si sentono in dovere di mandare e le cause che vogliono supportare hanno senso solo per renderli più spendibili dagli sponsor o serviranno davvero a cambiare le cose nel mondo dell’alpinismo? Questo è un meccanismo di cui tutti siamo parte e dal quale sarebbe ipocrita sottrarsi: da una parte ci sono gli atleti, con le loro ambizioni e i loro i sogni, ma dall’altra ci sono i brand e i media, che si nutrono delle cose spettacolari, rischiose o incredibili che riescono a fare, e poi ci sono gli appassionati, i riceventi ultimi di questi messaggi, quelli che in fin dei conti hanno il vero potere, orientando il loro interesse, di far capire a brand, media e atleti se questa sia la direzione giusta o meno che il settore sta prendendo. Partendo dalla genesi di questa missione, da com’è nata l’idea di prendersi il record di Nirmal Purja, si può avere un’idea più chiara di quello che è il processo con cui gli atleti diano forma alle loro imprese. “Ero seduta in questo caffè, a Oslo, dopo essere ritornata da una spedizione sull’Everest (spedizione con cui Kristin Harila si era aggiudicata nel 2021 il record femminile di velocità per aver scalato Everest e Lhotse in dodici ore ndr.) e sono stata sopraffatta da questo senso di profonda ingiustizia. L’industria dell’outdoor è proiettata sugli uomini, soprattutto nell’alpinismo: la maggior parte dei grandi brand produttori di attrezzatura di un certo tipo, come le tute per altitudini elevate, ha taglie solo per gli uomini, non per le donne. Per me questo sottende un messaggio chiaro: l’alpinismo è per gli uomini, le ragazze se vogliono possono darsi all’hiking. Questo pensiero ha iniziato a prendere forma proprio prima di partire: era stato per me impossibile trovare abbigliamento tecnico adatto all’Everest che fosse della mia taglia, era tutto molto più grande rispetto a quello che mi sarebbe servito. Una volta tornata ho avvertito l’urgenza di fare qualcosa, e in queste situazioni non basta dire “Ehi, guarda che noi siamo forti tanto quanto gli uomini”, bisogna dimostrarlo: battere Nirmal lo avrebbe urlato chiaro e forte.

Quindi il tuo obiettivo è condividere un messaggio di uguaglianza? Ci sono molte cose che bisogna fare per rendere questo mondo più equo e io credo che quando se ne parla le persone capiscano quale sia il punto e si dicano tutte d’accordo, ma la realtà dei fatti poi è che per gli uomini ci sono più soldi, più prodotto, più ricerca, più tutto. Nella avanzatissima Norvegia, che è il mio paese, le football academy maschili ricevono più soldi rispetto a quelle femminili. Il mio obiettivo è che alle ragazze vengano date le stesse opportunità che vengono date ai ragazzi. Anche i brand sono più inclini a sponsorizzare atleti maschi piuttosto che ragazze Sì ma perché proprio il record di Nirmal e non un altro? Avevo appena concluso la spedizione sul Lhotse e sull’Everest e mi è sembrata la naturale prosecuzione di quel percorso. Già con quella avevo stabilito un record femminile scalandoli in 12 ore (con l’ultima spedizione il tempo è sceso a poco più di 8 ore), quindi mi sono convinta che ce l’avrei fatta. Ci sono proba-

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Sai quantificare quante bombole d’ossigeno e quanti metri di corda sono serviti? Per ogni montagna abbiamo portato solo una bottiglia di ossigeno a testa, una per me e una per Lama: solitamente iniziamo ad utilizzare l’ossigeno tra i 7000 e i 7500 metri d’altitudine, fatta eccezione per l'Everest, che è più alto e quindi abbiamo avuto bisogno di due bottiglie ciascuno. Di solito in questo genere di spedizioni si fa una procedura che si chiama rotazione, per acclimatarsi: si va prima al campo base uno e si torna giù, poi si va al campo base due, si torna al campo base uno e si dorme lì e così via, portando le cose su un po’ alla volta. Noi invece di solito andiamo al campo uno, magari saltiamo il campo due e andiamo direttamente al campo tre, e da lì diretti alla cima: questo significa che quando lasciamo il campo base dobbiamo portare con noi tutto quello che serve, e nella maggior parte di queste montagne, eravamo solamente io e Lama e dovevamo portare tutto. Se conti che ogni bombola pesa quattro chili è chiaro che non ne potevamo portare più di una a testa.

bilmente altre cose che avrei potuto fare per portare avanti lo stesso messaggio, ma me per è stato naturale prendere questa direzione. Fai spesso riferimento ai brand e ai grandi player dell’industria, hai mai sentito la pressione, diretta o indiretta, dei tuoi sponsor nel realizzare un’impresa imponente? A dire la verità no. Non ho mai avvertito la pressione da parte dei miei sponsor per realizzare questo specifico progetto, o altri progetti in generale, sicuramente mi hanno dato tutti il massimo supporto di cui avevo bisogno, capendo che non si trattava esattamente di una passeggiata. Qualche brand è arrivato prima, qualcuno si è aggiunto in corsa, ma per me la cosa importante sono i valori che condivido con i miei sponsor: nel caso di Osprey ad esempio è l’impegno che la società ha da tempo nel realizzare zaini studiati specificatamente per adattarsi al corpo femminile. Quanto è costata l’intera spedizione? Un milione e mezzo di dollari spalmato su due anni: ci avevo già provato nel 2022, quando ero riuscita a scalare dodici ottomila su quattordici, avevo davanti a me ancora cinque settimane per battere il record, ma non avevo ottenuto il permesso per scalare le ultime due montagne, in Tibet. Quindi ho deciso di rifare tutto da capo quest’anno.

Bombole di ossigeno e corde fisse sono quello che poi rimane sulle montagne e costituisce una fonte importante di inquinamento. Questo genere di spedizioni è abbastanza di-

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visivo nel mondo dell’alpinismo, anche perché incoraggia spedizioni “turistiche” sugli ottomila più famosi… Finché le montagne saranno lì le persone ci saliranno: sicuramente dobbiamo trovare dei modi meno invasivi per farlo. Penso in primo luogo agli elicotteri, ma anche a tutta la spazzatura che rimane là sopra. Le montagne più frequentate sono l’Everest e il K2, nelle altre non vedi così troppe persone. Se vuoi arrampicare da solo ci sono moltissime montagne dove puoi farlo, ma un ottomila è difficile trovarlo vuoto. Io trovo che incontrare altre persone non rappresenti un problema, perché di solito la tendenza è quella di aiutarsi a vicenda e, se un gruppo va più veloce, viene lasciato passare senza problemi, così come se qualcuno ha problemi, o finisce l’ossigeno, viene aiutato.

in una delle montagne più pericolose e letali del mondo: è necessario che l’accesso su queste montagne sia regolamentato, per impedire che fatti come questi accadano, non c’è più tempo. Vuoi darci la tua versione dei fatti? È semplice stare seduti a casa e chiedersi perché non abbiamo salvato Muhammad, ma la realtà dei fatti è che le condizioni là sopra erano veramente impegnative e noi abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per salvarlo, non avremmo potuto fare nulla di più. Sono state diffuse informazioni false e dette un sacco di cattiverie, e questo non è per niente bello, inoltre non credo sia giusto che la responsabilità di questo incidente stia ricadendo unicamente su di me. Per me non è mai stato un problema raccontare le cose per come sono andate: lì c’eravamo noi e noi sappiamo cosa abbiamo fatto e come l’abbiamo fatto, provando a salvarlo per ore. Ma il problema è che ci sono state molte persone che hanno diffuso informazioni false e i media si sono buttati su queste e sull’odio perché è comodo e fa notizia, ma io vengo ricoperta di insulti e minacce quotidianamente. Là fuori ci sono almeno 200 persone che mi minacciano, dicendo che verranno a uccidermi.

Non mi riferivo all’esperienza in sé, che potrebbe essere troppo affollata, ma al fatto che la montagna venga sfruttata in maniera eccessiva… Questo è uno dei punti di cui parlavo prima, dobbiamo trovare il modo di fare diversamente quello che abbiamo sempre fatto, per questo uno dei prossimi progetti a cui prenderò parte riguarda proprio l’aspetto legato alla spazzatura: sarà focalizzato sia sulla pulizia delle montagne in sé, che sull'educazione. Le nazioni dove sorgono gli ottomila sono poverissime e non hanno la stessa coscienza riguardo ai rifiuti, al loro corretto smaltimento e al riciclo che abbiamo noi. Credo che sia nostro dovere coinvolgere i governi e tutte le compagnie che operano qui, tutti gli sherpa e gli alpinisti che ci vanno quotidianamente. Non posso raccontare molto, ma sarà un progetto molto importante e sono sicura che in un futuro molto prossimo vedremo gli elicotteri volare in maniera diversa. Credo oggi di essere in una posizione in cui è più facile per me lavorare con i governi e intercedere per una migliore regolamentazione per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, ma anche su chi possa essere effettivamente autorizzato a salire su questo tipo di montagne. Chi non ha l’esperienza sufficiente per farlo non dovrebbe essere autorizzato a iniziare ad arrampicare. L’incidente che è accaduto sul K2 durante la mia spedizione non sarebbe mai dovuto accadere. È stato un incidente tragico

Tu sei un’atleta, ma anche una figura pubblica, trovi difficile conciliare questi due ruoli? Magari trovandoti a maneggiare questioni così delicate, come quella di un incidente del genere durante una missione? Quando provi a prendere un record sicuramente sai di avere i riflettori puntati su di te, io avevo le mie ragioni per farlo e per portare avanti la mia battaglia per l’uguaglianza. Certamente non ero preparata a rispondere a domande dettate dall’odio e da tutto quello che di falso e cattivo è stato detto su quanto è successo. Alla luce anche di questo come stai progettando la tua prossima impresa? Non credo che la mia prossima missione sarà ancora su un ottomila, credo di aver dimostrato tutto quello che c’era da dimostrare in questo campo, ma ho altre cose in mente e sicuramente troverò qualcosa che sia utile a portare avanti la mia battaglia per la parità nell’outdoor.

