Giuseppe Biasi Collezione Regione

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La collezione della Regione Sardegna

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GIUSEPPE BIASI

Copertina Biasi Sassari 2008:Copertina Biasi Sassari 2008 stesa

GIUSEPPE

BIASI La collezione della Regione Sardegna a cura di Giuliana Altea

ISBN 978-88-6202-020-6

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In copertina: Studio di donna africana (1924-25) (particolare)


Volume Biasi Coll. Regionale:Layout 1

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Schede Antonella Camarda (A.C.) Lia Turtas (L.T.) Grafica Miriam Aprile Fotografia Archivio Ilisso (foto P.P. Pinna) Le selezioni colore sono state realizzate dal reparto fotolito della Ilisso Edizioni

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2008 ILISSO EDIZIONI www.ilisso.it ISBN 978-88-6202-020-6

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INDICE

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Una collezione per un museo Giuliana Altea

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Catalogo

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Cronologia

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Riferimenti bibliografici delle schede


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di mercato a Biella, dove il pittore soggiorna più volte a lungo, e dove la sua vicenda si chiude tragicamente nel 1945, quando, assurdamente sospettato di essere una spia dei nazisti, è arrestato dai partigiani e viene ucciso durante il trasferimento da un carcere a un altro. Se Biasi si può considerare il pittore di maggior rilievo che la Sardegna abbia avuto nel primo Novecento, la collezione delle sue opere di proprietà dell’Amministrazione Regionale, il cosiddetto “fondo Biasi”, rappresenta il più significativo corpus di lavori di un artista sardo oggi esistente in una raccolta pubblica, non solo perché consente di seguire il percorso dell’autore quasi per intero e sotto diversi aspetti (pittura, disegno e incisione), ma anche per il valore emblematico che le sue vicende – dalla tormentata acquisizione all’approdo in uno spazio museale – rivestono nei confronti di diverse stagioni della cultura locale. L’idea di assicurare al patrimonio della Regione Sardegna una selezione rappresentativa delle opere di Biasi nacque nel 1952, all’indomani della retrospettiva dedicata all’artista dall’associazione “Amici del Libro” di Cagliari, importante rassegna che faceva seguito a quelle tenute nel 1947 a Cagliari, Sassari e Nuoro per commemorarne la scomparsa. In quel momento, la tragedia della guerra appena conclusa spingeva la classe intellettuale sarda a riconsiderare con attenzione il recente passato, e a cercarvi un possibile fondamento per le esperienze a venire. Biasi, la cui figura restava vivissima nella memoria, rappresentava per molti il perno intorno a cui far ruotare una tradizione artistica locale ancora tutta da costruire.2 La sua eredità, peraltro, era controversa come lo era stata la sua persona; e a renderla accettabile per tutti non contribuivano certo le posizioni politiche da lui assunte nell’ultimo periodo, quando – dopo anni di larvata opposizione al regime fascista – le simpatie culturali per la Germania lo avevano spinto ad aderire alla Repubblica Sociale. In tempi di netti schieramenti ideologici, questa scelta bastava già a provocare la condanna dell’artista da parte della sinistra più intransigente; e a rendere il rifiuto inappellabile c’era il carattere della sua pittura, volta a presentare in chiave esotica e decorativa il mondo popolare della Sardegna, piuttosto che a rivelarne la difficile realtà di miseria e di sofferenza. Nel clima culturale degli anni Cinquanta, surriscaldato dai contrasti politici, si tendeva a dimenticare che la trasfigurazione primitivista della vita sarda offerta da Biasi era nata in contrapposizione alle distorsioni razziste con cui l’isola era stata rappresentata fino ai primi del Novecento; che l’immagine della Sardegna da lui inventata rispondeva all’esigenza di creare un mito positivo, in contrasto con quello negativo allora prevalente; e che insomma, a parte il valore estetico della sua pittura, questa era stata anche – a proprio modo – espressione di istanze sociali e culturali non meno schiette e sentite di quelle che agitavano le coscienze degli intellettuali e degli artisti sardi nel dopoguerra. Queste valutazioni critiche dell’opera di Biasi pesarono nel momento in cui, dopo un paio d’anni di indugi burocratici, ci si accinse a mettere in atto l’idea di acquistare un consistente gruppo dei suoi lavori per le raccolte regionali. A rilanciare la proposta – che nel 1952 era stata avanzata dal leader sardista Mario Melis e da altri esponenti politici3 – fu l’allora assessore alla cultura, la democristiana Pierina Falchi. Nel 1954 si venne ad un accordo con la sorella dell’artista, Isabella Biasi, in base al quale una commissione, composta dal critico Mario 10

2. A Biasi come fonte di una possibile tradizione locale guardano, da punti di osservazione diversi, pittori come Pietro Antonio Manca e Remo Branca e il gruppo di intellettuali e artisti che alla fine degli anni Cinquanta convergeranno a Sassari intorno alla galleria Il Cancello. 3. Deliberazione del Consiglio Regionale del 29 dicembre 1952. Illustrata da Mario Melis, la proposta fu approvata a maggioranza. Tra i sottoscrittori erano inizialmente anche il comunista Girolamo Sotgiu e il socialista Morgana, che si ritirarono in seguito, fatto che nel successivo dibattito consiliare del 16 novembre 1956 fu da alcuni messo in rapporto con il diffondersi della notizia dell’adesione di Biasi alla Repubblica di Salò.


