Estratto - Novelle |A un passo da noi, il mondo dei vinti - Cosmo Iannone Editore

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Giovanni Verga

Verga/Novelle

Che cosa può suggerire a una generazione immersa nel mondo cibernetico la storia di un pastorello siciliano sfruttato che pasce le pecore tutto l’anno, dormendo all’addiaccio e mangiando quel poco che basta per stare in piedi? Oppure, quale emozione può offrire la storia di un ragazzino che fatica in miniera ed è ridotto allo stato bestiale da un sistema che non riconosce i diritti dell’infanzia e anzi sfrutta il lavoro minorile con l’assenso delle leggi? E che dire del pregiudizio che circonda Nedda, ragazza madre di un figlio avuto fuori dal matrimonio? Eppure sono storie che appartengono all’umanità di ogni tempo, che superano i confini geografici e arrivano fino a noi per parlarci della condizione umana. Allora non si tratta di morire di noia su letture uggiose, ma di imparare a riconoscere in queste figure i tanti aspetti della nostra vita. Come attori che in qualche modo parlano di noi, delle nostre speranze, essi rappresentano, come in un caleidoscopio, la multiforme complessità dell’esistenza.

Novelle

A un passo da noi, il mondo dei vinti

Fabula

Il discorso narrativo Approfondimenti 978-88-516-0122-5

E -5 LL 122 VE 6-0 NO 51

88

8-

97 iannone

Euro 10,00

9 788851 601225

a cura di L. Cassone

Ritratti

cosmo iannone editore


Giovanni Verga

novelle A u n pa sso da n o i , I l m o n d o d e i v i n t i

Cosmo Iannone Editore


Cavalleria rusticana Scheda p. 240

Turiddu Macca, figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quello della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata. Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio ché si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! però non ne fece nulla, e si sfogò coll’andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella. — Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, dicevano i vicini, che passa le notti a cantare come una passera solitaria? Finalmente s’imbatté in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo, e al vederlo, non si fece né bianca né rossa quasi non fosse stato fatto suo. — Beato chi vi vede! le disse. — Oh, compare Turiddu, me l’avevano detto che siete tornato al primo del mese. — A me mi hanno detto delle altre cose ancora! rispose lui. Che è vero che vi maritate con compare Alfio, il carrettiere? — Se c’è la volontà di Dio! rispose Lola tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto. — La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ste belle notizie, gnà Lola!



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Il poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca; ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di lusingarlo con belle parole. — Sentite, compare Turiddu, gli disse alfine, lasciatemi raggiungere le mie compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?… È giusto, rispose Turiddu; ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre invece, poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna sullo stradone, nel tempo ch’ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava, e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile, e mi regalaste quel fazzoletto, prima d’andarmene, che Dio sa quante lagrime ci ho pianto dentro nell’andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu.1 La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d’oro che le aveva regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, colla pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d’indifferenza, e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell’oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava. — Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! borbottava. Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza. — Perché non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? rispondeva Santa. — La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona, ora! — Io non me li merito i re di corona. 1

Facemu … finiu: facciamo finta che sia piovuto e spiovuto e che la nostra amicizia sia finita.


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— Voi ne valete cento delle Lole, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola, né il suo santo, quando ci siete voi, ché la gnà Lola, non è degna di portarvi le scarpe, non è degna. — La volpe quando all’uva non ci poté arrivare… — Disse: come sei bella, racinedda2 mia! — Ohé! quelle mani, compare Turiddu. — Avete paura che vi mangi? — Paura non ho né di voi, né del vostro Dio. — Eh! vostra madre era di Licodia, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso! Uh! che vi mangerei cogli occhi! — Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su quel fascio. — Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei! Ella, per non farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano, e non lo colse per miracolo. — Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti. — Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa. — Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l’ho anch’io, quando il Signore mi manderà qualcheduno. — Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo! — Se lo sapete allora spicciatevi, che il babbo sta per venire, e non vorrei farmi trovare nel cortile. Il babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi, perché la nappa del berretto del bersagliere gli aveva fatto il solletico dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi agli occhi. Come il babbo mise Turiddu fuori dell’uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare con lui tutta la sera, che tutto il vicinato non parlava d’altro. — Per te impazzisco, diceva Turiddu, e perdo il sonno e l’appetito. — Chiacchiere. — Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti! — Chiacchiere. — Per la madonna che ti mangerei come il pane! — Chiacchiere! 2