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È ancora “Alpinismo”? Opinioni, riflessioni, record e bombole d’ossigeno BY CHIARA GUGLIELMINA

Facciamo un passo indietro. È il 27 luglio 2023, sono circa le 2:30 del mattino e una lunga fila di alpinisti si sposta lentamente verso la cima del K2; una delle montagne più pericolose al mondo. Obiettivo? Conquistarne la vetta. Effettivamente, proprio quel giorno, l’alpinista norvegese Kristin Harila, porta a termine la sua impresa; scalare tutti i 14 ottomila nel minor tempo possibile. Tre mesi e un giorno è il risultato della sua prestazione. Frantuma, così, il record precedente stabilito dal nepalese Nirmal Purja (sei mesi e sei giorni nel 2019). In un video, ormai diventato virale, si vede chiaramente Muhammad Hassan immobile, come incollato contro la parete della montagna. Poco prima, probabilmente a causa del crollo di parte del seracco che sovrasta quel traverso esposto, era caduto sbattendo contro la roccia e danneggiando la sua maschera per l’ossigeno. Il portatore pakistano, sempre basandosi su quest’unica prova incontestabile, rimane inerme mentre altri alpinisti lo scavalcano puntando la vetta. Harila è, in questo momento in cui scrivo, sotto accusa per non aver prestato soccorso a un portatore in fin di vita. Kristin Harila nega quanto affermato,

sostenendo che Muhammad è invece stato issato sul percorso affacciato sul baratro e assistito per oltre un’ora e mezza. A causa delle condizioni impervie, dichiara l’alpinista norvegese, fare di più sarebbe stato impensabile. Salvarlo, impossibile. Sicuramente non è stata una situazione facile, quasi nessuna lo è in alta montagna. Il collo di bottiglia, inoltre, e anche questo va considerato, è una vera e propria roulette russa. Si tratta di un imbuto di neve e ghiaccio che, dalla spalla, risale dritto e ripidissimo la montagna fin sotto l’enorme seracco pensile. Un palazzo di ghiaccio di quindici piani sospeso nel vuoto, appeso sulla testa di ogni scalatore che tenta il “summit push”. Cosa realmente sia accaduto lassù è poco chiaro. E probabilmente, come ci insegna la storia dell’alpinismo, lo resterà per sempre. Quelli riportati sono i fatti esposti dai principali media che hanno trattato l’argomento. A me, e penso di poter parlare a nome dell’intera squadra di The Pill, interessa poco la verità. Non perché non consideriamo grave quanto accaduto, ma perché siamo convinti che, indipendentemente da come siano andate le cose il 27 luglio, il pro-

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blema alla base della tragedia vada individuato e risolto altrove. Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo a riguardo ho sentito il bisogno di prendermi del tempo. Volevo, per quanto possibile, offrire una ricostruzione dei fatti che fosse il più vicino possibile alla verità. Inoltre, ho ritenuto fondamentale considerare il parere di chi, sotto quel mostruoso seracco, ci è stato. Perché quando si parla di tematiche tanto delicate trovo assurdo, ed eticamente discutibile, pensare di avere il diritto di esprimere un parere a priori. È troppo facile mettere un like a un post su Instagram che conta oltre 14.000 consensi. Mi piacerebbe poter calcolare la percentuale di quanti, in proporzione al “successo” del post, si sono davvero interrogati sull’accaduto. In ogni caso, la cosa che trovo personalmente triste, è la capacità di notizie simili di svanire nel nulla. Si scatenano polemiche e vengono lanciate accuse. Talvolta, grazie al cielo, vengono anche presi seri provvedimenti, ma poi quello che passa alla storia e che rimane nella memoria collettiva, è il successo. Sempre quello. Mi chiedo se quella di cui faccio parte sia ormai un’umanità incapace di cre-


Ne ho sentite di tutti i colori nelle ultime settimane: “A quelle quote, in quel punto della scalata, non si poteva fare niente di più.” … “Un fatto osceno; non so se quel ragazzo poteva essere salvato, ma di certo ci avrei provato.” … “Penso che sarebbe stato molto difficile salvare Hassan.”

scere portando sulle spalle il peso di tutto ciò che “si poteva fare meglio”. Pare sia più facile seguire l’algoritmo dei social media e spendere venti, massimo trenta secondi per costruirsi un’opinione, esprimere il proprio parere con un doppio tap sullo schermo o con un commento di quattro righe, e liquidare la faccenda nel tempo in cui si finisce la colazione o si tira lo sciacquone del bagno. È naturalmente una questione che va oltre la tragedia sul K2, ma credo sia fondamentale, affinché qualcosa cambi, interrogarsi partendo anche da queste dinamiche tossiche. E disumane. Parlando con un carissimo amico è saltata fuori, tra le altre, la questione dei “Mondiali della vergogna”, in Qatar. Dal 2010, nella penisola araba, sono morte sul lavoro almeno 6500 persone immigrate da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, per costruire otto stadi, in cui giocare una manciata di partite. E di nuovo, anche in questo caso, fiumi di polemiche e denunce sulle condizioni di lavoro inaccettabili, com’è giusto. Ma purtroppo alla fine, i morti sono morti. E la memoria collettiva ricorda solo la doppietta di Messi e l’Argentina che alza la Coppa al cielo per la terza

volta nella storia. Cosa rimarrà dunque, al di là di torti e ragioni, di Muhammad Hassan? Morto svolgendo il proprio lavoro, ignorato, ferito e senza ossigeno, rispetto a tutti i folli record degli ultimi anni? Quello che personalmente non tollero è il menefreghismo, l’egocentrismo e la superficialità con cui abbandoniamo le persone, la capacità di girare la testa dall’altra parte senza porci domande o, peggio, pensando che sarà qualcun altro ad occuparsene. Tutto questo mi fa male, sinceramente. Non solo se parliamo di montagna, ma soprattutto se parliamo di montagna. Quand’ero bambina, mio nonno ci lasciava intagliare il legno nella piccola piazza del villaggio in cui trascorreva l’estate, a fianco alla sua baita. Di coltello buono ce n’era soltanto uno e decidere chi l’avrebbe usato, per noi bambini, era semplice. Bisognava risalire a quattro zampe una ripida scarpata che s’infilava nel buio del bosco e il primo che toccava il tronco del faggio più basso, aveva il monopolio del coltello per l’intero pomeriggio. Sono sempre stata affascinata da un bambino che, dopo i primi trenta metri di corsa, pur essendo in testa, si voltava a controllare che nessuno,

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nemmeno il più lento, scivolasse sulle radici umide e rotolasse fino alla base. E mio nonno, ogni sera, dopo averci messo tutti quanti a letto, affilava la lama al coltello e insegnava a Filippo, a lui solo, a intagliare il legno. A dodici anni non mi era chiarissimo il motivo, ma sentivo che era giusto così. Oggi ho la sensazione che, davanti a un essere umano ridotto a vittima sacrificale in favore del successo di un altro, non ci sia soltanto silenzio assenso, ma totale cecità. Come se un simile meccanismo di prevaricazione di ogni cosa, non solo venga accettato, ma sia addirittura considerato normale. Nient’altro che regolare e quotidiana amministrazione. Quindi, la questione è: Dove stiamo andando? Come alpinisti e come esseri umani? Che forme prenderà l’alpinismo e la montagna tutta nei prossimi anni? È stato difficile scriverne. Mi pare indecoroso. Ma spero che le opinioni autorevoli di Hervé, di Gnaro e di Michele, montanari prima che alpinisti, nonché salitori del K2, possano contribuire a cambiare il modo di andare in montagna e, perché no, quello di vedere la vita e il nostro atteggiamento nei suoi confronti.


Hervé Barmasse ALPINISTA - GUIDA ALPINA - SOCCORRITORE

Ciò che è successo sul K2 non è una novità e quanto si osserva nel video purtroppo è tutto vero, crudele, e cosa ancora peggiore, è qualcosa che si ripete da anni. A testimoniarlo i tanti cadaveri sparsi qua e là sulle vie normali dei 14 ottomila. Forse la differenza che c’è tra gli incidenti avvenuti prima di questa estate e quello di Hassan, la cosa che colpisce di più, è che oggettivamente, a scavalcare il corpo sfinito del portatore pakistano, erano presenti un numero sufficiente di persone per tentare un soccorso. Su questo non c’è alcun dubbio. Un alpinista deve mostrare umanità e compassione, altruismo e generosità sempre, a qualsiasi quota e su qualsiasi montagna, altrimenti alpinista non è.

lottare, credere, vivere. Pensiamo che dietro al successo e al denaro si nasconda la felicità e siamo disposti a sacrificare tutto, anche ciò che diciamo di amare come, ad esempio, la montagna. Lo dimostra l’alpinismo himalayano di massa, evidente conseguenza di scelte sbagliate. Aziende outdoor, scalatori professionisti e guide alpine hanno continuato a vendere le vie normali degli ottomila come l’avventura più grande che si possa vivere. Eppure, non lo è più da tempo. Sta di fatto che nell’alpinismo del futuro, se di alpinismo si vorrà ancora parlare, la differenza la farà sempre di più il “come”. Perché non conta dove vai, la quota o la cima che raggiungi, ma come sei arrivato sin lì. Se lo avrai fatto con rispetto, sia delle persone che incontri che della montagna, senza lasciar traccia del tuo passaggio, sarai un vincente in montagna e nella vita.

Oggi viviamo in una società avara di umanità, valori ed etica. Siamo “figli vuoti del troppo pieno” e non riusciamo più a distinguere le cose per cui vale la pena

"Sta di fatto che nell’alpinismo del futuro, se di alpinismo si vorrà ancora parlare, la differenza la farà sempre di più il “come”. Perché non conta dove vai, la quota o la cima che raggiungi, ma come sei arrivato sin lì. Se lo avrai fatto con rispetto, sia delle persone che incontri che della montagna, senza lasciar traccia del tuo passaggio, sarai un vincente in montagna e nella vita."

