Ausonio Tanda

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AUSONIO TANDA

Copertina Tanda:Copertina Tanda stesa

AUSONIO

TANDA ISBN 978-88-6202-031-2

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In copertina: Mare in tempesta (ante 1974), particolare collezione Regione Sardegna


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AUSONIO TANDA Sassari, Palazzo della Frumentaria 19 dicembre 2008-28 febbraio 2009 Il presente volume è stato realizzato in occasione della mostra promossa dal Comune di Sassari, per il ventennale della scomparsa dell’artista

Note biografiche, Itinerario espositivo e Bibliografia, a cura di Antonella Camarda

Grafica e impaginazione Ilisso Fotografia Archivio Ilisso (foto P.P. Pinna) ad eccezione della fig. 26 (archivio MAN, foto D. Tore); p. 16 e figg. 57, 81, 89 (archivio Soter editrice, foto D. Tore) Stampa Nuova Stampa Color

Si ringrazia Vera Di Maio, Caterina Ruju, Alessandro Ruju, Ennio e Franca Linari, Anton Paolo Tanda, Salvatore Ligios, il MAN e tutti i collezionisti per la fattiva collaborazione nel prestito delle opere; un particolare ringraziamento a Nicola Tanda.

2008 ILISSO EDIZIONI ©www.ilisso.it ISBN 978-88-6202-031-2

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INDICE

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Ausonio Tanda. Un percorso di ricerca Giuliana Altea

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Incubi atomici e sogni cibernetici Antonella Camarda

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Opere in mostra

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Note biografiche

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Mostre

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Bibliografia


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AUSONIO TANDA. UN PERCORSO DI RICERCA Giuliana Altea

Senza titolo, particolare della fig. a p. 11

È significativo che, a venti anni dalla morte di Ausonio Tanda (1926-1988), l’artista venga ricordato con due mostre distinte, allestite nelle due città per lui più importanti: Sassari, dove era cresciuto, e Roma, dove si era trasferito nel 1951.1 Le due rassegne, che hanno preso forma in circostanze organizzative diverse, in qualche modo rispecchiano anche una divaricazione che attraversa l’intero percorso di Tanda. Snodatasi nell’arco di circa un quarantennio, la vicenda del pittore appare infatti spartita – materialmente e culturalmente – tra due realtà differenti e all’epoca difficili da conciliare: la Sardegna e quello che una volta i sardi chiamavano il “continente”, la periferia e il centro, la provincia con le sue riserve di umori e di memorie e una scena nazionale che, per quanto si andasse scoprendo a sua volta provincia, in un mondo sempre più internazionalizzato, manteneva agli occhi di chi in provincia era nato forti caratteri di alterità. Questa serie di antitesi aveva il suo corrispettivo nell’opposizione fra tradizione e modernità, fra il bisogno di inserirsi nell’alveo rassicurante di un continuum di esperienze consolidate e la volontà di sentirsi parte del proprio tempo, di condividere l’emozione di un rinnovamento che assumeva implicazioni sociali oltre che estetiche. Conflitti comuni, senza dubbio, a molti artisti della generazione di Tanda, ma che nel suo caso assumevano uno speciale rilievo, dovuto al particolare contesto della sua formazione. All’aprirsi del secondo dopoguerra, la Sardegna era una regione ancora arretrata e in alcune aree perfino arcaica, in cui i processi di modernizzazione cominciati all’inizio del Novecento avrebbero decisamente accelerato il passo solo a partire dagli anni Sessanta. Sotto il profilo culturale, era per qualche verso un luogo a parte, nel quale l’esasperata consapevolezza della propria diversità, la costante attenzione verso il discorso dell’identità regionale e la volontà di rivendicarla come valore, o al contrario lo sforzo di distaccarsene, dettavano ossessivamente i termini del dibattito intellettuale (a scorrere i giornali e le riviste pubblicati in quel periodo nell’Isola, non si può non restare colpiti da come il tema della Sardegna e della responsabilità morale degli artisti sardi nei suoi confronti fosse onnipresente nelle argomentazioni di autori di ogni credo politico). Al tempo stesso, i giovani più aperti erano acutamente sensibili alla necessità del confronto con l’esterno, con una realtà in rapido mutamento. Contrasti e contrapposizioni che in qualche misura caratterizzavano tutta la situazione italiana risultavano dunque, per chi vivesse nell’Isola, decisamente estremizzati. Si capisce allora il perché della scissione, nell’opera di Tanda, tra due mondi diversi, entrambi trasposti sul piano del mito: da un lato «la terra e il mare di una Sardegna incardinata su antichi valori e tradizioni», dall’altro «il dinamismo, l’irrequietezza, l’artificialità della grande città contemporanea».2 Spiccate connotazioni identitarie aveva avuto anche il formarsi in Sardegna, nel primo decennio del secolo, di un ambiente figurativo autoctono: gli artisti più validi, variamente orientati in senso secessionista e poi moderatamente novecentista, si erano concentrati sulla rappresentazione della vita rurale dell’isola, creando un’iconografia fatta di costumi popolari, sagre e processioni, la cui fortuna nel contesto locale era lungi dall’essersi esaurita quando Tanda muoveva da autodidatta i primi passi nella pittura. La guerra, peraltro, aveva scavato un fossato tra l’ultima generazione e i protagonisti del primo Novecento: in Sardegna come nel resto d’Italia, l’inquietudine e il febbrile romanticismo dei giovani li staccavano dalla visione più composta e controllata dei loro immediati predecessori. Sulla base di consonanze soprattutto emotive Tanda, a vent’anni, 7