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4. La commissione, nominata con deliberazione della Giunta Regionale del 30 luglio 1954, includeva inizialmente anche gli artisti Mario Delitala e Filippo Figari, che ricusarono l’incarico, il primo perché non residente in Sardegna, il secondo probabilmente a motivo di vecchi screzi con il pittore. 5. Consiglio Regionale della Sardegna. Resoconti consiliari, II legislatura, CCCLXXIV seduta, 16 novembre 1956, pp. 6780-6781. 6. Lo richiese il democristiano Castaldi, secondo il quale l’acquisto doveva essere limitato a pochi pezzi, da collocare all’interno di un museo che comprendesse tutti i migliori artisti della regione. (Consiglio Regionale della Sardegna cit., p. 6786). 7. Lo ricordava in Consiglio Regionale Mario Melis. Cfr. Consiglio Regionale della Sardegna cit., p. 6784. 8. La mostra Biasi nella collezione regionale, curata nel 1984 da un comitato scientifico che comprendeva Maria Luisa Frongia, Marco Magnani, Salvatore Naitza e Rossella Sfogliano, si tenne al Palazzo Ducale di Sassari e quindi all’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro. La catalogazione delle opere fu affidata a Giorgio Pellegrini, Rossella Sfogliano e a chi scrive. Cfr. il catalogo della rassegna, Biasi nella collezione regionale, Nuoro, 1984, pp. 82-173. 9. In occasione dell’affidamento della collezione al Comune di Sassari, nel 2004, parte di essa venne esposta nella mostra Giuseppe Biasi. La collezione regionale, al palazzo della Frumentaria di Sassari.

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Ciusa Romagna e dai pittori Stanis Dessy e Antonio Mura, avrebbe dovuto scegliere un’ampia e rappresentativa serie di lavori tra quelli rimasti nello studio dell’artista.4 Giunto nel 1956 in Consiglio Regionale, il disegno di legge che prevedeva l’acquisto delle opere di Biasi per la somma di venti milioni di lire incontrò resistenze da parte della sinistra; per bocca di Sebastiano Dessanay, figura di primo piano del Partito Comunista in Sardegna e intellettuale avvertito, questa formulò un giudizio sostanzialmente negativo sull’opera dell’artista, indicandone i limiti nella visione superficiale, decorativa ed estetizzante, e nella mancanza di ogni serio impegno sociale nei confronti della realtà rappresentata. La lettura riduttiva della pittura di Biasi si univa alle riserve espresse in merito alle modalità dell’acquisto, che appariva slegato da ogni serio intento di musealizzazione. L’iniziativa sarebbe sembrata condivisibile, spiegava Dessanay, se la si fosse potuta considerare nel quadro di «un generale disegno politico che … avesse teso alla creazione, in Sardegna, di una Casa della Cultura o di una Galleria d’Arte sarda o di altro strumento capace di svolgere una funzione culturale a vantaggio di tutto il nostro popolo. Ma, acquistare un certo numero di quadri, e poi magari accatastarli e, come generalmente accade, lasciare alla clausura e alla polvere la cura di farli dimenticare, è cosa che, francamente, non riesco a capire e ad approvare».5 Le parole di Dessanay dovevano rivelarsi tristemente profetiche. Il “fondo Biasi” venne acquistato, pur tra le polemiche (e non senza che si considerasse la possibilità di decurtare sensibilmente il numero dei pezzi, secondo quanto suggerito in Consiglio Regionale da un membro della stessa maggioranza);6 ma, sebbene l’accordo stipulato con gli eredi ponesse come condizione alla cessione delle opere la loro collocazione in una sede pubblica a Sassari, città natale dell’artista, e la delibera iniziale della Giunta prevedesse «la creazione di un padiglione per la loro raccolta ed esposizione»,7 il progetto di realizzare un museo sarebbe restato per molti anni lettera morta. L’ambiente artistico non esercitò pressioni al riguardo: a partire dagli anni Sessanta, gli artisti della generazione di Biasi, ormai invecchiati, si ritirarono gradualmente dalla scena pubblica, e quelli delle generazioni successive, legati a un’area di ricerche moderniste che faticava per conto suo a trovare riconoscimento nell’ambiente locale, guardavano con insofferenza a un pittore che, continuamente associato alla retorica dell’identità sbandierata dai tradizionalisti, incarnava ai loro occhi una visione chiusa e asfittica della cultura sarda. Quanto alla critica – quella giornalistica –, tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, usciti di scena commentatori come Eugenio Tavolara, Stanis Dessy o Francesco Masala, si può dire che fosse in quel periodo quasi inesistente. I dipinti di Biasi vennero conservati nei depositi della Soprintendenza di Sassari, finché nel 1984 – quando, col crescere dell’interesse storico per quanto l’arte del primo Novecento aveva prodotto al di fuori del Modernismo, anche la stagione artistica sarda tra le due guerre cominciava ormai ad essere oggetto di attenzione e di studio – l’intero fondo venne catalogato e una larga selezione ne venne presentata al pubblico in due mostre tenute a Sassari e a Nuoro.8 Al termine della rassegna, le opere che vi avevano figurato rimasero presso l’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, fino a che nel 2004 la Regione Sardegna non decise di affidarle in custodia al Comune di Sassari,9 in attesa di quella sistemazione museale che ora si realizza finalmente negli spazi dell’ex convento del Carmelo. 11


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2. Uscita dalla chiesa (1910-11) olio su tela, 128,5 x 150,5 cm non firmato inv. n. 2 L’opera costituisce, insieme alle due successive, la prima prova pittorica di ampio respiro che l’artista abbia realizzato, forse da mettere in rapporto con il concorso per la decorazione della Sala dei Ricevimenti del Palazzo Civico di Cagliari, cui Biasi partecipò nel 1912 e che fu vinto da Filippo Figari (AM 1998, pp. 55-56).

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Il quadro rivela, pur nel permanere di un impianto di derivazione grafica, l’adesione alla pittura di stile secessionista allora in voga in ambito nazionale ed internazionale. I corpi, racchiusi da una linea agile e sottile, acquistano ora maggior consistenza plastica, grazie al più marcato uso delle ombre in funzione di stacco dai piani. L’esito rimane tuttavia volutamente bidimensionale, con il maggior risalto dato alle figure di primo piano di contro alla piattezza degli sfondi. Questi, simili a fondali sovrapposti, costituiscono delle quinte di raffinato valore decorativo, con effetti di

arazzo. Tale schema compositivo, frutto di attenta riflessione, è da collegare alle illustrazioni che l’artista realizza nel 1910 per la novella deleddiana “La volpe”, pubblicate in La lettura, e alle copertine per L’illustrazione italiana dello stesso anno. L’accostamento di piani diversi deriva a Biasi sia dalla pratica del collage ottenuto tramite la giustapposizione ai campi di sfondo di inserti fotografici e frammenti di disegni, sia dall’influsso ricevuto da pittori spagnoli quali Ignacio Zuloaga o i fratelli Zubiaurre. (L.T.)


