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FIORENZO Lamiaterra SERRA èun’isola
Copertina Fiorenzo Serra:Copertina La mia terra è un'isola stesa
FIORENZO SERRA
Lamiaterra è un’isola ISBN 978-88-6202-063-3
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Fiorenzo Serra La mia terra e? un'isola:Layout 3
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Grafica copertine volume e DVD Aurelio Candido Restauro ed elaborazione digitale Karel Stampa Lito Terrazzi
I documentari sono stati appositamente sottotitolati in italiano e inglese, le traduzioni in inglese sono di Susan Scott
Si ringraziano per la preziosa e puntuale collaborazione Manlio Brigaglia e i figli del regista Antonio, Paolo e Simonetta Serra
Š 2010 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it ISBN 978-88-6202-063-3
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Indice
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La Sardegna di Fiorenzo Serra Manlio Brigaglia
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Il viaggio di Fiorenzo Serra nel cinema documentario Gianni Olla
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Un’enciclopedia cinematografica della Sardegna Antioco Floris
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Pastori e contadini: passato e presente Giulio Angioni
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L’architettura popolare Antonello Sanna
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La musica nei documentari di Fiorenzo Serra Gian Nicola Spanu
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Fiorenzo Serra, bio-filmografia di un regista Salvatore Novellu
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La mia terra è un’isola, schema di montaggio
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Fiorenzo Serra, filmografia
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leggeva: voleva fare solo l’attore, e Liliana Cavani l’aveva già contattato per il suo San Francesco), nel quale furono dedicati alcuni passaggi alla Sardegna “nuova” che nasceva in quegli anni. Olla ha parole molto severe per questa versione, pure riconoscendo la suggestione di alcune parti (la peschiera di Cabras, il matrimonio barbaricino, le testimonianze dei pastori sulle radici del banditismo, i volti degli emigrati sotto la nave che li porterà in Continente) che trova «commoventi e drammatiche», ma non c’è dubbio che il film resta come l’opera di cinema documentario più importante e più “vera” che sia stata prodotta in Sardegna negli “anni della Rinascita” (e forse anche dopo: e pazienza se non starebbe a me dirlo). Nel 1966 questa edizione, che fu l’unica che ebbe una qualche circolazione pubblica, fu presentata al Festival dei Popoli di Firenze dove vinse il prestigioso Premio Agis; a Nuoro nel 1992, l’opera, riportata alla primitiva stesura del 1964, vinse il Festival Internazionale di Cinema Etnografico. Il terzo periodo si apre con le peripezie del film, che Serra dovette smontare e rimontare per rispondere alle esigenze dei committenti e poi per cercare di trovare un distributore. Il distributore non si trovò e Serra dovette fronteggiare il problema di fare rientrare i propri capitali investiti in un’opera alla quale voleva affidare, come dire?, il suo messaggio fondamentale. Della soluzione trovata, Serra, che aveva dovuto accettare perché pressato da esigenze di bilancio, non fu mai contento. Il produttore Elio Gagliardo, proprietario della romana Corona Cinematografica, gli comprò in blocco il film a patto che lo stesso Fiorenzo lo sezionasse in una serie di “pezzi” da immettere sul mercato del cinema documentario, nel quale intanto era cambiata la legge delle provvidenze governative ma che continuava a fruttare soprattutto a chi vi era più introdotto. L’operazione che si chiedeva, peraltro, non era difficile. Il film, infatti, era stato sin dall’inizio costruito come una sequenza di “capitoli”, dedicati ciascuno a uno dei problemi storici della Sardegna (della storia passata ma anche della rovente storia di quegli anni), e dal lungo lavoro fatto per la preparazione del film maggiore poteva essere ricavato molto materiale girato ma non utilizzato. Nacque così, tra il 1966 e il 1968, una serie di undici documentari, tutti figli dell’Ultimo pugno di terra che sono, anche per questo, fra le cose più belle di Fiorenzo Serra (quando si parla del suo cinema l’aggettivo “belle” vuol dire insieme “poetiche” e “veritiere”): Il pane dei pastori e Matrimonio in Barbagia ebbero anche dei premi abbastanza importanti in festival stranieri – uno, ricordo, a Zagabria. Serra non ci faceva caso, perché la vendita obbligata del “suo” film glielo aveva reso quasi estraneo: c’era da scontare persino quello che lui considerava il trattamento ingeneroso di Gagliardo, che in qualche occasione tenne per sé anche le coppe di quei premi. Quasi per dispetto volle lasciare inalterato il mio cachet quando fui chiamato a “riprendere” i testi del film. Con Fiorenzo, del resto, a parte il grande affetto e la complicità dello stare insieme che ci legava (e mi legava ad Elio) avevo cominciato a lavorare già prima che finisse la collaborazione di Pinna e Motta. Mi aveva fatto una breve, sintetica serie di lezioni sul “mestiere” di scrittore di testi parlati, fissando non più di tre-quattro regole utili a far somigliare il più possibile a quello che lui, il regista, aveva in testa. I fratelli Serra stavano a Roma, dove Fiorenzo lavorava in uno stabilimento del Luce ricavato alle spalle delle
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7-12. Fotogrammi da Gli spigolatori della laguna (riprese del 1960-62)
Terme di Diocleziano, dalle parti di piazza Esedra. Il loro albergo era in una viuzza affacciata su piazza Barberini, in una via e un hotel omonimi alla piazza. Chi ci arrivava per la prima volta, impressionato dal nome “Barberini”, restava ancora più colpito dalla dignitosa modestia dell’albergo. Che però era una grande famiglia, e i Serra ci stavano come figli prediletti: tant’è che il Luciano Pini che firma una delle regie di Serra è in realtà uno dei figli dei proprietari dell’albergo. 15
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53-56. Fotogrammi da Desulo. Un paese fra i boschi (riprese del 1954)