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Silvio Mondinelli ALPINISTA - GUIDA ALPINA - SOCCORRITORE

Come prima cosa voglio sottolineare che io non ero presente. So una cosa però: gli amici che ho avuto in montagna hanno sempre rinunciato o, comunque, tentato una stessa cima più volte pur di dedicarsi al soccorso altrui. Non saprai mai se porterai a casa il ferito o il morto, ma comunque ci avrai provato e dovrai continuare a provarci. Sempre. C’è anche da dire, bisogna essere onesti, che la maggior parte di coloro che vanno in Himalaya oggi non sono alpinisti. L’anno scorso ero al Makalu, ad esempio, e c’erano quattro ragazze che si cambiavano tre volte al giorno; sembravano fotomodelle, non alpiniste. Quando andavo in montagna io, “le donne avevano i baffi”. Ora la prima cosa che si desidera, e questo è un discorso generale, è internet, e un minimo di connessione per poter mettere le proprie foto su Instagram. Dunque, questo non è più alpinismo.

Questa primavera, all’Everest, si saliva e si scendeva direttamente a Campo 2 perché in molti dicevano che il passaggio dell’Icefall era pericoloso. Eh, se è pericoloso stai a casa tua. O no? È come uno a cui piace correre in moto, ma non va a fare le gare perché sostiene che è pericoloso andare a 350 chilometri all’ora. E allora stai senza farle, ma dì che sei tu che non sei capace. La questione, comunque, è che mi pare che certi principi, in qualsiasi cosa facciamo, siano svaniti. Magari sono io che sto diventando vecchio, ma non è normale che quasi tutti i clienti, quando arrivano in Margherita, la prima cosa che vogliono è la foto da mettere su Instagram o su Facebook. Per gli atleti, poi, questo sistema è un disastro. Perché per gli sponsor, ormai, sembra abbiano più valore le foto sui profili social personali rispetto a un buon risultato in Coppa del Mondo. È tutto il sistema che non funziona. Boh, abbiamo perso la tramontana. A me, certi sponsor, hanno detto che non va tanto bene che io abbia solo trenta amici su Instagram. Gli ho risposto che io non ho nessun amico, guardo solo le belle fotografie di paesaggio che mette qualche d’uno, ma non do l’amicizia a nessuno perché non m’interessa. Gli amici veri li ho e non mi serve cercarne altri lì.

L’Himalaya, adesso, è molto frequentato da persone che hanno grandi disponibilità economiche, ma che non c’entrano nulla con l’alpinismo. Anche tutti quelli che d’estate, sul Monte Rosa, vanno alla Capanna Margherita non sono alpinisti. Forse nemmeno escursionisti. Mi dispiace dirlo, e spero che nessuno si offenda, ma la verità è questa. I principi che c’erano una volta in montagna oggi sono rarissimi. Va però detto che in quei posti lì, come il Bottleneck, naturalmente serve parecchia energia in più per fare un intervento di soccorso serio. Però insomma, quando si è tanti come in quel caso, bisogna provarci. Questi record, invece, non riesco proprio a capirli. Che record sono con cinquanta Sherpa e bombole per l’ossigeno a volontà?

Io credo comunque nell’educazione. Della mia generazione si diceva che fossimo degli scansafatiche eppure, io ho fatto solo gli ottomila, ma gli altri hanno fatto una montagna di cose valide. Dunque, è giusto credere nei giovani. Ma, soprattutto, in chi li educa. Perché è l’educazione, nella vita, a fare la differenza.

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Michele Cucchi A L P I N I STA - G U I DA A L P I N A - S O C C O R R I TO R E

Come prima cosa vorrei affrontare il tema etico della questione. Non condivido la filosofia di queste spedizioni commerciali che seguono la logica del “pago, quindi devo arrivare in cima”. Questo, a mio modesto avviso, significa far morire l’etica che per decenni ha fatto sì che gli alpinisti, che sono ben altra cosa, arrivassero in cima alle più belle e alte montagne del mondo. Etica, per me, significa mai abbandonare nessuno. E quello che si è visto sul K2, di recente, sono certo abbia fatto molto male al panorama alpinistico mondiale. Conosco bene il Bottleneck, con quel suo traverso beffardo e, onestamente, non mi sono mai trovato in una situazione così difficile, in un posto tanto impegnativo. Spero però, che se mai dovessi ritrovarmi in una circostanza simile, possa essere sufficientemente lucido da poter dire: “Okay, basta. C’è qualcuno che ha bisogno e, ora, bisogna fare tutto quello che è necessario per salvargli la vita.”

sherpa in Nepal, nel loro lavoro di portatori in Himalaya. Chiunque sia stato tra le montagne del Pakistan, conosce bene la problematica. Va detto che, rispetto ai nepalesi che hanno goduto dell’esponenziale crescita delle spedizioni per migliorare, i pakistani non hanno avuto le stesse opportunità di sviluppo. Perché in Nepal, in passato, le cose sono state molto più lente mentre ora, anche là, tutto corre a ritmo forsennato. E se saranno sempre di più i pakistani, come mi auguro, a lavorare per le spedizioni, occorre che siano in grado di recuperare il terreno perso colmando la propria mancanza di formazione, di preparazione, di esperienza e di attrezzature. Infine, riguardo a quanto è accaduto, voglio dire che ognuno è libero di vivere la montagna come preferisce. Tuttavia, questa brama di fare prime assolute pagando dei prezzi altissimi, sia dal punto di vista ambientale che, talvolta, umano, è qualcosa che non condivido e non comprendo. L’alpinismo deve essere ancora esplorazione, deve essere ancora avventura e devo essere molto meno media, news, record e quant’altro. Non voglio spendere altre parole su questo tema perché si tratta di un mondo che non mi appartiene e che probabilmente non conosco a sufficienza. Non vorrei parlare a sproposito. Ma una cosa posso dirla: non penso che catapultare la performance sportiva pura e semplice, con il mero obiettivo di conquistare enne cime in tot tempo, sia la dimensione giusta per quello che è il mondo della montagna, dell’avventura e dell’esplorazione.

Il secondo e importantissimo tema riguarda il necessario accrescimento dei portatori d’alta quota pakistani, sotto più punti di vista. Quella è la loro terra, quelle sono le loro montagne; bisognerebbe fare molto di più per offrirgli la reale possibilità di vivere di quelle stesse terre.Questo vuol dire, innanzitutto, dargli una mano ad affrontare l’altissima quota nel migliore dei modi, con le migliori attrezzature e con le migliori conoscenze possibili per consentirgli di lavorare in sicurezza. Esattamente come facciamo noi sulle Alpi, nel nostro mestiere di guide alpine, o come fanno gli

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The Pill Outdoor Store & Hotel List 1332 selling points L'Outdoor Journal più diffuso in Europa 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127. 128. 129. 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 151. 152. 153. 154. 155. 156. 157. 158.

ITA BIKE SPORT ADVENTURE ITA RIDERS ACTION ITA SALEWA OUTLET ENNA ITA STILE LIBERO ITA BOULDER & CO SALEWA OUTLET PALMANOVA ITA ITA PEAK LAND ITA ALAGNA OUTDOOR ITA BASE CAMP ITA BORDINO FRANCO ITA KING BOARD SHOP ALBA ITA MOUNTAIN HOME ITA KING BOARDSHOP ITA SPORTLER ALBIGNASEGO ITA ARCO SPORT ITA KEVOLUTIONS ITA SPORTRAGE ITA C.ELLE SPORT ITA SPORT HUB ALMENNO ITA ACTIVITY PEOPLE ITA ALPSTATION ANDALO ITA FOTO SPORT BANAL ITA SPORTLAND ANTEGNATE ALPINE WORLD SHOP & GUIDES ITA ITA ALPSTATION AOSTA 2.0 ITA CLAUDESPORT ITA CRAZY BY VERTICAL ITA MEINARDI SPORT ITA SALEWA AOSTA ITA SWIT SHOP ITA GAL SPORT ITA JOE SPORT ITA EVIVA SPORT ITA LARINO ALBINO ITA ALPSTATION ARCO ITA ARCO CLIMBING ITA ART ROCK ITA CLIMBING VILLAGE ITA G ARCO ITA KARPOS STORE ARCO ITA LA SPORTIVA ARCO ITA OLIUNÌD ARCO ITA RED POINT 1 ITA RED POINT 2 ITA ROCK & ICE ARCO ITA SALEWA ARCO ITA VERTICAL WORLD SPORT ITA GOBBI SPORT ITA RED POINT 2 (MABB 90) ITA VERTICAL SPORT ARCO ITA THE NORTH FACE ARESE ITA ALPSTATION AREZZO ITA PRATI DEL VALLONE ITA BALLONI SPORT ITA CLIMBAP ITA EXUM ITA MASTER SPORT PESAVENTO MOUNTAIN STORE ITA ITA SPORTLAND ASOLA ITA UNY STORE ITA RRTREK GRAN SASSO ITA MATIS SPORT ITA ALPSTATION LAVAREDO ITA DEGNI SPORT ITA BSHOP AVIGLIANA ITA TREKKING SPORT ITA FINISH LINE ITA SALEWA OUTLET MANTOVA ITA AFFARI & SPORT BALLABIO ITA TONINO SPORT ITA CENTRO ROSSIGNOL ITA ZEROQUATTRO ITA CARAVELLA SCOUT ITA IMPACT SHOP ITA LA SORGENTE ITA MAROCCO SPORT ITA ALE’S SURF SHOP ITA ALPSTATION BASSANO ITA DF SPORT SPECIALIST ITA MAZZARONA SPORT ITA ROBI SPORT ITA SU E GIU' SPORT ITA B-STORE ITA CAI BERGAMO ITA GREAT ESCAPES BERGAMO ITA LANDI SPORTS ITA MARCO SPORT SERVICE DF SPORT SPECIALIST BEVERA ITA ITA BIBOSPORT BIELLA ITA FABBRICA SKI SISES BIELLA ITA FRANCO SPORT ITA IL GALLO ITA NUOVI ORIZZONTI BOLOGNA ITA PATAGONIA BOLOGNA ITA THE NORTH FACE BOLOGNA ITA VILLA 1928 ITA CMP BOLZANO ITA MONTURA BOLZANO ITA MOUNTAINSPIRIT ITA SALEWA WORLD BOLZANO ITA SPORTLER BOLZANO ITA THE NORTH FACE BOLZANO ITA CAVALLO CENTRO SPORT ITA MASSI SPORT ITA TEMPO LIBERO ITA FLOWER ITA CRAZY STORE BORMIO ITA MOUNTAIN & RUNNING ITA PATAGONIA BORMIO ITA SKI TRAB ITA CELSO SPORT SHOP ITA G2 SPORT ITA BLOCCO MENTALE ITA FRISCO SHOP ITA GIALDINI ITA MAD CLIMBERS PALESTRA ITA MINOIA STORE ITA ROMEO SPORT ITA ROSSIGNOL BRESCIA ITA SPORTLAND BRESCIA ITA KLEON SPORT ITA SPORTLER BRESSANONE ITA BERTHOD SPORT ITA MOUNTAIN SHOP CERVINIA ITA TOP ONE ITA UAINOT MOUNTAIN SHOP ITA ALPSTATION BRUNICO ITA OUTFIT SPORT MODE ITA PATAGONIA BRUNICO SPORT MODE SCHOENHUBER ITA ITA SPORTLER ALPIN BRUNICO ITA SPORTLER BRUNICO ITA THOMASER ITA ESSERRE ITA EMMECI BOARD & ACTION ITA STILE ALPINO ITA SPORTLER CALALZO ITA VERTICAL SPORT SARCHE ITA NENCINI SPORT ITA PROROCK MOUNTAIN STORE ITA BIG AIR ITA MOUNTAIN SHOP TUBRIS ITA AMPLATZ SPORT ITA DETOMAS SHOP ITA DROP LINE ITA RIGHTFEELING ITA SPORT AMPLATZ ITA NUOVA MIAR SPORT ITA PUNTO RUNNING ITA RADAELLI SPORT ITA BIG WALL ITA NUOVI ORIZZONTI CARPI ITA THE NORTH FACE CARUGATE UNDER ARMOUR CAROSELLO ITA ITA CAMPO BASE BERGAMO ITA MANCINI ITA MANCINI STORE ITA SPORTLAND