Racinedda: diminutivo di racina (uva)


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— Ah! sull’onor mio! — Ah! mamma mia! Lola che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilico, e si faceva pallida e rossa, un giorno chiamò Turiddu. — E così compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più? — Ma! sospirò il giovinotto, beato chi può salutarvi! — Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa! rispose Lola. Turiddu tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli batté la finestra sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando passava il bersagliere. Il marito di Lola era in giro per le fiere con le sue mule. — Domenica voglio andare a confessarmi, ché stanotte ho sognato dell’uva nera disse Lola. — Lascia stare! lascia stare! supplicava Turiddu. — No, ora che s’avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non sono andata a confessarmi. — Ah! mormorava Santa di massaro Cola, aspettando ginocchioni il suo turno dinanzi al confessionario dove Lola stava facendo il bucato dei suoi peccati. Sull’anima mia non voglio mandarti a Roma per la penitenza! Compare Alfio tornò colle sue mule, carico di soldoni e portò in regalo alla moglie una bella veste nuova per le feste. Avete ragione di portarle dei regali, gli disse la vicina Santa, perché mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa! Compare Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull’orecchio, e a sentir parlare in tal modo di sua moglie cambiò colore come se l’avessero accoltellato. — Santo diavolone! esclamò, se non avete visto bene, non vi lascerò gli occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado! — Non son usa a piangere! rispose Santa; non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di vostra moglie. — Va bene, rispose compare Alfio, grazie tante. Turiddu, adesso che era tornato il gatto non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l’uggia all’osteria, cogli amici; e la vigilia


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di Pasqua avevano sul desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell’affare e posò la forchetta sul piatto. — Avete comandi da darmi, compare Alfio? gli disse. — Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi di quella cosa che sapete voi. Turiddu da prima gli aveva presentato il bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse: — Son qui, compar Alfio. Il carrettiere gli buttò le braccia al collo. — Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell’affare, compare. — Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme. Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti l’orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare. Gli amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l’aspettava sin tardi ogni sera. — Mamma, le disse Turiddu, vi rammentate quando sono andato soldato, che credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perché domattina andrò lontano. Prima di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei fichidindia della Canziria. — Oh! Gesummaria! dove andate con quella furia? piagnucolava Lola sgomenta, mentre suo marito stava per uscire. — Vado qui vicino, rispose compar Alfio, ma per te sarebbe meglio che io non tornassi più. Lola, in camicia, pregava ai piedi del letto e si stringeva sulle labbra il rosario che le aveva portato fra Bernardino dai Luoghi Santi, e recitava tutte le avemarie che potevano capirvi. — Compare Alfio, cominciò Turiddu dopo che ebbe fatto un pezzo di strada accanto al suo compagno, il quale stava zitto, e col berretto sugli occhi. Come è vero Iddio so che ho torto e mi lascerei ammazzare. Ma


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prima di venir qui ho visto la mia vecchia che si era alzata per vedermi partire, col pretesto di governare il pollaio, quasi il cuore le parlasse, e quant’è vero Iddio vi ammazzerò come un cane per non far piangere la mia vecchierella. — Così va bene, rispose compare Alfio, spogliandosi del farsetto, e picchieremo sodo tutt’e due. Entrambi erano bravi tiratori; Turiddu toccò la prima botta, e fu a tempo a prenderla nel braccio; come la rese, la rese buona, e tirò all’inguinaia. — Ah! compare Turiddu! avete proprio intenzione di ammazzarmi! — Sì, ve l’ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di averla sempre dinanzi agli occhi. — Apriteli bene, gli occhi! gli gridò compar Alfio, che sto per rendervi la buona misura. Come egli stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita, che gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito, acchiappò rapidamente una manata di polvere e la gettò negli occhi dell’avversario. — Ah! urlò Turiddu accecato, son morto. Ei cercava di salvarsi facendo salti disperati all’indietro; ma compar Alfio lo raggiunse con un’altra botta nello stomaco e una terza nella gola. — E tre! questa è per la casa che tu m’hai adornato. Ora tua madre lascerà stare le galline. Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola, e non poté profferire nemmeno: — Ah! mamma mia!


