Il Mancino - Numero Tre

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Giugno 2015 - N.3

NUMERO TRE La primavera, le prime giornate calde, le corse per finire il programma, gli ultimi voti, le interrogazioni per recuperare le materie non del tutto sufficienti. Sono così le ultime settimane di scuola, distratte da un’estate tanto attesa e che arriva ogni anno troppo tardi. E noi, nonostate l’afa che sempre più si fa sentire, siamo qui con una bibita fresca, immersi tra computer e fogli di ogni tipo ad impaginare il terzo numero di questo giornalino. Un numero che ci piace molto, con articoli sempre più vari, che toccano temi spesso tutt’altro che banali: dalla Diaz fino al proibizionismo, passando per argomenti più tranquilli come i campeggi estivi. In questo giornalino diamo spazio anche a riflessioni di alcuni affezionati (e non): ricordate sempre che questo giornalino è nostro, di noi studenti, ed è uno spazio libero, sfruttatelo! Fa anche molto piacere ricevere articoli anche da fuori Veneto, segno che il progetto de Il Mancino sta crescendo e si sta facendo conoscere. Per questo numero abbiamo deciso di fare le cose in grande: abbiamo lanciato il #MancinoTour! Verremo noi da voi, per conoscervi e scambiare quattro chiacchere (tutte le info nell’ultima pagina). Un grazie a tutti voi che ci leggete, ci scrivete, ci supportate. Un grazie particolare a tutte le basi della Rete degli Studenti Medi che ci aiutano nella stesura e che hanno organizzato decine di eventi per il nostro tour. Augurandovi buona lettura, vi auguriamo anche delle splendide vacanze estive, certi che avrete voglia di raccontarcele con un articolo. Ci rivediamo a settembre tra i banchi di scuola, già dal primo giorno, con il quarto numero. La Redazione redazione.mancino@gmail.com

scrivici a redazione.mancino@gmail.com

Fare la differenza: Verona Pride 2015

Sarà la città di Verona ad ospitare il Pride del Triveneto 2015. L’ha annunciato il Comitato Verona Pride durante la conferenza stampa del 9 dicembre scorso. L’evento, afferma in una nota il presidente di Arcigay Verona, Alex Cremonesi, rappresenta «l’occasione per quella svolta culturale di cui la città ha un disperato bisogno, capace di coinvolgere tutti i cittadini ormai stufi del pesante clima d’intolleranza verso ogni diversità... ...segue a pagina 9

Il proibizionismo ha fallito

E finalmente a dirlo non è il “primo che passa”, bensì la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia in cui, trattando di droghe leggere, una volta citati i dati sul consumo (in Italia vengono consumati ogni anno tra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi di cannabis) e sottolineato il fatto che il quantitativo sequestrato è 10/20 volte inferiore a quello consumato... ...segue a pagina 10

Caro Matteo, lasciati spiegare come si fa una scuola #buonaxdavvero

Ma per essere uno che capisce la scuola basta così poco? Una lavagna, un gessetto, una spruzzata di retorica e tanto tanto pressapochismo? Oppure serve confrontarsi con gessetto e lavagna, e dedicare a studio e istruzione, da studente, da professore, buona parte della propria giornata? ...segue a pagina 15

Salvarsi da un caldo che non soffoca: RevolutionCamp 2015

Nella torrida estate dello studente italiano si ha sempre più frequentemente una sensazione di vuoto. Mentre l’afa riempie le narici e la pesantezza del risveglio siede sul petto ci chiediamo “che faccio oggi?” consapevoli che decidendo di andare a fare un giro in centro città con molte probabilità si finirà sulla sedia di un bar, a cercare ristoro in bibite fresche e sigarette bollenti... ...segue a pagina 5


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Una moderna crociata per salvare la curiosità

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a curiosità, motore della nostra vita, è entrata in declino. È l’allarme lanciato da Alberto Manguel, scrittore argentino contemporaneo, nel suo ultimo libro Una storia naturale della curiosità. Un libro amato dalla critica e da moltissimi lettori, che offre numerosi percorsi di lettura al suo interno attraverso la presenza di leggende, testimonianze dirette, citazioni, immagini, e raccontando una storia. Racconta la perdita graduale e inarrestata degli “Echi di felicità” affogati da un “sistema che emargina l’immaginazione, le domande, la ricerca dell’essere diverso e l’educazione all’umanità, che da le spalle all’essenza di un vero essere umano favorendo la tecnicizzazione, la produttività e il consumismo”, si lamenta lo scrittore. Alberto Manguel è nato a Buenos Aires nel 1948 e ha vissuto tra Israele, Italia, Inghilterra, Tahiti, Canada e Francia. Eslploratore felice del mondo, presenta la “storia naturale della curiosità” rispondendo ad alcune domande che rappresentano i classici interrogativi che servono ad ognuno di noi per curiosare nella propria vita e invita chi leggerà il suo libro a fare altrettanto, per far risorgere la curiosità.

Perché un libro sulla curiosità all’inizio del XXI secolo? “Ci sono certi interrogativi che ci facciamo in diversi momenti della nostra vita. Da bambini la prima domanda è “perché?”, poi nel corso degli anni le domande cambiano e quando arrivi alla vecchiaia tornano quelle della giovinezza, con la differenza che il sentimento non è voler trovare una risposta, bensì soffermarsi nel piacere della domanda.” Perché la società e il potere accantonano la curiosità? “Se costruisci una scatola quadrata, devi creare elementi con angoli retti affinché entrino in essa. Se crei una società di consumo devi creare consumatori, altrimenti non funziona. Il sistema deve impedire che tu ti faccia le- domande essenziali perché in tal caso non ci sarebbe più il consumismo sfrenato di cui questo ha bisogno. Per questo la società non favorisce la riflessione. E’ un sistema depredatore che cerca il beneficio in una struttura produttiva.”

