Capitolo III
N ella Francia dell’assolutismo l’aristocrazia francese ha quotidianamente l’occasione di dare sfoggio della propria nobiltà di rango mentre, nelle corti italiane sono incoronazioni e nozze di sovrani, visite di nobili o personaggi di spicco gli eventi durante i quali le famiglie più abbienti facevano a gara nel dare sfoggio della magnificenza delle rispettive casate. Feste pubbliche e private si svolgono secondo minuziosi rituali cerimoniali, lo stesso abbigliamento dei nobili e dei borghesi che vi prendono parte è rigidamente codificato. “Tutto in questa città è spettacolo, lusso e voluttà” scrive Goudar, ad indicare le numerose ricorrenze del calendario veneziano colte dalle classi più abbienti quale pretesto per sfoggiare abiti sempre più sfarzosi, intessuti di pietre preziose, di perle e di ori. Di contrasto alle leggi suntuarie che cercano di mettere un freno agli eccessi modaioli ed al lusso eccessivo del popolo veneziano, cerimonie quali matrimoni, festività e lutto, sono occasioni per veri e propri sfoggi di ostentazione.
Tra il 1706 e il 1707 a Venezia viene proibito alle donne nobili e alle cittadine di indossare vesti colorate nei luoghi pubblici, imponendo invece l’uso di abiti rigorosamente neri. Da tale imposizione vengono esentate soltanto le novizze ma anch’esse, una volta sposate, devono sottostare alla regola “del nero”. Conseguenza è che il nero diventa un colore simbolo di distinzione sociale, indicativo dell’appartenenza alla classe aristocratica, tanto che viene reso obbligatorio anche per gli abiti dei nobiluomini. è invece proibito indossare il suddetto colore a tutte le altre donne, specialmente alle cortigiane e a coloro che fanno parte del popolo. E’ opportuno sottolineare come l’abbigliamento d’occasione, differenziandosi spesso da una città all’altra, riflette la frammentazione politica dell’Italia del tempo, i cui i stati regionali sono sottoposti al dominio di una differente casata nobiliare, ognuno con il proprio patrimonio di tradizioni ed influenze culturali. Per quanto riguarda le nozze, lo sfarzo che si sfoggia durante le celebrazioni di un matrimonio è principesco, preceduto da un complesso cerimoniale, seguito da balli e banchetti. A Firenze, per esempio, è previsto che le esponenti dell’alta nobiltà in occasione delle nozze, siano adornate da preziose perle, vestite di velluto cremisi, con frappe di pizzi e nastri d’oro. A Venezia le nozze dei patrizi, avvengono in un’atmosfera di sfarzosa magnificenza. Prima della cerimonia nuziale la futura suocera regala alla nuora una collana di perle, che questa indosserà solo un determinato numero di anni dopo il
matrimonio. La tradizione seicentesca prevedeva che la sposa si presenti ai parenti nel portego del palazzo in abito nero, con un corto mantello di damasco a largo scollo sulle spalle, accompagnata a mano da un ballerino. Un primo cambio d’abito avviene per la celebrazione delle nozze, durante la quale inizia ad affermarsi l’uso del vestito nuziale bianco, di seta o teletta d’argento. Al termine della cerimonia il corteo nuziale si sposta nella casa dello sposo, dove le celebrazioni proseguono per tre giorni tra banchetti, balli e divertimenti; durante questi giorni la sposa indossa una veste più sontuosa, ornata di gioielli e merletti. Un cambio d’abbigliamento è previsto anche per le dame del seguito, che passavano dall’indossare vesti nere durante la cerimonia a vesti di colore in occasione del banchetto che seguiva. In occasione delle nozze a Torino di Vittorio Amedeo I di Savoia con Maria Cristina, secondogenita del re di Francia Enrico IV e Maria de medici, lo sposo è vestito di nero satinato, ricamato d’argento, con un seguito di staffieri: alcuni vestiti di broccato, altri di velluto rosso. Gli staffieri della sposa, vestita d’argento, sono abbigliati secondo la moda francese: con casacche scarlatte e di velluto argentato, profilate di rosso amaranto. La testimonianza del fatto che la Francia, in qualità di potenza dominante in Europa, è modello di riferimento anche in materia di abbigliamento, emerge dal fatto che nelle corti italiane persino i personaggi più illustri vestono secondo la moda à la française, nonostante la disapprovazione dei più tradizionalisti e conservatori. Ne è un esempio il matrimonio celebrato a Modena nel 1720
