Dicembre 2016 - N.8
Perchè ho detto NO
Quante volte, nella vostra vita, vi hanno fatto credere che non ci fosse alternativa, che la posizione da loro sostenuta era quella che creava il “male minore”, grazie alla quale avrebbero salvato una situazione non altrimenti risolvibile? Probabilmente innumerevoli, ed è la stessa strategia che per mesi confusi e turbolenti ha messo in atto il nostro governo.
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Sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte” Francesco Guccini
Mi chiamo Kobe
...a pagina 12
Questa è la storia di Kobe, ragazzo gambiano perseguitato nel suo paese perché omosessuale ...a pagina 8
La musica indie italiana
Da qualche anno a questa parte si sente sempre di più parlare all’interno dell’industria discografica di musica indie, ma cos’è la musica indie? ...a pagina 16
Brexit: intervista
IL 23 giugno scorso si è tenuto il referendum consultivo riguardante l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che, con il 52% dei voti, ha visto la vittoria. Come appare la situazione politica,sociale e economica a un giovane italiano residente in UK in questo momento? ...a pagina 6
Esperienze di alternanza..a pagina 15 L’oroscopo dello studente ..a pagina 22
Tempi non interessanti Dice un antico proverbio cinese: “Ti auguro di vivere tempi interessanti”. ...a pagina 3
ATTUALITÀ
Il Mancino
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NUMERO OTTO
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el riflettere sul nostro paese, sui nostri concittadini e sull’Italia in sé, è difficile non trovarsi a fare confronti alla ricerca di analogie e differenze con gli altri paesi, soprattutto europei. E allora ci si chiede: perché in Francia una proposta di Legge del Lavoro è stata contestata così fortemente dal popolo, bloccando l’intero paese per settimane, mentre la protesta contro il Jobs Act italiano è stata difficile e, anche se condivisa, partecipata molto scarsamente? Gli italiani sono davvero un popolo “pasta-pizza-bella vita”? L’Italia è stata patria di grandi mobilitazioni e rivoluzioni, dall’aver avuto il più grande partito comunista occidentale al movimento pacifista noglobal di Genova, passando attraverso degli scoppianti anni settanta. E allora dove è finita questa voglia di cambiamento sociale, questo credere in un mondo migliore? Perché la Francia riesce ancora a riempire le piazze, mentre l’Italia sembra andare verso un futuro di disinteresse sociale? La risposta non la abbiamo, ma bisogna tener presente che obiettivo dei governi che si sono succeduti negli scorsi decenni è stato quello di declassare i corpi intermedi, e di conseguenza la possibilità per le persone di partecipare attivamente alla vita politica. A lungo andare l’Italia si è vista portare via la possibilità di comprendere la politica, e quindi di affezionarcisi; siamo diventati sempre meno coinvolti e appassionati, e questa potrebbe essere la chiave di tutte le domande. Bisogna riprendere in mano la vita del nostro paese, tornare ad essere attivi ed emozionati quando si parla di Italia, perché, infondo, si parla di noi. La Redazione redazione.mancino@gmail.com
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U
Vento di civiltà
n sindaco può rifiutarsi di celebrare un’unione civile No. Un sindaco può decidere di farla celebrare solo in alcuni giorni (mercoledì mattina alla padovana), o in una sala diversa da quella dei matrimoni? No. Varie volte, in Commissione Giustizia della Camera, i deputati hanno ascoltato le testimonianze di “Famiglia Arcobaleno” e “Pro Vita Onlus”. Quest’ultima è l’associazione che si è maggiormente opposta alla possibilità per gli ufficiali di stato civile e i sindaci di appellarsi all’obiezione di coscienza per non celebrare le unioni civili. In base all’Art. 138 sono previste sanzioni nei confronti dei sindaci e degli ufficiali che si oppongono alla celebrazione di un’unione civile. La domanda che tutti ci poniamo è questa: “chi celebra le unioni civili può appellarsi all’Obiezione di Coscienza?” “Cos’è l’Obiezione di Coscienza?” La locuzione “obiezione di coscienza” rappresenta la possibilità di rifiutare di obbedire a un dovere imposto dalla legge da parte di chi, per convinzioni religiose, etiche o morali, si ritiene ad esso contrario. In Italia le uniche due possibilità nelle quali è possibile invocare l’obiezione di conoscenza sono l’interruzione di gravidanza e la sospensione dalla leva obbligatoria. Dunque, se i sindaci o gli ufficiali statali si rifiutassero di celebrare l’unione o registrare il relativo atto giuridico, potrebbero essere accusati di omissione e rifiuto di atti d’ufficio (Art. 328).
I sindaci potrebbero non celebrare comunque l’unione civile, per motivi politici o ideologici. Di conseguenza, potrebbe essere sporta denuncia penale, in base all’Art. 328 del Codice Penale. Mettendo da parte la legge, prendiamo in considerazione il buon senso. Qualcuno può davvero avere la possibilità di decidere il destino dell’unione in amore di due individui? Finalmente dopo anni, grazie alla Senatrice Cirinnà, anche l’Italia ha fatto il grande passo, mirato a portare sullo stesso piano sociale e legale i matrimoni eterosessuali e i matrimoni omosessuali. Ostacoli ne abbiamo avuti e sempre ne avremo, la finta obiezione di coscienza dei sindaci è uno di questi. Ma noi non abbiamo mollato e non lo faremo; ci siamo fatti sentire a gran voce in tutta Italia con lo slogan “Non potete fermare il vento gli fate solo perdere tempo” della campagna #ventodiciviltà, e la battaglia non finisce qui.
Clarissa Maddalon clarissa.maddalon@gmail.com
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Tempi non interessanti
ice un antico proverbio cinese: “Ti auguro di vivere tempi interessanti”. Anche se alle nostre orecchie può sembrare un augurio sincero, esso in realtà è una subdola maledizione, perchè rispecchia il pensiero taoista secondo cui la virtù sta nell’equilibrio e nella stabilità, potendo essere invece qualsiasi novità foriera di sciagure per l’uomo. Indubbiamente, non si può certo dire che i tempi in cui viviamo non siano “interessanti”, o quantomeno carichi di incognite dal punto di vista politico. Vedo di spiegarmi. Una mattina, prendendo il giornale, sono stato attratto da “L’Espresso”, sulla cui copertina c’era la famosa immagine di Lenin che indica ai lavoratori la strada della Rivoluzione da prendere: no, non è stato ciò a stupirmi, bensì che il suo volto fosse stato sostituito da quello di Donald Trump. Attirato da quest’immagine così impattante e così visionaria, ho afferrato subito il giornale per capire quale fosse il nesso logico che univa questi due interessanti personaggi: ebbene, a breve ci saranno sia il centenario della Rivoluzione Bolscevica nella Russia zarista sia le elezioni statunitensi, evento che, nel bene e nel male, più nel male purtroppo, scatenerà una Nuova Rivoluzione o una sorta di Contro-Rivoluzione che aprirà scenari nuovi e inediti nella storia contemporanea, americana e non. Partendo dal presupposto che il multimiliardario vinca, trovo che
ci sia la seria possibilità che il suo pensiero, i suoi azzardi tanto derisi quanto pericolosi se avessero un minimo di veridicità, e il suo carisma, possano influenzare gran parte dell’elettorato europeo, che, ormai incattivito e esasperato dalle politiche fallimentari dell’Ue, sarà chiamato alle urne in diversi Paesi e sarà soprattutto risoluto a prendere decisioni nefaste e pericolose che diano un netto taglio al passato, tramite qualcosa di nuovo. Il problema di questo nuovo che avanza è che di nuovo ha ben poco: l’Europa ha già visto e subìto l’ira funesta scatenata da forze di estrema destra, e non è rassicurante sapere che ci siamo già dimenticati di ciò che i nostri nonni e le nostre nonne videro con i loro occhi e ci raccontarono. Eventi futuri, quali: il referendum sui migranti del 2 Ottobre in Ungheria (di cui si saprà già il responso, quando uscirà questo articolo); il ballottaggio delle presidenziali tra Alexander Van Der Bellen, verde, e Norbert Hofer, ultra nazionalista del Fpoe, del 4 Dicembre in Austria; le elezioni in Olanda del 15 Marzo 2017, dove il candidato Geert Wilders, “paladino dei valori occidentali” e dichiaratamente sionista, è in vantaggio secondo i sondaggi; i turni delle presidenziali in Francia del 23 Aprile e del 7 Maggio 2017, in cui per molti analisti è probabile una vittoria del Front National di Marine Le Pen e infine la crescita dei consensi verso l’Afd, che al suo
“Il problema di questo nuovo che avanza è che di nuovo ha ben poco”
interno contiene anche neonazisti, in Germania, porterebbero sicuramente ad un crollo dell’Ue, che da troppo tempo sembra essere comandata da un’oligarchia finanziaria, più vicina ai grandi speculatori, banchieri e burocrati, che ai piccoli e medi imprenditori ed ai lavoratori. Se siamo arrivati ad un punto tale, è evidente che questo sistema prettamente plutocratico abbia fallito e meriti di essere cancellato, condannato e punito, eppure ciò che sta prendendo piede come alternativa non può essere la soluzione, purtroppo. E neppure le forze tradizionali, che ben conosciamo, come Hillary Clinton negli Usa, Sarkozy (che è il probabile candidato Premier con i Republicans) e Hollande in Francia, Merkel in Germania e simili, non possono essere la soluzione, per il semplice fatto che ci hanno traghettato loro, come un Caronte indifferente alla miseria umana, verso il baratro dell’abisso in cui da anni ci troviamo. Per fortuna o purtroppo, viviamo in tempi molto, anzi, troppo interessanti e, senza alcun dubbio, molto cupi e toccherà a noi sopportare il pesante fardello della consapevolezza che, per ora, ben poco sembra poter fermare quest’ultimo e inglorioso tramonto dell’Occidente.
Mevlana Andrade Fajardo m.andrade.fajardo@gmail.com
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Perchè c’è bisogno del voto degli ignoranti
roprio davanti ai recenti risultati elettorali, dalla Brexit fino all’implacabile avanzata dei populismi in Europa e negli USA, è necessario riflettere sul ruolo del voto e sui limiti della democrazia e non può che emergere provocatoriamente un interrogativo: fino a dove può spingersi il potere delle masse? anche gli ignoranti hanno il diritto di votare?
La maggiore espressione della volontà popolare si è materializzata in questi anni nei Referendum, manifestazione concreta della democrazia diretta, affiancata a quella rappresentativa dei parlamenti nazionali. In tutto il mondo, fino al 1900, ne vennero celebrati appena 71; dal 1901 al 1993, secondo i calcoli di Butler e Ranney, il totale schizza a 728 referendum; nell’ultimo quarto di secolo ne abbiamo perso ormai il conto. Per dirne una, nel 2014 – durante le elezioni di midterm – gli americani hanno votato per 146 referendum indetti in 42 stati. Nelle consultazioni referendarie il popolo ha la possibilità di decidere riguardo un determinato tema scavalcando l’operato dei parlamenti. E’ doveroso riflettere tuttavia sui limiti e sulla realizzazione della democrazia diretta, sull’effettivo potere delle masse e del popolo, che nella storia non sempre è stato garante di democrazia e libertà. Con la fine dei totalitarismi e del socialismo reale, in Europa si affacciano nuovi movimenti anti-sistema, in grado di cavalcare lo scontento delle masse davanti al regime finanziario del nuo-
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vo millennio e capaci di farsi interlocutori delle nuove paure che angosciano la classe media, dall’incertezza dell’avvenire al recente fenomeno migratorio. Una crisi economica logorante come quella scatenatasi nel 2008 e l’avvento di nuovi conflitti, dal terrorismo alle guerre nel Vicino Oriente, spinge le masse a cercare un nuovo punto di riferimento ideologico e/o politico che vada oltre la retorica dei partiti e delle forze “di sistema”. La crisi dei tradizionali partiti richiama nuovi protagonisti che si contrappongano alla socialdemocrazia e al centro-destra, aprendo la strada a populismi e paure dominate spesso da ignoranza e cattiva informazione.
