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Robot. The human project

La mostra al Mudec di Milano che ripercorre la storia della robotica e avvicina l’uomo agli automi del futuro. La nostra intervista ai tre curatori.

Robothespian 2017 Engineered Arts Ltd Crediti fotografici © Engineered Arts Ltd

Avremmo dovuto visitarla dal vivo e viverla di persona. Avremmo potuto apprezzarla in tutte le sue sfaccettature e significati. E avremmo potuto vivere una serata all’insegna della tecnologia, del futuro e del progresso nella splendida cornice del Mudec, Museo delle Culture di Milano in occasione dell’evento riservato a porte chiuse che anche quest’anno Héra Holding aveva organizzato proprio in occasione dell’inaugurazione della mostra Robot. The Human Project. Ma per il momento siamo qui a raccontarla attraverso le parole di chi l’ha ideata, l’ha progettata e l’ha realizzata. Alberto Mazzoni, fisico e bioingegnere, Antonio Marazzi, antropologo, Lavinia Galli, storica dell’arte, sono i tre curatori del percorso espositivo, attualmente allestito al Mudec e che sarà prossimamente aperta al pubblico, che racconta la storia della relazione tra l’essere umano e il suo doppio artificiale: dai primi automi fino ai cyborg, agli androidi e ai robot emotivi dei giorni nostri, svelando al pubblico i risultati concreti finora raggiunti, gli straordinari sviluppi tecnologici e le frontiere della robotica e della bionica. Tre visioni diverse per un triplice respiro tecnico-scientifico, antropologico e artistico di un allestimento che esalta un approccio immersivo ed esperienziale, pensato anche a misura di bambino. La mostra è diretta infatti a differenti tipi di pubblico: agli adulti per una chiave di lettura sul futuro e alle famiglie che possono entrare nel mondo della ricerca e dei temi più attuali del dibattito sulla robotica e provare l’emozione unica di interagire direttamente con alcuni dei robot più all’avanguardia del mondo o ammirare quelli antichi in movimento.

Innanzitutto, com’è nata l’idea di questa mostra e come siete riusciti a mettere insieme tutti questi enti

Creative Engineering Design Area, The BioRobotics Institute Lampetra - 2011 Pisa, Creative Engineering Design Area, The BioRobotics Institute, Scuola Superiore Sant’Anna

© The BioRobotics Institute, Scuola Superiore Sant’Anna

promotori?

Mazzoni: l’idea di questa mostra nasce dall’automa Settala, capolavoro di ingegneria già presente al MUDEC. Da lì abbiamo pensato a un percorso che narrasse la storia dei tentativi dell’uomo di riprodurre, con l’aiuto della meccanica prima e dell’elettronica poi, i propri comportamenti in esseri artificiali. Forse il momento cruciale è stato quando abbiamo deciso, anche per differenziarci da altri eventi, di porre l’attenzione non sul robot/automa come oggetto isolato, ma sulla sua interazione con gli uomini, fino ad arrivare alle attuali frontiere della bionica - il nostro divenire parzialmente robotici - e della cobotica - la collaborazione sociale tra uomini e macchine. La risposta dal variegato mondo della robotica italiana è stata molto forte, a partire dall’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Una volta che il mondo della ricerca ha risposto - significativo il patrocinio del Gruppo Nazionale Bioingegneria - gli altri enti hanno partecipato molto volentieri.

Un aspetto che la mostra tratta è il desiderio dell’uomo di creare un suo alter ego meccanico. Un desiderio che la mostra fa vedere che c’è da sempre. Da dove nasce questo bisogno?

Mazzoni: Non è un bisogno nel senso in cui si ha bisogno di acqua o di cibo. E’ una sfida, come la proverbiale scalata alle montagne. Una apparente sfida al divino nel senso di creare a propria immagine e somiglianza che in realtà nasconde il desiderio di capire sé stessi. Creare per capire (uno dei principi base della biorobotica): se riuscissimo davvero a costruire un essere umano artificiale allora sapremmo che cos’è un essere umano.