tra Carlotta Aglaè di Francia, figlia di Luigi XV e Francesco d’Este, futuro duca di Modena. La scelta della sposa di indossare un’ andrienne durante il banchetto di nozze viene considerata segno di bassa considerazione dell’Italia e delle sue usanze. A partire dalla seconda metà del XVII secolo, parallelamente al rafforzarsi della potenza francese, si afferma la tendenza di indossare vesti sfarzose corrispondenti alle robes de cour di origini francesi, in ricorrenze come balli e feste, ma anche cerimonie solenni come le incoronazioni. Così a partire dal XVIII secolo, in occasioni di gala, come abito femminile si afferma l’andrienne alla francese, che mantiene le stesse caratteristiche sartoriali della tipologia originaria: busto aderente, ampia scollatura quadrata, lunghezza delle maniche fino al gomito, sul dietro un pannello di pieghe sciolte che proseguono con uno strascico, ampia gonna sostenuta da panier. A Venezia la moda francese impera sin dal Rinascimento, toccando il culmine proprio nel XVIII secolo, fondendosi con alcuni elementi veneziani, ma anche con le mode alla tedesca, alla polacca, alla moscovita, all’inglese, alla cinese ed alla persiana secondo cui vestono nobili e borghesi. Altro abito molto in voga nel XVIII secolo a Venezia fu il mariage, indossato inizialmente dalle protagoniste della commedia goldoniana: si tratta di un abito utilizzato per lo più per la villeggiatura, poiché sobrio ed elegante al tempo stesso, in tinta unita, guarnito solo da nastri di due colori diversi. A Venezia si prevede che le vesti dei nobili durante le feste in onore del doge, del procuratore, del papa e dei cardinali siano rosse, nere invece per i matrimoni
ed altre occasioni cerimoniali. Feste, cortei e cerimonie pubbliche forniscono all’aristocrazia l’occasione per esibire i propri privilegi di rango. In tali eventi nella repubblica della Serenissima, coloro che non hanno un titolo nobiliare, ma ricoprono un ruolo di spicco, come i dottori togati, i membri della Camera Ducale, gli alti funzionari statali, indossano livree e uniformi delle rispettive cariche. Per i magistrati e la classe nobiliare vi è l’obbligo di indossare le vesti tradizionali, la toga ossia un’ampia e lunga sopravveste munita di maniche e la romana col gonnellino, più volte nel corso della settimana, in modo da conferire solennità e maggior decoro al proprio rango. L’orgoglio di casta emerge anche nel dolore ed in circostanze come il lutto ed i funerali. Non solo quelle di sovrani o governatori, ma anche le esequie dei patrizi, avvengono secondo pomposa teatralità infatti, speciali inviti stampati vengono inviati alla nobiltà, arazzi, stendardi, damaschi, stemmi araldici ricorrono lungo i cortei funebri per le vie della città, nonché in chiesa attorno al catafalco dove viene esposta la bara del defunto. Per quanto riguarda i famigliari del defunto, è previsto l’abito nero non soltanto durante lo svolgersi dei funerali, ma per l’intera durata del lutto. Nel popolo vi è invece l’usanza di indossare una fascia nera o portare un fazzoletto nero in capo. Nel caso di morte di personaggi particolarmente illustri le celebrazioni del lutto avvengono secondo un complesso cerimoniale e l’etichetta richiede il rispetto di determinate regole nell’abbigliamento e nel comportamento. Il lutto viene così intimato alla nobiltà stabilendone con precisione la durata, talvolta imponendo
l’abbandono di cipria e merletti e l’uso di abiti di rattina ovvero un tessuto di lana opaca. Eccezione a tali prescrizioni vengono concesse in occasione di nozze o altre cerimonie, in modo da non rattristare sposi ed invitati. Da quanto precedentemente detto emerge come il modo di vivere della nobiltà in epoca barocca appare sfarzoso, improntato al lusso e tendente all’esagerazione.
L’adattamento di elementi teatrali alla vita comune avviene innanzitutto attraverso l’utilizzo della maschera, un accessorio estroso e tipico dell’Italia, utilizzato soprattutto durante le feste ma, in particolari occasioni, anche nella vita quotidiana. Introdotta nel XVII secolo, ma più diffusa nel XVIII secolo, è da subito amata per il suo potere di coprire il volto in modo affascinante e misterioso, suscitando così la curiosità della gente sull’identità di colui che la indossa. La maschera rappresenta inoltre un punto di incontro tra la tradizione di contegnoso decoro nobiliare e la disinvolta partecipazione degli stessi nobili ai
passatempi mondani. Proprio nell’atmosfera goliardica della Venezia settecentesca ha il suo maggiore successo, tanto da dire comunemente “A Venezia si va in maschera metà dell’anno”. Una licenza del Governo ne permette l’uso da Santo Stefano alla fine di Carnevale, dal 5 ottobre al 16 dicembre nelle ore pomeridiane, nei giorni dedicati al patrono San Marco e nel giorno dell’Ascensione, in quello dell’elezione dei dogi e dei procuratori e in altre feste, purché non coincidano con il periodo della quaresima.
gioielli non consentiti dalle leggi suntuarie della Repubblica Veneta. La moda del tabarro conquista anche le dame, ammaliate dalle belle pieghe che si formano e che danno maestosità ad una figura snella. La toga invece è una mantellina rotonda, solitamente di merletto nero, dotata di un cappuccio di seta che copre tutto il capo ma non il viso. Un terzo elemento utilizzato per andare a teatro è il cappello a tricorno.