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3. Processione in Barbagia (1910-11) olio su tela, 135 x 180 cm non firmato inv. n. 4 In questo olio Biasi ripropone il tema della processione, già affrontato nel 1909, in chiave più marcatamente realista e pittorica, adottando forti contrasti chiaroscurali ed una tavolozza a tratti cupa e densa. Impostazione e stile sono vicini a quelli di Uscita dalla chiesa e Grande festa campestre (sch. 2, 4): i corpi sono ritagliati in uno spazio bidimensionale e

privo di profondità e, seppure in movimento, raggelati in una posa dal sapore fotografico. Nel caso delle due donne dalle braccia conserte che attraversano il primo piano in diagonale, il senso dell’incedere reso attraverso le pieghe delle gonne è annullato dalla identica scansione del modulo, che ne suggerisce l’immutabilità e l’eterna ripetizione. La piattezza della stesura cromatica contribuisce ad un generale effetto di insistita monotonia, appena ravvivata dal gioco di incroci delle diagonali create dai personaggi tra loro e dalle ombre. (L.T.)

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4. Grande festa campestre (1910-11) olio su tela, 102 x 236 cm non firmato; sul verso, biffato a matita blu, cartellino della Biennale di Venezia del 1912 inv. n. 3

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Stile e composizione legano strettamente l’opera a Uscita dalla chiesa (sch. 2), della quale cita la figura sulla sinistra. Biasi esplora qui le possibilità offerte dalla pittura su scala monumentale, adottando anche un tono maggiormente realistico rispetto alla prova di esordio del 1909. Come indica il cartelli-

no a tergo, il grande olio fu inviato alla Biennale di Venezia del 1912 e presumibilmente respinto dalla giuria di selezione. Il soggetto – una festa campestre con contadini di vari paesi sardi e venditori ambulanti –, suggestivo per la possibilità che offriva di accostare costumi popolari diversi, è analogo a quello


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del bozzetto con cui l’artista prese parte nel 1912 al concorso per la decorazione della Sala dei Ricevimenti del palazzo Civico di Cagliari, e sarà riproposto nel 1932 nella decorazione della stazione ferroviaria di Tempio. La scena presenta una serie di figure, solitarie o ravvicinate in piccoli gruppi, che scandiscono lo

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spazio ritagliandovi quasi delle nicchie: a tenerle insieme è lo sfondo, ricco di accensioni improvvise di luce e colore. I personaggi – altrettanti tipi –, ben lontani da una caratterizzazione realistica, appaiono come idoli barbarici che della scultura non manifestano il rilievo, quanto la ieratica fissità. Ecco dunque

che le affinità tante volte invocate con i pittori della tradizione costumbrista spagnola non vanno al di là di una generica comunanza di composizione e iconografie, per arrestarsi di fronte alla ricerca della essenza atemporale della pittura che Biasi declina in chiave regionale sarda. (L.T.)

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28-29. Nudo in un interno (1924 circa) olio su compensato, 69 x 49,5 cm non firmato; sul verso uno schizzo di nudo femminile, forse relativo alla stessa modella, realizzato a matita, in cui il naturalismo della resa grafica indica uno studio dal vivo (28) inv. n. 82 In Africa la pittura di Biasi scopre il corpo nudo femminile; grazie alla distanza culturale, l’artista lo ritrae senza reticenze, facendone uno dei temi prediletti della sua fase africana. Tornato in Sardegna, lo abbandona progressivamente, e comunque lo associa solo ai soggetti africani, mentre il corpo della donna sarda è perennemente negato dalla totale identificazione con il costume tradizionale (G. Altea 1996). Questo studio, da situarsi cronologicamente nella prima fase del soggiorno africano, pur non mancando di qualche impressione “dal vero”, per esempio nel viso e nel ventre della ragazza, è modellato su antecedenti pittorici francesi; in particolare richiama Gauguin, anche per il dettaglio della frutta nella parte inferiore sinistra del quadro. Le linee sono definite in alcuni punti da leggeri tocchi blu elettrico. Biasi non ha ancora trovato una soluzione ottimale per far risaltare la pelle bruna delle sue modelle nell’oscurità degli interni (la troverà in seguito, cfr. sch. 63). In questo caso prova a combinare la stuoia sui toni del rosa su cui siede la ragazza con la porta grigiastra retrostante. Questi due elementi enfatizzano il carattere geometrico della composizione e contribuiscono ad una certa rigidità dell’insieme, anche se il nudo conserva una morbidezza naturalistica. Il copricapo turchese si accorda bene con la tonalità generale del dipinto, ma non riesce a spiccare. Gli studi di nudo femminile nella produzione africana di Biasi sono frequentissimi (si vedano, oltre a quelli nel presente catalogo, quelli in collezione privata a Oliena e a Cagliari, in AM 1998, figg. 250-251) ed attraverso essi si può leggere il percorso formativo del pittore e le influenze via via presenti nella sua opera. Così l’ispirazione gauguiniana iniziale si arricchisce di elementi derivati da Matisse, da Modigliani, dagli espressionisti tedeschi, dall’arte egiziana e persiana e dalla scultura classica, per far riemergere a tratti suggestioni simboliste ed impressioniste. (A.C.)

