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Copertina Pino Melis

In copertina: I Re Magi, anni Cinquanta, (particolare)


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Con il contributo di

Fondazione Banco di Sardegna

Questo volume è stato realizzato in occasione della mostra PINO MELIS, allestita a Cagliari presso il Teatro Civico di Castello, via De Candia, dal 18 luglio al 30 settembre 2007, organizzata e allestita da Arteficio, Libera Associazione Culturale.

Laddove non specificato diversamente, i documenti e le opere originali provengono dagli eredi Pino Melis, Roma, ai quali l’editore rivolge un sentito ringraziamento.

Coordinamento editoriale e apparati Antonello Cuccu Grafica Miriam Aprile Stampa Fotolito Longo Le selezioni colore sono state realizzate per acquisizione diretta dalle opere e dai documenti originali presso il reparto fotolito della Ilisso Edizioni, fatta eccezione per le immagini ai nn. 3-9, 41-42, 52-53, 55-56, 58-62, 78, 95, 99, 104, 222 (foto Pietro Paolo Pinna) e n. 72 (foto Donatello Tore).

Š 2007 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it ISBN 978-88-89188-99-6


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INDICE

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CON GLI OCCHI ABBARBAGLIATI DALLA FOSFORESCENZA Antonio Faeti

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NOSTALGIA DI UN RITORNO Antonello Cuccu

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TEMPERE E DISEGNI ORIGINALI

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ILLUSTRAZIONI

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CRONOLOGIA

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


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In questa deprimente situazione, l’apparizione delle tavole che il quarantacinquenne Pino Melis offre, costituisce un esempio clamoroso di come si possa proseguire una ricerca solitaria e intensa anche mentre ci si trova a operare in anni che potrebbero indurre alla fuga o alla pigra imitazione dei pessimi esempi via via conosciuti. Si veda, per esempio, la tavola disegnata da Melis per la novella intitolata “Checco”. In un’atmosfera resa intensamente poetica da preziosi azzurri, da insoliti verdi, da misteriosi grigi, si notano tre gabbiani rifiniti con il tocco sapiente di chi ama il Liberty però lo ha già superato con una ricerca che desidera effetti pittorici e li trova nell’ascendenza di pittori italiani come Tomea, Caffè, Usellini, Clerici, oppure anche Savinio o Leo Longanesi. I colori alludono a un’attentissima volontà di superare il banale, di non cedere all’oppressione dello stereotipo. Tutto è come vibrante per via di acquerelli, inchiostri, chine che si usano come per ricamare. C’è la tipica barca da pesca adriatica con le vele di un arancio che è stato nobilmente invecchiato dall’uso, c’è la casa che tante volte appare nella laguna di Comacchio, ci sono i fiori liberty che appartengono a una botanica vera. Con la voluta indeterminatezza delle luci, la tavola non ha una sua ora, Melis la immerge in un silenzio musicale, come da Purgatorio, fra l’altro anche proponendo un moto, degli uccelli e della barca, che vive di una sua propria contraddizione. In una raffinata gamma di malva, di rosa, di violetti, con terre ombra e ocra, in un’altra tavola un’aquila guarda il suo aquilotto nel nido: c’è un sentore complessivo come di attesa metafisica, perché l’aquila, infinite volte emblematizzata, qui porge la propria forza naturale che però è redenta dalle delizie dello stile. Un’accuratezza di linee, un uso sussurrato di contorni lievissimi però così limpidi e netti da assegnare un senso chiarissimo a rocce e a uccelli. Anche la costruzione è realizzata in modo da rendere attonito lo sguardo di chi contempla: le montagne, create con le stesse tinte che estenuavano il salotto di Proust, alludono a qualcosa che non possiamo percepire. Purtroppo, nei confronti del rapporto che si può stabilire tra queste immagini tanto nobilmente poetiche, così sapientemente precise per quanto attiene ai dati tecnici, e un contesto quasi sempre povero e volgare come era il visivo della cartellonistica e della illustrazione, nell’Italia del 1947, sarebbe assolutamente necessaria la testimonianza dello stesso Melis. Tante illazioni sono possibili, doverose, accettabili, logiche: ma è così importante ciò che ora si deve affermare, da imporre anche una inevitabile cautela. Perché, con immagini come queste, Melis si oppone nettamente al senso di una complessiva fabbrica delle immagini. Conosce certamente il contesto, sa bene cosa va di moda, non può certo riconoscersi nella realtà corrente, ma si tiene lontanissimo da chi stravince, da chi domina il mercato, da chi impone poveri stereotipi fra l’altro non scaturiti dalla nostra tradizione. Forse, tra l’autore di queste ricerche così devote alla più bella nostra tradizione – e a un tempo anche così coerentemente ricavate dall’incessante processo di una sperimentazione ininterrotta – e i produttori delle volgari imitazioni che una triste colonizzazione visiva stava imponendo, c’era un forte contrasto, c’era una ribadita separatezza. Le immagini sono di per sé molto eloquenti, ma la voce del pittore, o una traccia scritta, una lettera, una testimonianza raccolta, ci servirebbero a definire davvero il senso di questo straordinario prodotto. Nello stesso volume, la tavola che illustra la novella “La ruota sul tetto” pone ancora altri problemi interpretativi. Cinque cicogne e un cicognino, un cielo plumbeo e latteo insieme, un tetto assolutamente nordico con una rivestitura così definita da potersi dire miniata, in lontananza, nelle brume, torri e cattedrali, due perfetti comignoli, tre finestre. 8

