1
L’He
Indice
N° 12 Dodicesima Edizione 17 Gennaio 2017
I PROPOSITI DI UN NUOVO ANNO…….…….pag.3 MINI QUESTIONARIO PROUST…………..……pag.4 LE SFUMATURE DEL PORNO……..……….……pag.5 VITA DI UN’ATTRICE PORNO…………….…….pag.6 LA DIPENDENZA È UNA MALATTIA O UNA SCELTA?........................................pag.8 ALFIERI………………………………………..………..pag.10 LA SCELTA DI HEATH…………………………..…pag.12 FREEDA………………………………………..……….pag.14 Ονειρόφρων…………………………..….………...pag.15
Giornalino degli studenti del L.S.S. Elio Vittorini Via Donati 5-7, 20146, Milano (MI) Italia
IgnOroscopo……………………………….…….…..pag.16 Giochi…………………………….……………………..pag.17
Seguici anche su
Anno Scolastico 2017/2018 Terzo Anno
@lhevittorini
@laccae
Se vuoi inviarci un articolo o chiederci qualcosa: he.vittorini@gmail.com
LA REDAZIONE Filippo Gianoglio 4^A Giulia Ghirardi 5^C Enrico Maraboli 5^D Silvia Picca 2^E Riccardo Fidanzia 5^G Sabrina Lo Giudice 4^C Giulio Civita 1^F Giada Gaudioso 3^F
Eleonora Ciocca 5^D Lorenzo Ferrara 5^C Giulia Zanoletti 3^F Simone Montandon 3^F Elisa Montobbio 3^F Gabriele Celoria 3^F Silvia Gentilini 2^E Riccardo Grossi 3^F Stampa a carico del L.S.S. Elio Vittorini 2
I PROPOSITI DI UN NUOVO ANNO E dunque eccoci qua, che 2017 movimentato! Tra felpe, annuari, padelle, discoteche e politica sul fumo il Vittorini ne ha viste di belle. Ci avviamo allora dunque a un 2018 con il cuore che non conosce paura (andiamo, cosa potrebbe mai andare storto?) e con una bellissima lista dei buoni propositi. Il primo è sicuramente, come la copertina vi ha già suggerito, di celebrare la scomparsa del più grande gruppo italiano dopo gli Area e la PFM (e forse anche i Profeti, ma quella è una cosa mia). Il secondo è quello di mantenere una parvenza di serietà: ci proviamo con un approfondimento sul mondo del porno, troverete quelli che sono i pensieri di una nostra coetanea e, subito dopo, uno spaccato ferocemente realista sulla penosa vita che un pornodivo deve condurre. Chiudono il cerchio un articolo sui dieci anni dalla scomparsa di Heath Ledger e un
pippone (ma non disperate, è interessante: parla di dipendenze) che la nostra cara Elisa ha scritto. Giungiamo ora al terzo proposito: questo non sarebbe un vero numero de L’He se non contenesse almeno una piccola provocazione, o un’idea, o qualcosa che in generale faccia storcere il naso alla fetta democristiana dei nostri lettori. Considerando inoltre che tra poco divento pienamente perseguibile dalla legge, conviene scriverlo finché sono minorenne. Ecco allora qui l’idea: negli anni abbiamo fatto le felpe, la cogestione, il torneo di calcetto, perché “rafforzavano” la coesione tra studenti. Ma non vogliamo allora scegliere un inno del Vittorini? Già, una canzone che ci unisca. Sapete che figata entrare a scuola con una verifica in prima ora ma avere a rafforzarci il morale e la speranza una canzone e non la
3
pippata di Oki? E poi dai, a dicembre c’erano Brusa e Mimmo che testavano felici gli altoparlanti: non vorremmo mica lasciarli inutilizzati? Rimane un fatto problematico: scegliere la canzone. Potremmo restringere piano piano sul genere, poi sull’artista, sull’album e infine sul singolo, ma io credo che una scelta del genere ci possa allontanare dall’unico vero inno che il Vittorini merita. Brioso, incalzante, facile da memorizzare (saranno due strofe) e con tanto di coreografia abbinata. CUBA DEI GIBSON BROTHERS E poi dài, chi è che non sogna di vedere Scalco, Pizzoccheri e Chiodini che la ballano nel tunnel con dei pantaloni gialli aderenti mentre vi augurano buon inizio settimana?
MINI QUESTIONARIO PROUST Risponde Maria Luisa De Lena, professoressa di Lingua e Letteratura Latina Il tratto principale del suo carattere? Sono una persona accomodante che cerca sempre di evitare conflitti. Quando il suo primo bacio? In età adolescenziale Il suo alcolico preferito? Sono astemia. Autori preferiti? Ce ne sono tanti…leggere è una delle mie passioni e divoro libri sin dalla più tenera età. Ho amato particolarmente alcune scrittrici donne come Isabel Allende e Dacia Maraini. Il suo eroe? Se si intende il personaggio storico preferito allora Cesare, ma nel senso più consueto del termine, allora per me è tale chiunque dedichi la sua vita agli altri, come le forze dell’Ordine, la Protezione civile, i missionari… Il suo peggior difetto? Sicuramente la pignoleria e non essere mai soddisfatta di me stessa, a causa della continua ricerca della perfezione che in realtà non esiste. Cosa cerca in uno studente? L’impegno e, se possibile, la passione. E in un professore? Prima di tutto deve conoscere la propria materia e saper trasmettere agli studenti l’amore che ha per questa materia. Il suo motto? Crederci sempre, arrendersi mai.