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30. Nudo sdraiato (1924 circa) olio su cartone, 44 x 96 cm non firmato inv. n. 216, cfr. sch. 28-29 Da assegnarsi al primo periodo africano, il dipinto è incompiuto in alcune parti (la mano) e presenta uno sfondo piuttosto approssimato. Biasi si esercita sulla tematica del nudo femminile, realizzando bozzetti realistici a cui si aggiunge a volte una atmosfera, resa in modo piuttosto ingenuo, di mistero ed esotismo. La posa della figura può richiamare quella di quadri come La collana di corallo, eseguito nel 1931 (AM 1998, fig. 329), a dimostrazione della permanenza di soluzioni compositive e suggestioni visive nella prassi artistica di Biasi. Il confronto con Faisha (sch. 63) è significativo per comprendere la rapida crescita artistica dell’autore. Il pittore sperimenta qui effetti materici nei monili dei capelli, secondo un tentativo di resa tridimensionale che costituisce una sua prassi consueta, riscontrabile comunemente nella rappresentazione di gioielli, occhi ed altri dettagli. Perfettamente leggibile, impressa a tempera bianca, è un’impronta digitale, con tutta probabilità dello stesso Biasi, sull’ombelico della donna. (A.C.)


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96. Asino alla mola (1929-30 circa) linoleografia, 26,5 x 39,5 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 204 La stampa, inserita nella serie Vecchia Sardegna realizzata in gran parte con Iginio Zara (cfr. sch. 171), risale al periodo di collaborazione con Ardau Cannas, già concluso nel 1931; ne fu acquistata una copia dal Comune di Sassari alla I Mostra Sindacale sarda del 1930. Si tratterebbe (MGS 2000, p. 40) di una delle incisioni menzionate in una lettera inviata da Biasi al suo collaboratore da Osilo nel 1930, dove si accenna alla possibilità di salvare «cin-

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que di quelle famigerate stampe» sperimentando «un solo cliché, purché variato» (MCV 1985, p. 103). L’opera, che segna il ritorno al tema sardo, è da collegare per la scelta del soggetto alla tempera Su molente (sch. 187), a sua volta da mettere in relazione con una fotografia (tav. CXCI) del volume Arte Sarda, probabilmente scattata dallo stesso Biasi. Il volume andrà in stampa nel 1935, pur essendo in cantiere già da circa quindici anni. A differenza della tempera dai bordi sfumati, la stampa è fondata sul contrasto netto tra ombre e luce, giocata su poche tonalità di giallo e grigio illuminate dal bianco. (L.T.)


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97. Donne alla fonte sotto un bel cielo (1929-30) linoleografia, 17,4 x 21,5 su 35,3 x 38 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” tiratura: 42/50 inv. n. 208 Tra le prime incisioni realizzate della serie Vecchia Sardegna (insieme a Processione a Fonni e a Serenata al chiaro di luna, sch. 98, 171), è una composizione risolta nei toni delle terre variamente disposti, insieme alle ombre, a indicare l’alternanza di piani; in essa si inseriscono, a ravvivare l’insieme, piccole macchie di nero, rosso, bianco, azzurro e la sottile striscia di cielo. Il tratto preciso e faticoso porta a ricondurla alla collaborazione con Ardau Cannas, insieme alla sch. 98 (MGS 2000, p. 41). (L.T.)

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98. Processione a Fonni (1929-30) linoleografia, 24 x 33,4 su 36 x 48 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” tiratura: 10/50 inv. n. 209 Direttamente collegata, quanto a stile, a Donne alla fonte sotto un bel cielo (sch. 97), la scena mostra un taglio tipicamente fotografico, soluzione presente nell’opera di Biasi sin dagli inizi, in particolare nel tema della processione (cfr. sch. 1 e 3; AM 1998, figg. 395-397). La gamma cromatica è imperniata sui toni del giallo dorato, e prevede l’uso di soli altri due colori (qui bianco e rosso), come nelle altre stampe riconducibili a questo periodo (cfr. sch. 97, 171). Diversamente da quelle, però, sono del tutto assenti le ombre, con un effetto di bidimensionalità ancora più evidente. (L.T.)

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99. Processione del Corpus Domini a Torpé (fine anni Venti) tempera acquerellata su cartoncino, 19,8 x 27 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 57 Si tratta di uno studio per l’olio dallo stesso titolo esposto nel 1929 alla Mostra d’Arte della Primavera Sarda di Cagliari (cat. n. 3, p. 6) e oggi conservato alla Galleria Comunale

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d’Arte Moderna di Cagliari. Nella tempera, in controparte rispetto alla composizione adottata nell’olio, la scarna teoria di fedeli avanza dietro al baldacchino dando le spalle all’osservatore. La forte accentuazione grafica si accompagna ad una tavolozza quasi monocromatica, giocata su una serie di toni caldi e spenti, memori della tavolozza del periodo africano, che conferiscono alla scena un’atmosfera di lenta, rassegnata ineluttabilità. (L.T.)


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100. Toeletta (fine anni Venti-primi anni Trenta) tempera su carta nera, 18,2 x 21,2 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 102 Altra variazione sul tema della toeletta, di forte impianto grafico e stesura impastata. Il contrasto tra i due corpi di segno diverso è smorzato dall’inserimento in un interno di salotto, un’ambientazione quotidiana che aggiunge

una notazione dal vero percepibile, se non nel figurino della donna bianca, nella posa assorta della serva. Allo stesso tempo, però, il modellato di quest’ultima è contrapposto alla bidimensionalità del tessuto che le avvolge i fianchi e di quello sullo sfondo, così come all’ispessimento della linea di contorno e alla stilizzazione delle mani di sapore primitivoespressionista. Come in Matisse, realismo e astrazione decorativa si accompagnano e traggono forza dal reciproco contrasto. (L.T.)

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101. Danzatore e musicanti (fine anni Venti-primi anni Trenta) tempera acquerellata e pastello rosso su carta nera, 31,9 x 28 cm firmato in basso a destra: “Biasi” inv. n. 93

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Le scene di danza e di cabaret costituiscono un altro topos esplorato da Biasi negli anni africani e dell’immediato ritorno in Sardegna: alla musica, qui nella sua accezione primitivista, ossia concepita prevalentemente come ritmo e percussione, spetta l’evocazione di quel mondo fiabesco e misterioso delle origini, la cui resa era un tempo affidata alle im-

magini della Sardegna più arcaica. Le figure dei suonatori fanno dunque tutt’uno con i loro strumenti, e la loro stessa disposizione scandisce lo spazio secondo un andamento ritmico agevolato dalla scabra stilizzazione. Il bordo laterale destro presenta un ampliamento, con aggiunta di carta nera incollata da sotto. (L.T.)