La democrazia, tuttavia, fallisce quando manca il popolo e le ondate di astensionismo e il progressivo disinteresse verso la politica non fanno che accentuare il fenomeno. In uno stato dominato da un informazione “distorta” e da leader carismatici, ma estremamente pericolosi e spesso incapaci, chi può detenere le redini del potere? E’ giusto che gli ignoranti determinino il destino delle nazioni e del mondo? Un giornalista americano, David Harsanyi, condirettore della rivista online “Federalist”, propone un esame di educazione civica per gli elettori, perché una democrazia non informata è “il preludio a una farsa o a una tragedia”. Gli Stati Uniti si interrogano davanti all’inspiegabile e (quasi) imprevedibile avanzata elettorale di Trump, appoggiato da numerosi sostenitori provenienti dal mon-
do operaio, e la proposta avanzata da Harsanyj ha avuto molto seguito. La storia ha dimostrato in molte occasioni il potere e il carattere sovversivo delle masse, spesso terribilmente influenzabili da leader carismatici, in balia delle passioni, ebbre di nazionalismi e odio, come nelle rivoluzioni. Come afferma Hannah Arendt ne Origini del totalitarismo, le masse sono il risultato del crollo di ogni classe sociale dovuto alla disoccupazione e alla miseria. Cade quindi il mito del popolo che si interessasse della politica, e chi non lo fa è solo una minoranza. Il totalitarismo necessita di masse senza la scintilla dell’individualità. Il popolo ignorante risponde sempre ai propri bisogni e al proprio interesse immediato: chi non è interessato a considerare il proprio avvenire sicuramente non è adatto a pensare ciò che giova al futuro di uno stato. L’uomo civile, pacifico, amante del prossimo è solo un’invenzione dell’Europa illuminista: la storia ha dimostrato come la guerra e l’imperialismo derivino da interessi contrastanti di stati e nazioni, di classi sociali e masse. Quando il popolo è in grado di decidere allora? Perché la massa sceglie Barabba? E’ giusto far votare chi non è in grado di scegliere? La Costituzione Italiana è molto chiara a proposito: dopo anni di dittatura e guerra civile, gli Italiani si recano alle urne ed eleggono l’assemblea costituente. L’unione e l’armonia delle classi e del popolo ha permesso di dare vita alla Costituzione più bella del mondo.
Se “La sovranità appartiene al popolo”, come recita il primo articolo, l’Italia è una repubblica fondata sulla volontà popolare: nessun sovrano, nessun re, nessun uomo è e sarà in grado di scavalcare le leggi e la sovranità del popolo. I cittadini hanno il diritto e il dovere di scegliere cosa è meglio per lo Stato, poiché lo Stato sono i cittadini. Non c’è cosa peggiore che l’indifferenza verso la politica e la Repubblica: significa disinteressarsi del futuro dei nostri figli, disinteressarsi della nostra vita, del nostro avvenire. Informarsi e scegliere: ecco la ricetta della democrazia ideale. Anche gli ignoranti quindi devono avere il diritto di votare, come sancito dalla Costituzione Italiana. Forse l’indifferenza, l’ignoranza e la limitatezza culturale sono i veri avversari da combattere. Per fare ciò quindi è necessario che tutti partecipino nella misura in cui si sentono adatti a questo compito. La democrazia è una cosa bellissima proprio perché è del demos, è di tutti. Per combattere l’astensionismo e l’ignoranza c’è bisogno di una nuova classe dirigente, di una nuova educazione che parta dalla scuola, di un nuovo contatto con il mondo di oggi, di una nuova politica che riparta proprio da ideologie chiare e dai partiti che hanno segnato la storia europea del secolo breve. No, non è un ritorno al passato, è proprio l’opposto: è un nuovo progetto per l’avvenire. Se il popolo partecipa alla politica in modo caotico e disunito, diviso da incomprensioni e muri ideologici, e si chiude nell’indifferenza e nell’ignoranza rischia di essere ingannato
e dominato da abili e meschine personalità. Al contrario, l’Italia del secondo dopoguerra rappresenta un esempio concreto del ruolo fondante dei partiti: pur essendo, infatti, divisi da idee spesso opposte e composti da militanti di ogni religione e ogni censo, le varie fazioni seppero interpretare al meglio i desideri e i sogni dei cittadini e a dare vita ad uno stato democratico e socialmente evoluto. Al contrario, l’Italia del secondo dopoguerra rappresenta un esempio concreto del ruolo fondante dei partiti: pur essendo, infatti, divisi da idee spesso opposte e composti da militanti di ogni religione e ogni censo, le varie fazioni seppero interpretare al meglio i desideri e i sogni dei cittadini e a dare vita ad uno stato democratico e socialmente evoluto. I partiti anti-sistema presenti in Italia così come in Europa riescono a fare breccia nelle masse proprio perché cavalcano l’onda dell’ignoranza, della paura, ma soprattutto del dubbio: tali partiti e movimenti hanno tra le proprie file sostenitori dalle idee e dalle opinioni poco chiare, altalenanti, estremamente liquide, proprio per attirare a sé la componente scontenta e delusa dell’elettorato. Ma idee liquide e incerte daranno vita ad un futuro incerto. Le masse allora tornino a riconoscersi, a pensare, a riflettere, ad informarsi, ad istruire, a crescere, a cercare certezze. Solo così riusciremo ad uscire dalle crisi che avversano il nostro millennio e a combattere le diseguaglianze che dividono il nostro mondo.
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Pordenone legge, e noi?
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al 15 al 18 settembre nel centro di Pordenone si è svolta la 17esima edizione di una delle più importanti manifestazioni letterarie del nord Italia: Pordenonelegge. Dal giovedì alla domenica una fitta serie di incontri con scrittori esordienti e non, e di vari generi letterari, si sussegue anche contemporaneamente in diverse sedi che la città mette a disposizione, dai palazzi storici al teatro, dalle piazze alle biblioteche. In questa occasione gli autori presentano i loro libri offrendo spunti di riflessione e discussione a un pubblico che diventa anch’esso protagonista. Tale evento, tuttavia, non si limita solo a questo: ci sono anche svariati spettacoli in cui attori mettono in scena brani tratti dalle più importanti opere teatrali italiane. Il programma è talmente ricco che ognuno trova la proposta a sé più congeniale; gli incontri con gli autori che presentano le loro nuove opere offrono la possibilità di scoprire e di sentire come i libri abbiano preso forma nelle loro menti. Questo approccio diretto tra autore e pubblico è talmente stimolante che Pordenonelegge richiama a sé un grande pubblico tanto che è necessario prenotare per poter partecipare alle iniziative in programma. Purtroppo devo constatare come tra i miei coetanei non ci sia un grande interesse per la lettura, ma trovo che eventi come Pordenonelegge possano essere davvero stimolanti in tal senso. Nel suo piccolo Feltre organizza La maratona di lettura, un evento simile seppur molto più ridotto e incentrato su un unico autore che fa da fil rouge: nel corso di un week end, in vari punti caratteristici della città vecchia, vengono letti brani tratti dalle sue varie opere mentre la sera, a conclusione della maratona, vi è l’incontro con l’autore stesso. Irene Persico persico.irene@gmail.com
Elia Corvaglia corvagliaelia@gmail.com
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RIFLESSIONI
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BREXIT: intervista Il cambiamento visto da studenti italiani
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re certe regole, specialmente sull’ immigrazione) -Come vivi il cambiamento? Diciamo che vivere qui con Come appare la situazione l’idea di essere”un’immigrata” politica,sociale e economica non è l’ideale, ma sto qui da a un giovane “Ho sempre questo cinque anni e le persone mi italiano resipensiero, che le trattano nello dente in UK stesso modo. in questo mocose cambieranno -Invece quali mento? Abbiamo in- presto e non in mio sensazioni si percepiscono a terpellato, per favore.” contatto con il una brevissipopolo inglese? ma intervista, una studentessa e lavoratri- Ovviamente io sto a contatto ce residente a Bournemouth maggiormente con i ragazzi/ (Inghilterra) da cinque anni. studenti che hanno votato -Ciao J. quali sono i cambia- per la maggioranza di rimamenti principali nella tua vita nere nell’ UE e quasi tutti sono rimasti amareggiati dai quotidiana ? Ciao! Diciamo che al mo- risultati. Non solo cambierà il mento non ci sono cambia- mio futuro ma anche il loro. menti evidenti. Sto andando Per non parlare delle persone all’ università come studen- inglesi che vivono in Italia o tessa europea e sono stata altre parti dell’Europa . rassicurata dall’università che Ho sempre questo pensiero, le cose non sarebbero cam- che le cose cambieranno prebiate immediatamente( si sto e non in mio favore. l 23 giugno scorso si è tenuto il referendum consultivo riguardante l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che, con il 52% dei voti, ha visto la vittoria.
pensa che nel giro di due anni inizieranno a mettere in vigo-
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Una verde alternativa
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orrei raccontare una storia, la storia di una pianta che esiste da milioni di anni, e che da tempo è al centro di innumerevoli discussioni, ma che soprattutto non ha mai avuto effetti negativi in alcun campo: la Cannabis.
Questa storia è ambientata a Taranto, in Puglia. Più precisamente, in una masseria i cui terreni circostanti sono inquinati dalla diossina, l’agente chimico emanato da quello che gli agricoltori locali chiamano il “mostro d’acciaio”: l’Ilva. L’Ilva è una delle maggiori aziende siderurgiche italiane specializzata nella produzione dell’acciaio, infatti a due chilometri in linea d’aria dalla masseria c’è la più grande acciaieria d’Europa. Gli agricoltori in questione sono due fratelli, Vincenzo e Vittorio Fornaro, i quali, nel dicembre 2008, sono stati costretti dalla Regione ad abbattere le loro 600 pecore perché contaminate dalla diossina. «È stato il giorno più brutto della mia vita. Quella sera in masseria c’era un silenzio assordante. Eravamo abituati ad Sara Guizzetti addormentarci con il suono del bestiame», racconta Vinsara.guizzetti3@gmail.com cenzo. «Il bivio era: andarcene e ricominciare da un’altra parte o rimanere e combattere». I fratelli decidono allora, seguendo il consiglio dell’associazione “CanaPuglia”, di seminare Cannabis sui terreni per decontaminarli. E come per magia il terreno inizia a riacquista-
re salute e cominciano a spuntare le erbe selvatiche. Le radici della cannabis infatti, grazie alle loro particolari proprietà, si rivelano particolarmente adatte a bonificare i terreni avvelenati dalla diossina. Questa sperimentazione parte ai tempi di Chernobyl, quando una società americana specializzata in biotecnologia ambientale ha cominciato a coltivare canapa per decontaminare i terreni radioattivi zuppi di cesio, plutonio e piombo, con risultati stupefacenti. Gli usi della cannabis sono molteplici, dal tessile alla bioedilizia, senza dimenticare le qualità terapeutiche prodotte dai principi attivi THC e CBD. Ma oggi in Italia, a differenza di molti paesi, la Cannabis è ancora illegale. Filippo Brizzolari filippo.brizzolari@gmail.com
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La Rio nascosta dello sfruttamento e dell’inquinamento
al 5 al 21 agosto l’attenzione di tutti, media e non solo, si è rivolta alle Olimpiadi di Rio de Janerio. Evento di portata e fascino indiscussi, che richiama ed appassiona anche il pubblico meno appassionato di sport. Tuttavia, una profonda crisi sociale, politica ed economica sta logorando un paese ormai nel baratro. I dati infatti sono disastrosi in ogni campo: 60.000 omicidi solo nel 2014 (si tratta del paese con maggior incidenza); 1° paese per deforestazione, 3° per conversione degli habitat, 3° per uso di fertilizzanti, 4° per numero di specie a rischio e per emissioni di CO2 e 8° per inquinamento delle acque; disuguaglianze sempre crescenti, accentuate da una crisi che non sembra avere vie d’uscita (pil -3,8%, inflazione -7%). Analizzando la situazione brasiliana a seguito della destituzione di Dilma Rousseff, con conseguente presa di potere del suo vice, il panorama si fa ancora più grigio; su Michel Temer infatti pesa un’accusa di riciclaggio di denaro, in quello che è uno dei più grandi scandali brasiliani. Temer inoltre non gode dell’appoggio popolare, arma fondamentale per tentare di ricostruire un paese ormai allo sfascio (partendo dal presupposto che vi sia la volontà di farlo). Questa è la conferma ormai di come la classe dirigente abbia vinto e sopraffatto la sempre più in aumento classe povera, situazione destinata a rimanere tale fino a quando non verrà radicalmente cambiata la classe dirigente, che ha
bisogno di un nuovo slancio per poter agire portando il paese, soprattutto in ambito sociale, a standard più elevati (si prenda ad esempio l’Europa, per la quale comunque è possibile denunciare una situazione simile, seppur meno grave). Il Brasile si trova alla 70° posizione per reddito procapite (8670$, a fronte ad esempio dei 29867$ dell’Italia o dei 101994$ del Lussemburgo). Per risolvere il problema, durante le Olimpiadi il governo brasiliano ha optato per la costruzione di un muro che separa la parte ricca della città dalla parte povera, cosa che, ovviamente, non ha avuto alcuna attenzione mediatica e nessun tipo di divulgazione. Infine ad aggravare la situazione si aggiunge un disastro ambientale che nel 2015 ha colpito il paese e che rappresenta l’apice di un problema ben più grave. Inoltre vi è un tasso di disoccupazione che è in continua crescita. Ciò in particolare rischia di peggiorare ancor di più una situazione di per sé già molto delicata, andando ad aumentare ulteriormente le disuguaglianze. Dunque il Brasile sta attraversando una fase di crisi profonda (e si spera di transizione verso un futuro migliore) che sta colpendo sopratutto le classi più disagiate, che in situazioni difficili come questa devono unirsi, organizzarsi ed impadronirsi di un paese che a loro appartiene, e che loro dovrà diventare.
