Estratto - Novelle|Voci e paesaggi dell'universo pirandelliano - Cosmo Iannone Editore

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prima cordonatura obbligata sul margine del disegno

Pirandello Novelle

Le novelle proposte all’attenzione dei ragazzi in questo volume rappresentano una piccola ma significativa selezione operata sulla base di due criteri: – la loro rappresentatività dell’universo umano e artistico pirandelliano; – la fruibilità e la piacevolezza del materiale narrativo, evitando le novelle a carattere filosofico, perché avrebbero reso l’approccio alla lettura più arduo e meno efficace. «Le novelle pullulano di toccanti casi umani, di personaggi colti nel loro dolente segreto, di figure offese dall’esistenza o chiuse nella loro lucida follia: è tutto un mondo di casi e di tipi spesso paradossali indagato con la commossa partecipazione di chi vuole scavare dentro per capire e per compatire». Giudice

Luigi Pirandello

Novelle Voci e paesaggi dell'universo pirandelliano

Quattro passi nel testo Scandagli Artifizi letterari Specchi

www.cosmoiannone.it ISBN-978-88-516-0141-6

Euro 10,00

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9 788851 601416

Cosmo Iannone Editore

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Luigi Pirandello

NOVELLE Vo ci e paesag g i d e ll’ u n i v e r so pi r an d e llian o

a cu ra di Lu cio Cass o n e

Cosmo Iannone Editore

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Il treno ha fischiato Scheda p. 211

Farneticava.1 Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i compagni d’ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall’ospizio, ov’erano stati a visitarlo. Pareva provassero un gusto particolare a darne l’annunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano per via: — Frenesia, frenesia. — Encefalite.2 — Infiammazione della membrana. — Febbre cerebrale. E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale. — Morrà? Impazzirà? — Mah! — Morire, pare di no… — Ma che dice? che dice? — Sempre la stessa cosa. Farnetica… — Povero Belluca! E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell’infelice viveva da tant’anni, il suo caso poteva 1 2

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Farneticava: diceva cose senza senso. Encefalite: infiammazione del cervello.


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anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia, poteva essere anche la spiegazione più semplice di quel suo naturalissimo caso. Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, s’era fieramente ribellato al suo capo-ufficio, e che poi, all’aspra riprensione3 di questo, per poco non gli si era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse d’una vera e propria alienazione mentale. Perché uomo più mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Belluca non si sarebbe potuto immaginare. Circoscrìtto… sì, chi l’aveva definito così? Uno dei suoi compagni d’ufficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista,4 senz’altra memoria che non fosse di partite aperte, di partite semplici o doppie5 o di storno,6 e di defalchi7 e prelevamenti e impostazioni; note, libri-mastri,8 partitarii,9 stracciafogli10 e via dicendo. Casellario11 ambulante; o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi. Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire12 un po’, a fargli almeno almeno driz3 4 5 6 7 8 9

Riprensione: rimprovero. Computista: contabile aziendale. Partita doppia: metodo contabile con dare e avere. Storno: trasferire una spesa da una voce all’altra del bilancio. Defalchi: sottrazione di denaro da una somma più grande. Libri mastri: libri contabili. Partitari: scritture contabili che rilevano la situazione nei confronti di fornitori e clienti. 10 Stracciafogli: quaderni per appunti. 11 Casellario: archivio. 12 Imbizzire: innervosire.

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zare un po’ le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S’era prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com’era da anni e anni alle continue e solenni bastonature della sorte. Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come effetto d’una improvvisa alienazione mentale. Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s’era presentato, la mattina, con un’aria insolita, nuova; e — cosa veramente enorme, paragonabile, che so? al crollo di una montagna — era venuto con più di mezz’ora di ritardo. Pareva che il viso, tutt’a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutto a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso all’intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni non avvertiti mai. Così ilare, d’una ilarità vaga e piena di stordimento, s’era presentato all’ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente. La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte: — E come mai? Che hai combinato tutt’oggi? Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza,13 aprendo le mani. — Che significa? — aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo. — Ohe, Belluca! 13 Impudenza: insolenza.