Pro-Flex Pivot e Rheo Knee Eindhoven, Össur Europe bv © Össur Europe bv

Marazzi: è la cultura che aspira a imitare la natura. Innumerevoli rappresentazioni mitologiche e religiose hanno come manifestazione massima il potere creatore, e l’uomo a sua volta vorrebbe superare i limiti di una riproduzione naturale e farsi lui stesso artefice di un proprio simile, simbolo della sua capacità di intervento sulla natura e le sue leggi. Nel corso della storia, una tale aspirazione è andata via via allontanandosi da una dimensione fantastica, mitologica e utopistica, per farsi oggetto di pura meraviglia e infine, al giorno d’oggi, diventare espressione dell’universo tecnologico delle nostre società. Il robot umanoide è l’immagine più attuale di questo processo creativo, protagonista di una dimensione artificiale con la quale l’uomo interagisce, in un costante dialogo con la propria creatura, fino a realizzare una simbiosi che è aspirazione caratteristica del mondo in cui viviamo. Galli: la parola Automaton, da cui deriva automi è greca e significa che si muove da solo. In effetti è nella culla della cultura ellenistica alessandrina che nascono meccanismi automatici semoventi dalla forma umana o animale. Immaginate lo stupore degli antichi greci nel vedere un oggetto apparentemente inanimato muoversi come una creatura vivente. In effetti alla base di queste creazioni c’e il desiderio di stupire, per rendere più misteriose celebrazioni sacre (porte di templi che si aprono da sole) o per spettacolarizzare il teatro (deus ex machina). In mostra abbiamo una replica del primo automa in forma umana: il servo automatico di Philon che arriva da Atene. L’aspirazione a creare una replica di se’ stesso in grado di sollevare l’uomo dalle fatiche affonda poi nel mito un po’ di tutte le civiltà, pensiamo per esempio al Golem ebraico, o a Thalos che difendeva le coste di Creta...

La mostra ripercorre la storia del rapporto tra uomo e meccanica/intelligenza artificiale consentendo al pubblico di vedere dal vivo esempi di meccanica antica provenienti da tutta Europa. È stato difficile riuscire ad avere questi esemplari unici? Quali sono secondo voi quelli più interessanti e importanti?

Mazzoni: Data anche l’attuale situazione non è stato banale, ma siamo davvero contenti della collezione ottenuta. Difficile dire quale sia il più interessante. Forse il più importante è il primo, la riproduzione dal progetto originale di un automa alessandrino che versa l’acqua in una coppa. La cosa incredibile è che versare l’acqua in un bicchiere è ancora oggi uno dei test principali per le braccia robotiche: un gesto che a noi appare banale e compiamo molte volte al giorno richiede in realtà un continuo aggiustamento in base alle informazioni sensoriali perché la bottiglia via via che l’acqua esce cambia di peso e di “momento”. L’automa alessandrino rappresenta quindi sia l’idea che per secoli la riproduzione dell’uomo era una attività che afferiva principalmente allo spettacolo (l’automa era probabilmente destinato ad essere mostrato alle feste) che il desiderio della sfida tecnica che evidentemente i nostri predecessori condividevano con noi.

Galli: Gli automi sono oggetti delicati, i loro meccanismi sono fragili, i musei non li movimentano volentieri. La raccolta di automi visibili in mostra è straordinaria, perché riunisce oggetti da tutta Europa riuscendo così a raccontare la storia degli automi dal XVI al XIX secolo. Tutti gli oggetti sono stati oggetto di sopralluoghi e trattative delicate. Dobbiamo ringraziare tutti i prestatori di avere generosamente concesso la proroga ai prestiti. Oggetti eccezionali sono la dama