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in un tempo diverso e straordinario, sacro, si svolge anche in un luogo unico, cioè nel santuario isolato e solitario che solo nei giorni di festa diventa luogo di convegno affollato. Le sagre tradizionali erano dunque, a parte gli aspetti puramente religiosi e devozionali, un associarsi e un organizzarsi per fornire anche quei servizi che oggi diciamo del tempo libero e del divertimento: momenti emergenti della partizione lavorativa (l’annata agropastorale) e religiosa (l’anno liturgico) del tempo, queste feste a ricorrenza annua si distinguono ancora in parte per la partecipazione collettiva della popolazione. La gente vi agisce secondo regole da tutti conosciute, che tutti soprattutto in passato padroneggiavano, senza distinzioni significative di ceto, di sesso e di età, se non per quanto riguarda certi compiti specifici, per esempio quelli riservati a uno dei due sessi, a certe classi d’età, ai celibi o agli sposati.15 Siccome, come vedremo meglio, oggi diventano sempre più occasioni di turismo festivo e religioso o di turismo puro e semplice, non è un caso che le feste o sagre sarde più note, da Sant’Efisio a Cagliari alla Cavalcata Sarda di Sassari, dal Redentore a Nuoro al Rimedio di Oristano e all’Ardia di Sedilo, contengano in sé tutti questi aspetti, dal tradizionale folkloristico al religioso genuino, con l’aspetto turistico-spettacolare sempre più in primo piano. Molte altre però, specialmente quelle che si svolgono presso i santuari siti in luoghi elevati, sono più conservative e anche più resistenti all’innovazione, anche quando il mutamento è indotto proprio dai modi nuovi del turismo religioso, oltre che di quello vacanziero, incline a inglobare nei suoi “pacchetti” sardi anche le feste un tempo considerate più esclusive di questo o di quel luogo. È nel senso comune indicare anche il turismo (lodandolo o accusandolo) tra le cause di mutamento. E in effetti il turismo muta drasticamente i modi di vita anche in Sardegna, il turismo interno non meno di quello esterno. Oggi le attività turistiche, oltre che intraprese lavorative, sono anche qui la parte maggiore del tempo libero, che fino a ieri era soprattutto tempo sacro, sagra: il turismo l’ha reso profano, era comunitario e l’ha reso privato. Tanto che si può dire, non troppo paradossalmente, che il turismo in Sardegna ha introdotto la pratica del tempo libero. Dal punto di vista del rapporto tra vecchio e nuovo e della forte mutazione è utile riflettere sul fatto che il catastrofismo e la vertigine da fine del mondo, da apocalisse culturale, sono stati visti e usati come espediente analitico nel caso delle conseguenze del turismo sardo.16 Anche il turismo in Sardegna si alimenta molto del richiamo a una tradizione popolare di solito definita e pretesa genuina. Niente di particolare in questo. Solo che specialmente in luoghi come la Sardegna si pretende di offrire intatto proprio ciò che il turismo più contribuisce a intaccare. Alla disponibilità del turista si riserva e si volge il “portatore” locale di sardità, che si adatta a diventarne simbolo anche come persona, recitando così spesso la parte del sardo verace. Ciò non impedisce che molti ricavino anche da questi aggiornamenti un divertimento genuino, misteriosamente, eppure constatabile, quando anche qui una certa industria turistica ripropone il “tradizionale” per divertire, meravigliare, per muovere magari alla nostalgia, più spesso finge anche d’istruire e d’informare, usando il
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69-72. Fotogrammi da I Merdules di Ottana (riprese del 1957-61) 73-74. Fotogrammi da I Mamuthones (riprese del 1957-60)
gruppo folk che danza e canta “alla sarda”, adattando al gusto medio turistico soprattutto sagre paesane e carnevali,17 gastronomia “tradizionale” e così via. Una sorta di spettacolarizzazione turistica stanno infatti subendo molte attività del tempo libero festivo. La Sartiglia di Oristano è probabilmente la più frequentata manifestazione carnevalesca sarda, sebbene siano altrettanto noti carnevali “interni” come quelli 55
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nel presente come probabilmente anche nel passato (sulla pesca negli stagni si veda il DVD Gli spazi della solitudine – che contiene due documentari – e in particolare Gli spigolatori della laguna). Come altrove nel Mediterraneo, anche in Sardegna, la pesca di stagno, e quindi di peschiera, ha garantito per millenni abbondanza e rinomanza del pescato. In larga parte della Sardegna centro-meridionale i pesci della famiglia dei muggini spesso si denominano collettivamente pisc’e Oristanis, “pesci d’Oristano”, e s’intendono di stagno. Ci sono dunque molte buone ragioni che spiegano perché proprio questi stagni costieri siano stati oggetto di forme varie di appropriazione, pubblica e privata, e quindi anche oggetto di gestione da parte dei poteri eminenti esterni e locali, come il ceto feudale fino a pochi anni addietro, o i conventi di religiosi di varia provenienza, che anche da una tale ricchezza sono stati attirati nell’isola a stanziarsi in un determinato luogo, come fanno fede i cartulari conventuali sardi medievali, i condaghi, da dove risultano donazioni a conventi sotto forma di concessioni di pesca o di versamento di parti del pescato (com’è accaduto fino a circa un secolo fa a Cabras rispetto al convento e poi alla parrocchia di Santa Maria di Bonarcado). La concessione, l’acquisizione, il controllo, lo sfruttamento e i rapporti di lavoro della pesca nelle lagune costiere dell’Oristanese sono stati infatti una sopravvivenza notevole e anacronistica del feudalesimo in Sardegna, non solo per quanto riguarda le relazioni tra proprietari o concessionari e lavoratori, ma anche per quanto concerne l’organizzazione del lavoro, tipicamente gerarchizzata lungo una piramide che si teneva salda garantendo qualche privilegio a chi stava più sopra a scapito di chi stava più sotto, con qualche possibilità di mobilità al suo interno, in virtù dell’età e dell’esperienza, o in virtù di quanto il padrone e i suoi agenti si fidavano dei singoli dipendenti. L’antico sistema di dipendenza e di organizzazione di tipo feudale, infranto nella seconda metà di questo secolo prima nello stagno di Santa Giusta e poi in quello di Cabras dopo decenni di contrapposizione e di lotte tra “proprietari”, pescatori e Amministrazione regionale, ha lasciato spazio a precarie cooperative di pescatori, peraltro già esistenti prima dell’acquisizione degli stagni da parte dell’ente locale Regione.