Nata come usanza di carattere patrizio, l’utilizzo della maschera viene in seguito esteso al resto della popolazione, includendo i ceti sociali più poveri. Proprio grazie ad essa le distinzioni sociali si annullano e confondono, tanto da consentire rapporti confidenziali tra patrizi e popolani; è infatti detto comune del tempo il suo poter “cantare l’uguaglianza illusoria tra i vari ceti e non solo”. A Venezia i patrizi partecipanti e amanti di spettacoli teatrali sono obbligati a presentarsi a teatro in maschera con tabarro e bautta. Il primo è un mantello a ruota inizialmente da uomo, realizzato in panno grosso, pesante e nero o comunque scuro, lungo fino al polpaccio che viene chiuso mettendo un’estremità sulla spalla opposta in modo da avvolgere il corpo. Inizialmente viene utilizzato dalla classe dei semplici cittadini mentre i nobili usano la toga, tuttavia ai giovani patrizi piace al punto da includerlo nel loro guardaroba, mettendolo soprattutto la notte durante le loro avventure. Il tabarro si presta anche ad essere usato per nascondere l’eleganza sontuosa e proibita degli indumenti e dei
Chi indossa il tricorno con la bautta e il tabarro, per una convenzione universale, viene considerato in incognito pur non coprendo il viso con la maschera. Per quanto riguarda le maschere vere e proprie ce ne sono di diversi tipi: la mezza maschera, la larva e il volto o moretta. Quest’ultima è la tipologia più comune: una maschera di forma ovoidale, utilizzata solamente dalle donne, di colore nero in velluto, tela o cartone. Solitamente viene trattenuta sul volto attraverso un gancio tenuto con la bocca non consentendo la parola a chi la indossa, così da trasmettere un senso di anonimato silenzio. Molto diffusa è anche la larva, utilizzata soprattutto dagli uomini, di colore nero ma più spesso bianco, così
da dare un senso di spettrale tale da giustificarne il nome che in latino significa fantasma. Viene completata con una balza di pizzo che copre la bocca, mentre un pozzetto bassissimo circonda con raffinatezza le fenditure degli occhi. Con questo tipo di abbigliamento donne e uomini patrizi, le massime autorità della Repubblica Veneta come il doge e gli Inquisitori di Stato, principi stranieri e ambasciatori possono confondersi e mischiarsi con il popolo, sicuri di non ricevere offese o insulti perché coperti dall’anonimato e protetti dalle leggi. Tuttavia non sempre gli aristocratici vanno a teatro in maschera e per evitare questa infrazione, che toglie l’alone di gravità e riserbo, gli Inquisitori di Stato decidono di emanare una legge che non consente l’accesso ai teatri al nobile vestito in modo inadatto. Un simile provvedimento viene fatto per le nobildonne e le appartenenti ad un alto ceto sociale che indossano un abbigliamento troppo indecoroso o eccessivamente vistoso, rigorosamente vietato dal Consiglio dei Dieci che definisce le donne in questione “ornate a capriccio”.
più sobrio, le ballerine vestono in modo sfarzoso a colori chiari e stridenti, ricco di ornamenti vistosi, con acconciature ondeggianti, caschi piumati e manti a strascico, completando l’abbigliamento con corti calzoni che lasciano le gambe in vista. Questo tipo di vestiario ha una forte influenza sull’abbigliamento privato. AIlo stesso modo, anche il teatro di Goldoni è fonte d’ispirazione per la moda del tempo. Alle rappresentazioni di quest’ultimo si devono l’introduzione di quattro nuove maschere: Pantalone De’ Bisognosi, un ricco e avaro mercante veneziano, in zimarra nera ossia un lungo abito maschile di origine spagnola e calzoni rossi lunghi;
Sono soprattutto gli spettacoli all’opera ad essere d’ispirazione alle mode nuove e più ricercate. Sul palco le cantanti adottano un genere di abbigliamento chiamato all’eroica o alla romana con un girello, detto anche sottanino all’eroica, ed un corpetto fatto a squame. Si possono trovare altri costumi di scena che caratterizzano gli stranieri come i vestiti alla mora, alla turca, alla persiana, all’usacca, alla francese, alla tedesca ed alla spagnola. Se le cantanti adottano un abbigliamento
il Dottor Balanzon, un saccente e presuntuoso, dottorale;
bolognese in veste
quelli più tradizionali e popolareschi.