meccanica del XVI attribuita all’ingegner e Janello Torriani, gli automi della collezione milanese di Manfredo Settala, la bellissima Diana sul cervo in argento dorato realizzata in Germania appartenuta al principe Trivulzio, e i prestiti svizzeri, il Mago automa di Maillardet, il baco da seta del museo di La Locle, le meraviglie di quel genio settecentesco di Jaquet Droz ma anche un monumentale orologio mosso ben da diciannove automi. Una serie di video in mostra consente di vedere questi automi in azione, oltre a una proiezione davvero magica che ci spinge all’interno di questi sofisticati meccanismi, appunto meccanici. Il visitatore deve comprendere quanta meccanica sia necessaria per eseguire anche solo il gesto di muoversi o di emettere dei suoni.

Quando si pensa alla tecnologia, all’evoluzione della meccanica e all’intelligenza artificiale, nell’immaginario collettivo ci si ricollega erroneamente soprattutto a realtà come il Giappone, la Cina, gli Stati Uniti, forse anche perché condizionati dalla cultura di massa indotta dal cinema etc. Qual è stato nella storia e qual è il ruolo dell’Italia in questo progresso tecnologico?

Mazzoni: L’Italia rappresenta ad oggi una delle nazioni più avanzate dal punto di vista dello sviluppo della robotica industriale e di servizio, e questo ha radici profonde. Non a caso abbiamo deciso di dedicare un’intera sezione della mostra all’esperienza dell’Olivetti, con lo sviluppo del calcolatore italiano che all’epoca era assolutamente all’avanguardia mondiale.

La forza della mostra sta anche nella sua natura interattiva. Che esperienza avete pensato per il pubblico?

Mazzoni: La mostra è letteralmente interattiva dall’inizio alla fine. I visitatori verranno infatti ricevuti da Robothespian, un incredibile robot umanoide da intrattenimento che divertirà il pubblico e farà loro da guida mostrando al contempo i traguardi raggiunti nel campo della meccanica e dell’interazione. Alla fine della mostra ci sarà invece una sezione dedicata all’intelligenza artificiale con un algoritmo che partirà con una capacità limitate e diventerà più intelligente nel corso dei mesi interagendo col pubblico che lo aiuterà a imparare a riconoscere diversi oggetti. Tra questi due estremi, il pubblico potrà controllare le mani robotiche più avanzate al mondo (entrambe di produzione italiana), vedere un piccolo robot che impara a difendersi da una

Robothespian 2017 Engineered Arts Ltd Crediti fotografici © Engineered Arts Ltd

LIRA-Lab James 2001-2004 Genova, IIT - Istituto Italiano di Tecnologia © Istituto Italiano di Tecnologia

minaccia, e altri eventi “dal vivo” se così si può dire nel caso dei robot.

Marazzi: Le sale della mostra sono state concepite per aree tematiche, alla fine delle quali i visitatori sono invitati a una breve pausa di riflessione, a cui può accompagnarsi uno spunto fornito da un breve video da parte di uno dei curatori. Mentre è ancora fresca l’impressione di ciò che ha visto, chi lo desidera può esprimere il proprio parere, e rispondere affermativamente o negativamente a una semplice domanda afferente al tema della sala, premendo uno o l’altro dei pulsanti predisposti. Nello spirito di un processo interattivo al quale i visitatori sono invitati a partecipare, le informazioni raccolte saranno utili per meglio conoscere le reazioni ai vari aspetti di una tematica tanto innovativa.

Nel caso in cui non si riuscisse ad aprire la mostra al pubblico causa pandemia, come pensate di farla arrivare alla gente?

Mazzoni: La mostra aprirà dal vivo questo autunno. Al momento però ci stiamo attrezzando per visite virtuali che consentiranno di muoversi negli ambienti accompagnati da video.

La robotica e l’intelligenza artificiale sono state molte volte raccontate nella letteratura, nel cinema, nei videogiochi, spesso in opere di cifra futuristica, e questo aspetto è trattato ampiamente nella mostra nella sezione Pop Culture. Quali sono secondo voi i casi in cui queste opere hanno saputo meglio anticipare il progresso tecnologico? E ci sono dei casi che hanno addirittura influenzato la ricerca scientifica successiva?

