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ARIA SOTTILE
REINHOLD MESSNER, LEGGENDA DELL’ALPINISMO
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Reinhold Messner nasce in Alto Adige il 17 settembre del 1944, secondogenito di 9 fratelli. Eredita la passione per l'alpinismo dal padre, con il quale, a soli 5 anni, compie la prima ascesa a 3000 m sul Sass Rigais. A 13 anni inizia a scalare le vette della val di Funes, allargando successivamente l'attenzione alle Dolomiti e alle intere Alpi. Fin dagli anni 60 Messner è uno dei primi e più convinti sostenitori dello stile alpino, che consiste nello scalare contando solo sulle proprie forze, riducendo al minimo, o, quando possibile, eliminando, l'equipaggiamento, i mezzi artificiali e il supporto esterno, come quello dei portatori sherpa; una filosofia alpinistica volta dunque a non invadere le montagne, ma solamente a scalarle. Nel 1965, dopo un certo periodo di attività sui monti dell'Alto Adige, Messner compie la sua prima impresa di rilievo; insieme al fratello Günther, apre una via sulla parete Nord dell'Ortles. Si dedica quindi all'arrampicata dolomitica, aprendo nuove vie sempre seguendo lo stile dell’arrampicata libera. Nel 1970, viene invitato con il fratello Günther a partecipare ad una spedizione al Nanga Parbat, con l'obiettivo di salire dall'allora inviolato versante Rupal della montagna. Nonostante questa spedizione necessitasse di un abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, Messner accettò; il 27 giugno si trovava col fratello Günther e con l'alpinista Gerhard Baur all'ultimo campo e, avendo ricevuto la notizia che il tempo sarebbe peggiorato il giorno successivo, aveva deciso di partire da solo senza usare corde fisse, sperando di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo. Günther e Baur avrebbero nel frattempo dovuto attrezzare una via per facilitare la discesa. Günther, tuttavia, decise di seguire il fratello e lo raggiunse 4 ore dopo la sua partenza. I due raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio ma, poiché era arrivato il tramonto e non era loro possibile la discesa per la via della salita, in quanto non era stata attrezzata, furono costretti ad un bivacco d'emergenza e a passare la notte all'addiaccio. Il giorno successivo decisero di scendere per il versante di Amir, senza aspettare i soccorsi che stavano salendo con le corde. Quasi alla fine della discesa, una valanga travolse i due fratelli e Günther scomparve. Reinhold fu creduto morto per diversi giorni ma, quasi una settimana dopo, arrivò ad una Valle e fu trasportato prima in spalla e poi in barella a ricevere i soccorsi. Riportò gravi congelamenti a sette dita dei piedi, subendone una parziale amputazione, e alle ultime falangi delle mani. Come se non bastasse, l’alpinista diventò per anni e anni oggetto di polemiche infamanti, che lo accusavano di aver abbandonato Günther in cima al Nanga Parbat, ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione di attraversare per primo il versante di Amir. Fu solo 30 anni dopo, con il ritrovamento del corpo di Günther proprio nel punto in cui Reinhold aveva affermato fosse scomparso, che queste accuse cessarono. Nel 2010 è stato girato un film, intitolato “Nanga Parbat”, che racconta la tragedia.