Dove possiamo trovare il miglior alleato per la curiosità e l’immaginazione? “Nei personaggi anonimi, nei vari bibliotecari, professori o librai che credono nell’intelligenza dei giovani. Questa lotta si fa ogni giorno più difficile perché la società vuole solamente consumare. Ci sono anche opere maestre come il film Timbuktu, di Abderrahmane Sissako, il cui lavoro avrebbe abbagliato persino Borges. Il trionfo dell’immaginazione senza formule da Hollywood sull’estremismo religioso. L’intervista continua e l’autore cita l’immancabile influenza che ha avuto Dante nella sua concezione della vita, che è cambiata radicalmente dopo la scoperta della Commedia, la quale gli ha offerto una interpretazione dell’esistenza e del ruolo della cultura nella vita di ognuno che l’ha guidato nell’iniziare la sua “crociata” per salvare la curiosità. Conclude appellandosi a noi studenti, dicendo: “Niente è fuori portata per i giovani. Al giorno d’oggi abbiamo paura degli ostacoli che incontriamo e ci dimentichiamo che proprio dalle situazioni di tensione e difficoltà si sono originati gli avvenimenti che hanno cambiato il corso della storia”.

“Se costruisci una scatola quadrata, devi creare elementi con angoli retti affinché entrino in essa.”

Come possiamo avanzare nella curiosità sui noi stessi? “La domanda che iniziamo a porci quando da piccoli ci rendiamo conto che ciò che chiamiamo “noi” è diverso dal mondo esterno e fa sorgere la domanda “chi sono io?”. Si può iniziare a rispondere attribuendo a se stessi caratteristiche e valori, però soprattutto facendo domande circa l’identità dell’altro, visto che l’essere umano si definisce per opposizione con l’altro, attraverso l’occhio altrui. Mano a mano che ci poniamo questi interrogativi scopriamo quelli che il mondo esterno si pone verso di noi. La vita è un processo di individuazione che non finisce mai”. Da chi o cosa siamo fatti? “Quegli occhi o visioni esterne ci definiscono, ma anche, nel caso dei lettori,

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siamo definiti anche dai personaggi della letteratura, dalle arti”.

Per saperne di più consiglio la lettura del libro che sta scuotendo le coscienze di tutto il Sud America e che affida a noi giovani il compito di riprendere ad essere curiosi, ad agitarci per conquistare la curiosità, la migliore alleata della Libertà. L’articolo in lingua originale su: http://goo.gl/QxR5MS Mariavittoria Sartori marisartori97@gmail.com


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L’incontro col dolore ci ricorda che siamo umani

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l migrare è un’azione tipica dell’essere umano che si è sempre caratterizzato per il “nomadismo”, ovvero l’infinito viaggiare alla ricerca di luoghi favorevoli alla propria sopravvivenza. Quest’esperienza innesca tutta una serie di meccanismi psicologici e sociali che segnano e cambiano l’individuo specialmente quando è giovane, la mente è infatti più malleabile, elabora e si adatta facilmente a nuove abitudini e modi di pensare. Il passaggio di un confine e quindi di un limite implica una condizione che provoca un senso di smarrimento che può sfociare in un rifiuto della nuova cultura e in un attaccamento ossessivo alla propria, che si teme di perdere. Le nuove società devono potersi avvalere di strumenti che possano supportare i nuovi arrivati, ammortizzando lo shock del contatto con una nuova realtà nella quale sono stati immersi. Una buona gestione dei conflitti, la promozione della pace e della difesa dei diritti umani, il riconoscimento della diversità come ricchezza, sono tutti presupposti di un’educazione interculturale di cui la scuola dovrebbe farsi principale promotrice. Il termine “culturale” implica la coesistenza di più culture ma non la relazione tra esse, che restano chiuse in se stesse e confinate in dei ghetti mentali; è invece “interculturale” la parola che presuppone uno scontro-confronto che può generare

nuovi significati a discapito dell’accettazione passiva delle diversità. Numerosi pedagogisti sottolineano l’importanza della narrazione per una pedagogia interculturale che si avvalga dello strumento del racconto col fine di sprigionare la memoria culturale-personale del narratore ed evocare nuove dimensioni nell’ascoltatore che apprende che lo “spazio” in cui vive è solo uno dei tanti possibili e immaginabili. La realizzazione di spazi di confronto nell’accoglienza di giovani stranieri dà loro la possibilità di espandere la loro cultura oltre i confini e di rivivere, seppur per poco, ciò che hanno lasciato nel loro paese di origine. È proprio grazie alla creazione di questo spazio di aggregazione e socializzazione condiviso con alcuni migranti (ospiti in

una struttura nella mia città) che alcuni miei compagni di classe, che prima si esprimevano in termini razzisti ed estremisti rispetto alla tematica “immigrazione”, hanno avuto modo di farsi un’idea più vasta e obiettiva della questione. Il primo incontro, nel quale abbiamo potuto far loro delle domande è stato solo il primo dei tanti a seguire, abbiamo infatti avuto modo di rincontrarci alla marcia di solidarietà in memoria delle stragi nel Mediterraneo e durante una “pizzata” alla quale sono seguiti momenti di gioco, risate e musica. Notavo gli sguardi attoniti dei miei compagni mentre i migranti ci spiegavano cosa avevano passato prima e durante il lungo viaggio della speranza.. credo che le loro esperienze di dolore non potessero non spingerci a entrare in empatia riconoscendoci in loro e accettandoli completamente non come “altri” ma come immagine di noi stessi. Vorrei chiudere con una riflessione scritta da un mio compagno di classe che credo molto significativa : “Attraverso i loro sguardi e le loro parole è impossibile non entrare in sintonia e condividere un po’ delle loro sofferenze, anche se in realtà non le abbiamo mai provate. Le condividiamo in quanto siamo umani. Non si incontrano le culture, bensì le persone: in virtù di ciò sta a noi permettere che camminino per strada senza avere il timore di essere uccisi, invece che dalle armi, dai nostri sguardi e dalle nostre parole.” Francesca Basso francesca_basso@hotmail.com