Risponde Giuseppe Licata, professore di Storia dell’Arte Il tratto principale del suo carattere? Direi che sono gentile. In che anno il primo bacio? A 14 anni. Il suo peggior difetto? Perdo la pazienza facilmente. Il suo alcolico preferito? Il vino. Il superpotere che vorrebbe avere? Vorrei poter respirare sott’acqua. Il viaggio dei sogni? Sono due. Vorrei andare dall’Italia a Istanbul in bici, proprio come nel libro di Paolo Rumiz “Tre uomini in bici da Trieste a Istanbul”, perché mi piace particolarmente attraversare le zone di frontiera. Inoltre mi piacerebbe andare a visitare i luoghi dove combatterono gli Italiani durante la Campagna di Russia, dopo che sono stato affascinato dal racconto di Stern “il Sergente nella neve” e dalla sua interpretazione teatrale a cura di Marco Paolini. Quando ha deciso di diventare prof? Quasi casualmente dopo aver fatto l’architetto. Sono due professioni che si somigliano molto, dato che devi dirigere il lavoro altrui. In entrambe bisogna fare molta attenzione a non commettere errori, in cantiere si rischia di far crollare l’edificio e in classe si influisce negativamente sul futuro degli studenti. Cosa cerca in uno studente? Impegno, volontà e serietà. E in un professore? Sapere che il suo lavoro ha conseguenze sul futuro dei ragazzi. Il suo motto? Studia e consegna le tavole!
4
LE SFUMATURE DEL PORNO: I PENSIERI DI UNA RAGAZZA Questa intervista mette in luce questioni a cui nessuno pensa. La nostra intervistata cerca, a volte goffamente e altre no, di rispondermi sinceramente e con chiarezza. Provate anche voi, lettori e lettrici, a porvi le stesse domande e, magari, ad andare al di là delle apparenze.
Hai mai visto un porno? Sì. Come classificheresti gli attori di un film porno? Persone normalissime che hanno deciso di fare questo lavoro e rispetto la loro decisione. Non so se sia sempre un loro volere ma, per chi lo fosse, lo/la ammiro: per loro il sesso non è un limite. Pensi che l’attore svenda il proprio corpo o no? L’attore usa sicuramente il proprio corpo come mezzo per lavorare, ma resta sempre e comunque una decisione sua. Se, l’attore in questione, è d’accordo con le condizioni poste dal contratto, non si parla di svendita, ma di un lavoro vero e proprio. Mi sono sempre chiesta perché giudicare queste persone gratuitamente… ognuno di noi dovrebbe rispettarsi reciprocamente, senza distinzioni. Quali possibili aspetti positivi e negativi individueresti durante il corso della vita di un attore porno? Un aspetto positivo è che il ‘non porsi un limite’ dona a questi attori la spensieratezza e la volontà di po
ter fare il lavoro che vogliono, non ascoltando i pregiudizi e qualsivoglia cattiverie. Uno degli aspetti negativi che ne derivano è che l’immagine della persona si rovina, indubbiamente per l’ignoranza altrui. Viviamo in un mondo in cui ‘Il Sesso’ non è considerato normale, o perlomeno non libero a tal punto da poter accettare il fatto che sia gli uomini che le donne possano usare il proprio corpo come meglio credono. Quindi, dal punto di vista sociale avremo più riscontri negativi che positivi; dal punto di vista della formazione della persona, sia caratterialmente che emotivamente è positiva… poi bisognerebbe chiederlo direttamente ad un attore. Cosa spinge la maggior parte delle ragazze a vergognarsi nell’ammettere di vedere i porno? Per me, le ragazze associano al sesso un sentimento profondo, talmente profondo da giudicare male e con disprezzo un’altra ragazza che si guarda i porno. (Abbiamo anche un senso del pudore diverso… basta pensare ad alcune ra
gazze che, per non farsi vedere dalle altre compagne negli spogliatoi, si cambiano nel bagno, contro certi maschi che fanno l’elicottero assieme: intendiamoci) Per i ragazzi, invece, è molto più semplice: non vengono giudicati negativamente se guardano un video del genere. Per me è assolutamente normale che si guardino, visto che si tratta di piacere fisico personale, ma non siamo arrivati al punto da poter giudicare normale il fatto che le ragazze se li guardino… siamo ignoranti, cosa posso dirti. Trovi “Il Porno” sessista? No, sessista non penso proprio. Si passa dai più vari generi e preferenze, quindi sessista è l’ultima parola che userei per descrivere un porno. Un’ultima riflessione finale per i nostri lettori? Non giudicate male chiunque si guardi un porno (anche perché giudichereste male tutto il mondo, ndr) e, soprattutto, non giudicate gli attori stessi: l’integrità e i valori di una persona non si basano sul suo lavoro.
Sabrina Lo Giudice
Spazio Citazioni Prof “A cosa serve la valeriana? Serve a fare la pianta.”
5
VITA DI UN’ATTRICE PORNO “È educativo far capire che non deve esserci alcuna differenza fra maschi e femmine negli approcci con l'altro (o con lo stesso) sesso. Bisogna spiegare che quanto viene descritto dalla letteratura e dal cinema è sbagliato. Ancora oggi il cinema rappresenta stilemi di comportamento diversi fra maschi e femmine negli approcci sentimentali e sessuali. C'è bisogno di un cinema nuovo, di una letteratura nuova, in cui tali differenti stilemi non si diano più. Forse prima di arrivare alla parità è necessario un periodo di 'rovesciamento': le femmine devono fare i maschi e i maschi le femmine. E parlo anche dei piccoli atteggiamenti (linguaggio del corpo, espressioni del volto in reazione a un approccio sessuale) normalmente considerati femminili o maschili. Bisogna invertire Romeo e Giulietta, Renzo e Lucia.” Valentina Nappi è un’attrice porno lanciata da Rocco Siffredi. È entrata nel mondo del porno a causa di una rabbia travolgente nei confronti della famiglia e in particolare della madre, da qui la scelta di mantenere il suo nome. “Sono sempre stata la pecora nera della famiglia, non parlo da tempo con mia madre. Quando ero più piccola, mia madre sapeva della mia vita sessuale. Il problema è quando è diventata pubblica. È sempre quella la storia. Sai in quanti mi scrivono “fallo però stai zitta”? Come quando si dice ai gay “Sì, fallo ma non in pubblico”. Viviamo in una società in cui puoi fare tutto, ma alcune cose non puoi farle alla luce del sole”. “Mia madre e mio zio ad un certo punto vennero a casa a minac-