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divulgata nella Penisola da due mostre all’inizio del decennio, era di grande attualità fra gli artisti sardi residenti a Roma: Melkiorre Melis ne aveva tratto ispirazione per la sua produzione ceramica, Maria Lai per una serie di gioielli, Mauro Manca per un ciclo di tele in cui le figure di guerrieri dei bronzetti finivano per trasformarsi in strutture segniche elementari; il tutto con la benedizione di uno stimato archeologo come Giovanni Lilliu che, nel 1954 aveva proclamato la modernità artistica tout court delle opere nuragiche, paragonandole all’arte di Picasso, e con la conferma ancor più autorevole, per quanto indiretta, delle tesi di Ranuccio Bianchi Bandinelli, il cui saggio Organicità e astrazione, pubblicato proprio nel 1956, rintracciava nella preistoria le origini dell’arte astratta come di quella figurativa.12 Anche se destinato a conoscere periodici ritorni di interesse fino agli anni della maturità, il revival nuragico costituisce per Tanda un episodio laterale; gli consente però di esplorare, con l’alibi della decorazione (una definizione intesa forse a minimizzarne la portata), soluzioni formali inconsuete al suo lavoro, che non riproporrà in altre occasioni espositive, ma che si ritrovano almeno in un dipinto di un certo impegno, una grande natura morta a olio del 1957 di ispirazione post-cubista (collezione della Provincia di Sassari). Queste scelte indicano come nelle sortite fuori della via maestra del realismo il pittore si muova in modo indipendente dai termini del dibattito in corso in Italia, in cui è ormai da tempo l’Informale il principale antagonista della figurazione, risalendo invece a quella che all’epoca veniva vista come l’origine dell’astrattismo contemporaneo; senza che peraltro ciò intacchi in alcun modo il nocciolo della sua ricerca realista. Questa autonomia poteva facilmente essere scambiata per disinformazione, ed è così che la interpreta Marcello Venturoli quando, nel marzo 1957, presenta l’artista nella personale alla galleria San Marco. Dopo averne rilevato i legami con l’eredità dell’Ottocento, il critico si chiede se, immune com’è dall’esperienza delle avanguardie, passo quasi obbligato per gli esponenti del neorealismo, la pittura di Tanda possa dirsi veramente partecipe di quella tendenza: Rari sono i casi di coloro che dipingono oggi con il gusto della oggettività senza aver saputo di persona chi sia Picasso, o Mondrian o Klee. Ma, di fronte alle opere di Tanda ci vien da domandarci se sia proprio sempre necessario compiere intieramente la strada dell’avanguardia per arrivare ‘più nutriti’ e smaliziati alla rappresentazione di episodi e figure della vita quotidiana in chiave realistica.13

Di fronte ai quadri in mostra, e sulla base della premessa perlomeno dubbia che «la forma della pittura è il suo contenuto»,14 la risposta che si dà è affermativa. Poco dopo, sulle colonne di Paese Sera, mentre saluta l’artista come uno dei migliori della sua generazione, ribadisce il carattere non ortodosso del suo neorealismo. Il pregio della pittura di Tanda sta per Venturoli nella schiettezza provinciale che la mette al riparo dal formalismo, nell’autenticità del racconto di una Sardegna senza folklore, la cui drammatica verità riesce a riscattare la radice attardata, “macchiaiola” del linguaggio figurativo; quest’ultimo è descritto peraltro come già in marcia verso l’Impressionismo – corrente ottocentesca anche questa, ma di più sicure credenziali moderniste.15 Benché il supporto di Venturoli, figura di un certo peso nell’ambiente artistico romano, garantisse a Tanda un posto non disprezzabile nella pattuglia realista, ritrovarsi nei panni di incolto ma sincero figlio della provincia non doveva fargli troppo piacere; tanto più che le osservazioni del critico erano state riprese da altri commentatori, quali Lorenza Trucchi, Virgilio Guzzi e Giacomo Etna.16 La replica 10

Bozzetto per tappeto (Autunno in Barbagia) (metà anni Cinquanta) tempera su carta nera, 35 x 25 cm, Bosa, coll. privata