Tra il XVII ed il XVIII secolo in Europa si avvia un processo di restaurazione delle monarchie. Si esce da un momento di lotte intense contro i puritani che lasciano l'ossessione di vestiti eccessivamente rigorosi e casti per ricominciare a perdersi in un lusso forse maggiore di quello del Rinascimento. è un periodo caratterizzato dalla suggestiva maestosità del Barocco, dall’amore per lo sfarzo, l’arte, la bellezza e da tutto ciò che vi è di bizzarro.
Brighella, servo furbo e spesso ladro, vestito in farsetto bianco ovvero il giubbetto maschile; e Arlecchino Batoccio, il servo balordo con un vestito fatto in pezze multicolori vivacissime. Una maschera meridionale, e quindi non appartenente al teatro di Goldoni, che ha molto successo è quella di Pulcinella, furbo ma pauroso, vestito con un largo costume bianco. E proprio un personaggio “Goldoniano”, Pantalone, influenza la moda maschile francese di Luigi XIV. Infatti il duca di Brunswick trova quel calzone così attraente al punto da abbandonare il vecchio modello limitando però la lunghezza affinché si possano ancora vedere le calze bianche. Questa nuova moda entusiasma a tal punto il Re Sole da essere adottata da tutta la nobiltà francese. Sono tuttavia le maschere di Brighella ed Arlecchino ad aver maggior successo, passando dal costume teatrale a quello carnevalesco per travestimenti sia di cavalieri che di dame, accanto a
L’avvento al trono di Luigi XIV nel 1643, conosciuto anche come Re Sole, determina l’inizio dell’egemonia francese non solo a livello politico, ma anche di stile. Il sovrano ama curare il suo aspetto senza tralasciare alcun dettaglio e si distingue dagli altri ma allo stesso tempo coloro che lo circondavano indossano
abiti che siano alla sua altezza; per questo motivo impone regole ferree che obbligano i sudditi ad imitarlo, senza mai superarlo. Quindi, se durante la guerra dei trent’anni (1618-1648) si riscontrano parecchie diversità nell’abbigliamento tra le varie nazioni, dal 1660 la corte francese di Versailles comincia ad imporre le leggi dello stile e del buongusto. Tornano a circolare nelle diverse corti europee le fameuses poupées, bambole vestite secondo i canoni dell’eleganza dettati dal Re Sole, allo scopo di diffondere le produzioni tessili francesi.Grazie a Luigi XIV, Parigi si trasforma così nel centro universale della moda dell’epoca.Intorno alla metà del XVII secolo il costume maschile ha una linea frammentaria e confusa, solo verso la fine del secolo acquista maggiore compostezza.Nella moda, il Barocco si manifesta nella linea bizzarra dei costumi e nei disegni dei tessuti rappresentanti una ricca vegetazione. Le stoffe utilizzate,damasco di seta o di velluto, risultano opprimenti per l’abbondanza e la ricchezza dei disegni e per gli accostamenti cromatici molto forti. Vengono ripresi i rhingraves, calzoni di origine olandese ricchi di larghe trombe infiocchettate.Dal farsetto fuoriescono la camicia composta da pieghe e sboffi che sbucano fuori dall’avambraccio, dal petto e dalla vita. I merletti appaiono dappertutto, dai polsi alle ginocchia e sulle spalle viene portata una cappa rotonda. Questo può essere considerato il periodo in cui il vestiario maschile risulta il più stravagante di tutte le epoche. Successivamente gli uomini portano una veste o panciotto che arriva quasi alle
ginocchia. Sopra al panciotto indossano il giustacuore, una sorta di casacca lunga fino alle ginocchia che aderisce alla parte superiore del corpo allargandosi dalla vita in giù. è dotato di tasche e di una lunga abbottonatura anteriore decorata con passamaneria e alamari. Le maniche terminano al polso con ampi risvolti. Pian piano il giustacuore sostituisce la cappa poiché è l’indumento che, come quest’ultima, viene indossato al di sopra di tutti gli altri capi. Il giustacuore ricamato, justaucorp à brevet, diventa nel 1664 un privilegio concesso dal Re Sole ai sudditi ritenuti meritevoli.
In quanto indumento distintivo il tessuto, di damasco o broccato d’oro e d’argento, viene sovraccaricato con passamaneria, ricami, bottoni e gioielli.
intensificando i rapporti.Prende dunque forma uno stile, o meglio, un gusto considerato di transizione tra lo stile Barocco e Rococò.
