08/2016. Lughnasadh Magazine dellâ€&#x;OBOD
Idee e proposte per ospitare il cammino dell‟Anno.
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di Monica Zunica
di Luisa Lovari
Miti, Leggende e Divinità.
p. 08
p. 13
di Daniela Ferraro Pozzer
p. 20
Attraverso la Storia della Creatività.
Foto di Laura Villa
p. 25
di Alessia Mosca Proietti
p. 30 Howard Campbell Claudio Bongiorno
di Markus Juniper
p. 35 p. 41
di Ilaria Pege
p. 38 p. 44 p. 42
Monica Antonello Margherita Tocci Paolo Veneziani Daniela Albero Lujanta
lla splendente luce di Lugh e della sua spada fiammeggiante, carichi della magica luce del Sole, lasciamo che la Visione del confine fra il Mondo di dentro, l‟Altromondo infinito, potente ed incantato, e quello di fuori, la nostra Vita, la sua quotidiana bellezza e le sue sfide, sia chiaro.
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Segnare una Porta luminosa ed accessibile fra questi due „luoghi‟ del nostro esistere può arricchirli entrambi: in questo numero de Il Calderone cercheremo quindi di iniziare un percorso di avvicinamento a questo concetto tanto naturale quando, spesso, dimenticato. In ogni „cosa‟ del nostro esistere possiamo scoprire la Magia, o possiamo aggiungerne altra, concretizzando desideri e volontà, con Creatività ed Entusiasmo… secondo una logica e spontanea affermazione di quello che, in Armonia con l‟altro-da-noi, sentiamo di voler essere e sperimentare. Lasciamo socchiusa la porta fra i Mondi, „esercitiamoci‟ ad avere familiarità con quella Magica soglia dalla quale tanta della nostra gioia e realizzazione ( letteralmente: rendere reali i sogni, le aspettative, i progetti…) dipende. Ecco i primi passi di questo sentiero, una meditazione semplice e incantata, il passaggio nella natura Estiva, con i suoi incontri inaspettati, ricca di tutto quello che è „Energia della Natura‟. Pensieri quotidiani, musica, viaggi… tutto improntato a questa ricerca: cercare e portare la Magia nella nostra Vita e la Realtà nel nostro Mondo Magico! " Alla fine tutto si riduce a questo, c'è il te stesso ed il Mare te stesso e il Cielo te stesso e la Terra, ora e qui. La Vecchia Tradizione non è destinata a rimanere conservata in una teca di cristallo. Le Antiche Vie sono immaginate per essere usate, modificate, accresciute e migliorate: rimangono vive solo se ognuno di noi le prende e le usa a modo proprio, aggiungendo ad esse Creatività ed Approfondimento. Esse esistono per aiutarci a vivere una Vita profonda e significante, di bellezza, di festa... nel nostro 'spazio e nel nostro presente, su questa Terra, sotto questo Cielo, accanto a questo Mare. " Philip Carr Gomm - da: Druidcraft
Daniela Ferraro Pozzer La partecipazione a questo Magazine dell‟OBOD è sempre aperta a chiunque voglia condividere una propria, preziosa… scintilla di Awen! Scriveteci a ilcalderoneredazione@gmail.com
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Idee e proposte per ospitare il cammino dellâ€&#x;Anno. di Monica Zunica |
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n questa rubrica, altre volte, ho raccontato di luoghi in Italia in cui è possibile partecipare a feste tradizionali che testimoniano antichi retaggi di una cultura legata alla Terra e mai dimenticata. Quello che voglio raccontare in questo numero dedicato a Lughnasadh è un viaggio diverso. Qualcosa che ha attraversato quel sottile confine tra mondo visibile e quello appena percepibile, tra la luce e l‟oscurità. Nel percorso che ognuno di noi compie attraverso i tre gradi del cammino druidico è fondamentale comprendere quanto l‟oscurità sia necessaria affinché la luce possa trovare la strada per vivere e splendere. Quanti di noi hanno lavorato con gli elementi e con la storia di Taliesin, conoscono benissimo l‟importanza del viaggio attraverso la Terra, l‟Acqua e l‟Aria per poter finalmente arrivare al Fuoco. Questo perché il Fuoco aiuta a trasformare ciò che abbiamo dentro, mette in moto gli eventi in maniera tale
che la ruota possa girare e dalle ombre più spaventose possano risplendere le stelle più luminose. Per questo, i momenti che sembrano essere bui e che ci fanno immaginare la Luce lontana e difficilmente raggiungibile fanno parte del movimento, sono un momento necessario affinché la ruota possa girare e la vita possa avere il suo giusto corso. Di un albero noi ammiriamo la parte aerea, quella che tende a raggiungere la luce,
eppure se le sue radici di non fossero immerse nell‟oscurità del grembo materno quello spettacolo della Natura non sarebbe visibile. Per questo quello che voglio raccontare oggi è un‟esperienza che, come le radici dell‟albero, mi hanno portata a esplorare le profondità oscure della Terra prima di poter comprendere che la luce era proprio dietro l‟angolo. Stavo attraversando un momento in cui avevo
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l‟impressione che di tutti gli elementi quello che non riuscivo a sentire fosse proprio il Fuoco. Il calore, l‟energia, la passione, la luce erano di colpo confinati in un luogo che sembrava essere inaccessibile. Il mondo esterno però è legato e costantemente in comunicazione con il mondo interno di ciascuno di noi. Questa connessione in certi momenti è chiaramente percepibile altre volte, invece, assume connotazioni assolutamente impalpabili. Così capita che eventi in apparenza privi di straordinarietà hanno il potere di rendere più evidente quella connessione profonda. E credo mi sia accaduto proprio questo. Ero nel bosco in cerca della nostra cagnolina che era fuggita rincorrendo il coniglietto di casa. Mi sentivo avvilita per le due perdite e seguitavo a non trovare l‟energia necessaria per affrontare la situazione. In pratica mi mancava il Fuoco. Il Bosco però era ovunque e lentamente iniziò a farmi sentire parte del suo
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essere. Quando mi sono resa conto di essere accolta da tutto quello che avevo intorno mi sono fermata ai piedi di una quercia da me molto amata e ho sentito la necessità di guardare il Bosco attraverso una nuova prospettiva. L‟ho immaginato come una madre o anche un amico a cui poter chiedere aiuto. Ho chiuso gli occhi e ho desiderato fortemente di ritrovare quello che avevo perso. In quel preciso istante un grido straziante mi ha lacerato il cuore. Era un urlo di dolore, una richiesta di aiuto ma io non ero in grado di capire da dove venisse o a chi appartenesse. Tutto quello che riuscivo a sentire era il dolore che quella voce stava raccontando. Quando sono riuscita finalmente a trovare il punto da cui provenivano i lamenti non riuscivo a credere ai miei occhi. Nascosta in un cespuglio, ferita e spaventata c‟era una cerbiatta. Ho chiamato in aiuto un amico che mi aveva accompagnata poi, non sapendo cosa altro
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fare, l‟ho presa in braccio e l‟ho portata con me. Il suo sangue sulla mia pelle aveva un odore penetrante, il suo cuore batteva contro il mio, le sue grida di dolore cancellavano le paure che poco prima erano dentro me. In quel momento, mentre io e lei eravamo una cosa sola, ho sentito che il calore del suo corpo era il Fuoco che tanto avevo cercato. Era l‟energia del B os c o, l‟innocenza e la cruda lotta perenne tra preda e predatore. Io ero lì, parte della magia di cui il Bosco si nutre e non ero in grado di comprenderlo fino in fondo. Tutto quello che avevo in mente era la vita di quella creatura, tutto quello che desideravo era salvarla per restituirla alla vita. Il giorno dopo, nonostante le cure di un centro di recupero di fauna selvatica, sono venuta a sapere che lei non ce l‟ha fatta, che un lupo o un cane le avevano perforato un polmone e non era sopravvissuta. Il tempo è passato da quel giorno ma i suoi occhi sono ancora dentro di me, il suo grido di dolore, il sangue sulla pelle, il cuore sul cuore. No, non l‟ho salvata e forse da qualche parte nel Bosco un lupo è in collera con me perché gli ho sottratto il pasto. Sì, mi sono intromessa nel perfetto equilibrio della Natura ma non credo che tutto questo sia accaduto senza un motivo. Il Cervo è posizionato a Sud, richiama il Fuoco
dell‟anima, ispira bellezza e passione, dona energia. Il Cervo e la cerbiatta sono un invito a rivolgere i propri pensieri all‟Altromondo. Un spinta a superare il confine tra ciò che è visibile e quello che non lo è. Il Cervo è uno degli animali totemici che indica la strada che porta alla conoscenza. Le antiche leggende sono ricche di storie legate a cervi e cerbiatte protette dalla Dea. Le antiche leggende raccontano che spesso le fate si mostrano agli occhi umani soltanto dopo essersi tramutate in cerbiatte.
La cerbiatta era vista come animale magico, capace di influenzare la vita e i modi degli uomini. La vita dello scozzese Lord Kilmersdon cambiò completamente quando si diede ad inseguire una magica cerbiatta
bianca nella foresta. La cerbiatta svanì dopo poco più di un miglio, ma la vita del Lord fu invasa da una tale felicità che decise di erigere una Cappella alla Signora nella chiesa locale in segno di gratitudine. Un‟altra cerbiatta incantata apparve ad un cacciatore delle Highlands sotto le spoglie di una donna meravigliosa che impugnava la freccia che aveva perso. “Sono la guida del mio branco,” disse all‟attonito cacciatore, “Mi trovo sotto incantesimo e tu devi promettere che caccerai solo cervi, mai cerbiatte”. Le leggende in cui questa creatura meravigliosa compare sono tante e raccontarle adesso sarebbe impossibile ma quello che non bisogna mai dimenticare è l‟elemento che le accomuna tutte: il mutamento che su-
bisce l‟anima di tutti coloro che vengono a contatto con lei. Il Fuoco è trasformazione. La luce e il calore del sole nel tempo di Lughnasadh hanno trasformato i fiori in frutti, hanno fatto scorrere ricche le linfe nel ruvidi tronchi degli alberi. Dipingeranno di rosso le bacche e grazie a loro sarà possibile trattenere il calore necessario per superare l‟inverno. Il fuoco è portatore di cambiamento e se lo lasciamo scorrere dentro di noi ciò che è mutabile muterà. Ciò che è illuminabile sarà illuminato e una nuova strada sarà visibile là dove riuscivamo a vedere solo rovi e sbarramenti.