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Feste Ai tempi delle riprese di Fiorenzo Serra, ma in buona parte ancora oggi, in monte, in piano e in colle, è bene individuabile un periodo dell’anno in cui si celebravano festività locali che hanno sempre unito sacro e profano in una forma particolare e tradizionale di uso del tempo libero. Era, e ancora è, il periodo delle sagre estive. Più in generale in Sardegna si organizzano e si svolgono, tra la primavera e l’autunno, le feste maggiori dei paesi e delle città, patronali o meno. Di questo grande complesso di festività fanno parte anche le sagre campestri, spesso sagre sul monte, non di rado in luoghi impervi e solitari. Queste feste popolari oggi sono più o meno toccate dalle innovazioni indotte dal turismo e dalla conseguente spettacolarizzazione delle festività tradizionali, che tocca specialmente sagre e carnevali. Nella capitale dell’isola, a Cagliari, la sagra urbano-rurale di Sant’Efisio
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81-82. Fotogrammi da La novena (riprese del 1967) 83-84. Fotogrammi da Peregrinando fra i santuari (riprese del 1953-56) 85-86. Fotogrammi da La novena (riprese del 1967)
è oggi, dopo quella pasquale, la seconda prova generale dello stato delle fortune turistiche della Sardegna. Questa festa, non solo cittadina ma anche campestre e paesana – sia per i paesi che vi sfilano in rappresentanza e sia per i paesi che il pellegrinaggio attraversa –, può considerarsi, ancora più che nel passato, il vero e proprio inizio urbano e solenne del periodo delle sagre sarde tradizionali, e dell’estate balneare turistica. 61
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Tra la primavera inoltrata e il tardo autunno, dunque, si celebravano e/o si celebrano in Sardegna le feste maggiori dei paesi e delle città, patronali o meno. Se per l’intera Sardegna potremmo indicare come inizio approssimativo del periodo delle sagre estive, campestri o meno, proprio una festa come quella di Sant’Efisio del primo di maggio, per le zone interne, e in particolare per le aree montane, la festa di San Giovanni Battista il 24 giugno, solstizio d’estate, che fa ciclo unico con quella di San Pietro e Paolo il 29 giugno, è un inizio più preciso; e si potrebbero poi indicare come termine certe festività della fine di settembre e dei primi di ottobre, quando tra l’altro, fino a pochi anni fa e in qualche misura ancora oggi, chiudevano e reiniziavano le annate agropastorali, col rinnovo di contratti di affitto, di soccida e di mezzadria. Al centro di questo periodo delle sagre estive stanno le festività di mezzo agosto, con l’Assunta soprattutto, cristianizzazione del ferragosto (le romane feriae Augusti ). In tempi e in luoghi in cui anche nell’ambito del divertimento e del tempo libero tutto si vende e tutto si compra, queste festività tradizionali sarde, soprattutto dei paesi, nonostante che sui luoghi della festa troneggino spesso le macchine del luna park e della musica elettronica, riescono a conservare non di rado il loro antico carattere di bene comune, di valore d’uso. Questo è certamente ancora il caso di non poche tra le più conosciute feste campestri, anche di quelle più note e frequentate come l’Ardia di Sedilo, il Rimedio con la Fiera di Santa Croce a Oristano, San Salvatore di Cabras, San Francesco di Lula, la Madonna di Gonare, il Redentore a Nuoro sull’Ortobene (vedi il filmato Peregrinando fra i santuari, contenuto nel DVD Tra festa e devozione). Ma con la sagra del Redentore a Nuoro siamo al limite della nuova festa già turistica di tipo cittadino, qual è soprattutto la Cavalcata Sarda di Sassari, ma è anche, sebbene più ancorata al tradizionale che conserva, la sagra di Sant’Efisio a Cagliari. Quando si allarga lo sguardo fuori città, si va verso l’interno e anche quando si sale di quota, si scopre subito che non c’è paese o città, in Sardegna, che non abbia uno o più santuari campestri, di regola frequentati solo per la festa del santo che ne è titolare, dunque una volta all’anno, non di rado due o anche tre, con iterazioni di ottave. Ma anche per quanto riguarda il capoluogo dell’isola, il santuario campestre di Cagliari è oggi la Nora di Sant’Efisio. A volte si tratta di santuari e di feste gestiti e condivisi da più paesi, per lo meno in passato, e in questo caso, spesso, con strascichi di rivalità