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Maggio 2016 - N.7
Pride L’orgoglio di essere sè stessi
Il lavoro non mi piace, non piace a nessuno, ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi. Joseph Conrad
Panama Papers
La parola Pride o la locuzione Gay Pride sono usate comunemente per indicare le manifestazioni che si svolgono ogni anno, nel mese di giugno, per richiedere pari diritti e dignità sociale. ...a pagina 15
“La più grande fuga di notizie finanziarie della storia.” Già questo basterebbe per descrivere efficacemente la portata di tale evento... ...a pagina 2
Chi fermerà la People have the musica? Mercoledì 23 Marzo i Licei Mupower, or not? sicali di tutta Italia sono scesi in piazza per protestare nella maniera piú bella che esista: migliaia di studenti hanno suonato in solidarietà dei propri professori: qualcosa di raro da vedere in qualsiasi altro indirizzo. ...a pagina 12
Domenica 17 Aprile l’ombra dell’ignoranza e dell’indifferenza ha oscurato il sole della democrazia. Degli aventi diritto si è presentato solo il 30% , pari a circa 1 persona su 4. Tutto si giocava su un numero: 25.393.171 , gli elettori necessari al raggiungimento del quorum. ..a pagina 4
Se la cultura è di sinistra..a pagina 21 L’oroscopo dell’università ..a pagina 22
Maggio 2016 - N.7
NUMERO SETTE
Particolare. Mi sento di definirlo così
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La Redazione redazione.mancino@gmail.com
Panama Papers: facciamo chiarezza
“La più grande fuga di notizie finanziarie della storia.” Già questo basterebbe per descrivere efficacemente la portata di tale evento, ma proveremo a spingerci più a fondo provando ad individuare le cause di ciò che è accaduto. Innanzitutto, Panama Papers è il nome dato agli 11,5 milioni di documenti emersi grazie a un’inchiesta giornalistica svolta a livello internazionale da 378 giornalisti appartenenti a testate di diversi paesi. L’inchiesta, che riguarda lo studio legale Mossak e Fonseca di Panama, è basata sui documenti, provenienti da anonimi, che, passati al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, sono stati resi noti. Dai dati emersi pare che siano coinvolti decine di star e di politici, per citare i più famosi Putin, Cameron, Le Pen, Poroshenko, i re di Arabia Saudita e Marocco, il primo ministro islandese Gunnlaugsson (che perlomeno, dopo le proteste del popolo islandese si è dimesso), Lionel Messi e Jackie Chan, oltre ai nostri connazionali Valentino, Montezemolo e D’Urso. Va però chiarito che avere delle società offshore di per sé non è illegale, a patto che si inserisca nella denuncia dei redditi (e visti i precedenti dei personaggi sopra citati, ciò è assai improbabile); è proprio a tal proposito che le autorità stanno indagando per verificare la legalità, o meglio l’illegalità, di tali transizioni. Ciò che lascia ulteriormente perplessi è che Panama fa parte di un “giro” ben più ampio di Paesi nei quali le tas-
se sono minime (ad esempio Gibilterra o le Bahamas). Infatti, come denunciato da “il Manifesto” nell’articolo “Paradisi fiscali“, manca la volontà politica per cancellare la vergogna del 7 Aprile, vi è un interessamento solo al lato “offerta” senza considerare le domande: chi beneficia dell’esistenza dei paradisi fiscali? Da dove provengono i capitali che vi affluiscono? È possibile intervenire? La risposta è sì. Ciò che manca è la volontà di agire (come spesso accade), essendo i provvedimenti da applicare contro la stessa classe dirigente che non vuole perdere i propri privilegi. Sarebbe sufficiente che le aziende presentassero un resoconto delle loro attività paese per paese (invece che sul totale); bisogna comunque dire che a riguardo è in atto una riforma a livello europeo, con la speranza che non venga affossata da interessi particolari della minoranza dirigente. Facendo considerazioni molto più generiche, la principale causa dei “Panama Papers” è la forte disuguaglianza tra i redditi delle figure politiche coinvolte. Politici, e non solo, il cui unico obiettivo è l’accumulo di denaro, calpestando la cosiddetta “questione morale” (con buona pace di Berlinguer). Insomma, è necessario un radicale cambiamento a livello strutturale, capovolgendo gli accordi tra Paesi per evitare l’evasione di grosse somme di denaro (va ricordato, ad esempio, l’accordo tra gli USA e Panama del 2011, al termine del quale Sanders, con un duro discorso, aveva previsto la possibilità di una fuga di notizie).
“chi beneficia della esistenza dei paradisi fiscali? Da dove provengono i capitali che vi affluiscono?”
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ATTUALITÀ
ATTUALITÀ
Il Mancino
Terrorismo e Occidente sono diventati sinonimi?
Domanda forte, eppure, se si pensa a ciò che l’Occidente ha commesso in Medio Oriente, la risposta appare semplice ed immediata. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale gli Occidentali, prima gli inglesi, i francesi e poi gli americani, hanno macchinato i loro sporchi affari in quell’area, creando guerre, stipulando e ribaltando alleanze: golpe in Iran, creazione e sostegno ad Al Quaeda (e a tutta la galassia jihadista), presenza in Afghanistan in funzione anti-sovietica (così come appoggii all’Isis in funzione anti-sciita e, dunque, anti-iraniana), sostegno a Saddam nella guerra contro l’Iran della rivoluzione khomeinista e, poi, le due Guerre del Golfo contro Saddam (non più alleato ma nemico), e fino a poco tempo fa manovre contro la Siria. Questi sono soltanto gli eventi su larga scala, ma ce ne sarebbero da nominare molti altri accaduti a livello locale e non meno atroci. Generazioni e generazioni sono nate e cresciute sotto il giogo di una presenza sanguinaria, disposta a mantenere uno stato di guerra permanente pur di fare i propri interessi, che mai cesseranno di mietere vittime se non le si imporranno dei limiti e la si porterà davanti al tribunale internazionale. I portavoce di questa entità (comandata da chi? Politici? Lobby? Multinazionali?
Purtroppo sono coinvolti in molti) sono i nostri eserciti, i quali eseguono missioni definite “umanitarie”, come se questo termine potesse ridurre la nostra responsabilità negli orrori che hanno per conseguenza ai quali, ormai abituati, non reagiamo più. È dalla fine della guerra fredda che guerra e pace sono divenuti sinonimi, come nella distopia di Orwell in 1984. Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale tanto gli interventi di repressione quanto le guerre vere e proprie sono stati combattuti con gli “scarponi sul terreno” ossia per mezzo di soldati, forze di sicurezza etc.; negli ultimi anni, tuttavia, il progresso della tecnica – che ha avuto, ovviamente, ricadute anche nell’arte della guerra - ha partorito un’altra macchina che è riuscita a realizzare il sogno del premio Nobel per la pace Obama ossia quello di combattere solo con i robot, per risparmiare le vite dei suoi soldati (e non predere voti): il drone. Il drone è un piccolo, ma mortale, aereo armato che può essere telecomandato anche da una notevole distanza, definita “di sicurezza”: si possono tranquillamente far saltare in aria persone, veicoli, case e, compiuta una bella strage, tornarsene alla normalità della vita, a casa dalla mogliettina che ha preparato una cenetta, a giocare con i figli.
“Generazioni e generazioni sono nate e cresciute sotto il giogo di una presenza sanguinaria”
Queste innovazioni hanno portato ad un ulteriore squilibrio di forze, generando così una vera e propria guerra asimmetrica, che vorrei descrivere con le parole del giornalista ed intellettuale Massimo Fini: “Di fronte ad un nemico invisibile o irraggiungibile, perché ti bombarda con robot teleguidati da migliaia di chilometri di distanza o con caccia che, senza una contraerea, non possono essere colpiti, che cosa resta a una resistenza? O subire passivamente o darsi al terrorismo. La questione non è nuova e prende il nome di ‘guerra asimmetrica’ che si ha quando la sproporzione tecnologica degli armamenti fra due contendenti è tale che uno può colpire e l’altro solo subire o opporsi col proprio corpo. Tutte le guerre occidentali degli ultimi anni sono state ‘asimmetriche’ e hanno incoraggiato anzi imposto metodi terroristi ai nostri avversari”. L’Occidente dovrà capire che superiorità economica e militare non equivale a quella morale, che tanto si vanta di avere, e che, finché sosterrà Paesi il cui ordinamento ricorda quello feudale, e regimi autoritari, colonialisti e razzisti (in palese spregio alla retorica della difesa dei diritti umani di cui si fa vanto e portabandiera), non potrà che regredire e diventare peggiore delle creature disperate (i terroristi) che ha creato. Mevlana Andrade Fajardo M.Andrade.Fajardo@gmail.com
Gianmarco Pellencin gianmarcopellencin@gmail.com
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People have the power, or not? La sconfittà di un popolo, la vittoria dell’ignoranza
Domenica 17 Aprile l’ombra dell’ignoranza e dell’indifferenza ha oscurato il sole della democrazia. Degli aventi diritto si è presentato solo il 30% , pari a circa 1 persona su 4. Tutto si giocava su un numero: 25.393.171 , gli elettori necessari al raggiungimento del quorum. Sulle 13milioni di persone che si sono recate alle urne ben l’85% ha votato per non prolungare le concessioni ed evitare che vengano estratti idrocarburi fino all’esaurimento delle riserve dei giacimenti. Solo il 15% ha scelto il NO, con casi (tristemente testimoniati da Facebook) di chi ha votato “no” ma avendo l’intenzione di votare per abrogare la norma (quindi avrebbe dovuto votare “sì”). Difatti si trattava di un referendum abrogativo, ossia richiedeva di cancellare una parte della norma introdotta dalla legge di Stabilità del 2016. Entriamo nel merito della questione. La norma introdotta è la seguente: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”, la vittoria del SI permetteva di cancellare proprio quel “per la durata di vita utile del giacimento” e far sì che, una volta scadute (entro il 2034), le autorizzazioni alla trivellazione non potessero essere rinnovate. In caso di vittoria del NO o di non raggiungimento del quorum la norma sarebbe rimasta in vigore così come espressa dalla legge di Stabilità. Nonostante le ingenti forme di mobilitazione e sensibilizzazione adottate da associazioni e sindacati, il referendum non ha raggiunto il quorum, anche grazie alla triste campagna mediatica per l’astensionismo che, anziché motivare i cittadini a ragionare, a porsi delle domande sul
referendum tali da svelare gli interessi diretti del governo nell’evitare la vittoria del sì, ha avuto come risultato ben il 60% degli aventi diritto che si sono astenuti dal voto. Gli astensionisti, consapevoli o meno, hanno frainteso l’opportunità offerta dal referendum. Ora le piattaforme esistenti oltre le 12 miglia dalla costa (distanza pari a circa 22km) non avranno limite di estensione delle concessioni e potranno proseguire fino a che ci saranno petrolio o altri idrocarburi nel sottosuolo, generando per gli enti che gestiscono le piattaforme un profitto ingiustificato, oltre ad un incentivo a ritardare l’esaurimento del giacimento per ritardare i costi di ripristino. La possibilità di non rinnovare le concessioni scadute avrebbe garantito che gli enti che gestiscono le piattaforme realizzassero le opere di ripristino. Non è un via libera generalizzato a nuove trivellazioni in mare. Riguardava soltanto le concessioni già esistenti nell’Adriatico, nello Ionio e nel Canale di Sicilia, dunque solo le piattaforme già autorizzate potranno andare avanti fino a esaurimento del giacimento. “Secondo le valutazioni del Ministero dello Sviluppo Economico nei nostri fondali marini si stima ci siano 10,6 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe [...] a fronte di consumi di prodotti petroliferi che ammontano ad oggi a 57,8 milioni di tonnellate”. (fonte: Rapporto Trivelle WWF) La sconfitta del SI contraddice le posizioni sottoscritte dall’Italia stessa nell’accordo di Parigi (firmato a dicembre 2015). L’accordo prevede l’impegno per contenere il costante aumento della temperatura globale al di sotto di 2 gradi centigradi. Nell’ambito dell’estrazione, esplorazione e perforazione, esso in termini pratici, si
traduce nel lasciare sottoterra una certa percentuale di idrocarburi. Oltretutto la principale sconfitta del Referendum risiede nella comunicazione. Ricordiamo per esempio il caso dello slogan “trivella tua sorella”, sicuramente popolare come modalità espressiva ma fuorviante rispetto al reale quesito del referendum e che sicuramente tra i più dubbiosi non avrà riscontrato il successo desiderato, perché è uno slogan sessista e perchè il referendum non chiedeva di votare per fermare le trivelle, mentre questo slogan e molti altri utilizzati nella diffusione della campagna l’hanno lasciato intendere. La disaffezione alla politica e la mancanza di partecipazione sono i limiti che incontra il cambiamento nel nostro Paese, e da cui bisogna ripartire. E’ necessario esportare nuovi modelli di politica dal basso che guidino i cittadini ad essere consapevoli del loro ruolo, di essere difensori e sostenitori dei loro diritti e attivi nei loro doveri. E’ assolutamente vero che in Italia vi è una grande parte della popolazione che presenta forme di analfabetismo di ritorno (o di altro tipo), ma è attraverso un piano alternativo di comunicazione e di promozione di partecipazione al bene comune che si potrà superare questo ostacolo. Un popolo di ignoranti è più facile da governare, per questo anche la riforma “Buona Scuola” non prevede un intervento riguardo al recupero di coloro che si sono allontanati dal percorso di studio. La mancanza di luoghi fisici in cui il confronto è aperto e democratico e la disinformazione facilmente veicolabile dai social, favoriscono un impoverimento del ragionamento attorno all’impegno civico, sociale e politico. Lo Stato Sociale è poco coeso e un’azione concreta per rispondere a questo vuoto lasciato dalla mala politica deve essere considerato come un campo incolto. Uno spazio da cui ripartire, confrontandosi e impegnandosi tra realtà diverse. C’è bisogno di collaborare affinché il desiderio di partecipazione contagi anche gli indifferenti e dimostri come i cittadini hanno veramente il potere di cambiare le cose. Serena Jessica Prota serenajessica1997@hotmail.it