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— Niente, — aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e d’imbecillità su le labbra. — II treno, signor Cavaliere. — Il treno? Che treno? — Ha fischiato. — Ma che diavolo dici? — Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare… — Il treno? — Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo… Si fa in un attimo, signor Cavaliere! Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi. Allora il capo-ufficio — che quella sera doveva essere di malumore — urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli. Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti, s’era ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch’egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo. Lo avevano a viva forza preso, imbracato14 e trascinato all’ospizio dei matti. Seguitava ancora, qua, a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio assai lamentoso, come lontano, nella notte; accorato. E, subito dopo, soggiungeva: 14 Imbracato: legato.

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— Si parte, si parte… Signori, per dove? per dove? E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro, aggrottati, ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d’un bambino o d’un uomo felice; e frasi senza costrutto15 gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite; espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui, cioè a uno che finora non s’era mai occupato d’altro che di cifre e registri e cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola. Cose, ripeto, inaudite. Chi venne a riferirmele insieme con la notizia dell’improvvisa alienazione mentale rimase però sconcertato, non notando in me, non che meraviglia, ma neppur una lieve sorpresa. Difatti io accolsi in silenzio la notizia. E il mio silenzio era pieno di dolore. Tentennai il capo, con gli angoli della bocca contratti in giù, amaramente, e dissi: — Belluca, signori, non è impazzito. State sicuri che non è impazzito. Qualche cosa dev’essergli accaduta; ma naturalissima. Nessuno se la può spiegare, perché nessuno sa bene come quest’uomo ha vissuto finora. Io che lo so, son sicuro che mi spiegherò tutto naturalissimamente, appena lo avrò veduto e avrò parlato con lui. Cammin facendo verso l’ospizio ove il poverino era stato ricoverato, seguitai a riflettere per conto mio: «A un uomo che viva come Belluca finora ha vissuto, cioè una vita “im­possibile”, la cosa più ovvia, l’incidente più comune, 15 Costrutto: senso.

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Il lume dell’altra casa Scheda p. 245

Fu una sera, di domenica, al ritorno da una lunga passeggiata. Tullio Buti aveva preso in affitto quella camera da circa due mesi. La padrona di casa, signora Nini, buona vecchietta all’antica, e la figliuola zitella, ormai appassita, non lo vedevano mai. Usciva ogni mattina per tempo e rincasava a sera inoltrata. Sapevano ch’era impiegato a un Ministero; ch’era anche avvocato; nient’altro. La cameretta, piuttosto angusta, ammobigliata modestamente, non serbava traccia della abitazione di lui. Pareva che di proposito, con istudio,1 egli volesse restarvi estraneo, come in una stanza d’albergo. Aveva, sì, disposto la biancheria nel cassettone, appeso qualche abito nell’armadio; ma poi, alle pareti, sugli altri mobili, nulla: né un astuccio, né un libro, né un ritratto; mai sul tavolino qualche busta lacerata; mai su qualche seggiola un capo di biancheria lasciato, un colletto, una cravatta, a dar segno ch’egli lì si considerava in casa sua. Le Nini, madre e figlia, temevano che non vi durasse. Avevano stentato tanto ad affittare quella cameretta. Parecchi erano venuti a visitarla; nessuno aveva voluto prenderla. Veramente, non era né molto comoda né molto allegra, con quell’unica finestra che dava su una viuzza stretta, privata, e dalla quale non pigliava mai né aria né luce, oppressa come era dalla casa dirimpetto che parava.2 1 2

Con istudio: attentamente. Parava: faceva ombra.