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3. Copertina a due colori, in C. Jacobelli, Viandanti dell’aria, Roma, Tempo Nuovo, 1947. Nell’esemplare qui pubblicato (copia appartenuta a Pino Melis) è stato apposto un cartellino indicante una casa editrice differente da quella presente all’interno del volume.


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4-5. Tavole fuori testo a colori, in C. Jacobelli, Viandanti dell’aria, Roma, Tempo Nuovo, 1947.

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6-7. Tavole fuori testo a colori, in C. Jacobelli, Viandanti dell’aria, Roma, Tempo Nuovo, 1947.

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NOSTALGIA DI UN RITORNO Antonello Cuccu

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32. Autunno nel suo principio, 1924 figurino di Moda, inchiostro su carta da riciclo, 14 x 8,8 cm. 33. Figurino di Moda (1924) inchiostro su carta da riciclo, 14,1 x 9 cm. 34. Figurino di Moda (1924) inchiostro e matita su carta da riciclo, 13,9 x 9,2 cm. 35. Figurino di Moda (1924) inchiostro su carta da riciclo, 14,1 x 9 cm. 36. Figurino di Moda (1924) matita su carta da riciclo, 13,6 x 9 cm.

Essere sardo, essere uno dei Fratelli Melis,1 essere poi nato sulle rive di un fiume prossimo al mare fra pescatori, contadini e pastori abitanti nello stesso vicolo: per Pino Melis non poteva aprirsi altro che un destino immerso nella molteplicità espressiva di radice artigiana. A guardare la sua opera è come se la “nostalgia di un ritorno” verso casa, la casa per eccellenza, la Sardegna, ovvero la terra e la gente sentite come un tutt’uno con l’universo artigiano, sia stata la spinta creativa verso la prassi e gli svariati esiti nell’artigianato artistico: illustrazione, ceramica, decorazione d’arredo, disegno per tessuti, abbigliamento, gioielli e vetrate sono gli ambiti nei quali è sconfinata la sua ricerca. Frequentazione d’altronde comune a tutti gli artisti sardi che hanno animato la scena della prima metà del secolo XX. Oggi, probabilmente, mutati i tempi e le possibilità, egli si sarebbe decisamente orientato verso l’haute couture, passione manifesta fin dagli esordi (sono figurini di Moda, forse vicini a quanto qui pubblicato, quelli proposti dal quattordicenne Melis a Sassari nel 1916, nella mostra per la Mobilitazione Civile), per arrivare a ciò che poi in realtà Pino Melis fu: un arbitro di stile, sempre mantenutosi nei contorni di una poetica privata, volutamente differita, in apparenza ingenua invece selettiva nel segno (scelta che poi lo accomuna a figure di grande sapienza narrativa quali Irene Kowaliska o Edina Altara), esito infallibile di un gusto filtrato e, come definisce in questa stessa pubblicazione Antonio Faeti, di tono “giapponista” nella sobria rarefazione dei tratti. Figlio di un padre commerciante in tessuti, le suggestioni derivate dalle differenti trame – che vuol dire diverse sensazioni tattili e visive – oscillanti fra l’ordito semplice e quotidiano della tela e la sensuale preziosità del broccato, guardati non per intrinseca povertà o ricchezza ma per l’universo di rimandi in essi contenuto, affioreranno e condizioneranno costantemente i ritmi e lo stile della sua narrazione. Non è casuale che un conterraneo di oggi, il fashion designer Antonio Marras, abbia in Pino Melis un transfert tale da coinvolgere ripetutamente nel proprio lavoro citazioni di sue opere, attraverso soluzioni stilistiche quali il fiore (1996) estrapolato dall’abito della principessa del racconto “Il garofano bianco”,2 prima dipinto a mano su tessuto poi applicato anche su stivali o maglioni, o, di più, l’autocaricatura del giovanissimo Pino3 usata come un autoritratto per la rivista Elle. Anche Marras ricorre per le modelle al trucco pesante degli occhi, fortemente bistrati, come nei figurini che Melis esordiente era andato tracciando, suggestionato dal cinema e dalle sue eroine.4 L’eleganza déco di carattere internazionale, sintetica e idealizzata, fortemente condizionata dal disegno, dalla quale Melis è profondamente suggestionato, diviene subito congeniale alla sua indole. Nel 1924 elabora, disegnandoli su carta da riciclo, una folta serie di tipologie femminili (se ne pubblica qui una selezione), quale pretesto al piacere di reinventare l’abito di ciascuna: dalla “spagnola” a “Maria Antonietta” pre-Rivoluzione francese, con tanto di bastone da passeggio carico di nastri. Sono disegni eseguiti in punta di pennino, dove a colpire lo sguardo sono quei dettagli puntigliosi – profusi in scarpe, cinture, sciarpe e accessori diversi – già a dimensione lenticolare, che costituiranno più avanti il suo tratto distintivo. Affondi di decoro, misurati e diluiti nel perfetto equilibrio d’insieme, in grado di svelare la maniera di gestire il sovraccarico mediante il ricorso a segni innumerevoli ma infinitesimi, che si fondono a uno sguardo più alto riportando la composizione a volumi primari e semplificati. La vera trama narrativa sarà sempre svelata solo a chi, soffermandosi, cercherà con l’immagine un rapporto prolungato e ravvicinato, 25


