Francesco Ciusa

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Giuliana Altea

FRANCESCO

CIUSA


in copertina: IL BACIO, 1922 (particolare). a fronte: LA FILATRICE, 1908-09.


Giuliana Altea

FRANCESCO

CIUSA


Grafica, impaginazione e fotolito: Ilisso Edizioni Referenze fotografiche: ARCHIVIO ILISSO: nn. 8-11, 18-20, 22-24, 26, 29b, 3133, 38, 60-62, 64-72, 74-76, 85-86, 92, 97-102, 108, 111, 114-115 (foto Pietro Paolo Pinna, Nuoro); nn. 4-6, 14-17, 25, 28b, 30, 34-35, 40, 44-45, 52, 54, 73, 77-83, 89-91, 93-94, 109-110, 112-113, 119-120 (foto Punto e basta, Sassari); nn. 3, 13, 21, 28a, 29c, 39, 41, 57, 63, 95-96, 106-107, 116-118 (foto Donatello Tore, Nuoro); nn. 12, 56, 58 (foto Giuseppe Schiavinotto, Roma); n. 46 (foto Donatello Tore e Nicola Monari, Nuoro-Cagliari); n. 37 (foto Nicola Monari, Cagliari). Archivio Galleria Comunale d’Arte, Cagliari: nn. 84, 105 (foto Giorgio Dettori, Cagliari). Archivio Museo d’Arte della Provincia, Nuoro: nn. 103-104 (foto Donatello Tore, Nuoro).

Periodico quindicinale n. 3 del 21-07-2004 Direttore responsabile: Giovanna Fois Reg. Trib. di Nuoro n. 2 del 27-05-2004

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© Copyright 2004 by Ilisso Edizioni - Nuoro www.ilisso.it - e-mail ilisso@ilisso.it ISBN 88-89188-02-2


INDICE

7 CIUSA, QUASI UNA LEGGENDA 8 MODERNITÀ DI UN ARTISTA ANTIMODERNO 9 L’APPRENDISTATO FIORENTINO 12 «EGLI È SCULTORE» 14 DALLA REALTÀ AL MITO 20 IL SUCCESSO VENEZIANO 22 «SE SEI DEBOLE PARTI, SE SEI FORTE RITORNA » 23 I CAPOLAVORI DEGLI ANNI DIECI 49 IL VATE DELLA SARDEGNA 50 NEL CANTIERE DI PALAZZO CIVICO 55 IL MONUMENTO A SEBASTIANO SATTA 60 «I TUOI FIGLI, SARDEGNA EROICA » 70 CIUSA CERAMISTA 81 LE SCULTURE DEI PRIMI ANNI VENTI 99 UNA SCUOLA D’ARTE PER LA SARDEGNA 106 L’ULTIMA STAGIONE 119 CRONOLOGIA 126 DOVE VEDERE CIUSA



CIUSA, QUASI UNA LEGGENDA

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a scultura moderna comincia in Sardegna con Francesco Ciusa, artista la cui vicenda assume per il mondo intellettuale sardo del primo Novecento un valore quasi mitico. La premiazione, alla Biennale di Venezia del 1907, del suo gesso La madre dell’ucciso viene interpretata dai conterranei come un evento simbolico, che apre una nuova era per la cultura isolana. Alla Sardegna, terra periferica ed arretrata, è stato finalmente riconosciuto diritto di cittadinanza nella più grande manifestazione artistica italiana ed europea. Ciusa diventa quindi il “primo scultore”, come la Deledda era la prima scrittrice, Sebastiano Satta il primo poeta. Dunque, “in principio era Ciusa”: prima di lui non esistevano che i tagliapietre popolari, vivacemente espressivi ma ingenui, e gli scultori formatisi nelle accademie del “continente”, dallo stile neutro, ripetitivo e banale. I primi trasferivano sulla pietra le forme semplici delle cassepanche intagliate o dei pani delle feste; i secondi rifornivano di statue corrette e impersonali i cimiteri e le piazze dell’Isola. Nell’opera di Ciusa sembrano fondersi la cultura dei tagliapietre, il loro spirito comunitario, il loro vivo senso dei valori di una tradizione condivisa, con l’educazione e la tecnica degli scultori accademici: l’artista riesce a mettere in rapporto due realtà fino a quel momento incomunicanti, quella agro-pastorale e quella urbana, a far scattare tra loro una scintilla che avrà conseguenze creative importanti. Ecco perché, fin dal primo momento, la sua apparizione sulla scena dell’arte sarda è stata circondata di un alone di leggenda: perché la si percepiva come un inizio, si scorgeva in essa quella forza di suggestione che è propria di ogni origine. Il mondo popolare sardo aveva finalmente trovato un artista che sapesse dargli voce.