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Mamma e figliuola avrebbero voluto compensare l’inquilino tanto sospirato con cure e attenzioni, ne avevano studiate e preparate tante, aspettando: — «Gli faremo questo; gli diremo questo» — e così e colà; specialmente lei, Clotildina, la figliuola, tante care finezze, tante care «civiltà» come diceva la madre, oh, ma così, senza secondo fine, aveva studiate e preparate. Ma come usargliele, se non si lasciava mai vedere? Forse, se lo avessero veduto, avrebbero compreso subito che il loro timore era infondato. Quella cameretta triste, buja, oppressa dalla casa dirimpetto, s’accordava con l’umore dell’inquilino. Tullio Buti andava per via sempre solo, senza neanche i due compagni dei solitarii più schivi: il sigaro e il bastone. Con le mani affondate nelle tasche del pastrano, le spalle in capo,3 aggrondato,4 il cappello calcato fin sugli occhi, pareva covasse il più cupo rancore contro la vita. All’ufficio, non scambiava mai una parola con nessuno dei colleghi, i quali, tra gufo e orso, non avevano ancora stabilito quale dei due appellativi gli quadrasse di più. Nessuno lo aveva mai veduto entrare, di sera, in qualche caffè; molti, invece, schivare di furia le vie più frequentate per subito riimmergersi nell’ombra delle lunghe vie diritte e solitarie dei quartieri alti, e scostarsi ogni volta dal muro e girare attorno al cerchio di luce che i fanali projettano sui marciapiedi. Né un gesto involontario, né una anche minima contrazione dei lineamenti del volto, né un cenno degli occhi o delle labbra tradivano mai i pensieri in cui pareva assorto, la doglia5 cupa in cui stava così tutto chiuso. La devastazione, che quei pensieri e questa doglia gli dovevano aver fatto nell’anima, era evidentis3 4 5

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Le spalle in capo: con la testa ficcata nelle spalle. Aggrondato: accigliato. Doglia: dolore.


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sima nella fissità spasimosa6 degli occhi chiari, acuti, nel pallore del volto disfatto nella precoce brizzolatura della barba incolta. Non scriveva e non riceveva mai lettere; non leggeva giornali; non si fermava né si voltava mai a guardare, qualunque cosa accadesse per istrada, che attirasse l’altrui curiosità; e se talvolta la pioggia lo coglieva alla sprovvista, seguitava ad andare dello stesso passo, come se nulla fosse. Che stesse a farci così nella vita, non si sapeva. Forse non lo sapeva neppur lui. Ci stava… Non sospettava forse nemmeno, che ci si potesse stare diversamente, o che, a starci diversamente, si potesse sentir meno il peso della noja e della tristezza. Non aveva avuto infanzia; non era stato giovine, mai. Le scene selvagge a cui aveva assistito nella casa paterna fin dai più gracili anni, per la brutalità e la tirannia feroce del padre, gli avevano bruciato nello spirito ogni germe di vita. Morta ancora giovane la madre per le atroci sevizie del marito, la famiglia s’era sbandata: una sorella s’era fatta monaca, un fratello era scappato in America. Fuggito anche lui di casa, ramingo,7 con incredibili stenti s’era tirato su fino a formarsi quello stato. Ora non soffriva più. Pareva che soffrisse; ma s’era ottuso8 in lui anche il sentimento del dolore. Pareva che stesse assorto sempre in pensieri; ma no; non pensava più nemmeno. Lo spirito gli era rimasto come sospeso in una specie di tetraggine attonita, che solo gli faceva avvertire, ma appena, un che d’amaro alla gola. Passeggiando di sera per le vie solitarie, contava i fanali; non faceva altro; o guardava la sua ombra, o ascoltava l’eco dei suoi passi, o qualche volta si fermava davanti ai giardini delle 6 7 8

Spasimosa: dolorosa. Ramingo: girovago, errante. Ottuso: chiuso, scomparso.