ADRANO AFFI AGIRA AGORDO AGRATE BRIANZA AIELLO DEL FRIULI ALA DI STURA ALAGNA VALSESIA ALAGNA VALSESIA ALBA ALBA ALBA ALBA ALBIGNASEGO ALESSANDRIA ALESSANDRIA ALESSANDRIA ALLEGHE ALMENNO SAN SALVATORE ANDALO ANDALO ANDALO ANTEGNATE AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA AOSTA APPIANO APRICA ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARCO ARESE AREZZO ARGENTERA ASCOLI PICENO ASCOLI PICENO ASCOLI PICENO ASCOLI PICENO ASIAGO ASOLA ASOLA ASSERGI ATINA AURONZO DI CADORE AVEZZANO AVIGLIANA AVIGLIANA BADIA POLESINE BAGNOLO SAN VITO BALLABIO BALME BARDONECCHIA BARDONECCHIA BARI BARI BARZIO BARZIO BASSANO DEL GRAPPA BASSANO DEL GRAPPA BELLINZAGO LOMBARDO BELLUNO BELLUNO BELVEDERE BERGAMO BERGAMO BERGAMO BERGAMO BERGAMO BEVERA DI SIRTORI BIELLA BIELLA BIELLA BOLOGNA BOLOGNA BOLOGNA BOLOGNA BOLOGNA BOLZANO BOLZANO BOLZANO BOLZANO BOLZANO BOLZANO BORGO SAN DALMAZZO BORGO SAN DALMAZZO BORGOSESIA BORGOSESIA BORMIO BORMIO BORMIO BORMIO BORMIO BRA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESCIA BRESSANONE BRESSANONE BREUIL CERVINIA BREUIL CERVINIA BREUIL-CERVINIA BREUIL-CERVINIA BRUNICO BRUNICO BRUNICO BRUNICO BRUNICO BRUNICO BRUNICO BUSTO ARSIZIO CADREZZATE CAGLIARI CALALZO CALAVINO CALENZANO CAMAIORE CAMERANO CAMPO TURES CANAZEI CANAZEI CANAZEI CANAZEI CANAZEI CANELLI CANTÙ CANZO CARMAGNOLA CARPI CARUGATE CARUGATE CARVICO CASTEL DI SANGRO CASTEL DI SANGRO CASTEL GOFFREDO

159. 160. 161. 162. 163. 164. 165. 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. 181. 182. 183. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. 203. 204. 205. 206. 207. 208. 209. 210. 211. 212. 213. 214. 215. 216. 217. 218. 219. 220. 221. 222. 223. 224. 225. 226. 227. 228. 229. 230. 231. 232. 233. 234. 235. 236. 237. 238. 239. 240. 241. 242. 243. 244. 245. 246. 247. 248. 249. 250. 251. 252. 253. 254. 255. 256. 257. 258. 259. 260. 261. 262. 263. 264. 265. 266. 267. 268. 269. 270. 271. 272. 273. 274. 275. 276. 277. 278. 279. 280. 281. 282. 283. 284. 285. 286. 287. 288. 289. 290. 291. 292. 293. 294. 295. 296. 297. 298. 299. 300. 301. 302. 303. 304. 305. 306. 307. 308. 309. 310. 311. 312. 313. 314. 315. 316. 317. 318. 319. 320. 321. 322. 323. 324. 325. 326. 327. 328. 329. 330. 331. 332. 333. 334. 335. 336. 337. 338. 339. 340. 341.

ALPSTATION BISMANTOVA ITA CRAZY STORE CASTIONE ITA OLGA SPORT ITA LA SPORTIVA STORE CAVALESE ITA LARCHER SPORT ITA UN SESTO ACCA - 1/6H ITA FREETIME ITA MAXI SPORT CERNUSCO ITA MAXI SPORT MERATE ITA CERVINIA 2001 ITA SPORTS CENTER TEAM ITA ALTA QUOTA TORINO ITA AREA 41 ITA BASE CAMP SSD ITA WHITE REEF ITA PASSSPORT CESIOMAGGIORE ITA DELFINO SPORT ITA FRACHEY SPORT ITA MARISPORT X-TREME ITA ROUTE RAMEY 33 ITA SKI SPORT HOUSE ITA ZECCHIN SPORT ITA SPORTLAND CHIARI ITA L'ARTE DI SALIRE IN ALTO ITA ASPORT’S MOUNTAIN CHIES ITA MAIUK SPORT ITA OLLIE ITA RADICAL SPOT ITA SALEWA SONDRIO ITA JEANNOT SPORT ITA GRIMPEUR ITA CPR FREE SPORT ITA MOLINARI SPORT ITA ALCHYMYA ITA ALPSTATION CLES ITA MOUNTAIN SHOP CLES ITA SALEWA CLES ITA SPORT EVOLUTION ITA LOVE BOARD ITA LE PARADIS DES SPORTS ITA CASEROTTI SPORT ITA BETTINESCHI SPORT ITA SPORT PESCOSTA ITA SPORT POSCH ITA PRANTNER ITA SPORT LIFE ITA MAURIZIO SPORT ITA ASPORT’S MOUNTAIN ITA VISONÀ SPORT ITA SPORTMARKET ITA CRAZY BOARD ITA SNOWYSUMMIT ITA DUE & DUE CORTINA ITA FREERIDE HOUSE ITA LA COOPERATIVA DI CORTINA ITA MILLET SHOP ITA MOROTTO SPORTS EQUIPMENT ITA QUOTA 1224 ITA THE NORTH FACE CORTINA ITA BOARDERLINE ITA CORTINA 360 ITA LA SPORTIVA CORTINA ITA PATAGONIA CORTINA ITA ROCK & ICE CORTINA ITA SALEWA CORTINA ITA TECNICA OLYMPIA ITA SPORT ALFREDO ITA SPORT KOSTNER ITA 360 SLIDE SHOP ITA 4810 SPORT ITA ARDI SPORT ITA LA SPORTIVA COURMAYEUR ITA LES PYRAMIDES ITA NOLO COURMA SKI SHOP ITA PATAGONIA COURMAYEUR ITA POINT DU SPORT ITA ULISSE SPORT ITA OLIUNÌD VICENZA ITA ALPSTATION CUNEO ITA BIGUP ITA CRAZY BY VERTICAL ITA SALEWA CUNEO ITA SNOWTIME ITA THE NORTH FACE CUNEO ITA VIALE CALZATURE ITA WILD FREE ITA NOCH SHOP ITA FALETTI MOUNTAIN STORE ITA DF SPORT SPECIALIST ITA MOUNTAIN GARAGE ITA OUTSIDER ITA KRALER SPORT ITA SALEWA DOBBIACO ITA ALPSTATION BRIANZA ITA GVM SHOP ITA MOSONI SPORT ITA POSSA SPORT ITA RE-SKI ITA SPORT EXTREME ITA ERCOLE ITA TONY SPORT ITA MORGAN AIR ITA OUTDOOR & TREKKING STORE ITA HOLIDAY SPORT ITA TWENTY FIVE ITA SPIT SPORT OUTDOOR ITA IL DADO BOULDER ITA LINEA VERTICALE ITA PENNENTE OUTDOOR ITA ALPMANIA ITA DEVA WALL ITA ERREGI SPORT ITA MOUNTAIN LAB ITA CRAZY STORE FINALE LIGURE ITA LA SPORTIVA FINALE LIGURE ITA MONTURA FINALBORGO ITA OLIUNÌD FINALE ITA OUTPOST MONTAINEERING ITA RIDE & RUN CRAZY STORE ITA ROCKSTORE ITA SALEWA FINALE LIGURE ITA CLIMB ITA DREAMSTORE ITA NEVERLAND ITA PESCI CAMPING STORE ITA SPORT CLUB ITA THE NORTH FACE FIRENZE ITA OBIETTIVO MONTAGNA ITA BALANTE SPORT ITA QUERIO ERNESTO ITA CAPO NORD ITA GIMELLI ITA 3.30 RUNNING STORE ITA ROSSIGNOL FORMIGLIANA ITA SNOWGANG ITA FREES SPORT ITA SPORTIFICATION ITA SICCARDI SPORT ITA SURF SHOP ITA BOARDER KING ITA SPORT MAX ITA OTKBOARD ITA ALL4CYCLING ITA BM SPORT ITA BONI SPORT ITA BONI SPORT ITA BOULDER FACTORY ITA CENTRO CANOA ITA HOBBY SPORT ITA MOISMAN ITA REPETTO SPORT ITA SALEWA GENOVA ITA SPINNAKER ITA A&F COMPANY ITA MONTAGNARD SPORT ITA BIG STONE ITA SONEGO ITA RUNNING LIFE ITA WIPE OUT ITA SPORTWAY GRAVELLONA ITA RICCARDO SPORT ITA DAVID “3” SPORT ITA BERGLAND ITA SPORT-GESCHAFT ITA SPORT-GESCHAFT ITA 099 OUTDOOR ITA PLANET RIDER ITA KAFFEKLUBBEN ITA SPORTLAND GUSSAGO ITA MARESPORT ITA QUIKSILVER STORE IMPERIA ITA GRAZIA SPORT ISEO ITA ALPSTATION ISERA ITA ALTA QUOTA ISERNIA ITA 38° PARALLELO ITA SPORTING HOUSE ITA MOUNTAINWORLD ITA BLOCKLAND ITA LELE SHOP ITA SALEWA AQUILA ITA TREKKING L’AQUILA ITA 156 ORNELLA SPORT ITA SPORT 203 ITA

