16/Samhain 2018 Magazine dell’OBOD
di Djablessa
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p. 12 Monica Zunica Fabio Ortile Lionor
di Monica Zunica
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l Calderone accoglie la fine di un altro Giro di Ruota, il Quarto, come quattro sono le feste del Fuoco, quattro quelle della Luce, quattro sono le Stagioni, gli Elementi, le Direzioni ed ora è tempo di riposare…
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Anche il nostro Calderone con questo numero, per il momento, sospende le pubblicazioni ma rimarrà, pieno di Awen e di ribollente Creatività, di pensieri e di emozioni, disponibile su https://issuu.com/ilcalderone, nei nostri ricordi e tutto sommato anche nei „Calderoni‟ della vita di tutti i giorni di chi percorre questa Magica Via.
In questo Tempo di Samhain Benedizioni di Autunno e di Vita Daniela Ferraro Pozzer e tutta la Redazione
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Uomini e donne neri - Ovvero come il folklore e le credenze popolari esorcizzavano il maligno attraverso le proprie radici pagane.
Visto l‟approssimarsi delle festività natalizie vorrei portare alla vostra attenzione quella figura che, per diverse storielle popolari, è considerata il Babbo Natale cattivo. Ma andiamo con ordine. Per capire meglio questo personaggio al centro delle credenze folcloristiche dei paesi di origine tedesca (non a caso, in Italia, lo troviamo nelle tradizioni natalizie dell‟Alto Adige e del Friuli Venezia Giuli) dobbiamo fare un passo in dietro e vedere chi è la sua antitesi benigna: Santa Claus. Santa Claus, nasce all‟anagrafe agiografa come San Nicola di Bari, vissuto nel IV secolo e festeggiato dalla Chiesa Cristiana il 6 dicembre di ogni anno. Nicola divenne da giovanissimo vescovo di Myra, passò alla storia per la sua generosità e per il suo amore per i bambini. Egli morì, appunto il 6 dicembre del 343 d.C. La leggenda vuole che per salvare tre ragazze dalla prostituzione regalò ad esse una dote al fine di trovare marito, così nacque la consuetudine dello scambio di doni, poi “spostato” verso la festa cristiana più vicina e più importante: il Natale. Di fatto, sin dal Medioevo, la notte del 5 dicembre, nei paesi di stampo teutonico, tutti i bambini buoni aspettano dolci, frutta e altri regali nelle scarpe portati dal santo. Mentre, per quelli più cattivi, incombe l‟ombra di Krampus, il demone peloso, dalle fattezze caprine, inquietante e spesso accompagnato dal suono del suo campanaccio. Secondo la leggenda, se un bambino si comportava male, San Nicola, nella sua onniscienza, mandava Krampus che, con una
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coda a serpentina, si presentava in casa durante il periodo natalizio per punire il bambino malvagio: lo picchiava con un fascio di bastoncini di betulla, lo frustava con crine di cavallo e lo buttava in un sacco o in un cesto di vimini per portarlo all'inferno per un anno. Secondo gli studiosi l‟origine di questo demone deriva dalle tradizioni norvegesi, alpine e dal paganesimo germanico. Addirittura per il National Geo-
graphic, Krampus è ritenuto nella mitologia, il figlio della dea norrena degli inferi Hel L‟etimologia del suo nome deriva dalla parola tedesca krampen, che significa artiglio. Fisicamente, come si è detto, ricorda i tratti caprini di un satiro o di fauno greco che, in epoca medievale, è poi diventato l‟aspetto iconografico del demonio. Come molti personaggi leggendari, tra cui lo stesso San Nicola, l'immagine di Krampus si è evoluta nel tempo e in tutte le regioni, e pertanto, questa figura, non è da considerare come l‟alter ego di Santa Claus, ma uno dei suoi più validi aiutanti. Sin dai tempi antichi, questo demone ha aiutato, per il semplice fatto di esistere in una storiella inquietante raccontata davanti ad un camino scoppiettante, i bambini a crescere e a diventare dei bravi uomini, garantendo rispetto verso il mondo e verso il prossimo e buoni comportamenti all‟interno della comunità. Krampus rappresenta l‟equilibrio tra luce e buio, l‟armonia tra il bene e il male. Insomma, la dualità tipica del periodo in cui viene festeggiato: il solstizio d‟inverno quando le tenebre, finalmente, iniziano a cedere il passo alla luce. Djablessa
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“(…) Dai suoi fumi dipartono le schiere della selvaggia caccia. Loro, condottieri nel regno dei morti schiudono i cancelli dei mondi (…)”
Historia Nocturna - Opera IX
“Le cime scintillano di strani bagliori la realtà, il suo confine è mutato ormai Uomo di fede non guardare cosa accade fuori. Sulle montagne c‟è una strana danza Voci d‟inferno, strider di catene Che l‟eco riporta di balza in balza C‟è chi dice son spiriti o dannati cacciatori”
La caccia morta - Furor Gallico
Immaginiamo per un attimo un corteo di spiriti e fantasmi cavalcare indomiti destrieri scheletrici, int nella più furiosa e agghiacciante caccia di sempre.