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ville a contemplare i cipressi chiusi e cupi come lui, più notturni della notte. Quella domenica, stanco della lunga passeggiata per la via Appia antica, insolitamente aveva deciso di rincasare. Era ancora presto per la cena. Avrebbe aspettato nella cameretta che il giorno finisse di morire e si facesse l’ora. Per le Nini, madre e figlia, fu una gratissima sorpresa. Clotildina, dalla contentezza, batté anche le mani. Quale delle tante cure e attenzioni studiate e preparate, quale delle tante finezze e «civiltà» particolari, usargli prima? Confabularono9 mamma e figliuola: a un tratto Clotildina pestò un piede, si batté la fronte. Oh Dio, il lume, intanto! Prima di tutto bisognava recargli un lume, quello buono, messo apposta da parte, di porcellana coi papaveri dipinti e il globo smerigliato. Lo accese e andò a picchiare discretamente all’uscio dell’inquilino. Tremava tanto, per l’emozione, che il globo, oscillando, batteva contro il tubo, che rischiava d’affumicarsi. — Permesso? Il lume. — No, grazie, — rispose il Buti, di là. — Sto per uscire. La zitellona fece una smorfietta, con gli occhi bassi, come se l’inquilino potesse vederla, e insistette: — Sa, ce l’ho qua. Per non farla stare al bujo. Ma il Buti ripeté, duro: — Grazie, no. S’era seduto sul piccolo canapè dietro al tavolino, e sbarrava gli occhi invagati nell’ombra che a mano a mano s’addensava nella cameretta, mentre ai vetri smoriva tristissimo l’ultimo barlume del crepuscolo. 9

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Confabularono: parlarono, si consigliarono.


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Quanto tempo stette così, inerte,10 con gli occhi sbarrati, senza pensare, senza avvertire le tenebre che già lo avevano avvolto? Tutt’a un tratto, vide. Stupito, volse gli occhi intorno. Sì. La cameretta s’era schiarata all’improvviso, d’un blando11 lume discreto, come per un soffio misterioso. Che era? Com’era avvenuto? Ah, ecco. Il lume dell’altra casa. Un lume or ora acceso nella casa dirimpetto: l’alito d’una vita estranea, ch’entrava a stenebrare12 il bujo, il vuoto, il deserto della sua esistenza. Rimase un pezzo a mirare quel chiarore come alcunché di prodigioso. E un’intensa angoscia gli serrò la gola nel notare con quale soave carezza si posava là sul suo letto, su la parete, e qua su le sue mani pallide, abbandonate sul tavolino. Gli sorse in quell’angoscia il ricordo della sua infanzia oppressa, di sua madre. E gli parve come se la luce di un’alba lontana, spirasse nella notte del suo spirito. Si alzò, andò alla finestra e, furtivamente, dietro ai vetri, guardò là, nella casa dirimpetto, a quella finestra donde gli veniva il lume. Vide una famigliuola raccolta intorno al desco:13 tre bambini, il padre già seduti, la mamma ancora in piedi, che stava a ministrarli,14 cercando — com’egli poteva argomentare dalle mosse — di frenar l’impazienza dei due maggiori che brandivano il cucchiajo e si dimenavano su la seggiola. L’ultimo stirava 10 11 12 13 14

Inerte: immobile. Blando: tenue. Stenebrare: illuminare. Desco: tavola. Ministrarli: servire la cena.

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il collo, rigirava la testina bionda: evidentemente, gli avevano legato troppo stretto al collo il tovagliolo; ma se la mammina si fosse affrettata a dargli la minestra, non avrebbe più sentito il fastidio di quella legatura troppo stretta. Ecco, ecco, infatti: ih, con quale voracità s’affrettava a ingollare! tutto il cucchiajo si ficcava in bocca. E il babbo, tra il fumo che vaporava dal suo piatto, rideva. Ora si sedeva anche la mammina, lì, proprio dirimpetto. Tullio Buti fece per ritrarsi, istintivamente, nel vedere che ella, sedendo, aveva alzato gli occhi verso la finestra; ma pensò che, essendo al bujo, non poteva esser veduto, e rimase lì ad assistere alla cena di quella famigliuola, dimenticandosi affatto della sua. Da quel giorno in poi, tutte le sere, uscendo dall’ufficio, invece d’avviarsi per le sue solite passeggiate solitarie, prese la via di casa; aspettò ogni sera che il bujo della sua cameretta s’inalbasse15 soavemente del lume dell’altra casa, e stette lì, dietro ai vetri, come un mendico,16 ad assaporare con infinita angoscia quell’intimità dolce e cara, quel conforto familiare, di cui gli altri godevano, di cui anch’egli, bambino, in qualche rara sera di calma aveva goduto, quando la mamma… la mamma sua… come quella… E piangeva. Sì. Questo prodigio operò il lume dell’altra casa. La tetraggine attonita,17 in cui lo spirito di lui era rimasto per tanti anni sospeso, si sciolse a quel blando chiarore. Non pensò, intanto, Tullio Buti, a tutte le strane supposizioni che quel suo starsene al bujo doveva far nascere nella padrona di casa e nella figliuola. 15 S’inalbasse: si illuminasse. 16 Mendico: mendicante. 17 Tetraggine attonita: malinconia smarrita.

