Formaggio e pastoralismo in Sardegna

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FORMAGGIO E PASTORALISMO IN SARDEGNA

Storia, cultura, tradizione e innovazione



FORMAGGIO E PASTORALISMO IN SARDEGNA

Storia, cultura, tradizione e innovazione fotografie Nelly Dietzel coordinamento editoriale Anna Saderi


Referenze fotografiche Le fotografie, quando non diversamente specificato, sono state appositamente realizzate per questo volume da Nelly Dietzel e fanno parte dell’Archivio Ilisso, come pure afferiscono allo stesso archivio le immagini: pp. 11-12, 28, 35, 42, 63-64, 66, 74, 119, 740-757; pp. 410-411, 520, 542, 569, 622, 707, 714 (M. Sin-Pzältzer); pp. 18, 21-23, 26-27, 33, 105, 284, 288-289, 291-298, 724, 726-727, 730, 732-733, 735 (P.P. Pinna); pp. 274-275 (M. Ceraglia); pp. 44, 47, 50, 95 (N. Monari); p. 56 (D. Tore); p. 492 (D. Zedda); pp. 531 (in alto), 601, 692, 706 (in basso) (M.L. Wagner); p. 731 (A. Ballero); pp. 584, 598, 600, 606-607 (M. De Biasi); pp. 616, 618-621 (C. Bavagnoli); p. 706 (in alto) (C. Sorrenti). Le seguenti fotografie appartengono agli archivi: pp. 14-15, 17, 24 Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro; pp. 25 (G. Cabiddu-Brau), 31 Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Cagliari e Oristano; p. 40 Biblioteca Universitaria di Cagliari; pp. 54, 58-61, 64, 72-73 Archivio di Stato di Cagliari; pp. 7071, 590-591 (S.M. Machlin) Edwin A. Ulrich Museum of Art, Wichita State University; pp. 80-81, 122-124 Archivio Fondi storici Biblioteca S. Satta, Nuoro; p. 84 Archivio storico della Camera di Commercio, Industria e Artigianato, Sassari; pp. 91, 98, 121 Biblioteca Universitaria di Sassari; p. 112 (F. Patellani) Regione Lombardia/Museo di Fotografia Contemporanea/Studio Federico Patellani; pp. 126-127 (F. Scianna) Magnum Photos/Contrasto; pp. 276, 523, 583, 594-595, 696, 758, 760, 766-767 (P. Volta), 431, 484, 536-537, 568 (S.R. Zedeler, fondo Bentzon), 428-429 (W. Suschitzky) Archivio ISRE, Nuoro; p. 406 Archivio Dalmasso, Cagliari; pp. 412-413 (G. Costa), 764 (C.W. Wright) The National Geographic Image Collection, Washington D.C.; pp. 416, 418-419, 422-423 (M. Locci); pp. 424-425, 482, 486-487 (F. Giaccone) Anzenberger/Contrasto, Roma; p. 426 (F. Roiter); p. 530 (V. Mossa); pp. 540-541 (F. Serra); pp. 550, 552-558, 562-563 (D. Selis); pp. 578, 588 (P. De Martiis); p. 604 (B. Lohse) Bildarchiv Preußischer Kulturbesitz, Berlin; pp. 694-695, 710 (in alto e in basso), 711 (in alto e al centro) (S. Papa) ICCD – Gabinetto Fotografico Nazionale, Fondo Papa, Roma, su autorizzazione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – MiBACT; pp. 710 (al centro), 711 (in basso) (S. Papa) Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma; p. 738 Agave edizioni, Sassari; pp. 762-763 Archivio Sella, Alghero; p. 772 Archivio Cineteca Sarda, Cagliari; p. 768 (A. Mordenti) Agenzia Giornalistica Fotografica, Roma. Le seguenti immagini sono state fornite direttamente dagli autori: p. 36 (P.G. Spanu); pp. 102-103, 108-109 (A. Mattone); pp. 171-172, 175-177 (P. Deiana); pp. 284, 288-289, 291-298 (A. Scala); pp. 384-385 (W. Pinna); pp. 524, 526, 529 (A. Sanna); pp. 644, 646, 650 (M. Pitzalis, F.M. Zerilli); pp. 736, 770, 772-778, 780, 786, 788, 790 (G. Olla). L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

Un sentito ringraziamento è rivolto agli autori, in particolare a Giuseppe Pulina, Antonio Pirisi, Benedetto Meloni, Gianni Olla, per la loro preziosa collaborazione. Per la generosa e sollecita disponibilità si ringraziano tutti gli enti, istituti, associazioni, biblioteche e tutti coloro che hanno contribuito a vario titolo alla realizzazione di questo volume, in particolare: Sergio Naitza; Paolo Bianchi; Massimo Locci; Marco Antonio Pani; Paolo Carboni; S. Masala; Gianni Lovicu; Ceccio Manca; Ivan Carzedda; Franco Manca; Agris Sardegna; Dipartimento di Agraria e Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Sassari; Museo Archeologico “G.A. Sanna”, Sassari; Museo Genna Maria, Villanovaforru; Biblioteca Universitaria di Sassari; Biblioteca Universitaria di Cagliari; Biblioteca S. Satta di Nuoro; Archivio di Stato di Cagliari; Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma; Archivio Cineteca Sarda, Cagliari; Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, MiBACT; Fattoria Nonne, Decimoputzu; “Casa Steri”, Siddi; Casa Pira-Cadau, Gavoi; Collezione ex caseificio Albano, Macomer; Lacesa, Birori; APA Nuoro nella persona del direttore Mario Bitti; Agriturismo Paules di Dorgali. Grafica: A. Candido Impaginazione: A. Candido, G. Puligheddu Editing: I. Fois, G. Minerba Stampa: Lito Terrazzi