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Monica Zunica
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ove ci siamo addormentati nel nostro ultimo viaggio? Certamente in un posto bellissimo e incantato, ma ora, siete svegli? Allora pronti ad aprire gli occhi per ammirare la bellezza che ci circonda: una terra dove la Natura è padrona, austera e a volte inquietante, ma avvolgente e carica di affetto materno, perché qui veramente ti accorgi che è lei la Madre di tutto e di tutti, una Madre burbera e apparentemente dura, con le sue spiagge nere, il mare freddo e grigio, le lunghe distese di deserto lavico e le sue lagune gelide ed i ghiacciai immensi che sembrano chiamarti per chiudersi intorno a te con fredde spirali. Una Madre che però diventa gentile e affettuosa all‟improvviso, con le sue cascate che ti avvolgono in un abbraccio tanto forte da toglierti il fiato, con il sole che spunta dietro nuvole grigie e che ti scalda il cuore, con un geyser che salta fuori dalla terra, sorprendendoti, e ti bagna con la sua pioggia calda e umida, con le sue lagune di acqua bollente dove immergerti al tramonto e sentirti parte di un qualcosa di unico… sì, siamo in una Terra Magica, unica e meravigliosa: siamo in Islanda! Ho avuto il privilegio e l’onore di avventurarmi in questa terra, con scetticismo all‟inizio, a dir la verità… totalmente cancellato dopo sole poche ore di permanenza, per accorgermi di essere arrivata “dentro” qualcosa di unico...di reale e di fiabesco …sì, perché l‟Islanda non è solo Natura, ma terra di racconti tramandati per generazioni rispettando tutto il loro fascino originale, fascino preservato qui come in nessun altro posto del mondo, e che rivela le radici della cultura e dell‟immaginario di questo paese. La credenza negli spiriti e nel soprannaturale è ancora oggi molto forte in Islanda, e si contrappone alla „praticità‟e alla razionalità tipica di questo popolo. Storie di contadini e avventurieri, di spiriti silvestri, di una natura «vivente», spesso nascono per spiegare l‟origine di luoghi particolari – un villaggio, uno scoglio bizzarro, una grotta di
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lava – e vengono addirittura riportati sulle mappe geografiche! Probabilmente le origine pagane della tradizione islandese e il contatto con una natura imprevedibile e misteriosa avrà indotto questo popolo a spiegare tanti fenomeni, non comprensibili in altro modo, con l'intervento di forze sovrannaturali e immateriali. Tra le storie raccontate, quella che piu‟ sento “vera” è quella che racconta l‟origine degli elfi, i «figli sporchi» che la madre non è riuscita a lavare prima di una visita di Dio e che da allora si sono tenuti al riparo da ogni sguardo, diventando «il popolo nascosto». Per gli Islandesi, così isolati così dal resto del mondo, che trascorrevano lunghi periodi senza sole e che spesso assistevano alle spettacolari e bizzarre manifestazioni della natura ( eruzioni vulcaniche, formazioni di geyser,
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fumarole e solfatare, aurore boreali) fu senz'altro un rifugio ed una consolazione ricorrere agli elfi e agli spiriti per alleviare la propria solitudine e dare un volto a quelle Energie dentro alle quali vivevano. Questa credenza va molto al di là delle semplici favole raccontate ai bambini. Gli elfi esistono, perlomeno in Islanda. Le creature dalle sembianze umane, con le orecchie a punta, delle quali Tolkien ci narra nel “Signore degli Anelli” ( anche traendone ispirazione),lì non sono solamente il frutto dell'immaginazione. C‟è un villaggio di pescatori poco a sud della capitale dal nome difficilissimo da pronunciare, Hafnarfjördur, che è un luogo dall'atmosfera mistica, alla confluenza di alcune forti correnti di Energia e dove si crede abiti un numero particolarmente elevato di elfi: è stata disegnata una map-
pa delle loro abitazioni. Una mappa che si vende tranquillamente anche nelle librerie locali, la"Hidden Worlds Map" di Hafnarfjördur, compilata da Erla Stefánsdóttir, una delle medium più note del Paese, nella quale sono riportati i luoghi migliori dove avvistare gli abitanti dei mondi nascosti. Appena si arriva al villaggio si avverte subito che la maggioranza della popolazione islandese crede negli elfi o non è disposta, comunque, a negare la loro esistenza. Sebbene la maggior parte degli abitanti sia profondamente religiosa, recenti studi sociologici hanno asserito che una gran parte di loro crede sorprendentemente agli elfi ed addirittura, in molte parti dell‟Isola, spesso le strade che passano per luoghi sperduti cambiano improvvisamente ed inspiegabilmente direzione pur di evitare rocce definite „dimora degli elfi‟ o „luogo ad essi caro‟. Ed ancora…. negli angoli più nascosti del giardino di ogni casa islandese che si rispetti, ecco comparire tre casette di legno vicine l‟una all‟altra: so-
no le abitazioni degli elfi che ogni buon islandese ha nel proprio giardino per ospitare queste creaturine, perché la loro vicinanza sia di aiuto e di buon auspicio per tutta la famiglia. Ad Hafnarfjördur, si comincia la caccia agli elfi nel parco e nel giardino di lava di Hellisgerdi, a pochi passi dal centro della cittadina. È di uno degli avamposti dei "mondi nascosti" più noti e più popolati, scelto da molti abitanti (umani) della zona come luogo di meditazione. È un posto dall'aspetto fiabesco, pieno di cascatelle, grotte e boschetti. Il silenzio è impressionante, totale, solo il vento qualche volta fa frusciare dolcemente le foglie. Poco distante troviamo un altro luogo segnato dalla presenza degli elfi: la cittadina di Kópavogur, dove negli anni '70 una parte della strada è stata ridotta da due a una corsia, dopo il fallimento di numerosi sforzi per rimuovere una grande roccia che si credeva, appunto, ospitasse gli elfi a causa della ripetuta rottura dei macchinari. Infatti la roccia è ancora lì che incombe sulla strada, ma non si sa bene se i leggendari esserini vi abitino ancora. Un altro aspetto molto presente nella cultura Islandese è quello vichingo… ma, per ora, concludo questo mio momento di ricordi… prima di partire da Reykjavik, la capitale dell‟Islanda, seguendo il „Dio dei Viaggiatori‟ … con una leggenda locale che racconta della nascita degli elfi. Dei coraggiosi e leggendari navigatori del Nord, gli „uomini del Nord‟, vi racconterò durante il nostro percorso sull‟unica via che circonda l‟isola. Svegli allora, che si parte!
Luisa Lovari
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Un giorno il buon Dio, travestito da viandante (aspetto tipico di Odino di cui vi racconterò la prossima volta) bussò alla porta di una piccola casa e chiese ospitalità. Venne accolto e gli venne offerto persino il letto, l'unico che possedevano. Si trattava di una famiglia numerosa e i genitori erano così poveri che non avevano di che vestire i figli. Padre e madre si vergognavano di ciò e presentarono allo straniero solo la metà dei loro figli. Dio li trovò amabili e chiese alla madre se ne avesse altri oltre a quelli. La donna rispose di no. Naturalmente il buon Dio sapeva benissimo che aveva altri figli e domandò ancora: "Mia buona donna, mi hai davvero presentato tutti i vostri figli?". "Certamente - mentì la donna sorridendo -Non sono forse abbastanza?". Dio si accontentò di questa risposta e si sedette a tavola per la cena con i genitori e la metà dei loro figli. Notò che quella famiglia era molto pia e ringraziava il Signore per il cibo e, nonostante fosse appena sufficiente per loro, lo condivisero con lo straniero. Dio notò con approvazione che tutti i bambini si misero in tasca un po' di pane secco da portare ai loro fratelli e sorelle nascosti. Il giorno seguente prima di andarsene, Dio disse alla famiglia tanto ospitale: "Ciò che è stato nascosto a me verrà nascosto anche agli occhi degli estranei". Da quel momento, i bambini nudi diventarono invisibili; i genitori li percepivano e gli altri uomini potevano vederli soltanto quando lo desideravano i bimbi stessi. Dio diede ai bambini dei fiori, con i quali poterono vestirsi, e da allora non patirono più il freddo. Essendo invisibili, dovevano fare attenzione a non essere calpestati, e, per questo, Dio diede loro le ali, affinché potessero spiccare il volo in fretta al minimo pericolo. Quei bambini gli erano molto affezionati e Dio fece loro molti altri doni, che gli uomini comuni non possedevano. Potevano parlare con i fiori e gli animali e trovavano sempre cibo per saziarsi e vivere in buona salute. I bambini invisibili crebbero ed ebbero dei figli, che a loro volta ebbero altri figli. Facevano del bene agli uomini senza farsi vedere, anche se talvolta si divertivano a far loro qualche scherzo. Vivevano nelle grotte, negli alberi, in riva ai fiumi, i più piccoli riuscivano persino ad abitare sulle corolle dei fiori. Gli uomini visibili li battezzarono Elfi. Mentre gli uomini sfruttavano la terra, gli Elfi diventarono gli spiriti della natura e talvolta intervenivano per contrastare le azioni degli uomini irrispettosi verso la natura. Gli elfi si manifestano di rado: non hanno molto spazio sulla terra per eseguire le loro danze e per celebrare i loro riti. Sono sempre in grado di vedere gli uomini; per contro, noi possiamo vedere gli elfi soltanto quando loro stessi lo desiderano. Se un giorno tu dovessi incontrare un elfo, comportati gentilmente con lui e mi raccomando: ricordati di non contrariarlo. Potrebbe anche farti qualche scherzo ….. Solo chi ha cuore puro può vederli. (tratta dal sito: www.letturegiovani.it)
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Miti, Leggende e DivinitĂ di Daniela Ferraro Pozzer
Foto di Laura Villa
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Nella magica luce di Lughnasadh un Sole benedicente conferma l‟unione della Madre Terra con il Padre Cielo ( Dio del Sole) avvenuta a Beltane, degli uomini e delle donne nei matrimoni dell‟antica tradizione, degli esseri ronzanti fra le spighe tagliate e il calore dell‟acqua che evapora lentamente. Il Sole vince. Il primo Raccolto dell‟anno dona i propri frutti fra notti stellate e gioia. Fissare la luce tutto unisce in un unico bagliore e il massimo bagliore è sempre lo stesso: il Sole. Lughnasadh: il „festival di Lugh‟ il Figlio del Sole. Da una radice protoindoeuropea leuk derivano parole di senso simile, luminose, splendenti, bianche come la luce più pura: leucos, parola greca ora prefisso di molti composti italiani ( leuco-) , lo stesso termine luce ovviamente, light in lingua inglese e così via, seguendo una luminosa
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scia di significati che scorre anche dall‟antico sanscrito luc e parola semita Luoachan l‟Energia Vitale, quindi,che da sempre ha naturalmente identificato nel Sole l‟origine suprema della propria esistenza, ha avuto nella storia tanti nomi e tanti visi, tutti risplendenti della stessa luce. Popoli di ogni luogo e tempo hanno spontaneamente adorato il Sole come il supremo Dio di Vita, generoso e potente, ma anche forte e implacabile. Un dio che crea ordine con i suoi cicli regolari che chiamiamo giorni, e che muove la Ruota dell‟Anno con la rassicurante precisione dell‟Eternità. Un Dio che da nulla può essere sconfitto, perché la sua fine rappresenterebbe la fine della Vita. Nella mitologia norrena il Ragnarok (destino/ crepuscolo degli dei) ci racconta la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato. Spariranno quindi Sól (il Sole) e Máni (la Luna) divorati dai due lupi (Skǫll e Hati) che, nel corso del tempo li hanno inse-
guiti instancabilmente e il mondo, privato della luce naturale, rimarrà in un perenne, gelido ed oscuro inverno. Anche le stelle si spegneranno ed una notte caotica precipiterà sulla terra ormai priva perfino del ritmo del tempo. La visione apocalittico-cosmologica, che procede con scontri di divinità simili ed opposte, quasi fossero conscio ed inconscio di un enorme individuo vivente, termina però con la rinascita della Speranza, il Dio Baldr (maschile… e non femminile come nel nostro immaginario, anche storico artistico, spesso la rappresentiamo!) e della sua progenie. E la speranza è da sempre legata al Sole: al nuovo giorno, alla festa di Lughnasadh: la speranza di „fare in tempo‟ spinta da quella sottile tensione dovuta all‟avvicinarsi palese dei giorni bui dell‟Inverno mentre la maggior parte del raccolto ancora non è stato portato al sicuro e conservato. Il tempo, giusto e solenne, procede senza attendere. Al Sole infatti, oltre che quelli di Energia Vitale e di Ordine, sono collegati anche i con-
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- LUGH -
cetti di Giustizia, di „Patto‟,quasi che l‟umanità stessa ne abbia sottoscritto uno all‟Origine del Tempo. Ecco che molti dèi collegati ad esso sono anche, a volte, soprattutto dèi di „Onestà ed Ordine‟, come ad esempio Mitra.* Il culto di Mitra nasce nel 1200 a.C. e compare nei Veda come uno degli Aditya, una delle divinità solari e dio dell'onestà, dell'amicizia e dei contratti. Nella civiltà persiana assunse col tempo sempre maggiore importanza fino a diventare una delle maggiori divinità dello zoroastrismo. In entrambe le culture, si distingue per la sua stretta relazione con gli dei che regnano sugli Asura (ahura in iranico) e proteggono l'ordine cosmico Negli inni vedici, Mitra (Generatore della Luce dell‟Alba) è sempre invocato insieme con Varuna ( Signore del Ritmo Cosmico), tanto che le due divinità sono combinate nel termine Mitravaruna. La parola mitra significa anche qui: amicizia patto, accordo, contratto, giuramento o trattato.