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WANTED: legge regionale Un pianeta ormai per il diritto allo studio stretto M entre scrivo questo articolo, manca ormai poco alle elezioni regionali del 31 maggio. Si sente parlare di trasparenza, di lavoro, di sanità, di immigrazione. Temi importanti che però soffocano uno centrale per una regione che vuole essere veramente avanzata: l’istruzione. La legge regionale per il diritto allo studio in Veneto risale al 2001 e conta di una manciata di articoli incentrati su fantomatici “buoni scuola” che nessuno ha mai visto. Mentre lo Stato con la cosidetta “Buona Scuola” volta le spalle alla scuola pubblica, è fondamentale che il Veneto dia una forte spinta verso una scuola inclusiva, gratuita, pubblica e democratica. Sono inoltre convinto che la spinta per rendere effettivo il costituzionale diritto allo studio ormai possa arrivare solamente da chi la scuola la vive ogni giorno: gli studenti. E così, insieme a Rete degli Studenti Medi e UDU - Studenti Per, ci siamo rimboccati le maniche per scrivere un appello da far sottoscrivere ai candidati alle elezioni regionali che contiene una proposta di una vera legge per il diritto allo studio per la nostra regione. Una proposta dal basso, una proposta frutto di oltre un anno di assemblee, coordinamenti, mobilitazioni e riunioni con studenti e professori. Nell’appello si parla dei costi per l’accesso all’istruzione, principale ostacolo in un momento di crisi economica com’è quello attuale: il comodato d’uso dei libri di testo e una riduzione sul prezzo dell’abbonamento ai mezzi pubblici secondo il reddito sono solo alcune delle nostre proposte. Non sempre l’unico ostacolo al diritto

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allo studio è economico: chiediamo alla regione di farsi carico anche di tutto ciò che può ledere tale diritto, dai problemi fisici per gli studenti disabili ai problemi di integrazione per quelli stranieri. Un ulteriore tema a noi molto caro è l’accesso alla cultura: convinti che la formazione di un cittadino del domani non sia solamente la conoscenza nozionistica della scuola, chiediamo sconti per studenti nei musei, cinema e teatri della regione così come un fondo regionale per le uscite scolastiche di formazione. Vogliamo che le scuole vengano vissute appieno dagli studenti, non solo durante l’orario delle lezioni: chiediamo la possibilità di far vivere i nostri istituti anche nel pomeriggio con laboratori, assemblee, aule studio e attività autogestite. Di pari passo vorremmo anche un maggiore investimento nei luoghi di aggregazione, per sconfiggere l’individualismo che nell’era dei social network colpisce moltissimi giovani. Ad ora i candidati alla presidenza Alessandra Moretti, Jacopo Berti e Laura Di Lucia Coletti hanno sottoscritto la nostra proposta, segno che i politici non sono tutti uguali, ad alcuni l’istruzione pubblica preoccupa sul serio. Inutile un appello al voto pensato visto che se stai leggendo questo articolo sarà troppo tardi: l’invito che ti faccio è invece quello di leggere le nostre proposte su www.fuorilalegge.it e unirti con noi nella lotta affinché la Regione si mobiliti davvero per un autentico diritto allo studio anche nel nostro splendido Veneto. Denis Donadel denisdonadel@gmail.com

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e risorse della terra saranno sufficienti a sostenere un crescita demografica apparentemente esponen-

ziale? Oggi la popolazione mondiale conta circa 7 miliardi di persone, cifra molto significativa se si considera che 200 anni fa eravamo solamente un miliardo. Diverse proiezioni ne stimano invece la crescita futura, che, nel 2024 porterà ad un numero di 8 miliardi di persone sul pianeta e nel 2045 ad addirittura 9 miliardi. Le risorse al momento disponibili nel pianeta sembrano non riuscire a garantire il sostentamento dell’attuale popolazione mondiale, com’è dunque immaginabile che in un futuro possano bastare per un sempre maggior numero di persone? C’è chi propone l’introduzione di sistemi di riduzione delle nuove nascite. Questa soluzione andrebbe però ad intaccare la libertà dell’uomo. Nei paesi occidentali questa crescita non si nota assolutamente: sono molte le indagini statistiche a sostegno di questa affermazione, e le ragioni ancora più numerose. In Italia il tasso di crescita demografica tende a zero e i morti annuali sembrano superare i nati poiché la popolazione è mediamente benestante. I poveri nelle realtà più arretrate necessitano invece di più braccia per lavorare in un’agricoltura priva di aiuti tecnologici. L’alto tasso di mortalità infantile richiede una maggiore procreazione per mantenere una famiglia produttiva. Nei paesi più ricchi invece la situazione è inversa, troppe persone in famiglia comportano troppe bocche da sfamare (nelle famiglie povere tutti i componenti lavorano per vivere), i ritmi frenetici della società moderna (in cui per esempio anche la donna lavora) rendono la gestione dei figli un compito duro e snervante. Questi fattori spingono alcuni demografi a stimare che raggiunti i 9 miliardi la popolazione mondiale cesserà di aumentare. Si calcola che la Terra possa garantire cibo a sufficienza per 14 miliardi di persone, tuttavia oggi è difficile nutrirne 7 miliar-


di. Il problema alla base di tale questione è la cattiva gestione delle risorse che permettono ai più ricchi cibo (e spreco) a sufficienza e impediscono ai più poveri di raggiungere la minima quantità di nutrimento giornaliero. Un esempio è il consumo di carne: gli allevamenti richiedono grandi estensioni di terreno e ingenti risorse ambientali. Se la domanda di carne mondiale fosse proporzionata a quella occidentale servirebbe almeno un altro pianeta per allevare tutti quegli animali. La soluzione è dunque puntare sulle coltivazioni: gestendo bene lo spazio è possibile sostenere un’ agricoltura etica ed efficiente che permetta anche ai paesi più arretrati lavoro e risorse. La tecnologia fa inoltre balzi da gigante anche in questo ambito, con l’arrivo degli OGM (da molti criticati per svariati motivi) è adesso possibile ottenere in spazi ridotti -e perché no con qualche fertilizzante in meno- quantità considerevoli di prodotti alimentari. Queste alternative potrebbero sostituire l’attuale agricoltura che presenta un grosso impatto ambientale e un rendimento decisamente migliorabile. La crescita demografica è dunque un problema complesso che comprende diverse ostacoli: l’eliminazione della povertà e una migliore distribuzione delle risorse sono i primi scogli da superare, e sono strettamente legati fra loro. L’iniziativa può partire dai cittadini comuni, che una volta informati potranno indignarsi, influenzare i mercati e spingere i governi a trovare una soluzione a beneficio di tutti e che permetterà alle future generazioni di vivere in un pianeta più solidale e giusto per tutti. Le risorse della terra saranno sufficienti a sostenere un crescita demografica apparentemente esponenziale? Si, se lo vogliamo! Francesco Sanson francescosanson97@gmail.com