Schede didattiche


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ROSSO MALPELO Vita dei campi

Narra la storia di un giovanissimo minatore siciliano costretto a compiere un lavoro massacrante in una cava. Durante lo scavo di un cunicolo, muore il padre, l’unico membro della famiglia che gli dimostrasse affetto. Circondato dall’indifferenza e dal pregiudizio, il ragazzino ha come unico amico Ranocchio che però si ammala anche lui e poco dopo muore, lasciando Malpelo nella più totale solitudine, finché anche lui non sarà vittima della cava.

FABULA Dividi il testo in sequenze e per ciascuna di esse inventa un titolo adatto. Esempio: 1ª Sequenza: da a Titolo della sequenza:

2ª Sequenza: da a Titolo della sequenza:

3ª Sequenza: da a Titolo della sequenza:


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Il padre di Malpelo ha un soprannome. Quale? Perché? Mastro Misciu muore per un incidente nella cava. Di che incidente si tratta?

Perché mastro Misciu accetta un lavoro così pericoloso?

Chi è il responsabile dell’incidente? Sintetizza il punto di vista di: Rosso Malpelo

I compagni di lavoro di mastro Misciu


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In che cosa consiste la violenza dei compaesani di Malpelo?

Come si comporta il direttore della cava alla notizia della morte di mastro Misciu?

La madre e la sorella di Malpelo non si prendono cura di lui. La due donne sono interessate esclusivamente a quanto denaro porta a casa. Rintraccia nel testo tutti i brani che possono aiutarti a disegnare il profilo della madre. Riportali in sintesi negli spazi vuoti.

La violenza è dunque l’unico modo che il ragazzo conosce per esprimere i sentimenti, anche quelli di solidarietĂ nei confronti di Ranocchio. Commenta


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APPROFONDIMENTI Le condizioni di vita e di lavoro di Malpelo erano purtroppo diffuse a quell’epoca. Il lavoro minorile era una triste necessità, perché costituiva una fonte di guadagno irrinunciabile per famiglie poverissime. Rappresentava, al contempo, una occasione di arricchimento per molti datori di lavoro senza scrupoli, insensibili alle sofferenze fisiche e morali dei bambini. Lungo e faticoso è stato il cammino verso il riconoscimento dei diritti dell’infanzia, per i quali i bambini oggi possono godere della tutela dei propri diritti riconosciuti dai vari organismi internazionali che si occupano di infanzia. Il lavoro minorile oggi viene condannato e perseguito dalla legge, perché costituisce un reato. Tuttavia, una legge, per quanto severa, da sola non riesce automaticamente a scardinare il triste fenomeno. Ci sono, infatti, vaste aree del mondo nelle quali il lavoro minorile è praticato diffusamente e spesso con l’assenso e la complicità delle autorità. Anche nelle regioni geografiche del globo economicamente ricche, il fenomeno non è del tutto scomparso. Ti propongo un approfondimento del tema Lavoro minorile attraverso l’analisi di documenti ufficiali di periodi storici diversi. 1. Il lavoro minorile nell’Ottocento. Interessante leggere e confrontare con la novella verghiana con alcuni passi tratti dalla famosa inchiesta dei deputati: L. Franchetti, S. Sonnino, La Sicilia nel 1876. 2. La tutela dei minori nella Costituzione italiana. Studiare gli articoli della Costituzione italiana che tutelano il diritto all’istruzione, l’uguaglianza dei cittadini, e che fanno obbligo ai genitori di curare e sostenere i figli. 3. La tutela dei minori nei progetti dell’Unicef. Sul sito dell’Unicef puoi trovare molte informazioni sui progetti, in atto o in allestimento nelle varie parti del mondo, finalizzati alla tutela dei minori. 4. Lavoro minorile e industrializzazione. Puoi fare una ricerca, partendo dalle condizioni di lavoro dei bambini nell’industria manifatturiera.