ciarmi di morte. All’epoca mi chiamavo solo Valentina. Poi aggiunsi Nappi. Con molto orgoglio”. Si autodefinisce misogina, vuole distruggere la donna per quello che è comunemente: colei che fa sesso solo in un modo, la donna mamma. Mi piacerebbe raccontarvi le storie di alcuni attori, che, è importante specificare, sono maggiorenni e non frequentanti il Liceo Vittorini. La prima è quella di A.M., un ragazzo di una bellezza disarmante. Durante la scuola superiore cominciò ad avere seri problemi di alcolismo; senza rendersene conto era entrato in una situazione per la quale le ore di sobrietà si alternavano a quelle in cui era ubriaco. La sua famiglia era un po' sopra le righe, li si potrebbe definire narcisisti, ripiegati sulla propria beltà e il proprio successo sociale. Iniziò facendo il modello per le sfilate, andando avanti col tempo notò che sfilando per l’intimo maschile guadagnava di più. Avendo poi tante proposte che lo invitavano a farsi filmare, si rese conto che il salto era tutto sommato breve, anche perché, quando aveva fatto le sfilate per l’intimo maschile, spesso era stato palpeggiato dietro le quinte, sia dagli uomini che dalle donne. Entrò con leggerezza, quasi per gioco. Ad un certo punto cercò di uscirne, anche perché aveva trovato un altro lavoro. Per un po' fece una sorta di doppia vita; per cui, da una parte aveva un lavoro ufficiale e, parallelamente, lavorava nella pornografia. Si rese conto però, che non riusciva ad avere una relazione anche semplicemente sessuale e che questa attività gli aveva tolto 6
ogni spontaneità: abituato a recitare, a essere guardato e toccato, continuava a farlo anche nel privato, a rendere quel dolce e intimo momento, un’azione meccanica, fredda e vuota. Siccome poi, dall’alcolismo non era uscito, ogni relazione è naufragata e si è trovato come in trappola. Lui vive una doppia vita, un po’ come nello strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, e nella dimensione del porno lui si sente libero da freni, dove può essere ubriaco, un momento di libertà dall’infelicità della propria vita. La seconda è di una ragazza, che chiameremo L.Z.. Quando le ragazze passano in breve tempo ad avere le forme di una donna, sono oggetto di commenti pesanti. A questi, ogni ragazza reagisce in modo diverso: qualcuna si nasconde, sopprimendo le proprie forme, altre invece, ricadono nell’atteggiamento opposto, esibendo e svendendo il proprio corpo. Alla scuola media, quindi, L.Z., ha iniziato ad esser riconosciuta per la sua disinibizione e, in breve, ad essere etichettata come ragazza facile. Si è trovata a non avere più la possibilità di tornare indietro, ma in qualche modo ne era contenta, addirittura lusingata. A quell’età si è alla ricerca disperata dei mattoncini per costruire la propria autostima, e L.Z. gli aveva trovati. Era riuscita a trovare qualcosa in cui era brava, per cui le altre le chiedevano consiglio, qualcosa in cui identificarsi. Aveva costruito se stessa intorno quell’unica abilità, e questo è rischioso, perché non appena fallisci in quel campo vedi te stesso cadere in pezzi. Così non riusciva più a
imbarazzo, viene stravolto, spazzato via. In cambio troviamo al centro di tutto un virtuosismo vuoto e freddo, una serie di posizioni, nient’altro. E ciò che è inquietante è come tutta questa innaturalezza, questa finzione, piaccia così tanto. Come gli uomini si sentano eccitati nel vedere la donna in una situazione di palese subordinazione.
tornare indietro: il corpo era diventato al tempo stesso motivo di vergogna e unica fonte di sicurezza. Dopo aver fatto esperienze di fotografie spinte iniziò con i filmati, cosa che si rivelò estremamente spiacevole. Tanto che cominciò ad assumere sostanze per sostenere la sua autostima e farsi coraggio. L’uso abusato delle droghe è un problema ricorrente nel mondo del porno. Gli attori sono imprigionati nel disgusto per se stessi e nella vergogna. La personalità viene deformata, una parte del loro essere gli viene portata via. Questo perché inizialmente viene sottovalutato il fatto di rendere visibile la parte che ognuno vorrebbe tenere più segreta. Durante un film porno la parte più intima e personale degli attori viene scaraventata nella sfera pubblica; e per quanto dicano che vivere senza pudori è possibile,
sono obbligati a proteggersi con una corazza pesantissima, grazie alla quale si autoconvincono che la persona esposta davanti alla telecamera non sono loro. Le prostitute affrontano una situazione simile, per la quale però, il disgusto è momentaneo: il cliente di passaggio se ne va. Il filmato resta nel tempo,invece, e molti pornoattori dicono di non aver mai visto i film che son stati realizzati perché, vedendosi, gli verrebbe impossibile farne di nuovi. Così una parte di loro viene menomata, bruciata, in particolare la spontaneità nei rapporti interpersonali. Ciò che viene mostrato nel porno è quanto di più distante c’è dal sesso. La pornografia priva il rapporto di ogni intimità, lo spoglia di ogni tenerezza. Quello che dovrebbe essere un’esplorazione dell'altra persona, attraverso, magari, un iniziale
7
I video porno hanno anche un’importante funzione educativa. I ragazzi, per sfuggire all’imbarazzo, per capirci qualcosa di più di tutto il trambusto che gira intorno al sesso, trovano una chiara illustrazione nei siti gratuiti. Però, come detto in precedenza, i porno rappresentano un’immagine falsata e distorta del sesso, che è dannosa per l’approccio che i ragazzi avranno con i rapporti in futuro. Nei video, gli attori sono spinti a prestazioni innaturali, che raggiungono grazie all’uso di droghe e farmaci. Bisognerebbe invece spiegare che il sesso è quanto di più naturale e umano c’è, e che quindi è imperfetto, è fragile, come lo siamo noi, oltretutto. Per buttare giù quest’idea dannosa di sessualità l’unica cosa da fare è parlarne di più, siamo nel XXI secolo ed è anche ora che il tabù del sesso venga smontato. La posizione provocatoria della Nappi che dice che l’amore è qualcosa di profondamente ideale e razionale e che le coppie comuni non sperimentano altro che un istinto riproduttivo sublimato è molto interessante, bisogna tener conto però della fervida illusione in cui questa pornoattrice si è cacciata per non ascoltare le grida disperate della propria vergogna.