di cui si conserva ricordo più o meno vivo; finché non si arriva a un accordo, come nel caso della Madonna di Gonare, che è gestita ad anni alterni dagli abitanti di Sarule e di Orani. Il rapporto col centro abitato è vario, ma per lo più il santuario campestre è avulso, spesso nella campagna più impervia, al limite del territorio della comunità, sul monte, al confine di più salti. Non di rado si tratta anche di santuari che sono stati, in tempi più o meno lontani, chiese di comunità residenti, rimaste a testimoniare più o meno vagamente un centro abbandonato dai suoi abitanti trasferitisi in altri centri anche lontani. Questo spiega certi racconti di rivalità tra paesi nel rivendicare un santuario. In questi casi si può parlare di feste del ritorno al luogo abbandonato, di cui si è voluto conservare almeno
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87-92. Fotogrammi da La novena (riprese del 1967)
l’edificio sacro. Certo è che i santuari campestri sono più comuni in piano che in montagna, ma non sono rari neppure a quote considerevoli. Ma si sa che i centri abbandonati dei piani e di collina sono più numerosi, anche per la vicinanza alle coste così lungamente minacciate dalle incursioni barbaresche. E come feste del ritorno e del ricordo a paesi abbandonati sono incominciate forse non poche delle feste campestri sarde. Questi luoghi 63
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lo stretto indispensabile per il passaggio. Nessun racconto verbale uguaglia l’evidenza delle immagini che contrappongono le larghe strade-piazze del Campidano di Oristano alle strette strade-canale dei villaggi di montagna, definite da argini costituiti proprio dagli allineamenti delle case. Queste ultime, private della possibilità di evolvere e ampliarsi mediante raddoppi in pianta per mancanza di pertinenze di corti, sono spinte a crescere in altezza, accentuando i paesaggi urbani densi e compatti. Il regista mostra così tessuti estremamente compatti, quasi privi di vuoti, dove il sistema dei setti murari è reso fortemente solidale dalla condivisione tra case contigue e l’intera struttura costruita dell’isolato si radica al suolo naturale, sul pendio, costituendo un nuovo suolo totalmente artificiale. Le immagini documentano meglio di ogni discorso il passaggio dalla cellula elementare densa e compatta alla “casa alta di montagna”. L’itinerario degli sposi nel rito matrimoniale barbaricino attraversa un villaggio nel quale la crescita in altezza delle case ci appare come una condizione sostanzialmente obbligata. Ma in effetti, quando la cellula base elementare diventa una struttura più complessa, allora la quantità stessa delle cellule che si aggregano determina una nuova qualità dell’abitazione. La distinzione e la specializzazione tra il pian terreno e i piani alti si fa più netta. Il primo è destinato a servire come fundagu, luogo insieme dello scambio sociale e del deposito delle derrate domestiche, mentre i piani superiori formano l’abitazione vera e propria, con la sua parte più intima. La casa assume via via una caratterizzazione più urbana, con l’allineamento prevalente su strada, una riqualificazione dell’affaccio estroverso con un prospetto sempre più decoroso, e un’evoluzione formale in direzione della casa a schiera di città o addirittura del palazzetto. In definitiva, nei documentari il centro di montagna ci appare come il risultato di un equilibrio sempre in evoluzione tra l’individualismo delle cellule edilizie e dei nuclei familiari che le costruiscono e i vincoli verso responsabilità più collettive e comportamenti edilizi più solidali. In questo senso spingono le severe condizioni ambientali, che costringono le case a costruirsi e funzionare come un sistema solidale, nel quale ogni elemento ha una precisa collocazione nel tutto. Le immagini, ripetute, che ritraggono Oliena, ci introducono in un’altra e più specifica dimensione collettiva: si tratta delle cosiddette “corti comuni”, una forma di organizzazione a base familiare allargata che coesiste con l’organizzazione individuale delle cellule abitative. Le corti comuni sono composte da uno spazio aperto interno su cui convergono, disegnando un peculiare “recinto”, una pluralità di unità abitative che nello spazio comune trovano la loro dimensione di “corte”, talvolta segnata e quasi sacralizzata dalla presenza del pozzo.