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- MITRA -
I culti solari sono sempre stati tanto diffusi da creare un buon collegamento fra le genti, cosa che non sfuggì agli imperatori dell‟Antica Roma: nel 272, quando Aureliano sconfisse la principale nemica dell'impero (riunificandolo), la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all'aiuto provvidenziale della città stato di Emesa , dichiarò di aver avuto la visione del Dio Sole di Emesa, che interveniva per rincuorare le truppe in difficoltà nel corso della battaglia decisiva. In seguito, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus e ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifices solis invicti). Ovviamente al di là dei motivi tanto sbandierati di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero. Anche molte divinità greco-romane, come Giove e Apollo, erano identificate con il sole.
- APOLLO -
In realtà il Dio del Sole per i Greci era inizialmente Helios , che fu addirittura invocato per la prima volta nell‟Iliade come „colui che tutto sa - tutti vede e tutto ascolta‟ per la sua luce che non ha confini. In seguito questa divinità fu associata sempre di più ad Apollo, figlio di Zeus e Latona, il quale quindi, oltre ad essere considerato il dio della luce e del Sole, lo era già anche, della Musica, della logica e della Ragione ed era un abile guaritore e, come il Sole, splendido a vedersi! Aureliano, sfruttando questo aspetto carismatico, ricco di „qualità‟ fondamentali per la Vita nonché profondamente simbolico del Dio Sole, fece di quest‟ultimo la principale divinità del suo impero, indossando addirittura egli stesso una corona a raggi. Si presume che a lui risalga anche la festa solstiziale del Dies Natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto". La scelta di questa data poteva rendere più importante la festa, in quanto la innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali. ( il Solstizio d‟Inverno –“ Natale”)
In seguito alla fine del 300, con un decreto, Costantino stabilì che il primo giorno della settimana fosse dedicato al Sole (il giorno del Sole, Dies Solis e oggi anche in inglese Sunday ) e dovesse essere dedicato al riposo:
« Nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la semina delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo. » Come quella del Dies Natalis Solis Invicti anche la nascita di Mitra veniva celebrata al solstizio d'inverno. Il sacrificio caratteristico di questo nuovo culto, assente nel culto indopersiano, era la tauroctonia. In ogni tempio romano dedicato a Mitra il posto d'onore era dedicato alla rappresentazione di Mitra
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nell'atto di sgozzare un toro: questa scena, più che un sacrificio animale, rappresenta un episodio mitologico. Il mito, racconta infatti che Mitra affronta un giorno il dio Sole e lo sconfigge. Il Sole allora stringe un patto di alleanza con il dio che suggella donandogli la corona raggiata. In un'altra sua eroica impresa, Mitra cattura il Toro e lo conduce in una caverna. Ma il Toro fugge e il Sole, memore del patto fatto, se ne accorge e manda al dio un corvo quale suo messaggero con il consiglio di ucciderlo. Grazie all'aiuto di un cane, Mitra raggiunge il Toro, lo afferra per le froge e gli pianta un coltello nel fianco. Allora dal corpo del toro nascono tutte le piante benefiche per l'uomo e in particolare dal midollo nasce il grano e dal sangue la vite. Ma Ahriman, che nel culto mitriatico rappresenterebbe il Dio del Male, invia un serpente e uno scorpione per contrastare questa profusione di vita. Lo scorpione cerca di ferire i testicoli del toro mentre il serpente ne beve il sangue, ma invano. Alla fine il Toro ascende alla Luna dando così origine a tutte le specie animali. Così, Mitra e il Sole suggellano la vittoria con un pasto che rimarrà nel culto sotto il nome di „agapè‟ che in genere era a base di vino
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(o acqua) e pane, secondo uno schema molto simile a quello dell'eucarestia dei primi cristiani. Nella raffigurazione mitologica, oltre al Sole e la Luna, sono presenti le‟ Costellazioni‟ che si trovano sull‟equatore celeste accanto a quella del Toro (nell‟Era del Toro) ovvero: il serpente, lo scorpione, il cane e il corvo. La terminologia relativa alla luce e alle sue fonti, lucerna, fuoco, stelle, Luna e -primo fra tuttiSole si riferisce innanzitutto quindi alla loro realtà fisica. In seguito all'esperienza umana questi termini si caricarono di ulteriori significati e divennero metafora o simbolo, assumendo significati più ampi e complessi. Ecco che allora la luce si contrappose all'oscurità, il giorno alla notte e per questo motivo la luce divenne simbolo anche di verità, di conoscenza, di consapevolezza. Questo processo è molto antico e ha portato per esempio i popoli mesopotamici ad attribuire al dio sole Šamaš il compito di garantire la giustizia e il rispetto degli accordi, proprio come Mitra e perfino nella stele di Hammurabi il re babilonese è ritratto mentre riceve da Shamash le leggi. Naturalmente il significato simbolico del sole è stato usato anche dal cri-
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stianesimo e così la confusione fra i culti continuò per alcuni secoli, anche perché l'editto di Tessalonica, che proibiva i culti diversi dal cristianesimo, non determinò la reale conversione dei pagani. Ancora ottanta anni dopo, nel 460, il papa Leone I sconsolato scriveva: « È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell‟astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequ io a questo culto degli dei. » La Luce del Sole oggi illumina magici boschi e città afose, spiagge affollate e lontani atolli colorati di bianco e di azzurro, deserti in drammatico aumento e tetti di legno e ardesia, eppure, davanti al suo splendore ne sentiamo ancora la magia. Chiudere gli occhi e lasciare che i raggi del sole ci accarezzino ed avvolgano è una sensazione
nota e comune: così come fanno gli alberi, sentiamo la sua Energia riempirci, percepiamo che l‟intimo, antico e magico rapporto fra quella sensazione fisica ed il suo riflesso nel mondo „dentro‟ di noi non si è mai scisso, e allora ancora, spontaneamente rivolgiamo i palmi delle nostre mani verso il Sole, e in questo giorno di Lughnasadh lasciamo che, grazie ad un „incantesimo‟ antico come il Mondo, quella Forza e quella Potenzialità scorrano anche nella nostra vita, riempiendola di Energia e di Gioia di vivere.
*Anche lo stesso Lugh fu considerato in seguito simile e sovrapponibile non solo al greco Apollo, nella sua luminosità di Figlio del sole , ma anche al dio Mercurio per una serie di caratteristiche che comprendono la padronanza di Lugh di tutte le arti e che lo collegarono ad divinità euripea-gallica nolto diffusa chiamata “il dio gallico senza nome” e che Giulio Cesare identificò poi con Mercurio che egli descrive come "l'inventore di tutte le arti". Cesare descrive il gallico Mercurio come la divinità più venerata in Gallia , protettore dei viaggi e delle transazioni
commerciali. Il nome di Lugh fu , di conseguenza, considerato da alcuni come derivante dal celtico radice * lugios , "giuramento". La parola irlandese Lugh connota infatti anche idee di " legame, congiunzione, giuramento vincolante", che ne rafforza l'identificazione con Mercurio, che è stato, tra gli altri attributi, un dio dei contratti.
Daniela Ferraro Pozzer
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Cos‟è per te il druidismo?
“Creatività,Volontà, Entusiasmo”
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La Creatività è una forma di Magia
Foto di Laura Villa
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La Volontà è una forma di Magia
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Foto di Laura Villa
Lâ€&#x; Entusiasmo è una forma di Magia
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ATTRAVERSO LA STORIA DELLA CREATIVITAâ€&#x;
di Alessia Mosca Proietti
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altra parte dell'unione e del fuoco. Mentre Lugh riavvicina la 'questa storia separa' attraverso un mare di … distanze. Ma l'invito è proprio quello di ascoltare con le emozioni ed il coinvolgimento ed ecco che il fuoco, Lugh, la vicinanza e l'unione, sulle note della musica che tutto riveste ed avvolge di passione, risplende oltre le apparenze. Così sia anche la nostra Vita.