Salvarsi da un caldo che non soffoca: RevolutionCamp 2015

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ella torrida estate dello studente italiano si ha sempre più frequentemente una sensazione di vuoto. Mentre l’afa riempie le narici e la pesantezza del risveglio siede sul petto ci chiediamo “che faccio oggi?” consapevoli che decidendo di andare a fare un giro in centro città con molte probabilità si finirà sulla sedia di un bar, a cercare ristoro in bibite fresche e sigarette bollenti. Spesso, nella torrida estate dello studente italiano, si affaccia la noia. Una noia che si nutre dell’abitudine alla penuria di opportunità. I concerti e i festival poi sono sempre più spesso piccole ma costose utopie. I locali offrono poco o niente oltre ai drink. Il pomeriggio la cittadinanza passeggia insonnolita, e così facciamo noi studenti, senza a volte nemmeno avvertire la mancanza di qualcosa. Molti studenti invece si ritrovano schiacciati dall’ansia del debito a settembre. Guardano dalla camera i pomeriggi di sole bestemmiando il nome della scuola rigida e arretrata che non li ha portati ad appassionarsi allo studio nel corso dell’anno. A volte pensiamo che ci vorrebbe una svolta, un’esperienza nuova, un viaggio vero, diverso, che rompa le pareti che ci separano da orizzonti nuovi. Con queste premesse il Revolution Camp arriva a rappresentare uno dei pochi spazi di socialità bella e aperta che nell’estate (e nell’anno intero) possiamo ritagliarci. Revolution Camp è una vacanza pensata per gli studenti delle scuole superiori, per

gli universitari e per tutti i giovani che, dopo un anno passato sui libri, cercano la musica, il contatto, la novità e il dibattito. Si tratta di un campeggio, promosso dalla Rete degli studenti Medi e dall’Unione degli Universitari, ricco di attività di ogni genere: musica, presentazione di libri, tornei di calcetto e di volley, aperitivi, momenti di relax e di aggregazione, un concerto ogni sera con band di fama nazionale e a seguire DJ set che andrà avanti per tutta la notte, dibattiti con ospiti provenienti dal mondo politico, sindacale e associativo. Se le parole “dibattito” “workshop” suonano estranee, forzature rispetto alla vostra prospettiva di estate non temete: si parla di noi. Chi sono gli studenti, di cosa abbiamo bisogno, come ci attiviano a proposito, com’è il mondo che ci circonda, come possiamo ridefinirlo in base alle nostre idee. Idee di una goiventù che, al contrario di quanto molti credono, d’estate non è soltanto divano e spritz. Noi lo sappiamo. Dimostriamolo, anche se l’estate è torrida, perchè forse è il clima che viviamo ogni giorno, e non il calore estivo, a soffocarci. Per scoprire il luogo, le date, la line-up, i dibattiti e tutte le altre informazioni seguici su Facebook (RevolutionCamp | Il Villaggio Studentesco) oppure sul sito www.revolutioncamp.it. Non mancate! Rachele Scarpa rachele.scarpa@libero.it

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La notte dei lunghi manganelli

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’8 aprile 2015 non c’è stata una sola testata giornalistica nazionale che non presentasse in prima pagina la notizia della condanna all’Italia da parte della corte europea dei diritti umani di Strasburgo, la quale ha decretato che quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane alla Diaz è qualificabile come tortura, per via delle modalità con le quali vennero trattati i manifestanti NO GLOBAL che alloggiavano all’interno della struttura nei giorni del G8 di Genova. La condanna è stata inoltre quella di non avere al momento una legislazione efficace ed adeguata a punire tale reato, in Italia infatti non esiste il reato di tortura e le forze dell’ordine non dispongono di un numero identificativo. In quei giorni ho letto molti articoli a riguardo perché questa condanna (che non è altro che l’ennesima importante tappa del caso “Diaz” e non di certo l’epilogo) ha sicuramente riportato alla memoria di tutti fatti e misfatti di quella notte del 21 luglio 2001, di quella che è stata definita la più grave sospensione dei diritti costituzionali democratici dopo la nascita della Repubblica (2 giugno 1946). Ho cercato, nel limite del possibile, di considerare la questione da diversi punti di vista anche in forte contrapposizione tra loro: dai toni forti di estrema condanna nei confronti del corpo di polizia de “Il Manifesto” o “L’Unità” a “Il Giornale” di Sallusti che sostiene che la tortura, ora, sia quella che stanno subendo le forze dell’ordine italiane, passando anche per “La Repubblica” e “Il Corriere della Sera” che, con la consueta imparzialità, riportano chiaramente i fatti del G8 2001. Io sono venuto a conoscenza di tutto ciò nel luglio del 2012 quando la Corte di Cassazione emise la sentenza di condanna definitiva per i dirigenti della polizia coinvolti, 11 anni dopo il G8. Mi sono informato e ho scoperto così numerosi documentari dettagliati su YouTube, libri (“Dossier Genova G8-I fatti della scuola Diaz” Becco Giallo 2013) e film (“Diaz - Don’t clean up this blood” Fandango 2012) che mi hanno permesso di approfondire l’argomento. La sera del 21 luglio 2001 tra le dieci e mezzanotte i Reparti mobili della Poli-

