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Capitolo III
Siamo quasi alle superiori e iniziamo a progettare il nostro futuro, abbiamo mille idee e diecimila dubbi, ma abbiamo anche un caro amico, che spesso ci dà una mano a risolverli.
Chi è?
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Si chiama Piermaria, un bravo ingegnere civile, perché in quell’anno si è laureato, andrà all’estero, ma per noi sarà sempre raggiungibile. Infatti, durante questo terzo anno l’ho visto poco, era impegnato con la tesi, ma da parte sua non manca mai una telefonata, un messaggino, un ‘in bocca al lupo’ per la verifica di matematica.
Ha anche una fidanzata, adesso, una quasi dottoressa nigeriana in gambissima e avrà, come dice lui, due splendidi bambini color gianduiotto.
È il nostro fratellone e a Natale, quando ci riuniremo costruiremo grandi castelli di carta intervallati da giganteschi, meravigliosi castelli in aria!
Con lui e grazie a lui ho capito il vero significato della parola amicizia, in maniera particolare ho scoperto anche cosa sono i preconcetti e di quanto sia sbagliato giudicare una persona dalle apparenze, prima della conoscenza diretta, sulla base di luoghi comuni che filtrano la nostra conoscenza del mondo.
In parole povere sono conclusioni fatte all’inizio anziché alla fine.
Nella mia vita vorrei essere attorniato da persone capaci, intelligenti, competenti e prive di preconcetti, perché, si sa, il pregiudizio annebbia la mente e confonde le idee
Malattie dell’animo
Amavo la soffitta di casa mia, era un posto bello... certo impolverato, ma decisamente affascinante. Abitavo in quel quartiere da appena un anno e mi sentivo spesso sola, ecco perché amavo trascorrere il tempo in quel luogo un po’ da favola.
Mi piaceva soprattutto rovistare nel vecchio baule colmo di vestiti d’altri tempi dagli improponibili colori e fattezze.
privazioni. Un figlio che lei chiama “l’uomo della sua vita” e che ama più di qualsiasi altra persona al mondo.
Se andrete a cercare sul vocabolario non troverete proprio scritto così. Questo è scritto nel mio cuore.
Ragazze di città e ragazze di campagna
Da quando papà era stato messo in cassa integrazione qualche restrizione l’avevamo subita.
Per carità, si mangiava e beveva come sempre, ma tanti sfizietti proprio non ce li potevamo far passare.
Anzi, la mamma diceva sempre che potevamo ritenerci fortunati, dato che lei aveva ancora il suo lavoro e il suo stipendio per intero.
Insomma non ci mancava nulla, ma, ad esempio, le vacanze non ce le potevamo più permettere da qualche annetto.
All’inizio, se devo essere sincera, un po’ c’ero rimasta maluccio, ma poi avevo trovato una bella pezza a colore.
Facile: non dicevo che andavo in vacanza dai nonni, in campagna.
Un po’ mi sentivo in colpa per questa bugia, pareva quasi che incolpassi i miei genitori di non essere altrettanto capaci delle mamme e dei papà dei miei compagni di scuola che a settembre raccontavano di vacanze da sogno, spiagge caraibiche e mari turchini.
Anzi, a volte pensavo che anche loro le raccontavano grosse, e forse erano stati chiusi in casa o in qualche pensioncina lontana dieci chilometri dalla spiaggia.
Comunque sia, vi posso solo dire che i campi di nonno Alberto erano incantevoli e anche un po’ incantati.
Gli alberi da frutto erano profumati e cascate di ortaggi invadevano l’orto facendo capolino tra foglioline e cespugli verde smeraldo.
Il cielo cobalto guardava questa meraviglia della natura e quando arrivavo dimenticavo ogni preoccupazione. Lontana da