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Pubblicazione gratuita anno I n. 4 aprile 2014
in questo numero MUSIC
PERFORMING ARTS
Thee Elephant
Alzare la voce per farsi sentire - La giovane
La musica…il più completo farmaco non chimico di Ugo Sandulli
STORYTELLING Kurt Cobain
Quando ero un alieno di Francesco Sparacino
compagnia catanese Vuccirìa di Antonino Raciti
VISUAL ARTS
Michela Depetris Azione, corpo e relazione di Ugo Sandulli
n. 4 aprile 2014 Direttore editoriale e di progetto Francesca Chiappero Art direction e progetto grafico Ilaria Di Carlo Hanno collaborato a questo numero: Federico Minetti, Ilaria Gai, Caterina Berti, Claudia Losini, Irene Perino, Antonio Raciti, Francesco Sparacino, Ugo Sandulli, Valentina Rossetti Editore Associazione Culturale DFT Stampa Industrie Tipografiche SARNUB spa Redazione corso Vittorio Emanuele II, 30 - 10123 Torino redazione@d-mag.it Per pubblicità adv@d-mag.it registrazione presso il Tribunale di Torino n. 49 del 5/10/2012 in copertina: Thee Elephant di Oliviero Toscani DMAG è una free press distribuita tramite il circuito Freecards. La rivista è mensile. La redazione non assume alcuna responsabilità per eventuali variazioni di programmazione, date, eventi. DMAG è anche online www.d-mag.it ®All rights reserved
indice MUSIC
Thee Elephant
La musica…il più completo farmaco non chimico di Ugo Sandulli
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STORYTELLING Kurt Cobain
Quando ero un alieno di Francesco Sparacino
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PERFORMING ARTS
Alzare la voce per farsi sentire
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La giovane compagnia catanese Vuccirìa di Antonino Raciti
VISUAL ARTS
Michela Depetris
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Azione, corpo e relazione di Ugo Sandulli
MUSIC
Thee Elephant LA MUSICA…IL PIÙ COMPLETO FARMACO NON CHIMICO
T Foto sottostante: I Thee Elephant
hee Elephant sono una rock band, con derive psychedeliche, formatasi a Roma nel dicembre 2012. E’ composta da Dola J Chaplin, songwriter viaggiatore, dal passato da busker, già noto al pubblico per il suo primo lavoro solista To The Tremendous Road; Sante Rutigliano, chitarrista con Oh Petroleum, nonché produttore artistico e autore di colonne sonore per cinema e televisione attivo da anni sulla scena romana; Milo Scaglioni,
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musicista con una lunga esperienza in Inghilterra, già collaboratore di Jim Noir, Roberto Dellera, Jennifer Gentle, Emma Tricca; Matteo Scannicchio, tastierista romano, conosciuto innanzitutto per essere ai tasti e alla voce di Operaja Criminale; Simone Prudenzano, batterista pugliese già in forze a Oh Petroleum, Lola & The Lovers e The Sovran. La band si è esibita nei più importanti live
Chi sono i Thee Elephant?
club e festival italiani, e nel giugno 2013 è stata ospite a Torino dell’Energy Tree Festival, tenutosi presso il centro culturale Cap10100; ma speriamo di rivederli ancora qui nel 2014 per la presentazione ufficiale del loro primo album Thee Elephant.
Foto sopra: Dettaglio copertina album Thee Elephant
Milo: Quattro persone che hanno fatto strade molto diverse tra loro e che alla fine della strada si sono incontrate o rincontrate a Roma e si sono scelte in virtù dell’amore condiviso per la musica.
Come vi siete incontrati o scelti? Dola: Mi ero ritrasferito in Italia da pochi mesi, di ritorno da Londra, e, mentre lavoravo ai mixaggi del mio primo disco da solista, cercavo dei musicisti della scena romana con cui mettere su una band. Vidi che Oh Petroleum avrebbe suonato di lì a breve in un club nei pressi di casa mia, accompagnato da Sante Rutigliano, che suonava il banjo, e decisi di contattarlo.
Sante: Avevo ascoltato Simone ad un concerto di Lola & the Lovers ed ero rimasto colpito dal suo stile, tanto da consigliarlo a Oh Petroleum per la sua band. Poco dopo lo stesso Maurizio (Vierucci, Oh Petroleum) ci ha fatti conoscere, mettendoci insieme su un palco in Salento. Milo: Io ho incontrato Simon Prudenzano ad un concerto di Jon Spencer in Salento. Lui suonava con le Lola e io con Dellera. Dola me l’ha presentato una sera Emma Tricca. Non so come si siano scelti loro ma io, che mi ero appena trasferito a Roma, neanche un anno prima, ho ricevuto una chiamata di Dola che m’ha invitato a prendere una birra…ed eccoci.