1. Francesco Ciusa in una foto del 1907.

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2. Marchio della manifattura ceramica SPICA, da una carta intestata degli anni Venti.

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9-11. LA MADRE DELL’UCCISO, 1906-07, gesso. Il gesso originale del capolavoro giovanile di Ciusa fu acquistato nel 1939 dalla Galleria Comunale d’Arte di Cagliari. Ne esistono cinque versioni in bronzo: la prima, fusa subito dopo il successo alla Biennale di Venezia, è alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna

di Roma; la seconda pare sia stata eseguita per un museo londinese; la terza per la Galleria d’Arte Moderna di Palermo; le altre due sono state realizzate rispettivamente nel 1983 per il Palazzo Civico di Cagliari e nel 1985 per la tomba dell’artista nella chiesa di San Carlo a Nuoro.

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Il pane, ripetendo un gesto vecchio di millenni, si distende in una netta linea orizzontale, la sagoma snella della Filatrice crea due ampi cerchi con le maniche dell’abito e un rombo con le braccia che tengono il fuso; il torso del Nomade appare racchiuso in un semplice volume piramidale, mentre Il cainita (che regge in mano la testa del suo nemico ucciso) disegna col mantello un cono quasi perfetto. Al di là di queste geometrie, le opere degli anni Dieci mantengono ben visibile la traccia dell’educazione accademica di Ciusa e del suo amore per la scultura italiana del Rinascimento: per esempio, la posa della Dolorante anima sarda, seduta col bambino tra le ginocchia, rimanda a una celebre statua di Michelangelo, la Madonna di Bruges; i visi del Nomade e della Filatrice fanno pensare a ritratti fiorentini del Quattrocento. Nel rivelare questi richiami classici sotto la rude semplicità di quel popolo di pastori che gli appaiono come altrettanti «re in bisacce» (sono parole sue), è come se Ciusa risalisse da un vocabolo sardo alla sua radice latina. La ricerca di un tono grave, simbolico e solenne si accentua dall’una all’altra delle opere degli anni Dieci, e non c’è da stupirsene. Proprio nella Biennale del 1907, la sala “l’Arte del Sogno”, decorata da Chini e Nomellini con immagini eteree, cariche di significati vagamente “spirituali”, aveva dato un potente impulso alla corrente simbolista in Italia. Ciusa, pur lavorando in una direzione diversa, doveva aver captato il clima suggerito dall’esposizione, e la critica lo incoraggiava su questa strada. Per esempio Mario Berlinguer, nel descrivere Il pane, ne paragonava il volto levigato a quello delle statue dei santi, «che si offrono all’adorazione dei pellegrini, corrosi da mille baci», e definiva l’artista un «sacerdote della sua arte», legato in modo profondo e misterioso allo spirito del popolo sardo. Dal canto suo lo scultore, in un’intervista rilasciata nel 1909, paragona il mantello del Nomade al «piviale d’un celebrante», il copricapo della Filatrice a una benda «quasi monacale», la donna de Il pane a «una sacerdotessa compiente un rito quasi divino». Le stesse atmosfere di simbolismo e solennità religiosa, 17. LA FILATRICE, d’altronde, possiamo ritrovarle in questo periodo in bronzo, Cagliari, coll. Palazzo Civico. molta scultura contemporanea di gusto secessionista, e 18-20. LA FILATRICE, in particolare in quella di Ivan Meˇstrovic´. Meˇstrovic´ è 1908-09, gesso, un artista serbo che, come Ciusa, si sente fortemente cm 188 x 52,5 x 44, legato alla propria terra, della quale vuole esaltare la traCagliari, Galleria Comunale d’Arte. dizione nel quadro di una visione nazionalistica (la SerIl gesso è una replica bia era all’epoca soggetta all’Impero Austro-Ungarico); realizzata dall’autore dallo stampo originale, come Ciusa, vuol essere il cantore del suo popolo. Dal in seguito al punto di vista del linguaggio artistico, poi, ha in comudanneggiamento ne con lui la tendenza a comporre con semplicità quasi della prima versione. 28