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37. Danza española, figurino di Moda (1924) inchiostro su carta da riciclo, 13,8 x 8,9 cm.

impostato sull’attenzione a ciascun millimetro quadrato e sui tempi dilatati del godimento visivo. L’opera di Pino Melis è in tal senso l’esempio giusto da opporre alla fruizione frettolosa e superficiale. Questo – in parte la sua condanna – lo estromise a un certo punto dalle consumistiche dinamiche di mercato, oggi negate felicemente da un illustratore quale Roberto Innocenti, salutato con elogio dal sapiente pubblico inglese. A Milano nel 1917, alla Mostra Sarda organizzata dalla direzione della Galleria Centrale d’Arte a Palazzo Cova, allestita in favore degli orfani dei combattenti sardi (vi è presente assieme a Giuseppe Biasi, Primo Sinopico, Edina Altara, Beryl Tumiati, Melkiorre e Federico Melis, Riccardo Salvadori e Arthur E. Hight), Pino Melis propone dieci lavori a tempera definiti in catalogo “mattonelle”. Si trattava, probabilmente, di studi da tradurre in ceramica, raccolti sotto il titolo Piccoli canti di Sardegna. Così come i suoi fratelli Melkiorre e Federico, dei quali subisce l’influsso perché da essi trae insegnamento tecnico in materia, egli si avvicina alla ceramica invetriata e cotta in secondo forno non prima del 1923-24.5 L’eccellenza del tratto sottile, la precisione del segno sono mantenuti anche nella difficile traduzione ceramica, come attestano le sporadiche mattonelle ad oggi rinvenute,6 anche se è possibile ipotizzare che molto dell’impegno in questo ambito si sia amalgamato nel coadiuvare i fratelli nel ruolo di decoratore. Certo è necessario rettificare il concetto secondo cui, «sotto la guida» del più celebre Corrado Cagli, si sia potuto dedicare nel 1921 «allo studio della ceramica».7 A questa data, infatti, Cagli ha undici anni (casomai, quindi, sarebbe potuto essere il contrario) ed è noto che l’avventura ceramica di quest’ultimo comincerà a Umbertide, presso i fratelli Rometti, non prima della seconda metà del 1928.8 In una lettera indirizzata alla sorella Olimpia, datata Roma 10 gennaio 1941,9 Pino Melis accenna al «nuovo salotto Sardo» da poco realizzato per l’amico commendator Mereu. Egli, in realtà, ricorrendo all’ambigua formula «gli ho decorato», potrebbe alludere al solo intervento alle pareti, oppure al decoro degli arredi, all’inserimento di complementi d’arredo o anche, in generale, alla regia dell’insieme. Tra i documenti d’archivio, provenienti dallo studio di via Pietro Giannone 27 a Roma, sono stati trovati quattro disegni per mobili in stile sardo, qui pubblicati a p. 29, che avvallerebbero l’ipotesi di un impegno dell’artista orientato proprio nella progettazione di alcuni elementi d’arredo. I caratteri popolareschi in essi adottati, tuttavia, non appaiono originali rispetto alle produzioni coeve proposte da manifatture come quelle dei Clemente, Cau, Ciuffo o da artisti quali Filippo Figari, Melkiorre e Federico Melis, Stanis Dessy, Antonio Mura, Tarquinio Sini e da una infinità di artieri outsider.10 Pino Melis mantiene invece la personale poetica espressiva nell’ornamento di foulard o fazzoletti da tasca, a volte ricamati ma più spesso decorati all’aerografo con l’ausilio di stencil in cartoncino. Questi disegni, affrontando il tema del fondale marino, sono impreziositi da paillettes che evocano luccichii di squame o bollicine d’ossigeno in risalita. Attenta è pure la tonalità di colorazione della seta o del cinz di seta impiegati come base. I preziosi tessuti, così come le piccole spille dai soggetti miniaturizzati dipinti su pergamena, erano destinati per lo più a un utilizzo familiare, come confermano le ricorrenti iniziali che, inserite nel decoro, rimandano al nome della moglie dell’artista. In chiusura di queste veloci considerazioni è necessario accennare a un aspetto determinante per l’intero lavoro di illustratore di Pino Melis. 26