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Lo spettro del consumismo e l’oblio dei talenti
Osservando con un certo interesse il ruolo che l’individuo esercita attualmente all’interno della nostra società occidentale, nel nord del mondo e nell’epoca del consumismo, mi risulta evidente che le persone detengono un ruolo di secondaria valenza (quasi come se esistessero solamente per “stare”). Infatti l’uomo, che da sempre aveva rivestito una funzione primaria (ovvero il progresso dettato dall’efficienza dell’arte dei mestieri antichi) sta divenendo vittima del suo stesso progresso:le macchine. La rivoluzione tecnologica sfrenata degli ultimi anni ci sta conducendo alla paradossale e immorale sostituzione dello stesso Uomo, non solo per quel che riguarda l’impiego lavorativo ma anche dal punto di vista esistenziale. È infatti vero che si guarda con maggiore scrupolo il prodotto dell’ingegno umano che non il suo elaboratore poiché la proiezione per il futuro è di una progressiva sostituzione di ogni utilità umana per favorire la supremazia del progredire tecnico.Sono convinto che il progresso tecnologico ed industriale e l’allargamento degli agglomerati urbani abbiano apportato modesti cambiamenti di positivo stampo nelle nostre vite, e che ciascuno possa perciò ringraziare tutto sommato questo genere di progresso dato che esso ha permesso la risoluzione di molte problematiche legate alle distanze, all’inefficienza umana di progredire senza l’ausilio di strumenti che facilitino per lui il miglioramento.Riconosco con altrettanta chiarezza che ci deve essere un limite anche al progresso visto che come esso da una parte migliora la nostra esistenza, dall’altra si rivela una forza stravolgente in grado di sopprimere l’unicità del singolo favorendo la nascita di una società in cui prevale l’omogeneità: un sistema che non valorizza la più illustre delle virtù umane (l’essere originali) e che intravede in questa potenzialità un limite. Personalmente considero la nostra società - che investe esclusivamente nella programmazione di individui il cui unico fine è produrre e consumare - sia destinata a perire. Occorre che l’uomo occidentale, oggi, comprenda di più se stesso, il proprio singolo Io (questo non significa egoismo, bensì riconoscimento della propria individualità); è opportuno che ognuno sappia ponderare l’investimento che vuole per la sua esistenza in maniera autonoma divenendo così esempio di un progresso di natura antropologica. E’ tempo che si acquisisca la consapevolezza del valore delle filosofie di vita orientali che, da questo punto di vista, sono chiaramen-
te inclini a riscoprire le radici della natura umana, partendo dal presupposto che un investimento smisurato nel progresso tecnico conduce al deterioramento dell’uomo. Il problema è di fondo: raramente l’Occidente è riuscito ad osservare il diverso, perché si è sempre fatto sovrastare dal proprio narcisismo senza mai rivolgere l’attenzione ad esempi che provenissero dall’esterno. Fino a quando non si comprenderà il prestigio che l’Essere detiene rispetto alla profana miseria dell’Avere (unico investimento dell’uomo occidentale) non ci sarà spazio per una rinascita individuale (che è la base per un rinnovamento collettivo) né per una rinascita antropologica, un’epoca di splendore che ponga al centro della propria ricerca le potenzialità umane ed il cui scopo sia la valorizzazione delle virtù estranee a qualunque forma di profitto materiale. C’è bisogno di una svolta filosofica, di un accantonamento dello spettro del consumismo, che concepisce l’uomo come impiego per raggiungere un fine; questo è necessario per comprendere l’importanza di un progresso misurato e controllato che non lascia spazio ad eccessi. Un uomo che conosce se stesso e la propria natura è un uomo che agisce anche differentemente e il solo sentiero da lui percorribile al fine di scoprire chi è veramente, è riconoscere con umiltà i propri limiti e con merito le potenzialità. Si tratta di un percorso insidioso e complesso, che richiede pazienza; un percorso che sicuramente l’Occidente non è disposto ad intraprendere per mancanza di predisposizione culturale e di mentalità, ma soprattutto perché privo di ogni interesse a voltare pagina, a rimediare ai propri errori. Del problema occidentale nemmeno i potenti sono coscienti perché queste raffinate ambizioni di rinascita antropologica sono lontane dalla scaltrezza dei politici e dall’astrattismo fasullo dei numeri dell’economia. Ma anche se non è lampante, ci troviamo dinnanzi ad una crisi sociale di cui si avvertono i disastrosi effetti; stiamo assistendo impotenti allo sgretolarsi dell’Occidente “titanico”. L’uomo (soprattutto quello occidentale) deve riscoprire sè stesso perchè è lui l’origine di tutti i suoi mali anche se nessuno cerca di sanare i problemi dove essi hanno origine: nella natura umana stessa. Cerchiamo di far cessare le guerre il più
delle volte senza indagare con puntualità la ragione per cui sono scoppiate; vogliamo farle terminare adottando risorse belliche che non faranno altro che generare ulteriori dissidi e miseria; siamo miopi di fronte all’evidenza tragica che ce ne saranno sempre finché esisterà l’uomo. C’è bisogno di onestà intellettuale nel riconoscere che la guerra e tanti altri mali che affliggono la nostra società sono il risultato di una sopravvalutazione degli averi, del profitto e della strumentalizzazione degli individui senza considerazione dell’incantevole meraviglia che si cela nell’Essere. La ricchezza materiale conduce alla miseria, la povertà di mezzi alla ricchezza di valori. Ciascuno ha il compito preservare la propria identità, lo sforzo di ognuno può rendere il cambiamento percepibile. Ma come riuscirci? Rivisitando il patto primordiale stipulato tra uomo e natura: la madre che ci accoglie e che ci ha generati è colei che potrà sottrarci alla devastazione del nostro operato, risultato della furia intellettuale. Riscoprire la bellezza e l’importanza di un ritorno alla comprensione della natura è l’unica speranza per l’uomo occidentale, colui cioé che anziché ammettere umilmente la propria sottomissione alla Madre attraverso il rispetto del mondo in cui vive ha pensato di alterare questo antico ordine come nessun altro animale ha fatto, trasformandosi a volte in un mostro ammorbato dall’egoismo e dall’opportunismo. Fin tanto che questo traguardo non sarà raggiunto, saremo tutti “fotocopie” di un modello che ognuno ha il dovere di rispecchiare per volontà dei potenti; saremo privi della libertà in quanto funzionari di una economia basata sul profitto; saremo privati della facoltà di libero pensiero.
“L’uomo va trattato come un fine,mai come un mezzo”
La rivoluzione è un sogno che deve prendere forma nella coscienza di ciascuno dal talento che ognuno cela sotto la propria maschera. Alessio Boffo alessioboffo@gmail.com
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ATTUALITÀ
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Viaggiare nel passato per vivere il presente Pro-memoria è un progetto realizzato da Deina (Arci) finalizzato ad accompagnare ragazze e ragazzi delle scuole superiori di tutta Italia in un viaggio attraverso i luoghi della memoria. L’iniziativa avvicina e prepara i ragazzi al viaggio con dibattiti ed incontri che iniziano prima della partenza, proseguono durante e continuano anche una volta terminato. Il proposito principale di Pro-memoria è infatti quello di farci esercitare la memoria del passato nel futuro. “Vivere all’indietro!”, ripeté Alice con suo gran stupore. “Non ho mai sentito una cosa del genere”. “(…) Ma c’è un gran vantaggio in questo: che la nostra memoria lavora in entrambi i sensi”. “Io sono sicura che la mia lavora in un senso solo” osservò Alice “io non posso ricordare le cose prima che accadano”. “E’ davvero una povera memoria quella che funziona solo all’indietro” osservò la Regina. (Lewis Carroll, Attraverso lo specchio) Questo breve testo è scritto sul retro della felpa che ho portato a casa da questo viaggio e, superato un momento di iniziale disorientamento, fa capire pienamente i fini del progetto. Il treno è partito dal Brennero e arrivato a Cracovia, dove siamo rimasti per circa una settimana. Le mete principali del viaggio sono state la fabbrica di Oskar Schindler, l’ex-ghetto, il quartiere ebraico di Cracovia e la visita ad Auschwitz e Birkenau, che hanno rappresentato sicuramente un momento singolare all’interno di tutto il percorso. Quest’esperienza consente di imparare, imparare molto: vedere questi luoghi con le spiegazioni semplici ma efficaci di guide ed educatori preparati fa in modo che date ed eventi rimangano impressi nella nostra memoria molto più facilmente rispetto che con la classica lezione frontale a cui siamo abituati a scuola o con i libri. La visita di questi luoghi scaturisce diversi sentimenti nei vari partecipanti. La capacità di questo progetto è quella di
provare, e riuscire nella maggior parte dei casi, a trasformare queste emozioni in idee. Trasformare l’irrazionale che proviamo in riflessioni concrete, a rendere tutti più consapevoli della realtà che ci circonda, sviluppando senso critico in ognuno dei più di 600 ragazzi che erano in viaggio con me. Oltre alle visite, ai momenti di riflessione e ai momenti di svago, vi erano anche altre attività legate a questi luoghi e alla loro storia. Tra tutte le attività, quella che personalmente ho preferito è stato lo spettacolo teatrale “La Scelta” di Marco Cortesi che ci ha portato a riflettere sulle nostre scelte: quanto esse siano incisive non solo per noi ma anche per gli altri e quanto possano fare la differenza in alcuni casi, nonostante ci possano sembrare irrilevanti. Una delle tante scelte piccole ma fondamentali fatte da persone diverse, da diversi stati, di cui sono venuta a conoscenza durante questo viaggio è stata quella del fabbro polacco quarantenne, Jan Liwacs, il quale, dopo otto mesi di prigione, nel 1940 arriva ad Auschwitz diventando il prigioniero numero 1010. Gli viene ordinato di costruire la cancellata del campo e su di essa la scritta “Arbeit Macht Frei” (Il lavoro rende liberi). Il prigioniero 1010, nel realizzare la scrit
“Non posso o non voglio? Se vogliamo possiamo davvero fare la differenza.” (Marco Cortesi Teatro)
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ta rovescia la “B” di ARBEIT, dando un piccolo ma forte segno di resistenza. Il 25 Aprile di ogni anno festeggiamo la “Festa della Liberazione dal nazifascismo”. Questa festa racchiude in sé tanti gesti di resistenza di cui dobbiamo ricordarci sempre e non solo in occasione di questa giornata, ma allo stesso tempo dobbiamo capire il perché è così importante festeggiarla. Mara Fantinel fantmaretta@gmail.com
L’importanza della meditazione
Verso la consapevolezza e il controllo di sè
Pretendere di dare un’unica e definitiva definizione di ‘meditazione’ è in questa sede arduo, e sarebbe forse limitante nei confronti di tale pratica antichissima e di vastissima portata. In generale però si può affermare che la meditazione è una pratica che mira a raggiungere la propria realizzazione tramite la consapevolezza ed il controllo di sé. Buddha, nei Sutta Pitàka, ci dice:” Un monaco si reca […] in un eremo disabitato, si siede con le gambe incrociate, il corpo dritto, sollevato, e si esercita nel sapere”. La meditazione consiste nel dimenticare il sé, nel superare ogni dualismo e, infine, nel raggiungere l’illuminazione, ossia alla rivelazione della divinità onnipresente, giungendo all’armonia con la natura, o al Nirvana (il definitivo distacco dal mondo). Tuttavia, questa separazione dal mondo terreno provocata dal progressivo ‘farsi-altro’