Nella notte più buia e profonda si può sentire il rumore di zoccoli e il latrare dei cani che inveisc contro una selvaggina un po’ diversa dall’usuale: uomini e donne persi nei boschi oscuri e nei meandri dei peccati, prede perfette da portare nelle terre dei morti, terre senza tempo e senza spazio. Ecco prendere forma la caccia morta, o selvaggia. Di origine tedesca e bretone, dopo la caduta dell’impero romano, il mito si è diffuso in tutta Europa.
È curioso il fatto che, in base al luogo dove trae origine la leggenda, ci sia sempre un personaggio sto
preciso a capo della caccia: Odino in Scandinavia, Artù in Bretagna, Carlo Magno in Francia, Nuada in Ir da, e Re Waldemar in Danimarca.
La versione più antica affonda le sue radici nei miti nordici che hanno Odino come protagonista. La
ga vede il dio dei morti, nelle dodici notti successive al solstizio d’inverno, cavalcare il suo destriero a o zampe, Sleipnir, e guidare una schiera di anime di soldati morti in battaglia in un assalto intorno alla terra.
Anche Dante nel XIII canto dell’Inferno introduce questo mito. È il girone degli scialacquatori e d
sperperatori del proprio patrimonio, coloro che commettono il peccato di violentare la proprietà. Fann
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comparsa in un’oscura foresta dove gli alberi contorti, neri e secchi rappresentano le anime di chi, volontariamente, ha rinunciato alla vita umana, destinati così a perdere la propria forma antropica. Per la stessa regola gli scialacquatori vengono distrutti da cagne fameliche. Dante incontra due personaggi che in vita si macchiarono del peccato di sperperare i propri averi: Lano da Siena e Jacopo da Sant’Andrea. Entrambi cercano di sfuggire a questo destino che, alla fine, arriva inesorabile. E così, subito dopo, riprendono loro forma originaria per essere divorati ancora, e ancora, per l’eternità. Un secolo dopo, la caccia selvaggia compare nel Decameron di Boccaccio, precisamente nella novella Nastagio degli onesti (V giornata, VIII novella). Il protagonista dopo aver dilapidato il suo patrimonio (pienamente ispirato da Dante) per un amore non corrisposto, si rifugia in un paesino vicino a Ravenna anche per sfuggire al fallimento della propria famiglia proprio a causa del suo sperperare. Qui, una notte, inoltratosi nella foresta, incontra un cavaliere nero che rincorre una fanciulla inseguita da cani famelici. Nonostante l’intromissione di Nastagio, la caccia non ha fine, anche perché si è creata per una volontà superiore verso due personaggi che, in vita, avevano avuto una storia simile alla sua. Il cavaliere era un uomo che aveva amato, non corrisposto quella ragazza, aveva sperperato il suo patrimonio per conquistarla, ma nulla, finché non si uccise e la fanciulla gioì di questa dipartita. La punizione divina è quella, per entrambi, di ripetere questa scena per l’eternità. Nastagio decide così di sfruttare l’evento a suo favore e organizza un banchetto in cui invita la sua amata che, vista la scena si spaventa anche alle parole del cavaliere che racconta la sua storia simile alla loro. Così decide di sposare Nastagio, lui accettò solo dopo aver avuto la certezza che fosse un piacere anche per lei. Così la novella finisce con la più lieta delle fini: un matrimonio. Come si può notare, ogni epoca vede una diversa versione, o un corollario o una funzione diversa attribuita a questo mito folcloristico.