Elisa Montobbio
LA DIPENDENZA È UNA MALATTIA O UNA SCELTA? Purtroppo per voi non è una breve riflessione ma vi dovrete cuccare un lavoro di ricerca immenso e interessante Ad oggi, le teorie più accreditate ci dicono che la dipendenza è una malattia. Questa è la linea principale del modello medico dei disturbi mentali con cui è allineato il National Institute on Drug Abuse (NIDA): la dipendenza è una malattia cronica del cervello, per cui, l'uso di droghe diventa involontario. L'idea qui è, approssimativamente, che la dipendenza sia un problema clinico poiché le sostanze stupefacenti modificano il funzionamento del cervello e, di conseguenza, l'uso di esse diventa compulsivo, sganciandosi dal controllo volontario della persona: il tossicodipendente non ha scelta. Questo modo di vedere la dipendenza ha i suoi benefici: se la dipendenza è una malattia, i tossicodipendenti non sono responsabili della loro situazione, e questo dovrebbe contribuire ad alleviare lo stigma e aprire la strada a trattamenti migliori e a maggiori finanziamenti per la ricerca sulla dipendenza. Questa è la motivazione principale di un articolo di Laura Hilgers apparso sul New York Times del 4 novembre, che descrive la dipendenza come una malattia che affligge gli Stati Uniti e sottolinea l'importanza di parlarne apertamente per rimuovere il pesante giudizio morale delle persone. Questa sembra una motivazione più accettabile rispetto a quella secondo cui la dipendenza è una scelta, che attribuisce la colpa interamente all'individuo coinvolto. Ammettere però, che ogni comportamento abbia correlazioni neurali e che la dipendenza modifichi il funzionamento del cervello, non è lo stesso che dire che essa è patologica e irreversibile.
Nel 1974 il sociologo Lee Robins condusse uno studio approfondito sui militari statunitensi dipendenti dall'eroina che tornavano dal Vietnam. Mentre si trovavano in guerra, il 20% di loro era diventato dipendente dall'eroina, e una delle cose su cui Robin voleva indagare era quanti di loro avevano smesso di farne uso al loro ritorno negli Stati Uniti e quanti invece ne erano rimasti dipendenti. Scoprì che il tasso di rinuncia alla droga era sorprendentemente alto: solo il 7% circa (di quel 20%) ne aveva fatto uso dopo essere tornato negli Stati Uniti, e solo circa l'1% aveva avuto una breve ricaduta nella dipendenza; la stragrande maggioranza dei soldati tossicodipendenti ha smesso di usare l’eroina senza bisogno di aiuto. Sempre negli anni '70, gli psicologi della Simon Fraser University in Canada condussero il famoso esperimento “Rat Park", da cui si è osservato che ratti isolati in gabbia si autosomministravano dosi crescenti e spesso mortali di morfina quando non c'erano alternative disponibili. Eppure, quando a questi topi è stato dato un compagno o altri tipi di distrazioni, hanno smesso di prendere i farmaci. 8
Sebbene questi studi abbiano incontrato resistenza, ultimamente ci sono più prove a sostegno delle loro scoperte. In The Biology of desire: why addiction is not a disease, Marc Lewis, un neuroscienziato ed ex tossicodipendente, offre quello che chiama il modello di apprendimento della dipendenza. Lewis riconosce che ci sono indubbiamente cambiamenti cerebrali a causa della dipendenza, ma sostiene che questi sono i risultati tipici della neuroplasticità nell'apprendimento e nell’abituarsi a nuove realtà. Nella revisione di alcuni casi di studio, Lewis sostiene che la maggior parte dei tossicodipendenti non crede di essere malata (e questo è positivo per il loro recupero), e che le storie di persone che hanno superato la loro dipendenza parlano di sviluppo e miglioramento della propria vita anziché di impotenza e malattia. Lo psicologo Gene Heyman nel suo libro Addiction: A Disorder of Choice sostiene anch’egli che la dipendenza non è una malattia, ma a differenza di Lewis, la definisce come una scelta disturbata (A Disorder of Choice). Innanzitutto, Heyman presenta una prova evidente che solo il 10% circa delle
persone che fanno uso di droghe diventano dipendenti e solo il 15% circa dei bevitori regolari di alcool diventano alcolizzati. Inoltre, dimostra che circa l'80% dei tossicodipendenti supera la propria dipendenza senza bisogno d’aiuto dall'età di trent’anni. Lo fanno perché le esigenze della loro vita adulta, come mantenere un lavoro o essere genitori, sono incompatibili con l’uso di droghe, e questi sono forti incentivi per abbandonarlo. In effetti, ci sono prove importanti che i tossicodipendenti spesso hanno delle ricadute, ma la maggior parte degli studi sulla dipendenza sono condotti su pazienti in trattamento, e questo distorce il campione analizzato. La maggior parte dei tossicodipendenti non entra mai in terapia e quelli che la iniziano sono coloro (una minoranza) che non sono riusciti a superare la loro dipendenza autonomamente. A questo punto, la cosa interessante diventa il perché alcuni riescano a uscirne (o a non entrarci proprio) e altri no. Ciò che risulta dal libro di Heyman è che i tossicodipendenti che possono usufruire delle possibilità alternative lo fanno, e hanno successo. La differenza in questi casi, tra le persone che possono e quelle che non riescono a superare la loro dipendenza, sembra essere in gran parte essere dovuta alle possibilità di