“Madama Butterfly” composto da Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, è è un dramma suddiviso in tre atti (successivamente alla prima rappresentazione, che ne prevedeva solo due) e definito dagli autori come “tragedia giapponese”. Tratto dall'omonima piéce teatrale del commediografo americano David Belasco, a sua volta ispirato ad un racconto dello scrittore John L. Long, fu rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 17 febbraio del 1904 su decisione concordata dell'autore col proprio editore Giulio Ricordi. Sarebbe dovuto essere l'ennesimo trionfo di Puccini che avrebbe fatto seguito al grande successo riscosso da “Manon Lescaut”, “La Bohéme” e “Tosca”: inaspettatamente, la rappresentazione si rivelò un fiasco totale! La presenza di nomi del calibro di Rosina Storchio al culmine della carriera e del grande direttore d'orchestra Cleofonte Campanin non bastò a salvare il debutto. Il clamoroso insuccesso spinse il compositore a revisionare l'opera, che uscì dal restauro suddivisa in tre atti, modificata in alcune scene e priva dei brani musicali che Puccini reputò sacrificabili ed ottenne finalmente il meritato successo, tre mesi dopo, al Teatro Grande di Brescia. Il lavoro sull'opera era cominciato ben tre anni prima, con studi approfonditi dei temi,degli stili e delle tradizioni giapponesi da parte dei librettisti, spronati da Puccini che si diceva assolutamente coinvolto dalla suggestività del tema esotico e drammatico della gheisha tradita: aveva assistito di persona
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alla tragedia di Belasco, rappresentata nel luglio del 1900 al Duke of York's Theatre di Londra e ne era rimasto totalmente affascinato . L'immenso lavoro dei tre artisti fu supportato dalla stretta collaborazione con la moglie dell'ambasciatore giapponese in Italia e l'attrice nipponica Sada Yakko, molto in voga e famosa agli inizi del secolo.
PERSONAGGI e timbro: Cio-Cio San detta “Madama Butterfly, gheisha di Nagasaki (soprano) B.F. Pinkerton, tenente della marina degli U.S.A (tenore) Suzuki, ancella di Cio-Cio San (mezzosoprano)
TRAMA: Atto I. Siamo nella città di Nagasaki, agli inizi del 1900. Il tenente della marina degli Stati Uniti, B.F. Pinkerton, si sposa con la leggiadra e dolce Cio-Cio -San, una geisha quindicenne. Il matrimonio si celebra secondo le tradizioni e le leggi giapponesi, che danno al marito il pieno diritto di ripudiare la moglie in qualsiasi momento nel caso desiderasse prendere in sposa una donna americana.giapponese. Benchè il tenente sia vanitoso, audace e guidato esclusivamente dal desiderio, CioCio San ama il marito con tutta se stessa e gli dona anima e corpo: questo attira sulle nozze l'ira del furente zio Bonzo, che irrompe a sconvolgere la serenità della coppia accusando la nipote di aver rinnegato le proprie radici. Lei dichiara ferma l'amore che nutre dei confronti di Pinkerton e, dal momento delle nozze, si fa chiamare “Madam (San - signora) Butterfly(Cho – farfalla)”. La prima notte di nozze è il momento magico in cui lei appartiene totalmente al suo uomo.
Sharpless, console degli U.S.A a Nagasaki (baritono) Goro, nakodo (tenore) Lo zio Bonzo (basso) Il Principe Yamadori (tenore) Kate Pinkerton (mezzosoprano) Yakusidè , zio ubriacone (basso) La zia (soprano) Dolore , figlio di Cio-Cio San (mimo)
ATTO II – parte prima. Dopo poco tempo dalle nozze Pinkerton torna in patria, lasciando la giovanissima moglie con la promessa che sarà di nuovo con lei a primavera. La saggia e fedele ancella Suzuki si mostra incredula, ma Cio-Cio San si fida ciecamente delle promesse del marito e attende fremente il suo ritorno (canta la celebre aria “Un bel dì vedremo”). Sfortunatamente, la gheisha aveva mal riposto la propria fiducia:Pinkerton, in America, si risposa con Kate e contatta il console Sharpless a Nagasaki, chiedendogli di parlare con Cio-Cio San e spiegarle la situazione. Nonostante Goro alletti Madam Butterfly con numerosi candidati al ruolo di nuovo marito, ella continua a tener fede al proprio patto nuziale, certa del ritorno del tenente: presenta al console Sharpless il
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frutto della notte di nozze, il figlioletto nato dall'amore tra lei e Pinkerton. Il politico, allora, non ha il cuore di distruggere i suoi sogni. Il tempo passa e il tenente si ripresenta a Nagasaki solo dopo tre anni, accompagnato dalla legittima moglie Kate. Madam Butterfly, ignara della propria condizione di moglie ripudiata, scopre dell'arrivo del marito e chiede a Suzuki di preparare la casa all'accoglienza perfetta che Pinkerton merita.
Un bel dì vedremo Un bel dì vedremo Levarsi un fil di fumo Sull'estremo confin del mare E poi la nave appare E poi la nave è bianca. Entra nel porto, romba il suo saluto. Vedi? È venuto! Io non gli scendo incontro, io no.
ATTO II - parte seconda. Cio-Cio San, con lo sguardo puntato sul mare che le riporterà l'amato, aspetta ansiosamente l'arrivo del marito per tutta la notte. Il console Sharpless, nel frattempo, ha raccontato al tenente dell'esistenza di suo figlio e questi decide di far visita alla moglie ripudiata con l'unico scopo di prendere con sé il bambino per crescerlo negli Stati Uniti secondo le usanze occidentali. Cio-Cio San si trova finalmente faccia a faccia con Kate Pinkerton e, allorché anche il console tenta di convincerla ad affidare il figlio alla propria coppia, capisce che gli ultimi anni sono stati solo un'illusione. Comprende di aver votato se stessa ad una grande storia d'amore che era tale solo nella sua mente e, una volta sola, decide di porre fine alla propria vergogna. Abbraccia piangendo il figlio, lo adagia in una culla di bambù e gli copre gli occhi con una benda: si rivolge ai propri avi, poi con freddezza prende il wakizashi del padre e, seguendo l'antico rito giapponese dell'Harakiri, si toglie la vita.
Mi metto là sul ciglio del colle E aspetto gran tempo e non mi pesa a lunga attesa. E uscito dalla folla cittadina Un uomo, un pìcciol punto S'avvia per la collina. Chi sarà? Chi sarà? E come sarà giunto Che dirà? Che dirà? Chiamerà Butterfly dalla lontana Io senza far risposta Me ne starò nascosta Un po' per celia, Un po' per non morire Al primo incontro, Ed egli al quanto in pena Chiamerà, chiamerà: "Piccina - mogliettina Olezzo di verbena" I nomi che mi dava al suo venire. Tutto questo avverrà, te lo prometto Tienti la tua paura Io con sicura fede lo aspetto.
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Dal 1904 ad ora l'opera è stata sempre più arricchita di coreografie ed effetti scenici e ad oggi a New York, che ne vide il debutto nel 1907 con il grande tenore Caruso nel ruolo di Pinkerton, è inserita fra i dieci spettacoli più rappresentati, con 885 repliche, solo al Metropolitan, dal 1907 al 2014. Curiosamente, prima del 1920 il ruolo di Cio-Cio San non fu mai interpretato da una cantante giapponese: bisognò attendere il soprano Tamaki Miura, che si esibì in vari teatri europei nel 1920 per arrivare in Italia solo tra il 1930 e il 1931. Il 1931 è anche l'anno in cui “The star-spangled banner”, che compare più volte nella partitura di “Madama Butterfly”, passa ufficialmente da inno della marina statunitense ad inno nazionale degli U.S.A dopo delibera del Congresso. Il celebre “Coro a bocca chiusa”, che prevede l'esecuzione solo da parte delle voci femminili, è in realtà discretamente sostenuto da una viola d'amore (la cui struttura ricalca quella dell'antica viola da braccio), strumento che possiede, oltre alle sette corde suonate dall'archetto, altre sette corde di risonanza che corrono sotto alle principali. La delicatezza con la quale il Coro culla l'attesa di Madame Butterfly abbraccia il pubblico come un fluire di emozionanti maree.... come una serie di onde, ci riconduce all'acqua! Consigli per l'ascolto: Quanto cielo! Quanto mar!, entrata di Butterfly con coro femminile Viene la sera … Bimba dagli occhi pieni di malìa … Vogliatemi bene, un ben piccolino, duetto tra Butterfly e Pinkerton Un bel dì vedremo, Butterfly (atto secondo) Coro a bocca chiusa (atto secondo) Alessia Mosca Proietti
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Aristotle
Howardean Ethics Of The Mean After Nichomachus Di Howard Cambpell Scegli di fare quello che ti porta attraverso la Virtù del tuo Essere Non cercare quello che non puoi conoscere Non combattere quello che non puoi cambiare: Se la tua natura è come la pietra Scendi dentro, vai in profondità Se la tua natura è come il fuoco Vai avanti, brucia e scintilla. Se la tua natura è come l‟acqua muoviti, vaga, girovaga Se la tua natura è come l‟aria espanditi, riempiendo invisibile ogni angolo Mescola il tuo Calderone pieno di piacere e dolore pena e gioia Impara la difficile arte della scelta Fai del tuo modo di essere un opera d‟arte: di ogni sfumatura non troppo né troppo poco Un opera d‟arte ben rifinita non ha bisogno di nessuna aggiunta né di nessun alleggerimento
Scegli quando essere pieno di piacere Scegli quando essere pieno di dolore Scegli quando crescere attraverso la pena Scegli quando crogiolarti nella gioia Ricerca l‟eccellenza del tuo Essere. È tanto facile avere la sensazione di aver dato troppo o troppo poco, tanto difficile trovare il centro del cerchio tanto difficile cambiare un‟abitudine verso il bene, come raddrizzare una bacchetta di salice piegato: devi curvarlo oltre misura Tutti possiamo essere arrabbiati, questo è facile, difficile è esserlo con la persona giusta nel giusto grado al tempo giusto nel giusto modo Questo non è facile: scegliere cosa ti porta attraverso la virtù del tuo Essere Non cercare quello che non puoi conoscere Non combattere contro quello che non puoi cambiare Cerca di essere né più né meno Sali passo passo Inchinati al vento Conduci attraverso la nebbia Il Meglio del tuo essere Tratto da: Darkness Shades - So Light Can Be
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L‟ILLICE DI CARRINU L'Ilice di Carrinu (o Ilice dû Pantanu ) è un leccio ( Quercus ilex ), ubicato ad un'altezza di 937 m s.l.m. nel Parco dell'Etna (Zona B) in territorio del comune di Zafferana Etnea (CT) su suolo vulcanico e contornato da un noccioleto. l'età stimata è di oltre 700 anni.
V
orrei condividere con voi quello che non è una semplice poesie ma un dialogo che è avvenuto tra me ed il millenario "Ilice di Carrinu", una quercia millenaria che vive sulle pendici dell'Etna, con la quale sono entrato in profonda connessione e come per incanto le parole hanno cominciato a fluire in me attraverso la mia penna. Un messaggio di saggezza e speranza per tutti noi. Vostro nella pace della radura.
Duirin
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Osservami con il cuore Ti potrei raccontare l‟Infinito Ti prego guardami Nessuno lo fa veramente.
O umana specie, noi siamo qua da secoli in paziente attesa Un essere solo, un‟anima sola, un solo cuore, è questo che chiediamo Vi prego chiedete! Non prendete con le mani! Prendete con il cuore, con un cuore aperto a ricevere.