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Maggio 2016 - N.7 dell’io porta il saggio a una condizione di serenità e imperturbabilità (autarchia diremmo noi occidentali, che abbiamo presente il modello del saggio stoico): “Solo i sapienti giungono alla quiete suprema e, tranquilli, vivono senza paura”, pertanto senza la necessità di relazioni umane e, soprattutto, di desideri, come dice Lao Tzu :”Chi non ha mai nutrito desideri [ne] osserva il mistero chi sempre desidera ne contempla la fine”. Ciò in cui consiste la meditazione è, in altre parole, imparare gradualmente, tramite l’introspezione e la riflessione, a vivere ‘katà physin’ (‘secondo natura’), e nel superare non solo il dualismo tradizionale soggetto-oggetto o individuo-mondo, ma anche quello anima-corpo, che è essenziale considerare uniti. Tuttavia, la cosa più importante è aver fiducia sia nelle proprie potenzialità che nel potere di tale pratica, senza le quali ogni pretesa di meditazione non diventerebbe che un semplice esercizio di liberazione della mente. Spesso, quando si parla di meditazione o di altre pratiche esoterico-trascendentali che presuppongono l’abbandono delle categorie mentali prettamente occidentali quali la razionalità e gli atteggiamenti positivistici, le persone diventano scettiche o si rifiutano di accettare realtà non ritenute “scientificamente e razionalmente spiegabili”, come la meditazione. Al di là degli scetticismi spesso derivanti da una mancanza di informazione, l’autoconsapevolezza permette di conoscere sé e gli altri e di vivere armoniosamente con il Tutto, mentre il controllo di sé consente di dominare le emozioni e di conseguenza di vivere limitando i desideri e le condotte amorali – che allontanano dall’Illuminazione-. Per concludere, la meditazione è un grande strumento nelle mani dei popoli, soprattutto occidentali, che tramite essa possono ora recuperare la spiritualità, perduta nei decenni passati, che va sempre più dileguandosi sotto la pressione del pragmatismo e dell’utilitarismo. Ora, non vorrei concludere con banali frasi ad effetto o con inviti permeati di didatticismo scadente, per cui lascio parlare Buddha, che sicuramente ha qualcosa di più significativo da dirci e che spero rimanga saldo nella mente dei lettori: “La generosità, la disciplina, il dominio di sé, la pacatezza, la compassione, la gioia, la rinuncia: ecco i nove modi per raggiungere la pace.” (tratto da Dhammasukkàya)
Il naufragio dell’Europa Già da molti mesi ormai, la Grecia si trova a essere travolta dalla crisi dei rifugiati che non accenna a dare tregua a questo Paese che ha conosciuto in questi ultimi anni anche una crisi economica senza precedenti. La Grecia, quel piccolo paese ai confini dell’Europa, è il Paese della cultura classica per eccellenza, della quale tanto ci vantiamo salvo poi ignorarla completamente. Che cosa sta succedendo, ora, in Europa, con la crisi dei profughi? L’ ”Europa” sta chiudendo le frontiere, sta distruggendo il suo stato di diritto, sta innalzando muri invece che costruire ponti. Se da un lato gli Stati della periferia europea vengono vessati dall’ “austerità lacrime e sangue”, devono in contemporanea soccorrere le migliaia di rifugiati che letteralmente affogano in mare. Tuttavia, i greci – benché vittime dell’austerità – fanno tutto il possibile per soccorrere i rifugiati e migranti. Le vittime di guerra e di estrema indigenza. I dannati della nostra terra. Per soccorrerli in tutti i modi possibili. Con generosità e altruismo. Spesso offrendo quel poco che hanno, nonostante le loro scarse risorse. Perché la Grecia ha vissuto lo sradicamento. Nelle memorie dei Greci sono ancora vividi i ricordi dei tempi nei quali i Greci emigravano, alla ricerca di un domani migliore, in Germania, Stati Uniti, Australia. Sono anche stati vittime di una deportazione forzata, lo scambio di popolazioni Greche e Turche, che nel 1922
ha posto fine a millenni di cultura Greca in Asia. Anche perché su quel suolo il rispetto e l’accoglienza dello straniero è un dovere etico fin dai tempi antichi. La Grecia rimane una terra di ospitalità, basti pensare che in Grecia esiste una parola inesistente in qualsiasi altra lingua, synanthropos, letteralmente “co-uomo”. Si sa, tra disperati la solidarietà è sempre forte, perciò i nostri co-uomini non possono essere lasciati a soffrire. Dall’inizio del 2015, la Grecia ha salvato e accolto più di 900 000 migranti, per la stragrande maggioranza rifugiati dalla guerra civile in Siria, fuggiaschi dai talebani in Afghanistan, dai conflitti armati in Somalia, Iraq, Yemen e tanti altri Stati. Allo stesso momento, alcuni Stati dell’Europa centro-orientale, guidati da governi autoritari e xenofobi, hanno chiuso le loro frontiere. La Macedonia, ad esempio: nella cittadina di Idomèni, al confine tra Grecia e Macedonia, appunto, migliaia di profughi vivono accampati in condizioni misere, patendo la fame e il freddo. Le frontiere chiuse impongono alla Grecia di portare sulle spalle il peso del mondo. L’onere derivante dalla guerra e dalla povertà estrema, di cui la Grecia non ha alcuna responsabilità. Eppure, la Grecia ha assunto questo fardello volontariamente, obbedendo all’antico imperativo etico. Dimostrando, e nello stesso tempo modellando, le sue attuali qualità morali, e salvando l’onore del mondo. Che Europa è mai questa, che trasforma interi Paesi in depositi di anime? Che Europa è questa, che si disinteressa completamente del dramma umano di questi profughi, intrappolati in un Paese periferico, e obbedisce solamente ai grandi mercati? L’Europa ha una crisi esistenziale talmente profonda da mettersi in discussione da sola. Qual è l’Europa che vogliamo? Una aperta, flessibile, dinamica e inclusiva, o piuttosto una restrittiva, autoritaria, chiusa e decadente?
“Che Europa è mai questa, che trasforma interi Paesi in depositi di anime?”
Stefano Pravato stefanoprav@gmail.com
Gioele de Conti falceemartello97@libero.it
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RIFLESSIONI
RIFLESSIONI
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Pride, l’orgoglio di essere sé stessi
La parola Pride o la locuzione Gay Pride sono usate comunemente per indicare le manifestazioni che si svolgono ogni anno, nel mese di giugno, per richiedere pari diritti e dignità sociale, ma anche per commemorare i Moti di Stonewall. Questi ultimi furono una serie di violenti scontri fra gruppi di omosessuali e la polizia a New York, iniziati la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 poco dopo l’1:20 di notte, quando la polizia irruppe nel bar chiamato “Stonewall Inn” (un bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village) con l’intento di arrestare coloro i quali si trovavano privi di documenti di identità, chi era vestiti con abiti del sesso opposto e alcuni i dipendenti del bar. Secondo la leggenda, fu la transessuale Sylvia Rivera a scatenare la protesta lanciando una bottiglia o una scarpa, a seconda delle versioni, contro gli agenti all’urlo “Gay Power”. Da quel momento per le strade del Greenwich Village si scatenò una violenta protesta da parte della comunità gay, lesbica e transessuale newyorkese caratterizzata anche da lanci di bottiglie, sassi, molotov e arredi urbani. La notizia degli scontri si diffuse molto velocemente e moltissime persone scesero in piazza: si stima che nel corso dei moti più di 3000 dimostranti si scontrarono con circa 400 poliziotti, ferendo molti di questi ultimi. I fatti di Stonewall innescarono un processo che da quel momento diventò inarrestabile. In pochi anni si formarono numerosi gruppi di rivendicazione omosessuale, tutti accomunati da una matrice rivoluzionaria di sinistra radicale. Negli Stati Uniti nacque il Gay Liberation Front americano con sedi in diverse città del Paese; sul fronte europeo, invece si formarono il Gay liberation front (Glf) in Inghilterra, il Mouvement Homosexuelle D’Action Révolutionnaire (Mhar) in Belgio; il Front Homosexuel D’Action Révolutionnaire (Fhar) in Francia ed infine il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (Fuori). Da subito il Gay Liberation Front ameri-
cano si impegnò nel ricordo dei moti di Stonewall e il 28 giugno 1970, nell’anniversario della rivolta di Stonewall, diedero vita ad una manifestazione chiamata Christopher Street Liberation Day, una marcia pacifica dallo Stonewall Inn a Central Park per reclamare diritti e dignità per tutti gli omosessuali e i transgender. Quello è riconosciuto come il primo Gay Pride della storia, nato come occasione per dare visibilità al mondo gay e sensibilizzare l’opinione pubblica e il potere sul tema dei diritti e della lotta contro le discriminazioni. Da quell’anno quasi tutti i gruppi di rivendicazione omosessuale organizzarono nelle proprie città marce e manifestazioni annuali. I Pride nel tempo hanno acquisito un preciso significato: le persone omosessuali non dovrebbero tenere segreta la loro sessualità, ma essere fieri della propria identità, manifestandola anche attraverso l’esagerazione e l’autoironia. In Italia la prima manifestazione di omosessuali avvenne nel 1972 a Sanremo in protesta contro il “Congresso internazionale sulle devianze sessuali” organizzato da associazioni di ispirazione cattolica. L’evento vantò anche la partecipazione di Mario Mieli, uno tra i più grandi attivisti omosessuali italiani. Perché l’Italia vedesse il suo primo Pride nazionale ufficiale
“le persone omosessuali non dovrebbero tenere segreta la loro sessualità, ma essere fieri della propria identità”
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si è dovuto aspettare il 1994, a Roma; l’Italia vanta anche l’organizzazione del World Pride del 2000 (fortemente contestato dalla Chiesa Cattolica a causa della contemporaneità con il giubileo) che vide la partecipazione di più di mezzo milione di persone e di icone gay come Gloria Gaynor, i Village People, RuPaul e Geri Halliwell. Per garantire una maggior partecipazione dal 2013 fu istituito l’Onda Pride, una serie di cortei in tutta Italia che quest’anno, per la prima volta,il 18 giugno arriverà anche a Treviso. La ragione della scelta della città come ospitante del Pride del nord-est deriva dalla volontà di sostenere il processo iniziato dalla città per lasciarsi alle spalle l’intolleranza e la chiusura di passate amministrazioni leghiste e recuperare lo spirito con cui venne sottoscritto lo statuto della nostra città che come primo articolo recita: “Il Comune di Treviso ispira la propria azione ai supremi principi della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, della giustizia e della solidarietà e persegue il bene dei propri cittadini senza discriminazioni politiche, religiose, razziali, etnico-linguistiche, sessuali, sociali.”. Nicola Bassetto bassettonicola99@gmail.com
Restiamo umani
Lo Yom al-Ard o Giorno della Terra è per i Palestinesi il giorno della commemorazione dei caduti negli scontri del 30 marzo 1976. L’esercito israeliano inviò le proprie forze in tre paesi, Sachnin, Arraba e Deir Hanna, allo scopo di reprimere le manifestazioni iniziate a seguito della decisione delle autorità israeliane di espropriare vasti terreni agricoli che appartenevano agli abitanti di questi paesi per scopi militari. Gli scontri ebbero un esito sanguinoso: 6 giovani vittime. Da allora in tale data si tiene una commemorazione per i caduti in quegli scontri, celebrata dai palestinesi d’Israele e nei Territori Occupati, cercando di lanciare un messaggio che sia capace di superare tutti i confini tramite manifestazioni nonviolente che continuano in tutti i villaggi e le città dei Territori Occupati. L’obiettivo è raccontare la repressione armata e violenta dell’esercito ed il sopruso e l’abuso che calpesta la terra, la occupa, la snatura, rendendone prigionieri gli abitanti.
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Maggio 2016 - N.7 Per questo il Liceo Giorgione di Castelfranco Veneto ha deciso di proporre “Restiamo umani”, spettacolo teatrale realizzato da Luca Privitera e Nina Ferretti. L’idea è ispirata principalmente ai testi e alla vita di Vittorio Arrigoni, attivista e giornalista freelance morto a Gaza nell’aprile 2011. Lo spettacolo rappresenta la diretta testimonianza degli ultimi, di quelli che la disperazione la vivono ogni giorno. Luca e Nina parlano di persone dichiarandone l’identità per distanziarsi da quello che è il risultato di ogni guerra, l’annullamento del nome sostituito da numeri, cifre che ci appaiono troppo lontane. Viene descritta la tortura a cui quotidianamente sono sottoposti donne e uomini che vedono demolire le loro case, sottrarre le loro terre, attraversare le notti dal turpe suono di spari, reprimere la semplice libertà di movimento minacciata a morte e umiliata, ingabbiata tra checkpoint e muri della vergogna. E i bambini? Di loro si ricorda il coraggio dei 7.200 palloni da basket fatti rimbalzare e di quei bellissimi 7 mila aquiloni che hanno colorato per 5 minuti un luogo di morte. Ma se questi racconti non sono bastati, a coinvolgerci lo ha fatto la consapevolezza che l’Italia è tra i primi posti negli interessi internazionali che finanziano Israele, il nostro Paese che “ripudia la guerra”(articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana) costruisce droni di addestramento israeliani e non stupitevi se a Gaza trovate le orecchiette pugliesi. Un lampo di speranza c’è, e risiede nella resistenza di questa popolazione, emblematicamente rappresentata dai ragazzi del Gaza Parkour Team, il primo gruppo palestinese e del mondo arabo che pratica il parkour in Palestina. Nina e Luca ci mostrano delle immagini registrate nel 2010 mentre fanno parkour con i bombardamenti alle spalle. Un modo per resistere e per difendere la loro cultura, perché la guerra ruba e annienta anche le tradizioni, che vengono inglobate, digerite, ed infine lucidamente eliminate. I ragazzi praticano una disciplina che prevede volteggi, acrobazie, salti, arrampicate in un ambiente urbano difficile da vivere a causa dei bombardamenti e delle macerie sui cui hanno imparato a volteggiare, come gli aquiloni: un simbolo di libertà, oltre i confini di Gaza, in nome del popolo palestinese.
MONDO
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Chi sono i giusti?