scelta; perché per separarsi dalla tossicodipendenza, ci devono essere alternative valide, e spesso queste non sono disponibili. Molti tossicodipendenti, infatti, soffrono per molto di più della singola dipendenza: provengono da ambienti svantaggiati o di minoranza che limitano le loro opportunità, hanno storie di abusi e così via. Quindi, sebbene le scelte siano in linea di massima disponibili, le scelte praticabili per le persone dipendono in gran parte da determinanti di scelta al di fuori del loro controllo, e ciò può limitare la loro responsabilità. Questo è importante, perché se è coinvolta la scelta (come ipotizza Lewis) vi è responsabilità, e ciò porta alla colpa e reca danno, sia in termini di giudizio e critica dagli altri, sia per il trattamento e finanziamento della ricerca per la dipendenza. Sia il modello che propone che la dipendenza sia una malattia, che quello che dice che è una scelta, allontanano da noi la responsabilità: la colpa del disagio sociale va dritta a un problema neurologico o al tossicodipendente. La prima ipotesi ha il vantaggio di esonerare l’individuo in difficoltà dal giudizio feroce e di far aumentare le ricerche e i finanziamenti per risolvere il problema in campo medico; tuttavia nega il libero arbitrio dalle facoltà del tossicodipendente e, quindi, il rischio è di adottare metodi di cura non efficaci. Ma riflettendo sull'evidenza, dobbiamo guardare alle determinanti della scelta, e dobbiamo affrontarle, assumendoci la responsabilità dal punto di vista sociale per i fattori che causano sofferenza e limitano le possibilità disponibili per i tossicodipendenti. Che sia un problema sociale e non del singolo ce lo dimostra anche il
fatto che le droghe “seguono le tendenze”, che sono legate al contesto. In Paesi diversi si trovano problematicità opposte (in America, ad esempio, il cibo e gli ansiolitici creano molte più difficoltà che in Italia), inoltre le droghe variano nel corso dei decenni. Non si può, quindi, considerare la dipendenza una malattia individuale che prescinde da ogni aggancio alla razionalità, ma, per poter aiutare queste persone, bisognerebbe lavorare a livello sociale, rendendo le droghe meno attraenti per i giovani che vi trovano un elemento di trasgressione ed emancipazione. Per fare ciò è importante discuterne con i ragazzi fin da giovanissimi per attivare il senso critico e prevenire. Inoltre bisognerebbe lavorare a livello delle influenze dei media. Viviamo in una società che oscilla tra la proibizione e l’ipocrisia, infatti, le sostanze stupefacenti sono “pubblicizzate” da film, star musicali e televisive, pubblicità e così via. Causa e conseguenza di ciò sono le ingenti quantità di denaro che circolano attraverso l’angoscia delle persone. La questione diventa quindi sottile poiché entrano in gioco potenze economiche che sono difficili da controllare perfino da parte dello Stato. Il problema delle tossicodipendenze è particolarmente complesso e per migliorare la situazione bisogna sicuramente intervenire sui due livelli precedentemente illustrati; anche le strutture di aiuto come il SERT sono importantissime: approfondire la ricerca e la possibilità di aiutare i tossicodipendenti anche dal punto di vista medico è necessario a fianco dei provvedimenti a livello sociale.
Elisa Montobbio
9
ALFIERI STORIA E GLORIA DEL COMPLESSINO “Cos’è quel Complessino indisponente dal ritmo scoppiettante che disturba la mia pubblica quiete? Vedo qualche cosa sulle maglie, poi c’è scritto… che c’è scritto? EELST? Che vuol dire? Che è? Il solito gruppo di truzzi rappettari? Impossibile, non hanno lo spessore, e poi c’è un super monociglio, minimo devono essere, che so, degli illusionisti, dei contorsionisti… No! Ma sono Elio e le Storie Tese!!” Hai indovinato, Vittoriniano, sono proprio loro! Non sono armati come Supergiovane di fiale puzzolenti, spinelli e miccette sempre accese, ma di strumenti musicali e di una bravura proveniente da un altro pianeta. Il loro genere musicale? Tutti. Nei loro 37 anni di carriera il problema del genere musicale si aggiunge alla coda di persone, cose, animali, città, fiumi, governi, marche di auto-
Il forum è pieno, canzoni che bofonchiano di Orsoline e Salesiani sono emesse dai gracchianti altoparlanti, nessuno le ha mai sentite: le hanno composte ad hoc. Siamo tesi, eccitati, tristi e felici. Le luci si spengono e una voce cantilenante inizia: “CRISTO?”... “CRISTO?”...”GESUUU?” “Fedeli, uniamo i nostri cuori e preghiamo per la morte dei cari Elio E Le Storie Tese… OSTERIA NUMERO DIECI, in ginocchio sopra i ceci, ma se ci fosse un po’ di bamba ballerem tutti la samba, dammela a me biondina dammela a me biondà…amen” Perché loro sono così: seri forse per dieci secondi, blasfemi, irriverenti, e lo saranno per le tre ore successive.
mobili che hanno cercato di limitare le loro possibilità senza riuscirci. Alle loro incredibili quanto eclettiche sonorità si abbinano i testi: testi che interagiscono, giocano con la musica a cui sono abbinati (l’esempio più eclatante è “La Canzone Mononota”) e che per un motivo o per l’altro fanno ridere: molti infatti pensano a questo quando ascoltano per la prima volta una can-
Cantano quasi senza sosta, esplorando tutto il repertorio, rivangando canzoni vecchie trent’anni, modificando il testo, aggiungendo effetti speciali, invitando sul palco Cristina D’Avena e Stefano Bollani (che si produce in un assolo di pianoforte da fare invidia a Bill Evans).