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MUSIC Come mai questo nome? Cosa racconta di voi e della vostra musica? Milo: Quella dell’elefante è una figura carica di significati. Ci serviva un nome in fretta e non abbiamo avuto altre idee che potessero dare la stessa idea di possenza e goffaggine allo stesso tempo e l’elefante ha anche lunga memoria ed è longevo. Nessuno di noi è più un ragazzino e tutti noi ci portiamo memoria di cammini piuttosto particolari e tutti diversi l’uno dall’altro. Questo credo che vada direttamente nella musi-
ca, e per il tipo di chimica che si è formata non potremmo fare altrimenti. Abbiamo tutti libertà di esprimerci in quello che facciamo, purché si rispetti l’idea di partenza, cioè la canzone. Frank Zappa, nel 1979, ha scritto: “ L’informazione non è conoscenza, la conoscenza non è saggezza, la saggezza non è verità, la verità non è bellezza, la bellezza non è amore, l’amore non è musica, la musica è il meglio.”
Foto: I Thee Elephant
E per voi cosa è la musica? Che possibilità offre rispetto agli altri mezzi espressivi? Simone: La musica ha il pregio di far incontrare persone ed è estremamente terapeutica e catartica. Può spingerti a scelte che determinano la tua vita, ma può anche essere poco importante. Rispetto ad altri mezzi d’espressione è più soggetta all’imprevedibilità e alla logica del caso.
Chi ha scritto i pezzi? Chi li ha arrangiati? E come avete lavorato per la preparazione del vostro primo album? Dola: Ho scritto i primi due, tre pezzi pensando di lavorare ad un nuovo disco da solista, ma, dopo aver conosciuto i ragazzi, il progetto ha preso una piega sempre più definita. In un paio di mesi tra sbornie e prove infinite ho scritto di getto tutti gli atri e spontaneamente il disco ha preso la forma live che ha adesso.
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Vivete tutti a Roma, ma avete registrato il vostro album al Sud Est studio di Stefano Manca, a Guagnano (Le), dove sono passati anche Erlend Øye dei Kings Of Convenience, Letitia Sadier degli Stereolab, Dente, Amerigo Verardi, Marco Fasolo e Il Genio. Perché questa scelta? Sante: Nel mio ultimo disco da solista avevo sperimentato le registrazioni fatte in sale grandi, molto risonanti, nell’intento di ricreare le sonorità del passato, e per lo stesso motivo ho riproposto anche agli Elephant di registrare nella stessa location, la villa di un amico a Farfa, in Sabina. Stavolta, però, accarezzavo anche l’idea di registrare live,
per riproporre nel disco la magia che vivevamo suonando insieme. Simone, originario di Manduria, a pochi chilometri da Guagnano, ci ha quindi segnalato il Sudestudio ed è stata un’ottima idea, perché aveva una sala molto grande, ambienti separati per gli amplificatori per la registrazione dal vivo, microfoni e preamplificatori sceltissimi e un registratore a nastro da 2 pollici Studer degli anni 70: insomma tutto quello che si può volere da uno studio di registrazione. Dola: Stefano Manca, poi, è super competente, ha buon gusto, è molto simpatico e ha la stessa follia di noi Elefanti.
Foto: Simone Prudenzano
Per le riprese avete utilizzato un registratore multitracce a nastro Studer degli anni 70. Cosa ha di speciale rispetto a un registratore digitale? Cosa volevate ottenere? Simone: Quello che abbiamo ottenuto. Sante: Quello di sperimentare la registrazione su nastro era un mio vecchio pallino, tra l’altro condiviso dall’intera band, rimasto per molto un sogno proibito. Il Sudestudio ci ha fatto un’offerta che rendeva il sogno realizzabile. Quando abbiamo cominciato a suonare ed è partito il bobinone da 2 pollici non sa-
pevo nemmeno io cosa aspettarmi di preciso, ma, già dopo le prime note, mi è parso di risentire la pastosità di quei suoni che ascoltavo nei dischi che hanno fatto la storia della musica e ne ho subito apprezzato la calda e armoniosa distorsione.