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La costruzione della casa È sintomatico il fatto che alla cultura costruttiva specifica della casa venga dedicato un solo inserto, peraltro molto intenso, riservato al lungo documentario sulla pianura (vedi nel DVD Nel Campidano di Oristano il filmato intitolato Una pianura di sole): quello sulla fabbricazione dei mattoni di terra cruda e sulla costruzione mediante essi di una struttura muraria. Non ci sarebbe probabilmente ragione per una simile esclusione delle pratiche tecniche della casa in pietra,
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113-118. Fotogrammi da Una pianura di sole (riprese del 1953-56)
se non nell’ideologia sottesa al documentario, che sembra usare la terra cruda come emblema dei valori e delle culture più arcaiche, quasi un’evocazione del “primitivismo” di una certa Sardegna. Ora, il paradosso è che oggi quelle immagini ci appaiono addirittura relativamente evolute, appartenenti cioè a quell’universo del costruire in laterizio che a livello tecnico fa sembrare arcaica la pietra seminaturale utilizzata nella gran parte delle case di montagna. Fiorenzo Serra non 87
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119-122. Fotogrammi da Una pianura di sole (riprese del 1953-56)
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di In su monte Limbara, seguito poi da una variazione all’organo di un motivo tratto dalla terza delle Tre canzoni italiane, nota come Danza di Desulo. Per il resto, l’accompagnamento musicale segue il solito schema, tendendo a commentare ogni singola inquadratura e le parole del narratore: si fa mesta e lamentosa quando entrano in campo le immagini dei mendicanti, epica, con tanto di piatti e gong, quando viene nominato Costantino Imperatore. Quando invece si entra nel vivo della manifestazione il clima festivo è reso musicalmente da un ballu tradizionale eseguito dall’organetto (o forse da una fisarmonica), brano che possiamo sentire anche in Realtà del costume (nel DVD Sui monti e fra i castagni ); non siamo riusciti a individuarne la provenienza, anche perché le sue caratteristiche appaiono insolite, rispetto alla pratica odierna, specie nelle chiusure “ascendenti” o in una certa (benché voluta) imprecisione ritmica dei bassi. La musica che accompagna, baldanzosa, il raduno dei partecipanti all’Ardia richiama senz’altro il genere western, mentre non possiamo fare a meno di associare al colossal epico-storico quella che, tra grida e spari, commenta la corsa sfrenata dei cavalieri intorno al santuario, con tanto di trombe e corni (lo stesso tema verrà reimpiegato nel 1961 nel documentario prodotto dalla RAI Sardegna quasi un continente, ideato e scritto da Marcello Serra). Tra le due musiche sentiamo anche il tema, di ispirazione sarda, scelto come sigla di questi DVD, affidato all’oboe e sviluppato, alla maniera di Ottorino Respighi, dall’intera orchestra. Tralasciando, per brevità, una serie di musiche di puntuale commento alle immagini, arriviamo alla conclusione del documentario, caratterizzata dall’assenza della voce narrante: il commento delle immagini del santuario che, passata la festa, lentamente si spopola è ancora una volta affidato alla languida melodia del “mutto” In su monte Limbara. Come gran parte dei temi popolari sardi utilizzati da Ennio Porrino (compreso quello della Danza di Desulo) anche questo deriva da una raccolta pubblicata da Giulio Fara nel 1923.6 Ritroviamo questo celebre motivo anche in Realtà del costume che, nel DVD Sui monti e fra i castagni, integra l’omonimo documentario del 1956 con qualche spezzone di Costumi della Sardegna, curati, nella componente musicale, dal Porrino. Le tecniche di sonorizzazione e montaggio musicale non differiscono da quelle impiegate nei precedenti lavori, mentre notiamo che vari temi musicali confluiranno nella colonna sonora di Canne al vento, sceneggiato della RAI basato sull’omonimo romanzo della Deledda al quale, proprio in quegli anni, lavorava il musicista.7 Troviamo anche diverse musiche già sentite in Sagra in Sardegna, ma mentre lì erano adeguate al contesto, qui appaiono meno appropriate; così la musica che, per fare un esempio, accompagnava la galoppata dei cavalieri dell’Ardia, in questo documentario si abbina, senza un significato particolare se non quello di riempire lo spazio acustico, alle inquadrature statiche del costume femminile. Il regista, svincolandosi dalle rielaborazioni “colte” di Porrino, utilizza anche un originale brano tradizionale eseguito dall’armonica a bocca con l’accompagnamento di chitarra che però, per i ben noti problemi di ri-montaggio, appare piuttosto frammentato. Sentiremo questo ballo in forma più completa in Peregrinando fra i santuari (DVD Tra festa e devozione).
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135-140. Fotogrammi da Sagra in Sardegna (riprese del 1954)
Nel 1957 Ennio Porrino contribuisce alla realizzazione di Desulo, inserito nel DVD Sui monti e fra i castagni con il titolo Desulo. Un paese fra i boschi. Anch’esso, come i precedenti, presenta materiali musicali in comune con lo sceneggiato televisivo Canne al Vento. Per il resto, musicista e regista tendono a rispecchiare puntualmente le immagini del grande schermo; cosÏ la sega che seziona un grosso tronco di castagno trova un’immediata corrispondenza sonora nelle energiche arcate 99