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zia di Stato con il supporto operativo di alcuni battaglioni dei Carabinieri fecero irruzione nella Diaz, centro del coordinamento del Genoa Social Forum (un’aggregazione di movimenti, partiti e società civili No Global accomunati dalla critica all’attuale sistema economico neoliberista e alla globalizzazione capitalista) per quella sera adibito a dormitorio. Genova era senza respiro. La parte pacifica del corteo era stata invasa dai black bloc e seguaci attratti dalla violenza. La morte di Carlo Giuliani negli scontri di piazza non era riuscita a mettere insieme nessuno, era stata la miccia di un nuovo immenso odio. Non sarò io a raccontarvi dei fatti sconvolgenti che avvennero all’interno della Diaz e nella caserma di Bolzaneto (come le umiliazioni subite dalla giovane Nicola Doherty o dall’anziano sessantaduenne Arnaldo Cestaro) poiché testimonianze e materiale approfondito a riguardo si possono reperire sul web con facilità. Alcuni episodi però riportano all’attenzione un aspetto importante e spesso tralasciato: la presenza all’interno di alcuni ambienti dei reparti antisommossa di pregiudizi e preconcetti riconducibili ad una sottocultura (neo)fascista che ne riprende “scherzosamente” motti e inni (canzoni come “Faccetta nera” o “Madonna del Manganello” cantate, si dice, dal medico della caserma Giacomo Toccafondi). Questo è, a parer mio, riconducibile a un fatto storico: l’amnistia Togliatti del 46, un provvedimento di condono delle pene e dei reati minori del fascismo con intento rappacificatore. All’epoca, per via della grande paura di una rivoluzione comunista in Italia, parte della manovalanza fascista che componeva i fasci di combattimento e le camicie nere venne ricollocata nei ruoli di comando delle forze dell’ordine italiane. Detto questo, senza generalizzare, la condanna in cassazione è avvenuta dopo 11 anni con la maggior parte dei reati dimostrati e verificati, ma caduti in prescrizione. Forse, più che dare una risposta immediata a questa condanna come il Parlamento italiano ha fatto (dicendo di aver pronta la legge sul reato di tortura),

bisognerebbe rivedere la prescrizione di gravi reati quando questi avvengono all’interno di un contesto eccezionale. Secondo Gianni Tonelli (portavoce del Sindacato autonomo polizia) proposte come il codice alfanumerico identificativo sulle divise o le telecamere sui caschi sono inefficaci, poiché limiterebbero e sommergerebbero di denunce i poliziotti. E’ un po’ come dire: “Se metti i codici identificativi i celerini verrebbero identificati e magari accusati di qualsiasi cosa e ti immagini quante cause, quanti processi infiniti perché quel poliziotto ha guardato storto quel manifestante”... Io credo che ogni lavoro comporti doveri e diritti, ma soprattutto molte responsabilità, ed è ora che anche questi dipendenti si assumano a pieno le responsabilità delle proprie azioni, siano esse di pattuglia in qualche volante o in un corteo a mantenere ed assicurare l’ordine pubblico. Personalmente preferirei un abuso di identificazioni, poi eventualmente smentite, ad un continuo abuso di potere e violenza. Gli esecutori materiali delle torture nella caserma di Bolzaneto che hanno sfogato la frustrazione di giorni e giorni di scontri in piazza sui corpi inermi dei manifestanti No Global come fossero “sacchi da pugilato” hanno commesso un solo grande errore: quello di non averli ammazzati, con altre botte. Perché quei “sacchi da pugile” hanno memoria e, per quanto fracassata fosse la loro mascella, hanno saputo raccontare i fatti di quella notte che qualcuno ha deciso dovesse essere una “resa dei conti” illegale e ingiustificabile. Hanno saputo denunciare l’atroce trattamento subito, e ora, indipendentemente dall’esito del processo e dalla prescrizione, quei carnefici, per quanto si credano assolti, saranno sempre coinvolti nella più grave sospensione dei diritti umani le cui violenze eguagliano quelle che caratterizzano un colpo di Stato. E’ gravissima la profonda mancanza di informazione tra i giovani di ciò che è stato e che potenzialmente potrà ricapitare. Forse la così detta violenza gratuita è una necessità, uno sfogo per molte persone, ultimamente troppe. E non importa chi inizi, chi continui o chi finisca: da violenza non può che derivare altra violenza. Resto dell’idea che i manganelli debbano essere trattati come profilattici usati: gettati in un cassonetto dopo brevi, innocue, insoddisfacenti prestazioni. Gianluca Piazza gianluca_piazza@outlook.it


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Concretizziamo l’ecologia

iporto qualche significativa riga del libro di Naomi Klein, ecologista e giornalista canadese, “Una rivoluzione ci salverà’’ con annessa riflessione.

“Un’indagine del 2011 del dipartimento per gli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite ha esaminato quanto costerebbe all’umanità sconfiggere la povertà, aumentare la produzione di cibo in modo da sradicare la fame - senza provocare un degrado del terreno e delle risorse idriche - ed evitare la catastrofe del cambiamento climatico. La risposta era: 1,9 trilioni di dollari l’anno per i prossimi quarant’anni, e almeno la metà degli investimenti richiesti dovrebbero essere realizzati nei Paesi in via di sviluppo. (...)” Secondo Stephen Pacala, direttore dell’Istituto ambientale di Princeton e condirettore dell’Iniziativa di Princeton per la mitigazione carbonica, i circa 500 milioni di persone più ricche del pianeta sono responsabili grossomodo della metà delle emissioni globali; questo gruppo comprenderebbe i ricchi di ogni Paese del mondo (soprattutto Stati come la Cina e l’India) e dei segmenti significativi dei ceti medi nel Nordamerica e in Europa. Considerando tutte queste cose (oltre all’esempio dei 500 mln di ricchi ‘’inquinanti’’, Naomi si riferisce ad un intero sotto-capitolo del libro che mette a fuoco sia le disuguaglianze che le attività delle grandi compagnie petrol-inquinanti), non mancano quindi le possibilità di trovare in modo equo i soldi necessari per prepararci ad affrontare le future tempeste e, al contempo, per ridurre radicalmente le emissioni così da prevenire un riscaldamento catastrofico. A questo punto Naomi Klein cita 6 punti programmatici (che sono le coperture economiche per il programma mondiale,

indicato dall’Onu, per sconfiggere la povertà, per garantire al 100% della popolazione mondiale l’accesso al cibo e per sconfiggere il cambiamento climatico) che ogni Governo che abbia a cuore l’intera Umanità dovrebbe contribuire a realizzare per iniziare la Grande Transizione (dal periodo del fossile, dell’inquinamento e delle catastrofi naturali all’era delle rinnovabili e del ‘’chi inquina paga salatissimo’’).

militari potremmo liberare altri 325 miliardi di dollari, stando ai dati del 2012 riportati dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma. - Un’imposta di 50 dollari per ogni tonnellata di CO2 emessa nei paesi sviluppati porterebbe - stando alle stime - a un incasso annuale di 450 miliardi mentre una tassa carbonifera più modesta, di 25 dollari, frutterebbe comunque 250 miliardi; questo secondo un rapporto del 2011 curato - fra gli altri dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dall’OCSE. - L’eliminazione graduale, su scala globale, dei sussidi ai combustibili fossili, consentirebbe ai governi di risparmiare un totale di 775 miliardi di dollari l’anno, stando a una prudente stima avanzata nel 2012 dall’organizzazione Oil Change International e dal Consiglio per la tutela delle risorse naturali.