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ITINERARI TEMATICI Qualche suggerimento. Proposta 1 99 Costruisci un planisfero, colorando le aree a maggior diffusione del lavoro minorile. 99 Studia l’economia dell’area prescelta. 99 Individua la tipologia del lavoro minorile più diffusa in quell’area. 99 Stendi il resoconto del tuo lavoro, attraverso un elaborato scritto. Proposta 2 99 Confronta l’inchiesta di L. Sacchetti, S. Sonnino, La Sicilia nel 1876 con alcuni documenti UNICEF sulla condizione dell’infanzia nel mondo. 99 Individua analogie e differenze nella condizioni di vita dei bambini di allora e di oggi. 99 Concludi il lavoro con un elaborato scritto nel quale metti in evidenza le cause di un tale fenomeno. Proposta 3 99 Il lavoro minorile è una realtà ampiamente rappresentata nella letteratura italiana e europea. Puoi leggere, a titolo esemplificativo: 99 L. Pirandello, Ciaula scopre la luna. 99 C. Dickens, Oliver Twist.

RITRATTI MALPELO E CIAULA La novella di L. Pirandello, Ciaula scopre la luna contiene numerose elementi, di contenuto e di personaggi, quasi sovrapponibili a Rosso Malpelo. Fai un confronto tra le due novelle, utilizzando alcuni indicatori tematici comuni.


233 INDICATORI TEMATICI Il rapporto dei protagonisti con la miniera/ cava.

1. Rosso Malpelo 2. Ciaula Malpelo

Ciaula

Il proprietario/direttore della miniera/cava

Malpelo

Ciaula

Il contrasto luce/buio

Malpelo

Ciaula


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Focus Rosso Malpelo Malpelo è considerato da tutti un essere malvagio, quasi una bestia priva di sentimenti. 1. In base a che cosa la gente formula questo giudizio?

2. I comportamenti di Malpelo corrispondono alla fama di ragazzo cattivo? Per rispondere più analiticamente a questa seconda domanda, possiamo mettere a confronto le azioni malvagie compiute da Malpelo con quelle da lui subite. Possiamo così capire chi effettivamente è la vittima. Dividiamo il testo in 7 sequenze [potresti trovarne di più o di meno, a seconda del criterio adottato]. Per ciascuna sequenza individua : 99 Le azioni malvagie compiute da Malpelo, indicandone la motivazione 99 Le azioni malvagie subite da Malpelo, con le relative motivazioni. Raccogliamo tutto in una tabella che possiamo intitolare:

LA TABELLA DEL PREGIUDIZIO (da continuare sul quaderno) Sequenza 1. Etc…

Azioni di Malpelo

Azioni contro Malpelo

Motivazioni


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Dopo aver completato la tabella rispondi alle seguenti domande: Dalle informazioni raccolte, puoi affermare che Malpelo è effettivamente un ragazzo malvagio? Motiva la tua risposta.

Il giudizio negativo si fonda su una reale conoscenza del ragazzo?

Come reagisce Malpelo rispetto al giudizio dei suoi compaesani e dei suoi compagni di lavoro? Accetta o si ribella?

Adesso conosci molte cose di Malpelo che ti consentono di scriverne un profilo psicologico e comportamentale, mettendo in rilievo ciò che ti ha davvero colpito di questo ragazzo, i suoi sentimenti, i desideri nascosti, l’incapacità di uscire dalla propria condizione di infelicità.


