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Introduzione

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Piacere Righetti

Piacere Righetti

Scrivere di sé è difficile. Si cade facilmente nella banalità di un racconto senza mordente. E poi la retorica è sempre in agguato. Parlare di sé è difficile perché bisogna guardarsi dentro, avere una buona attitudine e un discreto allenamento a una pratica introspettiva fine.

A maggior ragione lo è per dei ragazzi molto giovani, il più delle volte inclini alla velocità, se no alla frettolosità e non alla riflessione. Ragazzi che, anche per mancanza di esperienza, non sempre sono opportunamente attrezzati per passare dal pensiero pensato al pensiero scritto.

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E tuttavia la scrittura di sé è importante anche per loro. La storia della propria vita conta come le storie romanzate che tanto ci coinvolgono.

Scrivere del proprio vissuto non vuol dire necessariamente raccontare eventi eccezionali, avventure mirabolanti.

Episodi anche minimi, addirittura irrilevanti per gli altri, per chi scrive possono avere un significato profondo, segnare un passaggio decisivo, marcare una svolta personale e famigliare tale da imprimere una direzione insospettabile all’esistenza.

Bisogna aggiungere che la scrittura personale, se condivisa, aiuta a costruire una comunità scolastica coesa, attiva e consapevole, con un buon livello di socializzazione. E quando parlo di comunità non intendo solo quella scolastica ma anche quella famigliare, di quartiere... Nella scrittura insomma è tutto un mondo che si attiva e che vuole essere raccontato.

Di questo e di altro ancora parla il volume Raccontami di te della docente Carmelina Fraraccio. All’interno di una cornice narrativa di un narratore esterno si collocano i racconti degli

studenti coinvolti in un progetto di scrittura dalla loro insegnante, la terribile professoressa Righetti

Essi sono invitati a raccontare per iscritto le proprie giornate, i pensieri e le riflessioni nei mesi della chiusura scolastica per Covid.

Prima con riluttanza ma poi con sempre maggiore trasporto, gli studenti rispondono entusiasti e con grande voglia di raccontarsi. Da questo momento in poi tante cose cambieranno nella relazione tra l’insegnante e i suoi alunni. La scrittura ha proprio il potere di cambiare la percezione reciproca. Essa consente di vedere le cose da un’altra prospettiva: la Righetti non considera più i suoi studenti solo come ormoni da domare; e gli studenti vedono la professoressa sotto un’altra ottica, più vicina alla loro vita e alle loro esigenze di adolescenti.

Il racconto non dice però come l’insegnante ha allenato gli studenti alla scrittura, né quali strategie aveva in precedenza presentato per arricchirne la cassetta degli attrezzi.

Ed è una scelta comprensibile: si trattava di non appesantire il flusso del racconto e di focalizzare l’attenzione sulle storie prodotte dagli studenti. Il racconto è uno spaccato di vita scolastica fatto di relazioni, costellato da tanti personaggi. Si raccontano emozioni, non strategie di scrittura.

Strumentario minimo

Sollecitare gli studenti con strategie adeguate vuol dire evitare, per esempio, la scrittura di sterili elenchi del tipo mi sono alzato, ho fatto colazione...; soprattutto serve a fornire strumenti e attrezzi per far capire che per parlare di sé occorre scegliere un’angolatura, selezionare un episodio, soffermarsi sui dettagli.

Anche la lettura ha le sue strategie per la formazione di un lettore consapevole.

Le attività didattiche sono raggruppate in due categorie: • Chiavi di lettura

Questa sezione comprende alcune strategie di lettura per una comprensione profonda del testo.

• Strategie di scrittura

La scrittura ha le sue regole e i suoi meccanismi. Le attività di scrittura proposte attivano tali procedure.

*Per alcune proposte didattiche si fa riferimento al testo di J. Poletti Riz, Scrittori si diventa, Erickson. In particolare sono stati rielaborati gli attivatori “Cuore” e “Vengo da”.

Capitolo I

Sull’arcata della biblioteca della scuola di via dei Ciclamini c’era e c’è ancora una bella targa che tutti si fermavano a leggere:

UN LIBRO SOGNA. IL LIBRO È L’UNICO OGGETTO INANIMATO CHE POSSA AVERE SOGNI.

La scuola in cui sto per entrare è un edificio del 1955 situato accanto alla Biblioteca comunale. Si sviluppa su tre piani e un interrato. Al pianoterra gli uffici di segreteria e la presidenza.

Non è intitolata a un nome illustre, a un personaggio famoso per le sue imprese o a un eroe della storia. Niente. Basta dire Istituto di via dei ciclamini. Anzi, spesso per indicarla si diceva “l’edificio accanto alla biblioteca” e tanto bastava.

Una scuola anonima, dunque? Nient’affatto! Un nome ce l’aveva eccome ed era stampato su una lastra di marmo affissa a un portone poderoso: JEAN PIAGET. Dunque stiamo per entrare nell’Istituto Comprensivo Jean Piaget sito in via dei ciclamini, nei pressi della Biblioteca comunale “Ennio Flaiano”

Capitolo IV

Tutto cominciò così

In un’oziosa mattina di ottobre, mentre l’aria si scaldava al tepore del sole, proprio in quella scuola stava prendendo vita qualcosa, c’era una strana frenesia che serpeggiava tra i corridoi. La professoressa Righetti, con passo traballante, sui suoi tacchetti a spillo entrò nell’aula magna e senza guardare nessuno si accomodò sul palco in postazione centrale, provò il microfono e si schiarì la voce.