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Schede didattiche


Il testo è corredato di strumenti analitici che guidano e facilitano la comprensione/analisi delle novelle. In particolare, un apparato lessicale consente di comprendere agevolmente il lessico pirandelliano che si avvale spesso di termini gergali ed espressioni idiomatiche proprie della parlata siciliana. Il percorso didattico si articola in quattro momenti:

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Quattro passi nel testo. Esercizi di comprensione attraverso questionari mirati all’indagine sugli snodi fondamentali della trama per sondare la comprensione globale come condizione preliminare per attività interpretative più complesse.

Scandagli. Esercizi di approfondimento attraverso l’analisi dei personaggi nella loro caratterizzazione sociale, psicologica e comportamentale.

Artifizi letterari. Attività didattiche che affrontano operativamente le tecniche della scrittura e lo studio degli strumenti della narrazione per la formazione di un lettore sempre più consapevole.

Specchi. Attività di approfondimento intertestuale attraverso confronti e indagini su testi di vario genere.


CIAULA SCOPRE LA LUNA da Dal naso al cielo

Ciaula è un giovane siciliano che lavora in una miniera di zolfo in condizioni disumane. Oppresso dalla miseria e dal durissimo lavoro, il ragazzo è costretto a vivere intere giornate al buio, trascinando casse di zolfo dal ventre della terra fino alla superficie. Ma un giorno accade un miracolo: nel risalire il tunnel, all’uscita vede la luna in tutto il suo splendore. La visione è stupefacente e Ciaula è sopraffatto da una forte emozione che lo induce a un pianto liberatorio. Lo spettacolo della natura illuminata dalla luna stimola la sensibilità del ragazzo e per un attimo lo allontana dalle tenebre e gli restituisce la piena umanità.

QUATTRO PASSI NEL TESTO La trama Il racconto inizia mentre è in atto un’azione di protesta dei minatori. Qual è il motivo che l’ha generata?

Il primo personaggio che appare sulla scena è Cacciagallina. Qual è la sua mansione all’interno della cava?


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SCANDAGLI Analisi dei personaggi: Ciaula e Rosso Malpelo Ciaula nella sua vita misera e degradata è un personaggio che si può accostare a un altro vinto: Rosso Malpelo di Giovanni Verga. Tuttavia, mentre Malpelo conduce una esistenza priva di ogni possibilità di riscatto, Ciaula scopre, quasi per un miracolo, la bellezza e la grandiosità della natura. La visione della luna gli provoca forti emozioni che lo fanno sentire vivo e pieno di quell’umanità perduta nella cava di zolfo e nel dileggio dei suoi compaesani. Dopo aver letto la novella Rosso Malpelo con l’aiuto dell’insegnante, completa la tabella. Fai un confronto tra le due novelle, utilizzando alcuni indicatori tematici comuni. Ciaula

Malpelo

Ambiente di lavoro

Rapporto con proprietario/direttore

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204 Il contrasto luce-buio

Animali simbolo della condizione umana

La visione del mondo

ARTIFIZI LETTERARI LINGUA E LINGUAGGI Il linguaggio figurato La lingua ha un valore denotativo quando esprime il significato oggettivo di un termine. Per esempio il significato denotativo di casa è edificio, costruzione. Lo stesso termine acquista, però,

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Figura retorica Silenzio nero

Tipologia Sinestesia

Spiegazione Fusione di ordini sensoriali diversi.