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del pittore arriva poco dopo sotto forma di autopresentazione a una personale al Circolo della caccia di Sassari17 (e sarà appena il caso di notare come il fatto di rivolgersi al pubblico sardo piuttosto che a quello romano segnali il rapporto privilegiato che l’artista continua a intrattenere con il luogo d’origine). Contestando l’uso paternalista fatto dalla critica del concetto di provincia, Tanda afferma il carattere consapevole e meditato delle proprie posizioni estetiche. Se dalle sue opere non traspaiono riferimenti alle avanguardie, scrive, ciò si deve alla priorità assegnata alla resa di una «realtà prima di tutto regionale e sarda», intesa tuttavia quale premessa al raggiungimento di una visione universale.18 In questa prospettiva, si capisce perché nei cinque o sei anni successivi l’artista continui a lavorare intorno alla stessa ipotesi di ricerca, impegnandosi a far decantare ulteriormente la sua pittura, a ridurne all’osso la componente narrativa per farne risaltare le implicazioni esistenziali. I temi del mare, delle barche e della pesca, divenuti protagonisti quasi assoluti, emergono quali metafore dei rischi e conflitti elementari che attendono l’umanità nella sua lotta per la vita; o meglio, non tanto l’umanità quanto gli uomini, giacché quello di Tanda è un universo esclusivamente ed enfaticamente virile: mari immensi e cupi contro cieli foschi, piccoli pescatori soli tra i flutti, o tesi nello sforzo di spingere in acqua pesantissime barche; gruppi di tonnarotti intenti a dividere il pesce; tonni inerti sul fondo degli scafi; ancore a riva, grandeggianti come emblemi. La suggestione romantica di questo repertorio condiziona la risposta della critica, che non esita – quella più vicina all’artista, ma non solo – a impiegare aggettivi come “epico” e “omerico” per renderne il senso di dramma spoglio e coinvolgente. Così Nicola Tanda nella presentazione della personale al “Cancello” di Sassari del dicembre 1958, o Giuseppe Dessì in quella della mostra alla San Marco del marzo 1959: Si potrebbe, indulgendo alla letteratura, dire che è il mare in questi quadri tutto ciò che ha rapporto con questo misterioso mondo: il legno che sprigiona umido al sole una sua particolare luminosità, i pescatori che dalla drammaticità del mare ripetono il loro dramma umano, le barche che, come mostri marini, antiche di incrostazioni e salsedine, incombono sulla spiaggia. Una tale intensità poetica, il respiro epico così pacato e vibrante da annullare qualsiasi rischio o possibilità di retorica è da rintracciare nell’uso sicuro dei mezzi espressivi.19 Questi vasti spazi popolati come battaglie omeriche, queste spiagge solitarie, dove la stanchezza fulmina come la morte ogni cosa, queste ancore rosse come giganteschi coralli piantate a metà nella sabbia, o la terra vista da una barca al largo, con le sue femminee e profonde insenature, o l’orizzonte, che unisce in una linea di luce la profondità immobile e funerea dell’oceano alla migrante trasparenza del cielo, sono un mondo remotissimo ancora in formazione che sta entrando nella sfera dell’umano.20

All’elencazione, letterariamente delibata, dei temi – vero tòpos degli scritti sul pittore – ricorre anche Pierre Briquet, corrispondente da Roma della Tribune de Genève: Senza titolo (anni Sessanta) tempera su carta, 33 x 24 cm, Sassari, coll. privata Decorazioni nuragiche (metà anni Cinquanta) tempera su carta, 3,7 x 23,8 cm, Sassari, coll. privata