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Il vostro album uscirà anche su vinile, perché? Dola: Da una parte perché dopo aver fatto la fatica di registrarlo su nastro ci aspettiamo che il modo migliore per fruirne sia piazzando un bel vinile pesante sul piatto del giradischi e speriamo che la gente ne abbia voglia. Dall’altro perché finalmente sempre più fruitori di musica sono tornati al vinile. Poi se la copertina è bella non c’è nulla che batte il vinile. In che stato è il mercato discografico italiano? Dola: Il mercato discografico italiano è in caduta libera dagli anni ’80. La passione
e la necessità espressiva, però, alimentano un sottobosco di artisti, club e festival che a loro volta sostengono una scena, povera ma vivissima e pulsante. Milo: Non che nel circuito indipendente italiano siano tutte rose e fiori, però si continua a camminare a testa alta e a diffondere la propria arte, con il sorriso se possibile.
Quando e dove ci sarà la presentazione ufficiale del vostro album? Dola: Lo presenteremo sia a Roma che a Milano e stiamo già lavorando alla chiusura di un tour promozionale che ci porterà in tutta Italia, per il momento le prime date confermate sono:
7/3 15/3 16/3 23/3 26/3 27/3 29/3 3/4 4/4 5/4
CAFFÈ SCORRETTO, ROMA FERRO 3, SCAFATI (SA) BIRRERIA34, TAURIANOVA (RC) ACT CIRCUS, PISTICCI (MT) ARCI CALYPSO, SAVA (TA) DOPOLAVORO, BRINDISI SOTTERRANEI, COPERTINO (LE) MOCAMBO, SANTERAMO (BA) SEI TORRI HOUSE CLUB, CAMPOBASSO SALERNO.
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STORYTELLING
Kurt Cobain QUANDO ERO UN ALIENO
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rima di iniziare a scrivere di Kurt Cobain – Quando ero un alieno, tributo di Toni Bruno (disegni) e Danilo Deninotti (sceneggiatura) al leader dei Nirvana, c’è un dubbio che mi assilla, e che né internet né chi mi sta intorno (il gatto) riesce a risolvere. Potrei esporre il mio dubbio a chiunque. L’ho già fatto in passato ricevendo risposte contrastanti, e dunque di volta in volta si è riproposto. Così recupero l’indirizzo di posta di Danilo Deninotti e gli scrivo. Decido che non vale la pena tenersi l’interrogativo e che, vista la moltitudine di pareri discordanti, farò come si fa di solito per le questioni importanti e senza risposta: avrò fede. In questo caso in Danilo. Probabilmente, però, il mio improvvisato profeta è in pausa pranzo, quindi non risponde.
Foto: Kurt Cobain
Foto: Kurt Cobain
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Nell’attesa, siccome sta per piovere, vado sul ballatoio, e ritiro la roba stesa ad asciugare. Quando rientro, sullo schermo del portatile non c’è l’avviso di nessuna nuova mail. Impiego dieci minuti nella scelta di un disco su Spotify (rifletto su quanto sarebbe ridondante mettere i Nirvana e, dopo aver cambiato idea più volte, tanto per restare sui primi anni ’90 opto per i Pavement), mi piazzo sul divano a sfogliare e rileggere Quando ero un alieno. È passato qualche mese da quando Edizioni BD l’ha pubblicato, intanto è andato in ristampa. Quella che ho tra le mani è un’edizione limitata, in duecento copie numerate. La mia è la
numero 16, me ne accorgo solo ora. Cambia la copertina, più elegante in questo formato, ma comunque bellissima in entrambi i casi. Nella prefazione, Davide Toffolo racconta di quanto i Nirvana siano stati importanti per la formazione del suo gruppo (i Tre Allegri Ragazzi Morti) e di quel giorno del ‘94 in cui, mentre girava con la cartella di disegni sottobraccio per la fiera del libro di Bologna, ha saputo della morte di Kurt Cobain. Era da mesi che i giornali non facevano che parlare dei suoi eccessi, della sua dipendenza, dei problemi con la moglie Courtney Love. La scelta di Bruno e Deninotti è però quella di allontanarsi da quel periodo, fare retromarcia fino agli anni ’70 e immaginare Kurt Cobain prima di diventare quel Kurt Cobain. Quando cioè era solo un bambino, quando i traumi erano i litigi tra i genitori, quando ha iniziato a farsi spazio l’interesse per la musica sotto forma dei primi dischi e i primi strumenti regalati. Quel momento in cui, come accade a tanti, ci si chiede dove siano i propri simili, ci si sente degli alieni in incognito.