10
zone degli Elii, cioè che farà ridere. Una questione importante delle loro canzoni, questione che anche il Complessino ha sottolineato più volte, è quella per cui se una canzone fa ridere, non viene considerata parte della “musica seria” e considerata un po’ come musica di serie B. Penso che nessuno meglio di loro possa dimostrare che non è affatto così. Nei loro vari album hanno letteralmente shpalmato con la loro musica (e non come Shpalman con focacce di merda, cazzuola laser e phon) i più svariati temi, dagli inciuci in politica alle nostre cattive abitudini, dalla ricerca ossessiva del guadagno di certe persone a tutti i pregiudizi che purtroppo dominano ancora la nostra società: ne hanno parlato attraverso la musica, li hanno messi a nudo con la risata. Hanno fatto simpatici ritratti della società odierna, toccando sia le “alte sfere” sia gli aspetti più quotidiani della vita (come non citare qui capolavori come “Cara ti amo” o “Servi della Gleba”), e nonostante sia palese che il linguaggio degli Elii non si vanti certo di uno stile aulico (certo, compaiono alcune
parolone ma per implementare l’effetto comico) ma anzi usi un registro in certi casi molto basso, loro hanno la straordinaria capacità di usare un linguaggio volgare senza essere volgari. Dopo questa simpatica introduzione e in qualche modo “analisi” degli Elio e le Storie Tese, dobbiamo purtroppo dare la cattiva notizia dello scioglimento del Complessino: il 19 Dicembre dell’anno appena trascorso, infatti, al Forum di Assago un palco a forma di bara con tanto di corone di fiori e scritta “R.I.P. Elio e le Storie Tese 1980-2017” ha accolto la moltitudine di seguaci giunti per assistere al “Concerto Definitivo”. Tra la potenza sonora e le immancabili esibizioni di Mangoni sui vari pezzi (tanto di cappello, fare ancora la lap dance a sessantasei anni suonati non è da tutti), è da notare quando,
sull’applauso scrosciante dopo “e puoi far finta che sia finita” ne “La Canzone Mononota”, Elio dice al pubblico prima di riprendere la canzone “vedo che [noi Elii] siamo bravi a far finta di finire le cose… e anche voi a far finta di credere che siano finite!” Chissà, forse lascia qualcosa da intendere, qualcosa che supporta la conferma della loro partecipazione al festival di San-
Si vestono come sultani e si circondano di avvenenti ballerine (tranne Vittorio, a lui, come ci spiega con un eloquente gesto dietro l’orecchio e con la voce distorta dal synth, “piace il cazzo”. E ce lo farà cantare a ritmo di “We Will Rock You”, di “Quel mazzolin di fiori” e di “Pensiero”). Verso fine concerto Elio chiama un applauso per la figa pelosa “in questi anni in declino”: il feedback è buono, ma la verità è che quell’applauso è per chi, senza mai prendersi sul serio, ha rappresentato la punta di diamante della musica italiana per oltre vent’anni, e non c’è Jovanotti o Gemitaiz che tenga.
11
remo 2018 nonostante il loro stesso annuncio di scioglimento. Comunque vada, non possiamo che ringraziarli per averci messo in guardia dal Governo travestito da analcolico biondo, per averci insegnato come difenderci da uno Svizzero che ci dice “Italiano: pizza, spaghetti, mandolino, mamma, mamma lo sai chi c’è? E’ arrivato il merendero!” e di averci offerto qualcosa di molto meglio di un semplice Ramaya. E se rimarremo senza di loro, speriamo di non ritrovarci una scopa in culo così da ramazzare la stanza. Enrico Maraboli Filippo Gianoglio
LA SCELTA DI HEATH: 10 ANNI DOPO Cosa rende una vita degna di essere vissuta? Qual è la differenza tra sopravvivere e vivere? Cosa ci rende immortali? Si, perché è questa alla fine la domanda che tutti ci poniamo. Certo ci sarà sicuramente qualcuno tra di voi che non lo vorrà ammettere, che continuerà a ripetersi con la voce regolare e cadenzata della coscienza che no, non gli interessa vivere per sempre ma avere una vita bella e soddisfacente. Ma è proprio questo il problema: noi non saremo mai soddisfatti appieno della nostra esistenza, il tempo che adesso ci sembra quasi infinito ha un termine, e questo termine è decisamente troppo vicino. Nessuno è mai pronto a morire. Nessuno decide di lasciare la vita senza rimpianti, senza rammarichi, senza quell’amaro in bocca che brucia sulla lingua e stuzzica la mente, quel sapore acre che ci ricorda di tutto quello che non abbiamo fatto, di tutto quello che abbiamo rimandato, di tutto quello in cui ci siamo proibiti di buttarci. Esistono a questo punto due strade. La prima: vivere tranquillamente, ricercare l’armonia in ogni movimento, in ogni azione, in ogni relazione per poter orgogliosamente dire alla fine di avere vissuto serenamente. La seconda: seguire ogni dannatissimo pensiero, impulso, slancio che ci balza in mente ed accoglierlo, soddisfarlo, assecondarlo. Molti di voi diranno che la seconda strada è sicuramente la più bella, la più giusta, la più ‘figa’. Bene, la vita è vostra e quindi anche questa scelta, ma non pensiate che la seconda via sia solo adrenalina e piacere. Non lo è. Lo so, starete pensando: “Chi è sta’ qua che si crede superiore a noi tanto da giudicarci?”. Lo so, lo penserei anch’io. Ma come avrete no-
tato non siete certo né i primi né gli ultimi a trovarvi di fronte a questa scelta e, se da una parte gli uomini che hanno preferito una vita tranquilla sono passati inosservati, sicuramente i secondi, i “ribelli”, hanno urlato al mondo la loro scelta. Citarli diventa inutile, ridondante e leggermente pedante ed è per questo che non lo farò. Ognuno di voi ha sicuramente in mente un cantante, un musicista o un pittore che possa corrispondere a questa descrizione. Bene. Visto che non ho voglia né di annoiarvi né, soprattutto, di mettere i due punti e iniziare una lunga lista nominativa, vi 12
dirò solamente a chi sto pensando io. Probabilmente molti di voi lo hanno visto sotto un velo di cerone bianco, con un pesante trucco sbavato intorno agli occhi e delle mostruose cicatrici sul volto, il tutto sottolineato da un eccentrico vestito viola e verde, bretelle e foulard svolazzanti. Si, esatto, è il Joker di Heath Ledger (spero sinceramente che ce lo abbiate in mente). Ottimo, lui mi sembra un esempio perfetto: ragazzo australiano di umili origini che, dopo qualche piccolo reato durante un’adolescenza travagliata, scandita dai litigi ed in
nella sua mente come tarli portandolo all’estremo di ogni cosa finché non cade. È stupendo camminare sull’orlo di un precipizio senza guardare giù, ignorando lo scricchiolio dei sassi e del terriccio secco che si sgretola sotto i piedi o sentire il senso di vuoto che ci attanaglia dal basso. Ma purtroppo prima o poi, che lo vogliamo o meno, siamo costretti ad abbassare la testa, a chinare lo sguardo e distoglierlo da quel tramonto infuocato che ci illuminava il viso. Prima o poi ci rendiamo conto del vuoto che sta sotto di noi e della realtà che ci richiama indietro. L’unica cosa da capire è questa: ce ne accorgeremo in tempo? Decideremo per tempo di aggrapparci a quell’albero sulla destra e di allontanarci da quel minaccioso nulla o quando ce ne renderemo conto sarà ormai troppo tardi e staremo precipitando? Chissà. Heath purtroppo non l’ha capito sufficientemente presto e dieci anni fa ha perso l’equilibrio, scivolando in quel nero nulla. Io so cosa voglio fare. E tu?