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Ileana Sonnabend; che vi avevano ampio corso etichette come Nouveau Réalisme e New Dada.29 Per quanto queste presenze e questi fenomeni registrassero un seguito limitato ai circoli più aggiornati, viene da pensare che Tanda, vicino per età ai protagonisti della nuova stagione, non fosse rimasto insensibile al fermento che suscitavano. Il rapido abbandono del filone iconografico dei lupi è di per sé indizio di una certa inquietudine, così come il recupero, in una serie di tele dei primissimi anni Sessanta, delle impressioni registrate nel corso di un viaggio di alcuni mesi compiuto nel 1957 in Canada e negli USA.30 Il contatto con una società segnata, ben più di quella europea dell’epoca, dal consumismo e dalla massificazione, l’incontro con i suoi riti e le sue rappresentazioni, danno luogo a un gruppo di dipinti desunti da foto pubblicate su giornali e riviste: volti di passanti, dettagli di scene indecifrabili, raccolte a caso dal palcoscenico urbano, figure rapaci di vecchie in automobile (le vedove in cui si riassumeva per l’artista l’essenza del matriarcato americano), resi con un colore livido e pesto, appiattiti e deformati dall’istantanea. La serie degli Americani costituisce per Tanda una virata rispetto al passato: dall’evocazione di immagini sedimentate nella memoria alla trascrizione da modelli fotografici, dall’anonimato universalizzante delle figure a una caratterizzazione individuale conciliabile col diverso anonimato della cultura di massa, dalla ricerca di una grandiosità senza tempo alla notazione di frammenti sottratti a una quotidianità effimera. Il discorso sembrerebbe preludere a uno sviluppo del suo realismo in direzione pop, ma così non è: lo dimostra la serie quasi coeva dedicata alle rivolte del 1959 per l’indipendenza del Congo (1961), in cui la ripresa di immagini dalla stampa perde il carattere di prelievo neutro e casuale, e il sapore di contemporaneità che ne derivava, per acquistare valore di denuncia sociale; e anche questa è una mossa insolita per l’artista, che fino a quel momento aveva sempre evitato ogni messaggio politico diretto. Ciò cui sembra ora puntare è una sorta di moderna pittura di storia, per la quale cerca ispirazione nella cronaca giornalistica, nei drammi grandi e piccoli della società contemporanea: dal crollo di un palazzo dovuto alla speculazione edilizia alla sofferenza di due bambini costretti a sopravvivere, soli, nello squallore urbano. Un’ulteriore riduzione formale, indirizzata in primo luogo alla gamma cromatica, serve a contenere il rischio di cedimenti retorici o sentimentali. Figure e paesaggi, resi con una tavolozza color fango – grigi e bruni a volte sfumati di blu – diventano macchie e ombre prive di consistenza plastica. A compensarne la mancanza di rilievo è l’aspetto corroso, invecchiato delle superfici, su cui il pigmento emulsionato si addensa e si ritrae formando dei grumi; per accrescerne l’effetto materico, Tanda ricorre ad applicazioni di fogli di giornale che, una volta rimossi, lasciano la loro impronta sulla pittura fresca. Se l’artista intendeva marcare la distanza dal mondo arcaico da lui evocato fino a quel momento, non c’è dubbio che ci sia riuscito: nonostante la voluta genericità delle ambientazioni, il sapore di queste scene color asfalto è per lo più decisamente metropolitano. Nella sua presentazione a una personale del 1962, un’antologica di una cinquantina di pezzi intesa a tracciare un bilancio degli esiti raggiunti fino a quel momento, Corrado Maltese rileva la coerenza delle ultime tele in rapporto alle precedenti: Periodo dei vascelli e dei tonni, periodo dei lupi, periodo – oggi – delle grandi figure immote o dal gesto appena accennato, rappreso nell’aria come in apparizioni fantomatiche: abbozziamo la definizione per chi ami dividere in periodi l’attività degli artisti.

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Pescatori, 1964 tempera su carta, 47 x 66 cm, Cagliari, coll. privata


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La fase più recente, però, è certo la più distaccata, come accade sempre quando ai corpi si sottraggono durezza e peso. Ma non per questo – e lo abbiamo visto – l’impegno di Tanda verso le cose è meno intenso e preciso, ed è un impegno che risuona di accenti epici, da pittore moderno ed europeo.31

Essere “moderno e europeo” era ciò cui Tanda, ormai alle soglie della maturità, soprattutto teneva, e il ritmo accelerato assunto dalle sue ricerche – dopo un decennio di lavoro condotto sotto il segno di una sostanziale continuità – lo indica chiaramente. Nello stesso 1962 arrivano i primi quadri non realisti, una serie di Torsi realizzati con la tecnica del monotipo e ancora con impronte di carte sovrapposte, che l’artista presenta l’anno dopo nella galleria di Mario Penelope. Sono chiazze di pittura cincischiata e graffiata, in toni finemente variegati di ocra e di rosa, di grigi e verdini (Fautrier è dietro l’angolo), allusive a un’umanità offesa e impotente nel suo vano dibattersi; immagini sofferte e al tempo stesso esteticamente seducenti, di cui Guglielmo Petroni nel suo scritto in catalogo può osservare che rimangono «misteriosamente fatte di uomini, anche in questa fase».32 A questa umanità – o umanesimo – Tanda non saprà rinunciare neanche in seguito: non con i mutanti-automi della serie dei Ciborg, straniati congegni antropomorfi ottenuti con il ricorso all’aerografo, a riporti e stratificazioni cromatiche; goffi e sparuti ET fatti di grovigli di fili e transistor, eletti a simbolo delle trasformazioni operate dalla scienza sull’organismo «reso strumento-radar, rice-trasmittente di voci, luci, segni di alfabeti indecifrabili: enigma, calcolo, x, potenza elevata ad n».33 Tanto meno con le Estrazioni plastiche, in cui la realtà modificata dalla scienza appare come già fossilizzata, ridotta – in un prossimo, apocalittico futuro – a orma appena percepibile. Scavate nel bianco del polistirolo espanso, le figure sono apparizioni larvali nell’alba incolore del day after, all’indomani della catastrofe cosmica; sagome straziate nelle quali, come nella serie quasi coeva dei Torsi, affiora il ricordo della tragedia dell’Olocausto. Questi temi nascevano da interessi che l’artista – avido lettore di testi di divulgazione scientifica e amico di una delle personalità italiane della fisica, Giorgio Careri – coltivava da tempo. L’ansietà per gli esiti degli estremi, incontrollabili sviluppi della scienza faceva tutt’uno in lui con la diffidenza per la manipolazione mediatica delle coscienze in un mondo ridotto a immagine, rispecchiata dagli Iconogrammi, una serie di lavori basati su foto trasferite con solventi da giornali e riviste. Quando, nel 1965, Ciborg e Estrazioni plastiche vengono esposti da Penelope, Venturoli riassume la posizione dell’artista come quella di un «umanista stupefatto delle avanguardie e operante nel loro interno, stupefatto dalla tecnica e dalla scienza, ma non da essa schiacciato, o soggiogato al punto da perdere la sua capacità di maledire, di ammonire, di profetare, di aver fiducia».34 Sia Venturoli che Maltese (che a sua volta contribuisce con un testo al catalogo), mettono in rilievo da un lato il senso etico e la carica emozionale delle nuove opere, dall’altro insistono sul valore della sperimentazione tecnica: «Non pittura di cavalletto, non spazio mentale, finzione, ma scavo di impronte, pirografie su materie e con mezzi dell’epoca nostra che raccontano la sorte della nostra epoca».35 Tonnara delle saline di Stintino, 1955 olio su cartone, 35 x 42 cm, Sassari, coll. privata