L’affermarsi del giustacuore contribuisce al cambiamento di tutti gli altri elementi del costume, conferendo alla figura una
Durante la Reggenza si osservano le caratteristiche che possono essere ritenute di passaggio tra lo stile maestoso e pensante del Barocco e quello più contenuto e leggero del Rococò.
linea più uniforme.Nella parte inferiore, i calzoni aderenti sostituiscono i rhingraves, che non appaiono più; le calze si uniscono ai calzoni e all’altezza delle ginocchia viene posto un nastro con allacciatura ad alamaro.Compare anche il cravattino intorno alla gola, disposto in modo da creare una gala sotto il mento. Dal 1670 il costume maschile acquisisce un carattere più definito: non si notano più gli eccessi del periodo precedente, la linea dell’indumento si fa più sobria, i colori si attenuano e si prediligono tinte più chiare. Dopo la morte del Re Sole nel 1715, inizia il periodo della reggenza esercitata da Filippo d’Orléans per conto del re minorenne Luigi XV. Questo periodo conosciuto appunto con il nome Reggenza si estende fino al 1730. La critica all’assolutismo monarchico e quindi il cambiamento delle concezioni sociali portano al decadimento del potere sovrano inteso come principio di autorità assoluta e della corte come centro esclusivo di promozione artistica. A causa delle gravi difficoltà economiche del periodo, il Re e la nobiltà sono costretti a una vita meno sontuosa ed è naturale che anche nel campo della moda si cerchi di scartare le soluzioni più pompose e ricercate. Inoltre il periodo della Reggenza viene influenzato anche dai costumi delle popolazioni orientali con le quali le nazioni europee stanno
Cresce l’interesse per le porcellane cinesi già presente nel XVII secolo e ora vengono predilette anche le raffigurazioni di paesaggi e personaggi dell’Estremo Oriente, che sono inserite nella decorazione dei tessuti.I colori utilizzati hanno sfumature delicate e al posto dei pesanti broccati, vengono usati tessuti come i velluti, i taffettà e i rasi.La semplificazione del costume maschile iniziata nel 1670 si consolida, acquistando una più precisa fisionomia. Le variazioni consistono per lo più in una semplificazione del giustacuore, che appare di tessuti più leggeri e con ricami e decorazioni più delicati.Nonostante la presenza della lunga abbottonatura sul davanti, il giustacuore viene portato quasi sempre aperto per mettere in bella vista la veste indossata sotto che propone una ricercata decorazione.Questo abito, detto “en pagode” a causa dei larghi paramani, è di linea aderente dalle spalle alla vita e scende svasato dalla vita alle ginocchia, conferendo alla figura un aspetto conico.I calzoni, culotte, sono aderenti e fermati sotto le ginocchia dentro le calze. Al posto delle cravatte in pizzo, dei nastri e dei volants, fanno comparsa i jabot, trine vaporose increspate che fuoriescono “a lattuga” dall’apertura del panciotto e dei polsi.
Le nuove tendenze della moda sono per le favorite del re, poi successivamente vengono diffuse nei salotti alla moda di Parigi. Per illustrare i cambiamenti della moda vengono utilizzate due bambole, dette poupées, la Grande Pandore viene utilizzata per la toilettes di maggior pregio, mentre la Petite Pandore per quella meno impegnativa; infine la poupées coiffée è una bambola di cera pettinata all'ultima moda. Nella seconda metà del secolo diviene sempre più evidente l’influenza orientale, infatti dal 1684 esplode la moda della Cina.
