critiche Alceste come Don Giovanni, libertino egotico e infelice Il misantropo
Se Arlecchino è un freak da commedia all’italiana ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI, di Carlo Goldoni. Regia di Valerio Binasco. Scene di Guido Fiorato. Costumi di Sandra Cardini. Luci di Pasquale Mari. Musiche di Arturo Annecchino. Con Natalino Balasso, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Michele Di Mauro, Denis Fasolo, Elena Gigliotti, Gianmaria Martini, Elisabetta Mazzullo, Ivan Zerbinati. Prod. Teatro Stabile di TORINO.
IL MISANTROPO, di Molière. Traduzione italiana e adattamento di Fabrizio Sinisi e Valter Malosti. Regia di Valter Malosti. Scene di Gregorio Zurla. Costumi di Grazia Materia. Luci di Francesco Dell’Elba. Con Valter Malosti, Anna Della Rosa, Sara Bertelà, Edoardo Ribatto, Roberta Lanave, Paolo Giangrasso, Matteo Baiardi, Marcello Spinetta. Prod. Fondazione Tpe-Teatro Piemonte Europa, TORINO - Carcano-Centro d’Arte Contemporanea, MILANO - LuganoInScena, LUGANO. IN TOURNÉE Un libertino egotico e incurabilmente nevrotico, un ex seduttore seriale vinto dal desiderio di distinzione in una società che, allo stesso tempo, disprezza e brama. Un Don Giovanni irritabile e isterico, incapace di attingere a quell’equilibrio e a quella freddezza che gli consentivano di stuprare contadine e uccidere nobili padri. Così è l’Alceste ritratto da Sinisi e Malosti nel loro adattamento, fedele e moderatamente attualizzante del dramma di Molière, di cui propongono una lettura filologicamente inappuntabile e filosoficamente stringente, allo stesso tempo esplicitando sulla scena quel legame col Don Giovanni evidenziato da più critici e suggerendo una sottesa meta-teatralità: il protagonista, quale doppio di Molière, capocomico alle prese con attrici volubili e rivali. E poi, sì, Alceste a
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tratti ricalca certi biliosi polemisti televisivi e i due marchesi (Baiardi e Spinetta) oscillano fra la reincarnazione sfacciatamente spregiudicata di Guilderstern e Rosencrantz e i contemporanei “tronisti”, ma si tratta di suggerimenti accennati poiché ciò che più importa è mostrare l’attrazione malata per l’infelicità provata dal protagonista e, dall’altra parte, il ricorso costante al mascheramento e alla menzogna con lo scopo di soffocare quella medesima infelicità da parte degli altri personaggi. Il pragmatismo impregnato di buon senso di Filinto (Giangrasso), la boriosità di Oronte (Ribatto), pienamente a suo agio in un ruolo grottescamente comico; l’arrivismo spregiudicato di Célimène (la convincente Della Rosa); la salda dignità di Arsinoé (l’elegante e misurata Bertelà); la rassegnazione di Eliante (Roberta Lanave, anche brava cantante). E poi c’è Alceste, cui Malosti, occhiali scuri e giacca turchese-verde, attribuisce una disperata e disperante ansia di autenticità che si traduce in sprezzante senso di superiorità e incontrollabile istinto di distruzione e auto-annientamento. Il cast, efficace e affiatato, si muove rapidamente su una piattaforma circondata ai lati dagli sgabelli su cui gli interpreti siedono all’inizio, pronti a iniziare la loro verissima recita sull’incapacità di essere sinceramente felici. Laura Bevione
Dimenticatevi costume a rombi colorati, maschere e lazzi: Binasco non mira a rimettere in scena la Commedia dell’Arte ma a riempire di carne viva i personaggi del testo goldoniano e a immergere quest’ultimo nel clima della commedia all’italiana, come suggeriscono i costumi, con gonne scampanate e cravatte con fantasie demodé. Non tanto un’attualizzazione della commedia, quanto un tentativo di evidenziarne sentimenti e moventi tuttora contemporanei: la misoginia, l’avidità, l’aggressività, il desiderio di libertà che conduce al delitto. Binasco allude al carattere “nero” della commedia: Beatrice e Florindo sono colpevoli di un efferato delitto, Pantalone un borghese attaccato più agli affari che alla figlia che, in effetti, non esita a bastonare. E Arlecchino? La regia ne fa un pover’uomo, un outsider in una società di cui non può far parte e nella quale, nondimeno, è costretto ad agire per garantirsi la sopravvivenza. Un “matto” che porta scompiglio e, suo malgrado, fa procedere la vicenda. Il tentativo di Binasco di offrire una lettura nuova e non scontata della commedia non appare, però, del tutto riuscito: vi sono accenni, piccoli segni gettati qua e là nello spettacolo - la latente aggressività sessuale verso i personaggi femminili, la spietatezza tutt’altro che comica di Pantalone, la sospensione del giudizio riguardo Arlecchino - ma il lato oscuro e contemporaneo di Goldoni è appena accennato e ognora illuminato dal gioco della commedia e dalla conseguente necessità di divertire senza turbare troppo il pubblico. Lo zanni protagonista eponimo perde la sua quasi demoniaca e irresistibile vitalità: Natalino Balasso ne offre un’interpretazione volutamente sottotono, in cui si mescolano inconsapevole candore e disperata necessità di sopravvivenza, facendone una sorta di freak, anche un po’ imbranato. Salda la profes-