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102. Danzatrice con musicanti (fine anni Venti-primi anni Trenta) tempera acquerellata e pastello su carta nera, 27 x 26,3 cm non firmato inv. n. 118, cfr. sch. 259

In questo caso sembra evidente un legame con le miniature persiane che Biasi conosceva ed apprezzava. I volti presentano tratti fortemente caricaturali. Il suonatore in piedi è ottenuto, con efficacia ed economia di mezzi, attraverso il risparmio del fondo nero. In alto al centro è possibile leggere parzialmente la filigrana della carta. Si tratta di carta

nera prodotta dalla ditta francese Canson & Montgolfier, attiva sin dal XVI secolo, che produceva cartoncini colorati dal 1809 e dal 1877 era commercializzata anche all’estero. Di ottima qualità , venduta in fogli di medie dimensioni, costituiva uno dei supporti prediletti della grafica di Biasi, che la utilizzava anche per opere pittoriche. (A.C.)

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111. Studio per Serenata al chiaro di luna (1931 circa) penna su carta, collage (2 pezzi), 10 x 17 cm inv. n. 170 (2)

113. Carro in un cortile (primi anni Trenta) penna e acquerellature seppia su carta, collage (2 pezzi), 10,7 x 13,5 cm inv. n. 170 (9)

Lo studio è in una fase piuttosto avanzata dell’elaborazione. Rispetto alla linoleografia, in controparte (sch. 171), sono presenti tutti gli elementi compositivi, mentre non è trattato il problema delle ombre. (A.C.)

Forse prima idea per la stampa Cortile con carro (sch. 185), che però pare tratta da una fotografia, mentre qui si ha la sensazione di una rapida notazione dal vero. Per il chiaroscuro Biasi utilizza raramente il tratteggio, preferendo campiture acquerellate di inchiostro steso a pennello. (A.C.)

112. Studio per Serenata al chiaro di luna (bis) (1931 circa) penna e acquerellature seppia su carta, collage, 9,6 x 13,4 cm inv. n. 170 (3) Qui il risultato finale è più confuso, anche per la presenza di numerosi tasselli di carta, ma l’edificio sulla sinistra indica già un’idea chiara sulla realizzazione della stampa. (A.C.)

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114. Studio per Vespro in Orgosolo (prima metà anni Trenta) penna e acquerellature blu e seppia su carta, collage (6 pezzi), 24 x 20 cm inv. n. 175 (52) Il disegno è in relazione alla tempera Vespro in Orgosolo (sch. 184). (A.C.)

115. Studio per Ballo Tondo (metà anni Trenta) penna e acquerellature su carta, collage (5 pezzi), 11,5 x 15 cm inv. n. 176 (68) Biasi prova, anche coll’aiuto del collage, alcune soluzioni compositive in vista della tela Ballo Tondo (AM 1998, fig. 384). (A.C.)


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116. Studio per Ballo d’Oliena (metà anni Trenta) penna e acquerellature su carta, 16,8 x 15,3 cm inv. n. 174 (41) Studio per la linoleografia Ballo d’Oliena (sch. 211), ma con un paesaggio architettonico più accentuato. (A.C.) 117. Due portatrici d’acqua (anni Trenta) penna e acquerellature su carta a quadretti, collage, 22,4 x 19,4 cm inv. n. 176 (59) Su un disegno essenziale eseguito al tratto, vengono stese abbondanti acquerellature che conferiscono un tono crepuscolare, enfatizzando le ombre lunghe del tramonto. (A.C.) 118. Donne portatrici (anni Trenta) penna, acquerellature nero-blu e tempera

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bianca su carta, 19,1 x 18,2 cm inv. n. 176 (62) Rapido schizzo, realizzato con ampie campiture a pennello ed un uso della tempera che sommariamente evidenzia alcuni punti della composizione. (A.C.) 119. Chiesa in paese (anni Trenta) penna su carta, 14,5 x 17 cm inv. n. 170 (1) Il tratto sottile della penna delinea sul foglio il profilo di una chiesa paesana, come appunto visivo per eventuali rielaborazioni. (A.C.)

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Con pochissimi tratti e ampie zone acquerellate un paesaggio rurale è sentimentalmente evocato. Molto poetica la notazione delle foglie autunnali, sospese nel vento o ancora debolmente attaccate ai rami. Questo schizzo ricorda gli sfondi malinconici di molti paesaggi con cavalli degli anni Trenta. (A.C.) 121. Chiesa (anni Trenta) penna e acquerellature nero-blu su carta, 19,7 x 14 cm inv. n. 170 (5) Rapido appunto su una chiesa paesana, con imponenti monti alle spalle. Dal punto di vista tecnico, Biasi utilizza un tratto a penna sottile che rende il disegno molto luminoso. (A.C.)

120. Paesaggio (anni Trenta) penna e acquerellature seppia su carta, 16 x 18,8 cm inv. n. 170 (4)

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232. Coro a quattro voci (1936-37) olio su compensato, 80 x 90 cm firmato in alto a sinistra: “G. Biasi – Sassari”; sul verso, cartellino della Mostra d’Arte Italiana all’Esposizione Internazionale di Parigi, 1937 inv. n. 36 L’opera testimonia il felice ritorno dell’artista sulla scena, dopo anni di difficili rapporti con la critica e la polemica sfociata nei libelli delle Comparse conclusionali del 1935. Fa parte di una serie, quella dei cantori, di cui alcuni esempi furono presentati alla galleria milanese Dedalo nel febbraio del 1937; l’olio in esame venne inoltre esposto nella Mostra d’Arte Italiana in seno alla Esposizione Internazionale