I diritti umani in Arabia Saudita “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” è ciò che sancisce l’articolo 3 della dichiarazione dei diritti umani, ma purtroppo questo non viene sempre rispettato, specialmente in Arabia Saudita che, come denuncia Amnesty International, nel periodo compreso fra Gennaio e Agosto 2015 ha eseguito almeno 130 condanne a morte. Il fatto è stato ricordato dai media solo nei primi giorni del 2016 a causa dell’uccisione di Nimr Al-Nimr, sceicco sciita, che ha sollevato varie proteste e scatenato manifestazioni, anche violente, nel Medio Oriente. La situazione potrebbe però peggiorare drasticamente se venisse eseguita anche la condanna di Alì Al-Nimr, nipote dello sceicco. Il giovane è stato arrestato nel 2012 per aver partecipato nel 2011 ad una manifestazione antigovernativa pacifista, in seguito è stato portato nel carcere di Dummam e torturato fino all’ammissione di colpevolezza, detenuto in un istituto di correzione fino all’età di 18 anni e poi portato a processo. La condanna (basata sull’ammissione di colpevolezza e non su indagini) per partecipazione a manifestazione violenta, attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di un mitra è di decapitazione, crocifissione ed esposizione del corpo come monito. La sentenza (nel caso venisse eseguita) dovrebbe portare le Nazioni Unite, nella fattispecie il Consiglio per i Diritti Umani, a perseguire l’Arabia Saudita, il quale ambasciatore però è stato eletto alla presidenza del Consiglio. Questa elezione ha suscitato scalpore in quanto l’Arabia Saudita è il paese in cui si emettono più sentenze capitali, la condizione femminile, fra le peggiori al mondo, presenta un
sistema giudiziario medioevale basato sul Corano, del quale fanno un uso anacronistico e spudorato in primis contro gli islamici stessi più che contro i fedeli di altre religioni. La condanna infatti è stata giustificata con l’applicazione della Sharia, nonostante in ogni sura ci sia scritto che “Dio è grande” e “Dio è misericordioso” e non ci sia niente di grande e misericordioso in questa sentenza, facendo così capire che la vera motivazione risale al conflitto fra sciiti e sunniti. Nimr Al-Nimr, zio di Alì e sceicco sciita giustiziato il 2 gennaio 2016, era infatti una guida religiosa per tutti gli sciiti del mondo arabo e si era espresso fortemente, come anche il nipote, contro il governo sunnita regnante in Arabia Saudita. Il mondo non è però rimasto completamente fermo in seguito a questa notizia; sono state infatti organizzate petizioni, ma le prese di posizione dei governi e delle organizzazioni sono risultate deboli e poco efficaci. Un’altra questione emerge poi in maniera preponderante: perché i mass media e le autorità condannano le uccisioni e i processi dello stato islamico mentre queste evidenti violazioni dei diritti umani vengono taciute? Potrebbe essere il fatto che l’Arabia Saudita è diventato un importante partner commerciale specialmente per il petrolio o forse si vuole far credere che con le guerre del Golfo gli USA abbiano portato ordine nel medio Oriente? Oppure potrebbe anche essere un semplice errore di disattenzione da parte di quasi tutti i mezzi di informazione, chissà… Davide Bizzotto davbiz1998@gmail.com
Irene Pizzolotto pizzolotto.ire@gmail.com
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Quando l’unione non sempre fa la forza
Unità, cooperazione, accoglienza e pace: sono queste le parole che fin dall’inizio volevano caratterizzare un’Europa uscita dal dopoguerra. Ma questi principi sono ancora alla base dell’Unione? In un clima in cui si respira nazionalismo, chiusura e scetticismo vediamo la disgregazione dell’Ue, una comunità che nasceva nel 1950 in funzione di un’integrazione europea. Con il susseguirsi di vari traguardi, come il Trattato di Maastricht nel 1992 e di Schengen nel 1995, sembrava che gli obiettivi prefissati nel dopoguerra fossero stati almeno inizialmente raggiunti. Tra problematiche e divergenze varie i principali ostacoli che l’Unione Europea ha dovuto affrontare troviamo inizialmente le idee nazionaliste, gli ostacoli che non permettono di raggiungere un pensiero comune tra gli Stati. Ciò si è visto e continua a vedersi ogni giorno, ad esempio quando la decisione di sostituire con l’Euro le monete di alcuni Stati viene duramente accusata di aver creato e di creare ancora una grande perdita per l’economia delle nazioni, quando, in realtà, essa ha permesso ai 19 Stati coinvolti di affrontare la complessa trama economica mondiale ed è stata un pilastro di quell’ideale di unità da molti desiderato. Un altro trattato che messo in discussione in questo periodo è Schengen, trattato che sancisce la libertà di circolazione nella zona Schengen (un’area che comprende
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26 Stati euro pei), l’abolizione delle frontiere interne dei paesi aderenti e un sistema di controllo comune per le frontiere esterne. Per questo importante accordo infatti sono tempi difficili: molti Stati aderenti stanno mettendo i controlli alle frontiere avvalendosi della clausola presente nel trattato che permette di ristabilire controlli temporaneamente e per cause eccezionali. Le “cause eccezionali” sono il grande flusso migratorio che sta investendo l’Europa negli ultimi anni, l’incapacità degli stati che si trovano al confine esterno di gestire le richieste d’asilo e il terrore legato alla recente avanzata del terrorismo, che molti associano alle migrazioni stesse. Nonostante molti lo chiamino “invasione”, questo ingente arrivo di profughi non è ingestibile come molti pensano: dal 2008 al 2015 ci sono stati 875 000 richiedenti asilo, ossia lo 0,17% della popolazione europea. Basta informarsi per notare che in Libano il numero di immigrati supera il 25% della popolazione: non risulta quindi difficile capire che, riguardo a quanto sta accadendo in Europa, non si può parlare di “invasione”. Il fatto che molti Stati stiano pensando di abolire il trattato di Schengen è una scon-
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Cos’è patriottico e cosa non lo è
fitta per l’Unione Europea che rischia di veder crollare un’importante parte delle proprie fondamenta. Sarebbe bene salvaguardare il Trattato dando un aiuto concreto a quei Paesi che si trovano al confine esterno e in una condizione di maggior difficoltà. Molti partiti non comprendono che l’UE potrebbe aiutare ogni giorno il loro Paese e senza questa non ci sarebbero stati moltissimi passi in avanti, senza contare gli inevitabili conflitti economici e politici che si sarebbero venuti a creare. Affinché essa non si sgretoli, insieme a tutti i suoi principi, è necessario che gli Stati membri lavorino insieme per il benessere non solo dei propri cittadini, ma anche per quello di quelli degli altri paesi, collaborando a livello internazionale, dimenticando ogni tipo di confine territoriale, smettendo di credersi gli unici ad avere dei diritti o dei problemi peggiori degli altri, abbattendo ogni barriera fisica e culturale che ci impedisce di essere cittadini di una stessa Unione, di uno stesso mondo.
“molti Stati stanno mettendo controlli alle frontiere”
Veronica Moratto veronica.moratto@libero.it Elena Bassi labassi.pero@gmail.com
Negli ultimi tempi si assiste a un revival del sentimento patriottico, del richiamo all’identità nazionale e alla difesa dei valori, da parte di molti politici quasi di ogni colore. Lo scopo del mio articolo è convincervi che questi stanno sostenendo una causa persa, perorata attraverso menzogne e slogan comodi solo a chi cerca consenso politico. Cominciamo con il porre alcune domande essenziali per arrivare a una conclusione: Cosa significa essere patriottici? Gli antichi Greci e Romani avevano opinioni contrastanti sulla questione. Per Erodoto (storico Greco del V sec a.C.) gli Ateniesi vinsero sui Persiani perché decisero di combattere e sacrificare la loro vita in nome degli ideali democratici e della libertà della loro Grecia da ogni forma di tirannia. La superiorità dei Greci sui “barbari” non era data affatto da una questione di razza, bensì dalla qualità degli ideali per i quali combatterono. Nella Roma antica, invece, il concetto di patriottismo venne completamente riformato: Il Mos Maiorum - ossia il complesso di valori e tradizioni dei Romani, tra cui l’obbedienza cieca verso il capo militare, verso gli dei, e la contrapposizione alle mollezze della civiltà - permeò profondamente la cultura dello stato romano. I barbari, che non seguivano affatto questi precisi schemi morali, risultavano agli occhi dei Romani inferiori dal punto di vista culturale: ciò spesso giustificò o addirittura impose come dovere la sottomissione dei bar-
bari stessi da parte di Roma. Da ricordare il poeta Virgilio e il suo “Tu regere imperio populos, Romane, memento” (O Romano, ricordati di governare i popoli con il tuo dominio). In un certo senso il concetto di “guerra umanitaria” nasce nell’Antica Roma. Ma io sogno un mondo in cui i ragazzi innocenti mandati a morire in guerra per difendere delle idee che non condividono si rivoltino contro i loro oppressori. Nel mondo di oggi, io credo, il libero arbitrio degli uomini dovrebbe avere abbastanza peso da permettere a chi lo volesse di rifiutarsi di combattere una guerra ingiusta. Se un dittatore salisse al potere in Italia, voi da che parte stareste? Allo stesso modo, nel momento in cui si disapprova l’attuale politica estera dell’Italia - come per esempio l’essere alleati di uno stato dittatoriale come l’Arabia Saudita - si dovrebbe essere pronti a rifiutare di partecipare a delle guerre. Ci sono guerre giuste? Questa è una bella domanda. Potremmo sostenere che nessuna guerra è mai stata giusta e nessuna lo sarà, perchè coinvolge sempre dei giovani innocenti. A scontrarsi sul campo di battaglia sono sempre - quasi sempre - interessi economici o potere personale. Proprio per questo motivo i leader mondiali sono, a mio avviso, in malafede quando parlano di guerre umanitarie, di guerre giuste, per “esportare” la civiltà e la democrazia. E qui veniamo al punto: la guerra giusta può esistere, ma solo se porta a un ef-
“Se un dittatore salisse al potere in Italia, voi da che parte stareste?”
fettivo miglioramento delle condizioni di quelli che la combattono, e solo se viene rispettata la dignità e l’autonomia dell’avversario. Oggi si moltiplicano gli appelli a salvare la nostra identità nazionale, a combattere per difenderla. I “valori fondanti” della nostra civiltà, Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, dovrebbero essere conservati da ogni sorta di nemico esterno, che sia l’Unione Europea, i terroristi o i profughi. Nello sbandierare questi valori, a seconda di quello che fa loro più comodo, i “patriottici” accostano ad essi gli ideali Cristianesimo, la laicità, o la modernità dei costumi. Non c’è stato nel mondo che non debba farsi un profondo esame di coscienza sui propri valori fondanti. Nel concreto, su cosa si basa la società italiana? Sulla televisione? Sulla pubblicità? Sul maschilismo? Sul bigottismo? Sui diritti negati ai lavoratori? Sui Talk show? E’ davvero per questo che dobbiamo combattere? Essere dei patrioti vuol dire amare la patria, e difendere un sistema, come quello Italiano, ormai troppo corrotto non è certo patriottico. Spiace deludere certi politici, ma il fatto che essi cantino l’Inno tutte le mattine, o che sostengano il ripristino della leva obbligatoria non li renderà più patriottici. Tutti saremo più patriottici se, invece di cercare un nemico esterno per affermare cosa siamo, fossimo fieri del nostro stato credendo e facendo rispettare quei valori sulla base dei quali è stato costruito. Stefano Pravato stefanoprav@gmail.com
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POLITICA
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Docenti di serie C?
La buona scuola dell’organico di potenziamento
Il 20 novembre è l’ultimo step, il più recente del piano di riforma voluto dalla legge 107, la tanto discussa “buona scuola”: tutti gli istituti hanno visto l’inserimento di un numero di docenti che varia da 3 a 8 in base ai singoli casi. Sono gli insegnanti della cosiddetta “fascia C”, quelli destinati all’organico di potenziamento che fanno parte di un progetto ministeriale attivato nei singoli istituti o nei plessi di più scuole con lo scopo di valorizzare competenze linguistiche, logico-matematiche e scientifiche, della musica e dell’arte, delle discipline motorie e di quelle digitali e di laboratorio. Sul piano nazionale queste figure risultano essenziali per il progetto del governo, c’è da domandarsi però se questo non sia l’ennesimo tentativo di svalutare le istituzioni scolastiche e portare la scuola stessa in “serie C”. La prima incognita emersa riguarda il ruolo che questi nuovi assunti si ritrovano a svolgere all’interno delle scuole: le direttive specificano solo un minimo sindacale di ore lavorative, ma la decisione ricade inevitabilmente nelle mani del preside e del consiglio d’istituto: ci sono scuole con un bilancio tale da permettere laboratori pomeridiani, corsi di recupero o servizi di assistenza studentesca, ma una buona parte di queste, purtroppo, non si può permettere così tante attività extracurricolari e si ritrova a dover relegare gli insegnanti destinati al potenziamento alle sole supplenze brevi. Un altro grande dilemma si apre analizzando la disomogeneità tra la prepara-
zione dei docenti e i bisogni degli indirizzi scolastici: è stato riscontrato che in molti istituti gli insegnanti di potenziamento provengono da un percorso totalmente diverso dalla scuola a cui sono affidati, e questo va a discapito degli studenti e dello stesso collegio docenti che si trova a dover cercare un compromesso tra le potenzialità della scuola e le direttive ministeriali. Queste problematiche evidenziano il paradosso di questa manovra politica, dal momento che l’organico potenziato, ad oggi, non trova un totale riscontro nel reale fabbisogno delle scuole e finisce per dover svolgere compiti diversi da quelli che lo stesso istituto aveva richiesto, individuandoli come necessari. Secondo direttiva nazionale sono stati creati quasi 45 mila nuovi posti fissi, di cui circa 6 mila per le attività di sostegno, ma a questo punto la domanda da porsi è: “queste nuove figure sono veramente necessarie nelle scuole italiane?” È una questione complessa e pertanto dalla difficile soluzione: quello di cui possiamo essere certi è che in questo momento tutti questi nuovi posti fissi sono mal sfruttati e non fanno altro che danneggiare i progetti elaborati dagli istituti, impossibilitati ad onorare i piani formativi programmati già dai primi di settembre.