Mazzoni: Personalmente credo che il movimento cyberpunk dalla fine degli anni ‘80 alla fine degli anni ‘90, diciamo lo spettro che va dai romanzi di Gibson come Neuromante a Matrix delle sorelle Wachowski passando per Ghost in the Shell di Masamune Shirow sia stato quello che ha predetto meglio l’attuale situazione di iperconnessione, ipercontrollo, catastrofe ecologica e crollo della distinzione tra reale e artificiale, compreso l’ambito biologico e cognitivo. Il movimento cyberpunk si è esaurito perché la sua fantascienza è diventata realtà, come ha detto lo stesso Gibson. Come lei dice giustamente l’immaginario pop non solo precede ma influenza la scienza perché nessuno legge tanti fumetti e guarda tanti blockbuster come i ricercatori, glielo dico per esperienza personale. Sono celebri le dichiarazioni dei pionieri della robotica giapponese che hanno dichiarato di essersi ispirati al manga Astroboy, ma credo che per i ricercatori occidentali il punto di riferimento rimanga ineludibilmente Asimov. Speriamo solo che le nuove generazioni di ricercatori non si ispirino ai film dei Transformers, che sono davvero brutti.

La mostra ovviamente apre anche alla discussione del problema etico legato alle intelligenze artificiali e alla robotica. Secondo voi come va gestito, adesso e nel futuro,il progresso tecnologico per riuscire ad evitare una degenerazione dello stesso?

Mazzoni: Ci sono due cose da fare. La prima è privilegiare la ricerca pubblica che non solo opera, nei limiti del possibile, per fini di pubblica utilità, dovendo rendere conto soltanto ai cittadini dei risultati ottenuti, ma anche e forse soprattutto è una ricerca aperta, una ricerca basata sulla condivisione dei metodi e dei risultati. Essere governati da algoritmi il cui funzionamento è secretato è inaccettabile. La seconda è aumentare il livello di conoscenza scientifica media della cittadinanza. Le scelte etiche riguardanti applicazioni tecnologiche così delicate devono essere fatte in modo non solo competente ma prima ancora democratico. L’unica soluzione è che il numero più ampio di persone possibile abbia le conoscenze necessarie per partecipare al dibattito democratico. Mi piace pensare che la nostra mostra contribuisca a questa diffusione della conoscenza.

Marazzi: Come giudicare il comportamento dei robot, nuovi compagni sempre più presenti nella vita quotidiana pubblica e privata delle società tecnologicamente avanzate? Accanto alla ricerca di una crescente autonomia operativa, orientata a consentire al robot di apprendere dalle proprie azioni, sorge il problema di come valutare tali azioni all’interno del sistema di valori vigente nella società nella quale il robot si trova ad operare. Sono domande che è sempre opportuno porsi, per assicurare al progresso scientifico e tecnologico la coerenza con quei principi etici ai quali tutti i membri di una società devono attenersi, anche quei ‘cittadini speciali’ che sono i robot. Occorre però, per non abbandonarsi a una inquietante deriva fantascientifica, tenere fermo il principio che la responsabilità delle azioni di un robot è sempre dell’uomo, sia esso l’inventore o semplice operatore, senza potere evadere la questione. Il comportamento etico risponde a un

codice morale che l’uomo si è dato, e che rappresenta il fulcro della vita sociale. Si può tenere nel proprio giardino un cane o una tigre: sarà sempre il padrone di casa a rispondere delle loro azioni, secondo le leggi umane.