I procedimenti di Tanda sono anche sperimentali: per lui … sperimentazione significa osservazione, cioè, ancora una volta, ricerca del perpetuo, immanente rivelarsi delle cose: il variare dei toni sotto l’azione di un acido, lo sparire dei volumi candidi del polivinile sotto l’azione di un solvente.36

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Tessitura contemporanea (anni Settanta) olio su tela, 80 x 120 cm, Orgosolo, coll. privata

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eclettismo, ma preciso dovere di storia e di critica riconoscere attuale una duplice possibilità di linguaggio e un avvicendarsi di forme libero come il respiro».14 Anche nel momento in cui la ricerca dell’artista pare volgersi maggiormente verso l’astrazione, come in Organismi 2 del 1963, si tratta in realtà della rappresentazione di una formazione biomeccanica, il chiarificarsi delle forme da una massa magmatica, diretta verso la nascita dei “ciborg”. Questi ultimi, bronzetti sardi dotati di cavi e circuiti e trasportati da una macchina del tempo dalla preistoria nuragica a un futuro-presente, si riconnettono nel profondo ai pescatori di tonni co-protagonisti dell’immaginario del pittore. Dopo i paesaggi di Stintino, Tanda sembra ampliare il suo sguardo: le miserie umane sono universali, e la tecnologia fallisce nelle sue promesse di benessere e sviluppo, causando le stesse angosce esistenziali esperite nell’arcaicità senza tempo dei tonnarotti sardi. Lì era il mare blu cobalto, ostile e infinito, qui è il deserto atomico: due immensità opposte e coincidenti davanti alle quali l’individuo porta avanti una lotta strenua quanto inutile, a suo modo eroica. Al pescatore in perenne lotta con gli elementi, quasi spersonalizzato dalla fatica eppure dotato di grande dignità umana, si sostituisce il cyborg, concentrato di speranze e paure, uomo bionico e al tempo stesso annientamento dell’uomo: l’ottimismo si stempera presto in una malinconia esistenziale invincibile. Nelle impronte antropomorfiche, simulacri spettrali eppure concreti di corpi un tempo vivi, Tanda registra ed esprime la paure di un’epoca. Ed il cyborg stesso, per quanto espressione di timori ancestrali, sembra trovare in Tanda momenti di simpatia, inteso nel senso greco di compassione.15 Il cyborg non è altro dall’uomo, è l’uomo completato dalla scienza, e come tale è preso tra il desiderio della permanenza e la constatazione della finitezza. I fossili di ciborg sembrano dire che la scienza ha fallito nella sua missione salvifica e che anche l’uomo cibernetico è destinato a perire: anche ciò che è talmente nuovo da essere reale solo nella mente dell’artista, è in realtà un piccolo frammento nella sequenza temporale infinita, e come tale destinato all’obsolescenza e alla scomparsa. Maurizio Calvesi ricorda come, a caratterizzare, in quegli stessi anni, la Scuola di Piazza del Popolo, fosse, al di là delle differenze stilistiche e di temperamento, il radicale rifiuto dell’ideologia: quella politica dei Realisti innanzi tutto, ma anche quella razionalistica degli astrattisti e quella esistenziale degli informali. Una “tabula rasa” e la rinuncia a prendere posizione sul problema dei valori.16 Tanda non può compiere questa rinuncia, e crede fortemente nell’impegno sociale dell’artista, in una visione della vita e dell’arte che non è però ideologica, o affiliata a posizioni precostituite (politiche o meno). In un periodo in cui molti avevano abdicato all’umanesimo, Tanda considera imprescindibile mantenere un contatto pieno e diretto con la riflessione esistenziale e non abbandona l’uomo, ma si incaponisce a rappresentarlo, mutilato, arso, e poi in seguito trasformato dall’azione, inquietante e galvanizzante a un tempo, della tecnologia. Si tratta di un umanesimo non trionfante, ma declinato in toni pessimistici eppure portato avanti come unica strada percorribile per l’artista e per l’uomo. «A me interessa l’uomo, l’uomo possibilmente nella sua dimensione più autentica e più vasta».17 In questa dichiarazione epigrafica sta tutto il significato dell’esperienza umana ed artistica di Ausonio Tanda. 23