© 2015 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it

ISBN 978-88-6202-337-5


Sommario

Formaggio e pastoralismo in Sardegna. Storia, cultura, tradizione e innovazione

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Aspetti archeologici, storici e trattatistica giuridica Per un’archeozoologia del mondo pastorale

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Barbara Wilkens

Pastori e pastoralismo nella Sardegna preistorica e protostorica

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Mauro Perra

Dall’età fenicio-punica all’Alto Medioevo

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Pier Giorgio Spanu

L’Isola dei formaggi

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Pinuccia F. Simbula

Il formaggio nella vita economica della Sardegna in epoca spagnola: alimentazione e commercio

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Carla Ferrante

Formaggio e pastoralismo in Sardegna in età sabauda

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Daniele Casanova

Modernizzazione e crisi dei sistemi tradizionali di produzione. L’impatto dell’industrializzazione sul comparto lattiero-caseario tra Ottocento e primo Novecento

77

Maria Luisa Di Felice

Le fonti e la trattatistica giuridica sulla proprietà fondiaria e sui domini collettivi sul pascolo

89

Antonello Mattone

La repressione del reato di abigeato in Sardegna nei secoli XIV-XIX

113

Annamari Nieddu

Aspetti scientifici, tecnologici ed economici Il muflone, la pecora e la capra Sarde

135

Giuseppe Pulina

Il latte ovino e caprino in Sardegna

157

Anna Nudda

Microbiologia del latte e dei latticini

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Pietrino Deiana, Nicoletta Pasqualina Mangia

Le caratteristiche sensoriali del latte e dei latticini Alessandra Del Caro

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Ruolo del formaggio nella nutrizione umana

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Sebastiano Banni

I formaggi tradizionali e a Denominazione di Origine Protetta

197

Antonio Pirisi

I “nuovi sardi”, i prodotti lattiero-caseari dell’innovazione

265

Alessandra Guigoni

La carne ovina e caprina

277

Gianni Battacone

Le principali patologie degli ovini e dei caprini: note ezio-patogenetiche, strategie di prevenzione e (possibili) conseguenze 285 Antonio Scala

Miglioramento genetico e conservazione della biodiversità delle razze autoctone nelle specie di interesse zootecnico

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Antonello Carta

Paesaggio agropastorale: sviluppo e compatibilità ambientale

315

Ignazio Camarda

Tecniche di alimentazione della pecora Sarda: stato dell’arte e prospettive

329

Giovanni Molle, Antonello Cannas

La mungitura, la raccolta e il trasporto del latte

345

Antonio Pazzona

Tecnologia di produzione e qualità dei prodotti caseari ovini della Sardegna

355

Antonio Piga, Pietro Paolo Urgeghe

Dae sos sinnos a su microchip: l’evoluzione del sistema anagrafico negli allevamenti ovini e caprini in Sardegna

379

Walter Pinna

La filiera lattiero-casearia: innovazione

387

Antonio Pirisi

Promemoria sui rapporti commerciali ed economici nel settore lattiero-caseario

407

Michele Mario Gutierrez

La programmazione politica: azioni, limiti, crisi e prospettive

417

Antonio Sassu

Aspetti antropologici, sociologici e culturali Il pastoralismo sardo

427

Giulio Angioni

Pecorai e caprari: due modi di essere pastori

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Carlo Maxia

Latte, latticini e formaggio nel sistema alimentare della tradizione sarda: cibo, simboli, società

461

Susanna Paulis

Le feste del mondo pastorale Susanna Paulis

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Paesaggio agropastorale

495

Giulio Angioni

Architetture e insediamenti nel mondo pastorale

521

Antonello Sanna

Transumanze. Tecniche e rappresentazioni di una pratica culturale

535

Benedetto Caltagirone

Le nuove frontiere della transumanza e le trasformazioni del pastoralismo

551

Benedetto Meloni

Il valore materiale dei sistemi pastorali

567

Roberto Rubino

Codici sociali e codice della vendetta barbaricina come forme di regolazione sociale nel mondo pastorale tra passato e presente

579

Benedetto Meloni

Il ruolo della donna nel mondo pastorale della Sardegna tradizionale. Pratiche, simbologie e identità di genere

599

Susanna Paulis

«Mio padre un falco, mia madre un pagliaio». Famiglie di pastori tra continuità e mutamento

617

Ester Cois

Modelli di pastoralismo in evoluzione

629

Benedetto Meloni, Domenica Farinella

Movimento Pastori Sardi: politiche, economie, forme di socialità

645

Marco Pitzalis, Filippo M. Zerilli

Il formaggio nei presidi Slow Food: marchi di qualità

653

Alessandra Guigoni

Dall’ovile al museo. Tecniche e strumenti della caseificazione tradizionale in Sardegna

665

Giannetta Murru Corriga

Lessico, codice retorico e strategie comunicative dei pastori

693

Giulio Paulis

La poetica del pastore

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Anna Saderi

Il pastore e la pastorizia nell’iconografia artistica

739

Cecilia Mariani

«Come un’immagine dell’Odissea»: sulle rappresentazioni fotografiche del pastoralismo sardo

759

Gino Satta

L’eterno presente e la mitologia dell’Isola senza tempo. Il mondo dei pastori come identità filmica sarda, esaltata o rimossa