“Non abbiamo altre vie da percorrere e non abbiamo centinaia di anni a disposizione.”

- Una tassa ad aliquota ridotta sulle transazioni finanziarie - che colpirebbe gli scambi di azioni, derivati e altri strumenti finanziari - potrebbe fruttare quasi 650 miliardi di dollari l’anno a livello globale, stando ad una risoluzione del 2011 del European Parliament (e avrebbe il bonus aggiuntivo di rallentare la speculazione finanziaria). - La chiusura dei paradisi fiscali sarebbe un’altra manna dal cielo (per la copertura economica della Grande Transizione e del piano per sconfiggere la povertà). Secondo le stime della Rete per la Giustizia fiscale (un’organizzazione con sede nel Regno Unito), nel 2010 le ricchezze finanziarie private finite clandestinamente nei paradisi fiscali del mondo ammontavano a una cifra compresa fra i 21 e i 32 trilioni di dollari. Se questo denaro venisse portato alla luce e i suoi rendimenti fossero tassati al 30%, si avrebbero almeno 190 miliardi di entrate fiscali in più ogni anno. - Una tassa sui miliardari dell’1%, secondo un’idea lanciata dalle Nazioni Unite, potrebbe portare alla raccolta di 46 miliardi di dollari l’anno. - Tagliando del 25% i budget di ognuno degli eserciti che occupano i primi 10 posti nella classifica mondiale delle spese

Tutto ciò non farebbe che: migliorare la qualità della vita delle persone, creare milioni di posti in più di lavoro (con un’enorme Green New Deal mondiale), sconfiggere la povertà mondiale, riportare ai livelli pre anni 70 il numero di catastrofi naturali annue (quadruplicate rispetto al 1970), evitare lo scioglimento dei ghiacci, aumentare la stima di vita della popolazione della Terra, garantire a tutti il cibo e l’acqua come diritti universali e concretamente garantiti (...). Dove si può firmare per tutto ciò? Questo programma, dovrebbe essere l’ABC della buona Politica che concretizzando queste proposte e facendole arrivare alle popolazioni si smuoverebbe dalle ridicole percentuali di rappresentanza attuali per arrivare alla fine a Governare. Chiunque, Governo o impresa, ostacolerà questo processo: per individualismo, per avidità o per il ‘’gusto della bellezza del presente’’ (senza accorgersi che un domani la sua villa a Miami sarà sommersa dall’Oceano) sarà un nemico dell’umanità. Non abbiamo altre vie da percorrere e non abbiamo centinaia di anni a disposizione. Emanuel Oian emanuel98.o@hotmail.it

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Storia di Omar, fratello sconosciuto

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mar ha lo sguardo di un vecchio saggio che ha attraversato i Sette Mari e il sorriso di un bambino venuto al mondo da poco. Ma non è anziano, né piccolo: è un ragazzo non molto più grande di me, che ride spesso e ha una visione assai originale, ingenua e pure allo stesso tempo assolutamente disincantata, del mondo che lo circonda. Ammetto che non vi racconterei la sua storia se non fosse per due particolari in grado di attirare immediatamente l’attenzione: Omar è Siriano, ed è scappato dal suo Paese. A tre anni e mezzo dall’inizio della guerra civile che ha macellato un’intera nazione, e che uccide tuttora circa 100 persone al giorno, gli ho chiesto di raccontarmi ancora una volta la sua storia, dal principio, e la storia della Siria. E lui mi ha accontentata. Mi ha fatto vedere immagini di morte, cruda, vera, come lui l’ha vista, mentre correva lungo la strada che dalla sua città, Aleppo, porta in Turchia, sotto il tiro dei cecchini del governo. Mi ha fatto sentire il frastuono sanguinoso di una bomba che cade a venti metri da dove ti trovi, come un giorno di dicembre in cui la sua Università è stata bombardata nell’esatto istante in cui lui usciva dall’ingresso principale. Compagni morti, straziati, la bellissima notizia di essere stato selezionato per un Master in Ingegneria cancellata in un istante, solo sangue, polvere, rovine. E bugie. Quelle della propaganda filo-governativa, che attribuisce a “Terroristi” non meglio identificati una strage compiuta da aerei dell’esercito regolare. Un gioco politico al massacro, un tritacarne che comincia a funzionare a pieno ritmo, e allora la paura, la paura quella inimmaginabile di morire perché qualcuno ti spara o lascia per caso cadere una bomba sopra la tua testa. Inimmaginabile, per noi. Noi che pensiamo che non ci capiterà mai, che l’Italia è un paese civile, che siamo al sicuro in una piccola città come Treviso. E la Siria, allora? Ce la immaginiamo forse come una “scatola di sabbia” dove la gente usa i cammelli al posto delle biciclette? E se ci dicono che è un Paese avanzato noi pensiamo subito ad una parola, non è vero?, che ci fa sentire tanto al sicuro: “occidentalizzazione”. Non ci passa per la mente nemmeno per un secondo l’idea di un progresso diverso, non riusciamo proprio

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a pensare che un paese mediorientale possa svilupparsi autonomamente, raccogliendo gli stimoli esterni e le più differenti culture in un invidiabile mosaico cosmopolita. Vi do un dato (ma non mi sento molto Salvini in questo momento): la Siria è il paese arabo con la maggior percentuale di Cristiani. Per le strade di Aleppo, mi racconta Omar, si incontrano chiese cattoliche e moschee l’una di fronte all’altra, le famiglie musulmane addobbano puntualmente l’albero di Natale e ad ogni festa, che sia islamica, cristiana, ebraica, quartieri interi si ritrovano a mangiare e pregare insieme. Almeno, così era prima della guerra.