Gianmarco Pellencin gianmarcopellencin@gmail.com
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MONDO
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MI CHIAMO KOBE
Questa è la storia di Kobe, ragazzo gambiano perseguitato nel suo paese perché omosessuale, in Italia da due anni (la legge contro l’omosessualità in Gambia implica ergastolo o pena di morte, voluta nel 2014 dal dittatore Yammeh contro coloro considerati omosessuali recidivi o malati di AIDS). La storia è vera, i nomi sono stati cambiati e alcune parti riadattate. mo piccoli. Un luogo pieno di ricordi. Ci siamo seduti e Ibrahim ha iniziato a dirmi di quanto non gli piacesse più stare qui, che le leggi facevano schifo, la polizia non ti difendeva ma ti torturava, che non era libero di fare né amare liberamente. Dal canto mio non capivo
come mai né da dove arrivasse tutta questa rabbia: certo, il nostro non è certo un paese libero, ma ce ne sono di peggio! Ha cominciato a farneticare qualcosa sul futuro, e in questo futuro vedeva solo una persona accanto a lui. Mentre parlava
dopo un paio di mesi, mi raggiunse e iniziammo a vivere insieme. Per i nostri parenti era normale che due amici condividessero la casa (pochi soldi, ottimizziamo le risorse) e ovviamente il nostro segreto continuava anche nella nuova città. Solo in casa potevamo essere noi stessi, a me bastava mentre Ibrahim era sempre più arrabbiato: diceva che non era giusto non potersi baciare o tenersi per mano in strada, che l’amore è amore e non poteva essere un sentimento sbagliato. Nel tempo iniziavo un po’ a preoccuparmi per questo suo malcontento, non perché stesse rovinando il nostro rapporto ma perché temevo qualche gesto pubblico inconsulto.
MONDO
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i chiamo Kobe, sono un ragazzo gambiano di 25 anni. Ho sempre pensato che avrei passato la mia vita in Gambia, nel mio paese. Come tutti i giovani del mondo sognavo in grande, anche se da noi le possibilità sono poche. Mi bastava un lavoro, una casa, costruire una famiglia con la persona che amavo, ma che ora non c’è più. Ibrahim era mio coetaneo, eravamo compagni di giochi fin da piccoli, le nostre famiglie vivevano l’una accanto all’altra ed erano amiche. Avendo la stessa età siamo anche andati a scuola insieme. Io ero il più piccolo di 4 fratelli, tutti maschi, mentre lui il più grande, ma aveva un fratello e due sorelle. Quando i miei fratelli mi trattavano male Ibrahim sapeva sempre consolarmi regalandomi un sorriso e dicendomi che quando sarei diventato grande mi sarei vendicato di tutte le angherie subite. Abbiamo frequentato la stessa scuola coranica, dove studiavamo non solo il Corano ma anche matematica, geografia, storia…insomma, una scuola vera! Il nostro legame si rafforzava sempre di più, e non capivo come mai ma nei suoi confronti iniziai a provare qualcosa di strano, che al tempo non capivo. Cercavo di scacciare l’idea perché il solo pensiero mi faceva rabbrividire: In Gambia una cosa del genere è vietata, che tu sia cristiano o musulmano. Allora ho iniziato a frequentare una ragazza, figlia di amici dei miei genitori, ma non mi sentivo mai a mio agio come quando stavo con Ibrahim. E poi, un giorno, capii che per lui era lo stesso. Una sera ci siamo ritrovati a casa sua per studiare, ma faceva così caldo che abbiamo deciso di mollare tutto e uscire per fare una passeggiata. Non che fuori si stesse meglio, ma forse non avevamo neanche più tanta voglia di stare sui libri. Abbiamo camminato fino ad arrivare in un posto che conoscevamo bene: una piccola radura all’imboccatura della foresta dove venivamo spesso a giocare quando erava-
“Cercavo di scacciare l’idea perché il solo pensiero mi faceva rabbrividire: in Gambia una cosa del genere è vietata, che tu sia cristiano o musulmano.” Venne il giorno che i miei
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mi guardava intensamente, come se volesse che le sue parole entrassero dentro i miei occhi, la mia faccia, il mio cuore. Il nostro primo bacio ce lo siamo dati in quella radura, seduti sotto un albero, a 22 anni. Pensavo che l’amore fosse più semplice, invece oltre ai bisticci soliti degli innamorati dovevamo lottare contro un paese e delle persone che quelli come noi non li vogliono. Non potevamo dire a nessuno che cosa stava succedendo, nemmeno alle nostre famiglie. Ci ritrovavamo ogni sera nella radura, un po’ appartati per paura che qualcuno ci vedesse e scoprisse il nostro segreto. Dopo circa un anno ho trovato lavoro in una città vicina e guadagnavo abbastanza per poter vivere in un piccolissimo appartamento. Con la scusa del lavoro anche Ibrahim,
realtà.
timori si trasformarono in
Un giorno uno dei miei fratelli mi telefono dicendomi che sarebbe passato di là per un veloce saluto, prima di rimettersi in viaggio col suo camion. La cosa mi faceva molto piacere e così lo invitai a cena. Jobe, mio fratello, fu molto contento anche di rivedere Ibrahim, non dubitando nulla riguardo la nostra relazione. La serata trascorse tranquilla finché non si passò a parlare di politica, dello stato attuale del nostro paese, e così Ibrahim tornò alla carica. Jobe dal canto suo era molto conservatore e rispettoso di tutte le leggi, e quando si iniziò a parlare della legge contro gli omosessuali disse che “quei cani spregevoli, figli di nessun dio, devono morire tutti”. Io rimasi impietrito mentre Ibrahim scoppiò dalla rabbia.
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Dicembre 2016 - N.8 Dopo una discussione furiosa Jobe se ne andò, ma sulla porta mi disse che il mio amico “frocio” l’avrebbe pagata cara prima o poi e che avrebbe parlato con la sua famiglia di quanto successo stasera. Lo pregai di non farlo, giustificando il suo atteggiamento con la stanchezza, ma Jobe era deciso e mi disse che se non l’avessi mandato via da casa allora forse anche io ero come lui. Passò circa un mese, un mese durante il quale Ibrahim non sentì più la sua famiglia mentre la mia mi telefonava ogni giorno per chiedermi spiegazioni. Non potevo né volevo mandare via l’uomo del quale ero innamorato, quindi decisi di mentire ai miei genitori dicendo loro che io e Ibrahim avevamo litigato e che la nostra amicizia era finita. So di aver agito come un codardo, ma avevo bisogno di sapere che la mia famiglia mi amava ancora, anche se realmente non ero il figlio e il fratello che volevano. Ma Jobe, di ritorno dal suo viaggio, una sera decise di farmi una sorpresa passando a casa mia. Io e Ibrahim stavamo rientrando dal lavoro e, come eravamo soliti fare, prima di rientrare in casa ci scambiavamo un velocissimo bacio, così da avere l’idea che in fondo un po’ di libertà ce l’avevamo anche in pubblico, non solo a casa. Jobe stava là, davanti alla porta di casa, muto. Si scaglio velocemente contro Ibrahim e lo prese a pugni dicendo che mi aveva fatto una stregoneria, poi iniziò a insultarmi, a dirmi che la mamma sarebbe morta dopo questo. Disse che dovevo morire e che così sarebbe stato. Qualche giorno dopo, mentre rientravo a casa, il proprietario del negozio sotto casa mi disse che un paio di poliziotti erano passati e che volevano parlare con me e Ibrahim. Subito l’ansia cominciò a salire e decidemmo che da lì a pochi giorni forse sarebbe stato meglio spostarsi, cambiare casa. Anche Ibrahim, sempre spavaldo e coraggioso, questa volta aveva paura.
Ma non riuscimmo mai ad andarcene da lì. Il giorno dopo, mentre stavo lavorando, mi chiamò il proprietario del negozio dicendo che la polizia aveva arrestato Ibrahim e che sarebbero tornati per prendere me. Ero paralizzato, non sapevo cosa fare! Con una scusa sono riuscito a tornare a casa, e mentre camminavo come un pazzo pensavo e ripensavo a cosa stava succedendo, a dove avessero portato il mio ragazzo, che cosa gli stavano facendo. Ma soprattutto non capivo che cosa avrei dovuto fare. La testa diceva di andarmene subito, il cuore di andare dalla polizia a cercare Ibrahim. Poi, svoltato l’angolo nella mia via, ho visto i poliziotti sotto casa mia che facevano delle domande, così mi sono girato di scatto e ho iniziato a correre come un matto. Sono arrivato alla stazione degli autobus e con i pochi soldi che avevo in tasca ho comprato un biglietto per il Senegal. Mi ero ripromesso di chiamare Ibrahim non appena passato il confine. Ma Ibrahim non rispose mai, e io non mi fermai in Senegal. Ero spaventato, triste, stavo scappato dal mio amato paese che però non amava me! Un codardo che stava lasciando morire il suo compagno, perché sapevo che sarebbe morto, la legge è la legge. Cominciai a piangere come un bambino, non sapevo nemmeno se sarei sopravvissuto per i prossimi due giorni: soldi non ne avevo, e nemmeno cibo o un contatto al quale appoggiarmi in Senegal. La mia famiglia, i miei amici, il mio Paese, tutti mi avevano ripudiato e mi volevano morto perché avevo osato innamorarmi. Ho dormito alla stazione delle corriere di Nayè per qualche notte, mentre di giorno face-
“Disse che dovevo morire e che così sarebbe stato.”
