Marzo 2015 - N.2
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NUMERO DUE
La storia de Il Mancino
È
stato difficile ma anche questa volta siamo usciti. Ci scusiamo con tutti i lettori e anche un po’ con noi stessi per l’enorme ritardo con cui questo secondo numero è arrivato tra le vostre mani. Siamo però usciti con qualche novità e tante idee per proporvene molte altre in futuro. Una delle novità che più ci piacciono e che scoprirete leggendo è l’indizzo e-mail che accompagna ogni giornalista di ogni articolo. L’idea è quella di provare a far nascere una discussione tra scrittore e lettore, un modo per rendervi tutti più partecipi e per incentivare la discussione su argomenti che troppo spesso non vengono trattati tra noi giovani. L’invito è quindi quello di non farvi alcun problema a scrivere ai giornalisti, ad esporre le vostre opinioni, a dare qualche consiglio, a fare qualche critica costruttiva o qualche complimento. Un’altra grande novità, agli albori (anche se idea vecchia ma mai realizzata) è la possibilità che offriamo ai rappresentanti di istituto, di Consulta o di classe di farsi recapitare delle copie de Il Mancino non appena uscite da distribuire nella propria scuola, classe o gruppo di amici. Se siete interessati contattateci senza problemi! In questo numero potrete leggere di molti argomenti mai trattati, così come di argomenti già trattatati ma visti da punti di vista differenti. Abbiamo cercato di ridimensionare la parte dedicata alla scuola per dare maggiore spazio ad attualità e temi vari, ma sempre scritti da giovani studenti. Vi ringraziamo per i numerosi feedback ricevuti e vi invitiamo a continuare a scriverci, siete voi la nostra forza. Non un passo indietro, nemmeno per prendere la rincorsa. Buona lettura! La Redazione redazione.mancino@gmail.com
Il giornale che morì due volte
7 Gennaio, Parigi. Ore 11. La morte bussa due volte. Già, perché prima sbaglia indirizzo. Poi è uno dei giornalisti, sotto minaccia, ad aprire la porta. Dietro a quella porta la redazione di Hebdo e i suoi vignettisti, davanti due terroristi armati di kalashnikov. Il risultato: una strage. Gli spari sfumano nel rumore di un’auto in fuga e infine rimane un eloquente silenzio... ...segue a pagina 4
Contestazione giovanile ieri e oggi
Nel corso degli anni, ed in particolare nel secolo appena concluso, vi è sempre stata una parte più o meno consistente della popolazione giovanile impegnata dal punto di vista politico-sociale, concentrata su ciò che viene definito “contestazione”. L’etimologia di questo termine è legata alla lingua latina: “contestatio” significava “affermazione basata su testimonianze e riferimenti difficili da smentire”... ...segue a pagina 14
Ebbene si, anche noi abbiamo fatto i nostri errori, abbiamo omesso alcuni particolari sulla storia di questo giornalino studentesco decidendo di riniziare la numerazione dal numero 0 di questo autunno. Non l’abbiamo fatto per non porci in continuità con la sua storia, ma proprio perché anche noi per primi ne sapevamo poco, troppo poco per poterlo raccontare. Per questo abbiamo pensato che fosse bello scoprirla e raccontarvela attreverso un’intervista a chi lo ha fondato nel lontano 2005. ...segue a pagina 8
Binario 1
Treviso è una città in cui si è sentita sempre più forte in questi anni la mancanza di veri spazi di aggregazione e di condivisione, di cultura e di collaborazione tra più soggetti, associazioni e generazioni. Mancavano luoghi che rappresentassero per i giovani, e per tutti i trevigiani, un’alternativa al solito spritz nel solito bar. Non mancano invece i cosiddetti buchi neri, luoghi in disuso, sia pubblici che privati, abbandonati da decenni, testimoni di forte degrado... ...segue a pagina 20
ATTUALITÀ
Il Mancino
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Quest’intervista (non) s’ha da fare
O
gni volta che scrivo, parlo o penso do per scontato che le mie parole un giorno potranno raggiungere altre persone, colpendole, infastidendole, lasciandole indifferenti e che, per un secondo, un minuto o un’ora che sia, le mie idee saranno oggetto di riflessione per qualcuno. D’altra parte la libertà di espressione è qualcosa che tutti noi crediamo (giustamente) debba stare alla base di un paese civile ed è sancita da magnifiche parole nelle varie costituzioni, ad esempio nel ventunesimo articolo della nostra e nel primo emendamento di quella americana. E proprio attorno all’America, la “patria della libertà”, si è alzato un polverone accuratamente preparato dalla nostra “dittatura preferita”, la Corea del Nord, ma andiamo con ordine. Due attori/registi americani (famosi per le loro commedie basate su concept “innovativi” come la coppia di amici fattoni o l’invasione di alieni in una casa) decidono di tentare il colpo grosso: sposare la satira politica e prendere di mira Kim Jong-un, il bambino con in mano armi nucleari sagace dittatore Nord-Coreano, interpretando due giornalisti, incaricati dalla CIA del suo assassinio, che saranno partecipi della sua infantilità e crudeltà e infine mostreranno a tutta la Corea del Nord come sia solo un uomo comune. Nasce così . L’idea piace molto alla Sony che decide di diventare produttrice del film (attraverso Columbia Pictures, di sua proprietà), meno alla Corea che nel giugno 2014, con molta pacatezza e classe, aggiungerei, lo definisce uno “sfrenato atto di terrore” e un “atto di guerra”, minacciando ritorsioni “senza pietà” nel caso venga pubblicato. La Sony tuttavia non batte ciglio: il film verrà pubblicato in nome dei 30 milioni già spesi della libertà d’espressione. Poi le carte in tavola cambiano quando un gruppo di hacker che sceglie un nome discreto come GOP, “Guardians Of Peace”, viola i server dell’azienda nipponica venendo in possesso di informazioni riservate e la ricatta: il film non deve uscire. Ah, il governo della Corea del Nord non manca di precisare che questa allegra banda non ha nulla a che vedere con la loro nazione. Che si tratti quindi dei compagni di classe delle elementari di
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un attore del film che non lo sopportano da allora e hanno deciso di vendicarsi? O forse dei truccatori sottopagati? Chissà. Mentre la Sony tentenna una minaccia di attacchi terroristici, sempre da parte dei GOP, arriva alle catene dei cinema nel caso proiettino la bistrattata pellicola. L’intelligence americana li ritiene di difficile attuazione, ma questo genere di minacce fa molto presa negli States e quasi tutti rinunciano alla proiezione. La Sony, in ginocchio, annulla qualsiasi distribuzione: cinema, DVD e internet sembrano destinati a non vedere mai questo film frutto di scandalo. Ma fra il dire e il cancellare ci sono di
“Ma fra il dire e il cancellare ci sono di mezzo la rete e Obama”
mezzo la rete e Obama: la marea di tweet in arrivo anche da personaggi famosi del cinema e le dichiarazioni di Obama (che in seguito a queste è stato apostrofato così dai Nordcoreani: “spericolato con le parole e le azioni come una scimmia in una foresta tropicale”) contro la posizione presa dalla Sony portano questa a cambiare idea, il film esce quindi in 200 cinema indipendenti e in vari store online, dove registra il record di vendite per la piattaforma. E così un film che forse sarebbe caduto nel dimenticatoio in fretta, che non avrebbe fatto altro che suscitare due risate a delle famiglie andate al cinema nelle feste, si trova rivolta l’attenzione di tutti, per quel sapore di proibito che aveva fino a poco fa esercitato. Si merita tutta questa attenzione? La mia risposta, personale ovviamente, è no. Questo film non è un capolavoro e rinuncia esplicitamente ad esserlo, inserendo scene all’apice del trash (un esempio? Kim Jong-un spara a un albero da un carrarmato ascoltando Katy Perry). Eppure ne sto scrivendo, perché a questo punto la pellicola ha mostrato a tutti cose che gli autori non speravano lontanamente: ha fatto gettare definitivamente la maschera alla Nord Corea, che si è riconfermata pronta a tutto e molto incline ad azioni impulsive (ed avventate: tutto
questa polvere sollevata gioca solo a suo svantaggio) e anche agli Stati Uniti, che mi sembrano in continuo bilico fra deliri di onnipotenza e complessi di inferiorità. Ora la mia speranza e credo quella di molti, è che la reazione a catena messa in moto vada oltre a questo e il piccolo sasso diventi valanga: chissà che questo film non possa arrivare proprio in Corea del Nord e smuovere le cose... E potrebbe succedere: Park Sang-hak, disertore Nordcoreano rifugiato in Corea del Sud, sta progettando di sganciare sopra alla nazione confinante 100mila copie del film da un aereo con l’aiuto di un’associazione per i diritti umani statunitense. Quindi, sperando in quest’azione, la pellicola potrebbe arrivare a coloro a cui era destinata più che a tutti. Se cambierà le cose è impossibile dirlo: nemmeno “Il Grande Dittatore” di Chaplin (quello sì un capolavoro), pur continuando ad essere visto e apprezzato oggi, nel 1940 riuscì a far dubitare all’Asse della validità delle proprie azioni, ma chissà che, per quanto si è parlato di questo film, questa volta non possa essere diverso. Alla fine voglio sperare che sia così, voglio credere che delle immagini e delle parole possano infrangere le barriere dello schermo, della censura e della nostra stupidità e smuovere l’ordine delle cose: come ha detto Emir Kusturica: “Mi ha sempre ossessionato l’idea che un film, con la persuasione delle immagini, potesse rovesciare l’accaduto, la realtà: in una parola, la storia.” Marco Crosato marco.crosato98@gmail.com
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La sesta grande estinzione
n un sondaggio del Pew Research Center gli intervistati erano tenuti a esprimere la loro opinione sulle minacce più gravi che incombono sul pianeta. Il 23% ha risposto le armi nucleari, il 19% l’ineuguaglianza, il 14% le malattie epidemiche. La vera minaccia di cui ci stiamo accorgendo solo oggi è la traumatica scomparsa della biodiversità, che non ha precedenti da 66 milioni di anni circa. Dall’inizio della rivoluzione industriale, l’attività umana ha trasformato tra un terzo e metà della superficie del pianeta, mentre ogni anno scompare una superficie di foresta pari all’estensione della Gran Bretagna. Mentre le fabbriche di fertilizzanti saturano l’atmosfera di azoto, la concentrazione di diossido di carbonio nell’aria ha oramai superato le 400 parti per milione, la concentrazione più alta da 800 mila anni. Tutto questo mentre la variazione dell’acidità degli oceani continua la sua inesorabile e catastrofica crescita. Anche
“Ciò significa che il 99,9% delle specie si è estinto”
se sulla carta si tratta di variazioni decimali, rispetto all’Ottocento l’acqua oceanica è più salata del 30%. Non dobbiamo dimenticarci che una variazione dello 0,1 del Ph del sangue (cioè dell’acidità) può portare un uomo alla morte. Nella biosfera, si sa, tutto è connesso: nessuna variazione omette conseguenze. La scomparsa delle foreste sta minacciando il più grande ecosistema naturale, in cui vivono più di 10 milioni di specie di insetti diverse, anfibi, rettili, piante, primati e anche (perché no?) indigeni. L’acidazione degli oceani, nonché la pesca indiscriminata, stanno causando la scomparsa
delle alghe, che sono il vero polmone verde del pianeta, infatti ne producono il 50% dell’ossigeno e di molte specie di pesci che vengono rimpiazzati da meduse. Inoltre, la distruzione delle barriere coralline mette a serio rischio l’intera catena alimentare sottomarina. Secondo dati del 1999 (quindi abbastanza datati) ogni giorno si estinguono 74 specie animali. Da quando si evolsero i primi esseri pluricellulari 530 milioni di anni fa, i paleontologi ritengono che siano esistite circa 30 miliardi di specie. Oggi si stima che ne vivano sulla Terra circa 30 milioni. Ciò significa che il 99,9 % si è estinto: si crede che entro la fine del secolo il 24% delle specie rimanenti verrà spazzato via. Di chi sono le responsabilità di questo “specicidio” di massa? In primis dei paesi industrializzati e in via di sviluppo: USA, Cina, Unione Europea, India, Giappone. Tra questi è l’UE a essersi impegnata di più sul fronte delle emissioni di CO2, tuttavia molti esperti sono concordi nell’affermare che esso si debba più alla crisi economica che all’effettiva volontà dei governi. Gli USA sono anch’essi in teoria volenterosi, ma nella pratica per perseguire la crescita e l’autosufficienza energetica praticano il “Fracking”: un devastante sistema di estrazione del petrolio inquinante il triplo rispetto al metodo convenzionale. Cina e India puntualmente non si presentano ai summit internazionali sul clima, gelose della propria crescita economica eccezionale. Altri paesi si stanno affacciano sulla scena economica mondiale: il Brasile, la Russia, la Turchia, l’Indonesia, il Sudafrica, il Messico….. Non è ancora troppo tardi per invertire la rotta. Ma bisogna agire con decisione. Stefano Pravato stefanoprav@gmail.com
Stop ai neonati su “ordinazione”
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aternità surrogata o utero in affitto sono argomenti poco trattati nelle scuole o in famiglia, ma visti gli ultimi scandali è giunto il momento di saperne di più. La maternità surrogata, praticata in paesi come gli Stati Uniti, Canada, Russia, Ucraina, India e altri ancora, è richiesta da coppie eterosessuali, omosessuali o single che non riescono a concepire un figlio naturalmente, per varie cause. Questa pratica prevede dapprima la fecondazione in vitro del materiale genetico dei richiedenti, dopodiché gli embrioni ottenuti vengono impiantati nell’utero di una donna, chiamata “portatrice” o “madre surrogata” che porterà avanti la gravidanza. La donna “portatrice” però non sarà la madre legale del nascituro: ciò è garantito da un certificato di nascita nel quale sarà dichiarato genitore chi ha trasmesso il patrimonio genetico all’embrione. Tuttavia le leggi e i costi di tale opzione riproduttiva alternativa non sono uguali in tutti i paesi, ecco perchè molti prediligono destinazioni orientali o dell’Est Europa, dove non esistono vere e proprie leggi di regolamentazione e le spese sono decisamente minori. A seguito dello scandalo del “piccolo Gammy” però è diventato impossibile ignorare il problema che ha raggiunto l’attenzione del pubblico mondiale. Gammy è un bambino con sindrome di down nato da una madre surrogata thailandese e in seguito abbandonato dalla coppia australiana che lo aveva “ordinato” (come se si potesse trattare un neonato come una merce insignificante) dopo aver scoperto la sua malattia. Anche se questa non è l’unica coppia ad aver rifutato il “prodotto” perchè non rispondeva alle attese, il caso di Gammy è diventato famoso ed è arrivato addirittura a cambiare le leggi. Il parlamento thailandese, infatti, a seguito di tale scandalo, ha approvato quasi all’unanimità (177 “si”, 2 “no”) la prima bozza di una legge che metterebbe al bando la possibilità di gravidanze portate avanti dalle cosiddette madri surrogate. Con questa legge, inoltre, si prevede una pena di dieci anni di reclusione per chi la viola. In conclusione questo provvedimento potrebbe essere il punto d’avvio per un maggiore controllo della gravidanza surrogata in modo da tutelare le madri “portatrici” e i neonati. Irene Marchesin irene.marchesin4@gmail.com
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Il giornale che morì due volte
Gennaio, Parigi. Ore 11. La morte bussa due volte. Già, perché prima sbaglia indirizzo. Poi è uno dei giornalisti, sotto minaccia, ad aprire la porta. Dietro a quella porta la redazione di Hebdo e i suoi vignettisti, davanti due terroristi armati di kalashnikov. Il risultato: una strage. Gli spari sfumano nel rumore di un’auto in fuga e infine rimane un eloquente silenzio.