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Gianni Olla

Glossario

793

Bibliografia e sitografia

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Formaggio e pastoralismo in Sardegna. Storia, cultura, tradizione e innovazione

l volume Formaggio e pastoralismo in Sardegna. Storia, cultura, tradizione e innovazione rappresenta un’importante tappa del percorso di conoscenza e comprensione della cultura materiale e immateriale sarda. Cultura comprensiva dell’antica sapienza tradizionale, ma anche dell’innovazione tecnologica per il miglioramento della produzione e del lavoro. Scrivere del Formaggio e del Pastoralismo in Sardegna, pertanto, pone una questione non soltanto concreta e fondamentale sulle pratiche del fare, ma anche di natura culturale. Concerne infatti, oltre gli aspetti essenziali riguardanti l’organizzazione aziendale, la politica economica, le scelte di comunicazione, la tutela delle biodiversità e dei marchi, proprio la Sardegna nella sua interezza, il suo universo culturale e artistico e il suo etnos con il relativo bagaglio di feste, ritualità, codici, valori e mondi simbolici. Assume, inoltre, nella formazione e nell’immaginario collettivo, un significato ancora più ampio che abbraccia il sistema etico radicato in un’antica civiltà che nel comunitarismo e nella solidarietà aveva i suoi punti di forza, nel rispetto della parola data e nel coraggio nell’affrontare le avversità il segno del valore dell’individuo. Dire del mondo pastorale in Sardegna, infatti, significa affrontare un sistema complesso, che trascende la cultura materiale e il suo portato economico, pur primari, per interessare il nerbo stesso della civiltà dei Sardi. Abbraccia però anche le nuove prospettive e le potenzialità di sviluppo, che, in un momento di grave crisi del sistema, attingono a una risorsa storica di sempre e da essa traggono nuova linfa. È sì una cultura antica, infatti, quella della pecora e del pastore, strettamente connessa alla sopravvivenza stessa dei Sardi, in cui il latte, la pelle, la carne, la lana, le ossa e lo stesso sterco della pecora, tutto poteva essere ed era utilizzato per la vita quotidiana, ma è proprio in una moderna rilettura che tale cultura identitaria può sopravvivere. Rivisitazione che non deve avere nulla a che vedere con “l’invenzione

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della tradizione”, con la riproposizione tout court di antichi costumi e modalità pastorali a uso turistico o volgarmente commerciale, ma che, a partire dalla valorizzazione delle peculiarità e delle biodiversità, ne declini in modo nuovo e utile la secolare sapienza. In quest’ottica è stato pensato questo nuovo libro che, come i precedenti, si avvale di numerosi e autorevoli contributi (48 saggi e 28 dettagliate schede sui formaggi tradizionali) di studiosi e specialisti delle singole discipline. I temi affrontati vanno dall’archeologia alla storia, dalla trattatistica giuridica all’analisi antropologica e delle tradizioni popolari, dall’esame degli aspetti sociologici a quelli linguistici, artistici e culturali, fino alle più recenti arti della fotografia e del cinema. Gli aspetti tecnico-scientifici ed economici sono affrontati a partire dalle tipologie delle razze fino alla programmazione politica, attraversando i passaggi fondamentali della produzione del formaggio e dell’allevamento, delle innovazioni introdotte sia sul piano industriale sia nella conduzione delle piccole e medie aziende. Una particolare attenzione si è dedicata alle peculiarità e alle biodiversità considerate come punti di forza su cui agire per una crescita al contempo capace di essere competitiva e rispettosa del territorio: la rivalutazione del pascolo, ad esempio, come possibilità di utilizzo delle risorse delle differenti specificità vegetali presenti, finalizzata a ottenere una qualità superiore del latte. È noto come la Sardegna detenga il patrimonio ovi-caprino e il sistema pastorale più significativi d’Italia e una cultura pastorale millenaria (anche “esportata” attraverso la “transumanza lunga” oltre Tirreno, argomento di cui si dà ampio conto in uno dei saggi). Questi fattori dovrebbero consentirle di costruirsi una visione progettuale intorno a cui conciliare tradizione e innovazione in una saldatura armonica che non sacrifichi né la qualità dei prodotti e dell’ambiente, né la possibilità di un maggior benessere sociale per i Sardi. Il volume vuole dare un contributo in tale direzione.

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Aspetti archeologici, storici e trattatistica giuridica



Per un’archeozoologia del mondo pastorale Barbara Wilkens

e pecore e le capre domestiche, che oggi vivono in ogni parte del mondo, hanno la loro origine nel Vicino Oriente, quando nell’VIII millennio a.C. le popolazioni che abitavano nell’area che va dall’attuale Palestina, attraverso la Siria e la Mesopotamia, fino alle pendici dei monti Zagros, passarono da un’economia di caccia e raccolta a una di produzione del cibo (BÖKÖNYI 1974; HELMER 1994). La domesticazione riguardava sia gli animali che le piante con un’agricoltura allo stadio iniziale e una forma di protoallevamento. Nell’area vivevano infatti gli antenati selvatici di pecore e capre domestiche: il muflone Orientale e l’egagro. Anche altre specie come l’uro e il cinghiale furono addomesticati in questo periodo originando i bovini e i maiali. Il nuovo stile di vita portò anche all’uso della ceramica e a una maggiore sedentarizzazione, dando origine alla cultura neolitica. Nella prima fase della domesticazione, gli animali erano destinati alla produzione di carne. Successivamente si scoprirono e cominciarono a essere sfruttati i prodotti secondari. In particolare il latte per la pecora e la capra e in seguito lana e pelo. La produzione di latte può essere dedotta sia dal ritrovamento di oggetti che raffigurano operazioni di mungitura, che dallo studio delle età di abbattimento degli animali. Si ritiene infatti che per aumentare la produzione di latte utilizzabile dall’uomo sia necessaria l’uccisione degli agnelli in età perinatale. Tuttavia non si può escludere un moderato consumo di latte da parte dell’uomo anche mantenendo in vita gli agnelli. In special modo quello della capra era considerato nell’antichità di particolare importanza per l’allevamento dei bambini in caso di assenza o scarsità di latte materno. Lo stesso si può dire per la lana. Il muflone Orientale, e anche quello Sardo, hanno il pelo di lunghezza molto modesta, più lungo e folto in inverno, che muta due volte all’anno. La comparsa di razze ovine con vello lungo e lanoso avviene già in una fase antica e la prima immagine di pecora