Nel 1650 lo scollo rettangolare del corpetto diventa ovale scoprendo anche le spalle e a volte viene guarnito dal colletto di pizzo, che orna anche le
maniche che diventano sempre più corte; inoltre il corpetto diviene molto attillato grazie a delle lunghe stecche che dal seno arrivano fino all’addome. La gonna priva di sostegni rigidi assume la forma di una campana. Il manteau, abito formato da due vesti sovrapposte è tra i capi più utilizzati, caratterizzato dal contrasto tra i tessuti delle due gonne: quella superiore confezionata con stoffe pesanti, broccate o velluto; quella inferiore con taffetas o satin di seta. La nobiltà apprezza molto i colori intensi come lo scarlatto, il blu ed il rosso ciliegia, però anche le tinte più tenui come il giallo chiaro, il rosa ed il celeste sono apprezzati. Le maniche della camicia, che fuoriescono da quelle del corpetto, sono arricchite da engageantes, cioè da guarnizioni di pizzo di varie lunghezze degradanti. La lunghezza della gonna del manteau dipende dal rango sociale cui apparteneva la dama; inoltre quelle dei più ricchi presentano strisce di merletto d’argento, d’oro, di pelliccia oppure di seta, mentre quelle più semplici sono ornate solamente sul fondo da pizzo o merletto. La gonna, appiattita sul davanti, presentava invece volume sui fianchi creato grazie al bourrelet, cioè un sostegno imbottito di crine e rivestito di taffetas; successivamente questo metodo viene sostituito dalla criarde, cioè una sottogonna inamidata che conferisce ampiezza alla veste. Con la Reggenza, l’abbigliamento francese si semplifica, lasciando gli abiti più rigidi e ingombranti al cerimoniale di corte. Le vesti femminili diventano vaporose e sciolte, viene introdotta la linea “a campana” che prevede abiti con spalle strette che si allargano sul fondo. I
tessuti pesanti come il broccato ed il velluto vengono sostituiti da taffetas, sete leggere e rasi cangianti; inoltre le forti tonalità e contrasti del Barocco vengono sostituiti dai colori pastello. Vengono adottate le vesti dette négligés o déshabillés, caratterizzate da vesti intere con una linea morbida, con scollo quadrato guarnito da merletti e maniche che terminano con una cascata di pizzi. L’andrienne é l’abito che rappresenta la moda del secolo; caratterizzato da un busto aderente con un ampia scollatura, sul retro presenta invece un pannello a pieghe aperte che dalle spalle scende fluttuante fino a terra trasformandosi in uno strascico. Nel 1715 la criarde viene sostituita dal panier, una sottogonna di forma rotondeggiante o ellittica con una struttura costituita da cerchi metallici o stecche di balena usata per ampliare la gonna; in origine di dimensioni contenute e a forma circolare, formato da cerchi degradanti, ma nel 1730 si appiattisce sul davanti assumendo una forma ovoidale detta à coude.
L
’andrienne può essere di due tipi: completamente chiusa, oppure aperta sul davanti indossata su una gonna; inoltre esistono delle varianti dell’andrienne: la prima variante è la robe volante, caratterizzata dall'abito plissè; la seconda è la robe à plis Watteau, introdotta dal pittore Watteau e nel tempo subisce diversi cambiamenti. Al suo primo apparire è un abito ampio e così lungo da essere alzato con la mano o ripreso con le spille, inoltre diverse pieghe partono dalle spalle e scendono libere allargandosi verso il basso formando un'unica massa conica con la gonna, le maniche sono plissettate per tutta la lunghezza e possono terminare con dei paramani. Viene indossato anche un corsetto balenato in tela robusta, cucito doppio e fermato sul mezzo davanti; infine per le cerimonie di corte si usa la più sontuosa Grande robe, cioè l’abito “alla francese”, negli abiti di gala si porta il bustino aderentissimo, a punta davanti, rinforzato con stecche di balena, con maniche fino al gomito ed engageantes.
All’inizio del XVIII secolo le acconciature femminili sono alte come nell’ultimo decennio del XVII secolo e si porta ancora la cresta considerata un ornamento signorile. Dopo il primo decennio del secolo la pettinatura è ancora alta, ma semplice e senza alcun ornamento,soltanto due ciocche le recano movimento scendendo lunghe e sottili sulle spalle. Questa pettinatura, che con lo slancio della linea raccolta al sommo del capo e la morbidezza della ciocche ricadenti affina l’ovale del viso e l’attacco del collo, acquista grazia aristocratica dal candore della cipria che si fa aderire ai capelli unti con pomate. Verso il 1730 la pettinatura si semplifica raccogliendo in alto tutti i capelli. Il monopolio della produzione della cipria è ancora in mano a tale Bortolo Lucadello, il quale fonda un’industria a Venezia che produceva cipria di riso, ben presto costui ha dei disinvolti concorrenti che alla bianca polvere mischiano gesso e calcina. Le capigliature dei gentiluomini sono molto più voluminose di quelle femminili; infatti la cipria nasce proprio come espediente per attenuare la severità delle parrucche nere maschili. Non tutti gli uomini hanno capelli così folti, abbondanti e ondulati da poter figurare degnamente acconciati. L’uso di posticci e parrucche nella moda maschile nasce quindi come surrogato di una capigliatura copiosa. Questa moda viene dalla Francia dove è chiamata “cadenette” dal nome di Honorè d’Albert signore di Cadenet, che intorno al 1630 è stato il primo ad adottarla. Ma il gusto artificioso barocco s’impadronisce della capigliatura posticcia trasformandola da ripiego funzionale in una nuova forma decorativa fine a se stessa. In questo periodo tuttavia la parrucca non è ancora
giunta al colmo dell’esagerazione, la fronte è libera, i capelli non si gonfiano alti sul capo ma fluiscono ai lati del viso che viene incorniciato nobilmente tra due folte cascate di ricci ricadenti sul petto in lunghe ciocche sinuose. Il distacco dall’idea di simulare la capigliatura naturale con i posticci è confermato dal bizzarro uso di portare sulla fronte la “linda” ossia una frangia di capelli di colore diverso dai propri. Generalmente in Italia si portano parrucche scure realizzante con capelli di origine animale; i veneziani invece, influenzati dalle correnti estetiche della corte di Francia, dal 1665 usavano più volentieri parrucche di capelli naturali e biondi. Una di queste parrucche non vale prezzo minore di cinque o sei scudi, prezzo modesto in confronto a quello delle parrucche francesi che si pagavano perfino tremila franchi. Nel 1692 venne emesso un decreto in cui i signori deputati toscani imponevano una tassa annua a chi voleva far uso della parrucca, dice il curioso documento : << Tutti quelli di qualsiasi voglia stato, grado e condizione, che presentemente si vagliono e sono soliti usare, e valersi della Parrucca, di Zazzera posticcia, di Zazzerino, ò Berrettino con capelli finti, ò, di altro simile acconcio in vece, e luogo della naturale, e propria Chioma paghino>>. La parrucca ha in ogni strato sociale una diffusione enorme. L’epoca barocca, non è di certo da meno in fatto di trucco, artefici di bellezza e cura del corpo, le ricette per i miracolosi restauri non mancano. Le camere delle signore assomigliano a veri e propri laboratori di alchimisti,colmi di pentole, alambicchi, barattoli, pomate e
essenze.