Nervosamente si sistemò una ciocca ribelle che le scendeva sulla fronte e iniziò a rovistare nella sua cartellina portadocumenti che, in realtà, più che a una cartella da lavoro somigliava a un beauty case un po’ più grande del solito.

Si guardò alle spalle e, con aria di disappunto, si rese conto che la LIM era spenta e il computer non era ancora stato collegato. - Arturo! Arturo… - urlò con voce stizzita.

Il povero tuttofare arrivò ciondolando a causa della sua ingente mole e cominciò a trafficare con fili, prese, doppie prese e ciabatte d’ogni specie.

Il brusio delle voci di tutti gli alunni riuniti in quella sala divenne insopportabile, ma nessuno disse una parola a tal proposito. Intanto Arturo continuava ad armeggiare, sudato e impacciato come al solito.

Qualche discolo della terza gli indirizzava dei versacci per prenderlo in giro, ma lui non se la prendeva. Quando era sicuro che la prof fosse distratta, ridendo, si girava verso i ragazzi e metteva in bella mostra il suo dito medio. Poi, sbuffando, ritornava a litigare con i fili elettrici.

Finalmente gli altoparlanti ebbero uno stridio e la voce metallica della Righetti giunse da tutti gli angoli, un tantino tremolante a dir la verità. - Silenzio, per favore… quello che sto per dire interessa tutti e non ci saranno ulteriori spiegazioni, per cui ascoltate con attenzione o sarà peggio per voi!

Arturo si girò verso i ragazzi e sghignazzando sussurrò: - Mo’ state freschi!

La professoressa lo fulminò con lo sguardo e lui si ritirò in fretta, dondolando così come era arrivato. Finalmente ci fu silenzio. - Bene ragazzi, vi voglio parlare di un’iniziativa, di un progetto che vi riguarda molto da vicino. Sapete, soprattutto voi di seconda e terza, quanto io ami la scrittura e capite anche il perché. Che cosa vuol dire scrivere bene? Se si ragiona con criterio, scrivere è pensare per comunicare con più efficacia. Avete sentito? COMUNICARE! Esprimere le proprie idee, le proprie esperienze, il proprio vissuto. Le parole possono creare storie, mondi ed emozioni. Sono un mezzo per farsi conoscere. Non tutte le parole, però, solo quelle giuste, ben combinate tra loro. Vi sto chiedendo di raccontarvi, di comunicare. Scrivete una vostra esperienza, vera, sentita. Che le parole siano ben combinate e organizzate. Ho voglia di conoscervi, nonostante molti di voi siano in classe con me da tre anni. Magari se vi mettete d’impegno potrebbe venir fuori un bel lavoro su cui discutere, meditare e imparare. Sarà un intreccio di racconti, di anime, di parole e pensieri, che pur partendo da punti diversi, sono sicura s’incontreranno a formare una catena di storie infinite apparentemente e, ripeto, solo apparentemente diverse. Allora buon lavoro a tutti… e non si accettano giustificazioni.

Il brusio riprese, assumendo toni sempre più alti, ma ormai la professoressa era uscita dalla stanza. Di lei era rimasto solo l’eco del ticchettio dei tacchi sul selciato del cortile, nel retro della scuola.

Ma come, adesso voleva conoscerli? Non aveva mai permesso a nessuno di replicare, esprimere un proprio parere. Faceva così anche in classe…sempre!

Parlava solo di se stessa, tant’è vero che, a volte, lei se la cantava e lei se la suonava.

L’opposto del prof. Lucarelli, l’insegnante di arte. Un uomo solare, allegro, disponibile al colloquio e allo scherzo. Era molto disordinato, ma un vero artista: era capace di creare un disegno bellissimo in pochi attimi, così, semplicemente, con un mozzicone di matita.

Quando si andava alle gite era facile vedere un gruppone di ragazzi accerchiarlo per ascoltare le sue spiegazioni e per ridere delle sue barzellette

Gli alunni del primo anno, dopo l’incontro con la Righetti, rimasero seduti un po’ disorientati. Erano nuovi, poco avvezzi a far di testa propria. Perciò rimasero lì imbambolati.

Finalmente una ragazzetta brufolosa urlò - Mancano tre minuti all’uscita! Andiamocene a casa. Arturo! Arturo, suona sta campana…

Trascorsi i tre minuti canonici, Arturo premette il campanello d’uscita e una mandria di puledri impazienti si precipitò fuori dalla scuola. Il compito che era stato affidato dall’insegnante era già bello e dimenticato. Solo il giorno dopo, quando l’insegnate ricordò loro il lavoro da svolgere, la preoccupazione iniziò a farsi largo nelle loro menti e le parole iniziarono a prender forma e significato.

Da quel momento, ogni santo pomeriggio sarebbe stato, in parte, dedicato a raccontarsi senza, però, aprirsi troppo…una parte nascosta è sempre bene custodirla, non si sa mai, magari i professori se ne sarebbero potuti servire chissà come.

Il lavoro doveva essere consegnato massimo per la fine di febbraio, ma si sa che ci sarebbero stati i ritardatari, quelli che s’inventavano scuse paradossali pur di riuscire a farla franca.

Si … dai… quelli che facevano morire la nonna tre volte, che avevano i genitori ricoverati in tutti i reparti dell’ospedale e che soffrivano di febbre a intermittenza: una sera sì, due no, nell’ora di matematica sì, in quella di motoria no…

E i mesi scorrevano e i fogli si riempivano di storie e confessioni, poi, puntualmente accartocciati e lanciati nel cestino

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