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SCANDALO A FILADELFIA

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ALÈXANDROS

ALÈXANDROS

di Giovanni Gori

“Scandalo a Filadelfia” (The Philadelphia story) è un film del 1940 diretto da George Cukor e con protagonisti Katharine Hepburn, James Stewart e Cary Grant.

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TRAMA

La viziata ereditiera Tracy Lord (Hepburn), caccia via di casa il marito C.K Dexter Haven (Grant) per il suo bere eccessivo, nonché per i conflitti tra le loro forti personalità su chi assume il ruolo dominante all’interno della coppia, e chiede il divorzio. Due anni dopo è fidanzata con George Kittredge (John Howard), uomo fattosi da sé, ed in procinto di risposarsi. Sidney Kidd (Henry Daniell), direttore della rivista scandalistica “Spy”, detestata da Tracy, invia il giornalista Macaulay Connor (Stewart) alla villa di Tracy con l’incarico di fornirgli delle cronache piccanti: Dexter favorisce il lavoro di Connor, del quale è un ex collega, perché intenzionato a mettere i bastoni tra le ruote a George e tornare con Tracy, della quale è ancora innamorato. Connor giunge nella villa assieme alla sua assistente, la fotografa Liz (Ruth Hussey) ed entrambi vengono accolti da Tracy, che ha intuito il gioco, ma decide di assecondarlo, almeno in parte, perché sa che Kidd ha minacciato la reputazione della sua famiglia con un articolo sulla relazione di suo padre con una ballerina

RECENSIONE

Considerata a ragione come una delle commedie più brillanti e sofisticate di Hollywood, è una satira pungente all’alta società americana, dove gli elementi tipici del genere non mancano. La regia di Cukor, parafrasando il Mereghetti, è elegantissima, discreta, ma piena di tensioni sotterranee e gli interpreti sono perfetti nelle parti assegnate, sia in quanto a physique du role sia in quanto a stile recitativo. Fu la stessa Hepburn (che era veramente figlia dell’alta società americana) ad interpretare lo spettacolo teatrale a Broadway nel 1939 e, in virtù del successo che la pièce riscosse, ad assicurarsi i diritti per farne un film con tanto di libertà di decidere sia il regista sia i partner sullo schermo. Grazie al successo ottenuto da questo film la Hepburn si liberò dell’appellativo di “veleno del botteghino” con cui era stata soprannominata a causa del fatto che i suoi film precedenti (che oggi invece sono dei classici) erano stati un flop dopo l’altro. Inizialmente la Hepburn e la produzione, con a capo Joseph L. Mankiewicz, prevedevano per Cary Grant (già partner sullo schermo della Hepburn nelle commedie “Susanna!” e “Incantesimo”), attore già noto allora per il carisma e la perizia dimostrata in ogni genere cinematografico, oltre che per l’ammaliante fascino il ruolo del giornalista e per Stewart, noto allora per i suoi ruoli di giovane idealista e di buone maniere il ruolo dell’exmarito innamorato, ma Grant preferì il ruolo di Dexter. Stewart non si aspettava di vincere l’Oscar come Miglior attore protagonista, anche perché non aveva votato per se stesso, bensì per l’amico Henry Fonda, nominato per “Furore”. Il film è inoltre uno degli esempi (se non addirittura il più famoso) della cosiddetta “Comedy of remarriage”, genere popolare tra gli anni trenta e quaranta in cui una coppia divorziava, intratteneva relazioni con altri partner e infine si risposava (un altro esempio valido potrebbe essere “L’orribile verità”, anch’esso con protagonista Cary Grant), espediente utilizzato per rappresentare una relazione extraconiugale, all’epoca non accettata nella società americana.

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