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38. Ritratto di donna (Fanciulla con fiore), 1926, matita e acquerello su carta, 10 x 7 cm, Urbania, Museo civico. Nel taglio compositivo, questo lavoro sembrerebbe concepito per la trasposizione in ceramica.


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39. I fiori per Gesù deposto, illustrazione interna a un colore per C. Fossataro, “Ricordando”, in Rivista Sarda, Roma, a. II, n. 3, marzo 1920, p. 83.

40. Profilo di desulese (seconda metà anni Venti) matita su carta, il foglio 11 x 11 cm, Bosa, collezione privata. La tipologia dell’opera si allinea con lo stesso soggetto proposto in ceramica da Melkiorre e Federico Melis.

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41. Uscita dalla chiesa (seconda metà anni Venti) mattonella; terracotta dipinta e invetriata, 10 x 10 cm, Cagliari, collezione privata.

42. Profilo di dama (seconda metà anni Venti) mattonella; terracotta dipinta e invetriata, 8,5 x 8,5 cm, Sassari, collezione privata.

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53. Costume creato da Pino Melis (anni Trenta). Libera rilettura dell’abito tradizionale sardo, specificatamente dell’ambito desulese. 54. Motivo decorativo sardo (anni Trenta) carta da riciclo traforata, 29,5 x 14,4 cm. È uno dei vari “negativi”, stampini (stencil), presenti nell’archivio Melis di Roma, utilizzati per il decoro seriale di tessuti o altre superfici.

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55-56. Cravatta (anni Cinquanta) raso con monogramma “PM” (Pino Melis) ricamato e traforato, il monogramma 5 x 2,9 cm. L’accessorio è appartenuto all’artista.

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59. Pendente-Spilla (fine anni Cinquanta) tempera su avorio, cornice d’oro con vetro, 3,6 x 2,8 cm. 60. Pendente-Spilla (fine anni Cinquanta) tempera su avorio, cornice d’oro con vetro, 5,1 x 4,2 cm. 61. Pendente-Spilla (fine anni Cinquanta) tempera su avorio, cornice d’oro con vetro, 5,1 x 4,2 cm. 62. Pendente-Spilla (fine anni Cinquanta) tempera e oro su avorio, cornice d’oro con vetro bombato, 5,9 x 4,4 cm.

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57. Studi per bracciale (anni Cinquanta) pastelli colorati e collage su carta, 27,2 x 18 cm. In basso sul foglio la scritta: «idee di Pino Melis per un bracciale in oro giallo e topazi»; dall’alto a destra: «astrazione», «fibbia astratta», «corona regale», «insetti sulla foglia», «ali», «due foglie amorose», «nuvola».