fine dalla separazione dei genitori, decise di trasferirsi a Los Angeles per vivere il suo sogno: diventare attore. E ci riuscì. Successo e fama non si fecero attendere ma purtroppo con loro arrivarono anche i vizi, gli stessi compagni di giochi che lo avevano assillato, tormentato durante i suoi anni adolescenziali ora tornano a farsi sentire, cresciuti e resi più oscuri e tenebrosi dal passare degli anni. E lui non può ignorarli. Non può non ascoltare quella voce che gli dice di spingere, di accelerare e di vivere al massimo ogni secondo, ogni esperienza, ogni emozione. Droga, alcool, sesso e farmaci sono solo alcuni di questi compagni, coloro che, silenziosi e scaltri, scavano
Eleonora Ciocca
13
FREEDA CITTA' A MISURA DI DONNA Freeda – come freedom, al femminile – è un progetto editoriale che celebra la libertà ed i tanti modi di essere di una nuova generazione di donne. Di sicuro vi ci sarete imbattuti su Instagram e, soprattutto su Facebook. Si chiama Freeda, un pugno di mesi di lavoro e conta già più di quattrocentomila affezionati: ha il sapore di donne forti come Frida Kahlo e il gusto free della libertà. É giovane, è fresco, è un magazine online, ma non è un magazine online, è una rivista, eppure non lo è. Più che una “rivista” Freeda è una voce editoriale che non si identifica con un supporto specifico, ma con una chiara prospettiva editoriale ed un’apertura totale all’innovazione tecnologica. Daria Bernardoni, Direttore Editoriale di Freeda racconta: «essa nasce da una forte istanza di cambiamento da parte di una
nuova generazione di donne che va in una direzione di conquista di una maggiore libertà, sia nel perseguimento dei propri obiettivi che nell’espressione del proprio stile personale. Dietro Freeda c’è una redazione di donne con tante cose da dire e tanta voglia di ascoltare, in un costante dialogo con le altre donne, alla ricerca di un sempre maggiore livello di consapevolezza e una sempre più profonda e autentica solidarietà femminile». Freeda insegna che essere donna è un'avventura, dura a volte, e che bisogna sempre essere fiere nell'affrontarla per diventare donne nella conquista della consapevolezza del proprio valore. Uno dei suoi principali obiettivi è quello di creare una cultura in cui le donne non siano appiattite sui tradizionali stereotipi femminili e possano finalmente di
14
ventare quello che vogliono, fare ciò che vogliono ed esprimersi come vogliono. Per questo è alla costante ricerca di storie e persone vere che incarnino non un solo modello, ma tanti modi diversi di essere donna poiché non esiste e non deve esistere un solo "tipo" di esserlo. Freeda diventa così lo spregiudicato canto di mille voci che fin ad ora erano rimaste nell'ombra, incomprese, abbandonate e troppo sole, che difende la creatività e l'individualità, la collaborazione ed i sogni e le aspirazioni personali poiché ogni donna, come tutti, deve poter diventare ciò che vuole. Libere, forti e sperimentatrici: le donne di Freeda diventano oggi un'icona, perché dietro ogni grande donna ci sono altre mille e mille grandi donne.
Giulia Ghirardi
Ονειρόφρων Il combattente di sogni Il signor Ferré si era dovuto sottoporre a uno straziante colloquio col capufficio per strappargli una settimana di ferie: non erano tanto i lunghi discorsi e nemmeno il suo composto gesticolare a dargli noia, piuttosto era il suo sguardo, penetrante come un pugnale di ghiaccio e tinto di rosso dalla brace del sigaro che teneva nella mano destra. La soggezione che gli metteva quell’uomo dalla sua scrivania grande come un tavolo da biliardo lo schiacciava anche dal posto lontano dov’era il suo tavolaccio malandato ricolmo di pratiche, per cui anche la sola idea di poter sfuggire fu ciò che gli permise di avanzare la richiesta davanti a lui e ottenuti i giorni di ferie, preparò la sua valigia malandata e salì sul treno. Durante il viaggio il signor Ferré non si addormentò, sia perché il rumore che facevano le carrozze sui binari glielo impedivano ma anche perché dopo tanto tempo voleva assaporare quel poco di libertà che gli era stata concessa; libertà forse anche dal sogno, pensava tra sé e sé, in fondo quel viaggio era un altro tassello per
sbarazzarsene una volta per tutte. Era un sogno strano, ripetitivo: fino a questo punto sembrava quasi rientrare nella normalità, un sogno ricorrente ce l’hanno avuto tutti in un momento o nell’altro della vita, ma era proprio l’interazione con la vita a rendere anomalo il suo, si diceva il signor Ferré. Era un sogno che non prendeva spunto dalla realtà per poi continuare da sé come tutti gli altri, ma che aveva bisogno della realtà per vivere e si mischiava con essa in un unico mondo ibrido, dal quale in certi momenti non si capiva più cosa fosse l’uno e cosa fosse l’altro e se fossero ancora due cose distinte. Il treno frenò rumorosamente quando giunse alla stazione della cittadina costiera, e il signor Ferré dopo essere sceso ebbe l’impulso di voler andare a cercare il cartello sgualcito e sbiadito dal sole che lo aspettava ogni volta all’inizio del suo sogno, quasi dimenticandosi del peso e dell’ingombro del suo bagaglio. Non ci mise tanto a trovarlo, lo sfiorò leggermente con le dita e si sentì sollevato, come se avesse tolto
uno dei tanti pesi che lo gravavano e lo avesse rimesso al proprio posto, dove sarebbe dovuto essere. A quel punto la stanchezza si fece sentire e il signor Ferré si diresse verso la sua pensione, un piccolo albergo lungo una delle tante vie che percorreva scappando nel suo sogno. Il giorno dopo si recò alla scuola per sommozzatori che aveva individuato prima di partire, si trovava a ridosso della spiaggia che iniziava a risuonare delle voci di persone di ogni età in quelle prime mattine d’estate. Dopo essere entrato, si presentò a lui il titolare dal retrobottega richiamato dal suono dei campanellini collegati alla porta. Era un uomo decisamente basso ma dal fisico prestante nonostante un’età che poteva aggirarsi intorno ai quarant’anni, di carnagione scura e con la pelle riarsa di chi passa intere giornate sotto il sole. Due occhi vispi e un paio di folti baffi salutarono il signor Ferré, che alla vista dell’uomo fu come distratto da un pensiero che balenò davanti ai suoi occhi per un istante senza essere più ricordato dopo. Enrico Maraboli
Spazio Citazioni Prof “Quello che non si fottero i barbari, lo fecero i Barberini.”