vo l’elemosina per racimolare qualche spicciolo per mangiare, e intanto cercavo un lavoro; ma ero sporco e puzzavo e tutti mi cacciavano come se fossi appestato. Un pomeriggio, sempre alla stazione, un uomo mi si avvicinò e iniziò a parlarmi in arabo, e ringraziai i miei genitori per avermi fatto frequentare la scuola Coranica perché lì mi avevano insegnato l’arabo, e dopo giorni poter parlare con qualcuno era un sollievo. L’uomo aveva circa quarant’anni ma non sembrava africano, infatti aveva la pelle molto più chiara della mia. Mi chiese cosa stessi facendo là ma non potevo raccontargli i motivi della mia fuga dal Gambia, così mi limitai a dire che ero senza casa né lavoro ma che lo stavo cercando. Rispose che lui era proprietario di una grande fattoria in Libia, che era in Senegal per lavoro e che forse avrebbe potuto farmi lavorare presso di lui. Io neanche sapevo dove fosse la Libia, ma ero troppo misero e disperato per rifiutare, così accettai la proposta di partire con lui. Il giorno dopo mi caricò sul retro di un furgone insieme ad altre persone credo senegalesi e partimmo. Il viaggio durò tantissimo, non ci fermavamo quasi mai, avevamo solo una bottiglietta d’acqua a testa
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MONDO
Il Mancino al giorno e niente cibo, ed arrivò il momento durante il quale nessuno riuscì più a resistere e la nostra “gabbia” si trasformò in una latrina. Mi sentivo peggio di una bestia, ma dovevo resistere perché avevo avuto la fortuna di trovare un lavoro e potevo rifarmi una vita. Intanto pensavo a Ibrahim: non avevo più avuto sue notizie e il mio telefono era ormai scarico da giorni. Iniziai a piangere di nuovo. Quando ci dissero che eravamo arrivati mi sembrava di aver viaggiato fino al cielo e ritorno. Ci condussero in una piccola casa dove vivevano già altri dieci africani, che però non mi sembravano molto contenti. Inizia a lavorare già il giorno dopo come pastore, nonostante fossi ancora debilitato dal lungo e faticoso viaggio. Ogni sera rientravamo tutti nella casa, ci lavavamo a turno e consumavamo il pasto che ci portavano degli uomini che parlavano solo arabo. Il tempo passava, io stavo attento alle pecore tutto il giorno ma non avevo ancora ricevuto un soldo per il mio lavoro. Così decisi di andare dal padrone della fattoria, l’uomo che mi aveva avvicinato in Senegal, per chiedere spiegazioni: lui iniziò a urlare e disse che se non mi andava bene così me ne sarei dovuto andare. Durai ancora qualche giorno, giusto il tempo per capire cosa fare: è vero, avevo un letto e del cibo, ma non potevo continuare a lavorare senza guadagnare sennò non sarei mai riuscito a riscattarmi. Così una notte, mentre nessuno mi vedeva, decisi di andarmene. Iniziai a camminare fino ad arrivare in una città che distava circa due ore dalla fattoria, ma non avevo idea di dove fossi veramente. Ho trovato alloggio presso una casa con altri africani che mi spiegarono un po’ come funzionava da quelle parti (poi mi dissero che eravamo a Tripoli): quelli che non lavorano in Libia escono tutte le mattine e aspettano che qualcuno passi e offra un lavoro. Io, dopo qualche giorno così, ho trovato lavoro come muratore, ma alcuni padroni mi pagavano e altri no. Un giorno sono sceso in strada sperando di trovare l’ennesimo la-
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Dicembre 2016 - N.8 voro alla giornata e un uomo si è fermato chiedendo tre persone per lavorare. Così ha caricato in macchina me e altre due persone e ci ha portati in una casa dove c’erano altri otto africani. Appena arrivati tirò fuori un telefono e disse che se volevamo andarcene dovevamo chiamare la nostra famiglia e fargli avere 500 dinari (circa 330 €). Io gli dissi che non avevo soldi e non avevo più neanche una famiglia (poiché mi avevano ripudiato ormai mi consideravo solo), così ha iniziato a picchiarmi tirandomi calci e pugni. Poi ci prese telefoni e documenti e chiuse a chiave in una stanza me e altri ragazzi: ogni giorno, quando ci portavano la razione giornaliera di pane e acqua, degli uomini ci picchiavano. Sono rimasto rinchiuso in quella stanza per cinque mesi. Restavo seduto in un angolo terrorizzato, scattavo non appena sentivo le voci degli uomini avvicinarsi, non avevo più lacrime, speravo di morire da un momento all’altro. In cinque mesi non sono mai uscito, aspettavo solo di morire. Una notte, invece degli uomini libici che ci picchiavano, entrarono 10 persone con un’uniforme, forse poliziotti che ci stavano liberando, e ci caricarono su un furgone. Questi liberatori non ci stavano strappando da questa brutta situazione, ci stavano portando in prigione. Le prigioni libiche sono un po’ come quella stanza dove sono rimasto per cinque mesi, o come il furgone che mi ha portato in Libia: in ogni cella, grande come una camera da letto, ci
sono stipate 15-20 persone, costrette a vivere in mezzo ai propri escrementi, a bere un bicchiere d’acqua al giorno accompagnato ad un pezzo di pane. Sono passato da una prigione a un’altra senza aver compiuto alcun crimine. Il tempo passava, i morti venivano rimpiazzati dopo giorni nelle celle, di modo che il fetore e i batteri della decomposizione, accelerata dal caldo asfissiante, impregnassero l’ambiente. Non credevo che l’uomo potesse essere tanto bestia, e ricomincia a sperare di essere io il prossimo cadavere ad essere portato via. Poi una notte accadde l’impensabile. Vennero in cinque o sei a prendere me e altre quattro persone, ci caricarono ancora su un furgone e ci scaricarono su una spiaggia. Il mare di notte era mozzafiato, le stelle riflesse nelle acque limpide che solo toccandole avrebbero potuto ripulire la mia pelle e il mio animo ormai insozzato. Restai a bocca aperta per qualche secondo ad ammirare il meraviglioso spettacolo della natura, finché non mi accorsi che quella spiaggia era affollatissima. C’erano uomini, donne, bambini, vecchi, sembrava un immenso gregge, difficilmente distinguibile visto che era notte e il gregge era formato da africani. Ma perché eravamo tutti lì? Non appena sentii i poliziotti urlare con i fucili in mano pensai ci volessero uccidere tutti, ma non ne capivo il motivo: come poteva un bambino aver commesso un qualche tipo di reato?! Iniziarono a spingerci verso delle barchette un po’ malandate, intimandoci di muoverci e non scappare: chi ha provato a scendere dalla barca ha sporcato il mare col suo sangue. Io ho eseguito gli ordini, non sapevo che altro fare e poi la gente dietro di me spingeva come non mai. Sulla mia barca saremmo stati forse duecento, qualcuno stipato nella stiva, molti a cavalcioni dei bordi. Poi la barca ha preso il largo, in questa notte limpida e meravigliosa ero di nuovo in viaggio e non sapevo dove sarei arrivato né se sarei sopravvissuto. Non sono riuscito a chiudere occhio, non capivo se fossi spaventato o eccitato da quello che stava succedendo. Intorno a me le persone stavano sedute in silenzio, eravamo ammassati come dei pacchi in una barca che avrebbe potuto contenere al massimo cinquanta persone ma nessuno si lamentava. All’alba del secondo giorno vidi che qualcuno a poppa stava buttando in mare un paio di corpi senza vita,
allora chiusi gli occhi e mi girai verso l’orizzonte. Non avevo più pensieri, lacrime, parole, ero un pezzo di carne senza vita incapace di dare un senso a tutto quello che mi era successo. Ripensai al cortile di casa, ai miei fratelli che mi prendevano in giro, alla radura dove giocavo, al primo bacio scambiato con Ibrahim. Forse in un altro mondo, in un’altra vita, ora sarei felice con lui e con le nostre famiglie, ma io stavo vivendo questa vita in questo mondo, e avevo capito che per noi non c’era spazio. Poi il silenzio si trasformò in brusio fino a diventare un urlo: una grossa nave si stava avvicinando a noi e i miei compagni di viaggio iniziarono ad agitarsi, sbracciarsi e muoversi come forsennati nella speranza che ci vedessero. Un secondo, bastò un secondo e la nostra barchetta, troppo piccola e malandata per contenerci tutti, iniziasse a oscillare e a farci cadere in acqua. Mentre andavo sotto pensai solo “finalmente è finita” e chiudendo gli occhi mi abbandonai a quello che forse sarebbe stato un destino migliore del tragico passato che avevo vissuto. Chiusi gli occhi e aspettai finché una grossa mano non afferrò la mia e magicamente tornai a respirare. Era l’alba del 15 agosto 2014, e mentre molti si preparavano ad andare in spiaggia per trascorrere una bella giornata di vacanza io, Kobe, omosessuale gambiano, venivo salvato dalla Marina Militare Italiana. Ancora oggi, a distanza di due anni, porto le cicatrici e le ferite delle torture sul mio corpo, ma la ferita più grande è nel mio cuore. Ho abbandonato il mio paese e l’uomo che amavo, ho pensato che tutto quello che ho subito fosse la giusta punizione per il mio gesto per il mio essere me stesso. Ma oggi, mentre scrivo queste poche righe, inizio a credere che questo paese al quale non piaccio molto ma che mi ha salvato sia quel mondo che ho tanto sognato con Ibrahim.
MONDO
Il Mancino
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CHINATOWN: L’angolo delle poesie dei lettori
I lettori del Mancino ci iinviano le loro crazioni, questa proviene da Venezia, e l’autore preferisce rimanere nell’anonimato.