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film che, per decreto ministeriale, doveva precedere. Non troviamo quasi mai riferimenti alla musica popolare, mentre è frequente il ricorso a cliché tipici della musica cinematografica. A differenza di Porrino questi autori non si perdono nei dettagli e con le loro musiche aiutano a trasformare in evento eccezionale, sentimentale, drammatico oppure avventuroso, la sostanziale e piana oggettività del cinema documentario. Mario Tamanini legge così in chiave western I cavallini della Giara (nel DVD Uomini e cavalli di questa raccolta): presenta le capre inerpicate sulle rocce come fossero indiani in agguato, l’accerchiamento dei cavalli selvatici è preparato, quindi, da una musica che rispecchia, per i frequenti trilli, il nervosismo e l’elettricità dei quadrupedi, fino all’attacco improvviso dei cavalieri, improbabili cowboy di Genoni o Gesturi che inseguono il branco incitati da una musica “galoppante”; e poi la drammaticità delle musiche che accompagnano la cattura al lazo dei puledri, la marchiatura a fuoco, fino alla riconquista della libertà nelle vaste praterie della Giara salutata da una melodia distesa e rassicurante. L’unico elemento di “sardità” del documentario lo troviamo invece nelle canzoni popolari, eseguite alla chitarra da Cesare Mastino, sorta di country isolano che accompagna le immagini del pranzo campestre. Tra i documentari fin qui analizzati abbiamo volutamente tralasciato Pescatori di corallo del 1955 (utilizzato nella seconda parte di Vagando per il golfo nel DVD Un golfo catalano in Sardegna) in quanto, benché le musiche siano attribuite nei titoli di testa a Mario Tamanini, di fatto la responsabilità del musicista è ridotta al minimo. Infatti la musica cede subito il passo, per la prima volta in modo così consistente e duraturo, ai rumori dell’ambiente: motori di barche, onde, cigolio dell’argano, qualche grido di marinai e anche eloquenti silenzi. A ben vedere, però, il realismo prodotto dalla ricomposizione del binomio azione-rumore qui è solo apparente: notiamo subito, infatti, che i rumori non sono stati registrati in presa diretta e che solo successivamente vengono restituiti alle immagini da cui provengono. Per Fiorenzo Serra il realismo cinematografico nasce al tavolo di montaggio con la scomposizione e la ricomposizione di frammenti di realtà vera. In maniera non dissimile utilizza allora gli elementi del paesaggio sonoro non per riprodurre la realtà, ma piuttosto per “ricostruirla”. Nella sequenza clou del documentario, quella che racconta lo sforzo dei marinai che issano il pesante congegno che raschia il fondo del mare, dispone, sul “bordone” del motore entrobordo, prima il cigolio dell’argano (quasi un ritmo fischiato) e poi il rumore di corda e legno spasmodicamente tesi nonché i versi d’incitamento prodotti dall’uomo.14 L’effetto del contrappunto è straordinario, specie se confrontato con la sequenza, del tutto simile ma senza i rumori dell’ambiente, che troviamo nel Golfo del corallo, del 1949: come di consueto, in questi primi documentari di Fiorenzo Serra la fatica dei marinai è raccontata dalla voce fuori campo, mentre alla musica drammatica è affidato il compito di esprimere la durezza di quel lavoro. Ma mentre qui siamo solo “informati” del fatto, al contrario, in Pescatori di corallo, inquadrature, rumori e versi umani ci fanno vivere l’azione, partecipare al loro sforzo, compatire la loro esistenza. La produzione documentaristica di Serra negli anni ’50 prevede anche un altro genere di colonna sonora che, pur essendo un commento “esterno”, tuttavia si differenzia notevolmente, nei mezzi e nelle funzioni, da quelle sentite finora e che possiamo sentire in Feste della
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141-146. Fotogrammi da I cavallini della Giara (riprese del 1953-55)
Barbagia (1955), riportato quasi integralmente, in questa raccolta, in Peregrinando fra i santuari (DVD Tra festa e devozione) unitamente a qualche estratto di Realtà del costume (1956). Collabora alla realizzazione di Feste della Barbagia il poliedrico Cesare Mastino (alias “Ziu Cesaru”), poeta e commediografo in dialetto Sassarese, ma anche compositore e chitarrista autodidatta. Fiorenzo Serra alterna dunque brani tradizionali sardi a musiche, anch’esse tratte dal folklore, 103
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Fiorenzo Serra, bio-filmografia di un regista Salvatore Novellu
Fiorenzo Serra sul set di Fucino, novembre 1951
Fiorenzo Serra nasce a Porto Torres il 26 settembre 1921. Conseguito il diploma presso il Liceo Scientifico Azuni di Sassari, nel 1939 si iscrive alla facoltà di Scienze Naturali di Firenze, non ottemperando al volere paterno che avrebbe preferito frequentasse un corso di studi di ingegneria e lo affiancasse in seguito nella professione di ingegnere. Appassionato di cinema francese, del quale apprezzava in particolare la produzione di Jean Renoir e Marcel Carné, e delle pellicole dei documentaristi inglesi John Grierson e Robert Joseph Flaherty, nel capoluogo toscano partecipa all’attività del Cineguf (cineclub al quale facevano capo i giovani universitari fascisti) cimentandosi, in collaborazione con l’amico Antonio Simon Mossa, nella scrittura di soggetti e sceneggiature per lo stesso circolo. Con l’entrata in guerra dell’Italia, i due sono costretti a interrompere la realizzazione del film La barca sul fiume, del quale avevano predisposto la sceneggiatura partendo da un soggetto scritto dall’amico Luca Pinna. Serra è chiamato alle armi, prima in Valle d’Aosta, poi a Olbia, in vista di un possibile sbarco nell’isola delle truppe alleate. La pellicola sarà girata solo nel 1943, durante una breve licenza, ma non sarà montata. Rientrato definitivamente in Sardegna alla fine del 1943, consegue la laurea in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Cagliari. Dopo una breve parentesi come assistente universitario a Pisa, durata circa un anno, rinuncia alla carriera accademica e torna a Sassari per dedicarsi a tempo pieno all’attività