Che succede Charlie? Sei caduto? Non parli? Ti diranno: sei solo un giornale! Ma sapevi, sai, urlare Purtroppo sì, sei caduto e ti sei fatto male, Charlie. In questa caduta sono morti in dodici, ma l’onda d’urto ne ha feriti a milioni in tutto il mondo. Siamo caduti tutti, ma mentre tanti cercavano di rialzarsi e molti rimanevano a terra allibiti, alcuni, per niente decisi a muoversi, sputavano il loro odio represso, come direbbe Dante “Bestemmiavano Dio e lor parenti, / l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme / di lor semenza e di lor nascimenti.”. E proprio di bestemmiare erano accusate le vittime, che dal 1970 si sono settimanalmente resi colpevoli del reato d’ironia e dal 7 gennaio sono stati condannati per blasfemia senza un processo, perché da duecento anni nei tribunali francesi questo reato non è più contemplato. Un cartello difatti, appeso fuori dalla redazione ora circondata da macchine della polizia recita: “il reato di blasfemia è stato abolito nel 1789” e allora perché c’è ancora chi si chiede se non si debbano por-
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re dei paletti alla satira? Perché il Times pubblica un discusso editoriale in cui traspare un “se la sono cercata” condiviso da un numero (purtroppo) cospicuo di persone? E’ il frutto della paura di infastidire gli estremisti o di quella di ammettere che quello che è successo è un attentato rivolto dritto al cuore dei nostri diritti tanto a fatica conquistati? Qualunque sia la causa troviamo ridicole idee del genere: una libertà con dei limiti non è più tale, ma diventa una gabbia e nemmeno dorata. Nel momento stesso in cui porremo dei limiti all’espressione di un qualunque pensiero precipiteremo in una spirale che rischierà di riportarci alla stretta censura che per secoli ci ha tenuto al guinzaglio fino a quando non ne siamo fuggiti 200 anni fa. Libertà assoluta non vuol dire, come pensa qualcuno, relativismo assoluto, significa poter esprimere delle idee di cui si risponderà in futuro: se la blasfemia fosse stata un reato i giornalisti di Charlie Hebdo sarebbero in tribunale, ma, come ci hanno ricordato, non lo è più dal 1789. Quindi a morire sono stati degli innocenti e quando questo accade le reazioni non sono mai scontate come si potrebbe credere. Perché, come detto prima, c’è stato chi è rimasto comprensibilmente senza parole, scioccato, chi ha cercato di riprendersi, portando la notizia in tutto il mondo, impegnandosi per fare in modo che il sacrificio non fosse stato vano, ma anche chi, una volta a terra, ha preferito assaporare la polvere e mettersi alla ricerca di un “colpevole”, anzi di più colpevoli possibili, di qualcuno su cui sfogare la propria cieca rabbia.
E su chi è ricaduta la scelta? Sugli attentatori? No, troppi pochi. Sui mandanti, nonché veri responsabil? No, troppo lontani e facilmente condannabili. Allora su chi? Ma su tutti i musulmani ovviamente, dato che una visione distorta della loro religione è stata un’ottima scusa per dei fanatici. Quindi, da un giorno all’altro, se siete musulmani siete diventati assassini, criminali, nemici, persone non gradite. E non sperate di avere voce in capitolo, se non per dissociarvi espressamente e davanti a tutti, atto che l’assessore regionale
“Lo scontro di civiltà non ci serve, lo scontro di civiltà non lo vogliamo”
veneto all’istruzione Elena Donazzan ritiene necessario per dimostrare che siete diversi da due terroristi armati di kalashnikov. E tutto ciò per qualcosa che non solo è un’“inutile strage”, citando Benedetto XV. Questa è proprio un’“inutile guerra”. Inutile perchè, come detto prima, non ha un vero nemico se non quello che vogliono trovarci alcuni, usando termini inflazionati e spesso di cui spesso non conosciamo il significato. Un esempio è la definizione “mondo islamico”, sempre più usata, indice di questo nuovo repertorio lessicale che sta aprendo la strada al sempre più inevitabile “scontro di civiltà”, un altro concetto introdotto artificiosamente che, secondo i suoi più eminenti teorici,
dovrebbe indicare la totale incompatibilità tra mondo occidentale e islamico. Ma lo scontro di civiltà non è inevitabile come qualcuno ci vuole far pensare, se appare ai nostri occhi uno scontro tra “noi” e “loro” è solo perchè qualcuno si è accorto che ciò raccoglie più consensi di una politica di integrazione. Lo scontro di civiltà non ci serve, lo scontrò di civiltà non lo vogliamo. C’è anche chi critica lo slogan “Je Suis Charlie”, ma come disse Voltaire: “Non sono d’accordo con le vostre idee, ma darei la vita affinché possiate esprimerle” quindi forse non sarò Charlie, forse non sarò coraggioso, sfacciato, pronto a criticare tutto come era lui, forse non tutte le sue vignette mi faranno ridere, forse alcune mi infastidiranno o addirittura mi offenderanno, ma di sicuro sarò con Charlie e con la libertà di espressione perché non solo accetto idee diverse dalle mie, ma anche le apprezzo per farmi vivere in un mondo meno noioso in cui posso conoscere idee e religioni diverse. Conoscere, appunto: in realtà, chi sa cos’è l’Islam? Pochi, molto pochi. Dovremmo lasciare il privilegio di rispondere a studiosi e a persone che lo professano. E invece ne parlano anche degli ignoranti. No no, “ignoranti” ci sta tutto, è politically correct. Questa è l’evidenza dei fatti. Molte persone lo sono perché nonostante ne parlino semplicemente ignorano molti aspetti della complessa “questione islamica”. Basterebbe informarsi un po’ per scoprire che il musulmano medio non vive in un monte tra Siria e Iraq, non veste di nero, non porta un accetta o un kalashnikov in mano e non sta progettando un attentato in Europa. I musulmani nel mondo sono circa 1,6 miliardi e solo i 20% di essi vive in Nord Africa e Medio Oriente. Ma forse noi crediamo di più a dei dati del tipo “Il 60 % dei musulmani vive in Medio Oriente sotto un califfato islamico e sostiene la jihad”, non è così? Un sondaggio ha chiesto agli italiani quanti siano i musulmani in Italia; la risposta media è stata “il 20%”, mentre in realtà sono solo il 4%. Ma soprattutto jihad significa “sforzo verso Dio”, non “guerra santa”. Quanti lo sapevano?
Islamico e terrorista sono due parole che non dovrebbero avere a che fare, eppure nelle teste di molti c’è un collegamento diretto tra le due. Se “non tutti gli islamici sono terroristi, allora tutti i terroristi sono islamici”, citando la circolare della Donazzan, ma per par condicio anche “non tutti gli italiani sono degli ignoranti ma tutti gli ignoranti sono italiani”... Dobbiamo imparare a superare i luoghi comuni e cercare di informarci meglio prima di parlare di Islam. Giungendo a una conclusione che, specialmente ora che siamo più distanti, deve essere, per quanto difficile, più distaccata. Questi fatti vanno visti con più razionalità e se farsi prendere nell’immediato dalla paura del diverso è comprensibile (anche se certamente non giustificabile), continuare a farsi guidare dalla xenofobia è segno di grettezza e anche di meschinità: strumentalizzare la morte di alcune persone per guadagnare consensi o far prevalere la propria idea significa non render loro onore. Se vogliamo far sì che i vignettisti morti non siano finiti così invano dobbiamo cogliere questo momento di crisi come un’occasione per unirci e superarlo insieme, perché se siamo veramente una società multietnica, come ci piace autodefinirci, dobbiamo difendere il motto “liberté, égalité, fraternité” anche nei momenti in cui ci viene urlato in faccia che la barca sta affondando e che quello è il peso inutile di cui liberarsi per rimanere a galla. No, se la pensate così vi sbagliate: quello che voi vedete come un peso morto è l’ossatura della nave e ad essere superflui e superati siete voi. Perché non seguiremo la vostra politica riassunta da De André con “Qui chi non terrorizza si ammala di terrore”. Saremo noi a decidere se ammalarci di terrore o reagire. Saremo noi a decidere se Charlie deve morire nuovamente o se una volta è sufficiente e tutto questo non è accaduto invano.
“Islamico e terrorista sono due parole che non dovrebbero avere a che fare”
Alberto Rosada alberto.rosada@gmail.com Marco Crosato marco.crosato98@gmail.com
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Cos’è la satira
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quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.” È questa, in materia giuridica, la definizione di satira che dà la Corte di Cassazione. Infatti, dopo quanto accaduto nei giorni scorsi mi pare del tutto d’obbigo specificare qualcosa che bisognerebbe avere bene in mente nei momenti in cui si intavoli una discussione (cosa quanto mai auspicabile). Questo dovrebbe farci riflettere in modo da distinguere una volta per tutte cosa sia satira e cosa no. Le barzellette (se tali si possono chiamare) ignoranti e meschine che vedono protagonista la figura dell’ “ebreo” non sono satira; la vignetta, anche dissacrante, che condanna le atrocità perpetrate da Israele lo è. L’insulto gratuito e insensato al “musulmano” non è satira; la vignetta, anche dissacrante, che critica le assurdità che vengono fatte passare per religiose lo è. E così via in ogni situazione dubbiosa, tenendo sempre presente dove sia il bene e dove sia l’immoralità di ciò che può davvero essere concepito come offensivo. Purtroppo a noi Italiani questo lavoro risulta più che mai difficile, perché la satira -comunemente intesa- in Italia è davvero poco presente, o almeno, non quanto lo è in molti altri paesi occidentali (vedi in primis la Francia). Questo è dovuto principalmente ai seguenti motivi: la satira non è né l’irriverenza politica troppo spesso minacciata da quella forma di censura che è la critica ottusa, ma non è nemmeno l’ignobile stupidità di chi considera quest’arte come una democratica espressione della propria immoralità. Ed è per questo che ritengo veramente indispensabile il lavoro di sensibilizzazione che in migliaia in tutta la Penisola stanno portando avanti; poiché è fin troppo importante riscrivere la “Carta dei diritti”della libertà di espressione e stampa.
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ATTUALITÀ
Il Mancino L’Europa odierna (e in generale tutto il mondo “occidentale”) infatti è nata prima di tutto dagli ideali di Pace e Libertà e perciò solo riaffermandoli con decisione saremo capaci di costruire quella fortezza difensiva contro ogni fanatismo religioso o estremismo. Solo l’unione culturale, intellettuale e sociale costituiranno la grande forza che riuscirà a proteggerci dai nemici della Pace e della Libertà. Detto questo, vi lascio a Charb:
“Dipingi un Maometto glorioso, e muori. Disegna un Maometto divertente, e muori. Scarabocchia un Maometto ignobile, e muori. Fai un film di merda su Maometto, e muori. Resisti al terrorismo religioso, e muori. Lecca il culo agli integralisti, e muori. Prendi un oscurantista per un demente, e muori. Cerca di discutere con un oscurantista, e muori. Non c’è nulla da negoziare con i fascisti. La libertà di ridere senza alcun ritegno, la legge ce la dà già, la violenza sistematica degli estremisti ce la dà ancora di più. Grazie, banda di coglioni.” Francesco Zambonin francesco.zambonin@hotmail.it
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Festa della famiglia naturale: il Veneto va indietro
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l Veneto: regione trainante del nord Italia, tra i primi posti per occupazione, produzione industriale e servizi. Queste parole che spesso si sentono sono senz’altro veritiere e motivo di orgoglio per molti personaggi amanti del verde; ma non dobbiamo dimenticare che la vita delle persone è anche altro: non si vive solo di produzione e occupazione, sebbene siano importantissime, ma ci sono anche altri elementi altrettanto importanti che spesso, soprattutto nella nostra regione, sembrano passare in secondo piano. Infatti la libertà, l’inclusione, il rispetto e l’uguaglianza sociale troppo spesso sembrano dei lussi che non ci possiamo permettere in nome di una maggiore efficienza o perché considerati beni superflui. Ennesima prova di questo atteggiamento ci è stata data da poco e riguarda in particolare gli studenti veneti. Infatti tra il 27 e il 28 novembre il consiglio regionale del Veneto ha approvato l’istituzione della “Festa della Famiglia Naturale”. Questa festa, come viene spiegato in un comunicato della regione, si dovrebbe tenere il 23 dicembre (già a partire da quest’anno) e dovrebbe essere festeggiata in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Tutti i presidi veneti hanno ricevuto e riceveranno quindi un invito a festeggiare la famiglia
definita naturale ed autentica, perché basata sull’unione tra uomo e donna; si potranno organizzare iniziative che verranno proposte agli studenti di tutte le età per valorizzare la famiglia eterosessuale e rendere chiaro a tutti quale sia la “direzione giusta da prendere”. Inutile sottolineare quanto questo provvedimento sia esempio di ignoranza e chiusura mentale. In primo luogo viene proclamato maggiormente legittimo un certo tipo di famiglia sulla base di leggi naturali che però sembrano essere dimenticate in altre occasioni. Aldilà di queste argomentazioni che sembrano sfuggire completamente alla giunta veneta ci sono altri fattori che rendono inaccettabile questa delibera: non vengono in alcun modo rispettati gli studenti che la pensano diversamente; infatti, qualora un preside scelga di aderire, qualsiasi studente può trovarsi coinvolto in questa iniziativa sebbene abbia idee del tutto diverse. Inoltre potrebbero essere “indottrinati” ragazzi e bambini non ancora cresciuti e quindi senza una coscienza critica sviluppata che gli permetta di ragionare su quello che gli viene detto. Infine, come viene spiegato anche nel comunicato della regione, questo provvedimento andrebbe contro il Documento Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, redatto direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; quindi la nostra regione, che tanto si vanta di essere all’avanguardia e a livello degli altri Stati europei, in questo frangente sta facendo un grosso passo indietro prova di una mentalità che ha ancora molto da imparare. Appare evidente che la pesantissima aggravante di questa situazione è costituita dal voler far partire tutto dalle scuole; luoghi dove dovrebbe essere forgiata una mentalità critica e del dubbio, dubbio che si vuole spazzare via perché possibile fonte di cambiamento, che evidentemente non è apprezzato da chi governa il Veneto. Angelo Terranova angelo.terranova.96@gmail.com