SOSPIRO
Sospiro nel trovare una donna che mi chieda una semplice e fugace sigaretta quando nota la gentilezza di un uomo e cade in balia del vento delle passioni Sospiro nell’aver fatto l’errore imperdonabile di aver rovinato la nostra casa, Il mondo, la nostra terra Ma averla aiutata quando c’era da risparmiare Sospiro nel camminare e fermarmi a ricordare ciò che è passato e che non riesco a dire a parole dette sotto voce ma sopra un foglio di carta e dell’inchiostro Sospiro nel soddisfare una donna bellissima ma insoddisfacente che altri non riescono a capire ma non dall’ardore da cui penso, scrivo o amo Sospiro nel sentire il rumore e l’ odore della pioggia grigia, del mare salmastro e dell’acqua limpida di un fiume in piena che dolcenera ha dimenticato Sospiro nel toccare la nebbia e il suo calore glaciale con le mie fredde mani e sfiorano la pelle scura ma candida di una donna senza nazionalità Sospiro nel vedere una luce accecante e vermiglia come il sol dell’avvenire dona a parole libere senza significato onore colore e rivoluzionario Sospiro nel vivere il buio e le sue ombre che quando eravamo infanti temevano ma che apprezzavamo nel toccare le linee e l’età di un albero immortale
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POLITICA
Il Mancino
Q
Perchè ho detto NO
uante volte, nella vostra vita, vi hanno fatto credere che non ci fosse alternativa, che la posizione da loro sostenuta era quella che creava il “male minore”, grazie alla quale avrebbero salvato una situazione non altrimenti risolvibile? Probabilmente innumerevoli, ed è la stessa strategia che per mesi confusi e turbolenti ha messo in atto il nostro governo. Da tempo, sin da quando si è insediato il governo Renzi (grazie a un colpo di stato interno al PD) si parlava di riformare la costituzione e in particolare la sua seconda parte. Abbiamo sentito parlare di snellimento, di abbattimento di costi della politica, di semplificazione e di spirito riformista fino all’inverosimile. Ci hanno parlato di riforma di stampo popolare dall’alto delle loro poltrone, e diffondendo l’idea che chi fosse contro la LORO riforma era un ferro vecchio. Dunque, la riforma che il popolo italiano è stato chiamato ad approvare o a rifiutare con il referendum non è una semplice legge di revisione della Costituzione - dicevano i promotori - Si tratta di un intervento che modifica o sostituisce ben 47 articoli, realizzando in questo modo la sostituzione del modello di democrazia costituzionale previsto dalla Carta del ‘48 con un altro ordinamento, ispirato a principi e ragioni del tutto differenti da quelle che avevano guidato i padri costituenti. L’inaccettabilità del metodo con cui queste modifiche sono state imposte dalla maggioranza governativa rende ancora più evidenti i vizi di questa nuovo ordinamento che non avrebbe risolto gli inconvenienti che voleva curare, e non avrebbe dato alcuna risposta al malessere reale della democrazia italiana, testimoniato dalla crescente sfiducia dei cittadini italiani nei confronti delle istituzioni. Pur ammettendo di non essere politologo, non me la sento di negare la necessità di un’opera di manutenzione della Costituzione che possa rimediare agli inconvenienti del bicameralismo perfetto. Essa perseguiva però un altro obiettivo: quello di aggredire la centralità del Parlamento, cominciando ad eliminare una Camera elettiva ed assoggettando l’altra, eletta con metodo supermaggioritario, alla supremazia del Governo, che risulterebbe – per leg-
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ge e non per volontà popolare - padrone della maggioranza parlamentare. In questo modo sarebbe stata appannata la distinzione fra potere legislativo e potere esecutivo dal momento che il capo del partito politico, “vincitore” delle elezioni, sarebbe stato a capo del potere esecutivo e della la maggioranza parlamentare, da lui stesso nominata. A questo capo di partito avrebbero potuto opporre solo un debole argine le istituzioni di garanzia, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale. Uno dei primi miti da sfatare è che agli studenti minorenni tutto ciò non dovrebbe interessare, semplicemente perchè non votano e perchè non hanno le competenze adatte. Una tale argomentazione significherebbe negare l’importanza della costituzione come legge che disciplina il funzionamento della nostra democrazia. Vediamo cosa c’era di tanto sbagliato in questa riforma. La fine del bicameralismo perfetto, il sistema secondo il quale ogni legge deve essere approvata prima alla Camera, poi al Senato, e ogni cambiamento del testo della legge vada ri-votato da entrambe le camere, secondo i sostenitori del sì rallentava i tempi della decisione. Ora, invece, il Senato avrebbe potuto pronunciarsi solo su una legge costituzionale o su una dichiarazione di guerra, per il resto avrebbe avuto compiti separati dalla camera. Il punto è che la lentezza della politica italiana è sempre un problema di volontà e non direttamente del sistema parlamentare, altrimenti non si spiegherebbe perché la riforma Fornero sia stata approvata in meno di 15 giorni, e invece altre discussioni, come quella sulla legalizzazione della cannabis, continuano da mesi. Sapete quante firme occorrono per presentare una legge di iniziativa popolare, uno dei più utili strumenti di democrazia diretta in Italia? Ad oggi 50.000 firme. Se la riforma fosse stata approvata, questo numero sarebbe passato di punto in bianco a 150.000: così da togliere ogni speranza di presentarne una. Peggio ancora per presentare una proposta di referendum: 800.000 (invece delle 500.000 attuali). Tornando alle camere del parlamento, la propaganda del governo avrebbe voluto far credere che il senato sarebbe stato snellito con un risparmio di oltre 500 milioni di euro. Solo che, anche se il senato effet-
tivamente passasse da 351 a 100 membri, secondo i dati della ragioneria di stato solo 54 sarebbero i milioni risparmiati. Ci hanno ripetuto fino alla nausea che il paese aspetta questa riforma da 40, 50, addirittura da 70 anni. In realtà è vero che c’è sempre stata una parte della classe dirigente di questo paese che questa Costituzione non l’ha mai riconosciuta e non l’ha mai voluta rispettare: monarchici, nostalgici del fascismo, piduisti, francofili e germanofili non sono mai cessati di esistere; e mai son cessati di esistere i corrotti. “Ce lo chiede l’Europa”. Ma qual è l’Europa che ce lo chiede? Cos’è l’UE oggi se non proprio la massima espressione di quel capitalismo selvaggio che ha fatto precipitare milioni di nostri concittadini nella miseria? Il rapporto dell’Unione Europea sull’Italia, come la presa di posizione dell’ambasciatore americano a favore del sì, come anche un rapporto della famosa banca JP Morgan - tutti sembrano concordare su un punto: per gli investimenti servono governi forti, parlamenti deboli, rappresentanza minima; In altre parole, sembra che la democrazia e il neoliberismo di oggi non siano compatibili. In questo l’Italia merita di procedere in direzione ostinata e contraria. Ci agitano in faccia lo spettro dell’ingovernabilità delle istituzioni attuali: Non farebbero prima i partiti ad avviare una sana autocritica e interrogarsi sul perché i cittadini lascino la politica ad altri? Ricordiamo che la riforma è stata approvata da un Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale. L’esecutivo ha già dato prova di rara arroganza; queste riforme sono state avviate dall’esecutivo con l’impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il vero capo dell’esecutivo, il presidente della Repubblica; sono state inserite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all’approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari, la pretesa di conoscere quello che avrebbero votato i veri partigiani), di trasformismo parlamentare (passaggi dall’opposizione alla maggioranza in cam-
bio di favori e posti) fino ai voti di fiducia, come se la Costituzione fosse una legge ordinaria che appartiene al governo, fino a raggiungere il colmo: la questione di fiducia posta addirittura agli elettori, sull’approvazione referendaria della riforma. Per non parlare poi degli assurdi trucchi escogitati da Renzi per mettere in difficoltà il fronte del NO: primo fra tutti, il fatto di aver tenuta segreta la data del referendum (4 dicembre) fino al 26 settembre. La costituzione del 1948 è scritta in modo così chiaro e comprensibile che è ovvio sia divenuta patrimonio di tutti gli italiani. La nuova riforma saebbe stata di difficile lettura anche per i più esperti studiosi di diritto d’Italia. Stefano Pravato stefanoprav@gmail.com
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POLITICA
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NOTTE IN CABINA Il mare batte contro la murata, dalla tonda finestrella risplende la notte azzurra ed esala all’interno il caldo arido del deserto. Sono desto per la decima volta e giaccio immobile nella calura soffocante e più non mi addormento. E come un cuore impietoso pulsa infuocato e gemente il motore e nel suo cieco dolore si affanna senza posa e senso per luoghi lontani e nuovi. Oh il cuore di chi non è limpido e fermo e lieto come il cristallo, non trova rifugio in tali spazi, lo incalzano la nostalgia e il flusso dei domestici affanni, lo insegue ovunque l’amore inappagato, rendendolo misero; e tutti lo considerano diabolico e selvaggio, perché porta il nemico in petto nè mai potrà sfuggirlo. HERMAN HESSE
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SCUOLA
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Il minimo
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un venerdì freddo dell’anno duemilasedici, l’11 novembre. Stiamo preparando la descrizione dell’evento della riunione della Rete degli Studenti Medi di Treviso. Parleremo di trasporti ed edilizia mercoledì. Qualcunoproponediscrivere“haipaura che ti cada il soffitto in testa a scuola?”. Io dico che forse è meglio scrivere qualcosa di diverso, perché sembra un’esasperazione. Eppure questa mattina gli studenti non sono entrati in una scuola di Treviso, perché inagibile. Non è una novità, da tempo ci si lamenta per quella sede famosa per le “classi pollaio”. Ma come al solito i problemi ce li poniamo quando sono già sfociati e hanno già causato danni. E allora mi rendo conto che non bisogna evitare l’esasperazione, che non dobbiamo aspettare di avere paura per chiedere una scuola sicura, che l’istruzione è importante quanto la sicurezza della stessa. Di chi sia la competenza è un problema che ci si pone ormai troppo spesso solo in caso di responsabilità di fronte ad una tragedia. Basta. Pretendiamo il minimo, ma che il minimo sia sempre garantito. Cecilia Bona cecbona@gmail.com
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H
Change the school, change the world
ere it is a basic thing to remember: school is a social institution which has to teach to young people how to become a functional, mindful citizen in their life.
From there on you can make comments to the current teaching system. If school demands students to pay attention in class, to do right choices, tu study well and to be interested in what they are studying, does it actually teach them how to do it? Probably, times have changed and school is no more a place where people go to merely learn informations and notions. In this society, school should be instead a modern space: a place where young people should be able to learn how to think, to get interested in various themes, take critical choices, stay in group and collaborate. This new concept of school has already been tried in many revolutionary and progressive countries, such as Scandinavian ones and Japan schools… and they surely got some amazing results. In fact, it is well-known that Scandinavian countries have the highest living standard in the world, and in Japan there is the lowest crime rate of the entire world. So along with a changing in educational system you could get a social changing, and that could be the switch to the nowadays crisis situation of
western democracies. My teacher told my class that 10 years ago, in our very school, students were so much more interested in studying and in school activities. Connected to this, about 10 years ago the economical crisis got started, hitting the entire world system, and with it every other person, also students found themselves in a world they no longer recognized. But if we change school system, students will change too, then basically the way of people live and society itself. If only the government gave us the means, we would catch the chance and use them in the best way we can. Nowadays people say that is not possible to change educational system, but if we remind ourselves that school is a social organization then our government, as this is a democratic country, will be obliged to listen to us. We think we have a solution, and they just can’t stop us! Marta Pastrello siresoave@gmail.com
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ESPERIENZE DI ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO
ono Caterina e frequento il Liceo Linguistico Celio di Rovigo. Lo scorso Giugno come molti miei coetanei ho fatto alternanza scuola-lavoro, seguita da un tutor scolastico, che era incaricato di contattare l’azienda predisposta per me ed altre mie compagne. Ho lavorato fuori Rovigo, ad Adria, al Museo MAAD dove la mansione principale era la guida alle opere in esposizione; nonostante questo non si colleghi al mio percorso di studi ci hanno anche fatto tradurre le biografie degli artisti e le descrizioni delle loro opere per il sito del museo. Su questo lato mi sono trovata bene sul luogo di lavoro, grazie anche alla disponibilità dei datori a cui facevamo riferimento, la pecca sta nel fatto che Rovigo-Adria sono a mezzora di distanza e per recarci a lavoro abbiamo dovuto prendere una corriera a nostre spese. Di conseguenza oltre ad aver lavorato per 100 ore gratuitamente abbiamo pure pagato il trasporto. Siamo sicuri che quello che è successo sia legittimo? È questa l’alternanza che vogliamo? Caterina Nale caterinanale@gmail.com
Alternanza scuola lavoro “Liceo Scientifico P. Paleocapa” l Paleocapa è iniziato tutto presto nell’anno scolastico 2015-2016. Gli studenti dell’istituto hanno iniziato molto prima di quelli delle altre scuole di Rovigo con le dodici ore di corsi sulla sicurezza sul posto di lavoro e con le riunioni tra la Dirigente e i genitori per stabilire le linee guida
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SCUOLA
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dell’anno. Per quanto riguarda le riunioni sono state a mio parere mal gestite in quanto le informazioni fornite ad inizio anno sono poi entrate in contraddizione con quelle fornite alla fine e c’è stato poco dialogo tra le due parti interessate che spesso sono venute allo scontro. Infatti in un primo momento era stato detto che gli studenti delle classi coinvolte nell’alternanza dovevano svolgere le attività assegnate solo con alcuni enti scelti dalla Dirigente (erano addirittura state rifiutate le proposte di alcuni genitori che offrivano la possibilità di collaborare con alcuni enti con i quali avevano contatti); in un secondo momento questa affermazione è stata ritrattata e si è detto che qualunque ente sarebbe andato bene per le ore di lavoro estive e dell’anno successivo. Questa nuova direttiva è, sempre a mio parere, ingiusta nei confronti degli studenti in quanto avvantaggia coloro che dispongono di maggiori conoscenze in ambito lavorativo e rende tutto più complicato per coloro che non ne dispongono. A fine anno il malcontento è molto tra gli studenti, tra i genitori e tra i professori. Per svolgere al meglio questa attività si dovrebbe collaborare a prescindere, ma purtroppo il clima è fortemente degenerato a causa dei contrasti e delle incomprensioni.
scolastico. Frequentando il liceo economico sociale, ho scelto di lavorare in uno studio legale, trovato tramite conoscenze personali. Dopo aver preso confidenza con il linguaggio specifico richiesto, gli ambienti e le mansioni, vi posso garantire che è stata una delle esperienze più formative di tutto il mio percorso scolastico. Ho avuto la fortuna di lavorare e rapportarmi con persone molto gentili e disponibili, all’interno dello studio, e altrettanto competenti all’esterno. La mia tutor scolastica mi ha seguita con costanza, così come la mia tutor aziendale. Quest’esperienza mi ha fatto chiarezza riguardo il mio futuro e il percorso che vorrei intraprendere, dopo le superiori. Probabilmente l’unica nota negativa è stata dover fare tutte le 120 ore (le altre 80 erano di “teoria”) durante l’estate, togliendomi la possibilità di essere retribuita facendo un lavoro “vero”. Anna Tesi annatesi13@gmail.com
Dubbi sull’alternanza Scuola-Lavoro?