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58. Spilla (primi anni Cinquanta) ricamo in seta e oro su raso, cornice d’argento con vetro, 3 x 5,6 cm.

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72. Alla fonte, 1917 tempera su carta, 14,2 x 72 cm, Sassari, collezione privata. 73. L’anno nuovo, 1923 matita e inchiostro acquerellato su carta a quadretti, 21,5 x 11,6 cm. 74. Profilo di bambino (primi anni Venti) matita e inchiostro acquerellato su carta, 16,8 x 16 cm. 75. Cenerentola fugge dal ballo (fine anni Venti) matita su carta a quadretti, 20,6 x 30,8 cm.

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76. Nostalgia de l’estate (anni Venti) china su carta, il foglio 12,5 x 9 cm, Bosa, collezione privata. 77. La danzatrice d’oriente (anni Venti) china su carta da riciclo, 14,4 x 8,9 cm. 78. Fanciulla giapponese (fine anni Quaranta-primi Cinquanta) matita su carta a righe, 9,7 x 9,5 cm su 14,8 x 10,1 cm.

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94. La Madonna “de noantri” (anni Cinquanta) inchiostro e biacca su cartoncino, 22,8 x 15,5 cm. Il quartiere “de noantri”, a Roma, è Trastevere.

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95. Il mago marino (anni Cinquanta) inchiostro e biacca su cartoncino, 20,3 x 13,8 cm.

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121-124. Copertina a due colori e illustrazioni interne al tratto per “La fiaba del sor Intento” e “Vengo subito!”, in D. Provenzal, O. Giacobbe, Grappolo d’oro … Classe Seconda, Palermo, Industrie Riunite Editoriali Siciliane, 1925, pp. 53, 16.

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125-127. Illustrazioni interne al tratto, rispettivamente per: «P Portare … Emilia va a portare la pappa a Pippo» (p. 18); «S Studio … Sisto pensa da sè al suo dovere» (p. 25); «C Cena … i bambini si siedono attorno al tavolo mentre la mamma prepara la cena» (p. 32), in D. Provenzal, O. Giacobbe, Grappolo d’oro … Sillabario e piccole letture, Palermo, Industrie Riunite Editoriali Siciliane, 1925.

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128-132. Copertina a tre colori e illustrazioni interne al tratto rispettivamente per: E. De Amicis, “Per ben cominciare” (p. 5); G. Nerucci, “Zelinda e il mostro” (p. 14); G. Pascoli, “La notte della Befana” (p. 56); A. Aleardi, “Corradino di Svevia” (p. 41), in Ornella (O. Quercia Tanzarella), Giovinezza … Classe V, Palermo, Industrie Riunite Editoriali Siciliane, 1928. 133. Testatina a un colore per Zia Teta, “Il biancospino e la capinera”, in La Croce Rossa Italiana Giovanile, Milano, a. I, n. 8, maggio 1925, p. 17.

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134. Copertina a due colori per Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930. 135-136. Testatina e illustrazione interna al tratto per “Viva la salute”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, pp. 9, 12. 137-138. Testatina e illustrazione interna al tratto per “Il tesoro senza prezzo”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, pp. 71, 76.

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139-141. Disegno preparatorio, matita su carta, 7 x 7 cm, e illustrazioni interne al tratto per “Mammine”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, pp. 61, 67. 142. Illustrazione interna al tratto per “La composta di fragole”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, p. 137. 143. Illustrazione interna al tratto per “Tre cose portentose”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, p. 27.

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144. Testatina al tratto per “La bambola è malata”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, p. 89.

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145. Illustrazione interna al tratto per “Il gioco alla rovescia”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, p. 52. 146. Illustrazione interna al tratto, per “Bello e Buono”, in Fiducia, Si recita! Scenette dialogate, Torino, Società Editrice Internazionale, 1930, p. 123.

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169-170. Copertina a tre colori e tavola fuori testo a un colore, in C. Perrault, La bella addormentata nel bosco, Roma, Edizioni Ergo, 1946.

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171-172. Copertina a colori e Afferrò una collana di meravigliosi rubini, tavola fuori testo a due colori per “La vocazione di Ursula”, in L. Banal, Il giglio di Britannia. Sant’Orsola, Roma, Società Apostolato Stampa, 1953.