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Le spose bambine
el mondo ci sono 100 milioni di bambine tra i 6 e i 18 anni costrette a sposare uomini adulti con più di 25 anni. Questi fatti avvengono in India, Pakistan, Yemen, Africa ma anche in Oceania e America Latina. Anche tra le comunità Rom che vivono nel nostro paese avvengono questi matrimoni, ma non alla luce del sole perché per la nostra legge i minori di 18 anni non si possono sposare, se non con il consenso dei genitori. Questi matrimoni combinati avvengono per vari motivi: economici perché la sposa riceve così una dote, per onore in modo che la ragazza rimanga vergine fino al giorno del matrimonio. In Niger il 74% delle ragazze si è sposata prima dei 18 anni, il 78% in Ciad, il 70% in Mali e il 76% in Bangladesh. Fra i primi venti paesi di questa classifica ci sono l’India, il Nepal, il Mozambico, il Nicaragua e l’Etiopia. In alcuni stati i matrimoni avvengono anche prima dell’età puberale e la bambina viene già consegnata alla famiglia dello sposo. In India però, una ragazzina di nome Rekha sposatasi a dodici anni, non volendo lasciare la scuola e la famiglia, ha convinto i genitori ad annullare il contratto di matrimonio; così altre hanno poi seguito il suo esempio. Ancora oggi è in India che si registra il 40% dei matrimoni precoci di tutto il mondo. Una ragazzina di nome Tahani, all’età di 6 anni, è stata costretta a sposare un uomo di 28 anni in Afghanistan: “Avevo 6 anni. Cominciarono a dipingermi le mani e non sapevo perché. Dove mi portate? Stavo per sposarmi. Poi lui voleva fare sesso con me. Cercai di scappare. Dove vuoi andare? Mi diceva, prendendomi in giro. Mi mise una mano sulla bocca e mi usò”. Purtroppo tante di queste ragazzine sono poi violentate dai rispettivi mariti e sono poche coloro che riescono ad annullare il matrimonio o che raccontano a qualcuno la loro storia. I matrimoni infantili vanno oltre il paese d’appartenenza, la lingua, la religione, la casta. In India le bambine vengono promesse in genere a ragazzi di 4 o 5 anni più grandi; nello Yemen, in Afghanistan, e in
altri paesi in cui il fenomeno è diffuso, i mariti possono essere uomini giovani o vedovi di mezza età, se non addirittura rapitori che prima violentano le vittime e poi le reclamano come mogli, secondo una pratica in uso in certe regioni dell’Etiopia. Alcuni di questi matrimoni sono mere transazioni d’affari, a malapena camuffate da qualcos’altro: un debito saldato in cambio di una sposa di 8 anni; una faida familiare risolta grazie al dono di una cugina vergine di 12 anni. Quando vengono allo scoperto, queste situazioni suscitano reazioni indignate a molti chilometri di distanza. Nel 2008 il dramma di Nujood Ali, la piccola yemenita di 10 anni che si presentò da sola in un tribunale per chiedere il divorzio dall’uomo più che trentenne che il padre l’aveva costretta a sposare, occupò le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Anche Sunil, indiana di 11 anni, ha minacciato di denunciare i genitori alla polizia del Rajasthan costringendoli a cedere. Sunil che adesso ha 13 anni ha continuato ad andare a scuola. In alcune zone del mondo l’idea stessa che una giovane donna abbia il diritto di scegliere il proprio compagno - l’idea che decidere chi sposare e dove vivere siano scelte personali basate sull’amore e sulla volontà individuale – è considerata un’incauta follia. In gran parte dell’ India per esempio la maggioranza dei matrimoni
“Ancora oggi è in India che si registra il 40% dei matrimoni precoci di tutto il mondo”
viene ancora organizzata dai genitori. Un matrimonio forte è il frutto dell’unione di due famiglie, non di due persone. Il matrimonio non è l’unico motivo per cui queste ragazzine non ricevono un’istruzione; il sistema scolastico rurale, infatti, offre loro la possibilità di frequentare solo le elementari. Per continuare a studiare dovrebbero andare in città, prendendo ogni giorno autobus affollati, pieni di uomini sessualmente aggressivi. Inoltre, la scuola, potrebbe non avere bagni privati al chiuso, adatti alle esigenze femminili. Per non parlare del denaro necessario per l’istruzione, che le famiglie preferiscono risparmiare per i figli maschi, il cui valore è più facilmente misurabile. Per altro alcuni ideali di femminilità profondamente radicati nella cultura, anche occidentale, rendono molto più difficile per le donne confessare le proprie ambizioni e perseguirle senza chiedere il permesso. Per fortuna l’ONU si sta mobilitando per loro cercando di imporre alcune leggi nei paesi interessati al fenomeno, in modo che non avvengano più fatti così incivili, ma non è facile modificare queste culture che si tramandano da secoli. Nella lotta internazionale contro i matrimoni infantili, le più attive e tenaci sono le stesse bambine le cui storie ispirano altri esempi di ribellione. Nujood in un quaderno di appunti ha scritto una lettera aperta a tutti i genitori yemeniti: “Non fate sposare le vostre bambine, o impedirete loro di avere un’istruzione adeguata e rovinerete la loro infanzia”. Caterina Nale lucianonale@gmail.com
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ATTUALITÀ
Il Mancino
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STORIA
Il Mancino
E
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La storia de
bbene si, anche noi abbiamo fatto i nostri errori, abbiamo omesso alcuni particolari sulla storia di questo giornalino studentesco decidendo di riniziare la numerazione dal numero 0 di questo autunno. Non l’abbiamo fatto per non porci in continuità con la sua storia, ma proprio perché anche noi per primi ne sapevamo poco, troppo poco per poterlo raccontare. Per questo abbiamo pensato che fosse bello scoprirla e raccontarvela attreverso un’intervista a chi lo ha fondato nel lontano 2005. Gli abbiamo chiesto: (1) di presentarsi, (2) quali erano i loro sogni, (3) perché l’idea di un giornalino degli studenti, (4) perché “Il Mancino”, (5) com’era gestire un giornalino studentesco nel 2005, (6) chi era il più intraprendente, (7) come era visto dagli studenti un giornalino studentesco, (8) cos’è stato per loro “il Mancino”, (9) racconta un aneddoto e (10) un consiglio ai lettori/scrittori. (1)Zeno Toffalini, nato nel 1986 sotto il segno del Toro, laureato in Economia Internazionale, nerd professionista e impiegato bancario per passione, colore preferito (ma c’è bisogno di chiederlo?) è il rosso. (2) Il bello di essere giovani è la mancanza di esperienza: nessuna impresa sembra ancora impossibile, nessun ritmo di lavoro appare eccessivo. A diciotto anni volevo cambiare il mondo, o almeno l’Italia, ed ero così ingenuo da pensare di poterci riuscire. Venivamo da dieci anni di ideologia Berlusconiana spinta, il paese era in stagnazione, preda della corruzione, con un’evasione fiscale folle e le nuove generazioni non avevano prospettive. Meno male che #adesso la situazione è cambiata, o ci sarebbe da preoccuparsi. (3) Con Denni, Nico e altre/i compagne/i (di scuola! maledetti comunisti, manipolate sempre la realtà) avevamo gestito il mitico Q-Lex, giornalino del Liceo Fracastoro di Verona. All’epoca c’era un periodico, gestito dai neofascisti, che veniva distribuito fuori dalle scuole. Era impaginato benino e centrava l’obiettivo: lo studente medio pur di non seguire la lezione avrebbe fatto qualsiasi cosa, perfino leggere una rivista. Noi invece, di ideologia Gramsciana, volevamo che i giovani si istruissero, e l’anno successivo decidemmo di realizzare un giornalino studentesco che venisse distribuito in tutte le scuole di Verona. Doveva essere talmente brutto che, pur di non leggerlo, i ragazzi d’impulso si mettessero a studiare latino e fisica. Purtroppo l’idea invece piacque, si avvicinarono un sacco di studenti in gamba per scrivere gli articoli, e il progetto iniziale andò a rotoli. (4) Come un mancino, noi scrivevamo da sinistra. E non ci sembrava un limite ammettere di essere parziali: era di sinistra chi si opponeva alle disuguaglianze, era di sinistra chi credeva nella giustizia, era di sinistra chi si opponeva ai privilegi. Oggi forse è ancora così, ma per alcuni il privilegio da abbattere è diventato il contratto a tempo indeterminato, e conservatore è chi difende la dignità del lavoro. (5) Difficile, stupendo, estenuante, esaltante. Ma la cosa fondamentale era sentirsi parte di un gruppo, condividere con altri il sogno di un cambiamento che vivesse con le nostre parole.
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(1) Denni Tommasi. Sono uno dei tre sognatori che una notte di fine liceo si diede da fare per realizzare un’idea. Dopo quel giorno, ho studiato economia, ho girato un pò il mondo, e oggi mi ritrovo a Bruxelles a fare un dottorato, a gestire progetti di ricerca, con la voglia di restare dall’altra parte della cattedra. Colore - direi il blu. Segno - Sagittario, che secondo Jim Morrison “... is the most philosophical of all signs”. Ma lui si faceva di LSD ed è morto a 27 anni, quindi insomma non troppo credibile... (2) Tanti, contraddittori, infantili, e idealisti: laurearmi e scappare all’estero con la mia donna, assistere al risveglio collettivo dai “pifferai”, contribuire a sistemare i “problemi del mondo”, partecipare, diventare indipendente. Poche di queste cose si sono avverate, ma senza sogni non si vive, si sopravvive. (3) Immaginate di trascorrere 5 anni del liceo con Silvio e la sua corte di nani, giullari e ballerine su ogni canale TV e un’opposizione incapace e intrallazzata. Forse oggi è difficile immaginarselo, ma vi posso assicurare che le due cose messe assieme sono una miscela esplosiva per crescere una generazione d’incazzati. In più io, Zeno e Nico venivamo da una splendida esperienza di gestione del “Q-Lex”, il giornale scolastico del Fracastoro di Verona. E’ sulla base di quell’esperienza comune che si decise di fondare “il Mancino”. Nel primo articolo del primo numero concludevo scrivendo: “Nessuno di noi può permettersi di criticare la società in cui vive se non fa qualcosa per cambiarla. L’attivismo, politico o giornalistico, è un modo per vincere la cecità che ci avvolge e fare qualcosa di concreto per modificare (si spera in meglio) il mondo in cui viviamo. Willy Brandt fece scrivere sulla propria lapide: “Ho fatto il possibile”. Non pretendiamo di risolvere tutti i problemi, ma almeno di fare la nostra parte.” (4) Serviva un nome che richiamasse un’area culturale di appartenenza comune. Rispetto alle “menti” di quell’area però, eravamo un tantino più creativi. Quindi invece di dargli un nome-morto del tipo “La Rete”, “Ulivo”, “Rosa nel Pugno”, “L’Unione”, si decise un nome semplice, efficace e accattivamente. “il Mancino” è anche colui che scrive con la mano “sbagliata”. Quindi come in ogni storia mistica che si rispetti, il nome contiene pure un elemento
(1) Sono Nico Marchiori, sono nato a Verona il 4 marzo ottantasei, segno zodiacale pesci. Colore preferito, il blu nelle sue tonalità più scure. Ho studiato lettere prima a Verona e poi a Bologna; durante il periodo veronese ho lavorato presso il negozio Zara – motivo per il quale ho lasciato il Mancino prima degli altri miei compagni di avventura. Ora ho dato supplenze a novembre e dicembre come insegnante di lettere, storia e geografia in alcune scuole medie del veronese; tra poco dovrei cominciare a lavorare in un ufficio risorse umane di un’azienda del vicentino. (2) Il mio sogno è sempre stato quello di aprire un negozio di dischi; l’altro mio sogno era diventare un grande disegnatore. (3) Io, Denni e Zeno siamo usciti nel 2005 dal liceo Fracastoro; l’esperienza del Q-Lex era stata molto gratificante sia a livello sociale che individuale – diciamo che è stata una palestra per capire dove ci avrebbe portato il futuro, anche universitario. Abbiamo deciso di costruire un giornalino studentesco che andasse oltre il limite del semplice “giornale da liceo”: mettere insieme opinioni più vaste del semplice “cosa ne pensi del prof x” o “vota la più bella ragazza della scuola”, opinioni certamente espanse su larga scala, politica e culturale soprattutto. (4) Il Mancino perché volevamo dare un’impronta di sinistra al nostro giornale: l’idealismo di fine liceo allora era molto forte (sinceramente non so se lo chiamerei ancora così). (5) Io dopo alcuni numeri mi sono trovato a lasciare la redazione perché ero oberato di impegni universitari e di lavoro: la mia giornata tipo si divideva nella mattinata spesa tra i banchi della facoltà e il pomeriggio a consigliare clienti. (6) Tra i tre, Denni e Zeno erano molto intraprendenti; in redazione, a mio parere spiccavano Stefano (Luigi Alberti) e Alberto (Magnani). (7) Ho conosciuto due anni fa una ragazza che mi disse di aver utilizzato la citazione sulla copertina del primo numero (“Io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo”) come epigrafe della sua tesi triennale, e ne fui entusiasta. (8) Era una cosa “nostra”, del nucleo del liceo Nico-Zeno-Denni, e mi piaceva molto portare avanti un progetto con persone che trovavo
(6) Io sono sempre stato pigro. (7) Meglio di come pensavamo. Nei suoi due anni di attività aveva raggiunto una certa fama: negli anni persone che all’epoca non conoscevo, lontane dalla sfera politico/studentesca, mi hanno rivelato di ricordarsene con piacere. (8) Quasi un lavoro, e sicuramente una grande passione. Ma, a differenza di altri che ora sono giornalisti affermati (consentitemi di salutare Alberto Magnani), non ho mai immaginato per me un futuro nel settore. Mi piaceva di più stare in redazione, organizzare la distribuzione degli articoli, dei carichi di lavoro, delle copie stampate. E, con il nuovo numero fresco di ciclostile (o copisteria, in un secondo momento) in mano, pensare che era un po’ anche figlio mio. (9) Avevo chiesto ad un carissimo amico di accompagnarmi a distribuire il giornalino davanti alle scuole, la mattina presto. Lui mi aveva risposto ok, a patto che fosse riuscito ad alzarsi in tempo. Al momento di uscire, il suo cellulare suonava a vuoto, così tirai giù dal letto tutta la sua famiglia per svegliarlo. Ovviamente quando ci vediamo ancora me lo rinfaccia. (10) Viaggiate, imparate altre lingue e conoscete le altre culture, considerate l’Europa la vostra casa e non l’Italia. Sembra un consiglio fuori luogo oggi che si sente tanto parlare di uscita dall’Euro e referendum, ma forse è ancora più valido. Date una mano a tenere vivo il sogno di un continente unito, in pace, e prospero.