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In Gran Bretagna, in alcune zone, si crede che la caccia selvaggia sia quella dei cani dell’inferno che vanno alla ricerca di peccatori o di coloro che non avevano ricevuto il battesimo per portare la loro anima nel regno dei morti. Nelle valli bergamasche si credeva che fossero anime dannate, confinate, che, a causa della loro passione venatoria, trascuravano i propri doveri religiosi. Alla loro morte, erano destinate a vagare per quegli stessi boschi che frequentavano in vita, partecipando ad una caccia infinita. Una delle tante leggende che si tramandano vede come protagonista un viandante di Costa Serina (BG) imbattersi in questa orda, dopo aver cercato di richiamare i cani per calmarli, al suo ritorno a casa trovò appesa alla porta una gamba umana. Il parroco gli consigliò di restituirla al bosco e a quegli animali, così si salvò da morte certa e giurò a se stesso di non immischiarsi più in faccende che non gli competevano. Ai giorni nostri il tema viene utilizzato per lo più in campo musicale, troviamo il gruppo folk metal dei Furor Gallico dedicargli una delle loro canzoni più belle intitolata La Caccia Morta, ed anche gli Opera IX con il loro black metal le hanno reso omaggio nella loro Historia Nocturna, meraviglioso brano, essenza stessa del paganesimo e, per lo più, uno dei pochi in italiano. Di entrambe ho usato qualche strofa per introdurre l’argomento. In ogni caso, in tutte queste storie, leggende, miti, la caccia si svolge sempre a cavallo tra autunno e inverno, quando i venti soffiano più forte e la paura, il buio e l'ignoto regnano incontrastati. La caccia selvaggia, da sempre, è presagio di tempeste invernali e grandi cambiamenti. Questa leggenda altro non è che la mitizzazione della paura del buio che ci accompagna fin da piccoli, quella di stare da soli in un bosco di notte al di fuori della protezione della luce e delle nostre famiglie. Djablessa
Immagine : The Wild Hunt, di Johann Wilhelm Cordes
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Antichi cammini di questi boschi segnate un solco nella mia anima mentre vi inerpicate sulla vetta lÏ dove l'agrifoglio si batte e il salice indica il cammino da percorrere Antichi monti che mi avete accolta, io vi stringo forte a me Ero sorda al vostro canto, oggi la mia voce è un coro di cui non posso piÚ fare a meno. Monica Zunica
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INIZIO DEL VIAGGIO Io sono il serpente che gira intorno a un bastone senza perdere niente. Io sono la farfalla e trovo il cambiamento di spalla in spalla. Sono il seme che nasce senza acqua e senza terra e tra le rocce ombrose trova la pace. Sono la foglia che cade lieve e rinasce ogni anno quando la primavera preme. Sono la quercia che resta forte colpita dal vento, dalla pioggia, dalla neve e sostiene il tuo percorso fino e oltre la morte. Io sono l'orso che protegge la tua famiglia e con la sua forza crea uno stabile percorso. Il corvo vola contro vento ma non è solo... altri due lo aiutano nell'evento. Io sono il principio e la fine ho iniziato un nuovo viaggio vi ringrazio, e non vedo il confine. Bella la scelta, tra le direzioni con un applauso, benezioni, e tante belle intenzioni.