La scelta stilistica punta su vignette bicromatiche con toni azzurri. La narrazione per frammenti, veloce e minimalista, dall’infanzia ci accompagna lungo l’adolescenza di Kurt: la scuola, i primi gruppi, gli amici. E la graduale scoperta che sì, di extraterrestri come lui, in giro, ce ne sono altri. Bello l’effetto (i flash con cui i volti assumono improvvisamente l’aspetto alieno) attraverso il quale questa consapevolezza viene riprodotta dagli autori. Si continua così fino al momento della formazione dei Nirvana, dei concerti in giro, del primo disco. Ci si ferma qui. Tutto il resto, il successo e quello che avviene dopo, è un’altra storia. A questo punto, afferro il cellulare e provo a chiamare Danilo. Ma risponde la segreteria telefonica. Mi dedico alla sezione Bonus Track, con brevi approfondimenti su alcuni dei personaggi apparsi nel corso della storia, e a quella dei Credits. Quindi mi alzo dal divano e rimetto il volume al suo posto. Nelle ore successive chiamo Danilo altre dieci volte, controllo la posta a intervalli regolari. Mi arrivano sedici mail. Nove sono di spam, le altre non hanno niente a che fare con quella che ormai è diventata una questione della massima importanza. Mi addormento così, sulla tastiera del portatile, mentre i 60 watt dell’abatjour della scrivania si accaniscono sulla parte destra della mia faccia.
3 1 Quando vengo svegliato dagli squilli, sono troppo frastornato per capire che ore siano. All’altro capo del telefono, Danilo mi dice di essere appena atterrato, di ritorno da un posto di cui non afferro il nome. Mi chiedo perché la mia guancia destra abbia la stessa temperatura dell’asfalto in un qualsiasi mezzogiorno di un qualsiasi 15 agosto. Ma adesso non c’è tempo per questo. C’è una domanda più importante che attende risposta. “Ma tu… come dici? Un graphic novel o una graphic novel?”
Illustrazione di Toni Bruno.
di Francesco Sparacino
PERFORMING ARTS
Alzare la voce per farsi sentire LA GIOVANE COMPAGNIA CATANESE VUCCIRÌA
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uccirìa Teatro è la giovane compagnia teatrale catanese che al suo esordio, con lo spettacolo Io, mai niente con nessuno avevo fatto, ha affrontato il tema antico, e ancora largamente censurato dall’opinione pubblica, dell’omosessualità. Vuccirìa, in siciliano letteralmente vociare, nel senso di fare baccano, alzare la voce e farsi sentire.
Foto: I Vuccirìa in scena.
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Urlare. Vuccirìa anche nel senso di pettegolezzo, di quello che si sente dire, di giudizio. I cugini Giovanni e Rosaria (Enrico Sortin e Federica Carruba Toscano) inaugurano separatamente un monologo a tre voci e tre luci, le uniche risorse sceniche. L’intimità e l’istinto dei protagonisti si svincola lungo lo spaccato di una novella verista, dove il quotidiano vivere dei tre personaggi assume i connotati violenti e soffocati di un paese retrogrado e ancora enormemente lontano dal progresso della storia. Un vissuto di violenze subite o inflitte che si ripetono come i tratti somatici di una famiglia di sangue. Tra i due cugini e Giuseppe (Joele Anastasi), il terzo protagonista amante di Giovanni, si instaura un legame morboso e unidirezionale del quale lo stesso Giovanni si fa pienamente carico attraverso un sentimento pulsante e sconfinato. Un sentimento che neanche la malattia
Foto: I Vuccirìa in scena.
contratta dall’amante riuscirà a spegnere. Una passione spregiudicata che disarma per la sua voracità e distrugge per l’umiltà con la quale si palesa. Il dramma scritto da Joele Anastasi assume allora i colori scuri e graffiati di un istinto brutale. Un vizio che nasce tra le mura domestiche e si scalda all’interno di uno spazio confidenziale, assodato nel tempo e nel senso di appartenenza comune. Rispettando le regole di un gioco non dichiarato e avvalendosi di un diritto di proprietà troppo spesso e malamente marcato, l’uomo si trasforma improvvisamente in bestia. Una dualità che confonde lo spettatore impossessandosi egualmente della vittima e del carnefice. Uno per la sua imposizione, l’altro per la sottomissione con la quale reagisce: “lo abbraccio e gli dico che gli devo dire delle cose molto importanti. Gli dico che io per lui, pure la femmina avrei fatto.” Maschile e femminile, maggiore e minore. Ruoli imposti da una cultura tanto antiquata quanto più recentemente rinnovata in un paese ancora troppo ignorante e
poco tollerante delle volontà altrui. E in quest’ambientazione del mezzogiorno degli anni Ottanta del Novecento, è la violenza più crudele e spietata che conosciamo a delineare a toni vivi l’aspetto più cupo della società in cui viviamo oggi. Una società fin troppo complessa nella sua gerarchizzazione e nel peso che assume il buon senso comune. Fatta di individui diversi e privi di ideali comuni. Persone intolleranti, altre permissive, talune equilibrate. Ma poche di queste davvero libere di essere fedeli a se stesse.É così che nella semplicità di una spontaneità tutta meridionale, la scrittura scenica dello spettacolo riesce a coniugare il linguaggio drammaturgico e quello tecnico degli attori che, istintivamente, si dimenano sul palco come animali in gabbia, riuscendo nel tentativo di interpretare al meglio le sensazioni di quei personaggi additati ed esclusi dalla società. Se è dunque vero che la diversità è ricchezza, è altrettanto vero che luoghi come la Sicilia, in cui le culture più lontane si sono incontrate e fuse nel corso dei secoli, dovrebbero essere esempi di apertura e accettazione, per tutti. Per il suo importante contributo di sensibiliz-
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zazione verso tematiche sociali di emarginazione quali malattia e diversità, lo spettacolo è stato patrocinato dalla LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids) e da altre associazioni rilevanti come Arci Gay e Roma Capitale. Inoltre lo spettacolo è stato ospitato tra gli eventi del Pride Nazionale tenutosi a Palermo, dopo aver vinto il Roma Fringe Festival 2013.
