Hystrio 2019 1 gennaio-marzo

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la società teatrale

a cura di Roberto Rizzente

Ripensare il proprio ruolo sociale: il teatro e la riforma del Terzo settore di Ilaria Angelone

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ra le molte preoccupazioni che assillano gli operatori teatrali, c’è anche una nuova “riforma”, oltre al Codice dello Spettacolo e al Fus: riguarda il Terzo settore (Legge delega n. 106 del 6.6.2016, Codice del Terzo settore, DL n.117 del 3.7.2017). In occasione della Milano Music Week una giornata di confronto ha messo a fuoco gli aspetti di questa riforma che avranno maggiore impatto sul settore teatrale. L’incontro rientra in un ciclo di seminari organizzati da Ateatro con il supporto di Fondazione Cariplo e che il Comune di Milano ha voluto sostenere ospitando l’evento nella MMW. A Giulio Stumpo, coordinatore della giornata, economista della cultura che da tempo studia i temi della sostenibilità economica e delle innovazioni gestionali del settore, abbiamo chiesto qualche riflessione. Senza entrare nelle prescrizioni della legge, ma cercando di intuirne la filosofia di fondo e lo sguardo con cui il settore potrà leggerla. Partiamo dalle luci che questa riforma accende: secondo lei, quali sono le opportunità più interessanti offerte al settore teatrale? Un primo dato significativo: le istituzioni pubbliche e private del territorio lombardo hanno iniziato a comprendere che la portata della riforma del Terzo settore va oltre la distinzione profit/no profit, supera le vecchie dicotomie tra associazionismo e impresa (in particolare la cooperativa di tipo sociale) e include gli operatori dello spettacolo nel cambiamento.

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Questa considerazione ci porta a un secondo passaggio a mio avviso non banale: il settore dello spettacolo dal vivo avrà l’opportunità di ripensare se stesso. In molti casi la transizione che lo attende dovrà passare dal ripensamento dalla propria missione e dalla necessità di diventare sempre di più “strumenti” di politica economica e di welfare. Verosimilmente questi passaggi, nel tempo, disegneranno una nuova mappa del teatro, distingueranno sempre più l’imprenditoria teatrale dal dilettantismo, rafforzeranno la vocazione di mercato di alcuni soggetti senza con questo indebolire quelli a vocazione socio-culturale. Per gli enti più maturi ed economicamente più solidi, si potranno configurare nuovi strumenti finanziari con una maggiore consapevolezza del ruolo che la cultura e lo spettacolo dal vivo devono avere nello sviluppo del territorio. Il tema della “sostenibilità” è centrale per qualsiasi organismo teatrale: che scenario prefigura la riforma? Purtroppo alcuni decreti attuativi, e soprattutto alcuni ulteriori provvedimenti in materia fiscale, sono ancora in attesa di essere emanati e questo non ci permette di avere un quadro chiaro degli incentivi fiscali dei quali potrà beneficiare lo spettacolo dal vivo. Il tema della “sostenibilità” però va ben oltre quello del rapporto ricavi e costi: la riforma in questo senso è infatti molto incisiva. Come si diceva, ripensare la propria missione sarà cruciale, significhe-

rà ripensare la propria governance, il proprio rapporto con il territorio, con le istituzioni pubbliche e private e chi saprà interpretare al meglio i bisogni dei propri stakeholders, beneficerà più di tutti dei vantaggi della riforma. In questo senso, il settore che uscirà dalla riforma sarà forse più solido e più “sostenibile”, meno dipendente dalle risorse pubbliche, coinvolgendo maggiormente il pubblico e il territorio. Chi agisce in regime di impresa sarà più attrezzato per affrontare le sfide della riforma: cosa devono attendersi le molte realtà che agiscono invece in forma associativa? L’associazionismo, che è certamente il terreno di coltura più magmatico e vitale del nostro Paese, sarà a mio avviso quello che più dovrà fare i conti con il cambiamento. Senza pretesa di essere esaustivo e volendo un po’ semplificare il discorso, suddividerei questo microcosmo in due grandi aree: l’associazionismo di necessità e quello “di convinzione”. Nella prima area sono le piccole e piccolissime realtà che devono dare una forma giuridica semplice alla propria attività economica. Questi soggetti secondo me saranno portati a scegliere tra un percorso di professionalizzazione - magari trasformandosi in qualcosa di più solido e investendo risorse economiche nel proprio progetto artistico - e un percorso più vicino all’amatoriale. Nella seconda area invece avremo una distinzione più netta per coloro che gestiscono spazi e che quindi dovranno fare i conti con costi e ricavi legati alla gestione dello spazio e allo stesso tempo potranno avere alcune semplificazioni burocratiche e (si spera) fiscali. Entrambi questi processi che ho cercato di semplificare porteranno a mio avviso a una maggiore trasparenza anche nei confronti del “pubblico”. Non bisogna poi sottovalutare l’opportunità di “fare rete”. Idea sottintesa nella riforma e sottovaluta dal mondo associativo. Quali sono, a suo avviso, le ombre di questa riforma, i principali aspetti ancora da mettere a punto? Mi aspetto un lungo periodo di rodaggio. Ci saranno di sicuro dei progressivi aggiustamenti che potranno riguardare soggetti diversi. Uno di questi aspetti, emerso anche durante l’incontro milanese, è quello relativo alla disparità di trattamento che la riforma riserva alle imprese sociali di prima generazione, quelle cioè nate con la precedente normativa. Un altro tema sul quale ancora c’è molto da fare, su cui ci sono già importanti iniziative in corso, è quello del monitoraggio continuo e costante dell’efficacia della riforma. Vedrei molto favorevolmente, inoltre, una maggiore attenzione da parte degli organi di rappresentanza del mondo dello spettacolo e della cultura in generale. Uno dei principali vincoli che la riforma pone è proprio dovuto, a mio avviso, alla scarsa rappresentanza che gli operatori culturali hanno dimostrato durante l’iter della Legge, forse con l’errata percezione che in fondo questa riforma riguardasse più il sociale che la cultura. Un’occasione persa, forse, per incidere più decisamente sui processi. ★


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