Tutti osservano la mia forma, che è grande, forte e bella Ma io non sono solo forma Vi perdete la parte più pura, più bella Vi prego entrate in contatto con il mio cuore, ma non cercate con gli occhi.
E noi vi doneremo l‟Eterna Fiamma La stessa che è dentro di voi, ma che ormai avete dimenticato Vi amo creature in cerca Ma vi dico di non cercare più, non strade infinite da percorrere.
La mia essenza è pura energia La mia coscienza è grande Ho tanto da dirvi, tanto da insegnarvi Ogni foglia è il mio occhio, le mie orecchie, la mia voce.
Io, vedete, mi nutro dell‟infinito amore di Dio, che è sopra di me, che è sotto di me, Che è attorno a me, che è dentro di me. Lo stesso Dio che è dentro di voi E‟ dentro, non fuori.
Ma come si fa? Noi uomini moderni abbiamo ormai dimenticato a farlo. E‟ semplice sai? Chiudi gli occhi, metti una mano sul cuore e l‟altra su di me. Se avrai un po‟ di pazienza sentirai un eco dal cuore che viene dal profondo. Conosco i vostri pensieri, conosco le vostre emozioni.
Ma lo troverete se solo il silenzio rispetterete E il suono della creazione a poco a poco sboccierà in voi Quel suono che già risuona dentro di noi.
L‟Ilice di Carrinu
L‟equilibrio va preservato. La Materia va sostenuta. Amore, cuore, anima. Lasciate fuori i pensieri molesti Donate il vostro amore incondizionato ed io vi donerò il mio. Vi insegnerò che c‟è un regno ove tutto è possibile per l‟amore Ma dov‟è questo regno? E‟ qui, non lo vedete? Non vedete le creature che vivono sui miei rami e che io proteggo con amore materno? Quando arrivate si spaventano e vengono da me in cerca di rifugio e vi osservano. Ma di cosa hanno paura? Della vostra cecità, della vostra indifferenza Ma se solo entraste in contatto con lo spirito che è in voi, cesserebbe ogni paura Lo scambio divino tra creature affini, di luce, di purezza, di calore.
Folletti, fate e spiritelli festosi danzano sotto di me e mi fanno compagnia Amo le loro risate e il fluente movimento delle loro sembianze Un dolce volteggiare attorno a me E‟ poesia, è amore, è purezza. Il gioco eterno del maschile e del femminile E a chi mi chiede chi sono io, dico che sono il senza nome, il senza sesso Il pieno e il vuoto, l‟alto e il basso, il dentro e il fuori, il piccolo e l‟ immenso, il Tutto E questo è per voi, da sempre qui in immobile attesa Chiedete o umana specie, chiedete con il cuore e la porticina invisibile si aprirà mostrandovi il Regno incantato che qui giace per voi. Osservate, osservate e amate Silenzio e quiete è la giusta via.
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di Markus Juniper
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ll‟ inizio di Agosto comincia il mese del raccolto. Tante piante hanno maturato frutti e semi. La battitura dei cereali come l'orzo, il grano e la segale, sta finendo. Le piante officinali contengono spesso un contenuto alto di sostanze curative. È il momento dell‟abbondanza ma anche un periodo di grande cambiamento. ... Quando tagliamo le erbe e quando raccogliamo i frutti, simbolicamente diamo anche l'addio al caldo e all‟abbondanza. Sappiamo che arriverà il buio e il freddo. Quando facciamo le conserve, le marmellate e quando raccogliamo le erbe, portiamo una parte di questa ricchezza nella parte oscura dell‟ anno.
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Lughnasad ( “Luu-na-sa”) significa “Sposa della luce” e nelle piante vediamo adesso tanto il risultato. La ruota gira e questo sentiamo in questo momento in maniera accentuata. La raccolta significa anche fa morire alcune piante, nei frutti e nei semi però gli portiamo il risveglio della primavera prossima. Scegliamo bene i semi che vogliamo portare e conservare, da quelli dipendono i frutti del anno prossimo, ora è un momento importante di scelta. È quasi un dovere raccogliere adesso, fra poco passa questo periodo di abbondanza. Guardando bene la natura possiamo capire anche che tagliare nel momento giusto (raccolta) è necessario, nonostante si ferisca o questo coinvolga la morte.
Le erbe piĂš importanti di questa festa solare venivano raccolte e, in alcune zone dell'Europa, unite insieme in piccoli mazzetti. Spesso troviamo anche qui il numero di nove erbe. Tra le altre: Il Millefoglio (Achillea millefolium) La Valeriana comune (Valeriana officinalis) L'Arnica (Arnica montana) Il Verbasco (Verbascum thapsus et.al.) La Camomilla (Matricaria recutita) L'Assenzio (Artemisia absinthium) La Menta (Menta spicata et.al.) La Centaurea (Centaurium erythraea) La Verbena comune (Verbena officinalis) Il Brugo (Calluna vulgaris) ... Queste erbe legate (spesso con il Verbasco in mezzo), appesi in sala o camera, portavano salute e fortuna alle persone e agli animali della casa. Durante l'anno si usa una parte delle erbe anche come incenso. Durante la raccolta di queste erbe era uso pronunciare sentenze e proverbi, connessi con i vecchi dei della zona.
La Verbena Officinalis
Prendiamoci un poâ€&#x; di tempo in questo periodo importante e facciamo una passeggiata in campagna. Raccogliamo nove erbe, quelle che troviamo e portiamole a casa. Questo mazzetto può diventare simbolo di abbondanza e di scelta, di luce e di morte.
Markus Juniper
La Menta
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di Ilaria Pege
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Ingredienti per 8/10 porzioni Anguria Matura 5kg 8 pesche 250 gr Lamponi 250 gr Mirtilli 500 gr Fragole 1/2 succo di 1 limone 1 o 2 bicchieri d'Acqua
Procedimento Lavare i frutti rossi e tagliare le fragole in 4, lavare le pesche e sbucciarle, tagliarne 3 in piccoli pezzi e 5 frullarle aggiungendo il succo di limone e un po' d'acqua, per rendere il tutto meno cremoso. Lavare con una spazzola o spugnetta ruvida l'anguria e tagliare una piccola sezione per creare la base stabile della ciotola per la SANGRIA DELLE FATE. Tagliare l'anguria a metĂ , e scavare la metĂ con la sezione tagliata, fino ad arrivare alla parte bianca, aiutandosi con un cucchiaio. Conservare fino al momento di servire, in frigorifero. Mettere il contenuto in un colino appoggiato ad ciotola, per lasciare cadere i succhi e trattenere i semi. Ripulire dai semi la polpa restante e frullarla aggiungendola a quella di pesca e al succo di limone, aggiungere le restanti parti di frutta e riporre in frigo, fino al momento del consumo. Quando comincia la festa, togliere dal frigo l'anguria svuotata, riempire con la miscela di succo e frutta e gustare in bicchieri freddi guarniti con foglie di Melissa o Erba Luigia. Per una versione piĂš briosa e per adulti aggiungere 200 ml di rum.
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Ilaria Pege
Se siete alla ricerca di qualche piatto in salsa vegetariana sfizioso e semplice da realizzare, ecco a voi una ricetta che potrebbe fare al vostro caso. Si tratta di un cous-cous freddo di verdure in insalata. L‟ideale per preparare in pochi minuti un pasto completo ed equilibrato, senza trascurare il sapore. Carta e penna alla mano, dunque, per appuntare gli ingredienti e i trucchi che vi occorreranno per realizzarla direttamente a casa vostra! Il cous-cous freddo è uno di quei piatti che si possono improvvisare in poco tempo utilizzando ciò che avete in dispensa o in frigorifero. Nella versione che vi proponiamo gli ingredienti necessari per 2 persone sono: 250 gr di cous-cous 1 bicchiere d’acqua 2 cucchiai di succo di limone 2 zucchine 1 cipolla rossa 2 pomodori 4 peperoncini verdi 1 testa d’aglio 1 mazzetto di erbe fresche (coriandolo, prezzemolo, menta, basilico) Preparazione. Per prima cosa tritate le erbette e mettetele in una ciotolina con l‟aglio, sale, pepe e dell‟olio che deve arrivare a coprire. Lasciate macerare per 15 minuti circa e nel frattempo mondate le zucchine e tagliatele a rondelle sottili. Fatele grigliare su una piastra ben calda per 3 minuti per lato. Sminuzzate le altre verdure (pomodori, peperoncini, cipolla) e riponetele in un‟altra ciotola dove aggiungerete anche le erbette tritate e macerate nell‟olio privato dell‟aglio. In un‟altra ciotola riponete il cous-cous e aggiungete una tazza di acqua tiepida, il succo di limone e 5 cucchiai di olio, mescolando accuratamente con un cucchiaio finché il liquido non verrà del tutto assorbito. Aiutandovi con una forchetta sgranate i chicchi del cous-cous e uniteli alle verdure. In estate e in primavera può essere servito come piatto unico, lasciandolo riposare per mezz‟ora in frigo
da www.tuttogreen.it
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Tarot by Anna - Marie Ferguson
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Chiudi gli occhi: cammina sulla strada bianca che riflette la luce del sole. Ronzio d‟insetti e rumore di vento fra le spighe del grano. Hai i piedi scalzi e la terra è calda: senti la sua magica Energia, la senti ricaricarsi dei raggi d‟oro del sole, assorbirli e trasformarli. Ora ti guardi bene intorno: la Magia qui scintilla dovunque, riesci a vederla alzarsi piano come bolle di sapone nate dal bianco della strada, dai sassi, dall‟erba e dagli immensi campi di grano che sono intorno a te; la senti venire su dalla pianta dei tuoi piedi e poi lungo le caviglie come una vibrazione piacevole che sale, sale e rende pian piano le tue gambe scintillanti e le ginocchia e le gambe… e la tua pancia, e il torace…. Ti sembra di sentire il suo caldo vibrare fino a dentro il cuore, e i polmoni respirano con più vigore, in magica sintonia con l‟Universo. Respiri profondamente e apri le mani verso il sole per prendere anche tu una piccola parte della sua Energia direttamente, attraverso di esse, ne senti la voglia: la sua luce si raccoglie nei tuoi palmi come fosse acqua e poi comincia ad essere assorbita, lungo i tuoi polsi e le braccia, fino alle spalle al collo alla testa. Ora sei un essere luminoso e scintillante, pieno di Energia, di Potenza, di Gioia, di Volontà, di Magia! Sai che puoi fare ogni cosa, lo senti: hai nelle tue mani il Potere di tutti gli Incantesimi del Mondo, di una Vita felice. Osservi i palmi delle tue mani e lentamente cominci a scorgere una parola , scritta con la luce brillante del Sole: …. Cerca di leggerla e di ricordarla…. Le spighe ondeggiano e ti cullano. Il vento è tiepido e avvolgente. Un arcobaleno si accende piano di fronte a te: oltre c‟è il Mondo Materiale che ti aspetta. Tu sai che solo lì tutta la Magica Energia che hai raccolto potrà realizzarsi ed Esistere, sai che non ne potrai vedere lo scintillio… ma potrai sentirlo ancora dentro di te: basterà ricordarsi bene questa sensazione. Ti fermi un attimo senti con pienezza la sottile vibrazione della Magia che in alcune zone ancora è forte, ma in altre si è già trasformata in una specie di tensione, tensione verso la Vita: allora ti senti già felice e hai il desiderio fortissimo di mettere in pratica tutta quella voglia di Vivere che hai dentro e cominci a correre verso l‟arcobaleno, e dietro di te una scia di scintille luminose, un passo , due , tre, un salto ed ecco qui. Sei tornato. Apri gli occhi e guarda le tue mani: non sono più luminose, ma tu sai che la Magia è dentro la tua mente, dentro il tuo cuore dentro la tua pancia. Tu sai che se riuscirai a non rompere il ponte dell‟Arcobaleno, la scia luminosa che arriva fino a te potrà „caricarti‟ sempre e sempre potrai andare dall‟Altra-parte a prendere tutta la scintillante Magia che ti serve per vivere. Per vivere bene, al meglio delle tue infinite possibilità… Fata Betulla
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Ricordi meravigliosi di un mondo incantato: quello della Memoria. Come sedersi in un campo falciato ed ascoltare il racconto di un‟amica, della Storia, della Gente, delle nostre radici. DFP
di Monica Antonello
Il ritmo cadenzato della battitura della falce.... per rifilare la lama...in modo che scivoli tra l'erba lesta e precisa. Così faceva mio nonno. Si sedeva sul prato e quando era pronto cominciava...lentamente, costante.... ting....ting...ting....ting... E alla fine controllava serio il filo che brillava lucente al sole.... Bastava un ampio movimento delle braccia... e la prima onda di erba fresca cadeva ai suoi piedi. E così procedeva...un passo dopo l'altro...una falciata dopo l'altra. Io lo guardavo... un po' a distanza perchè "la falce è traditora" mi diceva lui da sotto il cappello e non voleva mi avvicinassi troppo... Faceva di tanto intanto una pausa, prendeva
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la pietra che portava alla cintola dentro il "cuer" e molava la lama....si rimboccava le maniche della camicia, sempre candida sotto il gilet, e riprendeva...passo dopo passo...falciata dopo falciata. Osservava l'ora nel suo orologio da taschino, che io guardavo con gli occhi spalancati come se fosse un oggetto magico, e poi riprendeva...passo dopo passo....falciata dopo falciata. Ricordo l'odore di erba tagliata...è inconfondibile...è fresco...quasi inebriante. Sa di rugiada...sa di montagna...di purezza. Odora di timo e ortiche...cardo e tarassaco. E come per magia...quel profumo, quel sapore, lo ritrovavi nel latte appena munto...nel burro fatto con il "bùs"...nel formaggio messo in fresco nel "crutin".