www.vucciriateatro.com
di Antonino Raciti
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VISUAL ARTS
Michela Depetris AZIONE, CORPO E RELAZIONE
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ichela Depetris è un artista che si occupa principalmente di performance, video e fotografia istantanea. Nata a Cuneo nel 1984, dopo il Liceo Artistico, si laurea all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Dal 2005 inizia a lavorare con la performance, nel 2008 collabora con Bartolomè Ferrando (performer e visual poet valenciano) nella coordinazione del VI Encuentro Enternaciònal de Performance nell’IVAM, a Valencia e nel 2010 frequenta il Master di Performing Arts and Visual Culture, al Museo Reina Sofia di Madrid, in collaborazione con l’Università di Alcalá de Henares.
Foto: Michela Depetris.
Foto sopra: Michela Depetris in performance.
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Foto: Michela Depetris in performance.
Ha partecipato a diverse mostre nazionali e internazionali e a festival, come l’Acciòn Mad di Madrid e a l’Art Nomade in Quebéc. Durante il suo percorso di formazione prima e di ricerca poi ha incontrato numerosi artisti, con i quali ha collaborato e collabora a progetti collettivi. Nel 2010 lavora ad una serie di polaroid, a suo dire nate come un diario, dal titolo MAD, nella quale riflette sul legame tra intimità, sguardo e identità. A seguito di questo lavoro, viene notata dal progetto RES.O’, programma di residenze internazionali promosso dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT e in collaborazione con diverse istituzioni attive in ambito artistico nel territorio piemontese: “L’intimità è sia il tema centrale che il metodo con cui lavora Michela Depetris. L’esperienza è imprescindibile, così come una certa sensibilità nell’osservazione del presente. Anche la relazione con l’altro è sostanziale…indaga i processi condivisi e le possibili influenze
reciproche. Tutti i suoi lavori partono da un’idea di azione, di performance, intesa essenzialmente come processo generativo di attivazione della riflessione nel fare.” Nel 2012 partecipa così alla prima edizione di Meet Up, progetto dedicato agli artisti che operano sul territorio piemontese e che integra la piattaforma permanente di residenze d’eccellenza per artisti RES.O’, nel quale presenta il lavoro The Oval Portrait, video composto da 12 piani sequenza in cui si documenta lo sviluppo di 12 polaroid, tutte dedicate a un unico personaggio femminile, mentre il tempo continua a scorrere attraverso suoni e immagini sullo sfondo, oltre la cornice delle fotografie: una riflessione “sull’influenza del tempo che agisce sull’immagine che in un istante diventa parte del passato e non più del presente”. Attraverso il linguaggio performativo (nato più o meno intorno agli anni ’60, in cui si mescolano arte, teatro, danza, musica e suoni, l’artista rompe la distanza tra atto creativo e momento della fruizione e instaura così una relazione diretta col
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pubblico), il video e la fotografia, Michela Depetris indaga senza sosta la realtà e la possibilità di entrare in contatto con l’altro. “Ispezionare la realtà da molto vicino, come un investigatore privato, come un polizziotto, come un cane. Forse niente ha senso, ma tutto può produrre significato. Ogni volta che guardi qualcosa la cambi. Ogni proposta è il pretesto per almeno una relazione.” Azione, corpo e relazione diventano così gli elementi compositivi di un’opera d’arte. http://www.micheladepetris.com
di Ugo Sandulli