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Cacciatore sardo con muflone ferito, cartolina postale illustrata dei primi del ’900. Antenato selvatico delle pecore, il muflone Sardo deriva da quelle specie domestiche che nel Neolitico sfuggirono in parte al controllo dell’uomo originando popolazioni inselvatichite i cui discendenti sono tuttora in vita.

lanosa risale al 5000 a.C. e proviene dall’Iran (BÖKÖNYI 1974). Dal punto di vista della mortalità, la produzione di lana porta ad abbattimenti in età più avanzata rispetto a un allevamento per la carne o per il latte. In genere nella preistoria postneolitica si instaurano tipi di allevamento a triplice attitudine, con un picco di mortalità poco dopo la nascita (produzione di latte), un altro picco al raggiungimento dell’età adulta sui due anni (carne e pelli) e un buon numero di animali maturi e anziani (riproduzione e lana). Altri prodotti di interesse per l’uomo potevano essere l’osso e il corno per la fabbricazione di attrezzi e oggetti vari. Frantumando le ossa lunghe si ricavava il midollo, utilizzato almeno fino all’età romana per il trattamento delle pelli. Con l’espansione delle popolazioni del Neolitico antico pecore, capre e altra fauna domestica furono importate in Europa e anche in Sardegna, in un momento di crisi faunistica dell’Isola, quando le risorse alimentari erano molto ridotte e la cacciagione era limitata a un mammifero di piccola taglia, il prolago, e agli uccelli. L’arrivo delle genti neolitiche con la loro fauna domestica e l’economia legata all’agricoltura e all’allevamento, segnò una svolta anche nella situazione ambientale. Alcune specie domestiche sfuggirono in parte al controllo dell’uomo originando popolazioni inselvatichite. In particolare gruppi di pecore tornate allo stato selvatico diedero origine ai mufloni i cui discendenti sono tuttora in vita. Questo fenomeno del ritorno allo stato selvatico di pecore e capre neolitiche è comune ad altre isole del Mediterraneo ed è stato possibile perché queste specie di domesticazione molto recente, ancora presentavano caratteristiche vicine a quelle della forma selvatica. Ancora oggi sopravvivono mufloni oltre che in Sardegna, in Corsica e a Cipro, e capre molto vicine all’originario egagro, a Creta. La disciplina che più direttamente può studiare lo sviluppo del pastoralismo in Sardegna, da quando pecore e capre furono introdotte nell’Isola nel Neolitico,

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1. Cavicchia ossea maschile di capra dal pozzo di via Turritana a Sassari, età moderna (sec. XVIII). La cavicchia costituisce la parte interna del corno di capre, pecore e bovini. Le corna venivano tagliate alla base per il recupero dell’astuccio corneo esterno utilizzato per la fabbricazione di oggetti vari. Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro. 2. Cavicchia ossea di ariete domestico dal pozzo sacro della Purissima presso Alghero risalente al periodo romano. Rispetto al muflone maschio, gli arieti domestici hanno corna meno robuste. Gli ovini costituivano, in età romana, uno dei principali animali da sacrificare nei diversi rituali. Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro.

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è l’Archeozoologia. Particolarmente sviluppati negli ultimi venti anni, gli studi archeozoologici permettono ormai di dare un quadro significativo del rapporto tra uomo e animali, anche se persistono molte lacune nel tempo e nello spazio. In Sardegna i siti del Neolitico antico sono scarsi e poco studiati dal punto di vista archeozoologico. Numerosi resti di caprini non meglio identificati provengono dai livelli del Neolitico antico della grotta Filiestru presso Mara (LEVINE 1983), mentre nella grotta Su

Coloru di Laerru sono state individuate sia la pecora che la capra (MASALA 2011). Il materiale neolitico della grotta Corbeddu è stato pubblicato solo in via preliminare (SANGES 1987). In quest’ultimo sito risultano presenti sia la capra che la pecora ed è stato identificato anche il muflone. Descrizioni morfologiche e metriche sono disponibili solo per la grotta Su Coloru mentre mancano dagli altri siti. La pecora era di taglia abbastanza grande con altezze al garrese fino a 70,6 cm, secondo il calcolo con i coefficienti di M. Teichert (DRIESCH VON DEN, BÖSSNECK 1974). Le femmine erano acorni mentre i maschi avevano corna robuste. La sua morfologia non doveva essere molto diversa da quella dell’attuale muflone Sardo, anche se le corna maschili sono in genere meno robuste. Queste caratteristiche morfologiche rispecchiano quelle delle pecore del Neolitico antico provenienti da località della penisola italiana, più studiate e meglio conosciute (WILKENS 1996a). La morfologia resta invariata nel Neolitico medio di cultura Bonu Ighinu dello stesso sito. Dalla grotta Verde di Capo Caccia presso Alghero (WILKENS 2012) proviene un numeroso gruppo di caprini, in gran parte pecore. Il materiale studiato, derivante dai vecchi scavi, è da attribuire alla cultura di Ozieri, con elementi Bonu Ighinu, quindi Neolitico medio e recente. Le caratteristiche delle pecore sembrano diverse da quelle dei siti più antichi. Le femmine sono acorni o hanno corna di modeste dimensioni. Non si conoscono le caratteristiche del cranio maschile, salvo per alcuni frammenti di crani giovanili nei quali le cavicchie non sono ancora del tutto sviluppate. L’altezza media è di 62,9 cm con variabilità da 57,3 a 68,8. Nella grotta Verde pecore e caprini indeterminati risultano macellati in diverse fasi di età, ma abbondano i giovani, anche in età perinatale. Se questo potrebbe far pensare a un interesse per la produzione di latte, non bisogna dimenticare che si tratta probabilmente di un sito cultuale che non può essere preso come indice di una tendenza economica. Il materiale della grotta Verde e di altre grotte della Sardegna è stato in parte analizzato nell’ambito del progetto finanziato dalla Regione Autonoma Sardegna (CRP-60215 “Conservazione e valorizzazione delle grotte sarde: biodiversità e ruolo socioeconomico”). Le capre sono scarse in tutti i siti e le loro caratteristiche sono poco note. Dalla grotta Verde provengono frammenti di cavicchie ossee di forma appiattita.