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66. BOTTONE SARDO, anni Cinquanta-Sessanta bomboniera, terracotta da stampo dipinta “a freddo”, Ø cm 6,5. Queste terrecotte, firmate in pasta B. Ciusa (Barbaricino) sono state replicate dal figlio di Francesco, Giovanni. 67. BOMBONIERA, anni Cinquanta-Sessanta terracotta da stampo patinata e dipinta “a freddo”, a-b) Ø cm 8,8; c) Ø cm 8; d) Ø cm 6,2. Realizzazione Giovanni Ciusa. 68. BOMBONIERA, 1919-21 terracotta da stampo patinata e dipinta “a freddo”, a) Ø cm 9,2; b) Ø cm 9,5; c) Ø cm 10. 69. CORBULA, anni Cinquanta-Sessanta, terracotta da stampo dipinta “a freddo”, a) Ø cm 8,4; b) Ø cm 7. Realizzazione Giovanni Ciusa. 70. SCATOLA, 1919-21 terracotta da stampo patinata e dipinta “a freddo”, Ø cm 10,5.

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71. SCATOLA, 1919-21 terracotta da stampo dipinta “a freddo”, h cm 17,5. 72. BOMBONIERA, 1919-21 terracotta da stampo patinata e dipinta “a freddo”, Ø cm 9,3.

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I vari modelli di scatole e contenitori prodotti dalla SPICA si ispirano ai cestini intrecciati dell’artigianato sardo, o più spesso alle forme dei bottoni d’argento e d’oro dell’abito tradizionale isolano.

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del gruppo di Novecento, e rispecchiata dall’opera del maggior scultore del periodo, Adolfo Wildt. Sintetico ed essenziale è anche il gesso Deposizione (1922-26). Realizzato per la tomba di famiglia del deputato Paolo Pili (e più tardi utilizzato per la tomba Prizzon al cimitero di Sassari, del 1931), colpisce per il ritmo avvolgente con cui la figura della Madonna si piega sulla testa del Cristo, per la levigatezza dei piani, per l’esasperata tensione dolorosa che lo pervade. Ma l’opera più impegnativa di questi anni è il Monumento ai caduti di Iglesias, il cui modello, già ultimato nel 1923, verrà tradotto in marmo solo nel 1928. Tema del monumento non è la guerra come impresa gloriosa ma la guerra come sacrificio. La composizione, piuttosto complessa, ruota intorno alla figura del soldato che tiene sulle ginocchia il corpo di un caduto, mentre protegge con lo scudo una madre col bambino: è un groviglio di corpi fusi insieme, attraversati da fasci muscolari tesi fino allo spasimo. Avendo in mente Michelangelo e Rodin, ma anche scultori contemporanei come Eugenio Baroni, Ciusa crea però un’opera notevolmente originale: sono pochi in Italia i monumenti ai caduti così cupi e drammatici, dai quali trapeli un così vivo senso dell’inutilità della guerra.

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78-79. SACCO D’ORBACE, 1922 circa stucco a marmo, cm 54 x 15,6 x 14. Avvolte nel tradizionale mantello d’orbace dei pastori (sàccu o sàccu ’e cobèrri), le due figure del padre e del bambino si saldano in un bozzolo compatto.

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L’ESEMPIO DI WILDT Nei primi anni Venti, Ciusa lascia la combinazione di geometrie secche, un po’ rudi, e di dettagli realistici propria delle sculture giovanili per ricercare ritmi più fluidi, volumi compatti, superfici lisce, continue e avvolgenti. Questa volontà di sintesi distingue molta arte italiana del momento, ma nel caso di Ciusa la sua origine va rintracciata soprattutto nell’influenza di Adolfo Wildt, scultore milanese la cui opera aveva acquistato grande visibilità dalla fine degli anni Dieci. Artista di forte spessore intellettuale, nutrito di suggestioni nordiche, imbevuto di goticismo, Wildt era lontanissimo da Ciusa per cultura e temperamento; ma la sua arte estenuata e dolorosa, sottilmente pervasa dal senso di morte, dava l’esempio di un linguaggio capace di rendere efficacemente l’emotività esaltata e la sofferta tensione che Ciusa puntava ad esprimere. Esemplare, da questo punto di vista, resta la Deposizione del 1922-26. Da Wildt viene anche il tema del ritratto in forma di maschera (le maschere di Attilio Deffenu, di Renato Atzeri, quella del Duce ispirata all’omonima opera wildtiana del 1923), e ne derivano rilievi come La vita e La famiglia. In quest’ultima, se i richiami a Wildt sono evidenti (Maria dà luce ai pargoli cristiani, 1918), altrettanto chiaro è un fondo di sana sensualità estraneo al modello. Adolfo Wildt, MARIA DÀ LUCE AI PARGOLI CRISTIANI, 1918. Adolfo Wildt, MASCHERA DI MUSSOLINI, 1923.


