n°340

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luca.mortellaro

ignazio.mortellaro



I


Ancora una volta il numero 340 aveva conseguito il suo obiettivo quotidiano, il letto; in fondo bisogna illudersi di avere un obiettivo per stupido che sia. Come spesso capitava, anche quella sera le sue lenzuola non erano state cambiate, le sue coperte non erano state rimboccate. Ma c’era qualcosa di nuovo, finalmente: un fastidio che non aveva mai provato, e per il numero 340 era una gran cosa, per lui che pensava di averli accumulati tutti i fastidi che gli spettava di sopportare. Il letto disordinato l’aveva già visto tante volte, proprio i giorni in cui era più stanco, più spento, ma anche questo gli spettava. Era sempre stato umile, avrebbe voluto non dare mai importanza alla società nella quale viveva, non gli interessava farsi avanti, non gli interessavano gli altri, desiderava solo condurre la propria esistenza esclusivamente per se stessa; non era maligno, credeva solamente di potersi isolare senza essere influenzato dal sistema che lo opprimeva con i suoi usi, dogmi, abitudini, problemi. Era come un animale selvaggio messo in cattività, che disprezzava chi in quella gabbia c’era nato e di conseguenza non poteva comprendere ciò che sta al di fuori. Così non si accorse come quella simbiosi andava addormentando il suo spirito, che da sempre provava ad imitare i salmoni quando risalgono le impetuose rapide. Ma non aveva più quell’istinto naturale che porta le bestie a fare cose che noi non comprendiamo, pur con tutto il nostro raziocinio. E la sua vita divenne ciò che pensava non potesse mai essere, la sua esistenza era ormai basata sulla monotonia della varietà. Quello che può sembrare un bizzarro paradosso era invece una terribile rivelazione. Il numero 340 ogni giorno vedeva centinaia di visi nuovi, ogni mattina annegava in una piena di volti sconosciuti, ma lui avrebbe voluto conoscere tutte quelle coscienze, avrebbe voluto sentire ogni sillaba delle loro storie; ed invece il suo fuoco andava morendo per ognuna delle migliaia di persone che si allontanavano dallo sportello della sua banca. Provava a capirli nello stato d’animo e nelle loro esperienze solamente da un cenno, da una ruga. Quante volte si era innamorato di donne splendide, che immaginava


avrebbe reso imperatrici se solo fossero state sue. Già, perché era facile viaggiare con il pensiero, ma ogni volta che la sua mente tornava al proprio posto, più era andata lontano, più comprendeva quanto fosse realmente spesso quel vetro bucato che lo separava da tutti i suoi amori. Se solo avesse potuto entrare attraverso quel piccolo occhiello nel mondo, quello vero, avrebbe abbracciato giovani, vecchi, cani, gatti, qualunque essere vivente, comprese le sue amate donne. A pensarci bene non gliene era mai piaciuta nessuna poiché a lui piaceva semplicemente innamorarsi, era il suo gioco, l’unico modo di rimanere (o credere di farlo) un po’ bambino. Quale dolore scoprire che non siamo più innocenti e protetti, magari di non esserlo mai stati nemmeno quando credevamo di avere la mente libera dall’eterno confronto con gli altri! Ed era questo la disperata distrazione del numero 340, ma anche questo gli spettava. Usciva dalla sua illusione di essere ancora un po’ bambino ogni volta che di sera tornava verso casa. Diventava adulto nel momento in cui comprendeva la sua assoluta conoscenza di quel tragitto, ed erano tante le volte in cui accadeva. Ciò all’inizio era motivo di vanto visto che nessuno conosceva bene quello strappo di mondo quanto lui, lo avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi, conosceva tutti i balconi, i tombini, ogni odore, ogni ombra. Tra i suoi infantili amori c’erano alcune di quelle donne che dai balconi si sporgevano per evadere dalla loro triste realtà, dai loro odiati coniugi, donne massacrate dall’insoddisfazione a cui avevano destinato i loro figli. Ma dopo aver inserito nella sua memoria tutte quelle immagini, dopo aver assaporato ogni sensazione che lì si potesse, dopo essersi sentito nella sua vera casa, quella sera c’era qualcosa di nuovo. Era la stessa sensazione che potrebbe provare uno scienziato che sta per comprendere di avere conosciuto tutto il conoscibile, o un lettore che sta per concludere il libro che tra tutti gli ha più insegnato a vivere, la stessa sensazione vitale di qualcuno molto