Una „Magica‟ collaborazione: l‟articolo di Marghertita Tocci, una visione dell‟Estate, nel suo frastornante calore, ma anche nei suoi antichi rituali, ancora vivi nella memoria di alcuni o, più spesso, ormai nascosti fra le morbide pieghe delle fiabe. DFP
di Margherita Tocci E anche quest'anno siamo giunti ad agosto. La ruota dell'anno compie sempre imperterrita il suo ciclo, e trasmette quel significato simbolico che include l'allegoria della morte e della rinascita. Ed è giunto il periodo dell'anno che fondamentalmente meno amo...Lughnasadh...ma non perchè non ami la natura in questo momento, o che non mi piaccia l'estate, anzi, ma mi vedo già proiettata verso l'inverno, verso la morte di tutto quello che ora è rigoglioso e soprattutto il freddo che detesto. So che molti non condivideranno questo mio pensiero, ma ognuno ha le proprie sensazioni che in un modo o in un altro interferiscono con la propria anima. Bene ma siamo qui per parlare di Lughnasadh- non di me, quindi: ormai siamo nel pieno della manifestazione della Natura e del calore del Sole, in tutta Europa si festeggiava "la festa del raccolto del grano", per ringraziare la Madre Terra per l'abbondanza donata e si offriva in dono spesso dei pani dorati. Le origini della festa di Lughnasadh, prima delle tre feste del raccolto, risalgono alla madre adottiva di Lugh: Tailtiu, la quale si affaticò così tanto nel preparare le pianure irlandesi all‟agricoltura che morì. La pianura di-
venne la sua tomba e Lugh ordinò che venisse celebrata una festa annuale in onore della Sua morte, istituendo la tradizione dei giochi funerari che ritroviamo in molte culture. La pianta Sacra di Lughnasadh è ovviamente la Spiga di grano o di orzo, e Lugh è la divinità del grano, che non muore mai, perchè il grano tagliato rinasce come farina e pane. Nel pane confluisce l'energia della Natura: Terra, Acqua e Fuoco si uniscono magicamente e lo rendono un alimento sacro. Non per niente quando eravamo piccoli ci dicevano che: " il pane non si butta mai via, perchè è sacro e si fa peccato". Nella sua realizzazione c'è tutto lo sforzo e la fatica dell'uomo e la sacralità di Madre Terra. Certo, oggi con la tecnologia quelle belle giornate di convivialità che si creavano nei paesi nei giorni della raccolta, non ci sono più, però rimane sempre un momento che dona soddisfazione al contadino (tecnologico...) per il lavoro svolto, e per il guadagno che può conseguirne, se la stagione è stata generosa. Io ho dei ricordi di bambina, quando finite le scuole, la mamma mi spediva dalla nonna, i più bei tre mesi di libertà che ricorderò per sempre; dopo la raccolta del grano, con quelle grandi falci, gli uomini caricavano sui carretti e portavano sulle grandi aie dove aspettavano le donne con il cibo e le bevande. Ci si riuniva tutti insieme ed io con i piedi scalzi insieme ad altri bambini, ci rotolavamo in mezzo ai covoni. Poi sparso tutto sull'aia lo si batteva per far fuoriuscire i chicchi dalla spiga. Per me era come un gioco...mi divertivo molto. Poi verso tarda sera, c'erano canti e balli al suono delle fisarmoniche. Spesso e volentieri mi addormentavo fra le braccia di mia nonna o di mia zia, esausta ed eccitata per la giornata trascorsa. Che strano...questi ricordi stanno affiorando alla mia memoria in questo momento...li avevo completamente rimossi!! Nel nostro tempo la festa coincide con le vacanze estive. Dopo un anno di lavoro giunge
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finalmente il meritato riposo. Periodo in cui ci si può dedicare a tutto quello che si è trascurato durante l'anno per mancanza di tempo, e lasciarsi andare all'ozio. Ma serve anche per riflettere su ciò che si è raccolto e fare propositi per l'anno a venire per migliorarsi e realizzare nuove idee e desideri. Una curiosità particolare che non voglio dimenticare, sono i matrimoni che si svolgevano nel giorno di Lughnasadh. Mentre la Terra si preparava a elargire i suoi frutti e il Sole esplodeva in tutta la sua potenza, la fertilità e l‟abbondanza toccava anche l‟animo umano, celebrando i cosiddetti matrimoni di prova, validi per un anno e un giorno. La città principale dove si celebravano questi matrimoni era Teltown, in Irlanda, che aveva preso il nome dalla dea Tailtiu. Vicino a una sorgente, veniva eretto un muro con un foro. Donne e uomini si posizionavano sui lati opposti del muro e, senza vedersi, infilavano le mani attraverso il foro. Se all‟uomo piaceva l‟aspetto delle mani della donna, le afferrava e sigillava il matrimonio. Se, finito l‟anno di prova, il matrimonio non aveva funzionato, si poteva tornare nel luogo della cerimonia e tentare nuovamente la sorte. (Brano tratto dal Web -Il Calderone Magico-) Si celebravano inoltre matrimoni, spesso per legalizzare la situazione delle coppie che avevano partecipato ai fuochi di Beltane, alle quali gli dei avevano concesso il dono di una nuova vita. L'unione di due sposi nel matrimonio, l'unione di due anime e due corpi in uno, era presso gli antichi Celti benedetta dallo spirito della Terra. Così il rito e la festa si svolgevano a contatto della natura, in mezzo agli alberi, vicino all'acqua e con il fuoco, tra le grandi pietre, le ossa della Terra...ovviamente non potevano mancare i quattro elementi! Nella tradizione Irlandese, (Terra che amo in particolare e che prendo ad esempio) gli sposi accendevano insieme tre candele (l'elemento fuoco): due esterne che rappresentano rispettivamente la famiglia dello spo-
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so e della sposa e una candela al centro più grande che rappresenta la nuova famiglia della coppia. Quello che resta della tradizione, vuole che lo sposo e la sposa, posino le mani su una pietra al momento dei voti nuziali. La promessa diventa un giuramento solenne consacrato dalla Terra e dagli antenati. Anticamente si incidevano simboli o i nomi degli sposi su un albero o su una pietra. , e ancora oggi sulla pietra vengono incise le iniziali della coppia con la data del matrimonio: successivamente la pietra potrà trovare il suo posto nel giardino della nuova casa, o all'interno di essa, oppure lasciata sul posto della cerimonia. In fine il famoso "Handfasting", il "Legame delle Mani", che troviamo sia nella tradizione Irlandese che Scozzese, ma la sua attribuzione alla cultura Celtica è un pò controversa. I polsi degli sposi vengono legati insieme da un officiante con un lungo nastro (o l'intreccio di due nastri in due colori rosso e bianco, a simboleggiare rispettivamente il principio maschile e quello femminile.) E' una cerimonia molto suggestiva , che esprime a mio avviso, il senso profondo dell'unione di due anime. Un tempo l'Handfasting era soprattutto un patto di sangue, in cui s'incideva con la punta di un pugnale il polso destro degli sposi, fino a far sgorgare il sangue, dopodiche i due polsi erano legati a stretto contatto tra di loro con la " wedlock's band" ovvero una lunga striscia di stoffa, e gli sposi recitavano così: "Ye are Blood of my Blood, and Bone of my Bone. I give ye my Body, that we Two might be One." Ossia: "Sei sangue del mio sangue, ossa delle mie ossa, ti dono il mio corpo così noi due saremo uno. Ti dono il mio Spirito fino alla fine della nostra Vita." (Cenni storici tratti da L'Ontano Magico)
IL BIMBO RITROVATO Ma Lughnasadh è anche un momento magico... una delle feste della ruota in cui anche il Popolo Fatato fa festa. La notte fra il 31 luglio e il 1 agosto...si possono fare magici incontri nei boschi. Quando la notte tiepida, e profumata dal delicato aroma del gelsomino, e la Luna illumina con i suoi raggi argentati angoli remoti dei boschi...si crea una strana atmosfera...suoni lontani e luci improvvise, vengono percepite da chi ama passeggiare in solitaria. Sono gli Esseri di Luce del Mondo Fatato, che in questi periodi particolari dell'anno amano far festa beneficiando della complicità della Luna quando è al massimo della sua energia, perchè come come tutte le Creature Magiche, le Fate sentono molto gli effetti della Luna, che con la sua magia scandisce i ritmi della Natura. Durante questa notte, sono solite riunirsi in gruppo, per scatenarsi in magiche danze, al suono della dolce musica dei folletti e degli gnomi, coadiuvata da litri di idromele e giochi sfrenati con piccole sfere luminose. Sono molti comunque i giorni dell'anno che le Fate e il Piccolo Popolo dedicano a festeggiamenti e divertimenti...insomma c'è sempre una scusa buona per divertirsi...la tristezza non esiste nel mondo Fatato, e il tempo non è tempo. Il mattino seguente è facile imbattersi in strani cerchi di funghetti bianchi...e state pur certi che lì...han fatto bisboccia la notte, le nostre care Fatine!!! lasciando questi Anelli...ma attenti umani...sono luoghi di grande potere e magia!! Se vi entrate con tutti e due i piedi...rischiate di volare nel Mondo Fatato e non far più ritorno..."A VOI LA SCELTA" E per restare in argomento vi lascio una Fiaba tratta da "Fiabe Celtiche" ed. Giunti Editori. ...
