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Saggi e carteggi dannunziani 22
Collana diretta da Franco Di Tizio
Š 2016 Ianieri Editore www.ianieriedizioni.it - info@ianieriedizioni.it Tutti i diritti riservati. ISBN: 978-88-88302-49-2
Vincenzo Sottanella
LETTERATURA E POLITICA IN D’ANNUNZIO fino agli anni del Vittoriale
IANIERI EDITORE
PREFAZIONE
Vincenzo Sottanella non è conosciuto soltanto per aver scritto con Antonio Fares il libro Florilegio di documenti sui rapporti tra l’Abruzzo e la Repubblica di Ragusa, che ha visto la luce nel 2010, frutto di anni di lavoro e di ricerche effettuate dapprima nei vari archivi statali, vescovili e comunali della regione Abruzzo e poi nell’Archivio di Stato di Ragusa, ma è noto per i suoi studi su Gabriele d’Annunzio, di cui ha già pubblicato cinque libri. Il primo, Letteratura e politica in d’Annunzio fino al 1915 con un glossario politico, è stato edito nel 1993 per le Edizioni Tracce. Nel libro è citato Claudio Varese che nella «Fiera Letteraria» di Roma del 31 marzo 1966 ha scritto: «Negli anni accademici trascorsi sono state discusse con me alcune tesi... Particolarmente degne di pubblicazione, sia per l’argomento sia per il modo come sono state svolte e tali da colmare una lacuna, sono quelle di Vincenzo Sottanella su Letteratura e politica in D’Annunzio fino al 1915...». Il riferimento era, quindi, alla tesi di laurea discussa da Sottanella nel 1964 all’Università di Urbino. Il libro, comunque, non si limitava alla mera pubblicazione della tesi ma era un’opera rielaborata a tal punto che delle 228 voci del glossario politico 200 non risultavano nel Vocabolario 5
dannunziano di Giuseppe Lando Passerini; vi erano, inoltre, più di venti parole interpretate in maniera diversa. Non a caso per tale volume, l’autore ricevette nel 1994 il Premio Amantea per la Saggistica letteraria. Tre anni dopo, nel 1997, per i tipi della Casa Editrice Tinari uscirono Scritti e Discorsi dannunziani dal 1919 al ’21 con glossario politico fiumano; il prefatore Gianni Oliva così si è espresso: «[Sottanella] ci offre ora un ampio e scrupoloso repertorio linguistico degli scritti dannunziani: uno strumento rilevante per gli studi condotto con encomiabile spirito di servizio; le glosse, come nello studio precedente, sono redatte con chiarezza esemplare e agevolano un’agile consultazione dell’intricato sistema lessicale trapuntato di metafore coniato dal Vate». Quattro anni dopo, nel 2001, ha visto la luce per le Edizioni Tracce il Dizionario delle immagini dei Taccuini dannunziani. Vito Moretti nella prefazione affermò: «Il Dizionario documenta in modo incontrovertibile un aspetto fondamentale della scrittura dannunziana, vale a dire il suo continuo configurarsi come una costruzione a mosaico di dettagli, di particolari scrutati nelle pieghe del mondo e di tasselli sui quali l’artifex cuce il proprio abito lussureggiante». Pietro Gibellini ebbe a precisare che il libro «offre un nuovo, prezioso strumento agli studiosi, ma anche una lettura in sé piacevole e originale». Nel 2004, ancora per le Edizioni Tracce, Sottanella ha dato alle stampe Le similitudini più belle dei Taccuini dell’“Imaginifico”, e il prefatore Vito Moretti puntualizzò: «Si tratta di un lavoro assai utile che ripercorre le tecniche compositive del Pescarese e che mette in luce la tendenza all’“osservazione” e alla “descrizione” in cui il poeta cercava di sottrarsi alle modalità esauste
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e stereotipate della letteratura dei suoi anni e di orientare la ricerca verso il gusto simbolico ed evocativo del Decadentismo». Giorgio Bàrberi Squarotti definì, invece, il libro «un’opera ricca di notizie, di interpretazioni, di commenti, davvero fondamentale per completare la conoscenza dell’opera dannunziana». Tre anni dopo, nel 2007, per la Casa Editrice Ianieri, è stato edito Caro Compagno compagnevole. Glossario politico dannunziano del carteggio con Mussolini (1919-1938); Luciana Pasquini nella prefazione ha così esordito: «Con il Glossario politico dannunziano si è di fronte al meritorio atto d’indagine testuale condotto su uno dei rapporti epistolari più discussi della storia italiana: quello intercorso, per un ventennio, tra l’intellettuale abruzzese e l’emissario del potere che ebbe in Mussolini una personalità eccentrica e difficilmente contrastabile». Dopo i cinque importanti libri sul Vate vede ora la luce questo sesto lavoro che è complementare e si ricollega al suo primo volume: Letteratura e politica in d’Annunzio fino al 1915. L’opera, dal titolo emblematico Letteratura e politica in d’Annunzio fino agli anni del Vittoriale, è suddivisa in quattordici importanti capitoli, che trattano episodi dannunziani di estremo interesse ricavati principalmente dai Taccuini. Contiene, inoltre, tre glossari politici dannunziani, la Storia editoriale del carteggio d’Annunzio-Mussolini e un’intervista rilasciata dall’autore nel 2008 alla rivista «Sipario» sul carteggio tra il Vate e il Duce. Quest’opera, quindi, è da considerarsi il frutto di un minuzioso lavoro di ricerca che Sottanella ha rigorosamente compiuto in questi ultimi anni. Franco Di Tizio