“queste nuove figure sono veramente necessarie nelle scuole italiane?
Irene Pizzolotto pizzolotto.ire@gmail.com
Chi fermerà la musica? Il Liceo Musicale è nato sei anni fa dalla riforma Gelmini ed è cresciuto esponenzialmente negli anni passando dai 56 istituti in Italia dell’anno scolastico 2011/2012 ai 103 del 2014/2015. Chiunque studi uno strumento comprenderebbe la genialità dell’idea di accorpare liceo e musica: non solo viene ammortizzata la fatica di frequentare un liceo portando comunque avanti una passione, ma viene anche concentrata una realtà variegata di musicisti in uno o più gruppi classe; tutti gli alunni di ogni liceo musicale ne sperimentano su di sé le piacevoli conseguenze: c’è un forte senso di unità che caratterizza tutti i musicisti, la stessa unità di cui è stata data prova il 23 Marzo nelle piazze d’Italia. Se da un lato però la stimolante atmosfera che si crea in un corpo studenti composto di soli musicisti si riflette anche nel confronto con i professori di strumento, dall’altro questo rapporto è destinato a crollare. Cosa sta accadendo ai Licei Musicali? É stato approvato un nuovo regolamento sulle classi di concorso, contenuto nel DPR n. 19/2016, che contiene per la prima volta classi di concorso per i licei musicali. Infatti, fino a quest’anno, i docenti di strumento e delle materie musicali (storia della musica, teoria analisi e composizione, tecnologie musicali, ecc.) sono stati quasi tutti presi “in prestito” da scuole medie a indirizzo musicale, essendo quindi insegnanti di ruolo ma non al liceo musicale.
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Maggio 2016 - N.7 Un comma del decreto prevede che la partecipazione alle nuove classi di concorso sia riservata a chi non di ruolo. Ciò implica che tutti i docenti della sezione musicale che sono arrivati da altri istituti (e quindi aventi ruolo), per quanto possano aver lavorato intensamente alla costruzione di questo indirizzo, non saranno idonei a restare dove insegnano. Al loro posto subentreranno docenti novelli, che, per quanto bravi possano essere didatticamente, saranno catapultati in un sistema nuovo e complesso da gestire, al quale dovranno cercare di adattarsi nel migliore dei modi. Alla luce di un’attenta analisi, inoltre, si nota che da una parte si creano posti di lavoro e si risolve il problema della precarietà e della continuità didattica, dall’altro però non si tiene minimamente in considerazione la preziosità della qualità dell’insegnamento che permetterebbe a un professore di ruolo con anni di esperienza alle spalle di essere messo perlomeno alla pari e non al di sotto di un neoassunto. Mercoledì 23 Marzo i Licei Musicali di tutta Italia sono scesi in piazza per protestare nella maniera piú bella che esista: migliaia di studenti hanno suonato in solidarietà dei propri professori: qualcosa di raro da vedere in qualsiasi altro indirizzo. Non so se quello che è successo quel Mercoledì verrà ascoltato da chi di competenza, ma nel dubbio faccio appello a chi sta leggendo. Su change.org è presente una petizione(https://www.change.org/p/ la-scuola-buona-dei-licei-musicali-e-coreutici-chi-fermerà-la-musica), siamo già a più di 5700 firme ma abbiamo bisogno di ancora più sottoscrizioni per farci sentire e salvaguardare la nostra istruzione. Perché i buoni insegnanti sono costosi, ma quelli cattivi costano di più. Leonardo Scarin scarscarin@gmail.com
Another brick in the wall
Ero seduta sul banco di scuola e ascoltavo annoiata il professore di economia che ci riempiva la testa di fatture , imprese e calcoli vari.Andò piano, cauto vicino ad un mio compagno, lo squadrò e iniziò con la solita pappardella. “Tu mi devi portare rispetto, io sono il professore e tu l’alunno”. Mi ricordò il maestro del celebre pezzo dei Pink Floyd ‘Another brick in the wall ‘. I membri del gruppo ci raccontano attraverso le loro voci (e quella dei ragazzi) la loro esperienza scolastica.Facendo un paragone , il professore di quegli anni era visto come quello di oggi? Analizzando il testo e il video musicale , troviamo il maestro (in questo caso) che con fare superiore sminuisce la personalità del ragazzino , deridendolo e leggendo le sue poesie di fronte a tutti i suoi compagni. Il maestro rappresenta una figura autoritaria, molto severa, che sta su un gradino superiore agli alunni, un “dittatore” in una classe di 30 bambini. Questo annullamento di personalità porta ad una omogeneizzazione della classe sociale e scolastica, e crea burattini con la stessa maschera di cera, per poi gettarli in un enorme tritacarne. Due frasi del testo, in particolare, mi hanno colpito, e non poco. “WE DON’T NEED NO EDUCATION, WE DON’T NEED NO THOUGHT CONTROL.” Queste due frasi sono una contrapposizione per eccellenza .Esprimono la voglia di ricevere un’educazione senza un intento di controllo, senza essere ‘schiavizzati’
e ‘sottomessi’. Questo è quello che vorrebbero anche la maggior parte degli alunni di adesso. Vorrebbero avere al proprio fianco un mentore che sappia educare, e non solo avere una persona che riempia loro la testa di cifre, calcoli e lettere buttate lì a caso. Noi studenti vorremmo un professore che sappia instaurare un rapporto con l’alunno e non qualcuno che ripeta che noi siamo ignoranti e per questo dobbiamo ascoltar le le sue perle di saggezza perché , in sua difesa, lui è laureato e noi no.Eppure ci ripetono che a scuola oltre alle materie scolastiche si insegna l’educazione che deve adottare un cittadino civile. Questo nella mia vita scolastica non l’ho ancora sperimentato pienamente. Come ben si capisce dal brano, bastano poche note e poche parole per creare scalpore e un grido di rivolta della classe studentesca ormai stanca di questi schemi fissi. Nel video vediamo ancora che gli alunni, ormai stanchi dei soprusi subiti dal maestro, si trovano infine dall’altra parte quella di chi comanda - perché, si sa, l’unione fa la forza. C’è un grido liberatorio , di rivolta, si bruciano banchi , libri , sedie , si strappano le uniformi: questo rappresenta una ribellione contro lo stato sociale di quei tempi. Tutto l’album è pervaso da metafore che riguardano la disumanizzazione, e quella del sistema scolastico è una delle prime perché ci plagia già da piccoli. La nostra educazione e il nostro modo di essere saranno influenzati dal modo in cui ci vengono “inculcate” le cose. Inoltre , in tutto l’album, si allude alle divisioni e ai muri che si creano tra le persone (vedi il muro di Berlino). La disinformazione, l’omogeneizzazione, la figura superiore che non si mette al nostro pari, la violenza , le prese in giro da parte del governo , la scuola lasciata a degenerare ogni giorno di più, è sinonimo di anni duemila o di anni ottanta?
“Vorrebbero avere al proprio fianco un mentore che sappia educare”
Sofia Ludovica Tangreda mail
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SCUOLA
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Make America bad again!
Intervistatore: “C’è un problema mussulmano nel mondo?” Donald Trump: “Assolutamente. Assolutamente. Non mi sembra di vedere cittadini svedesi che buttano giù il World Trade Center” Si sa, questo non è un periodo di pace: è un periodo segnato da guerre, terrorismo, estremismo, xenofobia...e chi più ne ha più ne metta. Chiodo scaccia chiodo, estremismo scaccia estremismo; è proprio da presupposti del genere che nascono determinate figure al contempo decise e ossessionate dai propri obiettivi, spesso di dubbia moralità. In Italia abbiamo Matteo Salvini, in America (dove amano fare le cose in grande) hanno Donald Trump. Che dire… Donald Trump si commenta da solo. La frase riportata qui sopra (risalente a un’ intervista del 2011) è il fulgido esempio di un uomo dai chiari principi, una mente, un innovatore… Una volta si odiava una cosa, al massimo due. Trump ha deciso di odiarle tutte (messicani, mussulmani, il Papa, Barack Obama...). Il suo odio per gli extracomunitari è così equanime che ha cercato di dimostrare che il presidente Obama non fosse nato negli USA. È riuscito a farsi definire dal Papa una persona non cristiana e nonostante questo non ha fatto marcia indietro sulla sua idea di un muro al confine con il Messico . Nonostante tutto, ripete ancora assiduamente “I’m a nice person!”. Potrei passare ore a portare esempi di sue dichiarazioni al limite del demenziale (“Se a scuola gli insegnanti fossero armati non ci sarebbero più stragi” per dirne una) ma ho deciso di soffermarmi su un altro punto. Come? Come può un uomo che viene giudicato un razzista dalle tv nazionali americane e non, un uomo definito dalla sorellastra di Anna Frank “il nuovo Hitler”, un uomo che incita all’odio senza farsi scrupolo delle conseguenze dell’ideologia che va diffondendo, essere uno dei più probabili candidati alla Casa Bianca? Sarà il fatto che si autofinanzia la campagna elettorale (prestandosi 25 milioni di dollari e accettandone 7 milioni da finanziatori esterni) che fa presa sulla gente; oppure il fatto che grazie alle sue
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personali doti d analisi politica abbia in passato predetto l’avvento di Osama Bin Laden e l’11 Settembre (anche se all’epoca di questa affermazione Bin Laden era già fra i 10 ricercati più pericolosi del FBI e la stessa “previsione” era certamente più ambigua che profetica). Sta di fatto che chi non lo odia lo ama, mentre chi lo ama odia. Concludo con una domanda a te, lettore: “Se da entrambe le parti c’è odio, come si può ottenere la pace?”. Jacopo Zambello jacopozambello@gmail.com
Il prestigio dell’anziano
Attorno alla figura dell’anziano aleggia un’atmosfera mistica, un’aura di magia che dona fascino a questa preziosa componente umana. Egli è diventato saggio attraverso l’esperienza ed è come una pietra che esiste per sempre. Ha l’onore di insegnarci come far affiorare dagli abissi del nostro esistere lo spirito diveniente. Parla con voce flebile o roca, con fiacchezza o vitalità, ma parla, e questo è ciò che conta. Presenza fisica e parola divengono così il mezzo di diffusione dell’esperienza. Intensi sono i contenuti che esprime, le vicende che tramanda: tutto è avvolto dal misticismo del vissuto e ricolmo di emozione, quella sottaciuta vitalità che il corpo più non possiede ma che irradia con vitale splendore l’anima. Egli fornisce insegnamenti mediante le narrazioni, traccia il sentiero dell’essenza perché ha finalmente compreso la povertà dell’esistere. L’anziano indica la strada affinché i posteri possano continuare il percorso che egli stesso ha iniziato. Egli é pertanto una guida, e di cosa ha bisogno l’uomo se non di una guida? L’uomo ha bisogno di
un dio: nolenti o volenti, la sua presenza conforta anche il più ateo e razionalista perché nessuno può reggere fino in fondo il turbamento causato dall’angoscia dell’ignoto. L’anziano è il dio degli atei, il maestro dei credenti. Una società che non tiene in considerazione il valore dell’anziano è destinata a perire. Il vecchio,come la storia, insegna a vivere e noi siamo bisognosi di consigli per condurre una vita migliore in vista del processo diveniente, che è il passaggio da esistenti a essenti. Il prestigio dell’anziano emerge specialmente in una società che viaggia al ritmo dei giovani. I giovani vanno educati alla vita, non soltanto attraverso le nozioni apprese a scuola, ma anche con l’esperienza, per far sí che si compia il connubio tra individuo e coscienza della propria unicità. I giovani sono come vasi: hanno una struttura, hanno un corpo che li sorregge ma in loro vi è una cavità, un’assenza di consapevolezza di se stessi. Un vuoto (tragica condizione costitutiva dello stare) che colmeranno solo vivendo e facendo tesoro del sermone pronunciato dall’anziano, il bastone del giovane. Oggi, nella società della tecnica in cui lo scopo è funzionare sempre più come macchine, oggi che non c’è più tempo da dedicare all’anima, ascoltare la parola di chi ha vissuto e conosciuto un mondo in cui termini come individuo e personalità avevano un senso può fornirci i mezzi adatti per indagare ciò che siamo. Alessio Boffo alessioboffo@gmail.com
Il Mancino
Maggio 2016 - N.7
Il Mar Pelagico e 7 consigli per aiutarvi a le onde elettromagnetiche smettere di attorno a noi fumare
Viviamo immersi in un mare che non vediamo e difficilmente percepiamo, un mare fatto di onde sì, ma elettromagnetiche. Il dibattito circa l’influenza delle onde elettromagnetiche sulla nostra salute permane vivace e controverso e provoca ricorrenti allarmismi nell’opinione pubblica, ma resta sempre molto vago e disinformato. Le radiazioni elettromagnetiche, in base alla loro frequenza, si dividono in radiazioni non ionizzanti e radiazioni ionizzanti. Le radiazioni ionizzanti sono dotate di un’energia tale da riuscire a creare ioni, ovvero da riuscire a spezzare i legami che tengono unito un atomo andando ad alterarne la carica, e quindi a innescare la cancerogenesi. Esse sono ad esempio i raggi X e le radiazioni gamma. Le radiazioni non ionizzanti sono invece quelle che non possiedono un’energia sufficiente a staccare le cariche elettriche dall’atomo e che oggi sono largamente impiegate in un vasto campo di applicazioni dall’impiego nell’energia elettrica, nelle onde radiotelevisive, nei radar, nelle apparecchiature mediche e nella telefonia fissa e mobile. Da tempo la ricerca scientifica si è intensamente attivata per scoprire se l’esposizione alle radiazioni non ionizzanti comporti dei rischi per la salute, ma senza dare risposte concordi e precise soprattutto per quanto riguarda l’insorgenza di tumori. Ad oggi l’unica soluzione sembra il principio di prevenzione. La questione da porsi è se, non la singola
fonte elettromagnetica, come può essere un qualsiasi elettrodomestico, ma la somma di innumerevoli sorgenti, soprattutto nei centri urbani, a cui si aggiunge la radiazione di fondo, come le emissioni solari e i raggi cosmici, costituisca un evidente rischio per la salute pubblica. Le radiazioni generano circolazione di correnti più o meno localizzate nel corpo umano, la cui dissipazione può portare ad un aumento della temperatura dei fluidi corporei e organi come il cristallino, il cervello e i testicoli sono particolarmente soggette a danni. Sebbene sia risaputa la posizione degli apparecchi ad alto voltaggio, il quesito odierno riguarda l’influenza degli apparecchi telefonici mobili la cui potenza elettromagnetica si attesta su bassi valori ma che vivono costantemente vicino alla persona emettendo radiazioni mai completamente innocue e alle quali si somma l’energia delle onde di tutto ciò che di elettronico ci circonda. Un esempio è tratto da una sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto per la prima volta in Italia un legame diretto fra l’abuso di telefoni cordless e cellulari e il cancro al cervello. Inoltre è stata riconosciuta anche la maggiore attendibilità degli studi epidemiologici indipendenti rispetto a quelli co-finanziati dalle case produttrici di telefonia. Nell’odierna era tecnologica siamo costantemente sommersi da fattori che possono causare ritorsioni significative sulla nostra salute e purtroppo la sensibilizzazione è ancora molto insufficiente e troppo spesso viene boicottata. A tale proposito, più che fissare con la normativa i valori di soglia da non oltrepassare anche se indispensabile, occorrerebbe mantenere l’esposizione alle onde elettromagnetiche non ionizzanti al più basso livello di rischio raggiungibile, compatibilmente con le tecnologie, i costi, la tutela della salute e con un’informazione più rispettosa del consumatore, spesso ridotta a un’insieme di clienti che sono intesi come “macchine vittime del consumismo”.