15
IgnOroscopo del mese Ariete
Toro
Gemelli
cole mancanze con gli ospiti alla cena di Natale, scambiare il dado da brodo col cubetto di lievito nel bollito e rompere il naso al nonno sparando il tappo dello spumante è assolutamente normale. Mettetevi in pace con voi stessi, ne avrete bisogno in questo mese.
Capodanno (aiutato da Giove) sarà perdere all’improvviso la capacità di leggere. Non vi preoccupate, il rimedio è facile: kowphdjhd kfienmu kun, jqpeubd lfienkf pvwiia slmnll owiqupl g jiowjf fkkwj.
ricordate di voi e vi baciano mandandovi un segno! Guardate in su, vedete il segno delle stelle, sotto forma di asteroide, che sta venendo verso di voi? Bene, ciao. È stato un piacere conoscervi.
Cancro
Leone
Vergine
Non vi preoccupate delle vostre pic- Effetto principe del post sbornia di Ecco che finalmente le stelle si sono
Con l’influsso di Mercurio potrete es- Nel prossimo mese l’influsso bene- Ogni Capodanno è la stessa storia: sere saldo di molte certezze: ad esempio, quella per cui potrete cancellare la parola “sesso” dal vostro dizionario fino a data da destinarsi.
volo di Urano farà sbocciare l’amore tra voi e il vostro tanto bramato partner in un campo assolato sotto i fiori di un ciliegio… Peccato solo che siamo a Gennaio.
persino i limoni limonano tra di loro e tu sei lì a fare parte dell’intonaco. Consolati, con tutto quello che hai bevuto è già tanto che non sei tornato a casa col cappotto di legno.
Bilancia
Scorpione
Sagittario
Rimarrete per tutto il mese con la fac- Entro la fine di questo mese la pre- Un mese ricco di colpi di scena ti cia paralizzata per metà in una buffa smorfia. Marte purtroppo ha deciso di farsi beffe di voi dopo che lo avete disonorato perdendo tutto (dignità inclusa) al Risiko alcoolico.
senza del Gabibbo nella vostra costellazione vi aiuterà a vincere la tradizionale gara di rutti col panettone avanzato letteralmente ribaltando la concorrenza. Il lato negativo? Non serve un genio per capire che farete compagnia alla Vergine…
aspetta, Acquario! Un tuo amico/a serba per te una sorpresa inattesa, il tuo partner serba per te una sorpresa inattesa. Scoprirai che la sorpresa dell’amico e del partner è la stessa. E lo scoprirai nella vostra camera da letto.
Capricorno
Acquario
Pesci
sbraitare cori da stadio a torso nudo in una notte invernale di montagna. Ma voi non lo sapevate in quel momento, e l’aiuto di Mercurio per rimediare alle sofferenze costerà caro: 50 episodi di “Casalinghe disperate” visti tutti di fila basteranno a espiare.
scelta del partner giusto avrà una ricaduta per l’opposizione di Venere: quando vi ritroverete a letto con la vostra nuova e simpaticissima amica Marco, non vi spaventate troppo. Potrete farlo però quando vi renderete conto che si tratta di un cavallo.
abbiate ingerito una quantità esorbitante di cibo, l’influsso di Nettuno vi ha permesso di digerire tutto senza problemi. Purtroppo a questo mondo nessuno vi regala niente: in cambio entro questo mese dovrete dipingere tutto il muro del suono, pena l’incontinenza e flatulenze incontrollate.
Ovvio che non è una buona idea La vostra proverbiale abilità nella Nonostante
Dopo aver consultato i nostri tarocchissimi tarocchi, ecco a voi le nostre rivelazioni sul vostro imperscrutabile futuro!
16
17
SUDOKU
CRUCIPUZZLE ROMANO
18
Milano città – Eventi e spettacoli Milano e la mala, a Palazzo Morando fino
al 11 febbraio: mostra fotografica che ripercorre la storia della criminalità milanese del Novecento, dalla Ligera a Renato Vallanzasca, tra rapine, prostituzione e mercato della droga. Milano con un nuovo profilo sociale ed economico e la lotta antimafiosa degli anni '70. Foto, video e giornali di un fenomeno che ha segnato un’epoca. Incantesimi, i costumi del teatro: stupendi costumi esposti a Palazzo Reale che celebrano la storia del Teatro La Scala, dagli anni Trenta a oggi e che rimandando alla creazione di storici spettacoli. La storia del costume, l’evoluzione del gusto e dello stile, la creatività di costumisti e sartorie.
Il territorio dell’architettura, al Pac di via Palestro fino al 11 febbraio: la carriera dell’architetto Vittorio Gregotti, dalla laurea al Politecnico fino ai suoi attuali 90 anni, sessant’anni di progetti che hanno fatto la storia dell’architettura, dal Centro Olimpico di Barcellona, al polo Bicocca, agli Arcimboldi, illustrati da disegni, modelli in scala e fotografie.
Famous artists from Chicago 1965-1975, Fondazione Prada
fino al 26 febbraio: Gli artisti americani nella vivacità dell’ambiente culturale del secondo dopoguerra tra surrealismo e pittura di denuncia, anticipando il Graffitismo, la Street Art e i murales degli anni Ottanta e Novanta. 12 febbraio: Prima tappa del tour di Lorenzo Jovanotti al Forum di Assago. 19
Prossima Riunione Lunedì 22 Gennaio Aula n°5
20