English Version

Robot. The human project

The exhibition at the Mudec museum in Milan that traces the history of robotics and brings man closer to the automatons of the future. Our interview with the three curators

We should have visited and experienced it live. We could have appreciated it in all its facets and meanings. And we could have lived an evening of technology, of the future and of progress in the beautiful setting of the Mudec, Museum of Cultures of Milan on the occasion of the event reserved behind closed doors that Héra Holding had organized this year also on the occasion of the opening of the exhibition Robot. The Human Project. But for the moment we are here to tell it through the words of those who conceived it, designed it and created it. Alberto Mazzoni, physicist and bioengineer, Antonio Marazzi, anthropologist, Lavinia Galli, art historian, are the three curators of the exhibition, currently set up at Mudec but not yet open to the public, which tells the story of the relationship between the human being and its artificial double: from the first automata to cyborgs, androids and emotional robots of today, revealing to the public the concrete results achieved so far, the extraordinary technological developments and the frontiers of robotics and bionics. Three different visions for a triple technical-scientific, anthropological and artistic breath of a setting that enhances an immersive and experiential approach, also designed for children. The exhibition is in fact aimed at different types of audiences: adults for a reading key on the future and families who can enter the world of research and the most current topics of the debate on robotics and experience the unique emotion of interacting directly with some of the most avant-garde robots in the world or admire the ancient ones in motion.

Hannes – mano protesica poliarticolata a controllo mioelettrico 2019 Genova, IIT - Istituto Italiano di Tecnologia © Istituto Italiano di Tecnologia

Joachim Friess Diana cacciatrice 1610-1620 circa Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana ©Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Gianni Cigolini/Mondadori Portfolio

First of all, how did the idea for this exhibition come about and how did you manage to put together all these promoters? Mazzoni: the idea of this exhibition was born from the Settala automaton, an engineering masterpiece already present at MUDEC. From there we thought of a path that narrated the history of man’s attempts to reproduce, with the help of mechanics first and then electronics, his own behaviors in artificial beings. Perhaps the crucial moment was when we decided, also to differentiate ourselves from other events, to focus attention not on the robot / automaton as an isolated object, but on its interaction with men, up to the current frontiers of bionics - our becoming partially robotic - and cobotic - the social collaboration between men and machines. The response from the varied world of Italian robotics has been very strong, starting with the Biorobotics Institute of the School Superiore Sant’Anna in Pisa. Once the research world responded - significant patronage by the National Bioengineering Group - the other bodies took part willingly. desire to create his own mechanical alter ego. A desire that the exhibition shows has always been there. Where does this need come from?

Mazzoni: It is not a need in the sense in which you need water or food. It’s a challenge, like the proverbial climb to the mountains. An apparent challenge to the divine in the sense of creating in one’s own image and likeness that actually hides the desire to understand oneself. Creating to understand (one of the basic principles of biorobotics): if we could really build an artificial human being then we would know what a human

being is.

Marazzi: it is the culture that aspires to imitate nature. Innumerable mythological and religious representations have as maximum manifestation the creative power, and man in turn would like to overcome the limits of a natural reproduction and make himself the architect of his own fellow man, a symbol of his ability to intervene on nature and its laws . Throughout history, such an aspiration has gradually moved away from a fantastic, mythological and utopian dimension, to become an object of pure wonder and finally, nowadays, to become an expression of the technological universe of our societies. The humanoid robot is the most current image of this creative process, the protagonist of an artificial dimension with which man interacts, in constant dialogue with his own creature, until he realizes a symbiosis which is a characteristic aspiration of the world in which we live .