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I D’ANNUNZIO E LA MUSICA PIZZETTIANA
A Ildebrando Pizzetti, il celebre musicista parmense, è stata conferita nel 1957 la cittadinanza onoraria pescarese per la interpretazione di tante opere dannunziane. Gabriele d’Annunzio, il poeta idealmente ed artisticamente più legato alla musica pizzettiana, mostrò di avere avuto coscienza della riforma della musica italiana operata dal musicista parmense. In un articolo che dettò da Parigi per il Corriere della sera alla vigilia della prima rappresentazione di Fedra al Teatro alla Scala nel 1915, il poeta, ricordando con parole commosse il primo incontro che ebbe col giovane musicista nel 1907, tratta, tra l’altro, anche della musica pizzettiana. Dal 1907 al 1915, anno in cui scrisse l’articolo, d’Annunzio aveva donato al giovane musicista La Nave, I pastori, Fedra, La Pisanella: opere che hanno quasi tutte offerto motivi per altrettante imponenti affermazioni. Infatti I pastori, in cui il musicista emiliano interpreta magistralmente la terra d’Abruzzo, segnano la data d’inizio d’una nuova forma nella musica italiana del Novecento, la lirica da camera. La prima opera del teatro musicale del Novecento, Fedra, è ancora su testo
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del vate pescarese. Infine uno dei migliori esempi del rinnovamento sinfonico moderno d’Italia, La Pisanella, è tratto dalle musiche di scena sempre per un dramma dannunziano. In un articolo pubblicato nel Corriere della sera del 9 dicembre 1953, Pizzetti, rievocando l’ultimo incontro che ebbe col poeta al Vittoriale nel 1936, ci offre un interessante ritratto artistico e umano del “più schietto più puro più vero d’Annunzio”: Pochi sono, credo, che possano dire di aver conosciuto come l’ho conosciuto io il più schietto più puro più vero d’Annunzio. Quando egli si trovava davanti gente troppo lontana dal suo mondo spirituale, e tanto più se la compagnia fosse numerosa, egli appariva purtroppo il d’Annunzio artificiato, che la gente tanto più ammirava ed esaltava quanto più appariva tale; e poteva esser vanamente e magari offensivamente ironico e beffardo, o fastidiosamente retorico. Ma il d’Annunzio più schietto e più puro e più vero era un altro: era quello che, con un amico che gli fosse caro e del quale conoscesse la devozione e la discrezione, si lasciava andare a parlare liberamente dell’arte sua, non già per pronunciarne quelle superbe iperboliche esaltazioni, che egli riservava, con intenzionale dispregio e scherno, ai suoi supini adoratori od ai suoi critici ottusi e presuntuosi, ma per rivelarne, con rinnovata trepida emozione, l’origine e la genesi: era quello che confessava i suoi tormenti di artista incontentabile nel raggiungimento di una ideale perfezione di linguaggio. Sempre nello stesso articolo c’è anche il ricordo del dono che il poeta fece a Pizzetti, in occasione di quel loro
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incontro che poi fu l’ultimo, della Figlia di Iorio, il capolavoro del teatro dannunziano, l’ultimo traguardo ideale cui anelarono sempre la fantasia e l’arte pizzettiana. Il poeta gli donò la sua tragedia pastorale “libera, fresca, senza età come una canzone popolare”. Ma Pizzetti non osò subito musicare l’opera, che racchiudeva in sé una potenza e una carica spirituale veramente eccezionali. Non osando sollevarsi subito al capolavoro, egli si volse prima all’opera più affine ad esso per argomento e per ambiente, La fiaccola sotto il moggio, smettendo però a metà del primo atto, perché, come egli stesso confessa, “non mi riusciva di veramente amare i personaggi di quella tragedia”. Soltanto nel 1954 “dal sommo della sua musica, in purità” Ildebrando Pizzetti idealmente restituì la tragedia pastorale al poeta pescarese, che prima di morire gliela aveva lasciata in retaggio con spirito fraterno. Gliela restituì consacrata nel suo inconfondibile linguaggio musicale. Con questa ultima conquista spirituale e artistica il musicista parmense è divenuto, dopo il conferimento della cittadinanza onoraria di Pescara, avvenuto nell’agosto del 1957, figlio spirituale del nostro Abruzzo, per aver saputo potenziare artisticamente i motivi più profondi e più sani della poesia di Gabriele d’Annunzio.
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