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diabolico. Questo è un avvertimento: non leg- interessanti e compensative. gete gli articoli del primo numero al contrario, (9) Posso ricordare solo le serate spese in caaltrimenti finite per recitare litanie infernali! mera mia, per tutta l’estate, a cercare un nome (5) 10 anni fa Silvio vinceva con barzellette per il giornalino e per l’associazione (Ala sinisu mignotte, Gasparri era ministro delle Co- stra). Io allora non avevo internet – i miei lo municazioni, e la sinistra sperava di riuscire avrebbero attivato solo nel primo anno di unia mettere insieme Bertinotti e Mastella, il versità, e una semplice ricerca da parte nostra tutto coordinato da Prodi. Quindi gestire un diventava molto difficile da attuare. giornale nel 2005 era facile come sparare sulla (10) Cercare di avere sempre un proprio puncroce rossa. to di vista, senza colpevolizzarsi se si omoge(6) La prima redazione era tutta formata da nea alla massa o ne è completamente estraneo. gente con le contropalle. Quindi, mi raccomando nuova redazione: dovete sgambettare! (7) Io lo distribuivo davanti al Fracastoro a Verona, e ricordo che finivo le copie in poco tempo. Ma ricordo anche una baruffa con Eco, ex-redazione del Q-Lex, quando cercai di convincerlo ad unirsi alla redazione: “Non puoi pensare di rappresentare un’area culturale e contemporaneamente voler informare il lettore di fatti. Le due cose non possono stare assieme perché un punto di vista non potrà mai essere oggettivo”. Aveva ragione, ma un cavallo pazzo così andava tenuto a tutti costi. Avrei dovuto insistere di più. (8) Il mio modo per poter dire “Ho fatto il possibile”. La qualità di un’idea è inversamente proporzionale alla facilità che si ha per esprimerla. Se questo è il metro di misura, con tutto lo sbattimento che ci siamo presi per trovare fondi, teste e cuori, “il Mancino” era un mezzo di grossissima qualità! (9) Il giornale nasce - di fatto - a casa di Nico. Ricordo noi tre, il buio, la stanzetta, una matita e gli schizzi per trovare il titolo. A pensarci ora, sembra la storia de “la notte dei tarallucci e vino rosso” quando si fece cadere il primo governo Berlusconi. In scala ovviamente molto ridotta, ma è il top per tre idealisti a diciotto anni! (10) Sul lavoro in redazione, seguite Cartesio: “Dubitate di tutto e considerate come provvisoriamente falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile”. Solo gli asini resistono di fronte all’evidenza empirica. Sulla vita dopo la redazione, guardatevi “La meglio gioventù”. Nicola, il protagonista, alla fine di un esame prima dell’estate si ferma a parlare con il suo prof, il quale dice: “Lasci l’Italia finché è in tempo. Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi, vada in America se ha la possibilità. Ma lasci questo Paese. L’Italia è un Paese da distruggere. Un posto bello e inutile, destinato a morire. Qui rimane tutto uguale, immobile, in mano ai dinosauri.” Per molti queste sono parole ancora attuali. Innamoratevi e trovate il modo di scappare. Jacopo Buffolo jacopo@buffolo.it
L’importanza della memoria
milioni di ebrei morti nei lager e negli omicidi di massa perpetrati dai tedeschi e da alleati e collaborazio-
nisti. Almeno 300.000 zingari di etnia Rom e Sinti morti nei campi di concentramento (anche se numerose altre stime riportano cifre che potrebbero raggiungere le 800.000 vittime). 300.000 esseri umani affetti da qualche tipo di disabilità mentale o fisica “eliminati” in nome dell’eugenetica e dell’”improduttività”. 100.000 oppositori politici del regime nazista uccisi (in maggioranza comunisti e liberali massoni). 25.000 omosessuali. 5.000 testimoni di Geova. Sono questi i numeri che questo 27 gen-
naio, come ogni anno dalla data della sua proclamazione nel 2005, ci portano a riflettere su uno tra i più grandi drammi del novecento. Il 27 gennaio tutto il mondo si ferma, o almeno buona parte di esso, e lo fa con un unico scopo: RICORDARE. Fin da piccoli abbiamo capito l’importanza che rivestono i ricordi della nostra vita cercando di fissare per sempre nella memoria i nostri momenti migliori. Dover ricordare qualcosa di bello, un evento che ci ha positivamente segnati non è certo difficile; è un’ altra storia invece dover far memoria. Essere obbligati a ricordare fatti ed eventi negativi del passato per una questione morale, per evitare che questi possano mai ripetersi in futuro. Ricordare eventi drammatici come ad esempio
la Shoah è sempre molto complicato in quanto ci porta a pensare a quanto possa arrivare la follia dell’ uomo, ma è proprio in situazioni come questa che la memoria e il ricordo acquista la sua vera forza. È più che necessario fermarsi e ricordare per evitare che fatti come l’ Olocausto si ripetano ancora , prima o poi, nella storia dell’uomo moderno. Dovremmo fermarci e non focalizzare solamente la nostra attenzione sul dramma dell’eccidio degli ebrei, ma pensare a tutte quelle situazioni che nel corso della storia hanno negato la libertà a molti per la paura, la follia e l’o-
dio di pochi, come ancora oggi avviene in alcune parti del mondo.
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STORIA
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SCUOLA
Il Mancino Meditiamo se gli ebrei nei lagher nazisti furono uomini, con il loro pigiama a righe, il loro numero tatuato sul braccio come ci chiedeva Primo Levi nella famosa poesia, ma meditiamo anche se furono donne o bambini le vittime della strage di Srebrenica durante la guerra in Bosnia negli anni 92-95; meditiamo, noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, se sono uomini o se sono donne i profughi palestinesi, costretti ad andarsene dalla propria casa perché vittime di bombardamenti; meditiamo se furono uomini o donne le migliaia e migliaia di armeni assassinati dall’impero ottomano nel XIX secolo, meditiamo se furono uomini, donne, anziani o bambini i profughi istriani che subirono le violenze dei partigiani titini e gli omicidi di massa nelle foibe. Anche quest’anno fermiamoci a riflettere. Ricordiamo. Ricordiamo tutti i massacri che l’ uomo ha dovuto subire nel corso della sua storia per colpa della follia di pochi. Davide Travaglini davide.travaglini.ph@gmail.com
PES
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er chi pensa che il mondo in cui viviamo non sia l’unico possibile” Malala Yousafzay, premio Nobel per la Pace, è stata quasi uccisa dai Talebani nel 2012 perché si batteva per il diritto all’istruzione nel suo Paese; lo scorso 10 novembre una scuola Nigeriana è stata oggetto di un attacco terroristico. Gli obiettivi di questi attentati non sono casuali: i potenti temono la cultura e un popolo ignorante è facile da manipolare. In Italia assistiamo a notizie confuse e superficiali di giornali e telegiornali, internet propone informazioni prive di alcun controllo, nelle scuole tematiche di attualità, cittadinanza, politica non vengono quasi mai trattate. Chi ancora crede nel diritto all’informazione ha voluto trovare una risposta che nascesse all’interno delle stesse scuole, un progetto gestito dagli studenti, per gli studenti. Nascono così i “laboratori Pes” (Parlamento Europeo Studenti), ore di dibattito, ricerca e approfondimento di tematiche scelte (quali Europa, diritti umani, problematiche sociali ecc.) in orario extrascolastico: attualmente i laboratori sono presenti in tutte le provin-
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Marzo 2015 - N.2 ce del Veneto (eccetto Rovigo), e stanno nascendo in Lombardia, Friuli e Sicilia. Il lavoro dei ragazzi, svoltosi durante l’intero corso dell’anno, verrà raccolto in un elaborato finale, che sarà presentato a tutti i partecipanti alla plenaria finale di Vicenza (di quattro giorni). Proprio a Vicenza si è appena conclusa la “Winter School” , un corso di formazione di tre giornate a cui hanno partecipato circa 50
“Per chi pensa che il mondo in cui viviamo non sia l’unico possibile”
ragazzi: sono state giornate intensissime, in cui è stato dato spazio a diverse tematiche quali i metodi di comunicazione e le corrispondenti emozioni, la crisi economica, la relazione tra potenti e cittadini e il mondo del giornalismo. Ma soprattutto in questi tre giorni ognuno ha potuto esprimere al meglio sé stesso, mettendo in gioco sé e i propri interessi, scoprire e comprendere le proprie emozioni grazie all’aiuto del timologo (la timologia affronta il problema della struttura e della funzione delle emozioni e di tutti gli altri sentimenti) Carluccio Bonesso, tutto in una magica atmosfera di amicizia e divertimento. I prossimi appuntamenti Pes in programma sono alcuni viaggi in mete d’interesse europeo: Strasburgo (febbraio e ottobre), Ginevra (aprile) e una settimana a Neumarkt, in Austria (inizio settembre). La vera bellezza del Pes sono le idee di noi ragazzi che partecipiamo, la nostra voglia di vivere al meglio la vita e il nostro futuro, la forza dentro di noi che non ci lascia arrendere alle ingiustizie del mondo, ma ci stimola a essere noi i veri protagonisti. “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo” (Gandhi). Laura Mazzocca laura.mazzocca@gmail.com
Io studio
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tudio? Studiare? Cosa significano queste parole se non una presa di coscienza del nostro esistere, delle nostre capacità e potenzialità che risiedono in noi come un patrimonio indelebile, che è in attesa di essere scoperto ed impiegato per il bene del nostro futuro. Studiare non è un’azione passiva, frutto di un obbligo, ma deve essere piacevole poiché è l’opportunità di diventare coscienti della nostra vita e di cosa possiamo fare per essa. Tutti noi giovani ambiamo alla libertà, all’ indipendenza dalla famiglia e al distacco da quelle che sono” le tradizioni e gli ideali dei vecchi” eppure quando ci presentano di fronte lo studio non lo accettiamo, lo rifiutiamo e lo viviamo come se fosse un peso gravoso, ma non è così, solo lo studio ci può dare una autonomia vera. Siamo costantemente illusi di essere autonomi e liberi perché contestiamo la famiglia, la società, il sistema…ma in realtà siamo schiavi di altre mille dimensioni di quella che è la realtà, ma di questo nostro stato non siamo coscienti a causa della nostra superbia, che ci porta a rifiutare ciò che chiede un prezzo, uno sforzo personale, che di fatto non lo è, l’impegno e il tempo che noi impieghiamo nello studio è più giusto definirlo un investimento, perché in un futuro prossimo ciò che abbiamo dato ci viene restituito sotto forma di libertà e conoscenza. La conoscenza vale più di mille oggetti preziosi, essa non degrada, non perde valore nel tempo, anzi, si autoalimenta portandoci alla riflessione che è la via del progresso personale e sociale a livello di diritti e di libertà. Alessia Bof sonalekris@teletu.it
Collettivo d’istituto #buonaxdavvero L a diffusa sfiducia nelle istituzioni pubbliche e la scarsa partecipazione alla vita politica attiva sono due questioni molto gravi che affliggono l’attuale società italiana e dal cui contrasto si potrebbe ripartire per dare una nuova linfa al nostro Paese. Purtroppo come per le cose positive anche per queste negative noi studenti, che siamo parte integrante della società, emuliamo gli adulti; pertanto pallide assemblee d’istituto e scuola vissuta in modo passivo sono sfortunatamente all’ordine del giorno in molte delle scuole secondarie in Italia. Sarebbe utile, per cercare di cambiare questa drammatica situazione, partire dal livello base della vita scolastica di noi studenti, ovvero i singoli istituti. In ogni scuola ci sono studenti propositivi che tengono alla loro comunità e siccome “ L’unione fa la forza ” la fondazione (o la partecipazione) di un collettivo d’istituto è un ottimo contributo che come singolo si può dare alla propria scuola. La possibilità di creare un collettivo interno al proprio istituto è garantita dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti della Scuola Secondaria (DPR 24 giugno 1998, n. 249); che all’articolo 2 commi 8b e 10 così sancisce: 8. La scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare: b. offerte formative aggiuntive e integrative, anche mediante il sostegno di iniziative liberamente assunte dagli studenti e dalle loro associazioni; 10. I regolamenti delle singole istituzioni garantiscono e disciplinano l’esercizio del diritto di associazione all’interno della scuola secondaria superiore, del diritto degli studenti singoli e associati a svolgere iniziative all’interno della scuola, nonché l’utilizzo di locali da parte degli studenti e delle associazioni di cui fanno parte. Come in tutti gli altri paesi civili l’Italia è amministrata tramite una democrazia rappresentativa, metodo che è stato applicato anche al mondo della scuola, con la partecipazione estesa agli studenti dal DPR 31 maggio 1974, n. 416. La preoccupante mancanza di partecipazione attiva nelle scuole sopra citata è resa palese dal comportamento degli studenti dopo le elezioni scolastiche, spesso vissute con
poca serietà ignorando che grande conquista sono state per la loro categoria. Tramite il loro voto delegano un altro studente a rappresentarli negli organi collegiali, ma non il dovere di ogni studente di contribuire a migliorare la propria scuola (DPR 24 giugno 1998, n. 249 art. 3 comma 6). È vero che quel compito spetta anche ai rappresentanti, ma non solo a loro. Malauguratamente nelle scuole italiane gli studenti che si impegnano veramente per il bene della comunità scolastica sono pochi, il che si riflette nel mondo degli adulti in cui la politica è fatta da pochi. Il collettivo è una grande opportunità, è la possibilità di associarsi, condividere le proprie idee ed ascoltare quelle degli altri. Proprio dal confronto, basato sull’ascolto ed il rispetto reciproco, fra individui diversi con idee differenti che si cresce umanamente come persone. Dalle idee condivise nascono grandi cose, proprio perché “ L’unione fa la forza ”, più individui lottano insieme per raggiungere un obiettivo comune, aiutandosi l uno con l’altro, completando l uno con i propri punti di forza le carenze dell’altro. Le iniziative che si possono realizzare sono molteplici: assemblee periodiche in cui coinvolgere gli studenti della propria scuola, assemblee pubbliche, campagne di sensibilizzazione sullo Statuto degli Studenti, scambi di opinioni tra gli Studenti delle varie classi, celebrazioni di ricorrenze storiche culturali o civili, cineforum, concerti. E anche dibattiti extra-scolastici su musica arte, temi giovanili o di attualità, attività sportive, giornalino, rappresentazioni teatrali, mostre, momenti di incontro tra differenti culture. Negli istituti superiori italiani sarebbe questa la vita consona ad un vero studente, studio e partecipazione attiva nella vita della scuola a servizio della comunità. Giacomo Capovilla jamescapoleft@gmail.com
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a Buona Scuola”, malloppo di oltre 130 pagine propinatoci dal governo Renzi come proposta per una riforma (o rivoluzione?) della scuola, essa sempre al centro degli slogan del presidente del consiglio su cui, a detta sua, vuole ricominciare a investire molto. Invitava studenti, insegnanti, personale ATA e chiunque volesse dire la propria a farlo sul portale online appositamente costruito per creare una riforma della scuola “di tutti”. Un lavoro notevole senz’altro, ma anche un lavoro superficiale e di cui, nel momento in cui scrivo, non se ne sanno i risultati. Certo è che gli studenti non si sono accontentati di dire la propria online, ma hanno preferito i metodi del confronto faccia a faccia: in tutta Italia sono state organizzate assemblee di istituto, autogestioni, occupazioni, riunioni pomeridiane e centinaia di altri momenti di discussione e confronto non solo su queste linee guida, bensì su una scuola a misura di studente, una scuola che metta al centro gli alunni che, è innegabile, la vivono più di chiunque altro. Da qui nasce #buonaxdavvero, un appello lanciato dalla Rete degli Studenti Medi e aperto alle sottoscrizioni di tutti i rappresentanti di istituto e di consulta contenente la sintesi delle discussioni che hanno colorato l’autunno studentesco da Belluno a Palermo. Nascono così 10 proposte che puntano a pensare una buona scuola, ma che sia #buonaxdavvero. Si parla di diritto allo studio che incentivi una scuola inclusiva e accessibile a tutti, di alternanza scuola-lavoro che in un mento di crisi è l’arma giusta per lanciare i giovani sul mondo del lavoro in maniera consapevole, di una riforma della valutazione che la renda utile e non atta a creare differenze, di una riforma dei cicli che garantisca il giusto orientamento allo studenti, di scuole aperte per poterle vivere fino in fondo, di una scuola pubblica laica come sancito dalla Costituzione, di integrazione, di scuola veramente pubblica, di scuola democratica e di nuovi diritti. Potrei scrivere per ore su questi temi, ma preferisco rimandarvi all’appello che trovate su www.scuolabuonaxdavvero.it. Denis Donadel denisdonadel@gmail.com