Galli: the word Automaton, from which automata derives is Greek and means that it moves by itself. In fact, it is in the cradle of the Alexandrian Hellenistic culture that automatic self-propelled mechanisms of human or animal form are born. Imagine the amazement of the ancient Greeks in seeing an apparently inanimate object move like a living creature. In fact, the basis of these creations is the desire to amaze, to make sacred celebrations more mysterious (doors of temples that open by themselves) or to make the theater spectacular (deus ex machina). On display we have a replica of the first automaton in human form: Philon’s automatic servant arriving from Athens. The aspiration to create a replica of himself capable of relieving man from fatigue then sinks into the myth a bit of all civilizations, for example we think of the Jewish Golem, or Thalos who defended the coasts of Crete ... The exhibition traces the history of the relationship between man and mechanics/artificial intelligence, allowing the public to see live examples of ancient mechanics from all over Europe. Was it difficult to have these unique specimens? What do you think are the most interesting and important ones? Mazzoni: Given the current situation, it was not trivial, but we are really happy with the collection obtained. Difficult to say which is the most interesting. Perhaps the most important is the first, the reproduction from the original design of an Alexandrian automaton pouring water into a cup. The amazing thing is that pouring water into a glass is still one of the main tests for robotic arms: a gesture that appears trivial to us and we do

Wearable Robotics Laboratory, The BioRobotics Institute HANDExos 2010-2013 Pisa, Wearable Robotics Laboratory, The BioRobotics Institute, Scuola Superiore Sant’Anna © The BioRobotics Institute, Scuola Superiore Sant’Anna

Orologio da tavolo con automa del leone di San Marco 1630 circa Milano, Museo Poldi Pezzoli © Museo Poldi Pezzoli, Milano

Luca Garai e Opera Laboratori Fiorentini Ricostruzione funzionante del leone meccanico di Leonardo da Vinci 2005 Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna - Genus Bononiae © Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna - Genus Bononiae

Janello Torriani (attr.) Matrona che suona un timpano seconda metà del XVI secolo Milano, Collezione privata © Foto Mario Liguigli

Copia dell’automa con testa di diavolo proveniente dal museo di Manfredo Settala - ditta UNOCAD 2015 Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, Castello Sforzesco © Civiche Raccolte d’Arte/Foto Saporetti, Milano

many times a day actually requires a continuous adjustment based on sensory information because the bottle as the water comes out changes in weight and “moment”. The Alexandrian automaton therefore represents both the idea that for centuries the reproduction of man was an activity that mainly related to the show (the automaton was probably intended to be shown at parties) and the desire for the technical challenge that evidently our predecessors they shared with us.

Galli: Automata are delicate objects, their mechanisms are fragile, museums don’t willingly move them. The collection of automata visible in the exhibition is extraordinary, because it brings together objects from all over Europe thus managing to tell the story of automata from the 16th to the 19th century. All the objects have been the subject of inspections and delicate negotiations. We must thank all the lenders for generously granting the extension of the loans. Exceptional objects are the 16th century mechanical checkers attributed to the engineer and Janello Torriani, the automatons of the Milanese collection of Manfredo Settala, the beautiful Diana on the deer in gilded silver made in Germany which belonged to Prince Trivulzio, and the Swiss loans, the Wizard of Maillardet automaton , the silkworm of the La Locle museum, the wonders of that eighteenth-century genius by Jaquet Droz but also a monumental clock well moved by nineteen automata. A series of videos on display allows you to see these automata in action, as well as a truly magical projection that pushes us into these sophisticated mechanisms, precisely mechanical. The visitor must understand how much mechanics is needed to perform even the gesture of moving, or making sounds.

When we think of technology, the evolution of mechanics and artificial intelligence, in the collective imagination we erroneously connect above all to realities such as Japan, China, the United States, perhaps also because they are conditioned by the mass culture induced by cinema etc. What has been in history and what is the role of Italy in this technological progress?

Mazzoni: Italy today represents one of the most advanced nations from the point of view of the development of industrial and service robotics, and this has deep roots. It is no coincidence that we decided to dedicate an entire section of the exhibition to the experience of Olivetti, with the development of the Italian calculator which at the time was absolutely at the forefront of the world. The strength of the exhibition also lies in its interactive nature. What experience did you think for the public? Mazzoni: The exhibition is literally interactive from start to finish. Visitors will in fact be received by Robothespian, an incredible humanoid entertainment robot that will entertain the public and guide them while showing the achievements in the field of mechanics and interaction. At the end of the exhibition there will instead be a section dedicated to artificial intelligence with an algorithm that will start with limited capacity and will become more intelligent over the months interacting with the public that will help him learn to recognize different objects. Between these two extremes, the public will be able to control the most advanced robotic hands in the world (both of Italian production), see a small robot that learns to defend itself from a threat, and other “live” events if you can say so in the case of robot.