Riguardo al rapporto percentuale con le altre specie domestiche e selvatiche i caprini (in prevalenza pecore) costituiscono il gruppo più abbondante tra i mammiferi domestici e selvatici di interesse economico per tutto il Neolitico, sia nei siti a carattere abitativo che in quelli cultuali. Solo nel Neolitico medio della grotta Su Coloru assumono maggiore importanza i bovini. Nel Neolitico antico le percentuali dei resti di caprini rispetto agli altri mammiferi di interesse economico sono di poco superiori al 50%, nelle successive fasi neolitiche variano, abbassandosi fino al 34,45% nel Neolitico medio di Su Coloru in seguito alla concorrenza dei bovini, mentre le forti variazioni che si hanno a Sa Ucca de su Tintirriolu (Neolitico medio) (WILKENS 2012) e a Filiestru (Neolitico recente) possono essere dovute alla scarsità del materiale e alla frammentazione eccessiva. Mancano studi su siti abitativi relativi all’Eneolitico: da alcune fosse rituali di Monte d’Accoddi (WILKENS 2012) provengono resti delle principali specie domestiche derivati da sacrifici. Nel caso dei caprini, si tratta di animali di buona taglia, probabilmente arieti. I resti identificabili come capra sono molto scarsi. Si hanno di nuovo dati abbondanti dalla media età del Bronzo, nell’ambito della

cultura nuragica. In questo periodo i caprini, come pure altre specie domestiche, vanno incontro a una riduzione di taglia. Le altezze al garrese della pecora vanno da 49,2 cm al nuraghe Flumenelongu presso Alghero (MASALA 2012b, p. 90) a una massima che non supera i 60 cm. Dal punto di vista morfologico le pecore sono generalmente gracili, con femmine acorni e maschi con corna modeste. Per la capra si ha un cranio frammentario femminile da Serra Niedda con corna appiattite e rivolte indietro. Le corna maschili hanno dimensioni maggiori. Nella maggior parte dei casi i caprini, tra i quali prevalgono sempre le pecore, costituiscono il gruppo più numeroso, anche se in questa fase acquistano importanza i bovini, probabilmente in seguito al loro massiccio utilizzo nei lavori agricoli, nei trasporti e probabilmente anche nell’edilizia. L’allevamento prosegue nei siti indigeni della prima età del Ferro con alternanza tra abitati a prevalente economia pastorale, e altri con percentuali maggiori di bovini e maiali e quindi maggiormente legati all’agricoltura. Nei siti nuragici dell’età del Bronzo e nei siti della prima età del Ferro, le percentuali dei caprini rispetto agli altri mammiferi si abbassano e in molti casi superano di poco il 50%, o sono decisamente al di sotto. Alte percentuali di caprini si hanno

3, 5. Frammenti di cranio maschile di ariete domestico dalla grotta Verde presso Alghero risalenti al Neolitico recente. Il cranio presenta corna robuste a sezione subtriangolare. Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro. 4. Frammento di cranio ovino femminile acorne dalla grotta Verde presso Alghero risalente al Neolitico recente. La perdita delle corna nelle femmine è una delle prime mutazioni che seguono alla domesticazione. Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro. 6. Cavicchia ossea maschile di muflone dal pozzo sacro della Purissima presso Alghero. Se si confronta con la cavicchia di ariete domestico proveniente dallo stesso sito (fig. 2), si nota una maggiore robustezza della forma selvatica. Soprintendenza Archeologica per la Provincia di Sassari e Nuoro.

Cranio maschile di muflone. Il muflone Sardo pur conservando le caratteristiche morfologiche del muflone Orientale è di statura nettamente inferiore. Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio, Sassari.

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Ruolo del formaggio nella nutrizione umana Sebastiano Banni

introduzione dell’allevamento al pascolo è stato un passo fondamentale nel primissimo periodo del settore agricolo, con i prodotti lattiero-caseari rapidamente adottati come un importante componente della dieta dalle comunità preistoriche (EVERSHED, ET AL. 2008). La lavorazione del latte, in particolare la produzione del formaggio, ha rappresentato uno sviluppo fondamentale perché non solo ne permetteva la conservazione in una forma non deperibile e trasportabile, ma rendeva lo stesso latte più digeribile. Il ritrovamento di residui di prodotti lattiero-caseari in vasi di ceramica dal settimo millennio a.C. nella zona nord-occidentale dell’Anatolia ha fornito la prima prova della lavorazione del latte. In particolare, la scoperta di cocci traforati appare nei primi siti neolitici delle zone temperate europee nel sesto millennio a.C. e questi sono stati interpretati come utensili per la lavorazione del formaggio (EVERSHED, ET AL. 2008). I residui organici conservati nei vasi di terracotta hanno fornito la prova diretta dell’utilizzo del latte nel primo Neolitico nel Medio Oriente e in Europa sud-orientale, Nord Africa, Danimarca e nelle Isole Britanniche. La presenza di abbondante materia grassa del latte in questi utensili, paragonabili a quelli impiegati oggi per la lavorazione del latte per fare il formaggio, sottolinea l’importanza della produzione di prodotti lattiero-caseari in comunità agricole preistoriche (SALQUE, ET AL. 2013). Pertanto, questi prodotti hanno fatto parte per millenni dell’alimentazione dell’uomo, influenzandosi a vicenda, adattandosi l’uno alle esigenze dell’altro. L’interazione dell’uomo con i prodotti lattiero-caseari è stata influenzata da diversi fattori, ambientali, climatici e soprattutto economici. Questo ha portato a un’alta variabilità della composizione e di conseguenza delle qualità nutrizionali. Oggigiorno, il consumo di formaggio è ampiamente diffuso in tutto il mondo, tuttavia la sua quantità è molto diversa da paese a paese. In Grecia, Francia, Germania, Italia e in Svizzera il consumo pro capite