Gli uomini sostituiscono alla barba intera il pizzo appuntito che affina aristocraticamente l’ovale del volto dando un che di sottile e inquietante alla fisionomia. L’uso di radersi il mento è adottato particolarmente dai giovani mentre gli uomini anziani continuano a portare la barba ridotta, per i più eleganti, soltanto ad una moschetta al centro del mento, imitata dalla “royale” dei francesi. Le donne per sopperire ai segni dell’età si sottopongono a ore di trattamento prolungato, sovente penoso, per tonificare le rughe e la pelle giallastra. Impallidiscono la carnagione con succo di limone e la schiariscono con borace sulfurea, o con il “fuoco di Sant’Elmo”, cioè sublimato di mercurio. A causa della sua “natura pungente e maligna” il sublimato mangiava sì le rughe, i lineamenti e le cicatrici, tuttavia produceva il suo effetto deleterio senza provocare un dolore eccessivo. Le donne che lo usano sul viso hanno sempre i denti neri, molto sporgenti dalle gengive, un alito disgustoso e la faccia mezza
bruciacchiata. Per ammorbidire la carne tormentata vi applicano olio grasso e aggiungono siero o vino all’acqua del bagno. Successivamente si sciacquano il viso con acqua di rose o si spalmano una maschera fatta di bianco d’uovo per distendere le rughe. Fatto questo si dipingono di cosmetici. Per prima cosa viene lo strato di biacca o cerone, mescolato con aceto e applicato sul viso, sul collo e sui seni.; poi si spargevano l’allume sulle guance, colorandole di rosa violento e si arrossavano le labbra con il “fattibello” cioè il rossetto ossia un prodotto di allume, gomma arabica e insetti schiacciati. Il cerone, seccando sbianca la pelle, e l’allume che allo stato puro è altamente corrosivo brucia, raggrinzisce e secca. Ogni dama possiede uno scatolino contenete dei nei da disporre con arte sul viso lasciando libera la fronte. Accanto ai nei di velluto e taffetà trionfano ben più sottili artefici, fra cui i peli di talpa appena nata tinti con la china e attaccati alla palpebra, precedentemente ingommata, al fine di infoltire le ciglia.