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82. LA FAMIGLIA PROTETTA (1930) bassorilievo, stucco a marmo, Ă˜ cm 23, con cornice originale in legno. 83. MASCHERA DI ATTILIO DEFFENU (1931) stucco a marmo, cm 17 x 14 x 8.

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CRONOLOGIA

1883 Nasce a Nuoro da una famiglia di modeste condizioni; il padre Giacomo è un intagliatore del legno. 1899-03 Con un piccolo sussidio concessogli dal Comune di Nuoro, frequenta a Firenze l’Accademia di Belle Arti; tra i suoi maestri sono Domenico Trentacoste, Giovanni Fattori e Adolfo De Carolis. Stringe rapporti con i pittori Lorenzo Viani, Plinio Nomellini, Moses Levy, lo scultore Libero Andreotti, l’illustratore Enrico Sacchetti. 1904 Tornato in Sardegna, si stabilisce a Sassari. Il poeta Salvator Ruju, cui viene presentato dall’amico Sebastiano Satta, lo introduce nell’ambiente artistico locale. Si lega al poeta Giannetto Masala e al pittore Giuseppe Biasi che gli mette a disposizione una stanza da utilizzare come studio. 1905-07 Nella primavera del 1905 ritorna a Nuoro. Qui modella, tra la fine del 1906 e l’inizio del 1907, il suo capolavoro, La madre dell’ucciso. La scultura, quasi ultimata, viene mostrata a Sebastiano Satta e al pittore Antonio Ballero che giudicano «un po’ rettorico» il titolo e predicono che non verrà compresa dalla giuria della Biennale di Venezia. Ammessa all’esposizione veneziana del 1907, La madre riceve il Premio Internazionale per la scultura e Ciusa viene segnalato dalla critica come una rivelazione. Un industriale americano gli offre a New York la direzione artistica di un laboratorio di arti applicate; l’artista rifiuta e ritorna in Sardegna, dove pochi mesi dopo sposerà Vittoria Cocco. 1908-09 Si trasferisce a Cagliari ed inizia un periodo di fervido lavoro. Risalgono a questo momento molte delle sue opere più belle: Il pane (1908), presentato alla mostra degli Amatori e Cultori di Roma dopo essere stato esposto a Nuoro, Il nomade, La filatrice, inviati alla Biennale di Venezia del 1909. Con Il dormiente, esposto alla mostra sociale della Società Belle Arti di Firenze, vince nel 1909 il Premio “Città di Firenze”. 1911 Partecipa all’Esposizione Internazionale di Roma con i gessi Bontà e Dolorante anima sarda. 121

1913-14 Esegue la decorazione (con fregi in stucco e dipinti)

121. Francesco Ciusa in una foto di fine Ottocento.

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DOVE VEDERE CIUSA Sassari:

1. Cimitero, tomba Prizzon (fig. 87)

Nuoro:

2. Corso Garibaldi, Casa natale di Attilio Deffenu 3. Chiesa di San Carlo 4. Comune di Nuoro (fig. 46) 5. MAN, Museo d’Arte della Provincia di Nuoro (figg. 103-104)

Cagliari: 6. Via Paoli, Palazzo Lixi 7. Cimitero Monumentale di Bonaria, tomba Sanna-Manunta 8. Galleria Comunale d’Arte (figg. 8-11, 18-20, 22-26, 30-33, 84-86, 92, 100-102, 105) 9. Basilica di Nostra Signora di Bonaria (fig. 116) 10. Palazzo Civico (figg. 17, 34-35) 11. Università degli Studi, rettorato Iglesias: 12. Piazza Oberdan (figg. 89-90) Roma:

Galleria Nazionale d’Arte Moderna (figg. 12, 56, 58)

Palermo:

Galleria d’Arte Moderna

PER UN APPROFONDIMENTO SULL’OPERA DI FRANCESCO CIUSA:

Rossana Bossaglia

FRANCESCO

CIUSA

R. Branca, La vita nell’arte di Francesco Ciusa, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, 1975. Miti tipi archetipi, Ilisso, Nuoro, 1989. G. Altea, M. Magnani, Pittura e Scultura del Primo ’900, Ilisso, Nuoro, 1995.

Il più completo volume monografico: R. Bossaglia, Francesco Ciusa, Ilisso, Nuoro, 1990.

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