non soltanto del mondo in cui viviamo, della guerra e della pace, ma soprattutto mi ha messa di fronte a me stessa e alla parte di globo che rappresento. Con semplici frasi dirette ha saputo rispondere meglio di qualunque politico ad un talk show alle tante frasi a cui noi siamo ormai assuefatti: “Cosa ci fai qui? Non lo sai che in Italia non c’è lavoro?” E lui: “Io cerco… Chi cerca trova!” E dopo averlo trovato: “Ecco, sei venuto a rubare il lavoro agli Italiani!” E lui: “Io non sono venuto per rubare il lavoro a te, ma per salvare me!” Con la sua innocenza, la pura innocenza delle vittime autentiche, Omar sa zittire l’ignoranza, sa combattere gli incubi e le paure anche meglio di noi, che viviamo con l’anima in pace. Ma se ci sono vittime ci saranno pure i colpevoli, no? E noi da che parte dobbiamo guardare?

“Sappiamo noi cosa significa abbandonare tutto?”

Quando è scoppiata, Omar è partito, ed è venuto qui. Sappiamo, noi, cosa significa abbandonare tutto? “L’unica cosa che ho pensato è stata: meglio in Siria morto o lontano dalla Siria ma con la possibilità di salvare me stesso e aiutare la mia famiglia?” Così mi ha detto, mostrandomi il cuore di un giovane innamorato della propria terra, che ha dovuto abbandonarla, che ha ricominciato la sua vita da zero, che ha trovato un lavoro, ha imparato l’Italiano e ha avuto la forza di raccontare, per far conoscere, per far capire la sua vita, le sue scelte. E così mi ha fatto capire tante cose

Omar mi dice questo, senza volerlo dire. Eppure guardandomi negli occhi riesce a farmi sentire minuscola. Con la sola forza delle sue parole semplici scardina un intero sistema, smaschera tutte le ipocrisie, condanna senza appello. Come riesca a fare tutto questo sorridendo come un bambino che ha appena scoperto il profumo dei fiori, questo per me è un mistero. Sara Santi de La Venticinquesima Ora sarasanti.jab@gmail.com

La Venticinquesima ora si presenta

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l Giornalino del Liceo Canova di Treviso nasce a novembre del 2009, uno dei primissimi nel panorama cittadino, e già con le idee chiare: autogestito, cartaceo, a distribuzione gratuita. Si chiama “La Venticinquesima Ora”, come il film di Spike Lee del 2003: la venticinquesima ora è quell’occasione in più per essere se stessi, quell’ora pomeridiana che fa diventare la scuola uno spazio di libera espressione; è quel tempo senza orologio, scandito dalle possibilità e non dalle lancette, infinito come sono infinite

le potenzialità di ciascuno; è quell’ora in più al giorno che tutti vorrebbero ma nessuno sembra capace di creare. Noi non ci arrendiamo, ad ogni riunione e in ogni pagina la cerchiamo, quell’ora benedetta, quello sguardo diverso, quella strada in più. Forse non ci riusciremo mai fino in fondo, ma quel poco che abbiamo trovato lo vogliamo condividere, così magari, insieme, quella venticinquesima possibilità la conquistiamo. Buona lettura!


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Fare la differenza: Verona Pride 2015

arà la città di Verona ad ospitare il Pride del Triveneto 2015. L’ha annunciato il Comitato Verona Pride durante la conferenza stampa del 9 dicembre scorso. L’evento, afferma in una nota il presidente di Arcigay Verona, Alex Cremonesi, rappresenta «l’occasione per quella svolta culturale di cui la città ha un disperato bisogno, capace di coinvolgere tutti i cittadini ormai stufi del pesante clima d’intolleranza verso ogni diversità che da troppo tempo viene promosso da chi ha altri interessi rispetto al benessere di tutti i cittadini veronesi e della città stessa». «Finalmente – aggiunge Cremonesi – un forte segnale da una città che ormai davamo per morta sotto l’asfissiante cappa neo-fascista che ha rovinato in vent’anni la nostra bella Verona, famosa ormai in Italia per essere un laboratorio politico delle destre estreme». Il Verona Pride si svolgerà nella città scaligera il 6 giugno 2015. L’evento è realizzato grazie alle associazioni e i gruppi aderenti: ARCI Verona, Arcigay Pianeta Urano Verona, Arcilesbica Verona, Io Sono Minoranza, Lieviti Verona, Milk Verona LGBT Comunity Center, Romeo in Love, Tralaltro. Perché il Verona Pride 2015? Perché, come riportato nel documento politico ufficiale del Verona Pride (reperibile al sito www.veronapride.it), l’Italia è uno dei pochi stati dell’Unione Europea in cui non esiste una legge contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, in cui le unioni tra persone dello stesso sesso non sono riconosciute, in cui ancora non è possibile disporre liberamente del proprio genere. Perché Verona, nota nel mondo come la città dell’amore, si rivela continuamente un laboratorio delle discriminazioni, delle intolleranze e dei crimini d’odio, nelle loro forme più cruente così come in quelle apparentemente più moderate. Perché a Verona vivono migliaia di persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender e intersex (LGBTI), spesso relegate ad una sorta di clandestinità sociale e culturale. Perché il movimento LGBTI veronese compie trent’anni nel 2015. Perché nel 1995, in