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197, 199. Testatine a due colori in C. Gasparotto Jacobelli, La bàita, Alba, Edizioni Paoline, 1953, pp. 53, 73. 198, 200. Verso il tramonto, invece, scendevano ad un laghetto… e La più buona di tutte era la regina e anche la più bella, illustrazioni interne a due colori in C. Gasparotto Jacobelli, La bàita, Alba, Edizioni Paoline, 1953, pp. 17, 83.

201-202. La Orsola con in mano il suo lume a petrolio e Uno scenario fantastico in una terra incantata, illustrazioni interne a due colori, in C. Gasparotto Jacobelli, La bàita, Alba, Edizioni Paoline, 1953, pp. 91, 107.

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205-207. Le ragazze con mazzi di fiori e Una notte senza luna il mago volò sopra il lago, illustrazioni interne a due colori e Si vedeva il nasino schiacciato contro i vetri‌, tavola fuori testo a colori, in C. Gasparotto Jacobelli, La bĂ ita, Alba, Edizioni Paoline, 1953, pp. 127, 143.

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208. La luce rossastra del lume spandeva un limitato riverbero, tavola fuori testo a colori, in C. Gasparotto Jacobelli, La bĂ ita, Alba, Edizioni Paoline, 1953.

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CRONOLOGIA

1902 Pino (Giuseppe) Melis nasce a Bosa ultimo di otto figli (quattro maschi e quattro femmine). Suo padre, originario di Alghero, è commerciante di tessuti. Suoi fratelli maggiori sono Melkiorre – il noto illustratore, pittore e ceramista – e Federico – egli pure ceramista d’ambito nazionale, unanimemente riconosciuto quale caposcuola della moderna ceramica sarda; fra le sorelle si ricorda Olimpia, la cui impresa – imperniata su un manufatto tradizionale, il filet, era improntata all’innovazione e alla diffusione commerciale – avrà grande influenza nella severa geometria e nei tagli sintetici della ricerca espressiva dei tre fratelli. 1916 Esordisce quattordicenne, da autodidatta, alla Mostra sassarese per la Mobilitazione Civile, proponendo dei figurini di Moda. 1917 In maggio-giugno, come “Pinuccio” Melis, espone a Milano alla Mostra Sarda organizzata dalla direzione della Galleria Centrale d’Arte a Palazzo Cova, assieme a Giuseppe Biasi, Primo Sinopico, Edina Altara, Beryl Tumiati, Melkiorre e Federico Melis, Riccardo Salvadori e Arthur E. Hight, allestita in favore degli orfani dei combattenti sardi. Presenta dieci lavori a tempera, definiti in catalogo “mattonelle”, probabilmente studi da tradurre nella tecnica ceramica, raccolti sotto il titolo Piccoli canti di Sardegna. È di questo periodo la tempera intitolata Alla fonte; opera a sviluppo orizzontale, specchiato e simmetrico, come si trattasse di un ricamo; la cornice in legno di quest’opera è curiosamente intagliata con motivi di rami di pino.

Roma dai Fratelli Palombi e diretto da Pantaleo Ledda, vede come direttore artistico Melkiorre Melis. In questo stesso anno, sempre a dicembre, viene pubblicata la copertina a tre colori dal titolo Armonia, e le sei illustrazioni per il racconto di Lina Dori, “Il ponte del diavolo”, per il prestigioso periodico fiorentino Il giornalino della Domenica, diretto da Vamba (Luigi Bertelli). 1920 Consegue il diploma di Ragioniere. Prosegue la sua collaborazione a Il giornalino della Domenica, protratta sino all’anno successivo; per questo periodico scrive e illustra la novella “Il garofano bianco”, pubblicata in marzo. Ancora a marzo, l’illustrazione a mezzatinta I fiori per Gesù deposto è pubblicata sulla Rivista Sarda. 1921 Ampliando il soggetto di La fanciulla e il cervo, illustrazione per Il giornalino della Domenica, realizza una copertina a due colori per il n. 351, del 5 giugno, della rivista La donna. In maggio espone a Cagliari diciannove opere, fra tempere, disegni e acquerelli, presso la Mostra d’Arte promossa dal Circolo Universitario Cattolico, condividendo la Sala I del piano terra con opere scultoree realizzate da suo fratello Federico. Tra i lavori figurano I fiori per Gesù deposto, Alla fonte, Armonia e La principessa della leggenda, quest’ultimo soggetto raffigurava proba-

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bilmente la donna con il cerbiatto; evidentemente opere di differenti periodi, ritenute ancora valide. Si trasferisce a Roma. Le testimonianze orali, raccolte in primis dalla vedova di Melkiorre, Maria Perfetti, vorrebbero ch’egli si fosse recato per la prima volta nella capitale per acquistare “pizze” da film; materiali da recapitare al regista Oscar Gallone, allora impegnato in Sardegna e coadiuvato dallo stesso Melkiorre.