CASTELNOVO NE’ MONTI CASTIONE ANDEVENNO CATANIA CAVALESE CAVARENO CAZZAGO CENCENIGHE AGORDINO CERNUSCO LOMBARDONE CERNUSCO LOMBARDONE CERVINIA CERVINIA CESANA TORINESE CESENA CESENA CESENA CESIOMAGGIORE CETO CHAMPOLUC CHAMPOLUC CHAMPOLUC CHÂTILLON CHIAMPO CHIARI CHIAVARI CHIES D'ALPAGO CHIESA VALMALENCO CHIETI CHIOGGIA CHIURO CHIUSA DI PESIO CIRIÈ CISANO SUL NEVA CIVEZZANO CLAUT CLES CLES CLES CLUSONE CODROIPO COGNE COGOLO COLERE COLFOSCO COLFOSCO IN BADIA COLLALBO COLOMBIERA MOLICCIARA CONDINO CORDENONS CORNEDO CORNUDA CORRIDONIA CORRIDONIA CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D'AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORTINA D’AMPEZZO CORVARA IN BADIA CORVARA IN BADIA COTRONEI COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR COURMAYEUR CREAZZO CUNEO CUNEO CUNEO CUNEO CUNEO CUNEO CUNEO CUNEO DARFO BOARIO DARFO BOARIO TERME DESENZANO DEL GARDA DESIO DIMARO FOLGARIDA DOBBIACO DOBBIACO DOLZAGO DOMODOSSOLA DOMODOSSOLA DOMODOSSOLA DOMODOSSOLA DOMODOSSOLA DUEVILLE ENTRACQUE EUPILIO FAENZA FALCADE FALZES FANO FELTRE FELTRE FERMO FERRARA FERRARA FERRARA FIDENZA FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FINALE LIGURE FIRENZE FIRENZE FIRENZE FIRENZE FIRENZE FIRENZE FIRENZE FIUMALBO FOGLIZZO FORLÌ FORLÌ FORMIGINE FORMIGLIANA FORNO DI ZOLDO FOSSALTA DI PIAVE FOSSANO FRABOSA SOTTANA FRABOSA SOTTANA FRAZIONE DAOLASA COMMEZZADURA FROSSASCO GALGAGNANO GAZZADA SCHIANNO GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GENOVA GIANICO GIAVENO GIULIANOVA GODEGA SANT'URBANO GRADISCA D’ISONZO GRADO GRAVELLONA TOCE GRESSAN GRESSONEY SAINT JEAN GRESSONEY-SAINT-JEAN GRESSONEY-SAINT-JEAN GRESSONEY-SAINT-JEAN GROSSETO GROSSETO GUASTALLA GUSSAGO IMPERIA IMPERIA ISEO ISERA ISERNIA IVREA IVREA L'AQUILA L’AQUILA L’AQUILA L’AQUILA L’AQUILA LA THUILE LA VALLE AGORDINA

342. 343. 344. 345. 346. 347. 348. 349. 350. 351. 352. 353. 354. 355. 356. 357. 358. 359. 360. 361. 362. 363. 364. 365. 366. 367. 368. 369. 370. 371. 372. 373. 374. 375. 376. 377. 378. 379. 380. 381. 382. 383. 384. 385. 386. 387. 388. 389. 390. 391. 392. 393. 394. 395. 396. 397. 398. 399. 400. 401. 402. 403. 404. 405. 406. 407. 408. 409. 410. 411. 412. 413. 414. 415. 416. 417. 418. 419. 420. 421. 422. 423. 424. 425. 426. 427. 428. 429. 430. 431. 432. 433. 434. 435. 436. 437. 438. 439. 440. 441. 442. 443. 444. 445. 446. 447. 448. 449. 450. 451. 452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459. 460. 461. 462. 463. 464. 465. 466. 467. 468. 469. 470. 471. 472. 473. 474. 475. 476. 477. 478. 479. 480. 481. 482. 483. 484. 485. 486. 487. 488. 489. 490. 491. 492. 493. 494. 495. 496. 497. 498. 499. 500. 501. 502. 503. 504. 505. 506. 507. 508. 509. 510. 511. 512. 513. 514. 515. 516. 517. 518. 519. 520. 521. 522. 523. 524.

SPORT TONY IMPULS SPORT ADRI SPORT AFFARI & SPORT LECCO GREAT ESCAPES LECCO INUA SPIRIT SPORT HUB LECCO INUA SPIRIT MY WALL BRUMA ON THE BEACH EAST WIND BOTTERO SKI BOTTERO SKI WE RIDE ZONE DF SPORT SPECIALIST LISSONE MAXI SPORT LISSONE CENTRO HOBBY SPORT CRAZY STORE LIVIGNO I’M SPORT LAPPONIA MOUNTAIN PLANET MOUNTAIN RIDERS SIFED MTR LIVIGNO PUNTO SPORT SILENE SPORT SPORT EXTREME THE NORTH FACE LIVIGNO SPORT ADVENTURE ZINERMANN SPORTING HOASY NENCINI SPORT SALEWA OUTLET SCALO MILANO GRINGO SHOP SPORTLAND LONATO SALEWA LONGARONE SPORTLIFEE IL CAMPIONE LUCCA SPORT PROFESSIONAL PROSHOP VIVISPORT CRESPI SPORT SPORT MODE STEGER RABOGLIATTI SPORT OLIMPIONICO SPORT SPORT 3 TRE THE GARDEN ZEBRA SNOWBOARD SCHOOL DODI’S ON SIDE SPORT TENNE CINQUE TERRE TREKKING PEIRANO SPORT JANE SPORT SPORTIME MUD AND SNOW DALL’ORSO STORE BOARDRIDER QUIKSILVER PIPE PRO SHOP BREMA SPORT MEGA INTERSPORT MOUNTAIN STORE HARLEM MELEGNANO THE REVIVE CLUB FAKIE TECH SHOP HUTTER SPORT SPORTLER ALPIN MERANO SPORTLER MERANO MAXI SPORT MERATE SFIDA 2.0 NARDELLI SPORT SNOWBOARDMANIA ALPSTATION MILANO BURTON STORE MILAN CANADA GOOSE MILAN CARTON DAMENO SPORT DF SPORT SPECIALIST DON KENYA RUN FRISCO SHOP MILANO KIM FORNITURE SCOUT KOALA SPORT LA MONTAGNA SPORT MANGA CLIMBING MISSION OLIUNÌD MILANO LORETO PATAGONIA MILANO RUNAWAY SALEWA MILANO SAVE THE DUCK MILANO SAVE THE DUCK MILANO SEASE SPORTING SAN LORENZO THE NORTH FACE MILANO UNDER ARMOUR MILANO UNDER ARMOUR MILANO VERDE PISELLO VIBRAM MILANO WHY RUN PLEASURES RADICAL FREE SOLO EXTREME NUOVI ORIZZONTI MODENA THE NORTH FACE MODENA LIVIO SPORT SPORTMAN THIRD GENERATION HELLWEGER INTERSPORT SPORTLAND MONIGA PATAGONIA MONTEBELLUNA ROSSIGNOL MONTEBELLUNA SALEWA OUTLET MONTEBELLUNA VIBRAM MONTEBELLUNA ROCK & WALLS PURE NATURE WILD PROJECT THE CHANGE PATAGONIA MORBEGNO STILE ALPINO MORBEGNO WHATSALP SPORT HUB MORI MICARELLI STORE LAB8 ARBITER UNTERHOLZNER GRANDE GRIMPE PERICO SPORT ETNA WALL SERVOLARE 17 RUNWAY SPORT SPORT LAURIN ALBY SPORT CLINICA DELLO SPORT DF SPORT SPECIALIST OLGIATE DF SPORT SPECIALIST ORIO SALEWA ORIO CENTER THE NORTH FACE ORIO UNDER ARMOUR ORIO AL SERIO MAMMUT ORTISEI SPORT GARDENA SPORT SCHMALZ SPORTLAND ORZINUOVI FREE TIME STORE SPORTLAND OSPITALETTO BIG WALL ABBÀ INTERSPORT DECA SPORT HOBBIT SHOP LA COCCINELLA ACTIVE CREMA SPORT INTELLIGHENZIA PROJECT OLIUNÌD PADOVA SALEWA PADOVA SESTOGRADO SPORTLAND PALAZZOLO GENCHI SPORT PER CORRERE PELLISSIER SPORT PIRCHER GUENTHER 46° PARALLELO ALPSTATION PARMA ALTERNATIVE SHOP FREE SPORT MOVE MOUNTAIN LOVERS MOVE MOUNTAIN LOVERS PARMA SPORT SEVEN SUMMITS FERRARI SPORT SPORTWAY NOVARA OLIUNÌD MILANO MONDO VERTICALE SPAZIOUTDOOR PAPER SURF ALTA QUOTA PESCARA KING LINE MAKAI SURFSHOP STELLA ALPINA FRANCO SPORT RRTREK PESCASSEROLI DF SPORT SPECIALIST PIACENZA EIGHT SIX L'ALTROSPORT OUTLANDERS

ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA

LA VILLA LANA LAVENO-MOMBELLO LECCO LECCO LECCO LECCO LEGNANO LEVATA LIDO DI TARQUINIA LIGNANO PINETA LIMONE PIEMONTE LIMONE PIEMONTE LIMONE PIEMONTE LIMONE PIEMONTE LISSONE LISSONE LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVIGNO LIVORNO LIVORNO LOCATE DI TRIULZI LODI LONATO LONGARONE LOVER LUCCA LUCCA LUCCA LUINO LUTAGO MACUGNAGA MADONNA DI CAMPIGLIO MADONNA DI CAMPIGLIO MADONNA DI CAMPIGLIO MADONNA DI CAMPIGLIO MAGIONE MALÈ MALLES MANAROLA MANTA MANTOVA MANTOVA MARANO SUL PANARO MARGHERA MARIA DI PIETRASANTA MARINA DI RAVENNA MARTELLAGO MARTIGNACCO MATELICA MELEGNANO MEOLO MERANO MERANO MERANO MERANO MERATE MESENZANA MEZZOLOMBARDO MEZZOLOMBARDO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MILANO MIRANO MODENA MODENA MODENA MOENA MONDOVÌ MONDOVÌ MONGUELFO MONIGA MONTEBELLUNA MONTEBELLUNA MONTEBELLUNA MONTEBELLUNA MONTESACRO MONTESILVANO MONTESILVANO MORBEGNO MORBEGNO MORGEX MORI MUCCIA NAGO TORBOLE NAPOLI NATURNO NEMBRO NEMBRO NICOLOSI NICOLOSI NOICATTARO NOVA LEVANTE NOVALESA OCCHIEPPO INFERIORE OLGIATE OLONA ORIO AL SERIO ORIO AL SERIO ORIO AL SERIO ORIO AL SERIO ORTISEI ORTISEI ORTISEI ORZINUOVI OSIMO OSPITALETTO OSTERIA DEL GATTO FOSSATO DI VICO OULX OULX OVINDOLI OVINDOLI PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PADOVA PALAZZOLO SULL’OGLIO PALERMO PALERMO PAQUIER PARCINES PARMA PARMA PARMA PARMA PARMA PARMA PARMA PAVULLO NEL FRIGNANO PERGINE VALSUGANA PERNATE PERO PERUGIA PERUGIA PESARO PESCARA PESCARA PESCARA PESCARA PESCASSEROLI PESCASSEROLI PIACENZA PIACENZA PIACENZA PIACENZA


525. 526. 527. 528. 529. 530. 531. 532. 533. 534. 535. 536. 537. 538. 539. 540. 541. 542. 543. 544. 545. 546. 547. 548. 549. 550. 551. 552. 553. 554. 555. 556. 557. 558. 559. 560. 561. 562. 563. 564. 565. 566. 567. 568. 569. 570. 571. 572. 573. 574. 575. 576. 577. 578. 579. 580. 581. 582. 583. 584. 585. 586. 587. 588. 589. 590. 591. 592. 593. 594. 595. 596. 597. 598. 599. 600. 601. 602. 603. 604. 605. 606. 607. 608. 609. 610. 611. 612. 613. 614. 615. 616. 617. 618. 619. 620. 621. 622. 623. 624. 625. 626. 627. 628. 629. 630. 631. 632. 633. 634. 635. 636. 637. 638. 639. 640. 641. 642. 643. 644. 645. 646. 647. 648. 649. 650. 651. 652. 653. 654. 655. 656. 657. 658. 659. 660. 661. 662. 663. 664. 665. 666. 667. 668. 669. 670. 671. 672. 673. 674. 675. 676. 677. 678. 679. 680. 681. 682. 683. 684. 685. 686. 687. 688. 689. 690. 691. 692. 693. 694. 695. 696. 697. 698. 699. 700. 701. 702. 703. 704. 705. 706. 707.

HOBBY SPORT SPORT IN MONTAGNA OUTDOOR LIFE TOMMY SPORT VERTICAL SPORT PIANETA SPORT ASPORTSTATION STIMM ZAMBERLAN ARIAPERTA M.C.RUNNING MIRAFIORI SPORT 2 ONBOARD EUROSPORT FINDY SHOP SPORT HUB PINZOLO SPORTLAND PISOGNE DREAMSTORE SELMI TECHNOSPORT VALLEE SPORT PEAK PERFORMANCE STORE AMORINI OUTDOOR SPORTWAY PONTE KAPPAEMME SPORT MOUNTAIN SHOP BERGAMO SPORTLER PORDENONE TOFFOLI SPORT BOARD ROOM MIVAL SPORT BUGS SHOPS LA SPORTIVA POZZA DI FASSA BLOSSOM SKI DEKA UPPER IL CAMPIONE PRATO RUNOUT 3RD GENERATION VIGLIETTI SPORT SALEWA PREDAZZO V10 OFFTRACK CENTER BERGFUCHS MORASSI ETTORE OUTDOOR & TREKKING STORE ROSSIGNOL UDINE REGGIO GAS A1 CLIMBING GINETTO SPORT SURF PARADISE MONTAGNA DIMENSIONE SALVATORI SPORT POLLO WINTER SPORT THE NORTH FACE RIMINI PERTINGER MOUNTAIN SICKS VERTICAL SPORT RIVAROLO VERTICAL SPORTSWEAR SPORT NATURA ALP3 MONTAGNA ALTA QUOTA ROMA CAMPO BASE ROMA CAMPO BASE ROMA CLIMBER STORE GEOSTA KAHUNA LBM SPORT MIZUNO ROMA MONTURA ROMA ONERACE OUTDOOR EXPERIENCE PATAGONIA ROMA ROCK IT ROSSIGNOL PARMA RRTREK ROMA STAR WALL THE NORTH FACE THE NORTH FACE ROMA THE NORTH FACE ROMA URBANSTAR WP OSTIENSE CITY BEACH OMNIA SPORT SPORTLAND RONCADELLE REKORD SHERPA ATLANTE MONTELLO FRONTSIDE BLOCK3 CABAS SPORT MAKALU' SPORT MONTURA ROVERETO 100 - ONE SPORTLIFEE SPORT JOCHER MACIACONI ANIMA SPORTIVA PIÙ SPORT ALPSTATION AOSTA MG MOUNTAIN CISALFA SPORT AOSTA PAPIN SPORT SPORT HOLZER LAGAZOI SPORT SPORT HUB CHIAVENNA MILESI SPORT SPORTLAND SAN LEONARDO GODI SPORT SPORTLER SAN MARTINO TURNOVER SPORT SAN MARTINO SPORT SLALOM SLALOM SPORT SNOWBOARD'S HOUSE PARETI WEGER UNICO SPORT ALPSTATION BRESCIA NEW VIAGGIANDO GIUGLAR LAB IS SPORT GI-SPORT KRATTER FAMA SPORT OLIVER SKI ALPSTATION SARZANA KAU KAU 3.30 RUNNING STORE FRESH FARM 3SIXTY BESSON SPORT FAURE SPORT GIUGGIA SPORT PATTY SPORT MOUNTAIN EXPERIENCE AREA51 CLIMBING CENTER SWITCH SHOP LORI SPORT ALPSTATION SCHIO MAX SPORT VALLI SPORT PIANETA CICLO ART CLIMB PALESTRA BRUNO SPORT ACTIV SPORT SPORT WALTER BOARD STYLE CABOT COVE OUTDOOR CAFÈ SALEWA OUTLET SERRAVALLE HOT ICE SNOWBOARD KINIGER SPORTMODE MAXI SPORT SESTO S.G. TABACCHERIA BIOLCHINI MARCELLIN SPORT PASSET SPORT SPORT LE TORRI SURF SHOPPE XL MOUNTAIN IL MARATONETA SPORT RONDIRO PASSSPORT SIGNORESSA SPORTLER CLIMBING CENTER SPORTLER TREVISO DF SPORT SPECIALIST SIRTORI ALTERNATIVA SPORT ALPIN SPORT MODE ALPIN SPORTS K&K SPORTS SALEWA OUTLET VERONA CENTRO SPORT FIORELLI SPORT SONDRIO TUTTOSPORT MAZZUCCHI SPORTLAND SONICO EDEN SPORT VI BLOCK CAMPO BASE SPILAMBERTO MAKE MERRY BERGER SCHUHE SPORTLAND STEZZANO ALPSTATION TARVISIO SPORTLER TAVAGNACCO ZANI SPORT BLU SURFER PIÙ SPORT IOCORRO!

ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA ITA

PIACENZA PIANCOGNO PIANELLA PIASCO PIETRAMURATA PIETRASANTA PIEVE D’ALPAGO PIEVE DI SOLIGO PIEVE DI TORREBELVICINO PINEROLO PINEROLO PINEROLO PINEROLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PISOGNE PISTOIA PISTOIA PLAN FELINAZ-FELINAZ PONT SAINT MARTIN PONTE DI LEGNO BS PONTE FELCINO PONTE NELLE ALPI PONTE SELVA DI PARRE PONTERANICA PORDENONE PORDENONE PORTO SAN GIORGIO POVE DEL GRAPPA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA PRATA CAMPORTACCIO PRATO PRATO PRATO PRATO NEVOSO PRATO NEVOSO PREDAZZO QUARTU SANT’ELENA RANICA RASEN-ANTHOLZ SÜDTIROL RAVASCLETTO RAVENNA REANA DEL ROJALE REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA REGGIO EMILIA RICCIONE RIETI RIETI RIMINI RIMINI RIO DI PUSTERIA RIVAROLO CANAVESE RIVAROLO CANAVESE RIVAROLO CANAVESE ROCCA DI MEZZO ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMA ROMAGNANO SESIA RONCADELLE RONCHI DEI LEGIONARI RONCO BRIANTINO RORETO DI CHERASCO ROSETO DEGLI ABRUZZI ROVERETO ROVERETO ROVERETO ROVERETO ROVERETO RUFFRE' - MENDOLA S. ANDRA S. CRISTINA SACILE SACILE SAINT CHRISTOPHE SAINT CHRISTOPHE SAINT-CHRISTOPHE SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CASSIANO SAN CASSIANO SAN GIOVANNI BIANCO SAN LEONARDO IN PASSIRIA SAN MARTINO BUON ALBERGO SAN MARTINO BUON ALBERGO SAN MARTINO BUON ALBERGO SAN MARTINO DI CASTROZZA SAN MARTINO DI CASTROZZA SAN MARTINO DI CASTROZZA SAN MARTINO DI CASTROZZA SAN PANCRAZIO SAN PAOLO SAN VENDEMIANO SAN ZENO NAVIGLIO SANSEPOLCRO SANT'AMBROGIO SANT’AGOSTINO SAPPADA SARONNO SARONNO SARZANA SARZANA SASSUOLO SASSUOLO SAUZE D’OULX SAUZE D’OULX SAUZE D’OULX SAVIGLIANO SAVIGLIANO SAVIGNANO SUL RUBICONE SCANDICCI SCANDICCI SCHIAVON SCHIO SCHIO SCHIO SCOPPITO SEDICO SELVA GARDENA SELVA VAL GARDENA SELVA VAL GARDENA SENAGO SENIGALLIA SERAVALLE SCRIVIA SERRA SAN QUIRICO SESTO SESTO SAN GIOVANNI SESTOLA SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SETTIMO VITTONE SIENA SIENA SIGNORESSA SILEA SILEA SIRTORI SISTIANA SIUSI SIUSI SIUSI SONA SONDRIO SONDRIO SONDRIO SONICO SORBOLO SPESSA SPILAMBERTO SPOLETO ST. NIKOLAUS STEZZANO TARVISIO TAVAGNACCO TEMÙ TERAMO TERAMO TERNI