Visita il sito: alternanzagiusta.it per risolverli
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pesso mi è capitato di sentire persone lamentarsi dell’alternanza scuola-lavoro e questo, devo dire, mi ha fatta preoccupare molto. Titubante e spaventata, ho cominciato l’esperienza il giorno dopo la fine dello scorso anno
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CULTURA
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La musica indie italiana
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a qualche anno a questa parte si sente sempre di più parlare all’interno dell’industria discografica di musica indie, ma cos’è la musica indie? L’indie è la musica di chi vuole esprimere un’arte pura e senza filtri, compresa da pochi o molte volte non compresa affatto dai critici musicali. La particolarità di questo genere è l’assenza di regole: non esistono etichette affinchè qualcuno possa essere definito indie. Nell’ultimo periodo in Italia stanno nascendo molte nuove band, e oggi abbiamo deciso di farvene conoscere 7: 1) I TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI Nascono nel 1994 a Pordenone per iniziativa di Davide Toffolo che è anche la voce del gruppo. Il loro genere può essere definito indie rock. Una particolarità del gruppo è che ha deciso di non donare la propria immagine ai media e di immaginarsi dentro la matita di Toffolo, popolare disegnatore di fumetti, e di nascondersi inoltre dietro maschere/teschio divenute simbolo dell’immaginario evocato dai testi e soprattutto dagli spettacoli live. Le due loro canzoni che vi consigliamo sono: “Il mondo prima” e “la mia vita senza te”. 2) THE ZEN CIRCUS Nel 1994, all’età di 16 anni, Andea Appino (chitarra e voce) e Marcello ‘Teschio’ Bruzzi (batteria) decidono di formare una band. Nel 2009 pubblicano il loro sesto album, intitolato Andate tutti affanculo (Unhip/La tempesta), che vede la band per la prima volta produrre un disco cantato completamente in italiano. Vengono definiti indie punk e il loro è un rock di protesta societaria. Il nome del gruppo fa riferimento a Zen Arcade e a Metal Circus, entrambi lavori pubblicati dal gruppo Husker Du. Le due loro canzoni che vi consigliamo sono: “Andate tutti affanculo” e “Viva” 3) I MINISTRI Federico Dragogna (paroliere, chitarra e cori), Davide “Divi” Autelitano (voce e basso) e Michele Esposito (batteria) si conoscono al liceo e nel 2003 formano il gruppo con un amico tastierista (Emiliano Eva). Il nome del quartetto era inizialmente Ministro del Tempo. I ministri dotati di un’etica da “working class heroes” che si esprime nell’aver girato gli ultimi due anni col classico furgone tutta l’Italia con centinaia di date, si conquistano il pubblico concerto dopo concerto. Le due
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loro canzoni che vi consigliamo sono: “Noi fuori” e “La pista anarchica” 4) I CANI I Cani sono il progetto musicale del cantautore romano Niccolò Contessa, con tre album all’attivo. I testi hanno continui riferimenti alla quotidianità e all’attualità, canzoni piene di oggetti, marche, tic, personaggi che l’anno prossimo o al massimo quello dopo ancora chi se le ricorda più. Canzoni da nuovo millennio, appunto, i personaggi e le situazioni descritti nelle canzoni tendono, con il loro citazionismo, a riferirsi all’ambiente musicale indipendente italiano. Le due loro canzoni che vi consigliamo sono: “Lexotan” e “Post punk” 5) LO STATO SOCIALE Propongono un elettropop piacevole e divertente, tra gli esponenti di spicco del loro genere, formato da tre DJ di una radio indipendente bolognese, nel 2011 hanno ampliato il loro organico mettendo piede anche nel rock. Nel febbraio 2012 Lo Stato Sociale pubblica il primo album in studio “Turisti delle democrazia”. Le due loro canzoni che vi consigliamo sono: “La rivoluzione non passerà in Tv” e “Mi sono rotto il cazzo” 6) CALCUTTA Calcutta è un giovane cantautore di Latina, Edoardo D’Erme, ventisei anni. Dal 2007 fonda e partecipa instancabilmente a centinaia di band fallimentari e rumorosissime nella sua città. Nel 2009 fonda il duo musicale Calcutta. In seguito all’abbandono dell’altro membro, Marco Crypta, Calcutta mantiene il nome, che come dichiarato in un’intervista dice essere casuale e non avere un senso definito. Le due sue canzoni che vi consigliamo sono: “Cosa mi manchi a fare” e “Gaetano”. 7) L’ORSO L’orso è un progetto che nasce nel 2010 a Ivrea dove, per mano di Mattia Barro, nascono le prime canzoni e, nel febbraio 2011, il primo EP autoprodotto, L’adolescente. L’Orso è un progetto che punta alla continua evoluzione sonora ed estetica. Già dai primissimi EP che culminano nel primo disco L’orso, la band era riuscita ad affermarsi nell’indie italiano grazie ad un suono ed un’immagine twee molto definite e originali. Le due loro canzoni che vi consigliamo sono: “Con i chilometri contro” e “Quello che manca”. Sara Magagna
Thank you for smoking
È
dagli anni settanta che è vietato fumare al cinema. Poi è toccato ai luoghi pubblici, agli uffici, ai treni e agli aerei. E oggi non si può fumare all’interno dei cancelli della nostra scuola. Io non sono qui per parlarvi del contestato divieto, ma appunto, di cinema. Infatti vi presento e consiglio un film, che con quel black humor che ci piace tanto affronta l’argomento scottante. Thank You For Smoking, film del 2005 diretto da Jason Reitman, è una commedia narrata in prima persona dal protagonista Nick Naylor (Aaron Eckhart), un lobbista al servizio della Big Tobacco, multinazionale delle sigarette. Ma chi è un lobbista? È uno che parla. Questo fa Nick Naylor, utilizza la sua parlantina per convincere milioni di persone che una cosa che fa male in realtà non lo faccia. Si deve accaparrare per mestiere il disprezzo della gente e rimanere sempre sorridente. Adesso non pensate che questo film sia a favore del fumo, perché non lo è, ma non è nemmeno contrario. Durante tutta la pellicola di Reitman non viene accesa neanche una sigaretta, ma se ne parla a ogni secondo con graffiante ironia. Vengono mostrate le contraddizioni dell’industria del tabacco ma questo non è il tema principale. Perché al di là di chi abbia ragione o torto, al di là di fumatori e non fumatori, il vero
problema è la libertà di scelta. E in un certo senso è questo il fulcro su cui si basa il film, insieme alla dialettica come arma per modificare le opinioni delle persone e la verità. Temi così “impegnati” vengono affrontati con geniale ironia, come dice lo stesso Nick Naylor: “ Io non nascondo la verità… la filtro”. Irresistibili i dialoghi degli M.D.M. (Mercanti Di Morte) ovvero lo stesso Naylor e i suoi amici Polly Bailey e Bobby Bliss, che rappresentano gli alcolici e le armi, mentre si trovano a parlare di quanti morti facciano i rispettivi prodotti, con netta soddisfazione di Nick primo in classifica. Thank You For Smoking è una commedia che fa ridere e riflettere quindi vedete tutti quanti di procurarvela, rispolverate la vecchia tessera del videonoleggio, o trovate un altro metodo - altrettanto legale mi raccomando - per godervi questo film, magari con la compagnia di una sigaretta, o anche senza. Buona visione.
C
CINEMA
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Gran Budapest Hotel: il piacere di raccontare
i sono film che derivano da libri e danno l’impressione di essere strappati a forza dalla carta dove sarebbero dovuti rimanere o che cercano di portare sul grande schermo un’opera teatrale ma finiscono per essere una sua brutta copia; che forzano insomma una storia in un formato non suo, ritagliandola, riassumendola, riducendola ai minimi termini in nome di un adattamento non richiesto e non riuscito. D’altro canto ci sono film che fanno capire in ogni fotogramma di essere stati pensati fin da subito per essere tali, lasciandoci con la serena sicurezza di essere di fronte a cinema vero e non a una sua pallida imitazione. Grand Budapest Hotel non si accontenta di appartenere a quest’ultima categoria, vuole al tempo stesso trasmetterci l’emozione di sfogliare un libro pagina per pagina, la vicinanza alla storia che il teatro ci fa provare e la capacità unica del cinema di trasportarci ovunque la voce del narratore ci conduca. Non a caso il film inizia con una cornice narrativa dietro l’altra: un libro che si apre, il suo scrittore che ci racconta in che occasione ha conosciuto l’uomo che è sia protagonista che narratore della storia vera e propria. È come assistere a diversi sipari che si levano per poi a tratti riabbassarsi facendo intervenire dei personaggi delle cornici e facendo notare allo spettatore la complessa struttura narrativa che il regista vuole far risaltare piuttosto che nascondere (e in questa direzione vanno anche le schermate che dividono i momenti del film come e veri e propri capitoli, con tanto di numero e titolo). Grand Budapest Hotel racconta una storia per il gusto di farlo, per trasmettere a noi il piacere della narrazione che sembra animare ogni personaggio che entra in scena: tutti, dalla nobildonna al carcerato, sono impeccabili nell’esprimersi e nell’argomentare, giustificare, raccontare. Chi non parla è un elemento di contrasto, un antagonista, una forza che si oppone alla civiltà: dal sicario ai soldati intenti a preparare una guerra, è chi non padroneggia la parola a introdurre violenza e disordine. Ma nemmeno questi elementi di disturbo riescono a rompere le continue simmetrie che il regista ci propone nella
costruzione del set, nelle inquadrature, in alcune scene che si ripetono quasi identiche, nelle cornici narrative che si aprono e si chiudono in perfetto ordine. Come dicevo lo scopo di questo film non è solo raccontarci delle avventure di Mr. Gustave e Zero Moustafa, grottesca coppia formatasi nell’hotel che si trova intrigata suo malgrado nelle dispute ereditarie di una ricca famiglia nobiliare, ma anche di farlo con uno stile diverso e sorprendente, trasformando elementi che siamo ormai abituati a trascurare in nome dell’immersione e di una rappresentazione verosimile in segnali impossibili da ignorare che al contempo rompono e rafforzano l’illusione di essere di fronte agli eventi che appaiono sullo schermo. Questo ruolo eccentrico è affidato all’illuminazione che cambia irrealisticamente per sottolineare un punto del set o creare l’atmosfera adatta; alla colonna sonora che, mai invadente proprio come la musica di sottofondo di un hotel, ci fa rendere conto della sua presenza solo quando per un motivo o l’altro si ferma improvvisamente; ai movimenti della camera improvvisi e fulminei, alternati ad inquadrature grandangolari stranamente statiche; alle scene in cui l’hotel e il paesaggio che lo circonda vengono rappresentati con veri e propri modellini artigianali che sembrano usciti da film di altro tempo per dirci: “Ricordati che è tutta finzione”. Per riassumere lo spirito del film credo non ci sia frase migliore di quella pronunciata da Moustafa per descrivere Mr. Gustave e concludere il suo racconto: “Ci sono ancora deboli barlumi di civiltà lasciati in questo mattatoio barbaro che una volta era conosciuto come umanità. Lui era uno di loro” Così il regista abbassa con naturalezza il primo sipario e mentre fa lo stesso con gli altri ci invita a pensare a quanti film presi dalla smania di raccontare in tutta fretta e realisticamente dimentichino quella “civiltà” che fa del cinema un’arte: il piacere di narrare allo stesso modo in cui lo fanno degli attori su un palco o le pagine di un libro, solo con strumenti diversi. Marco Crosato marco.crosato98@gmail.com
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TERRITORI
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NOTIZIE DAI TERRITORI > > > V E RONA
Verona alla riscoperta del suo passato
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econdo Shakespeare non c’è mondo aldilà delle mura di Verona. Una visione prettamente romantica e, da un certo punto di vista, provinciale, mi hanno fatto sempre concordare e annuire quando sentissi ciò, con la massima convinzione, ovviamente. No, sinceramente non ho ancora cambiato idea, per un semplice motivo: ogni singolo giorno che passa, io noto con meraviglia qualche nuovo dettaglio, qualche piccolo scorcio, qualche ignoto simbolo che suscitano in me vero stupore per il creato. Molto spesso mi domando se io sia il primo a notare acutamente questi dettagli oppure sia solo l’ultimo di un’infinita serie di persone vissute prima e contemporaneamente a me. Ho notato, però, che pochi veronesi sono attenti a ciò che li circonda e i motivi per i quali questo avviene possono essere i più disparati: a parer mio, tuttavia, la causa principale è la frenesia con cui ci approcciamo alla realtà, una frenesia che ci porta a vedere solo di sfuggita il patrimonio culturale che ci hanno lasciato e che, in quanto tale, debba invece essere profondamente contemplato, rispettato e non dato per scontato. La ragione per cui vi scrivo è che io quest’anno inizierò l’Alternanza Scuola-Lavoro e quindi dovrò iniziare a schiarirmi le idee su come utilizzare le
duecento ore assegnate ai licei: pur potendo decidere io quale lavoro fare, mi è stato proposto di partecipare a “Verona Minor Hierusalem”, uno stage sulla valorizzazione delle opere meno conusciute della città. Per quanto io sia avverso all’alternanza per tutti i motivi che ben conosciamo e per cui abbiamo manifestato, penso che, forse, questo tipo di progetto potrebbe far risorgere molti luoghi di cui conoscono l’esistenza solo eremiti guardiani o anziani frati e che esso potrebbe essere motivo di accrescimento non solo culturale, proprio perché potremmo scoprire opere artistiche come affreschi, quadri, statue e periodi architettonici, ma anche perché, di conseguenza, potrebbe portare ad una città più mecenate piuttosto che interessata a fare profitto immorale, come successe quando il Sindaco Tosi fece adibire a pista da pattinaggio il Teatro Romano su richiesta di privati, mettendo potenzialmente in pericolo e sfigurando un monumento plurimillenario. Se, come spero vivamente che accada, questo progetto dovesse avere un buon esito, sarebbe un punto di partenza per rendere parte della “Buona Scuola” di Renzi un’effettiva lezione di vita e apprendimento per tutti gli studenti e le studentesse in Italia, anziché uno spreco improduttivo di ore e di giorni. Mevlana Andrade Fajardo m.andrade.fajardo@ alice.it
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> > > PA D O VA
La nostra voce in musica
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al mese di Ottobre 2015 ormai, a Padova, la giunta sindacale ha reso off-limits il centro storico della città a tutti quei Buskers e artisti di strada che trovavano nel suonare in piazza un’occasione per racimolare qualche soldo, raccontare chi sono e, soprattutto, far sentire la loro voce. Infatti è già da un anno che solo pochi luoghi all’interno delle mura cittadine sono ritenuti “adeguati” per permettere a questi artisti di esibirsi, e restano comunque accessibili solo a quelle poche persone giudicate dal sindaco “veri artisti” (con quali criteri, dopo un anno, ancora non è noto). Non riesco a capacitarmi del fatto che qualcuno possa avere il potere di giudicare cosa è arte e cosa no; probabilmente queste persone avranno una conoscenza talmente elevata dell’ambito artistico da potersi permettere una tale affermazione. Io di sicuro non godo di questo privilegio. Non scrivo questo articolo in quanto esperto d’arte o altro, ma per il semplice fatto che sono uno studente, come tutti voi, che sa bene cosa vuol dire riuscire a mostrare chi si è soltanto attraverso specifici linguaggi che non sono quelli delle parole. Ho sempre pensato che la musica, come l’arte, come la danza, fossero i modi più belli e immediati che una persona ha per poter condividere con il mondo circostante chi è, per far capire cosa prova e, forse, per capire anche un po’ se stessa.