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2. Natura morta, 1954 olio su cartone, 50 x 70 cm, Sassari, coll. privata. A tergo timbro: Galleria d’Arte San Marco, via del Babuino, Roma

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49. Mangiatore d’uva, 1960-61 olio su tela, 60 x 80 cm, Sassari, coll. privata 50. Grande testa 2, 1961 olio su tela, 80 x 60,5 cm, Sassari, coll. privata 51. Figura (Americani), 1961 olio su tela, 80 x 60 cm, Sassari, coll. privata. A tergo cartellino: XI Mostra di Pittura del “Maggio di Bari”

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NOTE BIOGRAFICHE

1926-42 Ausonio Tanda nasce a Sorso il 28 ottobre 1926, primo di quattro fratelli (seguiranno Nicola, Francesco e Anton Paolo). La madre, Clelia Cossu Rocca, appartiene a una famiglia benestante di Sorso, il padre, Paolo Tanda, è un imprenditore industriale e agricolo di origine logudorese. Durante l’infanzia e la giovinezza, insieme al fratello Francesco, pratica il disegno e acquisisce i primi rudimenti di pittura. Anche la cultura scientifica e le innovazioni tecnologiche stimolano in lui curiosità. In seguito ad alcune delusioni scolastiche (respinto al Liceo Classico “Azuni” di Sassari), nel 1942 viene mandato a Roma per recuperare l’anno di studi presso l’istituto privato scientifico “Galileo Ferraris”. 1943-44 È a Roma durante i bombardamenti della città, e nel difficile periodo bellico è assunto come manovale nell’Organizzazione Todt (OT), impresa di costruzioni tedesca attiva in tutti i territori occupati. In questo ambiente entra in contatto con diversi membri della resistenza, e si impegna in attività partigiane di sabotaggio. Durante un’azione presso la stazione Termini viene arrestato e preso in consegna dal Reparto Speciale di polizia, la famigerata Banda Koch, torturato e recluso nel carcere di Regina Coeli sino al marzo del 1944. Le atrocità della guerra e del nazismo, in particolare i campi di sterminio, lasceranno in lui una traccia profonda. 1945-50 Alla fine della guerra ritorna in Sardegna. Qui si avvia all’attività artistica, dalla quale era stato sempre affascinato: consegue il diploma di Maestro di Architettura all’Istituto d’Arte di Sassari e inizia a frequentare lo studio del pittore Pietro Antonio Manca, con cui costruisce un rapporto profondo sul piano umano e professionale. La pittura di Giuseppe Biasi è, in questo momento, l’altro riferimento stilistico importante nella sua formazione. Il regista Amleto Fattori, giunto in Sardegna per realizzare per la Casa di produzione di Walt Disney un documentario sull’Isola, entra in contatto con Ausonio, che lo segue nelle varie tappe fissando sulla carta appunti e disegni. È un’esperienza decisiva per la sua formazione. Intraprende l’attività artistica, dedicandosi anche alla realizzazione, per motivi commerciali, di mattonelle ceramiche ispirate a quelle di Edina Altara.

Ausonio Tanda in una foto degli anni Sessanta

In questi anni mette a punto il suo universo pittorico (individuando nei paesaggi marini e nelle scene di pesca al tonno i temi privilegiati) e stringe diversi importanti legami di amicizia con artisti e intellettuali che frequentano la casa dei Tanda (Gavino Musio, Ignazio Delogu, Aldo Contini, Renzo Serra, Salvatore Fara e altri). Negli anni rimarranno costanti le amicizie con Mauro Manca, Stanis Dessy, Italo Antico e Libero Meledina. Durante l’estate del 1946 conosce Marinù Piredda, che alcuni anni dopo diventerà sua moglie. Del 1950 è l’esordio pubblico come pittore, in occasione del 1° premio di pittura “Città di Sassari”, che vince ex aequo con Costantino Spada e Mauro Manca. È il primo dei numerosi riconoscimenti che otterrà nell’Isola, a dimostrazione di un legame stretto e costante con la Sardegna e dell’interesse con cui il pubblico lo seguirà e sosterrà durante l’intero corso della sua carriera. 1951-56 Il 17 novembre 1951 sposa Marinù Piredda, e con lei si trasferisce a Roma, stabilendosi prima in via Morgagni e successivamente in viale Tiziano. Insieme al fratello Nicola, che lavora e studia all’Università La Sapienza, comincia a frequentare l’ambiente artistico e intellettuale romano. Stringe rapporti con artisti come Villoresi, Guccione, Accardi, Turcato, Cagli, Omiccioli, Francesco Guerrieri, Maria Lai, Lia Drei, Richard Anthoi, scrittori come Giuseppe Dessì, Guglielmo Petroni, Vasco Pratolini, Carlo Bernari, Frassinetti, e critici letterari e d’arte come Niccolò Gallo e Corrado Maltese, Marcello Venturoli, Costanzo Costantini, Vito Apuleo, Mario Penelope… Costruisce solidi legami con funzionari, intellettuali, uomini politici e collezionisti sardi: Carmelo Cottone, Francesco Spanu Satta, Gonario Pinna, Mario Berlinguer e la moglie pittrice, Aldo Melis, il francesista Franco Di Pilla, del quale illustra la traduzione de l’Aprés Midi d’un faune di Mallarmé. In questi anni risiede in Sardegna per lunghi periodi, partecipando alla vita artistica isolana (espone a Sassari nel 1952, a Cagliari nel 1953, a Oristano nel 1954, l’anno seguente a Ozieri, cittadina dove risiede a lungo con la moglie tra il 1954 ed il 1956), riscuotendo un discreto successo commerciale e di critica. Vince il premio Città di Alghero nel 1953, nel 1954 e nel 1956, il premio Biennale arti figurative di Nuoro nel 1954, la Medaglia d’Oro per le celebrazioni dantesche nel 1955. Questa fase si conclude con la mostra alla Fondazione Besso a Roma, nel gennaio-febbraio del 1956, che ne segna il debutto nella Capita-