Il fumo è un vizio che si sta espandendo sempre più, anche fra i giovani. Ognuno è libero di scegliere di fare ciò che meglio crede, presupposto che dal momento in cui si inizia a fumare si dovrebbe essere a conoscenza dei rischi e danni a cui si va incontro. Ecco a voi alcuni brevi e semplici consigli per chi ha provato a smettere o per chi ha smesso da poco e vuole riuscire a continuare:
Zeno Sartorelli De Giacometti zenodegiacometti@gmail.com
Clara Zoccatelli Calata.zoccatelli@gmail.com
1) Cerca di non uscire dal tuo programma: scegli sul calendario una data in cui smettere, meglio se a distanza di una o due settimane, in modo da prepararti psicologicamente e, da quel momento in poi, cerca di mantenere il programma che all’inizio ti sei prefissato; 2) Bevi molta acqua: infatti in questo modo si aumenta la diuresi e si espellono più tossine dal corpo; 3) Mangia più verdura: aiuta a depurare l’organismo, ed inoltre dà un retrogusto amaro quando si fuma una sigaretta; 4) Riduci il consumo di caffè: quando la nicotina non è più in circolo, la caffeina ha un impatto più forte sul nostro organismo, aumenta l’efficienza delle nostre funzioni vitali e può rendere le notti insonni; 5) Utilizza degli antistress: è provato che il desiderio di fumare ha una durata di soli 5-10 minuti circa, cerca quindi di distrarti durante questi momenti, ad esempio mangiando una chewing-gum, leggendo, chiamando qualcuno o ascoltando musica; 6) Aumenta l’attività motoria: sarà un’ottima distrazione durante i momenti di desiderio di una sigaretta e allo stesso tempo ti manterrai in forma; 7) Premiati quando raggiungi degli obiettivi: regalati qualcosa, una cena, un’uscita al cinema, insomma qualsiasi cosa non includa una sigaretta. Questo ti spronerà ancora di più nel raggiungimento del tuo obbiettivo, perché ricordati che smettere di fumare è una scelta difficile che va incoraggiata di giorno in giorno!
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SALUTE
RIFLESSIONI
Il Mancino
Maggio 2016 - N.7
I due lati dell’alternanza scuola lavoro Abbiamo intervistato due ragazze dell’istituto alberghiero di Treviso che hanno avuto due esperienze di stage ben diverse. Ecco le loro testimonianze. 1) Ciao! Presentati: chi sei? Quanti anni 1) Sono Carola Favotto, ho 18 anni e fre- 1) Sono Sofia, ho 18 anni e frequento il hai? Che scuola frequenti? Dove hai fatto quento il quinto anno dell’istituto alber- quinto anno all’alberghiero “M. Alberini” ghiero “M. Alberini” a Carità (TV). Dato a Carità (TV), nel settore di Accoglienza lo stage di cui ci vuoi parlare? l’indirizzo della mia scuola ho fatto 3 stage Turistica. Il luogo in cui ho svolto lo stage in questi cinque anni e devo dire che sono di cui voglio parlare è un hotel di Follina. 2) Esperienza positiva o negativa? Perché?
andati tutti piuttosto bene. In questa intervista voglio parlare di quello che mi è andato meglio. 2) È stata un’esperienza decisamente positiva per la mia formazione.
3) Che compiti ti sono stati assegnati?
4) Che compiti avresti voluto svolgere o ti saresti aspettata di fare?
5) Che cosa è andato bene/male? Perché?
6) A cosa ti è servita questa esperienza?
7) Come pensi debba essere e a cosa dovrebbe servire un’esperienza di questo tipo?
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3) Ero nel settore della pasticceria all’interno di un ristorante: aiutavo lo “chef pâtissier” (chef pasticcere). Mi faceva fare preparazioni, quindi normalmente pasti, torte, biscotti e anche quel che riguardava la caffetteria dell’hotel che c’era sopra al ristorante. Mi faceva fare inoltre servizio: un compito non da poco, soprattutto all’interno di un ristorante che stava per prendere una stella Michelin (un importante riconoscimento in ambito culinario). Dato il prestigio del ristorante non avevo margine d’errore, ma il personale ha comunque avuto fiducia e pazienza nei miei confronti, insegnandomi molto. 4) Da questo stage non avrei potuto chiedere di più: mi sono trovata bene non solo con le mie mansioni ma anche con il resto della “brigata” di cucina e di sala. 5) Penso che sia andata più che bene perché ho visto diverse preparazioni e ho veramente imparato tanto. 6) Questa esperienza mi è servita molto perché ho capito come funzione l’interno di una cucina, cosa aspettarsi, quante ore di lavoro ci sono, eccetera. Ho imparato poi l’importanza di avere un bel legame con gli altri colleghi, perché altrimenti il ristorante non funzionerebbe. 7) Penso che uno stage debba essere un’esperienza che aiuti tutti quanti a capire com’è nella realtà un lavoro. Penso che gli stagisti non debbano essere insultati o sottovalutati, come spesso accade, ma che si debba spiegare loro bene tutto quello che c’è da fare. A volte succede che si pretenda che noi stagisti sappiamo già tutto: ed è chiaramente impossibile, anche perché ognuno ha delle basi di partenza diverse. Gli stage dovrebbero formare le persone e aiutare ogni giovane studente a far chiarezza sul cammino che vuole intraprendere.
2) È stata un’esperienza che non ripeterei: l’approccio con la titolare sin da subito è stato negativo, io ho tentato di pormi nella maniera migliore possibile ma lei sin dall’inizio ha troncato qualsiasi possibilità di rapporto umano, guardandomi e parlandomi con estrema sufficienza. 3) Non ho svolto assolutamente nulla di tutto quello che avrei dovuto. Mi hanno abbandonata da sola alla reception senza alcuna mansione, senza indicazioni, e senza la benché minima spiegazione. 4) In quanto stagista di accoglienza turistica i compiti che avrei dovuto svolgere avrebbero dovuto interessare le fasi di prenotazione, check-in, live-in, checkout e relazioni con i clienti. 5) Questa esperienza è stata un competo fallimento, dall’inizio alla fine: nessun insegnamento, trattamento penoso, in cambio di 12 ore di “lavoro”, seduta in reception a fissare il vuoto. 6) Mi è servita ad imparare quale possa l’atteggiamento dei titolari nei confronti di stagisti, spesso sottovalutati, maltrattati o sfruttati a causa della manovalanza gratis che prevede il cosiddetto “contratto di stage”. È una vergogna. 7) Queste esperienze dovrebbero essere formative, sia a livello morale che a livello professionale, dovrebbero dare occasione di ricevere critiche costruttive e di affrontare sfide toste senza dover sopportare il peso delle umiliazioni, della sottomissione e della nullafacenza. Siamo giovani, vogliamo imparare e pretendiamo un po’ più di rispetto, cosa che non dovrebbe essere negata a nessuno a priori. Valeria Cavallin Valeriacavallin98@gmail.com
Il Mancino
Maggio 2016 - N.7
Welcome to the Jungle
Migranti, migranti e migranti. Ne sentiamo parlare sempre. Li vediamo su telegiornali e giornali, ogni giorno. Annegati o in salvo su isole sovraffollate, in campi di “accoglienza” fatiscenti o davanti a delle frontiere chiuse. Tutto ciò in quest’Europa che sembra saper solo erigere muri e relegare i migranti in baraccopoli, tendopoli e nei posti più improbabili. Ma questi posti non sono poi così lontani da noi e ce ne rendiamo conto quando la prefettura di turno decide di sistemare dei profughi nell’edificio dismesso della nostra città. E giù di lamentele, proteste e razzismo. O almeno è così per una certa parte di popolazione, che vede i centri di accoglienza come dei problemi da allontanare a tutti i costi. Molti non vorrebbero centri di accoglienza o baraccopoli dietro casa propria, ma c’è anche chi, per scelta, va spontaneamente nei posti dove questi migranti devono soggiornare. E in uno di questi posti si trova come volontaria Merry, ragazza bellunese che abbiamo intervistato per voi lettori de Il Mancino. Ciao Merry! Ci descrivi brevemente quello che stai facendo? Ciao! Sto facendo un anno di SVE (volontariato europeo) in Francia. Sono qui con un’associazione che coordina diversi progetti di inclusione sociale e di cittadinanza attiva. Prima di tutto, ci puoi spiegare cos’è il campo di Calais? Come è nato? Calais è una città a nord della Francia, molto importante per andare in Inghilterra in quanto conta un porto con numerosi traghetti e il tunnel della Manica, con i suoi treni, poco lontano. Inevitabile quindi che una grande quantità di migranti sia rimasta bloccata qui tentando di andare in Inghilterra, fuori Schengen e con ferrati controlli alle frontiere. La “Giungla” come tale viene definita, ossia un luogo in cui é tollerato accamparsi, é stata ufficialmente riconosciuta e “accettata” da poco piú di un anno. Prima, anche da una decina di anni, si contavano comunque diversi e numerosi accampamenti non “legali” sparsi un po’
ovunque intorno alla città.
Come mai viene chiamato “The Jungle”? Non so di preciso quando sia nato questo nome, ma era effettivamente una vera giungla agli inizi, un’enorme accozzaglia di tende e persone in mezzo a pioggia e fango e le situazioni igieniche e di sicurezza lasciano tutt’ora a desiderare… quindi ecco la giungla, una città di qualche migliaio di persone, selvaggia e difficile, con le sue regole per sopravvivere. Cosa ti ha portato a Calais? A Calais ci sono arrivata dopo averne a lungo sentito parlare… siamo abituati a campi di migranti che “migrano” appunto a seconda delle cosiddette “emergenze”. Per questo mi ero stupita di come fosse presente qualcosa di così precario e stabile al tempo stesso in Europa, nel nord della Francia! Già in Italia avevo preso parte a qualche iniziativa sulle migrazioni ed ero stata in un campo di prima accoglienza.Però andando a vivere in Francia ho pensato di cogliere l´occasione e soddisfare la mia curiosità in modo più completo. Per interesse personale quindi... Ma dal lato pratico come sei diventata una volontaria, a chi ti sei rivolta? Tramite internet si possono trovare molte associazioni presenti nel campo, l’Auberge des Migrants e Calais Kitchens sono le due principali mail a cui scrivere se si vuole andare a dare una mano e così ho fatto. Dopo la prima settimana, sono stata a Calais in più riprese, per qualche settimana o anche solo il weekend, da 8 mesi a questa parte. Toglici una curiosità: come sei arrivata al
campo? Ci sono arrivata in autostop, in quanto è praticamente impossibile non trovare qualche camion che passi per Calais andando in Inghilterra. Parliamo un po’ degli ospiti: chi vive a Calais? Perché lo fa? E dove vorrebbe andare? A Calais sono presenti persone di diverse etnie e provenienze. Molti di loro sono ed erano della classe medio-alta nel loro paese che hanno abbandonato in seguito all´impossibilità di lavorare e vivere a causa delle crescenti tensione interne, talvolta anche armate. Sono persone che sognano l’Inghilterra, vuoi per le maggiori possibilità di trovare lavoro, per la lingua che già parlano, per le conoscenze o i parenti che già abitano sull’isola. La maggioranza sono uomini giovani che tentano ogni notte di passare dall’altro lato del mare. Come è organizzato Calais? Sarà molto difficile gestire un posto così complesso... Dovete sapere che Calais è organizzato come una vera e propria città, con il suo centro vaccinazioni, le sue scuole, i suoi luoghi di culto, un parco giochi, cucine, hotel, negozi, discoteche… tutto versione giungla. Ogni comunità (curdi, siriani, sudanesi ecc) ha un quartiere e diversi “coordinatori”, più per praticità “linguistica” nel discutere insieme che per altro. Quindi è una città (auto)organizzata. Ma chi dà una mano? Cosa fate voi volontari? A Calais sono presenti numerose associazioni francesi come la Croce Rossa e tante altre, insieme a svariati volontari che aiutano in diversi modi... continua a pagina seguente...