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Dicembre 2016 - N.8 > > > PA D O VA Ho sempre pensato che fosse come dire “Ehi, ascolta questo; ehi guarda questo quadro. Quello sono io. Quella è la mia voce”. Una voce che, oramai troppo spesso, ci viene cancellata… Ho sempre adorato una frase di Jimi Hendrix che diceva : ”se nei campi di cotone avessero avuto le chitarre elettriche, le cose sarebbero cambiate molto più velocemente…” E aveva ragione. E’ con l’arte che si fanno le rivoluzioni. E’ con la musica che una città può veramente dire di avere una voce. Una voce forte. Una voce meravigliosa…. Ma allora perché sempre più spesso viene giudicata portatrice di degrado? Se portare una chitarra in piazza e mettersi a raccontare chi si è viene considerato solo rumore, se esporre le tue opere viene giudicato solo come occupazione di suolo pubblico, se tutto questo diventa solo degrado…beh allora a me il degrado piace. Dio se mi piace. E se la nostra società non capisce quanti colori noi giovani abbiamo dentro, beh, credo sia l’ora di iniziare a mostrarglielo. Come? Approfittate di ogni singolo briciolo di tempo che vi rimane e correte per strada, urlate, cantate con gli amici, scrivete poesie sui finestrini dei treni, ballate per strada, inventate canzoni, mostrate a tutti i vostri quadri, le vostre facce, le vostre storie. Mostrate voi. Fate vedere quanti colori abbiamo dentro. Fate capire che questa città, la nostra città, è molto più bella colorata e rumorosa, invece che silenziosa e grigia.
Quadri come porte
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bbene si, al liceo Duca D’Aosta di Padova con l’iniziativa “Una porta per il Duca”, promossa dal preside, tutte le porte - e non solo - dell’edificio scolastico sono opere d’arte di artisti emergenti padovani. Agli artisti era stato chiesto di decorarne una e renderla unica secondo il loro concetto di unicità ed il risultato e’ stato un meraviglioso mosaico con tecniche, materiali e messaggi diversi che accrescono il piacere di imparare. Le opere essendo state ideate da artisti non ancora affermati sono anche state un modo per rendergli visibilità’ e valore, considerando che, al giorno d’oggi ci sono poche occasiconi per esprimersi. Lo scopo di quest’idea era di inserire l’arte in un istituto in cui c’e’ solo la teoria rendendo lo storico edificio accogliente e stimolante. Il progetto nato l’anno scorso ha ottenuto diverse risposte. Una studentessa, ad esempio, di un istituto
differente sostiene che la priorità’ dovrebbe essere data alla struttura vera e propria del Duca, ma considera l’iniziativa bella ed originale. Anche gli studenti frequentanti l’istituto giornalmente hanno pareri contrastanti, ma per motivi prettamente personali in quanto sostengono che alcune opere non abbiano senso, un giudizio dettato dalla non presenza all’inaugurazione della porta e quindi dalla mancata spiegazione. Nella succursale, invece, il clima e’ differente dato che il progetto e’ stato destinato alla sola sede centrale; gli studenti sentono la mancanza delle opere o banalmente di un po’ di colore. Nonostante opinioni discordanti, entrare nella propria scuola ed essere circondati da colore, figure, disegni rende tutto più sereno. Manzari Asia e Barbieri Eleonora
Marco Nimis guitar.nimis@gmail.com
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TERRITORI
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>>>BELLUNO
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Mettiamoci in mezzo
opo anni di assemblee, manifestazioni e incontri con le istituzioni, ce l’abbiamo fatta: da settembre, prezzi ridotti su trasporto scolastico e convitto! Si chiama “Investi Scuola” il progetto promosso dalla Provincia di Belluno che consente agli studenti dall’A.S. 2016-17 di pagare meno l’abbonamento scolastico e il convitto. Si tratta di una grandiosa vittoria per la Rete degli Studenti Medi di Feltre e Belluno. Nelle campagne per il Diritto allo Studio promosse da entrambe le basi, il tema dei costi scolastici -specialmente quelli dei trasporti- aveva ormai da tempo assunto un ruolo centrale. 2013: i costi dei trasporti scolastici nel bellunese sono decisamente troppo alti. Fino al 2011 era in vigore “Unico Studenti”, una tariffa che garantiva prezzi uguali a tutti gli abbonati: tutti, indipendentemente dalla distanza, pagavano l’abbonamento alla fascia più bassa (0-5 km). La differenza del costo per chi superasse i 5 km era coperta dalla provincia. Dal 2013, invece, la scuola risulta sempre meno accessibile in termini economici. A soffrirne sono specialmente coloro che abitano lontano dal proprio istituto, e nel territorio bellunese, scosceso e frammentario, sono davvero tanti gli studenti costretti a lunghe distanze casa-scuola. Solo per fare un esempio, chi ha un abbonamento annuale di 30 km in autobus paga circa 500 euro. Nelle giornate di 27 settembre e 12 febbraio, la Rete di Belluno e la Rete di Feltre portano più di mille e trecento studenti a manifestare contro questa situazione insostenibile. La prima protesta, pochi giorni dopo l’inizio della scuola, riguarda in parti-
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colare i costi delle navette scolastiche: dal 2013, infatti, questo servizio smette di essere gratuito, gravando sulle spese di un gran numero di famiglie. Due densi cortei, uno a Belluno ed uno a Feltre sfilano provocatoriamente lungo i percorsi compiuti dalle navette. La seconda manifestazione si tiene il 12 febbraio a Feltre: trecento studenti marciano sotto lo slogan di “Uno per tutti, tutti per Unico”, rivendicando l’istanza comune di tariffe meno costrittive. Il corteo va a chiudersi nella stazione delle corriere in forma di assemblea pubblica. Qui, la protesta
sui trasporti offre interessanti spunti sul tema del diritto allo studio. “Unico Studenti”, infatti, non vuol semplicemente dire “risparmio economico per il singolo”, ma anche “benessere di un’intera comunità di studenti”, laddove l’accesso scolastico è garantito a tutti allo stesso prezzo, senza distinzione di residenza. Alle due manifestazioni del 2013 seguono incontri con Provincia, BIM e Dolomitibus. Nel 2014 il servizio navetta torna ad essere gratuito. Sempre all’insegna di Unico Studenti, ci si appella anche a tutti i candidati in corsa per le elezioni regionali 2015. Ad appoggiare la Rete bellunese sono i candidati Di Lucia, Coletti, Berti, Mo-
retti e Tosi. La stessa ministra Maria Elena Boschi dichiara di voler sostenere gli studenti bellunesi. Anche l’ex ministra dell’istruzione Carrozza si era espressa tempo prima dichiarando insostenibili i costi degli abbonamenti scolastici in provincia di Belluno. Ora, nell’autunno 2016, il sogno di un servizio di trasporti più funzionale ed economico si è avverato: grazie a “Investi Scuola” le tariffe saranno ampiamente ridimensionate. Funziona così: si scala il prezzo del 2013 in base alla distanza da percorrere; maggiore è la distanza, maggiore è lo sconto. A beneficiarne saranno soprattutto coloro che abitano lontano, gli stessi su cui pesavano maggiormente le tariffe del 2013. “Investi Scuola” punta ad agevolare altre forme di scolarità, come gli stages/tirocini. Anche i costi dei convitti saranno ridotti mediante rimborso e si baseranno sulla distanza casa-convitto. È solo garantendo uguali possibilità di accesso scolastico che lo studente può scegliere la scuola in base alla volontà personale, non alle contingenze, infatti solo così può davvero fiorire il seme che c’è dentro di noi. Questa vittoria ci sta insegnando molto, primo fra tutti che nulla è impossibile. Dobbiamo sempre puntare alla cima, quanto più siamo determinati, tanto più possiamo raggiungerla. Non dobbiamo lasciarci scoraggiare da nulla. Ci fa capire che insieme si arriva dappertutto. Il termine “sinergia” ricorda tanto una parola magica. E non è un caso. Giulia Jannon jannon.giulia@gmail.com
>>> ROVIGO
> > > V E N E Z IA
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Ocio ae gambe
Resistiamo”. E’ questo lo slogan coniato da “I ragazzi della Generazione 90”, con il quale intendono proclamare i loro diritti, così come quelli di tutti i Veneziani. Una giornata calda, afosa, quella del 10 Settembre. Venezia è riempita di carretti colorati e per una volta le strade, le callette e I vari campi sono stati “occupati” dai veri abitanti di questa caratteristica e unica cittá . “OCIO AE GAMBE” urlavano. Perchè é nata questa idea? L’abbiamo chiesto ad Alvise Aranyossy (associato del gruppo Generazione ’90) che ci risponde con : ”Di turisti, Venezia, ci vive, non ci deve morire”. Un pensiero che racchiude e che raccoglie in sé le più svariate opinioni, ma che denota l’indignazione dei veneziani. Ma indignati per cosa? Perché osservano in silenzio come Venezia stia diventando sempre di più un parco giochi simile a Disneyland, come afferma Settis, e come i turisti portano al degrado la cittá gettando le cosiddette “scoasse” dove capita. Pretendono rispetto per le proprie strade. La chiusura di botteghe artigianali e librerie per far spazio a negozi a misura di turista, crea ribrezzo nel cuore di tutti. Sono indignati perchè l’amministrazione dà più importanza al turismo che alla residenza. “Noi ci siamo ancora” ci dicono Stefania e Donatella , promotrici dell’associazione “ San. Francersco della Vigna” (piccolo associazione che organizza 1 settimana di festa per San. Antonio). Il corteo é partito da Rio Terà San Leonardo per concludersi a Rialto Mercato. Per una volta i Veneziani sono stati i protagonisti della propria città, sventolando bandiere con il leone di San Marco, agitando i loro carretti , facendo dondolare
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pentole con affissi fogli che recitavano “Assemblea dei cittadini o ci fanno a pezzettini”, tenendo per mano bambini che vorrebbero fare la spesa in pace con il proprio papà o la propria mamma. Dopo i vari saluti e ringraziamenti da parte del promotore della manifestazione, nonchè dell’associazione, sono riuscita a fare una tranquilla chiacchierata con Gianpietro Gagliardo. Questa manifestazione ha preso forma grazie alla volontà di dimostrare che Venezia vive con persone che, ovviamente, hanno una vita con propri ritmi ed esigenze non dettate esclusivamente dall’accoglienza turistica. Si vuole far capire che ormai è quasi impossibile compiere un gesto quotidiano come fare la spesa, ovvero il sentirsi estraniati dall’essere cittadini del proprio quartiere, delle proprie strade e palazzi. Questo “Grido di normalità” ha preso la pancia delle persone. Tutto questo per chiedere un controllo del flusso turistico: il massimo di turisti che Venezia potrebbe ospitare sono 25 mila persone, ma al giorno d’oggi ne ospitiamo 30 mila. Questo non giova alla Laguna poichè molti visitatori sono escursionisti ‘mordi e fuggi’ (ovvero gente che si ferma solo per una giornata) apportando meno incasso alla città. Nonostante Venezia viva sul turismo gli abitanti vorrebbero meno turisti e più residenti. Un giorno noi , generazione di ragazzi, riusciremo a dare vita a una nuova Venezia oppure dovremmo soccombere a progetti come “Acqua alta 2060”? Noi Veneziani ci ridurremmo ad indossare parrucche e crinolina per allietare la triste commedia all’italiana, o prenderemo in mano il destino della nostra città?