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di Parigi dello stesso anno, dove ricevette un diploma d’onore. Per la ricchezza di apporti presenti, costituisce uno degli esempi più interessanti della multiforme attività di ricerca di Biasi nella seconda metà del decennio. Vi si afferma infatti pienamente la tendenza verso un primitivismo scevro ormai di qualunque inflessione regionalistica e accompagnato da una vena espressionistica, peraltro serpeggiante da tempo nella pittura di Biasi, e qui evidente nell’uso delle ombre. La semplificazione arcaizzante riguarda anche la tavolozza, che si riduce ai bruni e al viola attorno ai quali si articola la composizione dai contorni marcati, quasi da bassorilievo. Importante è infatti l’influsso esercitato da Sironi, rinvenibile nella qualità scabra e asciutta della pittura, nella pennellata ruvida capace di esprimere l’angoscia esistenziale, lontana dalla celebrazione monumentale di cui lo stesso Sironi aveva peraltro esplorato le modalità. Il dipinto è da mettere in rapporto con una serie di studi, disegni e schizzi preparatori che testimoniano la frequentazione del tema da parte del pittore: le tempere (sch. 162, 237, 261-262), la tempera Composizione, sch. 235 (1936-37 circa); gli Studi di teste, sch. 163 (anni Trenta); l’opera Cantori, nota da una foto d’epoca (1937, fig. 404 in AM 1998); lo schizzo Figure in collezione privata (FA 2001, p. 20). (L.T.)

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233. Coro a tre voci (1936 circa) linoleografia, 23 x 35 cm firmato in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 201 La stilizzazione delle figure conferisce al soggetto un carattere di rigorosa essenzialità che ricorda le prime prove del Biasi incisore. L’unità della scena è data anche dalla fusione delle ombre col nero delle vesti, sapientemente alternato ai rossi e gialli e ai grigi sfumati. L’ambientazione ha un precedente nell’incisione Uomini in cantina (sch. 174), ma solo per la descrizione dello sfondo; nella stilizzazione delle figure in senso espressionistico è invece da avvicinare alla serie dei cantori sviluppata nel 1936-37, che però spinge ancora oltre la semplificazione di lineamenti, vesti e ambientazione (sch. 235); AM 1998, figg. 402404. (L.T.) 234. Testa (1936-37) tempera, gessetto e pastello verde su carta nera, 14 x 9 cm inv. n. 142 Un volto molto simile a quello della sch. 236 ma reso con un maggiore naturalismo, anche se non manca il senso della deformazione grottesca. Grazie alla modulazione del bianco sul fondo nero, questo monocromo si accende di effetti luministici di grande effetto. (A.C.)

235. Composizione (1936-37) tempera acquerellata e pastello blu su carta nera, 17,5 x 23,4 cm inv. n. 167 La «deliberata intonazione ‘barbarica’» si intona alle aspre sonorità del canto a tenore; «dissolta ogni connotazione regionalistica legata al tema, una violenta semplificazione arcaizzante trasforma i personaggi in ruvidi feticci» (AM 1998, p. 284), e non manca una deformazione crudele e grottesca, che ricorda i pagliacci del contemporaneo Georges Rouault. (A.C.) 236. Studi di teste (1936-37) tempera e pastello su carta nera, 15,4 x 16,5 cm inv. n. 140

L’uso del bianco su cartoncino nero, in questo studio come negli altri collegati, è estremamente efficace. Bastano pochi tratti per rendere il volume e dare espressività ai volti. Vi è probabilmente un legame diretto con il cantore della sch. 232, opera presente nel 1937 all’Esposizione Universale di Parigi. (A.C.) 237. Teste (1936-37) tempera su carta nera, collage (3 pezzi), 7 x 7 cm inv. n. 143 Piccolo frammento che, dalla composizione di maggior formato (sch. 235), estrapola due cantori con una sintesi geometrica che semplifica al massimo la forma ed ottiene un effetto di durezza che richiama l’Espressionismo tedesco. (A.C.)

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238. Donne del Campidano (anni Trenta) tempera su cartoncino, 25 x 20 cm non firmato inv. n. 59 Anche questa tempera, come spesso in Biasi, vede l’affermarsi di un segno veloce e corposo, in grado di evocare con pochi, decisi tratti una scena popolata da vari personaggi. Trattate alla stregua di tipi appena abbozzati, le figure ricevono un trattamento quasi caricaturale, come nel caso del bevitore in secondo piano, presente in diverse opere di analogo contesto tematico. (L.T.) 239. Lo spiedo (1937 circa) tempera acquerellata, pastello violetto e giallo su carta nera, 25,5 x 32 cm firmato in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 58 La tempera fu pubblicata nel 1937 come illustrazione ad un articolo di Biasi (“Feste di popolo in Sardegna”, in La lettura, Milano, XXXVII, 10, 1937). L’artista vi adotta modi liberi e sciolti, in cui il rigoroso impianto grafico cede il passo a una tecnica a macchia efficace nell’abile sfruttamento del fondo nero della carta. Nonostante l’evidente tipizzazione dei due personaggi, il dipinto mostra nel taglio fotografico, nella notazione dal vero delle pose e nella resa del fumo l’immediatezza del documento, ascrivibile alla destinazione divulgativa. (L.T.) 240. Obrieri con stendardi (1937 circa) tempera e pastello su carta preparata nera incollata su tavola, 94,5 x 74 cm firmato in basso a sinistra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 48

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La tempera raffigura un momento della festa sassarese dei Candelieri (14 agosto), in cui grandi ceri di legno ornati di nastri vengono portati in processione per la città dai membri delle corporazioni di arti e mestieri cittadine (Gremi). L’opera è riconducibile al 1937 circa per la vicinanza alla tavola che illustra un articolo di Biasi pubblicato in quell’anno da La lettura (cfr. sch. 239). La festa dei Candelieri, uno dei temi ricorrenti nell’opera dell’artista, trova qui una delle tante rappresentazioni, ben note anche al pubblico più vasto (si ricordino ad es. l’olio della collezione del Comune di Sassari e quello della Camera di Commercio di Sassari; AM 1998, figg. 340, 293). Gli obrieri dei Gremi dai costumi spagnoleggianti e i paraj, protagonisti della festa, sono oggetto di numerosi studi e disegni (cfr. sch. 242-243) in cui, ancora una volta, si incontrano il gusto per la tipizzazione e l’intento realistico, mentre gli stendardi dai colori vivaci permettono al pittore di sperimentare innumerevoli schemi compositivi e accordi tonali.