L’

L’interazione dell’uomo con i prodotti lattierocaseari è stata, per millenni, influenzata da diversi fattori: ambientali, climatici e soprattutto economici. Tale fenomeno ha provocato un processo di adattamento e scambio reciproco.

medio è di oltre 70 g al giorno; all’altra estremità della scala, ci sono paesi come Messico, Giappone, Ucraina, Sud Africa e Cina, in cui è molto basso (IDF 2007). Tuttavia, il consumo di formaggio è aumentato costantemente negli ultimi anni nella maggior parte dei paesi. Oggi la ragione principale di questo incremento non è la prevenzione della fame ma la fornitura di importanti nutrienti essenziali, i suoi molteplici usi in cucina, e la sua relativamente facile fruizione. Il progresso tecnologico ha portato a una moltitudine di differenti tipi di formaggio sul mercato, che variano in consistenza e sapore. Inoltre, si nota un cambiamento notevole sulla qualità del prodotto e un’attenzione crescente per la sua commercializzazione come alimento funzionale. I prodotti lattiero-caseari sono costituiti principalmente da grassi, proteine e acqua come pure vitamine, minerali e oligoelementi. Il lattosio è presente in quantità significativa solo nei prodotti freschi. Lattosio All’inizio del processo di maturazione del formaggio, il lattosio è parzialmente eliminato con il siero: il resto viene fatto fermentare in acido lattico e ulteriormente in diacetile, acetylaldeyde, acido acetico, etanolo e anidride carbonica. Il fatto che il formaggio stagionato contenga livelli bassissimi di lattosio è un vantaggio per la maggior parte della popolazione adulta. Circa il 70% della popolazione mondiale non può tollerare il lattosio in età adulta; il consumo di latte è seguito da diversi sintomi spiacevoli, come dolori addominali, diarrea, nausea, flatulenza ecc. Tuttavia, non è necessario per queste persone evitare i latticini. Esistono diversi prodotti in commercio “delattosati” e i formaggi stagionati contengono lattosio solo in tracce. Pertanto, le persone intolleranti possono consumare questi formaggi. Inoltre, va sottolineato che l’intolleranza al lattosio non crea danni né reazioni infiammatorie. Al contrario, patologie

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CALLU DE CABREDDU

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u Callu, o a seconda delle zone conosciuto come Caggittu de crabittu o Cazu de crabittu o Callu ’e crapittu, è ottenuto esclusivamente da latte di capra. Non è altro che il caglio, ovvero l’abomaso dei ruminanti, di preferenza lattanti e non ancora svezzati. Il caglio viene normalmente usato per la coagulazione del latte e quindi per la produzione del formaggio. In Ogliastra e in Barbagia invece, l’abomaso ripieno di latte veniva talvolta conservato intero e tenuto appeso fino al suo completo rassodamento dovuto alla coagulazione del latte immesso. In questo modo si otteneva una sorta di formaggio, si potrebbe dire l’antenato del formaggio come lo conosciamo oggi. Anche anticamente la pasta, ricca di enzimi, si utilizzava anche per cagliare il latte da destinare alla trasformazione, da cui il nome che letteralmente in sardo significa ‘caglio di capretto’. A ragione si può dunque dire che questo prodotto faccia parte a pieno titolo della più antica tradizione casearia sarda. Area di produzione In alcune zone agro-pastorali delle provincie di Oristano, Nuoro e Cagliari, ma principalmente Ogliastra e Barbagia. Tecnologia di produzione Su Callu ha una tecnologia di produzione molto semplice e arcaica. Per prima cosa è necessario disporre dell’abomaso di capretti (quarto stomaco) che non siano ancora stati svezzati e che abbiano avuto dunque un’alimentazione esclusivamente di tipo latteo. Solo in questo modo, si potrà avere a disposizione un corredo enzimatico equilibrato e perfettamente idoneo a coagulare il latte e a conferire al prodotto le proprietà ricercate. È inoltre opportuno che, per avere caratteristiche sensoriali elevate, l’animale dal quale è ottenuto l’abomaso abbia appena succhiato il latte dalla madre. In questo caso, oltre agli enzimi normalmente presenti nel caglio, saranno disponibili anche le lipasi pregastriche, la cui secrezione è stimolata dall’atto della suzione dell’animale. Queste, risultano essere selettive nella degradazione della frazione

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grassa (esteri di glicerolo e acidi grassi), liberando, durante la maturazione, acidi grassi a corta catena, in particolare acido butirrico, responsabili del piccante e del sapore tipico del formaggio. L’abomaso, precedentemente svuotato, viene riempito con latte crudo filtrato di capra, legato con spago alimentare e lasciato asciugare in un locale asciutto e ventilato. A questo punto si innescano tutti i processi fisico-chimici attivati dagli enzimi presenti: la coagulazione del latte e la degradazione delle proteine e del grasso fino alla formazione di composti sempre meno complessi che, con il tempo, porteranno all’ottenimento di una crema spalmabile, o con il progredire della stagionatura, a una pasta più dura. La stagionatura può durare da due a quattro mesi; il prodotto, una volta pronto, viene confezionato sottovuoto e avviato alla commercializzazione. Caratteristiche peculiari e fattori di diversità Su Callu è un prodotto praticamente unico nel suo genere, lontano antenato di quello che oggi è il formaggio come lo conosciamo. Ha una crosta liscia, sottile, di colore giallo scuro, e l’interno si presenta come una pasta cremosa, molto piccante, di colore bianco che, col progredire della stagionatura, può assumere una consistenza più o meno dura e friabile. Il peso è di circa 250-400 g. Il gusto, molto pronunciato, gli viene conferito dall’azione degli enzimi naturalmente presenti nel caglio, principalmente proteasi e lipasi, capaci cioè di degradare le proteine e i lipidi. Questi esplicano la loro azione liberando sostanze sempre meno complesse che sono quelle che poi attribuiscono al prodotto il caratteristico gusto piccante.