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ANTIMAFIA
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Studiare è contro la La verità illumina la mafia
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er capire come combattere la mafia è necessario conoscere che cosa sia. Probabilmente molti di voi avranno l’idea del mafioso come signore elegante, che porta occhiali scuri e parla siciliano stretto. Oggi, la mafia è molto più di lotte tra clan a colpi di pistola. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso - Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita - gestiscono traffici illeciti come quelli di droga e prostituzione, investendo poi il ricavato nelle più insospettabili attività economiche. Per questo, a livello giuridico, uno degli strumenti più efficaci per contrastare la criminalità organizzata è la confisca dei beni: appartamenti, ville, terreni edificabili o agricoli diventano proprietà dello Stato. Grazie alla legge 109/96, questi beni devono essere riutilizzati a fini sociali: spesso infatti sono assegnati ad associazioni senza scopo di lucro o a cooperative sociali. L’approvazione di questa legge, di iniziativa popolare, è stata la prima conquista di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro la mafia”, coordinamento che oggi riunisce più di 1500 associazioni, 400 scuole e numerosi singoli cittadini. Libera nasce come reazione della società civile alle stragi di Capaci e Via d’Amelio, che videro assassinati i giudici del primo grande processo istituito contro Cosa Nostra, Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo, e alla sua scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinari) e Paolo Borsellino. Nasce dall’idea di un prete cui era stata affidata come parrocchia la strada, Don Luigi Ciotti, già fondatore del Gruppo Abele, associazione che si occupa del recupero di tossicodipendenti, contesto nel quale questo prete un po’ ribelle iniziò ad interrogarsi sulle cause della tossicodipendenza, arrivando così alla mafia. Oggi i beni confiscati sono circa 12.000 e molte delle cooperative che li gestiscono aderiscono a Libera, che organizza su di essi campi di volontariato e di formazione. Personalmente, penso che l’esperienza di un campo di “E!STATELIBERI!” (così si chiama il settore di Libera che organizza i campi) sia una delle più belle e formative che io abbia mai vissuto. Vivere insieme a
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coetanei che condividono i tuoi interessi e le tue sensibilità crea legami di amicizia indimenticabili e conoscere familiari di vittime della mafia o chi è a contatto quotidianamente con questo fenomeno, fa capire pienamente l’importanza e l’urgenza di combatterlo. Per questo ciò che si impara in un campo ha un valore maggiore della sola settimana in cui si svolge. Forse, dopo aver letto queste parole, molti di voi proveranno ancora un forte senso di impotenza di fronte alla domanda “come fare a sconfiggere la mafia?”. La risposta non è difficile come sembra. Sono stati scritti fiumi d’inchiostro sulle dinamiche delle organizzazioni mafiose, ma possiamo capire tutti che ciò che le caratterizza è una mentalità fondata sulla violenza, sulla minaccia e sull’egoismo. Se dunque la mafia è un modo di pensare, le armi per combatterla sono quelle della cultura, dell’inclusione, dell’agire non per il proprio guadagno, ma per gli altri. “La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi”, scriveva Rita Atria, suicida a 19 anni perché rimasta sola nel cammino della giustizia, dopo aver scelto di denunciare le frequentazioni mafiose della sua famiglia. La consapevolezza dei nostri diritti, primi tra tutti quello al lavoro, troppo spesso di questi tempi inteso come un favore o un privilegio di pochi, può crescere e farsi sentire in noi solo attraverso la cultura: “la cultura è la sveglia delle nostre coscienze”, dice Luigi Ciotti. È per questo combattiamo la mafia ogni giorno, con il semplice atto di essere studenti consapevoli. Scrivici! Stiamo cercando giovani che vogliano partecipare, conoscere, capire e costruire insieme: stiamo cercando te. Sofia Pavanini presidio.venezia@libera.it
giustizia
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i svolgerà a Bologna il prossimo 21 marzo la ventesima edizione della “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, promossa dall’associazione Libera e Avviso Pubblico. La Giornata della Memoria e dell’Impegno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie. Oltre 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perchè, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. ‘Ma da questo terribile elenco – sottolinea Libera – mancano tantissime altre vittime, impossibili da conoscere e da contare’. Ogni anno la Rete degli Studenti Medi organizza delle corriere e uno spezzone studentesco del corteo per gridare con forza che anche noi studenti siamo stanchi di un paese in cui corruzzione e mafia sono sempre più diffuse. Scendi con gli studenti. Contattaci su Facebook (Rete degli Studenti Medi Veneto) oppure via email a retestudenti.veneto@gmail.com.
Siamo l’altra metà o siamo un’unità?
L
e due maggiori sfide del nostro tempo sono la disparità del genere e il cambiamento climatico. Esiste una stretta connessione fra la violenza contro le donne e quella contro il Pianeta; <<è ora di riconoscere che la “cultura dello stupro” delle donne e la “cultura dello stupro” del Pianeta sono la stessa cosa.>> Questa significativa frase dell’attivista indiana Vandana Shiva, ci fa riflettere su come lo sviluppo di politiche economiche violente ed ingiuste sia alla base di un aumento dei crimini contro le donne; porre fine a queste violenze significa anche superare l’economia prepotente ed oppressiva, a favore di altre pacifiche e tolleranti capaci di rispettare le donne ed il Pianeta. Nei secoli la donna è sempre stata dipendente dall’uomo e ancora oggi in civiltà come quelle del Medio ed Estremo Oriente o africane, le donne subiscono ingiurie e obblighi (portare il burka,subire mutazioni genitali e limitazioni alla propria vita) inconcepibili per una società civilizzata come quella occidentale. In Italia fino a pochi decenni fa, l’uomo che uccideva la moglie o la fidanzata “per gelosia” poteva contare su un’attenuante giuridica: il movente d’onore. La femmina era vista come una proprietà dell’uomo e come tale aveva dei doveri verso la famiglia e il marito. Nel 1999 l’ONU ha designato il 25 novembre come “Giornata Internazionale per la lotta contro la violenza sulle donne”, in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime dittatoriale della Repubblica Dominicana di quegli anni. In occasione di questa data molte sono le campagne di sensibilizzazione per questo grave problema che colpisce le donne di tutto il mondo. Tutt’oggi in una società civilizzata come quella italiana, le donne subiscono violenze e maltrattamenti; forse non abbiamo valutato a sufficienza quanto siano state dirompenti le conseguenze del nostro ingresso in una società pensata da sempre al maschile. Allora è per questo che gli uomini ci
escludono dal lavoro, ci comandano e decidono quasi sempre loro? Ci stanno “punendo” perché abbiamo osato bucare il “tetto di cristallo”, quella sottile e trasparente pellicola che divide le donne dai posti che contano? Il fattore culturale sta alla base di molte problematiche. Si stima ,ad esempio, che nella televisione italiana la componente femminile rappresenti addirittura il 60% sul totale, ma la presenza della donna è per lo più di quantità e non di qualità. Anche la politica oggi vuole la sua telegenia e il modello di donna proposto sembra adatto ad assecondare i presunti desideri maschili sotto ogni aspetto; è come se la donna facesse a gara contro il tempo, cercando di mascherare il proprio volto mediante la chirurgia plastica. Questa è una falsificazione, che lascia trasparire l’insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi con la propria faccia: la donna non riesce ad accettarsi, e cerca così di adattarsi ai canoni di bellezza, giovinezza e perfezione corporea proposti dalla televisione. Oramai l’unico segno di desiderabilità che siamo in grado di riconoscere è un’esplicita allusione sessuale, per questo abbiamo convertito tutta la nostra cultura all’estetica di uno strip club. Come dice lo scrittore Umberto Galimberti <<il lifting ,allora, non facciamolo alla nostra faccia ma alle nostre idee e scopriremo che tante idee maturate in noi, guardando la televisione, servono per nascondere a noi stessi e agli altri le qualità della nostra personalità>>. Bianca Facco faccobianca@gmail.com
Orgoglio gay
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ono orgoglioso di essere gay” così Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, ha detto apertamente ai giornalisti di Bloomberg Businessweek, facendo coming out. Molti in Apple e fuori non sapevano ma oggi per la prima volta ha deciso di dichiararlo e di rivendicarlo con fierezza, aggiungendo: “Sono orgoglioso di essere gay e con-
sidero questo uno dei più grandi regali che Dio potesse farmi” . Molto grande è stato il rifiuto da parte di Tim Cook di farsi incasellare in una categoria, quasi difesa della libertà, della complessità e della ricchezza di ogni individuo: «Sono uno zio, un ingegnere, un amante della natura, un figlio del Sud, un fissato del fitness, un fanatico dello sport». È la consapevolezza che creatività e innovazione possono sbocciare solo solo se si «abbraccia la diversità delle persone», come celebrato in uno degli ultimi spot Apple (che purtroppo in Italia possiamo solo vedere su Youtube). Il motivo che ha portato il CEO di Apple a dichiarare la sua omosessualità è far sì che il suo gesto possa essere utile anche per gli altri. Citando Martin Luther King, Tim Cook è seriamente convinto che nella vita la domanda più urgente che ci si possa fare è “Cosa sto facendo per gli altri?”; per questo ha deciso di uscire allo scoperto, mostrandosi come esempio per molte altre persone LGBT, magari troppo timorose di rivelarsi. Tim Cook poi conclude ponendo l’attenzione anche su cosa non funzioni, dicendo: “Gli Stati Uniti si sono mossi per promuovere il matrimonio tra persone dello stesso sesso e ciò aiuta a cambiare la percezione delle persone rispetto ai diritti umani. Nella maggioranza degli stati americani ci sono leggi che permettono ai datori di lavoro di licenziare i propri impiegati in base al loro orientamento sessuale”. Intanto aspettiamo con molta pazienza che in Italia il governo legalizzi i matrimoni tra persone dello stesso sesso, legge ancora mancante non tanto per una arretratezza della mentalità (nel 2014 più del 50% degli italiani era favorevole ai matrimoni omosessuali), ma piuttosto per intrecci e dettami di partito. Senza parlare dell’ultimo scontro tra comuni e ministero dell’Interno, nato dal riconoscimento di tali matrimoni contratti all’estero, che dimostra ancora una volta che non è la mentalità italiana ad essere arretrata, ma piuttosto la politica e l’apparato burocratico ad essere retrogrado. Alberto Rosada alberto.rosada@gmail.com
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DIRITTI
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POLITICA
Il Mancino
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Contestazione giovanile ieri e oggi
el corso degli anni, ed in particolare nel secolo appena concluso, vi è sempre stata una parte più o meno consistente della popolazione giovanile impegnata dal punto di vista politico-sociale, concentrata su ciò che viene definito “contestazione”. L’etimologia di questo termine è legata alla lingua latina: “contestatio” significava “affermazione basata su testimonianze e riferimenti difficili da smentire”. Tale parola non aveva solo valenza di denuncia, anzi: era considerata in positivo, era il punto di partenza per costruire qualcosa e faceva emergere con chiarezza il contesto nel quale ci si trovava. La contestazione è sempre stata alla base di tutti i progetti che le persone, in particolare i giovani, si sono poste come obiettivi da raggiungere ed oramai la storia ci offre molti esempi concreti della sua importanza. Durante il periodo nazista un gruppo di ragazzi, denominato “la Rosa Bianca”, intraprese un percorso di lotta clandestina, stampando e volantinando scritti contro la propaganda di regime. Una volta scoperti e catturati nell’Università di Monaco i membri principali furono giustiziati. Subirono la condanna a morte perché il loro dissentire era considerato pura eversione e ciò preoccupava molto le alte sfere dell’epoca. Franz Müller, l’ultimo sopravvissuto di questo eroico gruppo disse: “Istruitevi, studiate, parlate di tutti gli argomenti possibili con i vostri amici. Solo con la cultura si può uscire dalla condizione di indottrinamento e capire ciò che ci circonda.” E’ proprio grazie alla cultura, un’autentica “arma”, che nella seconda metà del ‘900 vi furono alcune delle più importanti contestazioni. Il ’68, con la presa di coscienza dei propri diritti individuali e collettivi, segnò l’avvio verso la formazione di movimenti giovanili caratterizzati da una forte energia derivante dalle idee e dalla voglia di cambiare le cose. Il filosofo Herbert Marcuse, nel suo testo “L’uomo ad una dimensione”, analizzò l’inizio di tale situazione e ne anticipò anche vari aspetti. Quello su cui lo scrittore del saggio si concentrò maggiormente fu lo studio delle motivazioni che stavano portando i giovani ad opporsi con fermezza allo status quo. A causa
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della sua distruttiva produttività, il sistema capitalistico americano aveva iniziato ormai da tempo a considerare ogni cosa, compresi gli esseri umani, come una merce di scambio e questo non poteva essere più accettato da chi rivendicava più diritti civili. Con lo scoppio della guerra in Vietnam il problema sembrò acuirsi e, soprattutto grazie al movimento hippie (che raggiunse il suo apice con il festival di Woodstock, 1969), le persone cominciarono realmente a comprendere i concetti di pace, uguaglianza, libertà e giustizia che si stavano diffondendo in quel periodo. Anche a causa di questo dissenso di massa il governo statunitense fu costretto a dichiararsi sconfitto e a porre fine ad uno dei conflitti più sanguinosi della nostra contemporaneità. Altro importante esempio, più recente, sono le rivolte della Primavera Araba, scoppiate qualche anno fa nel nord Africa , nonostante tutte le contraddizioni come i finanziamenti da parte degli Stati Uniti per spodestare “tiranni” avversi ai loro piani Gli abitanti delle zone in questione - Egitto, Libia, Tunisia, Yemen - hanno manifestato la propria avversione nei confronti delle ideologie dei regimi dittatoriali presenti nei loro Paesi e, dopo aver essersi organizzati ed aver fatto esplodere delle vere e proprie rivoluzioni - se per “rivoluzione” intendiamo un cambiamento veloce, violento e radicale dell’assetto politico-sociale - sono riusciti a liberarsi dall’oppressione, seppur temporaneamente. Di particolare importanza si sono rivelati i social network, che, utilizzati soprattutto dai giovani, hanno permesso alla popolazione di coordinarsi all’interno del neonato movimento. Tutto questo è avvenuto a poche centinaia di chilometri dall’Italia, eppure solo un numero esiguo di persone sembra ricordarsi di tali eventi. Al giorno d’oggi l’indifferen-
za, in particolare nel nostro Paese, si sta presentando come una malattia dilagante. In un momento come questo, di piena crisi economico-finanziaria, dovrebbe essere necessario fare sentire la propria voce, impegnarsi affinché qualcosa cambi, affinché le cose migliorino. Invece no, preferiamo sprecare il tempo restando in pantofole davanti alla TV, sperando che qualche politicate, attaccato alla poltrona risolva i problemi per noi. La verità è che la crisi è anche di valori. L’individualità (o l’individualismo?), il pensare sempre e solo a se stessi, il non ascoltare le opinioni degli altri, l’attaccarsi in modo morboso alle cose materiali: tutto ciò soffoca e neutralizza la scintilla che provoca la contestazione, che fa partire il desiderio di un cambiamento radicale nella società. Hanno ragione i Baustelle nella loro canzone “A vita bassa”, quando dicono che “la sconfitta è storica” e che si può solo piangerla, mentre si guardano gli altri “crescere come cresce l’edera, come cresce il rovo su pietre e macerie”. Questo riferimento mi fa pensare che non dobbiamo essere una pianta rampicante attaccata alle macerie, agli “errori” presenti e passati, bensì dobbiamo essere nuove pietre, ognuna appoggiata e sicura di poter contare sull’altra, in modo da costruire un edificio che sia robusto. Solo così, solo in questa maniera, potremo ridare vita ad una contestazione voluta e portata avanti dai giovani, che sia salda ed incentrata sulle problematiche del nostro tempo. Serena Dal Zotto dalzottoserena@yahoo.it
POLITICA
Il Mancino
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Vivere per lavorare o lavorare per vivere?