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INTERVISTE
INTERVISTE
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Welcome to the Jungle (pt.2) ...Il vero motore di Calais tuttavia sono i volontari indipendenti, per la stragrande maggioranza inglesi, che si occupano di smistare le donazioni, distribuire i beni, organizzare i pasti, costruire tende fisse… insomma, tenere in piedi il campo come tale e supplire a tutte le necessità pratiche che si possono avere. Lodevole il vostro lavoro, ma a sentire questo una domanda sorge spontanea: il governo francese dov’è? Il governo francese ha autorizzato la presenza delle associazioni sul campo, che già di per sé non é scontato, ma da un mese a questa parte sta distruggendo la giungla. La stessa giungla che aveva in un certo senso creato, autorizzando quel luogo ad essere occupato dai migranti al fine di limitare i disagi creati dall avere persone accampate ovunque. Ora che quindi la città di Calais non subisce più i problemi di prima a causa della forte presenza di migranti (stimata sugli 8000 individui) stanno letteralmente distruggendo questa quiete, riportando il campo ed i suoi abitanti indietro ad una situazione umana pari agli accampamenti emergenziali che vediamo nascere ora in Macedonia e nell´area balcanica. Distruggono una foresta cresciuta in silenzio e anche la distruzione avviene in sordina, giustificata da ingiustificabili ragioni di “sicurezza” e chiamata soluzione…
Domanda d’obbligo: dopo gli attentati a Parigi e Bruxelles è cambiato qualcosa nel campo? Più polizia, più manifestazioni neofasciste organizzate in città. Dopo che un ragazzo inglese è stato pestato abbiamo deciso di invitare tutti a non uscire dal campo quando sapevamo che c’erano dimostrazioni di questo genere in città. Pensi che ci sarà una soluzione a questa situazione? Oppure il campo vivrà ancora a lungo? Penso che non si possano semplicemente cancellare degli esseri umani, c’è veramente un’emergenza che si sta consumando in Europa, una tragedia umana e sociale. La distruzione di un sistema che iniziava veramente a funzionare e non soltanto un bendaggio momentaneo porterà con sé delle conseguenze. Oggi come oggi, dopo che la parte sud del campo è stata rasa al suolo, si è ripiombati in un caos in cui tra le altre cose si son perse le tracce di almeno 300 minori. Mi piacerebbe il campo non dovesse esistere a lungo, piacerebbe a tutti (migranti e volontari) non essere lì, ma non credo che il raderlo al suolo, anche solo in parte, possa essere considerata una soluzione. E lo dico sinceramente.
“Penso che non si possano semplicemente cancellare degli esseri umani”
La Francia vuole eliminare il campo e disfarsi degli ospiti. Ma c’è qualcuno che li vuole questi migranti? In realtà sì: un’istituzione presente, nonostante possa sembrare strano, è l’ambasciata spagnola. Infatti cercano di indirizzare qualcun di queste persone verso la Spagna, aiutandoli ad ottenere un permesso di soggiorno lì. Questo può sembrare strano ma in effetti come ho detto prima praticamente tutti qui hanno ricevuto una buona educazione o hanno grande esperienza lavorativa alle spalle, per cui possono effettivamente “interessare” alla Spagna che al tempo stesso fornisce loro un alternativa al campo qualora non riescano ad arrivare in Inghilterra.
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Concludendo facciamo una riflessione di più ampio respiro: vedi una qualche soluzione nella questione dei migranti? Cosa dovrebbe fare un governo che abbia la volontà di aiutare tutte queste persone?
Sono certa ci sia una soluzione e sono altrettanto certa ci siano persone ben più competenti di me per attuarla, persone che hanno studiato il fenomeno delle migrazioni e che non continuino a vedere il problema profughi come un problema, come emergenza, ma come fenomeno da gestire in maniera organizzata senza lasciare ai volontari il compito di tamponare i bisogni primari senza poter veramente fare qualcosa perché “i volontari sono gratis”. Un governo che voglia aiutare quelle persone dovrebbe semplicemente imparare a guardare ed ascoltare cosa succede, anziché prendere decisioni da sole carte e magari spendere poi fiumi di denaro in emergenze prevedibili. La politica ha molta responsabilità, indubbiamente. Concludendo, ti ringraziamo e ti chiediamo l’ultima cosa per i nostri lettori: perché un ragazzo si dovrebbe preoccupare dei migranti e di chi vive in queste condizioni? Perché quello che ci hai raccontato dovrebbe riguardare anche noi che viviamo tutt’altra vita in Italia? Perché sono persone… Alberto Rosada rosada.alberto@gmail.com
Il Mancino
Maggio 2016 - N.7
NOTIZIE DAI TERRITORI > > > PROV I NC IA DI B E L LU NO
La primavera dell’impegno civile
Lentiai fa luce sulla piattaforma dei veleni Una questione che da una piccola frazione arriva a Bruxelles. Si tratta di Lentiai e del dibattito sul progetto del nuovo depuratore. Un dibattito che sta suscitando apprensione tra i cittadini non solo. La vallata bellunese vuole mantenersi immacolata, come è sempre stata, per quanto più tempo possibile. Con questo spirito, la sera del 9 aprile, ci siamo raccolti in più di mille, attraversando il centro del comune. Il progetto è stato presentato tre anni fa, con una formale perfezione e un’argomentazione capziosa. Ma il gioco vale la candela? Il “comitato dalla balla” creatosi grazie ai cittadini è andato in fondo alla questione. “Stop alla piattaforma dei veleni” è il motto che ricorre sulle bandiere gialle e verdi che i lentiaiesi ed i loro sostenitori del bellunese sventolano. L’agenzia protagonista è la CIPA (Consorzio Industriale Protezione Ambientale) che spinge per l’approvazione del proprio progetto: un impianto di trattamento dei reflui industriali nell’area dell’ex tintoria San Marco, già sede del vecchio depuratore. A detta della CIPA, tra i benefici apportati, vi sarebbe un incremento della forza lavoro sia diretta sia da indotto. Nonostante questo aspetto appetibile, il progetto non ha fatto presa sulla comunità. Andando in profondità, chiunque ha potuto leggere i dati oggettivi che a detta dei più risultano sconcertanti. La lista CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) conta più di cento tipologie di rifiuti che andrebbero trattati con il chimico. Le industrie, miranti ora più che mai alla qualità, non sembrano apprezzare. Sarebbero loro i reflui trattati, con una portata equiparabile ad 80 000 cittadini. Il comune ne conta a malapena 3500. Il comitato si è mobilitato ed autofinanziato per intervenire: sono stati contattati tecnici specializzati, le principali aziende interessate ed i vari sindaci. 63 sono le lettere inviate loro per chiedere supporto da
ogni parte della provincia. La diatriba ha raggiunto la capitale stessa e si sta avvicinando all’Europarlamento. L’impegno impiegato nella sensibilizzazione ha portato ad una forte risposta: il 9 aprile si è tenuta la fiaccolata contro lo sfruttamento, la privatizzazione e lo sfregio del patrimonio ambientale. Ci siamo riuniti in un eclatante corteo denso di mille e più persone, camminando attraverso Lentiai. Fiaccole sono state accese, sostenute anche dalle autorità locali, per illuminare il cielo notturno. Muniti di amplificatori, dalla testa della marcia, gli aprifila hanno fatto sentire sonoramente le esigenze di tutti i sostenitori. Scrosci di applausi hanno accompagnato le esplicite critiche mosse a questo progetto, imputato di eco-cidio. Nessuna bandiera di partito è stata ammessa. La lotta per l’ambiente continua. Stefano De Marzo ilovenerone@libero.it
>>>BELLUNO
Cultura non fondamentale
La Regione Veneto taglia i fondi alla cultura in provincia di Belluno, prestito interbibliotecario a rischio. Prima di iniziare questo articolo facciamo luce su un po’ di lessico: il cosiddetto “prestito interbibliotecario” é un servizio che permette agli utenti di ricevere presso la propria biblioteca libri e materiali posseduti da altre biblioteche (sia italiane che straniere) della loro provincia. La legge Delrio, che andrà a stravolgere il senso delle province, delega ad ogni regione il compito di decidere quali funzioni delle province siano fondamentali e quali no, cioè quali finanziare e quali accantonare. E, chiaramente, la cultura è stata definita “non fondamentale” dalla Regione Veneto. Il servizio culturale finanziato dalla Provincia di Belluno consisteva nel Servizio Provinciale Bibliotecario (consistente nella catalogazione informatica centralizzata nel prestito interbibliotecario, che permetteva alle biblioteche più piccole, le quali, pur non avendo molti libri, riescono comunque a soddisfare le richieste degli utenti, di sopravvivere). Faceva riferimento al livello provinciale anche la curatrice del Museo di Serravella (il più gettonato in provincia, con migliaia di visitatori l’anno), ora prepensionata e costretta ad assistere al mutamento del museo che ha contribuito a far crescere in un magazzino di reperti. Ma è soprattutto la fine del prestito interbibliotecario che azzererà l’offerta culturale della nostra provincia: sarà impossibile, a causa della mancanza di libri, che le decine di piccole biblioteche che vivono di prestito interbibliotecario e che garantiscono anche nelle zone più isolate un buon accesso alla cultura funzionino veramente. A partire da questo ‘autunno quindi comincerà la lenta morte di tutte le biblioteche periferiche e poco fornite. In risposta a tutto ciò, il Comune di Feltre ha approvato un ordine del giorno in cui si chiede alla Regione Veneto di “provvedere al più presto alla stesura di convenzioni adeguatamente finanziate con la Provincia, prevedendo anche l’inserimento in organico di figure che possano garantire la sopravvivenza dei servizi culturali”. Caterina Zingale caterina.zingale84@gmail.com
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TERRITORI
Il Mancino
> > > V E RONA
Aperitivo antifascista Conoscere per resistere
Sabato 2 aprile si è svolto il primo aperitivo organizzato dalla Rete degli Studenti Medi di Verona a tema Antifascismo, con lo scopo di informare studenti e non solo su questo argomento storico ma sempre attuale. L’evento è stato reso possibile grazie all’Associazione “Per la Pace tra i Popoli”, che ci ha dato la disponibilità di usufruire della Casa della Pace “Filippo De Girolamo” situata a Borgo Nuovo; questa associazione ha lo scopo di creare un ambiente aperto a tutti dove trasmettere cultura e informazione. All’interno della Casa è stata allestita una mostra fotografica che illustrava il percorso storico del fascismo e dell’antifascismo dalle origini fino ad oggi. Inoltre la serata è stata animata da musica dal vivo, suonata dal gruppo “Kill Mister Boulevard”, e da letture e poesie sul tema dell’antifascismo. Durante l’aperitivo è stato possibile tesserarsi alla Rete e godere di un drink in compagnia. Gli studenti di Verona sono stati molto entusiasti di questa iniziativa, infatti ne verranno proposti altri con differenti temi sociali e culturali. Rete degli Studenti Medi Verona retestudenti.verona@gmail.com
Maggio 2016 - N.7 >>> ROVIGO
La città delle rose Oltre la nebbia c’è di più
Un’area veneta molto produttiva e bella da ammirare è il Delta, territorio fertile compreso tra due grandi fiumi: l’Adige e il Po. Qui ci si può immergere nella natura e osservare le specie di fauna e flora che questo spettacolare posto può ospitare. Il Parco è ideale per fare biciclettate e gite turistiche fino alla Sacca di Scardovari. La Sacca è la più grande laguna del Delta, vasto specchio d’acqua compreso tra le foci del Po di Gnocca e del Po delle Tolle, habitat ideale per molluschi come cozze e vongole, che trovano proprio qui uno dei luoghi di più intenso allevamento. Percorrendo la strada che costeggia la sacca si possono osservare da vicino le varie fasi dell’acquacoltura. Dall’altra parte si può lanciare lo sguardo sulle immense terre di bonifica, punteggiate dai ruderi dei casoni, interrotte qua e là da residue zone umide, come il Biotopo Val Bonello e l’Oasi di Ca’ Mello. In queste zone si possono degustare ottimi piatti tradizionali, nella cornice tipica del Polesine, ricchissima di paesaggi suggestivi. Il capoluogo situato al centro di questa area è Rovigo, la cosiddetta “città delle rose”, una cittadina nel complesso piccola, davvero a misura d’uomo: conta nel complesso circa 50.000 abitanti. Definire Rovigo una città turistica è forse inusuale, ma anche se nessuno ci crederà, sono numerosi i visitatori che fanno tappa qui per vedere luoghi più importanti e caratteristici: il Tempio della Rotonda, il museo archeologico dei Grandi Fiumi, le piazze principali Matteotti, Merlin, Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Come dimenticare poi il Teatro Sociale, la storica