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Cfr. anche la tempera Obriere (sch. 183) per una variazione sullo schema compositivo dei tre personaggi in primo piano. (L.T.) 241. I Candelieri (seconda metà anni Trenta) tempera e pastello su cartoncino, 74 x 84 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 49, cfr. sch. 240

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Biasi è per i suoi concittadini il “pittore dei Candelieri”: in ogni esercizio pubblico o casa privata di un appartenente ad un Gremio (le corporazioni dei mestieri della città di Sassari) o in cui la “faradda” (la discesa dei Candelieri per le vie della città) sia un evento sentito, non manca una riproduzione del dipinto, ora nella collezione del Comune di Sassari, esposto alla terza Sindacale sarda di Sassari nel 1932 (AM 1998, fig. 340), o almeno una stampa dello stesso soggetto, fra le diverse prodotte dal pittore. Intorno al 1928 Biasi presenta, come parte della decorazione del Padiglione Sardo alla Fiera di Milano, la grande tela I paraj, oggi della Camera di Commercio di Sassari (AM 1998, fig. 293). Nel 1931 il Comune di Sassari conferisce informalmente a Biasi la commissione, poi revocatagli, di due grandi tele dello stesso tema per la sala consiliare del Comune. Come di consueto, il pittore si avvicina al soggetto con numerosi disegni, studi e dipinti. Anche negli anni successivi, nonostante il cattivo esito della commessa comunale, il tema dei Candelieri torna ripetutamente nell’opera di Biasi che, pur utilizzando soluzioni compositive simili, muta progressivamente lo stile e la resa pittorica. In questa tela si osserva una efficace impostazione spaziale, con tre grandi figure in primo piano e la folla che si dispone nei piani successivi, sino alla quinta rappresentata dagli edifici disposti secondo sovrapposizioni di parallelepipedi. Le figure sono delineate da spesse linee scure, la gamma cromatica è straordinariamente enfatizzata dalla scelta luministica. Una luce intensa e radente, da tardo pomeriggio estivo, investe le figure da un punto collocato sulla sinistra, alle spalle dei paraj, delineando con bianchi abbaglianti le volumetrie di corpi e volti, con una resa molto vicina alla Processione a Ollolai, del 1936-37 circa (AM 1998, fig. 395). Il dipinto è inoltre vicino alle illustrazioni realizzate nel 1937 per la rivista La lettura (cfr. sch. 239). (A.C.)

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242. I paraj (seconda metà anni Trenta) linoleografia, 89 x 48,5 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 213 L’opera celebra la festa sassarese dei Candelieri. Lo schema compositivo ha un taglio solo apparentemente fotografico, scandito com’è invece dall’accurata disposizione delle figure in primo piano e degli stendardi che le uniscono allo sfondo, in una studiata alternanza di ricercate simmetrie. Un richiamo al motivo degli stendardi si trova tra i disegni ricalcati da Biasi in un album degli anni Trenta (MEC 1993, p. 31) e in alcuni schizzi in collezioni private (FA 2001, pp. 25, 37). Cfr. sch. 183 per taglio e soggetto simili. L’incisione si ricollega alla tempera della sch. 240, mentre uno studio di personaggio dei Candelieri è presente anche nella sch. 263. (L.T.)

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243. I paraj e i candelieri (seconda metà anni Trenta) linoleografia, 23 x 35 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 199 Consueto taglio fotografico nella diagonale della processione. Le figure in primo piano, stilizzate secondo i clichés tanto studiati da Biasi in innumerevoli abbozzi e disegni – cfr. ad es. quelli presenti nell’album di ricalchi di disegni degli anni Trenta della Galleria Comunale d’Arte di Cagliari (MEC 1993, pp. 31-33, 35) e in studi in collezioni private (FA 2001, pp. 25, 28-29, 37) – sono trattate con colori a macchia risaltanti sul nero, mentre lo sfondo acquista maggiore ricchezza tonale a suggerire l’indistinzione della lontananza. (L.T.) 243

244. Uomini e donna in chiesa (seconda metà anni Trenta) linoleografia, 23,2 x 35 su 41,1 x 52,4 cm firmato sul foglio in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 197 Altra tavola dal forte contenuto pittorico, in cui il gioco dei toni di grigio e l’ombreggiatura del nero creano un effetto di profondità impreziosito dalle macchie di giallo, bianco e violetto. L’ambientazione può evocare alla lontana l’atmosfera di una incisione degli inizi, La preghiera (sch. 6), per la semplicità arcaizzante e il raccoglimento degli oranti, ma ne sopprime le asprezze primitiviste in una resa più accurata dei volumi e dei chiaroscuri. Studiano il soggetto alcuni dei disegni ricalcati da Biasi in un album degli anni Trenta, verosimilmente come raccolta di spunti da utilizzare (MEC 1993, pp. 34-35, 39). (L.T.)

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245. Corpus Domini a Fonni (seconda metà anni Trenta) linoleografia, 22,7 x 34,7 cm firmato in basso a destra: “G. Biasi – Sassari” inv. n. 196 Condivide il soggetto con la tempera Processione a Fonni della metà degli anni Trenta (sch. 222). Insieme ad altri lavori più tardi, presenta una curiosa compresenza dell’à plat, nel decorativismo dai forti contrasti cromatici e nella piatta semplificazione dei costumi dei fedeli, e di un pittoricismo carico di valori tonali nella resa del baldacchino e delle vesti degli officianti. (L.T.)

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253. Festa di Nostra Signora del Rimedio (fine anni Trenta) olio su cartone, 70 x 90,5 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 34 Biasi ha ormai abbandonato l’aneddotismo che aveva caratterizzato la fase giovanile, insieme alla visione di una Sardegna arcaica ma nobilissima, popolata di donne-regine custodi di una cultura millenaria. In questo dipinto, nonostante l’occasione della festa, le bancarelle davanti alla chiesa hanno un sapore di mercato africano, gli abiti sono semplici, il mondo rurale appare in tutta la sua modestia, tanto da dare un’impressione di «rustica riunione di massai, pastori e fattoresse, non più trasfigurata dalla luce eternizzante del mito» (G. Altea, M. Magnani 1998b, p. 148). (L.T.)