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el 1750 circa avveniva la prima rivoluzione industriale in Inghilterra, e con essa l’inizio di una sorta di “corsa all’oro” nella quale migliaia di contadini si trasferirono in città per cercare fortuna. Nacque, allora, il germe del lavoro, o meglio quello del lavoro subordinato. I ricchi divennero ancora più ricchi, mentre i poveri lottavano per riuscire ad avere uno stile di vita dignitoso. A quei tempi, la gente lavorava per vivere. I turni erano di 14 ore, uomini, donne e bambini erano costretti a lavorare in condizioni igieniche miserabili, in una condizione di totale sfruttamento. Duecento anni e diverse lotte per i diritti del lavoratore dopo, la situazione base si è capovolta: viviamo per lavorare. Siamo in un’epoca in cui finire la revisione dei conti è più importante che passare del tempo coi propri figli, o una riunione aziendale ha più valore dell’anniversario di matrimonio, e così via dicendo. La nostra società è ormai divenuta schiava del dio denaro, un dio che ha innestato in noi l’idea di non poter vivere, o anche solo sopravvivere senza soldi, lasciando in questo modo che anche i legami affettivi più stretti diventino una vile stima del guadagno della controparte. In parole povere, l’ossessione per il cosiddetto “posto fisso” e la “buona retribuzione”, ha fatto in modo che basassimo tutte le nostre scelte su questi due fattori, dalla scuola da scegliere alla relazione da intraprendere. Ma da cosa è nato tutto ciò? Secondo la definizione del dizionario, il lavoro è un vero e proprio fenomeno sociale, con i suoi rapporti economici e giuridici. Si tratta,quindi, di una parte molto importante della nostra società. Nel corso degli anni in Italia diverse istituzioni hanno cercato di creare tutele inerenti sia all’ambito lavorativo sia a quello privato e relazionale della vita della persona. In primo luogo, dopo le lotte legate al pe-
riodo rivoluzionario degli anni ’60, circa all’inizio degli anni ’70 nacque lo Statuto del Lavoratori. In questo statuto vennero introdotti il diritto alla maternità, le ferie pagate, la pensione retribuita ed altri diversi diritti a tutela del lavoratore e dell’imprenditore. Sembrava si fosse finalmente riusciti a raggiungere un equilibrio; ma com’è allora possibile la situazione odierna? Le ultime riforme sul lavoro, ovvero il “Jobs Act”, intendono posticipare e dimezzare la pensione, stravolgere l’articolo 18 e dare un forte aiuto agli imprenditori, favorendoli pienamente. In un contesto di crisi come il nostro, chi paga le conseguenze di uno stravolgimento simile del mondo del lavoro sono sicuramente i giovani, costretti ad adattarsi alla precarietà e all’incongruenza del loro percorso di studi con il loro impiego. Gagliardi nel suo articolo “Il lavoro che cambia” spiega che vengono richieste sempre più conoscenze ed abilità a questi nuovi lavoratori, viene richiesto loro, in poche parole, di essere dei factotum specializzati in ogni campo. È necessario, quindi, nel caso si sia (esempio molto frequente) baristi, sapersi destreggiare tra i problemi con la macchinetta del caffè, così come tra quelli dell’ultima fusione con un’azienda giapponese. Per le donne, invece, cos’è cambiato? A dir la verità non molto, se non che ora, certamente, le donne hanno molti più diritti rispetto a 50 anni fa. Inoltre, come dice E. Loewenthal in “Gene di donna”, non dobbiamo lavorare sulle pari opportunità , ma umanizzare il modo in cui il mondo intero lavora. Tutte queste pressioni da parte dei datori di lavoro hanno fatto in modo che la gente lo veda ora come l’unico scopo della vita. Ancora in pochi sognano la scalata
“La nostra società è ormai divenuta schiava del dio denaro”
carrierista, secondo la quale, partendo dai “bassi fondi” ci si può ritrovare sulla punta della piramide, come accade ad esempio in Germania. Oggi tutto ciò che conta è lavorare e basta, tanto è vero che le relazioni più strette si hanno non più con la famiglia, ma con i propri colleghi se non addirittura con il proprio portatile. Ci troviamo quindi in un mondo in un mondo in cui fin da piccoli ci viene insegnata l’importanza esorbitante del lavoro. Vivere per lavorare non è più inteso come il praticare un mestiere che ci appassiona, come sarebbe giusto, ma assume una sfumatura di necessità, di obbligo imprescindibile. Si annullano così i sogni, le passioni e le speranze; il lavoro dev’essere scelto a seconda del reddito e non più a seconda delle proprie preferenze. Svegliarsi presto, lavorare, mangiare, lavorare, mangiare, dormire. Questa è ormai la routine giornaliera; una routine che noi in primis abbiamo indirettamente scelto di seguire, non capendo che ci stavamo avvicinando alla nostra morte spirituale. Stiamo perdendo di vista i veri valori un po’ alla volta: amore, famiglia, rispetto… Stiamo inoltre dimenticando noi stessi, il nostro io interiore perché troppo presi dalla routine. Ci stiamo quindi piegando ad un nuovo invisibile dittatore, lasciando che continui a prendere il sopravvento. È allora giusto lasciare che accada ciò? Esiste una via d’uscita da questo fenomeno, ormai degenerato, che ci riporti a vivere come delle vere persone? Alice Morello alicemorel96@gmail.com
“Oggi tutto ciò che conta è lavorare e basta”
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FILOSOFIA
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Dio è morto, e ora?
882, a Nietzsche l’ardua rivelazione: “Dio è morto” Non si tratta di una morte fisica né si riferisce al solo cristianesimo, quanto piuttosto alla fine di tutte le credenze: religioni, ordini superiori, leggi assolute, tutta acqua passata. Sì, piano, questo secondo Nietzsche: all’epoca il poveretto è stato considerato un pazzo. Ci è voluto un po’ prima che lo riconoscessimo come una delle più grandi menti dell’umanità. E infatti il suo messaggio risuona forte e chiaro: l’uomo contemporaneo non crede più in nulla. La religione ha perso da tempo il suo ruolo predominante ed è ormai appurato che l’umanità è solo un puntino insignificante in un universo immenso e indifferente. Questo hanno sostenuto filosofi e scienziati, cambiando il mondo e portandolo nella contemporaneità: una realtà complessa e affascinante in cui la scienza avanza incontrastata e i diritti umani si diffondono a macchia d’olio in tutto il globo. Ma l’uomo comune come è uscito da queste montagne russe concettuali? Frastornato e balbettante. La società ha interiorizzato la caduta delle credenze, ma a un livello inconscio, privo di concretezza. Con il risultato che l’uomo contemporaneo ha sì allentato la presa sulle tradizioni del passato, ma senza consapevolezza e soprattutto senza aver fissato nuovi punti cardine nella sua morale e concezione del mondo. Guardandola in termini negativi, si potrebbe dire che l’occidentale medio ha assunto i difetti di entrambe le epoche. Sa sfruttare il relativismo contemporaneo quando gli conviene, affermando senza paura il suo –spesso superficiale e disinformatoparere, forte del motto “non esiste giusto e sbagliato, ognuno ha diritto di parola, la mia opinione vale quanto la tua”. Allo stesso tempo però si lascia abbindolare dalle pubblicità, dai media, dal denaro, dal mito del successo; e sebbene nel profondo del cuore non creda più in valori e religioni -spero di non risultare offensivo, esistono ancora molti credenti coerenti e convinti- si aggrappa ad esse quando gli fa comodo, per non staccarsi dagli schemi tradizionali così confortanti e sicuri. Ad esempio la scienza ha ormai dimostrato incontrovertibilmente che siamo tutti
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uguali, non esistono razze “superiori” né predestinate (predisposte sì, ma è molto diverso) a un certo tipo di lavoro o condizione. E tutti sono d’accordo quando viene loro posto in questi termini; peccato che poi le ideologie più diffuse, se così possiamo chiamarle, siano tanto razziste da far rabbrividire un contadino dell’800. Certo hanno la loro fetta di responsabilità
“non esiste più nessun essere superiore, nessuna metafisica, nessuna regola universale, nessuna legge morale oggettiva che lega tutti gli individui” le realtà economiche che in questa ignoranza ci sguazzano: se le multinazionali negli anni avessero investito in istruzione e welfare la metà di quello che hanno investito nella ricerca pubblicitaria (al momento circa 500 miliardi di dollari all’anno) ora povertà e guerre sarebbero un vago ricordo. Prima di continuare forse è meglio precisare la faccenda del “Dio è morto”: innanzitutto è una linea di pensiero come un’altra, quindi condivisibile o meno. Questa frase sta a significare che non esiste più (che non è mai esistito!) nessun essere superiore, nessuna metafisica, nessuna regola universale, nessuna legge morale oggettiva che lega tutti gli individui. Nichilismo puro; ora, senza andare a fondo nella filosofia di Nietzsche e rischiando di mettergli in bocca parole non sue, vediamo piuttosto quali sono le conseguenze che possiamo trarre da una visione così apparentemente tragica dell’esistenza umana. Non c’è più niente per cui vivere? La vita non ha senso? In linea teorica, sì. Non si tratta una prospettiva rose e fiori, ma non ci possiamo fare niente se è questa la condizione umana. E dopo esserci ripresi dal colpo ci si accorge che non è così malaccio in fondo: siamo liberi. Condizionati
dai nostri vincoli biologici e dalla società, certo, ma finalmente liberi da un accusatorio dito gigante nel cielo che ci indica cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quindi, quali dovrebbero essere i nuovi valori a cui fare riferimento? Non sarebbe fallimentare una società o una condotta che ha come fondamento… il nulla? No! Perché sostenere l’assenza di un significato oggettivamente valido nella vita permette a ognuno di seguire la strada che desidera, di diventare ciò che vuole; e non priva della loro bellezza l’arte, il lavoro, l’amore, la solidarietà tra gli uomini… Anzi. Leopardi l’aveva già detto: una volta contemplato l’arido vero della nostra condizione, cosa ci resta se non il sostenerci a vicenda e cercare di vivere il meglio possibile, senza affannarsi? Serenità e rispetto, non serve altro davvero. Rispetto, perché è facile fraintendersi: non si tratta di distruggere le chiese e fare il lavaggio del cervello a ogni credente. Ma allo stesso modo le istituzioni non possono essere influenzate da dottrine che minano la libertà individuale e il rispetto –per l’appunto- di tutti gli uomini. Ora, lungi dal dire che questa debolezza filosofica è il problema più serio e urgente dell’umanità. Ma non potrà mai esserci una vera pace finchè non avremo il coraggio di guardare in faccia la realtà umana, sbarazzandoci dei brandelli di credenze ormai ingombranti e dannose. Ciò che verrà dopo è un mistero, ma non ci può essere niente di sbagliato nel sognare una pace globale e la libertà di ogni essere umano. Dio è morto, e ora? Giulio Quarta Facebook: La Quarta Dimensione giulioquarta96@gmail.com
“È l’uomo uno sbaglio di Dio, o Dio uno sbaglio dell’uomo?” Friedrich Nietzsche
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Ayotzinapa 43
a tre mesi ormai la Escuela Normal Rural Isidro Burgos di Ayotzinapa, Messico, non vede 43 dei suoi allievi. Sono le vittime del massacro che ha avuto luogo il 26 settembre a Iguala, cittadina dello stato del Guerrero: uno dei primi per violenza in Messico. Questa città si trova nel territorio dei Guerreros Unidos, organizzazione criminale nata dopo la scomparsa del cartello Beltrán-Leyva alla quale pare appartenga María Pineda, moglie di José Luis Abarca, sindaco di Iguala. Quella sera gli allievi della normale di Ayotzinapa si erano recati ad Iguala “per botear”, ovvero per racimolare il denaro necessario per poter partecipare alla manifestazione del 2 ottobre a Città Del Messico in ricordo della strage di stato del 1968. Ma quel medesimo 26 settembre la moglie del sindaco Abarca doveva presentare la relazione dei lavori svolti come funzionaria pubblica ed, evidentemente, non desiderava essere interrotta in nessun modo. Infatti a sparare sugli studenti è stata proprio la polizia della città, raggiunta poi da un nutrito gruppo di narcotrafficanti appartenenti al cartello dei Guerreros Unidos che avrebbero aiutato le autorità a far sparire i 43 normalisti. Il 7 ottobre gli agenti delle polizie comunitarie autonome della regione, appartenenti alla UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero) iniziano le loro ricerche per trovare, vivi o morti, i desaparecidos. Vengono scoperte 6 nuove fosse comuni, ma i cadaveri che contengono pare non siano quelli dei normalisti. La risposta delle autorità è sempre la stessa: non possono essere ritrovati. Così i genitori degli studenti al grido di “vivos se
los llevaron, vivos los queremos” costringono il presidente Peña Nieto a firmare un documento in cui promette di cercare con ogni mezzo possibile i normalisti desaparecidos. Non c’è giorno in cui non ci siano cortei, iniziative culturali, presidi e proteste: il 20 ottobre genitori e compagni dei ragazzi marciano per la prima volta su Iguala portando avanti una manifestazione assolutamente pacifica. Ma, poco dopo l’uscita di scena dei manifestanti, un manipolo di uomini non identificabili prende d’assalto il municipio, sono stati probabilmente mandati dai Guerreros Unidos o da Abarca – non più rintracciabile – per screditare la manifestazione. La polizia arriva con un’ora di ritardo e non ci sono arresti. Ma perché i normalisti sono stati fatti sparire così? Vi sono varie versioni, quella del governo e del PRD, partito a cui appartengono Abarca e consorte, è nettamente diversa dalla realtà: i media hanno infatti diffuso la notizia che la normale di Ayotzinapa sia legata al sindacato CNTE, che accusano di essere finanziato dal narcotraffico e che i normalisti siano stati fatti scomparire a causa di un torto fatto ai loro presunti finanziatori. Quest’interpretazione manca chiaramente di logica e diventa ancora meno credibile quando si scopre che il CNTE è semplicemente in contrapposizione con il SNTE, sindacato che dall’elezione di Enrique Peña Nieto riceve una formidabile propaganda e non è chiaro che legame abbia con il presidente e il suo partito, il PRI. Ma questo è solo uno dei tanti tentativi di criminalizzare i movimenti di protesta nati a seguito della scomparsa dei 43 sfortunati, infatti i compagni dei desaparecidos, come i loro genitori, sono stati più volte accusati di avere rapporti con organizzazioni criminali, che, secondo i rappresentanti delle forze armate, sarebbero i centri per la tutela dei diritti umani come Tlachinollan o il Centro Miguel Agustín