Accademia dei Concordi e il Palazzo Roverella, dove ogni anno arrivano dipinti di fama nazionale ed internazionale. Tutti questi piccoli luoghi sono collegati tra loro da un lungo viale, il “Corso del Popolo”, il vero centro della città. Ogni fine settimana il Corso si trasforma in area pedonale e, finalmente, si vedono i rodigini passeggiare e vivere il centro. Il cuore vero di Rovigo, però, è e rimarrà sempre lo stadio di rugby M. Battaglini, tempio italiano della palla ovale, a cui tutti i cittadini della città sono affezionati. Battaglini, da cui prende il nome lo stadio, fu un rugbista e allenatore di rugby a 15 italiano, ritenuto tra i pionieri della disciplina in Italia. Fu uno tra i primi sportivi a giocare nei paesi esteri, primo fra tutti la Francia, segnando così la grande storia del rugby italiano ma soprattutto rodigino. Giocò quindi in nazionale e allenò importanti squadre come il Treviso, le Fiamme Oro e il Petrarca. A Rovigo ogni partita è una festa: tutte le persone che hanno visitato questo stadio e lo hanno vissuto anche solo una volta, non hanno potuto evitare il coinvolgimento dei bersaglieri! I bersaglieri sono i giocatori rossoblù, così soprannominati perché incitati dalla “fanfara”, canzone tipica, con cui fanno l’ingresso in campo; la canzone risuona anche quando si muove il tabellino per la squadra di casa. Quando ci sono partite importanti tutta la città ne è coinvolta: la gente si addobba “a festa” con sciarpe, bandiere, cappelli, felpe, colorandosi il volto dei colori rossoblù. Lo stadio si riempie di striscioni, le persone cantano, suonano, urlano, si divertono e fanno “squadra”. Il clima di famiglia che si respira al Battaglini è davvero unico nel mondo della pallaovale! Molte case poi espongono un drappo rossoblù alla finestra. A chi dice, insomma, che Rovigo è la città della nebbia e che non c’è nulla… Sarà pur piccola ma possiede una bella storia, ricca di vicende, personaggi, episodi, aneddoti. La nebbia è sicuramente molta, come negarlo, ma non abbiamo solo quella per fortuna! Andrea Azzalin andreazzalin@yahoo.it
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Maggio 2016 - N.7
>>> VICENZA
> > > PA D O VA
Se la cultura è di sinistra La Fiera delle Parole è un’iniziativa nata a Rovigo e successivamente, visto il suo enorme successo, importata a Padova, dove nell’ultima edizione del 2015 ha raggiunto le 70mila presenze: non poco, se consideriamo che per realizzarla, il Comune di Padova investiva circa 100mila euro. Settantamila persone, che usufruiscono di bar, ristoranti, alberghi. Eppure, lo stesso Comune, negli ultimi mesi, ha applicato dei tagli alle spese tra i quali risultano, oltre alla Fiera delle Parole, anche il festival Sugar Pulp, la mostra di architettura Cappochin e “Il Biologico in Piassa”. Senza passare per la scrittrice Michela Marzano, alla quale è stata negata la sala Paladin in Municipio perché “parlava di gender”. Tagli alle spese, quindi, ma soprattutto alla cultura. «Già nelle giornate della Fiera delle Parole 2015 qualcosa non mi tornava nel comportamento di Palazzo Moroni» dice Massimo Bettin, segretario provinciale Pd; «Piccoli segnali ma chiari, basti pensare che non una sola riga era stata dedicata all’evento nemmeno sul sito internet del Comune.». La rimozione dell’iniziativa dal bilancio comunale ha scatenato numerose polemiche e si è arrivati ad una manifestazione che ha mosso tremila padovani, portandoli a protestare sotto palazzo Moroni, sede del municipio. La decisione del sindaco, però, è stata irrevocabile. Per l’ex assessore al Sociale, Alessandra Brunetti, che ha dichiarato che, secondo il sindaco, gli ospiti invitati sarebbero “Troppo vicini alla sinistra e alla precedente
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amministrazione”, indipendentemente dalle posizioni politiche degli ospiti, la città non può permettersi di perdere questo evento: “È una kermesse culturale che genera sviluppo: ha un indotto notevole e piace molto ai padovani. È utile anche per le scuole, per i bambini e per gli insegnanti: è un evento di riferimento” – ragiona – “Un amministratore dovrebbe attenersi a questi criteri quando valuta finanziamenti da assegnare. Siamo in un periodo in cui la città ha bisogno di volani di sviluppo”. La buona notizia è che, in questi giorni, si è riaperta la manifestazione grazie all’aiuto della diocesi di Padova, che ospita le conferenze nel cinema Mpx. Un grazie, quindi all’Associazione Cuore di Carta di Bruna Coscia che, strenuamente, porta avanti questa magnifica rassegna culturale. Niccolò Mariconda nicki.mariconda@gmail.com
Non è mai il momento di gettare altro cemento
“Non è mai il momento di gettare altro cemento”. È questo lo slogan con cui la Rete degli Studenti Medi Vicenza è scesa in piazza il 19 marzo al fianco del Comitato Pomari, che ha organizzato questa importantissima iniziativa. Per le vie dei quartieri di San Lazzaro e Pomari, nella parte est di Vicenza, circa 250 persone hanno manifestato contro un piano di cementificazione e di edilizia feroce che negli ultimi anni non lascia tregua, in particolare in questi quartieri, ma anche in altre zone della città. Il comitato nasce quando nei primi anni duemila viene annullato un progetto che doveva portare alla realizzazione di un parco al fine di utilizzare quei terreni per la costruzione di un centro commerciale, in un quartiere già ampiamente deturpato da un’edilizia che, senza guardare in faccia ad ambiente o abitanti, continua sull’inopportuna strada della cementificazione. Ma la lotta del comitato non verte solo sull’arrestare questo progetto. La rivendicazione è ben più ampia: la cementificazione non deve essere né ai Pomari né altrove, infatti Vicenza di colate di cemento se ne intende. Oggetto della manifestazione del 19 marzo era infatti anche la denuncia verso l’ecomostro Borgo Berga, imponente complesso di edifici posti proprio all’incrocio dei due fiumi che attraversano Vicenza, una macchia grigia nel panorama dei colli Berici. E poi c’è la Tav, o Tac come preferiscono chiamarla le istituzioni, che, qualunque sia il modo in cui la si chiami probabilmente comporterà la costruzione di nuove stazioni, una in zona fiera e una proprio davanti a Borgo Berga. Per chi come noi vuole che la città si vesta di verde anziché di grigio per soddisfare la volontà delle grosse compagnie di costruzioni, la lotta è ancora lunga, ma il comitato Pomari rappresenta per noi un punto di riferimento essenziale. Matilde Zambotto mati998@ymail.com
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Maggio 2016 - N.7
L’oroscopo dello studente Ariete 21/03 - 20/04 Venere e Marte vi provocano un umore un po’ altalenante, ma sicuramente passionale! Vorreste fare mille cose diverse e sperimentarne di nuove, l’ambiente a scuola però vi fa solo deprimere. Qualche cosa magari si può migliorare… (si consiglia la lettura dell’Articolo 2.8 dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse).
Leone 23/07 - 22/08 Non siete convinti di aver preso il ritmo giusto vero? Non abbattetevi e cercate di migliorare al massimo, senza chiaramente ammazzarvi solo di studio. Non vergognatevi di chiedere una mano ai vostri amici e compagni per studiare, anzi può essere un’ottima soluzione per unire l’utile al dilettevole!
Sagittario 22/11 - 21/12 Le persone che vi circondano fanno fatica a comprendervi e forse vi sembrerà che critichino troppo voi e le vostre scelte, in particolare quelle sul vostro futuro. Non date peso alle critiche ma datelo ai consigli, prendetevi questo periodo per capire con calma tutte le scelte universitarie e lavorative che avete davanti.
Toro 21/04 - 20/05 Questo mese le cose andranno meglio! Ritroverete sintonia con molte persone e vi sentirete più a vostro agio a scuola e nello studio e, mi raccomando, non sottovalutate il divertimento pomeridiano! Teatro, cinema, passeggiata o anche dello studio in compagnia, sarà tutto più esilarante!
Vergine 23/08 - 22/09 Sarete messi alla prova da vari imprevisti a scuola come a casa, tuttavia non disperate. Tante saranno le ansie quanta sarà la vostra determinazione nel far volgere le cose al meglio, tenete duro e alla fine riceverete anche grandi soddisfazioni da queste settimane!
Capricorno 22/12 - 20/01 Avete un’energia insolita che vi rende esuberanti con gli amici e anche in classe. Sarà tutto più divertente certo, ma attenti a non far arrabbiare qualche prof… (si consiglia lettura dell’Articolo 4 dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse).
Gemelli 21/05 - 21/06 Sarà un periodo molto attivo, in cui potrete dare di più sia nello studio che nelle attività esterne alla scuola. Fate solo attenzione a non pretendere troppo, né dagli altri né dai voi stessi, e vedrete che un po’ alla volta funzionerà tutto meglio.
Bilancia 23/09 - 23/10 Il vostro umore e la vostra concentrazione sono molto altalenanti in questo periodo. Cercate di mantenere la calma e di organizzarvi meglio le giornate per affrontare la mole di studio e di impegni. Magari prova ad organizzare dei gruppi studio nel pomeriggio, saranno una routine utile e anche divertente!
Acquario 21/01 - 19/02 Marte e Venere vi danno tregua e sarete un po’ più tranquilli, forse però anche un po’ più annoiati. Scambiatevi qualche consiglio, racconto, impressione su questi primi mesi di scuola con gli amici di altri istituti. Magari vi daranno delle idee carine per delle attività da cominciare anche a scuola vostra!
Cancro 22/06 - 22/07 Siete carichissimi e pronti a fare nuove esperienze, conoscere nuove persone, insomma stare fermi sui banchi non sarà facile. Perché per movimentare un po’ le lezioni non chiedete ad alcuni insegnanti di sperimentare metodi didattici diversi? Magari con delle discussioni legate all’attualità, così potrai farti coinvolgere senza annoiarti.
Scorpione 24/10 - 21/11 Vi sentite più intelligenti e maturi del solito, e avete voglia di dimostrarlo e mettervi in gioco. Potete farlo anche a scuola fuori dall’orario di lezioni, e se le attività offerte scarseggiano perché non pensate voi a promuovere qualche progetto o un collettivo studentesco? (si consiglia lettura dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse)
Pesci 20/02 - 20/03 Rimanete come sempre i più creativi, ma forse ancora un po’ troppo introversi e sognatori. Se non riuscite a passare ore su un libro a studiare provate a trovare un film su quell’argomento, o dei video, delle canzoni… Se li portate anche in classe potreste risparmiare molta fatica anche ai vostri compagni!
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Il Mancino
Maggio 2016 - N.7
L’ora di italiano Orizzontali 3. Eternamente no - 5. Un frutto importato - 7. La lucertola notturna - 8. Altrimenti detto - 10. Apre Il Cinque Maggio - 11. Calati a picco - 14. Zufoli di terracotta - 16. Chi è preparato ha buone probabilità di superarli - 17. La regione di Stettino - 18. Lo spreca chi parla al vento Verticali 1. L’inizio di molti annunci - 2. La girano i velisti 3. I pellerossa famosi per...l’ultimo - 4. Così è detto l’orologio tradizionale, con le lancette - 6. Comunemente ‘stella di natale’ - 9. Il regno di Hammurabi - 10. Lo è la terra al di sopra del mare - 12. La Santa del New Mexico - 13. Ll far del giorno - 15. Il commissario amico di ‘Batman’
The art is a boom
Un libro, un film, uno spettacolo e una canzone, tutte sul tema “Love is Love” Libro, Gabriel García Márquez, 1985
L’amore ai tempi del colera
Un giorno Florentino Ariza, un impiegato appassionato di poesia, si innamora di Fermina Daza, la ragazza più bella dei Caraibi: un amore che avrà il suo esito felice dopo cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni. Durante questi anni Fiorentino non smetterà mai di amare Fermina e non perderà mai la speranza, combattendo contro le minacce del padre di lei e non arrendendosi nemmeno quando Fermina si sposa o lo ignora.
Spettacolo teatrale, regia di Paolo Valerio
Romeo et Juliet
Film, Woody Allen, 1977
Io e Annie
Il comico Alvy Singer si è lasciato con Annie dopo un anno circa di relazione e si ritrova ora a raccontare la storia del loro rapporto, cercando di capire quali suoi problemi sviluppati durante l’infanzia (depressione, nevrosi) possano essere stati complici della fine della storia.
Canzone, Lo Stato Sociale, 2012
Amore ai tempi dell’Ikea
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TEMPO LIBERO
OROSCOPO
Il Mancino
Il Mancino - Maggio 2016 - Numero Sette - giornalino studentesco Veneto a distribuzione gratuita - tiratura: 5000 copie Alvise Ceccato - alvs.ceccato@gmail.com - 3488399606 Jacopo Buffolo - jacopo@buffolo.it - 3466314395 Stampate presso Centro Stampa Delle Venezie - Via Austria, 19/b – Z.I. Sud 35127 Padova (Italy) Edito da: Rete degli Studenti Medi Veneto - c/o Reset - Via Loredan 26, Padova (Italy) redazione.mancino@gmail.com