vecchio le cui esperienze non arrivano a soddisfare l’età. Il suo grande punto interrogativo non riguardava solo il lavoro, non era solo lì che non trovava risposta a nessuna delle sue domande, ma anche e maggiormente nella sua casa. La moglie per lui rappresentava l’essere migliore con cui era in contatto dato che almeno lei lo odiava, e questo era già un sentimento, mentre tutti gli altri erano apatici nei suoi confronti, totalmente indifferenti. Proprio per questo la amava con tutto il suo animo, perché solo in lei riusciva a muovere qualcosa e da lei sola riusciva ad essere odiato. Il mondo correva il numero 340 era sempre fermo con il fiatone, lo era sempre stato. Mentre sua moglie avrebbe voluto correre insieme a tutti gli altri ed invece stava ferma anche lei. Ecco la fonte del suo odio. Per colpa di suo marito aveva perso il fiato e se anche si fosse messa a correre si sarebbe stancata dopo poco, e quel poco non bastava a scappare dall’ indifferenza del mondo. Era questo l’odio che lei sputava fuori ogni volta che quella nullità, e diceva bene nullità, di suo marito le si parava davanti agli occhi. Ma anche questo spettava al numero 340. Così anche quella sera gli aveva lasciato il letto disordinato dopo una lite, come tante ne avevano viste i suoi occhi ormai eternamente stanchi. Sdraiato guardava attonito la bottiglia sul comodino accanto al letto, la stessa che era stata sbattuta contro il muro dalla moglie in una delle sue crisi di rabbia sfrenata. Di solito prima di calarsi in un leggero sonno senza sogni stava a contare le bollicine dell’acqua nella bottiglia, cosa tanto insensata quanto la sua esistenza, ma quella sera c’era qualcosa di diverso. L’acqua con cui riempiva la bottiglia per la notte (rito praticato da decine di anni quotidianamente) era quasi finita perché la maggior parte si era versata sul pavimento quando la moglie l’aveva lanciata sul muro. Mentre la moglie era chiusa nel bagno singhiozzando desideri irrealizzabili, il numero 340 bevve e infine posò la bottiglia, stavolta vuota, sul comodino continuando ad osservarla. Vide con enorme


sorpresa la sua grigia espressione deformata riflessa sul vetro, non trapelava emozione alcuna. Era la prima volta che in tutta la sua vita si sentiva in pace con se stesso: capiva che era morto già da molti anni. Che incommensurabile gioia trovare ciò che aveva cercato inconsciamente dal momento in cui il suo spirito si era spento, la tanto sospirata rassegnazione! Grazie a questa adesso sapeva di essere morto, e sapeva anche che prima della sua fine fisica sarebbe potuto rinascere a nuova vita. Il numero 340 avrebbe partorito se stesso, un uomo nuovo che nessuno avrebbe più chiamato per il numero che gli era stato assegnato, che non sarebbe rimasto come un masso in un fiume ad osservare il mondo che scorreva su di lui, che avrebbe conosciuto ogni sua amata e ci avrebbe anche fatto l’amore, che avrebbe scoperto per una nuova prima volta il corpo femminile come un adolescente. Un uomo nuovo con una nuova vita. Finalmente stava sognando, ma pur vagheggiando tutte queste cose magnifiche, sentiva una strana pesantezza in gola, un nodo che lo opprimeva e che stava velocemente soffocando ogni sua speranza di rinascita. Era qualcosa di nuovo, dato che anche tutti quei sogni non erano una novità: facevano parte di quella zona del cervello oscurata dalla società, quella zona ribelle che sfidò al mondo, che diceva di potere nuotare come i salmoni a primavera, quello spirito che aveva fatto innamorare sua moglie. Invece questa sensazione era davvero qualcosa di nuovo: era bella, liberatoria. Lui, non più un numero, davvero lui stava finalmente correndo, correva veloce e indomabile come un cavallo selvaggio che ritrova la libertà dopo una lunga, debilitante malattia. E correndo si voltò per chiamare con se l’unica persona che lo aveva considerato, in qualche modo. Ma vide la sua amata che piangeva disperata. E da quegli occhi tanto muliebri piangeva lacrime più sincere delle solite, fiumi di lacrime che le bruciavano le gote, lacrime piene di rimpianto. Era la prima volta che vedeva il suo vero sguardo, lo vedeva nel riflesso della bottiglia insanguinata, lo vedeva nel sorriso


del suo uomo, affogato dal sangue che sgorgava dalla lingua. Lui non avvertì dolore perché mentre moriva stava sognando. E sua moglie piangeva di rimorso per aver sbattuto sul muro la bottiglia spizzicandone l’imboccatura, per aver affilato un’arma mortale. Piangeva perché capiva che aveva amato tutto il mondo tranne lui che era l’unico che odiava, capiva che questo era il massimo amore che una donna potesse dare, capiva che lo aveva amato follemente. Adesso erano alla pari comunque: l’uno le aveva dato l’amore, l’altra gli aveva dato la libertà. Anche questo gli spettava.



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