È
Celio in centro
stato comunicato che il Liceo Linguistico e Classico Celio, edificio antico e storicamente situato nel centro della città di Rovigo dal 1860, sarebbe stata trasferita in periferia al posto dell’IPC Marco Polo, a sua volta sposato in centro. Questa decisione presa dalla preside senza consultazione alcuna di professori, alunni o genitori ha suscitato non poche polemiche, tanto che in breve tempo è nato un Comitato che, in tre giorni, ha raccolto 1800 firme dalla cittadinanza intera che si è vista portato via un luogo di storia e cultura da un centro storico già svuotato. L’accaduto ha suscitato risonanza viste le deboli motivazioni della preside, la quale dichiara l’edificio inagibile e non sicuro, nonostante fino all’anno prima queste problematiche non fossero mai state rivelate. Certamente è un edificio vecchio, ma se messo a confronto con l’IPC in cui vi è presenza di amianto questi problemi sono più che risolvibili, senza tener conto del fatto che negli anni sono stati spesi molti soldi per rifare i laboratori e l’aula magna la quale trasferitisi all’IPC andrebbe persa insieme anche ad alcuni laboratori. Attraverso la petizione siamo riusciti a restare nella nostra scuola ancora per un anno ma non senza problemi. Sono state sposate a Palazzo Campo le classi 3°-4°-5° del linguistico e una sola 5° del classico da sempre in sede; Palazzo Campo è un edificio che era utilizzato per prime e seconde come succursale dato che la sede non ha abbastanza aule. Questo spostamento è andato a nuocere ai ragazzi perché si vedono impossibilitati nell’utilizzo dei laboratori linguistici presenti in sede, diritto da loro garantito nel P.O.F. (Piani dell’Offerta Formativa). Il futuro della nostra scuola è incerto, non sappiamo se l’anno prossimo riusciremo a restare; ora il dibattito è aperto anche fra provincia e comune. Un comitato è nato anche all’interno della scuola e non ci fermeremo finché su questa vicenda non sarà posta la parola fine. Caterina Nale caterinanale@gmail.com
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OROSCOPO
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L’oroscopo dello studente Ariete 21/03 - 20/04 “A tutti i giovani raccomando: aprite i libri con religione, non guardateli superficialmente...” Questo mese Alda Merini ti accompagna nello studio e nella lettura. Non farti prendere dall’abbattimento e dalla noia ma affronta anche il dovere con entusiasmo e curiosità.
Leone 23/07 - 22/08 “Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera”. Scrivi questa frase di Neruda ovunque, tranne che sui social, e ti sarà di buon auspicio per ritrovare la speranza nei momenti più bui, per far sbocciare la tua primavera.
Sagittario 22/11 - 21/12 “Nessun vascello c’è che, come un libro, possa portarci in contrade lontane.” Anche se sei bloccato fra i banchi di scuola, la tua immaginazione vola in posti lontani. Ma non puoi mollare tutto e seguire il tuo desiderio, quindi prendi spunto da E. Dickinson e immergiti in una lettura che ti porti lontano!
Toro 21/04 - 20/05 “Devi augurarti che la strada sia lunga che i mattini d’estate siano tanti” Come dice C. Kavafis, è giunto per te il momento di preparare un nuovo viaggio, che sia insieme alla tua classe, o finita la scuola (magari un bel viaggio di maturità!). Quindi non avere paura e parti, il mondo ti aspetta!
Vergine 23/08 - 22/09 “Io vivo nei miei sogni. Anche gli altri vivono nei sogni, ma non nei loro, ecco la differenza.” Cara Vergine, H. Hesse questo mese ti invita a guardarti intorno, ma soprattutto a guardare dentro te stesso per capire quali sono veramente i tuoi desideri e trovare te stesso in un mondo di finti sognatori.
Capricorno 22/12 - 20/01 “Piuttosto che fermarsi a mezza via, val meglio non cominciare.” Interiorizza questa massima di Montale, Capricorno, e scoprirai un modo nuovo di risparmiare energie preziose per i progetti che hai più a cuore. Unica eccezione: questa filosofia non si applica allo studio!
Gemelli 21/05 - 21/06 “La pazienza è la più eroica delle virtù”. E se lo dice Leopardi, deve essere proprio vero! Anche se in questo periodo sei sopraffatto da impegni, verifiche e interrogazioni, non farti prendere dal panico, e affronta tutto con pazienza e serenità. Dopo tutto, non manca così tanto alle vacanze di Natale. Cancro 22/06 - 22/07 “il vero amore è una quiete accesa” Ungaretti fa capire che questo sarà per te, caro cancro, il mese delle scoperte. Se hai già una relazione troverai nel tuo partner nuove piccole cose di cui innamorarti, se ancora non hai trovato l’anima gemella, comincerai a vedere in una persona a te molto cara degli aspetti diversi e interessanti.
Bilancia 23/09 - 23/10 “Oh! Come è necessaria l’imperfezione per essere perfetti!” Dolce bilancia, questa frase di G. Pascoli ti aiuterà questo mese ad affrontare quel piccolo difetto di te che tanto ti fa impazzire. Ricorda: non esiste la perfezione!
Acquario 21/01 - 19/02 “I problemi non si risolvono, si vivono.” Ricorda le parole di Pasolini la prossima volta che ti trovi in una brutta situazione: cerca di essere meno freddo e distaccato, ma immergiti con le braccia e con il cuore nei tuoi problemi per uscirne fresco e rinato.
Scorpione 24/10 - 21/11 “Non c’è nessun amico più leale di un libro.” Il buon vecchio Hemingway ti dice che è il momento di smettere di guardare serie tv e di tuffare il naso in un libro dove potrai forse trovare molte risposte diverse a una domanda che ti poni da tanto tempo!
Pesci 20/02 - 20/03 “Perché chi è bello, non è bello che il tempo di guardarlo, chi è nobile sarà subito anche bello.” La poetessa Saffo non vuole dire che ti innamorerai di una persona bruttina: cerca di guardare con questi occhi il mondo intorno a te e scoprirai la vera bellezza delle cose dimenticate dagli altri.
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TEMPO LIBERO
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L’ora di italiano
È
Lettera a una professoressa
una tranquilla e uggiosa mattinata di scuola al liceo Marco Polo di Venezia. Fisso la finestra, un po’ annoiata dalla spiegazione, il mio riflesso si sovrappone con ciò che c’è fuori, e l’intersezione tra i miei lineamenti e le increspature d’acqua del canale crea un gioco di riverberi quasi magico. Mi sto distraendo. La professoressa di inglese si avvicina silenziosamente al mio banco, ma io sono troppo intenta a fissare quel vetro un po’ sporco per accorgermene. “Lo scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre.” La finestra si apre di colpo davanti al mio sguardo sonnolento. La mia testa ritorna in aula, mi volto, un po’ sorpresa: “Lo diceva Sydney J. Harris, un giornalista americano, sai?” A volte noi studenti necessitiamo semplicemente di ispirazione. Di qualcuno che guidi il nostro sguardo verso gli innumerevoli orizzonti nascosti dietro la nostra quotidianità. La piccola scena che ho appena descritto non si è mai verificata. È la mia personale proiezione immaginaria di una realtà molto più grigia: l’altro giorno, tornata da una delle tante uggiose mattinate al Liceo Marco Polo di Venezia, ho visto su facebook uno stato di una professoressa della mia scuola. “Un altro salvataggio,
ma non potevate lasciarli morire…”. Ho immaginato quella professoressa, nella situazione (abbastanza realistica) di me che, distratta, guardo fuori da quella finestra, piazzarsi davanti a essa e cominciare ad abbassare le tapparelle, ad oscurare il vetro, a murarla per sempre. Le parole che scrive sono più pesanti dei mattoni della mia fantasia: «morissero tutti», «vi brucerei vivi», «E poi ho torto quando dico che bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti futuri delinquenti». Cosa accade quando un docente, anziché utilizzare quelle preziose ore di spiegazione ad insegnare ai suoi studenti come affrontare con mente lucida e aperta la complessità del mondo esterno, sceglie di condividere sul web frasi di odio, che sfiorano l’esortazione alla pulizia etnica? Che cosa avranno pensato i suoi studenti, cogliendo in classe riferimenti al pensiero di questa insegnante, leggendo la sua bacheca? Sono domande che da qualche giorno mi tormentano. Venezia è piena di finestre e di ponti. Ho sempre creduto che anche la scuola debba essere così, e mi rattrista profondamente notare come non tutti, anche solo all’interno del mio Liceo, condividano questa mia concezione. I valori dell’istruzione pubblica, in quanto tale, dovrebbero essere gli stessi della nostra
Costituzione: uguaglianza e dignità sociale davanti alla legge così come in tutti gli ambiti della vita, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica (e della scuola, in quanto modello della stessa) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Sono nozioni semplici, accessibili e (teoricamente) accettate da tutti. Noi studenti, noi giovani questo lo abbiamo ben chiaro. In certe occasioni forse è opportuno rovesciare il paradigma docente che insegna – alunno che apprende e lasciare che, per una volta, siamo noi giovani a dare una lezione di civiltà a quella professoressa. Anche le bacheche facebook sono piccoli specchi virtuali, e bisogna usarli con coscienza di ciò che si dice e del proprio ruolo sociale. Trasformarli in finestre, non imbrattarli di odio e ignoranza. Noi guardiamo fuori, professoressa. E lei? Caterina Franco, studentessa del liceo Marco Polo di Venezia
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