Il periodo era quello di Lunghsanadh, e il grano dorato era sulle aie per essere battuto. C' era una volta una famiglia formata da marito, moglie e un solo figlio. L'uomo e la donna possedevano una bella fattoria e conducevano una vita abbastanza agiata. L'unico cruccio era il figlio, che aveva un carattere eccezionalmente irritabile. Piangeva in continuazione e a nulla valevano gli sforzi per far cessare i suoi strilli. Un giorno in cui i genitori dovettero assentarsi per parecchie ore chiesero a Donald, uno dei lavoranti che li aiutavano nella fattoria, di occuparsi del bimbo. Dopo avergli dato da mangiare lo misero nella culla, in cucina, in modo che il contadino - cui era stato affidato anche il compito di battere una certa quantità di grano - andasse ogni tanto a dargli un'occhiata. Ma il ragazzo, appena rimasto solo, si sedette accanto al fuoco e si addormentò. Quando si svegliò il suo primo pensiero fu di correre verso il granaio, preoccupato di non riuscire a finire in tempo il lavoro che gli era stato affidato. Ma appena si ricordò che gli era stato chiesto di accudire il bambino fu costretto a tornare sui suoi passi. Entrò trafelato in cucina per assicurarsi che il piccolo stesse bene e non avesse bisogno di nulla ma, non appena ebbe spalancato la porta, il frugoletto gli si rivolse con queste parole: "Cosa hai intenzione di fare ora?" "Quello che mi ha ordinato tuo padre" rispose il giovane. "Devo battere un pò delle spighe di grano stivate nel granaio;dunque fai il bravo, stai buono e non ti alzare." Ma non ci fu verso. Il bimbo tanto insistette con Donald perchè lo portasse con sè che, alla fine, il ragazzo fu costretto a cedere. E non solo, appena sgusciato fuori dal letto il piccolo ordinò, bruscamente: "Donald vai verso est e quando sarai giunto alla grande collina, bussa tre volte, allora li vedrai arrivare. Devi dir loro che sei venuto a cercare il correggiato di Johnny." Sulle prime Donald rimase attonito, poi si decise a eseguire gli ordini.
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Si recò dunque fino alla grande collina, bussò tre volte e vide saltar fuori un ometto che gli consegnò il correggiato e disparve nel nulla. Jonny si mise al lavoro di buona lena e, nel giro di un'ora, lui e l'atterrito Donald avevano battuto tutto il grano del granaio. Il lavorante fu poi rispedito sulla collina a riconsegnare l'attrezzo con una cerimonia identica a quella con la quale l'aveva ricevuto. Al suo ritorno trovò il bimbo che giaceva tranquillamente nella sua culla. I fattori tornarono che era quasi buio e, nell'osservare la mole di lavoro volta da Donald, non lesinarono complimenti al ragazzo, cui domandarono chi tra i vicini lo avesse aiutato a battere così tanto grano. Fu con un grande imbarazzo che Donald confessò la verità ai suoi padroni, i quali compresero subito che il piccolo che avevano in casa non era figlio loro. "Dobbiamo liberarcene in gran fretta" dissero i due . Dopo aver pensato al metodo più rapido e sicuro, lo infilarono in un cesto, che posero sul focolare acceso. Appena le fiamme lambirono il fianco della creatura, questa svanì come un soffio su per la cappa del camino. Immediatamente udirono dei singhiozzi fuori dalla porta. Sulla soglia, come marito e moglie ebbero modo di constatare con grande sorpresa, stava un bimbo che tremava di freddo: il loro vero figlio. Il bimbo , tornato a casa dopo quel soggiorno fra gli abitanti del Piccolo Popolo, fu accolto con grandissima gioia dalla sua famiglia, con cui visse in armonia grazie al suo buon carattere che ne fece un giovane saggio e avveduto. Felice Lughnasadh, Margherita
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La magica storia di un fiume... DFP
di Monica Antonello Quando piove tanto e per molti giorni, il Sarv, il Cervo si fa sentire con il suo fragore alimentato dai torrentelli gonfiati dalle piogge che scendono dai versanti laterali. Se il Tovo cercasse di fermarlo con una frana si formerebbe una "buta", un ingorgo che verrebbe travolto dalla furia delle acque e sarebbe un disastro. Ciò che rende terribile il Cervo è la Lùria una potenza misteriosa che si nasconde nei suoi gorghi. Nessuno conosce il suo aspetto perchè nel momento della sua rabbia, il colore scuro del torrente la nasconde. Quando l'ira del Sarv si placa, la Lùria si indebolisce fino a scomparire nelle acque smeraldine delle lame e sonnecchia nel torrente. Solo le mamme redarguiscono i bimbi che si sporgono dai ponti, dicendo di spostarsi altrimenti la Lùria li trascina giù nei gorghi.
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La prima parte di uno splendido articolo di Paolo Veneziani, tratto dal sito dell‟OBOD. Uno sguardo mobile ed attento sull‟ etica Druidica, come l‟autore la definisce, che si muove con saggezza dagli antichi miti al comportamento quotidiano e che prevede un‟apertura a sé stessi ed all‟altro-da-sé: due facce della stessa medaglia. Un excursus storico molto chiaro, un volo che ci conduce, fra passato e presente, fra i magici ambiti del Calderone e della Bacchetta, fra Compassione e Volontà. DFP
Compassione e Volontà nell'applicazione dell' etica Druidica -Parte Primadi Paolo Veneziani Mi sono preso il tempo per lavorare perché questo è il prezzo del successo. Mi sono preso il tempo per pensare e per meditare perché questa è la vera origine della forza interiore. Mi sono preso il tempo per amare ed essere amato perché questo è il privilegio e il dono degli Dei. Mi sono preso il tempo per giocare perché questo il segreto della giovinezza. Mi sono preso il tempo per leggere perché questo il fondamento della saggezza. Mi sono preso il tempo per sognare perché questo equivale ad agganciare il mio carro e la mia vita ad una stella magica e lontana. Mi sono preso il tempo per fare amicizia perché questa è la strada della felicità. Mi sono preso il tempo per guardarmi intorno con la curiosità di un bambino perché ho compreso che la giornata e la vita sono troppo brevi per essere egoisti. Mi sono preso il tempo per ridere perché questa è la musica dell' anima.
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Negli studi sul druidismo ci imbattiamo spesso in due termini che rappresentano dei principi fondamentali. Essi sono, Karantez e Nerz, rispettivamente, amore/compassione e Forza/Volontà. Con questa breve dissertazione mi ripropongo di chiarirli e di renderli comprensibili ad un pubblico più vasto, meno remoti, più attuali e, di conseguenza applicabili quali principi da adottare nella nostra quotidianità. Il druidismo, per sua stessa natura, nel corso dei secoli, è stato in grado di adattarsi ai tempi e alle circostanze che via via ha incontrato. Lungi dall' essere una tradizione morta o sorpassata esso può essere utilizzato e fatto proprio servendosi di una pratica costante ma anche e soprattutto comprendendo pienamente quali principi esso promuoveva e tuttora incoraggia. Nel suo famosissimo " de bello gallico" Cesare ci da un infarinatura del ruolo sociale ricoperto dai Druidi ma furono Diodoro Siculo e Strabone a dividere in tre " specializzazioni " i gradi e le figure dei druidi dell' epoca. Semplificando al massimo e ricordando che ogni grado si interseca con l' altro possiamo dire che ai Bardi erano affidate le memorie del clan e del popolo. Loro era il potere della memoria e del ricordo. Gli Ovati erano i guaritori per eccellenza, traevano gli auspici ed erano i custodi della cura del popolo. Loro era il potere della guarigione e della divinazione. Infine troviamo i druidi. Essi erano i depositari della più raffinata filosofia, a loro veniva affidata la cura delle cerimonie ritualistiche, dispensavano la giustizia seguendo un codice etico ben collaudato ed erano, in alcuni casi, più influenti di un capo clan o addirittura di un re. Il loro era quindi un potere sia temporale che spirituale. Dopo questo breve ma indispensabile preambolo, nell' ottica che riportavo sopra e che vede il druidismo come una raffinata filosofia che ha saputo adattarsi ai tempi e ai luoghi dove esso è attecchito e sta tuttora fiorendo, desidero soffermarmi sui principi di Giustizia, Compassione e Volontà, riscoprendoli
quali valori esportabili nella nostra attuale epoca storica. Ovviamente essi dovranno necessariamente essere "spogliati" di alcune caratteristiche tipiche di un epoca storica ormai remota nella quale, solo per fare un esempio, il sacrificio di un essere umano o di un animale era considerato una pratica comune, atta ad ingraziarsi gli Dei prima di affrontare una battaglia o celebrata per propiziarsi un raccolto sufficiente all' approvvigionamento di cibo nei periodi più freddi e difficili. Questa e altre pratiche che noi oggi valuteremo dei veri e propri tabù erano, all' epoca, considerate una prassi quasi comune e questo, lo dico a chiare lettere, non dovrebbe affatto stupirci. I tempi cambiano e probabilmente, alcune realtà oggettive considerate normali nella nostra odierna società, saranno viste dai nostri posteri come delle vere e proprie inaudite barbarie. Il Calderone e la Bacchetta, due potenti simboli archetipi della tradizione druidica rappresentano al meglio, le qualità e le doti intrinseche legate alla compassione e alla forza - il calderone, simbolo femminile per eccellenza, come un utero, accoglie, trasforma, amalgama, la bacchetta, quale rappresentazione maschile, come un fallo, ci indica una direzione e ci da la forza e la consapevolezza della volontà tesa al raggiungimento di uno scopo L' Uso corretto e bilanciato di questi due elementi ci indica la direzione da seguire nella nostra pratica e nel nostro agire come esseri che si pongono al servizio di un bene supremo e superiore. L' uno non può predominare sull' altro, questo causerebbe una sorta di disarmonia interna che ci impedirebbe di aiutare noi stessi e, di conseguenza, renderebbe vano ogni nostro tentativo di poter entrare in sintonia con i bisogni altrui. Parliamo ora della compassione vista da un punto di vista il più possibile attuale e praticabile. Come è possibile assumere e fare proprie le qualità tipiche di un calderone? Dobbiamo in primo luogo capire quali sono queste qualità