Pro Juárez. Le autorità probabilmente presentano queste accuse per crearsi il perfetto pretesto perché le proteste sfocino in violenza e repressione, cosa già in parte avvenuta: sono più di 20 gli studenti arrestati, possibilmente torturati, e incarcerati nella capitale; la signora Pineda però, sebbene sia stata arrestata il 4 novembre a Città del Messico, non è ancora in carcere perché la giustizia non avrebbe ancora trovato un motivo concreto per mandarcela. In ogni caso, a seguito di tutto ciò, il governo Peña Nieto, è stato costretto ad affrontare il problema dell’insicurezza e della violenza nel paese, che aveva risolto fino ad ora sostenendo che bastasse sostituire la strategia utilizzata dal governo precedente e, visto che il numero di morti era diminuito, aveva semplicemente smesso di parlare di insicurezza, come se l’insicurezza fosse un demonio che appare solo quando si pronuncia il suo nome. Ma il governo non aveva considerato che i crimini perpetrati sono il riflesso di un problema più profondo: l’instabilità delle istituzioni, che produce corruzione e impunità. A tre mesi dalla scomparsa dei compagni di Ayotzinapa quindi la situazione non si è evoluta in modo particolare. Abbiamo tre sicari narcotrafficanti che si sono consegnati alle autorità con un’inspiegabile rapidità e un solo cadavere identificato, quello di Alexander Mora; il governatore dello stato del Guerrero in libertà dopo aver chiesto sei mesi di permesso e 42 ragazzi tuttora introvabili perché manifestavano pacificamente, l’unica certezza è che il Messico della narcoguerra arriverà presto ad una svolta, che tutto questo rischia di scoppiare in una guerra civile e che la dittatura soft perpetuata dalla connivenza tra governo e criminalità non può più essere tenuta nascosta. Per questo la Rete degli Studenti Medi di Verona si è impegnata nel diffondere questo tipo di informazione perché la situazione messicana non rimanga sconosciuta e, di conseguenza, irrisolvibile con un evento informativo tenutosi il 19 dicembre. È importante che Ayotzinapa non venga dimenticata, che i messicani, come tutti noi, prendano una posizione: per non permettere mai più una simile mattanza, per non permettere che il Messico venga completamente distrutto dalla criminalità. Ayotzinapa somos todos! Anna Luz Castiglioni annaluzz.castiglioni@gmail.com
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TERRITORI
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I trasporti nel montano bellunese
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a Rete degli Studenti Medi della provincia di Belluno sta portando avanti da più di un anno quella che possiamo definire una delle più grandi campagne sui trasporti del Veneto. Iniziata il 27 settembre 2013, data in cui sono scesi in piazza quasi milleduecento studenti da tutta la provincia, mobilitandosi per il diritto allo studio al grido di “Basta ora guidiamo noi!”. Le rivendicazioni portate in piazza dagli studenti riguardavano la disastrosa situazione del trasporto pubblico in provincia, quel miliaio abbondante di ragazzi chiedeva a gran voce il rinserimento del vecchio “unico studenti”, un abbonamento con prezzi abbordabili da tutte le famiglie, che era stata la più grande conquista delle associazioni studentesche nel territorio bellunese. Gli studenti che presero parte alla manifestazione del 27 settembre erano di tutte le estrazioni sociali, ciò dimostra come il caro trasporti sia un problema sentito da tutta la collettività studentesca, quindi anche dalla Rete che ha voluto prendersi carico di rappresentare tutti portando avanti una campagna sui trasporti pubblici. Successivamente il consorzio BIM Piave decide di sponsorizzare il trasporto urbano delle navette delle città di Belluno e Feltre, un servizio indispensabile per gli studenti che devono raggiungere il loro polo scolastico nella periferia cittadina. La somma che per l’anno 2015/2016 dovrebbe essere stanziata equivale a 130mila euro, non male direi, anche se all’approvazione del bilancio previsionale 2015, a cui la Rete di Belluno a presenziato alla fine di ottobre 2014, sembrava che il consorzio fosse deciso a continuare per la vecchia ed inutile strada, che prevede di assegnare in fondi dividendoli tra i vari comuni dando l’autonomia di redistribuirli con criteri personalizzati, cosa che a noi non sembra democratica visto che andrebbe a creare disparita e viste anche le ridicole
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somme esargite alle famiglie che possono sfiorare a volte i sei euro. Ma mentre il consorzio BIM Piave si accorda sulle divisioni dei fondi un’altro soggetto politico si affaccia alla nostra associazione: la provincia. Si lo so che siete esterrefatti, si propio lei, quella provincia che fino al novembre 2014 era rimasta comissariata, ma che ora ha un vero presidente ed un vice predidente con tanto di delega ai trasporti, che dopo il sit-in del 16 novembre ed un incontro preventivo con il delgato all’edilizia ha voluto incontrarci in data 23 dicembre 2014, non nascondo l’emozione che abbiamo provato io, Serena e Nicholas nell’addentrarci nel palazzo in piazza duomo della provincia. Dall’incontro siamo usciti con ottimi risultati e con un ‘’ci rivediamo presto’’ del vice-presidente Roberto Padrin, che in sostanza ha espresso la sua piena volontà nel finiziare delle agevolazioni ai trasporti a livello provinciale, alla creazione di un tavolo di confronto continuo tra Rete degli Studenti Medi, DolomitiBus, provincia e il Consorzio BIM Piave, tutte e due nostre grandi rivendicazioni. Ma tutto è rimandato a febbraio 2015, prima bisogna attendere l’insediamento del nuovo CDA e la carica del nuovo AD, e la stabilizzazione della provincia dopo l’approvazione definitiva della legge di stabilità. Quindi ora per la Rete di Belluno è arrivato il momento di spingere e di stringere i denti, siamo quasi all’arrivo non manca molto, basta crederci come abbiamo sempre fatto e come continueremo a fare. Salsa Filippo salsafilippo@gmail.com
> > > F E LT R E
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Grazie AIL
n questo periodo, l’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie) aiutata da Mano Amica (associazione che persegue il fine della solidarietà civile, culturale e sociale) e supportata dall’associazione teatrale ARRT di Trento, si sta impegnando a fare il giro del nostro territorio, con lo scopo di sensibilizzare le persone riguardo al problema delle malattie tra i giovani, entrando finalmente anche nelle scuole. Grazie ad una rappresentazione teatrale, tratta dal romanzo breve scritto da Éric-Emmanuel Schmitt, “Oscar e la dama in rosa” ci è stato possibile affrontare il problema con un approccio sicuramente meno invasivo e crudo rispetto a come viene spesso presentato l’argomento. Il racconto vede come protagonista un bambino di dieci anni di nome Oscar, malato a causa di una leucemia in fase terminale, che cerca risposte, ma nessuno sembra volergliele dare. Infatti, tutti gli adulti presenti in ospedale, dai medici, alle donne delle pulizie, alle infermiere, cercano di allontanarlo ed evitarlo il più possibile, o quantomeno di evitare di parlare della sua malattia. Soltanto una persona sembra comportarsi normalmente con Oscar e volerlo aiutare, questa è un’infermiera dell’ospedale chiamata teneramente dal bimbo Nonna Rosa. L’aspetto che più mi ha colpito è stato proprio questo: vedere come le persone, nel momento in cui hai più bisogno di avere qualcuno accanto, si chiudano in se stesse per paura, disagio, per la poca forza d’animo, come scappino impaurite dalla situazione quando basterebbe un piccolissimo aiuto, un abbraccio, una parola, un sorriso, per rendere le cose un po’ più facili. Nonna Rosa se ne rende conto e decide così di ‘”giocare a vivere” con Oscar. Gli propone infatti di vivere dieci anni al giorno, per dodici giorni, così da arrivare ad aver vissuto una lunga vita di
centovent’anni, inoltre gli suggerisce anche di scrivere ogni giorno una lettera a Dio. Oscar accetta, e qui entra in gioco un altro aspetto che mi ha colpita molto: l’inimmaginabile forza che può avere un bambino e la semplicità con la quale questo affronta le cose. Oscar sa la verità, è consapevole che deve morire, eppure la situazione, per quanto tragica, non gli permette di arrendersi, lui combatte. Pian piano inizia così a scoprire un aspetto che spesso dona forza, un appiglio -se così possiamo chiamarlo- al quale le persone si aggrappano quando stanno per cadere: la fede. Oscar infatti, inizialmente fatica a credere nell’esistenza di Dio, ma passo dopo passo, con l’aiuto di Nonna Rosa, inizia a crederci sempre di più, fino a ritenerlo quasi un compagno, un amico. Così facendo arriva addirittura quasi a dimenticarsi di essere un malato, di essere ‘diverso’. Questa malattia pediatrica è considerata da 1 a 15 anni ed ogni anno aumenta di 140 nuovi casi. Negli anni sessanta le aspettative di g u ar i g i on e erano quasi nulle, per poi aumentare con il passare del tempo: Anni settanta, 28% Anni novanta, 75% Ora, 82% Sono stati fatti dei veri e propri ‘passi da giganti’, soprattutto con la svolta del 1983, anno nel quale è stato eseguito, a Padova, il primo trapianto di midollo osseo, dal professor Paolo Coleselli. Ancora oggi la ricerca è in continuo sviluppo, in tutta Italia sono presenti 54 centri di specializzazione e si tenta in ogni modo di comprendere le cause e la fonte della malattia, la quale non presenta segni o indizi che ci possono allarmare ma arriva inesorabile, per adulti e bambini, mettendo in ginocchio intere famiglie, sia moralmente che finanziariamente. Non dimentichiamo dunque di ringraziare le associazioni di aiuto che nel nostro territorio sono veramente tante e lavorano in più settori, un ringraziamento speciale inoltre va a Carmen Mione, responsabile provinciale ‘AIL’ Elena Turrin gigio.e@hotmail.it
> > > V E N E Z IA
Grandi navi e grandi preoccupazioni
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l 23 dicembre è arrivato l’annuncio dell’avvio dell’inchiesta pubblica riguardo al progetto che prevede lo scavo dello storico canale Contorta a Venezia. Per le associazioni attive per la salvaguardia del patrimonio lagunare è una grande conquista: determinerà infatti la pubblicità del processo decisionale riguardo alla proposta. Contestato dalle associazioni territoriali, tra le quali spicca il Comitato No Grandi Navi, il progetto è stato presentato pubblicamente lo scorso settembre dall’Autorità Portuale; la finalità dovrebbe essere quella di evitare il passaggio delle grandi navi davanti all’area marciana, secondo quanto stabilito dal decreto Clini-Passera del 2012 che si opponeva al passaggio di navi superiori alle 40000 tonnellate attraverso il bacino di San Marco. Tra i numerosi progetti che offrono un’alternativa - se ne contano almeno 7- al passaggio attraverso la bocca di porto del Lido delle navi, che poi transitano nel canale della Giudecca fino alla Stazione Marittima, causando con il proprio passaggio un’innalzamento considerevole del moto ondoso, il Comitatone - l’organo che coordina gli interventi per la salvaguardia di Venezia- garantisce il proprio appoggio proprio a quello che prevede l’ ampliamento del canale Contorta Sant’Angelo. Il transito delle navi avverrebbe, secondo quanto previsto, tramite la bocca di porto di Malamocco, costeggiando poi Porto Marghera fino a raggiungere la Marittima. Per una simile operazione sarebbe perciò necessario
l’ampliamento dello storico canale Contorta, di una profondità di circa 2 metri, ad almeno 10; inoltre dovrebbe esserne ampliata la larghezza a 100 - 120 metri.. Proprio la necessità di alterare la condizione esistente del canale ha scatenato le proteste degli ambientalisti: per Italia Nostra si tratterebbe di un vero e proprio «crimine contro la città». C’è infatti la concreta possibilità che lo scavo del canale ripeta il disastro causato dal canale dei Petroli, realizzato nel 1966, che ha determinato una profonda alterazione dell’assetto idraulico a causa dell’eccessiva profondità e dell’andamento rigorosamente rettilineo. I pareri contrari alla messa in atto del piano di scavo del canale giungono anche da personalità autorevoli, come il prof. D’Alpaos, docente di Idraulica all’Università di Paova, e dallo stesso Comune di Venezia, che ha formulato lo scorso ottobre un parere negativo al progetto dell’Autorità portuale. La questione è ancora aperta, ma il metodo dell’inchiesta pubblica potrebbe costituire l’occasione per i cittadini di esprimere una chiara e decisa presa di posizione contro il lento stillicidio dell’ecosistema lagunare. E di ricordare le parole della Legge Speciale per Venezia (1973): la salvaguardia della città e della sua laguna è «problema di preminente interesse nazionale». Francesca Ballin francesca.ballin@libero.it
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TERRITORI
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>>> TREVISO
Clonismo
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a qualche anno a questa parte, a Treviso centro e dintorni, vi é in diffusione una gravissima patologia che colpisce 9 idioti su 10, detta “Clonismo”. Il Clonismo é nientemano che un malattia autoimmune che colpisce il sistema nervoso, portando il soggetto affetto a comportarsi come una marionetta governata dal trend e dalle mode inconsciamente impartitegli da una società in cui l’importante é l’apparire. Uno dei primi allarmanti sintomi di questa malattia è l’irrefrenabile impulso di tosarsi l’osso occipitale e le tempie, così da ottenere come risultato, le sembianze di un cretino che ha avuto discussioni con il barbiere. Successivamente, il soggetto comincerá a sviluppare un disturbo ossessivo compulsivo che lo porterà a spendere tre quarti dello stipendio di papá in enormi t-shirt e cappellini stile rapper americano anni ‘90 marchiate New York Yankees (diffidate dalle imitazioni) nonostante la sua cultura musicale nell’ambito si limiti ad Emis Killa e la sua conoscenza del baseball sia pressoché inesistente. Inoltre, il malato deciderá di acquistare delle orrende scarpe ‘antinfortunistica’ rigorosamente di colore bianco che gli renderanno la camminata goffamente simile a quella di un bradipo risvegliato durante il periodo letargico. Dopo aver riempito l’armadio di offese al termine ‘capo d’abbigliamento’, aver ucciso il proprio barbiere, aver distrutto la sua personalità, il soggetto affetto da clonismo comincerà a sfoggiare il suo outfit di merda nei pressi della stazione delle corriere di Treviso Centro, camminando con fare sprezzante e lisciandosi il ciuffo laccato. Gli ultimi stadi della malattia sono caratterizzati dall’anarchia smisurata che comincia a crescere all’interno dell’animo di questi poveri dannati, che cominceranno ad utilizzare espressioni come “Fuck the System” e “ACAB”. Inoltre, sfideranno la sorte quotidianamente picchiando loro simili per dimostrare la loro virilitá, e per motivazioni banali come “guardi la mia tipa”. Questa patologia purtroppo é terminale solo per coloro che NON NE SONO AFFETTI, poiché costretti a sopportare tutto ciò. L’unico modo per scampare da questo tragico malessere é lavorare all’attivazione continua della materia cerebrale, unico vero sistema di prevenzione al contagio. Sofia Lo Verso sofialoverso@outlook.com
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Binario 1