1919 Una sua illustrazione al tratto è pubblicata sulla Rivista Sarda, numero speciale di Natale e Capo d’Anno. Il periodico, stampato a

213. Pino Melis nel 1938 sulla terrazza della sua abitazione-studio in via Pietro Giannone a Roma. 214. Pino Melis nella campagna sarda, 13 ottobre 1926. 215. I fratelli Melis fotografati a Cagliari il 1 dicembre 1918: Pino è il primo da sinistra, gli è accanto Federico a cui segue Melkiorre; Olimpia è la seconda da sinistra.

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Pino Melis

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216. Cartolina del 1923 appartenuta a Pino Melis nella quale si vedono, a sinistra, due delle sue tre tempere esposte. Il grande pannello decorativo è di suo fratello Melkiorre.

zioni interne al tratto per Ornella (O. Quercia Tanzarella, regia ispettrice scolastica), Giovinezza. Corso di letture per le scuole elementari maschili e femminili urbane e rurali, Classe IV, Industrie Riunite Editoriali Siciliane, Palermo. A questa data può essere ascritta l’unica mattonella ceramica sinora pervenutaci, comprensiva di coeva cornice “tipo sardo”, che dall’etichetta sul retro informa dell’indirizzo romano del suo autore: Largo Brancaccio n. 88, Roma. 1928 Partecipa alla I Biennale d’Arte Sarda di Sassari. Ancora per Ornella disegna la copertina a tre colori e quattordici fra illustrazioni e fregi interni al tratto di Giovinezza. Corso di lettura per le scuole maschili e femminili, urbane e rurali, Classe V, stampato sempre a Palermo. 1929 Espone ceramiche e miniature alla Mostra della Primavera Sarda di Cagliari. 1930 Per Fiducia illustra il volumetto Si recita! Scenette dialogate, pubblicato dalla Società Editrice Internazionale di Torino. La copertina a due colori e le venticinque illustrazioni interne al tratto mostrano uno stile più sintetico di un puro quanto personale stile déco.

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1923 Collabora ai periodici Cordelia, Juventus pro Juventute e il Fanciullo per il Fanciullo, questi ultimi due diretti da Fiducia, madre del pittore Corrado Cagli. Questo noto artista, impegnato alla fine del decennio presso la ditta ceramica Rometti di Umbertide, trarrà suggerimenti dall’esperienza di Melis, già avanti per aver collaborato con i fratelli (Melkiorre ha fatto parte del gruppo che ruota attorno a Duilio Cambellotti, Federico ha frequentato lo studio e la bottega ceramica dello scultore Francesco Ciusa). Espone tre tempere alla Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nel contesto della Sala Sarda «organizzata dai pittori» Melkiorre Melis e Mario Mossa de Murtas; lavori che gli vengono acquistati dal senatore Ciniola. 1925 Realizza una testatina al tratto per la novella di Zia Teta, “Il biancospino e la capinera”, edita a Milano sul periodico La Croce Rossa 104

Italiana Giovanile, Mondadori, a. I, n. 8, maggio, p. 17. Maggiore è l’impegno profuso – copertina a due colori e numerose illustrazioni interne al tratto – per Grappolo d’oro. Corso di letture per le scuole elementari maschili e femminili, Sillabario e piccole letture redatto da Dino Provenzal e Olindo Giacobbe per le Industrie Riunite Editoriali Siciliane di Palermo. Lavoro che ha una prosecuzione, stessi autori, medesimi editore e anno di pubblicazione, però per la Classe Seconda. Realizza la copertina per il libro di Marcellina Cappelli Baiocco, Il gran Principe S. Francesco d’Assisi, pei giovanetti e per il popolo, Roma, Angelo Signorelli Editore. 1926 Espone alla Mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma. 1927 Disegna la copertina a tre colori e otto illustra-

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