le. Alla pratica artistica affianca l’insegnamento del disegno presso istituti d’arte romani. 1957 In marzo tiene la sua prima importante personale alla galleria San Marco a Roma. Probabilmente in giugno intraprende un viaggio in Canada e negli Stati Uniti. Resta colpito dalla realtà sociale americana forse più ancora che dalle coeve ricerche artistiche, con le quali pure entra in contatto. Alcuni anni dopo, nel 1961-62, l’esperienza lascerà un segno sulla sua pittura con il ciclo degli Americani. 1958-62 L’attività espositiva si fa più intensa e significativa. In Sardegna la personale al Circolo della caccia di Sassari, nel maggio 1957, fa da preludio alla prima mostra al “Cancello”, galleria che, fondata dal fratello dell’artista Nicola con Aldo Contini e Piero Pulina, svolgerà per alcuni anni un ruolo importante nel contesto locale. Nella Penisola Tanda espone con ritmo frenetico, trovando l’appoggio di critici come Corrado Maltese, Marcello Venturoli e Vito Apuleo, che gli assegnano un posto di rilievo tra gli esponenti della figurazione contemporanea. Particolarmente significative sono la personale del 1958 alla San Marco di Roma, presentata da Giuseppe Dessì, nel 1960 quella alla Elmo, in cui espone il ciclo dei Lupi, e ancora un’altra personale cagliaritana nel 1962, presentate rispettivamente da Venturoli e da Maltese. Ottiene ancora una serie di riconoscimenti: nel 1959 il 1° premio Mostra regionale delle arti figurative a Cagliari, il 2° premio “Sardegna” e il premio “Giovanni Ciusa Romagna” a Nuoro. Nel 1961 il premio “Amministrazione Provinciale” Termoli e, ex aequo, il 1° premio alla Mostra Nazionale d’Arte contemporanea “Città di Marino”. Nel 1961 è il protagonista del documentario Ritratto di un pittore, realizzato da Massimo Mida con testi di Giuseppe Dessì. 1963-66 Affianca alla pratica artistica l’attività di gallerista (dirige infatti dal 1963 con la moglie Marinù la galleria L’Albatro). Nello stesso anno conosce Guttuso, e intraprende con lui un breve viaggio in Sardegna. Stabilisce rapporti con la maggior parte dei pittori e scultori più conosciuti: Treccani, Migneco, Corpora, Consagra, Vedova, Morlotti, e con altri che si affacciano sulla scena artistica in quegli anni: Lorenzetti, Pace, Scialoia, Chia… In questi anni Tanda amplia i suoi orizzonti di ricerca, guardando alla Pop art con gli Iconogrammi e all’Informale con le Impronte, e al

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contempo coltivando in modo sempre più intenso l’interesse per la scienza e la tecnologia, con un misto di entusiasmo e timore e un forte accento sulla dimensione esistenziale (i Ciborg). Porta inoltre avanti una continua sperimentazione di tecniche (riproduzione meccanica, aerografo, imprimiture) e materiali (polistirolo, metacrilato, pigmenti industriali). Il culmine di questa fase è segnato dalla partecipazione alla IX Quadriennale romana (1965), con cinque opere (Figura e oggetti, Robot, Torso e attrezzi, Muro, Ciborg). La separazione da Marinù mette fine all’esperienza dell’Albatro. 1967-88 Nel 1967 ottiene, grazie all’intervento dell’artista e preside dell’Istituto d’arte di Sassari Mauro Manca, la direzione del Liceo artistico di Cagliari, che manterrà sino al 1971, non senza contrasti con una parte dell’ambiente artistico cagliaritano. Raduna intorno a sé come insegnanti gli artisti giovani e meno giovani più affermati e promettenti, quelli in buona parte cresciuti alla scuola di Corrado Maltese che ancora è docente all’Università di Cagliari. Nel 1968 incontra Vera Di Maio che, dopo il divorzio da Marinù, diverrà sua moglie e gli resterà accanto sino alla fine. L’attività espositiva di Tanda si affievolisce, anche se l’artista continua la propria ricerca sperimentale, ormai sempre più orientata verso la riflessione dei rapporti tra arte e scienza (all’inizio degli anni Ottanta verrà invitato a far parte dell’AST, Associazione per lo studio delle interazioni tra Arte, Scienza e Tecnologia). Le sue ultime ricerche hanno però scarso riscontro commerciale, il che lo spinge a portare avanti contemporaneamente una produzione figurativa, ormai piuttosto meccanica, incentrata sui vecchi soggetti – marine e scene di pesca del tonno –, molto richiesti nel mercato isolano. L’8 maggio 1988 muore a Roma.