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FOCUS LA COSTITUZIONE ITALIANA Rosso Malpelo non vede riconosciuti diritti che oggi sono tutelati dalla legge. In particolar modo, gli viene negato il diritto all’istruzione come strumento di promozione umana e culturale. La nostra Costituzione è a tal proposito molto chiara. Leggi: Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 34 La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che debbono essere attribuite per concorso. Con la L. n. 148 del 25 maggio 2000 l’Italia ha sottoscritto una Convenzione


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della Organizzazione internazionale del lavoro e si è impegnata a eliminare tutte le forme peggiori di sfruttamento minorile, quali la schiavitù…, qualsiasi altro lavoro che metta a rischio la salute e la sicurezza del minore. Leggi e commenta con la classe Articolo 7

1. Ogni Membro deve prendere tutti i provvedimenti necessari a garantire l’effettiva messa in opera ed applicazione delle disposizioni attuative della presente Convenzione, anche istituendo e applicando sanzioni penali e, all’occorrenza, altre sanzioni. 2. Ogni Membro, tenuto conto dell’importanza dell’educazione per l’eliminazione del lavoro minorile, deve adottare provvedimenti efficaci, con scadenze definite al fine di: a) impedire che i minori siano coinvolti nelle forme peggiori di lavoro; b) fornire l’assistenza diretta necessaria ed appropriata per sottrarli alle forme peggiori del lavoro minorile e garantire la loro riabilitazione e il loro reinserimento sociale. c) garantire l’accesso all’istruzione di base gratuita e, ove sia possibile e opportuno, alla formazione professionale, a tutti i minori che sono stati sottratti alle forme peggiori di lavoro; d) individuare i minori esposti a rischi particolari ed entrare in contatto diretto con loro; e) tenere conto della situazione particolare delle bambine e delle adolescenti. 3. Ogni Membro deve designare l’autorità competente preposta all’applicazione delle disposizioni attuative della presente Convenzione. Una nota canzone del gruppo New Trolls racconta l’esperienza del lavoro in miniera. Cerca gli accordi e prova a suonarla.


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Le case le pietre ed il carbone dipingeva di nero il mondo Il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggiù era buio Nessuno parlava solo il rumore di una pala che scava che scava Le mani la fronte hanno il sudore di chi muore Negli occhi nel cuore c’è un vuoto grande più del mare Ritorna alla mente il viso caro di chi spera Questa sera come tante in un ritorno. Tu quando tornavo eri felice Di rivedere le mie mani Nere di fumo bianche d’amore. Ma un’alba più nera mentre il paese si risveglia Un sordo fragore ferma il respiro di chi è fuori Paura terrore sul viso caro di chi spera Questa sera come tante in un ritorno. Io non ritornavo e tu piangevi E non poteva il mio sorriso Togliere il pianto dal tuo bel viso. Tu quando tornavo eri felice Di rivedere le mie mani Nere di fumo bianche d’amore.


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Che cosa può suggerire a una generazione immersa nel mondo cibernetico la storia di un pastorello siciliano sfruttato che pasce le pecore tutto l’anno, dormendo all’addiaccio e mangiando quel poco che basta per stare in piedi? Oppure, quale emozione può offrire la storia di un ragazzino che fatica in miniera ed è ridotto allo stato bestiale da un sistema che non riconosce i diritti dell’infanzia e anzi sfrutta il lavoro minorile con l’assenso delle leggi? E che dire del pregiudizio che circonda Nedda, ragazza madre di un figlio avuto fuori dal matrimonio? Eppure sono storie che appartengono all’umanità di ogni tempo, che superano i confini geografici e arrivano fino a noi per parlarci della condizione umana. Allora non si tratta di morire di noia su letture uggiose, ma di imparare a riconoscere in queste figure i tanti aspetti della nostra vita. Come attori che in qualche modo parlano di noi, delle nostre speranze, essi rappresentano, come in un caleidoscopio, la multiforme complessità dell’esistenza.

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A un passo da noi, il mondo dei vinti

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Il discorso narrativo Approfondimenti 978-88-516-0122-5

E -5 LL 122 VE 6-0 NO 51

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8-

97 iannone

Euro 10,00

9 788851 601225

a cura di L. Cassone

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