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254. Settimana Santa in Barbagia (fine anni Trenta) olio su cartone, 70 x 91 cm non firmato; sul verso, cartellino della Mostra d’Arte Moderna della Sardegna a Venezia, Opera Bevilacqua-La Masa, 1949 inv. n. 40 L’opera è accostabile alla tempera Processione del Cristo dello stesso periodo in collezione privata a Sassari (AM 1998, fig. 389). Il dipinto, tra i più intensi di questa fase artistica, possiede una forza espressiva ed un pathos dolente che riportano Biasi al mondo tedesco e alle ricerche svolte in quel contesto da Die Brücke, dimostrando ancora una volta il «connubio fra localismo ‘ideologico’ e internazionalismo stilistico» (V. Sgarbi 2001, p. 10).

Una visione allucinata, profondamente drammatica, pervade quest’opera. Basti osservare i paramenti liturgici, dove bianco, viola, giallo e rosso entrano in collisione, con un uso magistrale del colore in chiave espressionistica. La composizione è organizzata secondo due blocchi contrapposti: sulla sinistra gli officianti affollano la scena, occupando lo spazio in modo opprimente e proiettando sul suolo una pesante ombra nera; a destra la statua del Cristo si staglia su un cielo plumbeo e il consueto borgo rurale. Qui la chiesa imponente e ben delineata si contrappone alla definizione sommaria delle case, evocate da colpi di spatola. Le due donne ai piedi del crocefisso sono macchie nere prive di ogni caratterizzazione, e tutti i volti sono indefiniti, sacrificati all’esigenza di drammaticità del soggetto.

Nel crocefisso, le dimensioni e la resa pittorica non si discostano da quelle degli altri personaggi, solo la luce lo colpisce in modo differente, incidendone il fianco. Biasi sembra cogliere con notevole empatia il trasporto ed il coinvolgimento popolare, di ascendenza spagnola, con cui la Settimana Santa era vissuta nei paesi della Sardegna. Il tema, frequentato alla metà degli anni Trenta con una generica connotazione espressionistica (nelle Processioni in collezione privata a Sassari e Cagliari, nel S’iscravamentu oggi a Roma, per esempio – AM 1998, figg. 389, 391392) tocca qui un vertice qualitativo che lo accomuna, anche dal punto di vista della tecnica pittorica, alla Processione dei primi anni Quaranta in collezione privata a Sassari (AM 1998, fig. 441). (A.C.)

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255. Abbeverata sullo stagno (fine anni Trenta-primi anni Quaranta) olio su masonite, 44 x 50,5 cm firmato in basso a destra: “Biasi” inv. n. 6 Non più pretesto per un’ostentazione dei variopinti costumi sardi, la scena dei cavalli all’abbeveratoio si colora di cupa malinconia, un’atmosfera crepuscolare in cui uomini e bestie sono uniti nella stessa solitudine. I bruni e i rosati enfatizzano questo approccio meditativo al tema, particolarmente ben riuscito nell’opera, anche rispetto all’Abbeveratoio, Logudoro (sch. 257) o a Alla fonte in collezione privata a Cagliari (AM 1998, fig. 413). Il confronto con il Pastore con cavalli dipinto tra il 1932 e il 1936 (AM 1998, fig. 410) ugualmente molto intenso e declinato sulla stessa vena sentimentale, mostra lo studio compiuto da Biasi sulle proprietà della luce: da un luminismo intenso che definisce lo spazio si passa ad una luce che sfrangia e decompone i corpi, quasi ricordando Rembrandt. Il cavallo marrone ricompare essenzialmente identico, come un cartone per affresco, nel dipinto in collezione privata a Cagliari Alla fonte (AM 1998, fig. 413). Il continuo ricorrere di pose e figure è tipico della prassi esecutiva di Biasi, che riutilizza in composizioni diverse, anche a distanza di anni, la grande quantità di disegni e bozzetti attraverso i quali prende possesso della realtà. (A.C.)

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256. Chiesa e oliveto (fine anni Trenta) olio su cartone, 42 x 61 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 21 Gli ulivi e la piccola chiesa campestre caratterizzano questo paesaggio come sardo; forse è uno tra i 67 esposti a Sassari nel giugno del 1939, presso il Gruppo rionale fascista “A. Solinas” (cfr. sch. 251). Il recupero di una sensibilità e di un gusto per l’immagine di stampo ottocentesco, uniti al tono elegiaco, anticipano soluzioni adottate nel periodo biellese. (A.C.)

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257. Abbeveratoio, Logudoro (fine anni Trenta) olio su cartone, 46,5 x 64,5 cm firmato in basso a destra: “Biasi” inv. n. 20, cfr. sch. 221 Ancora una variante sul tema di uomini e cavalli alla fonte. Il paesaggio è desolato, con l’albero secco in primo piano che tende i rami neri al cielo come una mano, e proietta un’ombra lunga che fa da meridiana, scandendo l’ora del crepuscolo. «Dalla prosaicità del quotidiano emerge – tra le frasi d’un discorso pittorico volutamente asciutto e smozzicato, privo d’ogni eleganza retorica – la spoglia crudezza dell’esistere» (AM 1998, p. 287). (A.C.)

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258. La guardia al Santissimo (fine anni Trenta-primi anni Quaranta) olio su masonite, 46 x 69 cm firmato in basso a sinistra: “Biasi” inv. n. 32 Il tema era già apparso alla metà degli anni Trenta, ed è ripetuto con varianti in moltissime opere di questo periodo (cfr. sch. 273, 275276), un sottoinsieme del più ampio gruppo relativo alle feste religiose. Il taglio spaziale e le lunghe ombre che cavalli e cavalieri proiettano sul suolo, l’incedere lento, ma non solenne del corteo, l’atmosfera di disagio esistenziale non possono non ricordare le vedette di Fattori che passano apatiche e stanche su simili strade sterrate e lungo gli stessi muri imbiancati di calce. (A.C.)

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