CAPRINO A PASTA CRUDA

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l Caprino a pasta cruda è un formaggio che viene prodotto esclusivamente con latte di capra. La sua tecnologia di produzione è stata in qualche modo mutuata da quella del Fiore Sardo, formaggio tradizionale dell’Isola per eccellenza, del quale conserva anche la forma. Si può pertanto dire che il Caprino abbia in Sardegna radici antichissime e faccia parte a pieno titolo della tradizione casearia sarda. La popolazione della capra razza Sarda è caratterizzata da una produzione di latte di alta qualità con elevati tenori di proteine e di grasso, soprattutto se ciò è rapportato al difficile ambiente in cui la capra Sarda è indotta a vivere in Sardegna. Così come nel caso del latte ovino, anche la produzione del latte caprino si contraddistingue nell’Isola da una marcata stagionalità, determinata essenzialmente dal sistema di allevamento, fortemente legato al pascolo estensivo. Area di produzione L’intero territorio della Sardegna. Particolarmente importanti risultano le zone collinari e montuose della Gallura, dell’Ogliastra, del Sarrabus e del Sulcis.

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Tecnologia di produzione La produzione del Caprino a pasta cruda è condotta sia a livello artigianale sia a livello di caseificio industriale. Nel primo caso l’allevatore-produttore trasforma il latte intero e crudo, prodotto esclusivamente dalle proprie greggi, generalmente senza aggiunta di fermenti lattici. Il processo inizia con la filtrazione del latte eseguita mediante un telo direttamente nella caldaia in rame, nella quale viene portato a una temperatura di 3035°C circa e addizionato con caglio in pasta di capretto. L’intero procedimento di coagulazione (tempo di presa e rassodamento della cagliata) si conclude in 30 minuti circa. Si procede quindi alla rottura della cagliata, operata con l’aiuto di uno spino di legno o, in alcuni casi, anche con le mani, onde ottenere granuli delle dimensioni di un chicco di riso. A questo punto si sospende l’agitazione per consentire il deposito dei granuli di cagliata sul fondo della caldaia. Rassodata, la massa caseosa viene estratta, tagliata in porzioni più o meno grandi e trasferita


negli stampi, dove, una volta colmi, si provvede ad aggiungere altra pasta fino a quando diventa alta il doppio rispetto all’altezza dello stampo e quindi, con successive manipolazioni, viene pressata per facilitarne lo spurgo. In seguito le forme sono sottoposte a scottatura tramite immersione nella scotta a 60-70°C. La salatura, effettuata per immersione in salamoia satura, dura 24-48 ore in funzione del peso delle forme, le quali, successivamente, vengono disposte su ripiani in legno o canne e affumicate per circa 10-15 giorni con fumo prodotto dalla combustione di legno di leccio o di essenze della macchia mediterranea (corbezzolo, cisto, erica). La stagionatura si protrae per circa 6-8 mesi e viene realizzata a temperatura ambiente in locali seminterrati. Quando sulla superficie si crea la caratteristica muffa, la forma viene lavata con aceto e sale, quindi lasciata asciugare e spennellata con olio di oliva o morchia. Questo trattamento viene ripetuto fino a 4-5 volte durante il periodo complessivo della stagionatura. Nel caso della produzione industriale, le maggiori differenze riguardano: il latte, in quanto non proveniente da un singolo gregge, ma da bacini di raccolta più o meno vasti; il trattamento termico (termizzazione) del latte; l’utilizzo di un innesto di fermenti lattici; l’utilizzo di caglio, liquido o in polvere, di vitello; la mancanza totale dell’affumicatura; le condizioni di stagionatura ecc.

Caratteristiche peculiari e fattori di diversità Il Caprino a pasta cruda ha generalmente una forma a “schiena di mulo” con scalzo convesso nel prodotto artigianale, mentre è cilindrica in quello industriale. Il peso varia da 1,5-3,5 kg. La crosta è dura e di colore giallo che, con il progredire della stagionatura, diventa bruno scuro nel formaggio tradizionale, mentre è più chiara in quello industriale. La pasta è bianca con occhiatura diffusa e minuta. Il sapore, piccante e aromatico, è caratterizzato fortemente dal classico gusto ircino. I fattori che rendono “diverso” questo prodotto sono molteplici. Innanzitutto la specie, la capra infatti produce un latte con caratteristiche nutrizionali e organolettiche del tutto peculiari. Nel caso del prodotto tradizionale, essendo ottenuto da latte crudo, le caratteristiche aromatiche del latte di partenza e il legame con il territorio sono conservati al meglio. La tipologia dei pascoli degli allevamenti caprini in Sardegna presenta un’elevata variabilità legata alle differenze ambientali del territorio. L’alimentazione è costituita dal pascolo di arbusti, nelle zone montane, oppure dal pascolo integrato con erbai, concentrati e fieno, nelle zone costiere. L’allevamento è sempre di tipo estensivo, per cui gli animali pascolano le diverse essenze della macchia mediterranea che conferiscono al latte qualità organolettiche di alto pregio. È opportuno infine ricordare che l’allevamento della capra risulta in Sardegna sempre piuttosto marginale rispetto a quello della pecora.