cinematografica. Nonostante gli studi di taglio scientifico la sua inclinazione culturale afferiva all’ambito umanistico, con una grande passione per la poesia, nella quale si era esercitato sin dall’adolescenza pubblicando varie prove, prima sul periodico Riscossa, fondato a Sassari nel luglio del 1944, e poi sul Solco letterario. La devastante invasione di cavallette che colpì la Sardegna tra il 1944 e il 1946, si trasforma per lui in un’occasione per mettere a frutto le competenze maturate in ambito universitario. Acquistata una macchina da presa 16 mm dotata di ottica macro, intraprende un viaggio nei centri del Nord Sardegna maggiormente colpiti dalla calamità e gira alcune pellicole. Il materiale, montato in ordine cronologico, viene acquistato dall’Istituto Luce e utilizzato per la produzione di un vero e proprio documentario sull’argomento, L’invasione delle cavallette del ’46, prodotto con il patrocinio del Ministero dell’Agricoltura. La maggior parte del materiale filmico relativo alla Sardegna, Serra lo gira tra il 1948 e il 1969: in totale si contano 55 documentari quasi tutti a colori e di una durata compresa tra gli undici e i ventidue minuti (fanno eccezione L’ultimo pugno di terra, 97’, e San Francesco di Lula, 109
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70’, rispettivamente del 1965 e del 1976-84), in genere sonorizzati in fase di montaggio. I primi quattro lavori realizzati nell’isola – Arte rustica in Sardegna (1948), Nel golfo del corallo (1949), Terra di artigiani (1949) e Vecchia Sardegna (1949), – sono finanziati in proprio e distribuiti attraverso la prima casa di produzione da lui fondata, la Asso Film. Tra il 1950 e il 1952 opera anche fuori dal contesto regionale, girando alcune pellicole per conto di enti pubblici e aziende private della penisola: Villaggio San Francesco (1950), Come nasce una centrale telefonica (1951), La via degli armenti (1951), Fucino (1952), Storia di una terra (1954) e Dove erano gli Etruschi (1955), prodotti rispettivamente dalla Asso Film (il primo), dall’Autelco (il secondo), dall’Istituto Luce per conto del Ministero dell’Agricoltura e Foreste (il terzo), dall’Ente Maremma (il quarto), e dalla Delta Film per conto dell’Ente Maremma (gli altri due). Cura poi la regia di Acque nella pianura (1950) e di La terra dei nuraghi (1950), coordinando le troupe di operatori alla macchina e di fonici inviate in Sardegna dall’Istituto Luce per conto del Ministero dell’Agricoltura e Foreste. Sempre per il Luce, in Abruzzo, realizza il già citato La via degli armenti. Nel 1952 gira Costumi della Sardegna e Autunno sulla costa, in coproduzione con i fratelli Gagliardo, fondatori, nei primi anni Sessanta, della Corona Cinematografica, casa di produzione con la quale più tardi instaurerà ulteriori rapporti di lavoro. Formalmente le pellicole risultano prodotte dalla Gamma Film. Seguono sette documentari prodotti dall’ETFAS (Ente per la Trasformazione Fondiaria e Agraria in Sardegna), relativi ai progetti di trasformazione agraria operati dall’Ente regionale nell’isola: Alba sulla Nurra (1953), sul dissodamento e l’impianto di nuove colture nella Nurra, soprattutto quella della vite; Attorno alla città morta (1953), sulla colonia di profughi giuliano-dalmati esiliati in seguito alla perdita, da parte dell’Italia, delle loro terre d’origine al termine della seconda guerra mondiale; Cingoli sulla terra (1953), anch’esso sulle imponenti opere di dissodamento della Nurra; Assalto alla boscaglia (1954), sulla trasformazione della Colonia penale di Castiadas in villaggio agricolo; Fame di pietre (1955) e Strade nuove (1955) documentano, invece, le moderne tecniche di costruzione impiegate nell’apertura delle nuove strade di penetrazione agraria; Sardegna nuova (1957), infine, fa il punto sulle opere attuate dall’Ente, soprattutto nell’oristanese. Nei primi anni Cinquanta, spinto dal desiderio di produrre una dettagliata documentazione degli aspetti più tipici e pregnanti della cultura materiale della Sardegna, prossimi a essere spazzati via dai profondi e irreversibili processi di modernizzazione ormai in atto, costituisce, insieme al fratello Elio, la casa di produzione indipendente Delta Film. La nascita della Delta Film gli permise di liberarsi degli strettissimi vincoli di lavorazione imposti di norma dai circuiti di produzione e, soprattutto, di documentare i diversi cicli lavorativi oggetto della propria indagine, seguendo i ritmi imposti dal naturale alternarsi delle stagioni. Nell’arco di tre anni, dal 1953 al 1955, mette insieme la gran parte del materiale filmico necessario al progetto, curando in prima persona la fase progettuale, la regia e soprattutto le successive e 110
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Fotogrammi da Costa nord (riprese del 1954-55), Autunno sulla costa (riprese del 1952), Costumi della Sardegna (riprese del 1952), Maschere di paese (riprese del 1957-61) Fiorenzo Serra sul set di Fucino, novembre 1951
decisive operazioni di montaggio. Si avvale invece di vari collaboratori soprattutto per quanto riguarda i testi del commento parlato e i commenti sonori: tra questi, in primo luogo, l’antropologo Luca Pinna e il compositore Ennio Porrino. Attraverso la Delta Film videro la luce tredici documentari: Costa nord (1955), Feste della Barbagia (1955), Nei paesi dell’argilla (1955), Pescatori di corallo (1955), San Costantino (1955), Sul mare di Alghero (1955), Artigiani della creta (1956), I cavallini della Giara (1956), Realtà del costume (1956), Desulo (1957), Sagra in Sardegna (1957), Artigianato e vita (1959), Immagini dell’isola (1961). Alcuni di questi documentari, qualche anno più tardi, furono utilizzati dalla Regione Sardegna a fini promozionali, talvolta sottotitolati in lingua straniera. Nel 1958, nell’ambito di una serie di trasmissioni televisive dedicate alle varie regioni d’Italia dal titolo Un campanile alla volta, la RAI gli commissiona delle riprese sulla Sardegna: nasce così Porto Torres. Nei primi anni Sessanta, partendo in genere da materiale girato nel decennio precedente, monta undici documentari prodotti dalla Corona Cinematografica: L’arte di ogni giorno (1962), Maschere di paese (1962), Risveglio nella valle (1962), Silenzio sulle coste (1962), Speranza sulle zolle (1962), Tra vecchio e nuovo (1962), Vita senza 111