Fabio Ortile
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Com'è dolce il sussurro del vento quando carezza le chiome degli alberi; la sua forza può accarezzarmi la fronte o scompigliarmi i capelli. Il suono della natura,della vita,diffuso nel vento.. I versi degli animali,voci e suoni che cullano il nostro essere qui. Dovunque guardo c'è vita. Dovunque sento c'è vita. È incredibile come una ghianda diventa un albero così grande. Madre forte e accogliente. Dimmi il tuo segreto per essere così. Io tiro l orecchio ma tu,Semplicemente Sei. Con pazienza,pian piano,hai creato la tua possenza e vai fiera. Ho imparato a ringraziare gli avi;la loro energia è in me e chissà quante cose posso fare. Il mio di seme ha molte cose al suo interno. Le radici. Sono importanti le radici. Echi di spiriti e antenati suggeriscono passi. La quercia non è diventata subito così grande. Ascoltando echi della mia vita mi incammino sulla terra non avendo più paura che la terra è sporca. Sento il calore e la vita da cui è ricoperta;il più morbido e accogliente suolo che ho mai calpestato. Seguendo echi mi incammino,vivo e modifico il mio passo. Il sentiero è vario di diverse intensità. La bellezza della natura è un balsamo per la mia anima. Il sole un punto focale e costante. I corsi d acqua che mi rapiscono e mi portano via. Scorro ••• Lionor / | \
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"Sono nato per catturare i draghi nelle loro tane Per raccogliere fiori Per raccontare storie e ridere di mattina, Per andare alla deriva e sognare come un pigro torrente E camminare a piedi nudi nei giorni di sole. Sono nato per trovare i goblin nelle loro caverne Ed inseguire la luce della luna Per vedere le ombre e cercare fiumi nascosti Per ascoltare la pioggia che cade sulle foglie secche E chiacchierare un po' con la Morte nelle notti di nebbia. Sono nato per strofinare le mani nella sporcizia E camminare su verdi colline Per piantare grano e fare il pane Per costruire una casa forte contro il vento E per vivere libero nei giorni di sole. Sono nato per guardare i gufi nelle foreste buie E sentire il grido del coyote Per sentire gli alberi tremare e l'erba dormire Per gustare l'aria fredda e l'odore della terra umida E guardare le forme spettrali che si dissolvono nelle notti di nebbia. Sono nato per amare un uomo avvolto nel sole E vestito di nebbia Per fare un patto su un'alta collina ratificato secoli fa dal sole Per camminare insieme nei giorni di sole e nelle notti di nebbia." James Kavanaugh, Sunshine Days and Foggy Nights
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di Monica Zunica
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ncontrarsi, trascorrere del tempo insieme, scambiarsi esperienze ed emozioni. Queste sono sempre ragioni sufficienti ad organizzare un incontro tra amici. Il Druid Workshop, in questa sua seconda edizione, ha dimostrato di essere ancora di più. Nei tre giorni che abbiamo trascorso insieme non solo si sono accorciate le distanze geografiche tra di noi ma siamo anche stati baciati da tramonti bellissimi, venti che hanno portato grandi energie, immagini che vivevano al confine di ciò che era fuori e dentro di noi, eppure straordinariamente condivisibili. Abbiamo riso, celebrato la vita nella sua semplicità e sacralità e nonostante tutto siamo riusciti a rimanere in bilico tra passato e futuro, incantati dalla magia del Presente. Adesso però non voglio correre, ogni racconto ha diritto al suo giusto tempo. Penny e Arthur Bllngton e Eimear Burke si sono messi in viaggio per raggiungere le Terre del Molise. Hanno portato con loro poesia, musica, riflessione, sacralità ma, più di ogni altra cosa, hanno reso possibile la creazione di una circolarità di emozioni che non dimenticheremo facilmente. ... L‟obiettivo di quest‟anno era quello di lavorare intorno alla capacità di mettere a fuoco la nostra attenzione cercando di non dimenticare mai che il passato e il futuro, pur essendo luoghi ricchi di momenti di cui non potremmo mai fare a meno, sono, in realtà, le vere illusioni della nostra vita. Vivere tra le griglie del ricordo e tra il palpitante sogno del futuro, porta, infatti, a un graduale distacco dall‟unico tempo che veramente ci appartiene: il Presente. Molte volte abbiamo sentito l‟urgenza di rapportarci al qui e ora per essere presenti a noi stessi, agli attimi che si susseguono e che, palpitanti di emozioni, chiedono tutta l‟attenzione che meritano. Se ci discostiamo da questa prospettiva lasciando che ciò che è accaduto gareggi, in termini di rilevanza, su ciò che deve ancora accadere, tutto quello che otterremo è l‟essere assenti a noi stessi. Il mondo intero, come è organizzato oggi, ci spinge sempre di più a im-