708. 709. 710. 711. 712. 713. 714. 715. 716. 717. 718. 719. 720. 721. 722. 723. 724. 725. 726. 727. 728. 729. 730. 731. 732. 733. 734. 735. 736. 737. 738. 739. 740. 741. 742. 743. 744. 745. 746. 747. 748. 749. 750. 751. 752. 753. 754. 755. 756. 757. 758. 759. 760. 761. 762. 763. 764. 765. 766. 767. 768. 769. 770. 771. 772. 773. 774. 775. 776. 777. 778. 779. 780. 781. 782. 783. 784. 785. 786. 787. 788. 789. 790. 791. 792. 793. 794. 795. 796. 797. 798. 799. 800. 801. 802. 803. 804. 805. 806. 807. 808. 809. 810. 811. 812. 813. 814. 815. 816. 817. 818. 819. 820. 821. 822. 823. 824. 825. 826. 827. 828. 829. 830. 831. 832. 833. 834. 835. 836. 837. 838. 839. 840. 841. 842. 843. 844. 845. 846. 847. 848. 849. 850. 851. 852. 853. 854. 855. 856. 857. 858. 859. 860. 861. 862. 863. 864. 865. 866. 867. 868. 869. 870. 871. 872. 873. 874. 875. 876. 877. 878. 879. 880. 881. 882. 883. 884. 885. 886. 887. 888. 889. 890.

ITA TERNI VERTIGINI SPORT ITA TESERO MONTURA FIEMME ITA TESERO SPORT VENTURA ITA TIRANO CRAZY STORE TIRANO ITA TOLMEZZO ANGELI SPORT ITA TOLMEZZO TECNICAL SKI ITA TORINO ALPSTATION TORINO ITA TORINO ASD BOULDER BAR ITA TORINO BSHOP BRACCINI ITA TORINO BSHOP RAVINA ITA TORINO BSIDE CLIMBING VILLAGE ITA TORINO CUORE DA SPORTIVO ITA TORINO FERRINO STORE TORINO ITA TORINO FRESH STORE ITA TORINO GRASSI SPORT TORINO ITA TORINO JOLLY SPORT ITA TORINO JOLLY SPORT ITA TORINO MIZUNO STORE ITA TORINO MONTURA TORINO ITA TORINO ORIZZONTI VERTICALI ITA TORINO ORIZZONTI VERTICALI ITA TORINO PASSION SPORT ITA TORINO PROMOSPORT ITA TORINO RONCO ALPINISMO ITA TORINO SALA SPORT ITA TORINO SALEWA TORINO ITA TORINO SASP PALESTRA CLIMBING ITA TORINO SCHENONE SPORT ITA TORINO STRIKE ITA TORINO THE NORTH FACE TORINO ITA TORINO JIMMY SURF SHOP ITA TORRE BOLDONE READY TO RUN ITA TORRE DEL LAGO TEDDY PALOMINO ITA TORRE PELLICE GULLIVER TORRE PELLICE ITA TORRI DI QUARTESOLO SPORTLER VICENZA ITA TRADATE LEZARD ITA TRAVERSETOLO CATTI SPORT ITA TRE CAPITELLI PARISPORT IDRO ITA TRENTO LA SPORTIVA TRENTO ITA TRENTO MONTURA TRENTO ITA TRENTO ROCK & ICE TRENTO ITA TRENTO SHERPA3 PATAGONIA ITA TRENTO SPORTLER ALPIN TRENTO ITA TRENTO SPORTLER TRENTO ITA TRENTO TECNOSCI ITA TRENTO VERTICAL SPORT TRENTO ITA TRENTO MAGNITUDO ITA TREVISO LE BLOC SHOP ITA TRIESTE ALPSTATION TRIESTE ITA TRIESTE AVVENTURA DUE ITA TRIESTE SPORTLER TRIESTE ITA TURANO PURA VIDA ITA UDINE FIASCARIS ITA UDINE K2 SPORT ITA VAL DI VIZZE SPORT CENTER ITA VAL MASINO FIORELLI SPORT VALMASINO ITA VALDAORA SPORT CORONES ITA VALDRAGONE LAYAK ITA VALLES SPORT MODE MARIA SALEWA OUTLET VALMONTONE ITA VALMONTONE ITA VALTOURNENCHE UAINOT SNOWBOARD SHOP ITA VARESE BONNY MODULAR LAB ITA VARESE ZOO PARK ITA VARNA SKICENTER ITA VELLETRI SPORTANGEL ITA VENASCA SKI KLINIK ITA VERANO BRIANZA RIDER SHOP ITA VERANO BRIANZA ROSSINI SPORT ITA VERMIGLIO LODO SPORT ITA VERNAZZA VERNAZZA SPORT ITA VERONA CAMPO BASE VERONA ITA VERONA DETOUR ITA VERONA GENERATION ITA VERONA MONTURA VERONA ITA VERONA OLIUNÌD VERONA ITA VERONA ROSSIGNOL VERONA ITA VERONA SLIDE BY DETOUR ITA VERONA THE NORTH FACE VERONA ITA VEZZA D’OGLIO ORIZZONTI MONTAGNA ITA VIAREGGIO MARATONANDO ITA VICENZA OLIUNÌD LDR PALESTRA ITA VICENZA OLIUNÌD VICENZA CENTRO ITA VICENZA PRO SPORT ITA VICOFORTE SERGIO SPORT ITA VIGNOLA GILIOLI SPORT ITA VIGNOLA MONDO MONTAGNA ITA VILLAIR VERTICAL NO LIMIT ITA VILLANOVA MONDOVI DHO SPORT ITA VILLANOVA MONDOVI ROSSI ITA VILLANUOVA SUL CLISI SPORTLAND VILLANUOVA ITA VILLASANTA AFFARI & SPORT VILLASANTA ITA VILLENEUVE BAROLI SPORT ITA VILLENEUVE CALZATURE BAROLI ITA VINOVO SPORTLAND TORINO ITA VIPITENO HERBERT PLANK SPORT ITA VITERBO BRUMA STREET STYLE ITA VITERBO LIQUIDO ITA VITERBO RUNNER LA SPORTIVA ZIANO DI FIEMME ITA ZIANO DI FIEMME ITA ZOGNO TIRABOSCHI SPORT ITA ZOLA PREDOSA CRAS ITA ZOLA PREDOSA QUOTA 362 ITA ZOLDO ALTO TABIA SPORT AT ST JOHANN IM PONGAU MOREBOARDS ST. 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1424. 1425. 1426. 1427. 1428. 1429. 1430. 1431. 1432. 1433. 1434. 1435. 1436. 1437. 1438. 1439. 1440. 1441. 1442. 1443. 1444. 1445. 1446. 1447. 1448. 1449. 1450. 1451. 1452. 1453. 1454. 1455. 1456. 1457. 1458. 1459. 1460. 1461. 1462. 1463. 1464. 1465. 1466. 1467. 1468. 1469. 1470. 1471. 1472. 1473. 1474. 1475. 1476. 1477. 1478. 1479. 1480. 1481. 1482. 1483. 1484. 1485. 1486. 1487. 1488. 1489. 1490. 1491. 1492. 1493. 1494. 1495. 1496. 1497. 1498. 1499. 1500. 1501. 1502. 1503. 1504. 1505. 1506. 1507. 1508. 1509. 1510. 1511. 1512. 1513. 1514. 1515. 1516. 1517. 1518. 1519. 1520. 1521. 1522. 1523. 1524. 1525. 1526. 1527. 1528. 1529. 1530. 1531. 1532. 1533. 1534. 1535. 1536. 1537. 1538. 1539. 1540. 1541. 1542. 1543. 1544. 1545. 1546. 1547. 1548. 1549. 1550. 1551. 1552. 1553. 1554. 1555. 1556. 1557. 1558. 1559. 1560. 1561. 1562. 1563. 1564. 1565. 1566. 1567. 1568. 1569. 1570. 1571. 1572. 1573. 1574. 1575. 1576. 1577. 1578. 1579. 1580. 1581. 1582. 1583. 1584. 1585. 1586. 1587. 1588. 1589. 1590. 1591. 1592. 1593. 1594. 1595. 1596. 1597. 1598. 1599. 1600. 1601. 1602. 1603. 1604. 1605. 1606.