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Paesaggio agropastorale: sviluppo e compatibilità ambientale Ignazio Camarda

Premessa a Sardegna, come gran parte delle aree del Mediterraneo, ha una lunga tradizione agropastorale legata alle vicende storiche dei popoli che si sono succeduti o sovrapposti nel suo territorio. Il paesaggio pastorale è riconoscibile soprattutto attraverso la toponomastica, oltre che per la presenza degli animali al pascolo. I termini anzonile, campu, casa, crapile, cunzau, cuile, domo, furriadroxiu, mandra, masone, medau, meriagu, passivale, pinnetta, tanca, tentorzu, con le loro varianti delle parlate locali, sono distribuiti in tutto il territorio e indicano spesso una presenza di lunga durata degli insediamenti pastorali. È verosimile che anche in Sardegna, come i re pastori biblici e dell’antica Grecia, i principi sardi fossero ugualmente pastori. La presenza di animali d’allevamento come pecore, capre, suini, equini e bovini, così come quella del muflone, considerato una sorta di emblema della Sardegna, e del cervo è ben documentata dai bronzetti, ed è di gran lunga precedente al periodo romano. Cavalli e asini, utilizzati soprattutto per il trasporto di persone e cose, erano poco numerosi, legati alle esigenze familiari e alla conduzione aziendale. Nella pratica di allevamento né il cervo, né il daino, né il muflone, vista anche la loro etologia, sono stati oggetto di domesticazione, a favore delle maggiormente malleabili capre e pecore. Un caso a parte è dato dai maiali, allevati sempre allo stato brado nelle aree più impervie coperte da specie ghiandifere e poco favorevoli al pascolo delle pecore o delle capre. Il ghiandatico, legato soprattutto all’allevamento dei suini domestici, è uno degli usi civici esercitato dalle popolazioni in modo importante sino a pochi anni orsono, ma è tuttora vigente in poche realtà dell’Isola, come nei Supramonti calcarei della Sardegna Centro-orientale.

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Pascolo tipico di molte aree dell’Isola, caratterizzato da querce e cotica erbosa idonea all’alimentazione di ovini e bovini. Nuoro.

Piante e animali Gli erbivori, per definizione, si nutrono di piante. Erbe, suffrutici, arbusti, alberi sono oggetto della loro attenzione e, mostrando

marcate preferenze, riconoscono le varie specie e scelgono in modo tale da incidere sul paesaggio vegetale. Così è possibile individuare un territorio soggetto al pascolo da parte di pecore, di capre, di bovini e/o di suini. Le cose sono alquanto complesse quando sullo stesso territorio insistono i diversi animali domestici che si alimentano con differenti modalità provocando un certo impatto sulla vegetazione e sul suolo. Questi, infatti, esercitano la loro azione non solo sulle piante, ma anche sul suolo, sia con il calpestio di bovini, caprini e ovini, compattandone la struttura, sia con il rivolgimento degli strati organici da parte dei suini. Si può affermare che molto spesso gran parte del manto vegetale è condizionato dal pascolamento degli animali domestici. Conseguentemente il paesaggio appare legato a essi e la mancanza o rarità di costruzioni non significa che non siamo di fronte a un paesaggio di origine antropica. Solamente le aree più impervie delle falesie calcaree, pareti basaltiche e accumuli di massi di porfidi delle aree montane possono essere escluse dal paesaggio pastorale, indipendentemente dalle occasionali incursioni degli animali domestici. Suolo, animali e pascolo La fertilità dei suoli e la conseguente potenzialità di pascolo hanno orientato l’allevamento e l’insediamento umano sin dal periodo nuragico. Un caso particolarmente evidente è rappresentato dall’area di San Pietro nel Golgo di Baunei, in cui i suoli su substrato basaltico mostrano una grande ricchezza di insediamenti nuragici contrariamente alla circostante area dei calcari mesozoici. Analogamente, la diffusione dei nuraghi nella catena del Marghine-Goceano e nelle colate basaltiche della piana della Media Valle del Tirso è molto più ricca rispetto alle circostanti aree alluvionali delle sabbie grossolane. Simile riscontro, solo per citare qualche esempio, si ha nel Meilogu o nella Marmilla. Pastori e paesaggio pastorale quindi, accanto alle colture cerealicole

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estensive, dal periodo punico e romano hanno acquisito sempre maggiori spazi non senza contrasti, come dimostrano le tavole di Isili che ci raccontano delle antiche regole per l’attività agricola e pastorale, nel tentativo di rispondere alle esigenze sia del pascolo sia dell’agricoltura in una sinergia non sempre possibile e rimasta troppo spesso conflittuale. Il pastoralismo nel periodo nuragico è attestato dai mirabili bronzetti di tori, arieti e dalle numerose immagini umane, di cui la figura ieratica del pastore, avvolto

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dal suo mantello con in mano un lungo bastone di ginepro feniceo, può essere considerato emblematico della più antica attività dell’Isola. Sono altresì numerosi i bronzi che rappresentano buoi e cervi. Durante quasi quattromila anni di storia le vicende che si sono succedute hanno visto crescita e decrescita della popolazione, con un interesse superiore ora per l’allevamento ora per le colture cerealicole, ma sempre con l’incombenza del pascolo brado su tutto il territorio. Forse ad allora dobbiamo la nascita del


sistema di paberile-vidazzone che è durato sino alla prima metà del secolo scorso, quando in tutta la Sardegna la crisi cerealicola, di fronte agli approvvigionamenti del grano statunitense e argentino, ha visto il pascolo occupare maggiormente spazi abbandonati dalle colture estensive. Le doline del Monte Albo, le cenge dei monti di Dorgali, ma anche le fertili vallate della Media Valle del Tirso, l’Anglona e la Piana di Ozieri, la Campeda, il Campu Giavesu e gran parte della

Marmilla oggi vedono soprattutto allevamento brado o semibrado. Muflone, cervo, daino, sia per l’esiguità del loro numero, sia per il maggiore equilibrio che si instaura in rapporto alle risorse, nell’impatto sulla vegetazione hanno avuto un ruolo pur sempre contenuto. Allo stesso tempo, oggi si assiste alla forte espansione del cinghiale sia per la progressiva estensione delle macchie e dei boschi, sia per l’abbandono delle campagne. Un ruolo meno attivo è esercitato dai maiali, in genere in numero

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