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parare dai nostri errori per poter fare di più nel futuro. Certo, è un esercizio che fa parte dello scorrere della nostra vita ma bisogna stare attenti a non dimenticare mai chi siamo veramente proprio nell‟istante che stiamo vivendo. Insomma bisogna stare sempre attenti a non farsi irretire dal potere che il Tempo esercita su di noi. Maurice Blanchot diceva: “Noi dobbiamo sempre, di fronte a ogni istante, condurci come se ogni momento fosse eterno e aspettasse da noi di diventare passeggero”. Soren Kierkegaard diceva invece: “Noi siamo di fronte a ogni momento che è passeggero e aspetta da noi di diventare eterno”. ... In quei tre meravigliosi giorni, tra le montagne del Molise, antico Sannio, abbiamo capito che non dobbiamo mai perdere di vista cosa è veramente importante. Può sembrare una frase fatta e scontata ma focalizzare la nostra attenzione sul qui e ora, ci aiuta a non domandarci se l‟attimo che stiamo vivendo possa essere passeggero o eterno, semplicemente lo viviamo, lo amiamo e l‟onoriamo così come hanno fatto i nostri antenati prima di noi. Certo non abbiamo trascorso tutto il tempo a discutere di questioni filosofiche. Abbiamo mangiato splendidamente con la cucina del mitico Enrico Manfredi, abbiamo salutato la quercia che l‟anno scorso è stata portata da Broceliande e qui è stata piantata, abbiamo gioito con Eimear sapendo che presto avrà il compito di guidare l‟Obod e abbiamo cantato con Arthur. Abbiamo anche riflettuto sul significato del cerchio in un modo inaspettato: danzando. Patrizia Locaputo, infatti, ci ha fatto conoscere la forza della danza sacra in cerchio e quanto il movimento del corpo possa essere di felice accompagnamento alla concentrazione della mente e dello spirito. Daniela Ferraro Pozzer ci ha guidati in una meditazione che si è rivelata ricchissima di emozioni e fertile di nuove idee che certamente porteremo avanti durante l‟inverno che ci attende. Con Penny Bllinginton e Emear Burke abbiamo compreso che essere connessi alla Terra e mantenere sempre vivo il nostro innamoramento per Natura non potrà fare altro che aiutarci a tenere vivo l‟incantesimo del Presente e focalizzarci su di esso. … Per concludere e arricchire il nostro incontro, come l‟anno scorso, siamo andati alla scoperta delle Terre che
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Eimear Burke
hanno ospitato il nostro incontro. Markus Mansard non solo ci ha, come sempre aiutati a sentire fortemente la relazione tra i nostri pensieri e la magia del bosco focalizzando la nostra attenzione su tutti gli aspetti degli alberi che abbiamo incontrato, ma ci ha anche aiutato a comunicare meglio tra di noi, traducendo dall‟inglese quello che i nostri ospiti avevano da dirci. L‟anno scorso siamo andati a far visita al Re Faione, un faggio centenario da molte persone amato. Purtroppo lo scorso inverno ha colpito troppo duramente il nostro amico faggio, tanto da porre fine a una parte del suo ciclo. Noi, però, lo ricorderemo sempre. Quest‟anno siamo andati a conoscere un po‟ di storia e magia dell‟antica Terra che ci ha ospitati: il Sannio. Abbiamo visitato prima Pietra del Melo, un antico e misterioso complesso di pietre che si suppone sia stato utilizzato non solo dai Sanniti ma anche dagli antenati che hanno vissuto durante il neolitico. Ci siamo spostati poi a Pietrabbondante, un sito archeologico di rara bellezza, mistero e importanza. Abbiamo avuto anche la fortuna di essere guidati da Nicola Mastronardi, scrittore e cultore di materie storiche, che sugli antichi sanniti ha scritto un romanzo storico davvero affascinante, nonché importante perché unico nel suo genere. Di fatti è stato il primo romanzo ambientato in epoca sannitica. E, infine, ma non meno importante ci siamo divertiti alla grande! Quest‟anno, ancora più dell‟anno scorso, ci siamo salutati con la consapevolezza non solo di aver vissuto pienamente un attimo ricco del suo Presente ma anche con la certezza che l‟anno prossimo saremo certamente insieme per far vivere nuovamente attimi belli come quelli che abbiamo vissuto adesso. Buon Presente a tutti e all‟anno prossimo. Monica Zunica
Penny Billington
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… alla fine tutto si riduce a questo: c‟è il te stesso e il mare, te stesso e il cielo, te stesso e la terra, ora e qui. La Vecchia Tradizione non è destinata a rimanere conservata in una teca di cristallo. Le Antiche Vie sono immaginate per essere usate, modificate, accresciute e migliorate: rimangono vive solo se ognuno di noi le „prende‟ e le „usa‟ a modo proprio, arricchendole con le proprie aggiunte creative, con i propri approfondimenti, per aiutarci a vivere una vita profonda e Significante, di bellezza e di festa… … nel Nostro Spazio e nel Nostro Presente, su questa terra, sotto questo cielo, accanto a questo mare… da Druidcraft di Philip Carr-Gomm
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