Significato Il silenzio è profondo e minaccioso

Oceano di silenzio Come un occhio chiaro Un noto piede Etc… La lingua del popolo Avrai notato che i personaggi sono spesso individuati col soprannome. Era un’abitudine molto diffusa nel passato, soprattutto nei paesi e nelle piccole comunità. Qui la gente si riconosceva più per il soprannome che per il nome vero e proprio. L’uso dei soprannomi, l’utilizzo di certe similitudini e modi di dire ci offrono uno spaccato del mondo che l’autore vuole rappresentare, aiutandoci a entrare nella vita e nella mentalità dei personaggi. Si può parlare di novella verista, anche se Pirandello si è allontanato da questa modalità di scrittura assai presto. Individua nel testo parole ed espressioni tipiche del linguaggio popolare.

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SPECCHI La luna: un topos letterario …la Luna col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani… È il commento finale del narratore che raccoglie così l’intensità della commozione del ragazzo di fronte allo spettacolo affascinante e misterioso della luna che irradia tutta la terra, donando speranza e conforto sconosciuti fino ad allora. A fronte di questa marea di sensazioni, la luna appare invece impassibile nel suo eterno girovagare e ignara della sorte dell’uomo. Non si cura delle sue sofferenze e delle sue gioie, è indifferente al destino degli uomini che di fronte alla sua lontananza non possono che sentirsi ancora più piccoli e insignificanti. Il chiarore della luna amplifica lo spazio, scenario delle miserevoli e tragiche vicende umane. Sotto la splendida luna, l’uomo misura la propria infinita piccolezza e avverte la tragica bellezza di essere al mondo. La visione della luna stimola in noi sensazioni, ci spinge a far domande, a compiere delle riflessioni sul senso della vita. Come succede ai grandi poeti. Giacomo Leopardi Il grande poeta Giacomo Leopardi fu un appassionato interlocutore della luna in dialoghi serrati sulle questioni che riguardano la vita e la morte, il perché del nascere e del morire. In numerosi suoi componimenti ha posto alla luna le domande più scottanti che riguardano l’esistenza e il suo significato. Ti propongo di leggere alcune strofe del componimento: Canto notturno di un pastore errante dell’Asia Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?

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209

ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale è la vita mortale […] Questionario Su quale analogia si fonda il componimento?

Di che cosa sono metafora il pastore e il vecchierel?

Che cosa è l’abisso orrido, immenso?

Questi versi esprimono un’idea positiva o negativa della vita? Motiva la tua risposta.

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SPECCHI Le condizioni di lavoro di Ciaula come di altri ragazzi dell’epoca sono disumane. Tanto piÚ che riguardano persone minorenni e spessissimo anche bambini. Oggi la legislazione italiana ed europea tutela il lavoro minorile, definendo con precisione regole e sanzioni. Ti propongo la lettura dei seguenti documenti che ti aiutano a capire meglio il fenomeno. 99 La Costituzione italiana: artt. 1, 4, 35-40 99 Lo Statuto dei lavoratori: artt. 1, 9, 14 99 La legislazione sul lavoro minorile 99 Anno 1973: Convenzione n. 138 99 Anno 1989: Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia 99 Anno 1999 [D. Lvo 345, 4/8/1999] Nuova disciplina sul lavoro

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Pirandello Novelle

Le novelle proposte all’attenzione dei ragazzi in questo volume rappresentano una piccola ma significativa selezione operata sulla base di due criteri: – la loro rappresentatività dell’universo umano e artistico pirandelliano; – la fruibilità e la piacevolezza del materiale narrativo, evitando le novelle a carattere filosofico, perché avrebbero reso l’approccio alla lettura più arduo e meno efficace. «Le novelle pullulano di toccanti casi umani, di personaggi colti nel loro dolente segreto, di figure offese dall’esistenza o chiuse nella loro lucida follia: è tutto un mondo di casi e di tipi spesso paradossali indagato con la commossa partecipazione di chi vuole scavare dentro per capire e per compatire». Giudice

Luigi Pirandello

Novelle Voci e paesaggi dell'universo pirandelliano

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