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LEADING RELAX HOTEL MARIA ITA ITA RESIDENCE LASTÈ ITA RESORT DOLCE CASA ITA HOTEL BELLAVISTA ITA WINE HOTEL SAN GIACOMO ITA HOTEL ALPECHIARA ITA HOTEL PIANDINEVE ITA SPORT HOTEL VITTORIA ITA ALPIN HOTEL SONNBLICK ITA HOTEL WALDHOF ITA HOTEL BARRAGE ITA HOTEL VILLA GLICINI ITA HOTEL EUROPEO ITA BEVERLY HOTEL DOLOMEET BOUTIQUE HOTEL ITA ITA HOTEL CRISTINA LEFAY RESORT&SPA DOLOMITI ITA ITA OLYMPIC PALACE ITA BLU HOTEL ACQUASERIA ITA GRAND HOTEL PARADISO ITA HOTEL GARNI SORRISO ITA HOTEL MIRELLA ITA JOLLY RESORT&SPA ITA RESIDENCE CLUB ITA CHALET LA CIASETA ITA FAMILY HOTEL GRAN BAITA ITA HOTEL ANDA HOTEL TERME ANTICO BAGNO ITA ITA WELLNESS FASSA ITA HOTEL CASTEL PIETRA ITA FALKENSTEINER HOTEL ITA HOTEL RUDOLF ITA K1 MOUNTAIN CHALET MAJESTIC HOTEL & SPA RESORTITA ITA PARKHOTEL SCHÖNBLICK ITA ROYAL HOTEL HINTERHUBER ITA GRAND HOTEL LIBERTY ITA GRAND HOTEL RIVA ITA HOTEL ANTICO BORGO ITA HOTEL EUROPA ITA HOTEL LIDO PALACE ITA HOTEL LUISE ITA HOTEL PORTICI ITA HOTEL SOLE RELAX ITA VILLA NICOLLI ITA HOTEL LEON D’ORO ITA HOTEL BELLERIVE ITA HOTEL LAURIN ITA HOTEL SALÒ DU PARC ITA RIVALTA LIFE STYLE HOTEL ITA HOTEL ORSO GRIGIO ITA HOTEL VILLA STEFANIA ITA NATURHOTEL LEITLHOF ITA PARKHOTEL SOLE PARADISO ITA POST HOTEL ITA RESIDENCE SILVIA ITA SPORTHOTEL TYROL ITA ZIN SENFTER RESIDENCE ITA HOTEL LA VETTA ITA HOTEL LADINIA ITA RENÈ DOLOMITES BOUTIQUE ITA X ALP HOTEL ITA HOTEL MONTE SELLA ITA CHRISTOPHORUS MOUNTAIN ITA HOTEL AL SONNENHOF ITA HOTEL CHALET CORSO ITA HOTEL CONDOR ITA HOTEL MAREO DOLOMITES ITA HOTEL TERESA RESIDENCE PLAN DE CORONES ITA ITA SPORTHOTEL EXCLUSIVE ITA HOTEL BAITA FIORITA HOTEL RESIDENCE 3 SIGNORI ITA ITA HOTEL VEDIG ITA CHABERTON LODGE ITA HOTEL LA TORRE ITA RELAIS DES ALPES AGRITURISMO MASO LARCIUNEI ITA ITA APARTMENTS SUNELA ITA ARTHOTEL ANTERLEGHES ITA ASTOR SUITES B&B ITA BIANCANEVE FAMILY HOTEL ITA BOUTIQUE HOTEL NIVES ITA CHALET ELISABETH ITA GRANBAITA DOLOMITES ITA HOTEL AARITZ ITA HOTEL ACADIA ITA HOTEL ALPENROYAL ITA HOTEL ANTARES ITA HOTEL CHALET S ITA HOTEL CONTINENTAL ITA HOTEL DORFER ITA HOTEL FANES ITA HOTEL FREINA ITA HOTEL GARNI DOLOMIEU ITA HOTEL GENZIANA ITA HOTEL MIRAVALLE ITA HOTEL OSWALD HOTEL PORTILLO DOLOMITES ITA ITA HOTEL SOMONT ITA HOTEL SUN VALLEY ITA HOTEL TYROL ITA HOTEL WELPONER ITA LUXURY CHALET PLAZOLA ITA MOUNTAIN DESIGN HOTEL MOUNTAIN HOME VILLA ANNA ITA ITA RESIDENCE ISABELL ITA RESIDENCE VILLA FUNTANES RESIDENCE VILLA GRAN BAITA ITA THE LAURIN SMALL&CHARMING ITA ITA WELLNESS RESIDENCE VILLA ITA RESIDENCE VILLA AL SOLE ITA HOTEL TRE CIME SESTO ALPENWELLNESSHOTEL ST.VEIT ITA ITA APARTMENTS RIEGA ITA BERGHOTEL SEXTEN ITA CIMA DODICI B&B ITA FAMILY RESORT RAINER ITA HOTEL ALPENBLICK ITA HOTEL DOLOMITENHOF ITA HOTEL MONIKA ITA HOTEL MONTE CROCE ITA BAD MOOS ITA GRAND HOTEL SESTRIERE ITA HOTEL CRISTALLO ITA HOTEL IL FRAITEVINO HOTEL SHACKLETON MOUNTAIN ITA ITA PRINCIPI DI PIEMONTE ITA ACTIVEHOTEL DIANA ARTNATUR DOLOMITES HOTEL ITA ITA HOTEL WALDRAST DOLOMITI ITA MIRABELL ALPINE GARDEN ITA NATUR RESIDENCE ITA SCHWARZER ADLER ITA SENSORIA DOLOMITES ITA DOLMITES NATURE ITA BAD RATZES ITA HOTEL CEVEDALE PARADIES MOUNTAIN RESORT ITA ITA GRAND HOTEL DELLA POSTA ITA GRAND HOTEL BRISTOL ITA GRAND HOTEL DES ILES ITA HOTEL ASTORIA ITA HOTEL LA PALMA ITA HOTEL MILAN SPERANZA ITA HOTEL REGINA PALACE ITA HOTEL EDELHOF ITA HOTEL IL CERVO ITA CURT DI CLEMENT ECO ITA HOTEL CENTRALE ITA HOTEL DOSSES ITA ALPINHOTEL VAJOLET ITA GRAND HOTEL TREMEZZO ITA HOTEL LENNO ITA ALBERGO ACCADEMIA ITA BOUTIQUE EXCLUSIVE B&B ITA GRAND HOTEL TRENTO ITA HOTEL AMERICA ITA HOTEL BUONCONSIGLIO ITA BÄRENHOTEL ITA BERGHOTEL HOTEL ITA HOTEL CHRISTOPH ITA KRONPLATZ-RESORT ITA HOTEL DU LAC ITA HOTEL ROYAL VICTORIA ITA HOTEL VILLA CIPRESSI ITA GRAND HOTEL MAJESTIC ITA HOTEL ANCORA ITA HOTEL BELVEDERE ITA HOTEL PALLANZA ITA GRAND HOTEL MIRAMONTI ITA HOTEL DELLE ALPI ITA HOTEL RESTAURANT LILIE ITA WELLNESS PARADISE

MOENA MOENA MOENA MONTEBELLUNA PADERNO DEL GRAPPA PALLEUSIEUX PASSO DEL TONALE PASSO DEL TONALE PERCA PERCA PINEROLO PINEROLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PINZOLO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO PONTE DI LEGNO POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA POZZA DI FASSA PRIMIERO RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE RISCONE/BRUNICO RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA RIVA DEL GARDA ROVERETO SALÒ SALÒ SALÒ SALÒ SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN CANDIDO SAN DOMENICO SAN GIOVANNI DI FASSA SAN GIOVANNI DI FASSA SAN GIOVANNI DI FASSA SAN VIGILIO DI FAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SAN VIGILIO DI MAREBBE SANTA CATERINA SANTA CATERINA SANTA CATERINA SAUZE D’OULX SAUZE D’OULX SAUZE D’OULX SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SELVA DI VAL GARDENA SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO SESTO MOSCO SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SESTRIERE SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI SIUSI ALLO SCILIAR SIUSI ALLO SCILIAR SOLDA SOLDA SONDRIO STRESA STRESA STRESA STRESA STRESA STRESA TARVISIO TARVISIO TIRANO TIRANO TIRES TIRES TREMEZZINA TREMEZZINA TRENTO TRENTO TRENTO TRENTO TRENTO VALDAORA VALDAORA VALDAORA VALDAORA VARENNA VARENNA VARENNA VERBANIA VERBANIA VERBANIA VERBANIA VERMIGLIO VERMIGLIO VIPITENO ZIANO DI FIEMME

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Questo tempo ci è estraneo. Questo luogo storico non ci appartiene. Siamo soli. Soli con la parte più vera di noi stessi, eppure la più estranea. Non la mostriamo a nessuno, celata agli altri per paura che non sia accettata. In un mondo in cui tutto necessita di essere falsificato affinché venga compreso, chi mostra il proprio io inalterato da costrutti sociali, luoghi comuni e pregiudizi, è condannato alla solitudine. Viviamo identificandoci, confrontandoci, alleandoci con gli altri. Sappiamo vivere senza? Questa fase dell’umanità ci fa comprendere quanta della nostra personalità dipenda dall’esterno, dalla superficialità. La vergogna, l’invidia, le competizioni svaniscono insieme al gioco socia-

PHOTO THOMAS MONSORNO

le, in cui vince chi appare, non chi è. Chi ostenta, chi vanta, chi mente a sé stesso. Riguardo le proprie debolezze, le proprie fragilità, i propri fallimenti. Perché non siamo più autorizzati o abituati a fallire. Non si perdona, a causa della convinzione che non si possa sbagliare. Ma se tutti ci guardassimo dentro, scopriremmo una realtà che urla. Agglomerati di anime vaganti senza una meta. E questa falsa verità ci porta a mascherare con vergogna la nostra legittima ignoranza verso la vita e il suo senso. A costruire i nostri alter ego, riflessi perfetti, ma fasulli. E allora, cosa siamo senza tutto questo? Cosa rappresentiamo quando non abbiamo nessuno a cui mostra-

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re? Forse ci troveremo davanti a noi stessi, e dovremo farci perdonare per non esserci accettati. Per aver cercato a tutti i costi di modellarci secondo lo stampo della società. Dovremo chiederci perdono per tutte le volte in cui ci siamo tappati la bocca. Saremo finalmente costretti ad incontrarci. A chiederci cosa rimane di noi senza il fracasso della collettività e del conformismo. Senza i nostri vestiti firmati, i falsi sorrisi, le amicizie di plastica, le idee imitate. Cosa rimane di vero quando ci spogliamo della falsità? “La vera solitudine è un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.” - Luigi Pirandello, Uno, Nessuno e Centomila


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