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Fiorenzo Serra, filmografia
Prime esperienze cinematografiche 1
L’armata grigia
(1940)
Fiorenzo Serra cura la sceneggiatura insieme ad Antonio Simon Mossa
2
Il ferro magico (Nebbia)
(1940)
Fiorenzo Serra cura soggetto e sceneggiatura
3
La barca sul fiume
(1942)
4
La fine dei sogni (Ilaria)
(1942-43)
Fiorenzo Serra cura soggetto e sceneggiatura. Non realizzato
5
L’uomo del cielo
(1944)
Fiorenzo Serra cura soggetto e sceneggiatura. Non realizzato
6
L’invasione delle cavallette del ’46
(1946)
16 mm, b/n
Immagini non montate
16 mm, b/n, muto
Fiorenzo Serra cura regia e sceneggiatura
Documentari girati in Sardegna 1
Arte rustica in Sardegna
(1948)
16 mm, b/n
Asso Film
2
Nel golfo del corallo
(1949)
35 mm, b/n
Asso Film
3
Terra di artigiani
(1949)
35 mm, b/n
Asso Film
4
Vecchia Sardegna
(1949)
35 mm, b/n
Asso Film
5
Acque nella pianura
(1950)
35 mm, b/n
Istituto Luce/Ministero dell’Agricolura e Foreste
6
La terra dei nuraghi
(1950)
35 mm, b/n
Istituto Luce/Ministero dell’Agricolura e Foreste
7
Autunno sulla costa
(1952)
35 mm, colore
Gamma Film
8
Costumi della Sardegna
(1952)
35 mm, colore
Gamma Film
9
Alba sulla Nurra
(1953)
35 mm, b/n
ETFAS
10
Attorno alla città morta
(1953)
35 mm, b/n
ETFAS
11
Cingoli sulla terra
(1953)
35 mm, b/n
ETFAS
12
Assalto alla boscaglia
(1954)
35 mm, b/n
ETFAS
13
Costa nord
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
14
Fame di pietre
(1955)
35 mm, colore
ETFAS
15
Feste della Barbagia
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
16
Nei paesi dell’argilla
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
17
Pescatori di corallo
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
18
San Costantino
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
19
Strade nuove
(1955)
35 mm, colore
ETFAS
20
Sul mare di Alghero
(1955)
35 mm, colore
Delta Film
21
Artigiani della creta
(1956)
35 mm, colore
Delta Film
22
I cavallini della Giara
(1956)
35 mm, colore
Delta Film
23
Realtà del costume
(1956)
35 mm, colore
Delta Film
24
Desulo
(1957)
35 mm, colore
Delta Film
118
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25
Sagra in Sardegna
(1957)
35 mm, colore
Delta Film
26
Sardegna nuova
(1957)
35 mm, colore
ETFAS
27
Porto Torres
(1958)
35 mm, b/n
RAI
28
Artigianato e vita
(1959)
35 mm, colore
Delta Film
29
Immagini dell’isola
(1961)
35 mm, colore
Delta Film
30
L’arte di ogni giorno
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
31
Maschere di paese
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
32
Risveglio nella valle
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
33
Silenzio sulle coste
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
34
Speranza sulle zolle
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
35
Tra vecchio e nuovo
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
36
Vita della tonnara
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
37
Vita senza tempo
(1962)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
38
Il giorno della mattanza
(1963)
35 mm, colore
Elio Serra
39
Orizzonti della Rinascita
(1963)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
40
Sulle rive del Tirso
(1963)
35 mm, colore
Elio Serra
41
Realtà artigiana
(1963)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
42
Stagioni sull’isola
(1964)
35 mm, colore
Corona Cinematografica
43
L’ultimo pugno di terra
(1965)
35 mm, colore
Regione Sardegna, Assessorato alla Programmazione
44
Acque ferme
(1966)
35 mm, colore
Elio Serra
45
Carbonia Anno 30
(1966)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
46
I Mamuthones
(1966)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
47
L’autunno di Desulo
(1966)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
48
Ai margini della storia
(1967)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
49
Dai paesi contadini
(1967)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
50
La legge della vendetta
(1967)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
51
La transumanza
(1967)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
52
Un feudo d’acqua
(1967)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
53
Il pane dei pastori
(1968)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
54
Un matrimonio in Barbagia
(1968)
35 mm, colore
Elio Serra
55
La novena
(1969)
35 mm, colore
Fiorenzo Serra
56
San Francesco di Lula
(1984)
35 mm, colore
ISRE
Documentari girati fuori dalla Sardegna 1
Villaggio San Francesco
(1950)
35 mm, b/n
Asso Film
2
Come nasce una centrale telefonica
(1951)
35 mm, b/n
Autelco
3
La via degli armenti
(1951)
35 mm, b/n
Istituto Luce/Ministero dell’Agricolura e Foreste
4
Fucino
(1952)
35 mm, b/n
Ente Maremma
5
Storia di una terra
(1954)
35 mm, colore
Delta Film per Ente Maremma
6
Dove erano gli Etruschi
(1955)
35 mm, b/n
Delta Film per Ente Maremma
Documentario risultante dal montaggio del materiale girato tra il ’57 e il ’62 da Andreas Fridolin Weis Bentzon 1
Is Launeddas. La musica dei sardi
(1998)
DVD, b/n - colore
Associazione Culturale Iscandula/Dante Olianas
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