il quale un colore può diventare nocivo e addirittura velenoso. Il pittore allora diventa anche truccatore ed aiuta la signora nel restauro facciale. Essendo il Barocco un periodo in cui la moda di corte ha come principale scopo quello di meravigliare e comunicare la propria nobiltà di rango gli accessori che vengono indossati cercano di riprodurre effetti teatrali. I copricapo maschili non sono più a tesa larga e arricchiti da piume, ma diventano di dimensioni più ridotte, a cupola bassa, con le tese laterali ripiegate all’insù e confezionati di panno o feltro di colore scuro. I guanti e le calzature sono però gli accessori di maggior rilievo. I guanti, che si tengono sfilati in mano, hanno una forma svasata e sono arricchiti con pizzi e Non meno curata è la bellezza della mano femminile che deve essere lunga e con le dita senza rilievo di nodi, con unghie lustrate e lunghe per eleganza La Chiesa associa ovviamente l’imbelletto all’impurità: la bellezza non può essere ricercata in quanto essa viene donata da Dio, perciò colorarsi il viso suggerisce un modo di sedurre e troppa libertà di costumi. Nonostante tutto i belletti ed il trucco aumentavano ad ogni modo. Si impongono i colori: il bianco si diversifica e si arricchisce nell’Europa del classicismo; il rosso si aggiunge invece indiscutibilmente a partire dal XVII secolo con Louise Bourgeois, la prima a citarlo, nel 1636, in una delle sue ricette di bellezza. Non è inconsueto vedere grandi dame ricorrere all’aiuto di un pittore per la scelta dei colori e soprattutto per le dosi da usare nelle miscele poiché questi conoscono le giuste quantità e soprattutto il limite oltre
ricami. Per quanto riguarda le calzature, hanno un enorme successo sia gli stivaletti in pelle sia le scarpe col tacco confezionate in pelle bianca, nera, color cuoio oppure in stoffe pregiate, arricchite con nastri e fiocchi. Il tacco infatti é l’elemento che maggiormente caratterizza le calzature dei secoli XVII e XVIII, elevando la figura e donandole un comportamento elegante. A sancire il successo dei tacchi è ancora una volta Luigi XIV: il sovrano calza scarpe in morbida pelle dalla caratteristica punta squadrata, dotate di tacchi rivestiti di pelle rossa, su calze di seta colorate. Questa moda viene imitata da tutta la nobiltà di Versailles, tanto da rendere i tacchi, in quanto accessorio, prerogativa della nobiltà.Anche le calze diventano un accessorio indispensabile nel guardaroba maschile, poiché le gambe sono considerate un nuovo elemento di seduzione.
Altri accessori che completano il costume maschile sono il bastone da passeggio, lo spadino, il manicotto di pelliccia allacciato in vita, la fusciacca e il budriere. Anche per quanto riguarda i gioielli è la corte francese a dettare legge in tutta Europa. I bijoux sono realizzati con metalli preziosi, perle barocche, smalti, cristalli e pietre preziose e vengono utilizzati anche come bottoni o applicazioni sugli abiti. Le donne, per esempio, fissano sulle acconciature dei gioielli a forma di ape o di farfalla.In inverno le donne usano una stola di pelliccia o una corta cappa con cappuccio per coprirsi le spalle mentre il viso è protetto da una maschera di velo, utilizzata anche per ripararsi dai raggi del sole. Per riparare le mani dal freddo sia gli uomini che le donne adoperano il manicotto foderato di pelliccia o di velluto, che già era noto a Venezia nel XV secolo. Un altro accessorio molto utilizzato nell’ambito delle complesse cerimonie delle corti barocche è il ventaglio, utilizzato nelle più varie occasioni, non solo in qualità di oggetto di pregio di cui dare sfoggio, ma anche per trasmettere specifici messaggi a distanza a seconda del modo in cui viene tenuto aperto o mostrato. Per esempio, tenerlo con la mano sinistra di fronte al viso vuol dire “mi piacerebbe conoscerti”; al contrario, coprirsi l’orecchio con il ventaglio manifesta la volontà di essere lasciate in pace. Il ventaglio è fatto di pizzo, di pergamena traforata, di seta o di carta dipinta, decorato con scene bibliche, mitologiche, pastorali o di corte. I ventagli francesi, insuperati in quanto raffinatezza e originalità, sono dotati di uno specchio, talvolta di un piccolo monocolo e ornati con pietre preziose e intagli.
Le scarpe femminili sono realizzate con tessuti pregiati quali satin, broccati, raramente in pelle, e fornite di alti tacchi. Le calze, come quelle maschili, sono preferibilmente di seta; le borghesi invece indossano calze di cotone o lana.L’uso dell’ombrellino o parasole diventa popolare in Europa nel XVI secolo e grazie a Caterina de’ Medici viene introdotta questa moda in Francia. A quel tempo il parasole è formato da una struttura pesante e ricoperto con cuoio o robuste stoffe per cui viene sostenuto da un servo o da un valletto. Successivamente, il parasole diventa un accessorio di rigore nell’abbigliamento di corte del Re Sole. Gli ombrellini diventano più leggeri e non è più necessario che siano sorretti da servi; decorati con graziosi disegni, sono coperti da stoffe leggere con trine e nastri. Durante il periodo della Reggenza, le calzature presentano la punta quadrata ed una linguetta che si allungava sul collo del piede ripiegandosi in avanti. Hanno tacchi alti e sono decorate con una fibbia sul davanti, circa sotto la caviglia. Le calzature femminili, anch’esse provviste di tacco alto, sono confezionate in seta, raso o pelle, oppure spesso con la stessa stoffa e colore dell’abito.Il copricapo maschile tipico del periodo è il tricorno nero, di seta, di feltro o di velluto, guarnito
da galloni dâ&#x20AC;&#x2122;oro o dâ&#x20AC;&#x2122;argento, da bottoni o da piume di struzzo e viene tenuto sotto il braccio per non rovinare la ricercata acconciatura.