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ESSERE IMPRESA, NON PER SPORT, MA PER UN FUTURO RADIOSO

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HA Innovation

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Vasche desolatamente vuote per chiusure senza logica e folli regole e protocolli, colpo mortale per molte piscine, palestre, imprese - Aqua Design Group

ESSERE IMPRESA, NON PER SPORT, MA PER UN FUTURO RADIOSO

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È singolare constatare come si indignino politici ed esperti perché l’Italia è al primo posto in Europa per obesità infantile o per le difficoltà di diffondere la cultura per contenere i costi sanitari attraverso l’attività fisica. È altresì stucchevole rilevare tuttavia che la classe dirigente politica attuale, dimentica di tanti paludati proclami e impegni assunti, in epoca pandemica preferisca sbrigativamente chiudere lo sport definendolo “non essenziale”. Se questa è palese ignoranza che nega all’Italia il diritto alla salute, noi paghiamo parecchio l’inesistenza di un’identità e di un soggetto rappresentativo di tutte le anime che compongono il settore, forte di un ruolo socio-sanitario poco eguagliabile e costi nulli a carico del pubblico che ha preferito scaricarli sul privato: il comparto tutto vale quasi 4 punti di PIL e ben oltre un milione e mezzo di posti di lavoro.

Dati afferenti a mercato e parametri economici che collidono con il colpo mortale inferto dalla politica alla comunità sportiva e stridono parecchio con le incongruenze sistemiche di un mondo in attesa di una legge che in premessa sembra fare più confusione che chiarezza. Mercato significa indici relativi a ricavi, avanzi di bilancio, -per le imprese- profitto, vitali per lo sviluppo e la crescita di qualsiasi attività produttiva o di servizi, ancor più se sociali. Da questa crisi emerge nettissima la differenza fra chi fa impresa nella gestione di piscine e palestre, senza penalizzare l’agonismo, e chi agisce come mera società sportiva, che, fra le altre cose, gestisce. Due interpretazioni poco conciliabili e che segnalano l’inadeguatezza di una federazione a rappresentare gli interessi dei primi, mentre è ideale e fondamentale per le proiezioni dei secondi. Aprire gli impianti per i “tesserati” ha contrariato oltre il 70% dei gestori: insostenibile per chi fa del servizio pubblico un’attività di impresa.

Privati che devono compensare le mancanze del pubblico anche in materia manutentiva e di ammodernamento del patrimonio impiantistico: nel Recovery Fund si vaneggia di 700 milioni di Euro per gli impianti sportivi, quando, per le nostre strutture spesso in degrado, servono almeno 11,5 miliardi. È un po’ come se per le scuole, invece di investire sul ripristino di immobili o sulla digitalizzazione, prevalesse la follia di destinare mezzo miliardo di euro per banchi con le rotelle(!). Farebbe il paio con la geniale idea di riaprire le piscine con un utente per corsia. Riflettiamo, difendiamoci, pretendiamo ascolto e lauti risarcimenti prima che brucino le poche risorse destinabili a noi.

Marco Tornatore

DA QUESTA CRISI EMERGE NETTISSIMA LA DIFFERENZA FRA CHI FA IMPRESA NELLA GESTIONE DI PISCINE E PALESTRE, SENZA PENALIZZARE LO SPORT IN CHIAVE AGONISTICA, E CHI AGISCE COME MERA SOCIETÀ SPORTIVA, CHE, FRA LE ALTRE COSE, GESTISCE

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