Questa scrittura ragionante, ma non gelida, sembra costruire – tassello per tassello – un qualche strano teorema su un’armonia (sociale? economica? …musicale?) di cui non viene dato in verità un profilo stagliato, inciso. E, poiché non c’è forse nulla di più umbratile e inafferrabile del linguaggio, delle parole, si dovrà attribuire il ruolo di protagonista proprio a queste disarmoniche entità (e ai loro rapporti con le cose): «i prodotti pensano le parole / le parole pensate sono la forma finale dell’universo materiale / rivelano la forma semplice / di isola / le leggi pensano di non essere soltanto parole» […]. M. Giovenale
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