Ausonio Tanda al lavoro nel suo studio di Roma. Fotogrammi tratti dal documentario del 1961 Ritratto di un pittore, di Giuseppe Dessì e Massimo Mida.

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MOSTRE

MOSTRE PERSONALI

Cagliari, Associazione “Amici del Libro”.

1952 Sassari, Locali Bajardo al Grattacielo.

1963 Roma, Anthoi e Tanda, Galleria Penelope. Sassari, Galleria Il Cancello.

1953 Cagliari, Associazione “Amici del Libro”. 1954 Oristano, Locali S. Francesco-casa Zunui. 1955 Ozieri, Locali Tanda. Sassari, Teatro civico. 1956 Roma, Fondazione Ernesta Besso. 1957 Roma, Galleria San Marco. Sassari, Circolo della caccia. 1958 Cagliari, Associazione “Amici del Libro”. Forlì, Gianni Novischi e Ausonio Tanda, Saletta di mostre dell’Unione Sindacale Artisti Belle Arti. Roma, Galleria San Marco. Sassari, Galleria Il Cancello. 1959 Roma, Galleria San Marco. Chieti, Galleria Bottega d’Arte. Ancona, Galleria Puccini. 1960 Roma, Galleria Elmo. 1961 Sassari, Galleria Il Cancello. Roma, Galleria L’Albatro. Sassari, 10 olii di Ausonio Tanda, Galleria Il Cancello. 1962 Grosseto, Sala d’Arte Comunale “Paride Pascucci”.

MOSTRE COLLETTIVE

1950 Sassari, Premio Città di Sassari (1° premio ex aequo).

1964 Roma, Antohi – Tanda (Iconogrammi), Galleria Penelope. Roma, Ausonio Tanda. Bianchi e neri, Galleria L’Albatro.

1953 Alghero, Quarta Mostra di pittura premio Città di Alghero (1° premio).

1965 Roma, Galleria Penelope.

1954 Alghero, Quinta Mostra di pittura premio Città di Alghero (1° premio). Nuoro, Prima Biennale nazionale di arti figurative (1° premio).

1966 Salerno, Galleria L’Incontro. 1967 Cagliari, Centro di Cultura Democratica. Sassari, Costantino Spada – Ausonio Tanda, Galleria d’Arte. 1968 Cagliari, Galleria Remainders. Cagliari, Ausonio Tanda. Mostra retrospettiva, Tonnare e marine (opere dal 1954 al 1960 e dal 1965 al 1968), Olii e disegni, Galleria Dattena. Sassari, Galleria Il Cancello. 1970 Sassari, Opere dal 1952 al 1968, Galleria Il Cancello. 1973 Alghero, Galleria Vision Art. 1976 Sassari, I coralli di Fausto Zoboli e gli olii di Ausonio Tanda, Galleria Il Cancello. Sassari, Galleria Il Cancello. 1982 Cagliari, Associazione “Amici del Libro”. 2008 Roma, Opere 1950-1988, Complesso monumentale di San Michele a Ripa.

1956 Roma, Prima Mostra annuale Artisti residenti a Roma, Palazzo delle Esposizioni. Alghero, Mostra di pittura premio Città di Alghero. 1958 Roma, Quinta Mostra regionale sarda d’arte figurativa, Palazzo delle Esposizioni. Pistoia, Premio Pistoia. Cagliari, Associazione “Amici del Libro”. 1959 Cagliari, Prima Mostra regionale delle arti figurative in Sardegna, Basilica di San Saturno (1° premio). Nuoro, Seconda Biennale nazionale di arti figurative (premio “Giovanni Ciusa Romagna”). 1960 Roma, XI Fiera Internazionale d’Arte di Via Margutta. Valdagno, Premio Marzotto. 1961 Roma, Mostra di pitture, incisioni e disegni ispirati al paesaggio tosco-emiliano attraversato dalla Autostrada del Sole, Quadriennale d’arte di Roma, Palazzo delle Esposizioni. Termoli, Sesta Mostra nazionale d’arte contemporanea, premio nazionale di pittura “Castello Svevo”, Palazzo Comunale (premio “Amministrazione Provinciale”). Roma, Sesta Mostra regionale sarda d’arte figurativa, Palazzo delle Esposizioni.

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