Marazzi: The exhibition rooms have been conceived for thematic areas, at the end of which visitors are invited to a short pause for reflection, which can be accompanied by an idea provided by a short video by one of the curators. While the impression of what he has seen is still fresh, those

who wish can express their opinion, and answer affirmatively or negatively to a simple question relating to the theme of the room, by pressing one or the other of the buttons provided. In the spirit of an interactive process in which visitors are invited to participate, the information collected will be useful to better understand the reactions to the various aspects of such an innovative theme.

In the event that you cannot open the exhibition to the public due to the pandemic, how do you plan to get it to reach people? Mazzoni: The exhibition will open live this fall. At the moment, however, we are gearing up for virtual visits that will allow us to move around in environments accompanied by videos.

Robotics and artificial intelligence have been told many times in literature, cinema, video games, often in futuristic works, and this aspect is covered extensively in the exhibition in the Pop Culture section. What do you think are the cases in which these works have been able to better anticipate technological progress? And are there any cases that even influenced subsequent scientific research?

Mazzoni: Personally I believe that the cyberpunk movement from the late 80s to the late 90s, let’s say the spectrum that goes from Gibson’s novels as Neuromancer to the Matrix of the Wachowski sisters passing through Masamune Shirow’s Ghost in the Shell was what it predicted better the current situation of hyper-connection, hypercontrol, ecological catastrophe and collapse of the distinction between real and artificial, including the biological and cognitive sphere. The cyberpunk movement has run out because its science fiction has become a reality, as Gibson himself said. As you rightly say, the pop imagery not only precedes but influences science because nobody reads many comics and watches as many blockbusters as researchers, I tell you from personal experience. The statements of the pioneers of Japanese robotics who said they were inspired by the Astroboy manga are famous, but I believe that for western researchers the reference point remains unavoidably Asimov. Let’s just hope that the new generations of researchers aren’t inspired by the Transformers films, which are really ugly.

The exhibition obviously also opens up to the discussion of the ethical problem linked to artificial intelligence and robotics. In your opinion, how should technological progress be managed, now and in the future, in order to avoid its degeneration?

Mazzoni: There are two things to do. The first is to privilege public research which not only works, as far as possible, for purposes of public utility, having to account only to citizens for the results obtained, but also and perhaps above all it is an open research, a research based on sharing methods and results. Being governed by algorithms whose operation is secreted is unacceptable. The second is to increase the level of average scientific knowledge of citizenship. The ethical choices regarding such delicate technological applications must be made not only in a competent way but even before democratic. The only solution is that the largest possible number of people have the necessary knowledge to participate in the democratic debate. I like to think that our exhibition contributes to this diffusion of knowledge.

Marazzi: How to judge the behavior of robots, new companions increasingly present in the public and private daily life of technologically advanced companies? Alongside the search for a growing operational autonomy, oriented to allow the robot to learn from its actions, there is the problem of how to evaluate these actions within the value system in force in the society in which the robot is operating. These are questions that should always be asked, in order to ensure scientific and technological progress consistency with those ethical principles that all members of a society must adhere to, even those ‘special citizens’ who are robots. In order not to abandon oneself to a disturbing scifi drift, it is necessary to keep firm the principle that the responsibility for the actions of a robot is always man’s, be it the inventor or simple operator, without being able to deal with the matter. Ethical behavior responds to a moral code that man has given himself, and which represents the fulcrum of social life. You can keep a dog or a tiger in your garden: the landlord will always be responsible for their actions, according to human laws.

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