e, attraverso un addestramento costante, cercare di comprenderle appieno e tentare di inglobarle gradualmente nella nostra quotidianità. Il calderone, come dicevamo sopra, per sua stessa natura, accoglie, è aperto, è capace di trasformare qualsiasi elemento esterno ed interno. Il calderone rappresenta il femminile presente in ognuno di noi, racchiude in se stesso la nostra capacità di entrare in empatia con il prossimo, descrive la nostra capacità di provare emozioni e di saperle gestire affidandole alle doti di trasmutazione che gli sono proprie. La Dea, rimescola gli ingredienti presenti nel calderone, unendoli tra loro, amalgamandoli e fondendoli in un unica magica pozione. Quando riusciremo a comprendere che noi stessi siamo calderone, gli ingredienti, il mestolo e la Dea stessa, allora, solo allora, saremo capaci di aprirci completamente alle meraviglie che ci vengono offerte. Non dimentichiamo però che il calderone rappresenta anche la nostra vulnerabilità, i nostri confini, le nostre più profonde paure. Se non saremo in grado di "scendere in campo" portando con noi anche questi lati del nostro essere, sarà come aver ordinato una portata di gustosi spaghetti al pomodoro che invece ci sarà servito come un piatto di semplice pasta all'olio. Mancherebbe di fatto uno degli ingredienti principali, quello che probabilmente ci aveva invogliato ad ordinare proprio quel piatto. Il calderone è principalmente compassione ed empatia. Pensiamo ai grandi uomini della storia, Ghandi, Lincoln, ma potrei fare molti altri esempi, essi furono e sono considerati tutt' oggi grandi uomini, esseri illuminati da una sorta di vocazione divina che alcuni considerano provenire dall' alto ma che, a ben vedere, riguardava principalmente una trasformazione che hanno saputo attuare dentro di loro, dimostrando al mondo intero la capacità di provare compassione ed empatia verso tutti gli esseri senzienti. Essi non pensavano a se stessi ma lavoravano alacremente avendo ben chiaro nella loro coscienza lo scopo ultimo. Non pensavano a loro stessi in termini dicotomici e staccati dal resto dell' umanità, ma operavano costantemente per il beneficio dei loro popoli, pensavano principalmente
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all'intera società umana, battendosi per i diritti di tutti . Ecco, questi sono esempi di capacità empatica - quando il sole brilla, esso
splende su tutti, senza discriminazione alcuna - Così è per il calderone. Se il fuoco della
compassione arde in maniera continua, diffondendo in maniera omogenea il calore sull' intera superficie del calderone, gli ingredienti in esso contenuti diverranno il nettare che alimenta l'empatia e l' assenza di concetti dicotomici che, a loro volta e di conseguenza, renderanno noi, molto più simili agli esempi di grande umanità che ho riportato sopra. Il termine compassione però non deve, in nessun caso, essere visto nell' accezione che generalmente siamo abituati ad attribuirgli. il suo significato più profondo è molto più vicino all'uso che si fa di questo termine nella religione buddhista e, più precisamente nella figura del Bodhisattwa ( un essere illuminato che, scientemente, decide di rinunciare ai benefici del Nirvana, continuando a reincarnarsi per essere di beneficio a tutti gli esseri senzienti ) Attenzione però, la compassione non è passività o accettazione totale ma, al contrario, è azione profonda e mirata. Un esempio può essere fornito dalla storia di keridwen e di Gwion Bach. Nella sua furia, attraverso le varie trasformazione la Dea, ci porta un esempio di vivida e spaventosa azione, messa però in essere da un intento di pura e compassionevole saggezza. Gwion Bach beve le tre gocce della magica pozione destinate al figlio di keridwen e questo fa letteralmente imbestialire la Dea. Gwion fugge e, nel tentativo di non essere catturato da Keridwen, assume varie forme animali che però, la Dea riesce sempre a superare per abilità, trasformandosi a sua volta nell' antagonista e cacciatore naturale della forma animale assunta da Gwion stesso. Quando esausto dalla fatica, come ultima risorsa, Gwion Bach si trasforma in un chicco di grano lasciandosi cadere su un covone, la Dea assume la forma di una gallina nera che divora Gwion. La Dea, non per
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niente associata all' acqua e, come ci insegna Jung, alle nostre emozioni più inconsce e profonde, ingoiando il seme che è Gwion Bach, di fatto lo accoglie nel suo grembo e li imparerà ad amarlo, proprio di quell' amore tipico che una madre prova nei confronti del proprio figlio. Quando giunge il momento di partorirlo, l'odio iniziale viene quindi trasformato in quella compassione che le farà decidere di lasciarlo libero, ben consapevole dei benefici che Taliesin, il nome con il quale sarà conosciuto Gwion Bach, porterà nel mondo intero con la sua arte e la saggezza acquisita bevendo le tre gocce del suo Calderone.
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Fine Prima Parte
Calderone di Gundestrup - particolare
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Daniela Albero Lujanta ci ha donato questa meravigliosa ricerca, che scorre lungo il Piave, fra mitologia e storia, raccontandoci dei luoghi archeologici di Lagole di Calalzo e di ciò di cui ancora essi sommessamente ci parlano…popoli e racconti, divinità ed archeologia, radici e scoperte. Un viaggio veramente molto interessante, ricco di amore per una terra dalla storia complessa e viva, che pubblicheremo in tre parti. DFP
Il Laghetto delle Tose
di Daniela Albero Lujanta Catubrium ( l’antico toponimo del Cadore), nome di origine celtica, indica un‟area popolata da genti paleovenete, che abitavano in maniera stabile la zona e che parlavano la lingua che sta alla base del nome del luogo, da Celti e quindi da Romani. L‟area è ricca di acque solforose che furono usate dalla popolazione locale per curare le patologie dermatologiche e per rimarginare ferite dal VI° sec. a.C. sino al IV° sec. d.C. quando i culti definiti pagani vennero vietati. Giovanni Pais Becher ricercatore auronzano nel suo libro „Il Cadore degli Emigranti‟ evidenzia come coloro che lui definisce Catubrinos , fossero una popolazione che aveva cultura e tradizioni proprie, simili a quelle delle altre popolazioni di montagna del mondo. Lagole di Calalzo sorge sulla riva destra del Piave. Ci si arriva allontanandosi dall‟abitato e scendendo verso un‟area boschiva di conifere a ridosso di bacini lacustri. Fu un luogo di culto sicuramente fra il VI sec. a.C. ed il IV sec. d.C. E‟ la zona archeologica piu‟ interessante dell‟alto bellunese e viene definita „la fonte della Civiltà del Cadore‟. Stiamo parlando di uno dei siti piu‟ importanti dell‟ antica Civiltà veneta, secondo dopo quello di Este, che invece si trova nei pressi di Padova. Considerato dall‟archeologia contemporanea un unicum, in quanto rappresento‟ il punto di incontro fra Venetici, Celti e Romani.
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I Celti per Polibio, antico storico greco, come asserì nelle sue „Storie‟ II 17, differivano poco per gli usi ed i costumi dai Veneti, ma parlavano un‟altra lingua. I contatti stabili fra Veneti e Celti sono confermati da testimonianze archeologiche. Ed anche se gli ultimi ritrovamenti e le ultime scoperte portate alla luce attraverso la mostra „Venetkens – Viaggio nella Terra dei Veneti Antichi‟ , che si è tenuta nel 2013 al Palazzo della Ragione a Padova, ci raccontano di Antichi Veneti nella zona pianeggiante e collinare della regione, alleati dei Romani a tutela del territorio di confine dove si trovavano i Celti appunto che premevano da nord , fu proprio verso nord che
una parte dei Paloveneti già nel VI° sec. a.C. decise di spostarsi andando in cerca di minerali, per la pastorizia, ed anche per scambi commerciali e culturali. Ma la storia della zona di confine, narrata da altri ricercatori e storici locali ci parla di altro. Giuseppe Ciani nell‟edizione del 1940 del suo „Storie del Popolo Cadorino‟ scrive che i Catubrinos staccatisi dai Reti, scesero lungo l‟Adige e la Valsugana, Feltre e Belluno, seguirono il corso del fiume Piave e si insediarono sotto le Marmarole e l‟Antelao mescolandosi con tribu‟ precedenti come Embrodunci ed Aurunci. Una leggenda invece che il Pais Becher ha sentito, riguarda un antico popolo che al comando di re Ebrod, fuggì dall‟Asia e seguendo il corso del Danubio, della Drava e della Rienza si stanzio‟ a Landro (Alto Adige) , Misurina (Veneto), Valle dell’Ansiei (Veneto). Un popolo che conosceva bene l’arte di forgiare i metalli , che conosceva la scrittura e che si fermo‟ tra le crode del Cadore, perché ricche di selvaggina e di minerali oltre che di grande bellezza . Inoltre era l‟unico ambiente tranquillo incontrato fra il Caucaso e le Alpi. Tornando alle risposte storiche, dagli „Atti del Convegno a Isola della Scala (VR)‟ del 2005 inerenti i Venetici abbiamo conferma attraverso l‟onomastica delle iscrizioni di Lagole, che la frequentazione piu‟ forte fosse costituita dai Celti.
E‟ chiaro che i Celti esportarono modelli artigianali e culturali, verso un mondo, quello venetico che fu estremamente ricettivo agli stimoli esterni. Abbiamo esempi di fibule che trassero ispirazione e foggia da fibule tardo Halstattiane o dalla Cultura di La Tène antica. La mobilità delle genti fece sì che si amalgamassero gusti e stili di lavorazione. Anche i famosi „Tre Ciottoloni padovani‟ ( pietre di forma ovoidale con iscrizione, ritrovati sia in zone funerarie che non funerarie) e le loro iscrizioni ci mostrano come nel tessuto sociale Celti immigrati avessero dato luogo a nuove generazioni di Venetkens originando così nuove linee di discendenza. Piu‟ a nord invece, tornando all’alto bellunese, sempre i Celti fra il IV ed il III sec. a.C. discesero sulla zona cadorina. Come ci testimoniano le necropoli di Lozzo, gli oggetti ritrovati si riferiscono addirittura all‟VIII secolo a.C. (periodo Halstattiano), mentre le sepolture più recenti sono riportabili al periodo La Tène (III a.C.- I d.C.). E Pozzale ( frazione di Pieve di Cadore); nel deposito votivo di Vallesella di Domegge e nel santuario appunto di Lagole di Calalzo.
Fine Prima Parte
Mostra Venetkens - due dei Tre Ciottoloni
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