reviso è una città in cui si è sentita sempre più forte in questi anni la mancanza di veri spazi di aggregazione e di condivisione, di cultura e di collaborazione tra più soggetti, associazioni e generazioni. Mancavano luoghi che rappresentassero per i giovani, e per tutti i trevigiani, un’alternativa al solito spritz nel solito bar. Non mancano invece i cosiddetti buchi neri, luoghi in disuso, sia pubblici che privati, abbandonati da decenni, testimoni di forte degrado. Per queste ragioni l’amministrazione comunale ha cominciato dall’anno scorso un percorso di rivalutazione di quegli spazi abbandonati sui quali ha competenza, permettendone l’utilizzo per scopi sociali da parte di diverse associazioni tramite bando. E così l’ex-ACTT, uno spazio di 300m2, vicino alla stazione dei treni, è diventata ora Binario 1, dopo la vittoria del bando che era stato indetto su quello stabile e la firma del contratto da parte della Rete degli Studenti Medi di Treviso, che aveva guidato nella stesura del progetto una cordata di associazioni tra cui Unione degli Universitari, A.N.P.I., Libera, Cittadinanza Attiva e AUSER.Lo spazio si affaccia appunto sul binario 1 della stazione, e la scelta del nome vuole indicare la volontà di cominciare un percorso, che sia di partecipazione e condivisione, che lo renda un luogo aperto e in continua evoluzione. Una delle parole d’ordine del progetto è riqualificazione: l’obiettivo non è quello di riqualificare solo lo stabile di per sè, in cui sono da poco cominciati i lavori di pulizia e riordino, ma l’intera zona in cui è situato. Non è raro
trovare davanti a Binario 1 rifiuti, bottiglie abbandonate, perfino siringhe, e all’interno dello stabile, nei suoi anni di abbandono, è evidente che vi abbiano vissuto alcuni senzatetto. La speranza di riuscire davvero in questo ambizioso obiettivo di riqualificazione ci è stata data da Antonio, un 50enne senzatetto che fino a pochi mesi fa viveva all’interno di Binario 1 e che se n’era andato dopo aver saputo che quel luogo, con la vittoria del bando, non sarebbe più potuto essere la sua casa. Antonio passava di lì per caso mentre ripulivamo il luogo, e ha deciso subito di fermarsi a lavorare e darci una mano, raccontandoci poi la sua storia e dicendoci che viveva in quello spazio fino a poco prima, e che era felice di stare lì ad aiutarci a renderlo ora una casa per tutti. Ora a Binario 1 comincia il nostro lungo percorso, che trasformerà un luogo di degrado ed abbandono in luogo di condivisione, aggregazione e cultura, attraverso le numerose iniziative che le associazioni attueranno al suo interno, insieme ai percorsi di sostegno, alla creazione di aule studio e sistemi di booksharing, alle frequenti proiezioni, alle iniziative volte a tutta la cittadinanza, ai corsi di fotografia, piuttosto che giocoleria e ancora molto altro. Binario 1 è un luogo vivo, in continuo miglioramento, e pensato per essere veramente inclusivo e aperto a quante più possibilità di utilizzo ci vengano proposte. Uno spazio di tutti, per tutti. Rachele Scarpa Facebook: Binario 1 binario1.tv@gmail.com Progetto e attività: http://goo.gl/cOH2oH
>>>VICENZA
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Le assemblee di istituto
e assemblee d’istituto rappresentano un’importantissima occasione per ogni studente per esprimere la loro opinione sull’andamento generale del proprio istituto, o per introdurre modifiche e\o idee per possibili attività che possano coinvolgere gli studenti all’interno della propria scuola. Nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 1974, sta scritto “gli studenti della scuola secondaria superiore e gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado hanno diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola”. Le assemblee sono “occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti”. Sfortunatamente gli studenti spesso non hanno coscienza dell’importanza che questi eventi hanno e la causa va ricercata su due piani: da un lato sono gli studenti stessi che non vogliono partecipare alla vita politica della scuola, ritenendola una cosa noiosa, che causa perdite di tempo e sacrifici inutili, e comunque in pochi considerano l’aspetto dei crediti, che dal terzo anno vengono dati agli studenti che hanno in qualche modo partecipato attivamente alla vita politica della scuola. Dall’altro lato ci sono i rappresentanti d’istituto già in carica, che non incentivano il dibattito tra studenti, riducendo le assemblee d’istituto a semplici eventi ricreativi. La soluzione è piuttosto semplice, dal punto di vista teorico: bisognerebbe incentivare lo spirito critico degli studenti e aumentare le occasioni di dibattito nelle assemblee, facendo sì che lo studente non si senta obbligato a partecipare alla vita politica della prorpia scuola, ma nel contempo, far sì che esso si senta parte fondante del sistema scolastico, e che perciò si senta tenuto ad esprimere la propria opinione riguardo agli argomenti di dibattito. Dal punto di vista pratico la cosa si rivela più difficile da attuarsi. Molte scuole purtroppo presentano una situazione disastrata sotto questo punto di vista: le così elogiate assemblee d’istituto assomigliano più a delle sagre paesane in miniatura che a eventi di formazione po-
litica personale. In riferimento alla mia esperienza personale di questi tre anni di ITIS A.Rossi, posso dire di aver visto di tutto durante le “assemblee”, meno che momenti di discussione: parlo di grigliate, di lotterie, di proiezioni di film per niente inerenti con i valori etico-morali che la scuola dovrebbe insegnare e di tornei di ogni genere. Palesemente lo studente di prima rimane stupefatto da cotanta eterodossia e arriva a pensare che sia questo, ciò che si dovrebbe fare all’interno di una scuola durante le assemblee: un cazzo, sostanzialmente. Il compito in cui dovrebbero cimentarsi i rappresentanti d’istituto, vista l’attuale situazione, dovrebbe essere quello di sradicare questa convinzione dalla testa di un migliaio di studenti a cui questa cosa garba parecchio: un compito non proprio facile, del quale gli attuali rappresntanti non si stanno minimamente interessando mantenendo un modello di “assemblea” simile a quello dei precedenti anni. Anzi, peggiorandolo, dato che almeno un’ora era dedicata al dibattito nelle precedenti edizioni di questa scellerata sagra. Fenomeno ancor più triste che mi ha davvero colpito è stata la totale assenza di opposizione all’ascesa di quelli che ora sono i rappresentanti d’istituto. E’ stata infatti presentata un’ unica lista quest’anno, eletta quindi senza una vera e propria votazione. Fenomeno questo che ha sottolineato la totale assenza di interesse per la politica scolastica da parte degli studenti. Per questo sottolineo l’importanza di far capire agli studenti la loro rilevanza dal punto di vista politico, all’interno della propria scuola. E’ davvero questo ciò che vogliamo dalle “assemblee di istituto” future? Vogliamo davvero farci rappresentare da persone relativamente incapaci di porre sulle proprie spalle il peso della responsabilità di far crescere i propri compagni nell’ambito politico-sociale? IO NON CREDO. UN ABBRACCIO, ADAM. Giovanni Rossi jaxgesha@yahoo.it
>>>ROVIGO
Si Multiculturalismo
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SìMulticulturalismo è un evento organizzato da Rete degli Studenti Medi di Rovigo che si è svolto sabato 21 febbraio in Pescheria Nuova, in centro storico a Rovigo. Hanno preso parte le associazioni GMI (Giovani Musulmani d’Italia), YOUnited, CGIL SPI e Libera, che hanno aderito allo Speed Date Multiculturale a cui sono seguiti canti tipici, tatuaggi con l’henné e un buffet con dolci tipici nordafricani. Lo speed date è una formula nata negli Stati Uniti con lo scopo di far conoscere tra di loro più single alla ricerca di un partner. Ci si siede ad un tavolo, di fronte a qualcuno e si hanno a disposizione pochi minuti per parlare di sé. Successivamente, si cambia tavolo e si conosce un’altra persona. L’idea è stata riadattata per creare un momento d’incontro tra culture diverse. Infatti hanno partecipato allo speed date persone di diverse età, diversa provenienza, diverso credo e diversa cultura, tutti uniti dalla volontà di conoscersi e superare la paura verso ciò che non si conosce. Per offrire spunti di conversazione, sono stati proposti svariati temi, che venivano annunciati tra un turno e l’altro. Tra questi ve n’erano alcuni classici, come l’integrazione, la visione della donna nella propria cultura ma anche riflessioni meno scontate, quali la differenza fra straniero e straniero o i giochi tipici con cui si è cresciuti. Una grandissima adesione, dopo l’iniziale timidezza. Il confronto è stato non sono fra culture diverse ma anche fra generazioni apparentemente distanti ma che hanno imparato le une dalle altre, tanto che talvolta veniva chiesto un attimo in più per poter terminare il discorso. Un incontro sereno e costruttivo che si contrappone agli stereotipi imposti e alle strumentalizzazioni di chi si lascia impietrire dalla paura per quello che non conosce. Un’iniziativa che ha unito persone e che ha fatto sognare una vera società multiculturale e pacifica, dove l’altro non è una minaccia ma una vera e propria crescita per ogni individuo. Chiara Bordon chiara1.bordon@gmail.com
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TERRITORI
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OROSCOPO
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L’oroscopo dello studente Ariete 21/03 - 20/04 Siete un po’ sulle nuvole. Se studiare è pesante, cambiate un po’! Proponete qualche discussione d’attualità in classe, o lanciatevi in qualche bella attività extra-scolastica del vostro istituto. Se mancano anche queste tanto vale crearne di nuove no? Le idee sono molte, magari anche i vostri amici di altre scuole possono darvi qualche spunto.
Leone 23/07 - 22/08 Marte vi metterà i bastoni fra le ruote questo mese. Avrete qualche piccola insoddisfazione, ma abbiate pazienza, e sfidate la sorte lanciandovi in qualcosa di diverso dal solito. Perché non avviare a scuola un cineforum, un laboratorio di fotografia o di teatro?
Sagittario 22/11 - 21/12 La vostra scuola è sempre più un mortorio ma in questo mese vi verrà in mente come ravvivarla e come portare qualcosa di nuovo tra gli studenti. Assemblee e autogestioni saranno la vostra forza, anche se non ne avete mai fatte questa sarà un’ottima occasione per cominciare!
Toro 21/04 - 20/05 Saturno vi sosterrà in questo mese, ritroverete stabilità. Se ricoprite incarichi di rappresentanza sarà il momento migliore per farvi valere, in ogni caso sarete dei pionieri della difesa dei vostri diritti aiutando tutti a vivere meglio la scuola. (si consiglia lettura dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse).
Vergine 23/08 - 22/09 Siete proprio determinati e procedete spediti, forse troppo. State attenti però a non sottovalutare i consigli e le idee degli altri, e soprattutto se siete rappresentanti sappiate capire quali sono le esigenze di tutti gli studenti della vostra scuola.
Capricorno 22/12 - 20/01 Riuscirete ad avere un po’ più la testa sulle spalle. Ritrovate finalmente le energie per studiare e affrontare di petto verifiche ed interrogazioni, anche se la noia delle lezioni continua a pesarvi. Provate a proporre ai vostri insegnanti di andare oltre alla solita lezione frontale.
Gemelli 21/05 - 21/06 Sarete agitati, forse un po’ sopra le righe. Da metà mese però saprete mettere la testa a posto e schiarirvi le idee. Se dovete prendere delle scelte sul vostro percorso universitario questo sarà un buon momento, non fatevi sfuggire iniziative di orientamento!
Bilancia 23/09 - 23/10 Partirete un po’ stanchi, ma poi riguadagnerete idee e voglia di fare. Forse sarà per voi la giusta occasione per prodigarvi nell’aiutare gli altri, magari con dei gruppi di studio, con metodi di peer education o con ripetizioni a vostri amici e studenti più piccoli, potrebbe essere molto soddisfacente!
Acquario 21/01 - 19/02 Dopo un mese un po’ pesante arriverà una svolta e vedrete le cose in maniera diversa. L’ambiente della vostra scuola ha qualcosa che non vi convince, e forse ora riuscite a vederne davvero i difetti. (si consiglia la lettura dell’Articolo 2.8 dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse).
Cancro 22/06 - 22/07 Questo mese farete fuoco e fiamme! Forse quando sarete in classe un po’ troppo, quindi occhio alla condotta, e attenti a qualche professore che magari se la prende un po’ troppo. (si consiglia lettura dell’Articolo 4 dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse).
Scorpione 24/10 - 21/11 Tutti i pianeti sono dalla vostra, date il massimo di voi stessi! E troverete le energie anche per affrontare lo stage che vi attende imminente. Ricordatevi però che lavorare non significa essere sfruttati, ricavate il meglio da questa esperienza e fate valere i vostri diritti!
Pesci 20/02 - 20/03 Siete già stufi della scuola, avrete voglia di lanciarvi in sport, cinema, musica, teatro… Ma allora, invece che lasciare la vostra scuola vuota e muta, perché non provate a portare queste attività lì dentro durante i pomeriggi?
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TEMPO LIBERO
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Sudoku
La compagnia del libro
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na recente ricerca dimostra quanto il popolo Italiano sia disaffezionato alla lettura. Reputiamo grave questa mancanza e vorremo provare a rimediare, non solo distribuendo un giornalino studentesco, ma anche consigliando delle letture utili a tutti. Questi non sono compiti per casa, o noiose faccende che DOVETE fare, quanto più dei consigli per andare a scoprire nuovi tipi di letture. Non vogliamo farvi recensioni o dirvi cosa c’è di positivo nei libri, vogliamo solo far girare alcuni titoli che non sempre trovano spazio nei programmi di letteratura e che magari possono interessarvi. Noi siamo la compagnia del libro: leggiamo, leggiamo di tutto, senza paura contaminiamo le nostre idee con la cultura, non diamo giudizi, non censuriamo, diffondiamo e difendiamo il potere dei libri e del sapere. Aiutateci, ne abbiamo bisogno. Se volete recensire questi o altri libri, saremo felice di pubblicare le vostre recensioni nei prossimi numeri de “Il Mancino”, basta mandarli alla mail: redazione. mancino@gmail.com
“L’economia spiegata a un figlio” di Fabrizio Galimberti “Maus” di Art Spiegelman “Negri, froci, giudei & co.. L’eterna guerra contro l’altro” di Gian Antonio Stella “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento” di Massimo Recalcati “Sulla strada” di Jack Kerouac
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ANCHE IO LEGGO
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Il Mancino - Marzo 2014 - Numero Due - giornalino studentesco Veneto a distribuzione gratuita - tiratura: 5000 copie Denis Donadel - denisdonadel@gmail.com - 3408204707 Jacopo Buffolo - jacopo@buffolo.it - 3466314395 Stampate presso Centro Stampa Delle Venezie - Via Austria, 19/b â&#x20AC;&#x201C; Z.I. Sud 35127 Padova (Italy) Edito da: Rete degli Studenti Medi Veneto - c/o Reset - Via Loredan 26, Padova (Italy) redazione.mancino@gmail.com