seguito all’approvazione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione che invitava i singoli Stati a porre fine alle discriminazioni subite dalle persone e dalle coppie omosessuali, e a concedere uguali diritti di matrimonio, di adozione e di affidamento, il Consiglio comunale di Verona adottava la tristemente famosa mozione n. 336 che oggi, dopo vent’anni, non è ancora stata abrogata. Perché Vent’anni dopo l’approvazione della mozione omo-bi-transfobica, a controcorrente delle raccomandazioni delle Corti di Giustizia italiane, europee e internazionali, il Consiglio Comunale di Verona prende di nuovo posizione contro le persone LGBTI adottando, il 24 luglio 2014, un ordine del giorno in cui si afferma la superiorità giuridica, morale, culturale e sociale della famiglia cosiddetta “naturale” formata esclusivamente da un uomo e una donna. Perché nel 2014 sia il Comune di Verona che la Regione Veneto hanno dato ulteriori dimostrazioni di quanto siano diffusi i pregiudizi nei confronti delle persone LGBTI. Perché il Consiglio Regionale del Veneto ha adottato, il 14 ottobre 2014, la mozione omo-bi-transfobica n. 270, per la difesa della famiglia cosiddetta “naturale” e per contrastare i programmi di educazione alla diversità appoggiati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Perché un Pride è un tributo alle persone (in buona parte transessuali, transgender, drag queen e travestiti) che, durante i moti di Stonewall del 1969, per prime alzarono la testa contro l’oppressione e la discriminazione nei confronti delle comunità LGBTI. Perché esiste una Verona diversa, che rifiuta di vivere soffocata dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi e dal conformismo. In questi ultimi venti anni, la città di Verona è diventata il campo di una battaglia che vede, da un lato, integralisti religiosi e forze di estrema destra, appoggiati e legittimati dall’Amministrazione comunale, e dall’altro, la cittadinanza e le associazioni LGBTI che operano sul territorio per migliorare le condizioni di tutti quei gruppi sociali minoritari i cui diritti sono quotidianamente ignorati, sbeffeggiati, insultati e cal-

pestati: gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender, intersex, donne, migranti, lavoratori e lavoratrici del sesso, Rom, senza-tetto. Il Verona Pride 2015 è un’occasione di mobilitazione di tutte le forze sociali e civili che si riconoscono nei valori fondamentali dell’antifascismo, dell’antisessismo, dell’antirazzismo e dell’uguaglianza, contro ogni forma di autoritarismo, di fondamentalismo religioso e politico, e di violenza per rivendicare un cambiamento politico e culturale radicale: accettazione incondizionata di tutte le diversità in quanto espressione della pluralità civile, abrogazione delle politiche discriminatorie, superamento delle politiche di promozione esclusiva della famiglia cosiddetta “naturale”, riconoscimento e valorizzazione di tutte le configurazioni familiari mono, pluri e omo-genitoriali, apertura di servizi pubblici di supporto alle persone LGBTI, attuazione di moduli formativi e informativi e di programmi scolastici di lotta alle discriminazioni e agli stereotipi legati all’identità di genere e all’orientamento sessuale. Il Verona Pride 2015 è un progetto politico e culturale di rilancio, di lotta, di orgoglio e di affermazione del valore fondamentale delle diversità. Il Verona Pride 2015 è un percorso di informazione, di dibattito e di rivendicazione che prevede la realizzazione di azioni ed eventi artistici, culturali, politici e di riflessione organizzati dal Comitato promotore e dalle Associazioni che aderiscono all’iniziativa (calendario eventi disponibile su www.veronapride.it), e che culminerà in una Marcia dell’orgoglio lesbico, gay, bisessuale, transessuale e transgender, queer, intersex e asessuale (LGBTQIA) per le vie del centro di Verona, il 6 giugno 2015. Questa è la Verona di tutti, e allora viviamocela insieme: appuntamento il 6 giugno a Porta Vescovo ore 15.45. Basta scuse, è ora di fare la differenza. Giulia Tessaro giulia.tessaro@gmail.com

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DIRITTI

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ANTIMAFIA

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Il proibizionismo ha fallito

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finalmente a dirlo non è il “primo che passa”, bensì la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia in cui, trattando di droghe leggere, una volta citati i dati sul consumo (in Italia vengono consumati ogni anno tra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi di cannabis) e sottolineato il fatto che il quantitativo sequestrato è 10/20 volte inferiore a quello consumato, si legge: “si ha il dovere di evidenziare che, nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si registra il totale fallimento dell’azione repressiva”. Una considerazione oggettiva, senza alcun presupposto ideologico proibizionista o antiproibizionista ma che spinge a riflettere: ha ancora senso, soprattutto in una fase di crisi economica, tenere i paraocchi e far finta che il fenomeno sia poco esteso o forse, partendo proprio da considerazioni oggettive, conviene ripensare al sistema legislativo riguardo le droghe leggere? Ci sono una serie di altre considerazioni

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21 marzo

Bologna, il 21 marzo, si è svolta la XX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di tutte le mafie. Eravamo più di 200 mila. Per ognuno dei presenti quel giorno è stata una tappa importante nella propria storia personale. Tutte le nostre strade si sono intrecciate in piazza VIII Agosto e durante tutto il corteo che ci ha portati fino a lì. E per un giorno siamo stati uniti e vicini, camminando insieme al fianco di amici e parenti dagli occhi che brillavano di un ardore nuovo: quello della solidarietà, degli ideali che albergano nei cuori di ogni età. Anche se è durata poco, ci ricorderemo per sempre di questa giornata in cui abbiamo visto l’Italia più bella che mostrava il suo volto e alzava la voce. Essere cittadini significa appartenere a un “noi” che possiamo riconoscere nella partecipazione e nella solidarietà. Don Luigi Ciotti (fondatore di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie) e Margherita Asta (che ha perso a causa della mafia

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da fare: quello della cannabis è un mercato molto ampio, diffuso e capillare. Gran parte di questo mercato garantisce ogni anno, ma anche ogni giorno, grandi introiti alle organizzazioni mafiose che, avendo in gestione questo mercato, cercano di trarne sempre maggiori profitti. Questo significa scarsa qualità del prodotto, frequente utilizzo di sostanze per appesantirlo (che tanto bene alla salute non fanno) e un prezzo sicuramente più alto rispetto al valore effettivo della sostanza. Questo mercato, gestito dalla mafia, certamente non tiene conto dell’età dei consumatori: i minorenni possono acquistare come i maggiorenni, non è possibile porre alcuna limitazione di età per il consumo visto che non è la legge a regolare quel mercato. Ma la questione fondamentale resta legata al fatto che la legge in questo momento sta vietando una pianta, che ha effetti psicotropi, ma resta una pianta. Seguendo questa linea, dovremmo rendere illegale qualsiasi pianta possa essere nociva per l’uomo. Forse è meglio spiegare e in-

due fratelli e la madre) dal palco hanno pronunciato parole forti, dolorose e belle allo stesso tempo, che hanno toccato in profondità tutti noi. Le abbiamo udite in 200 mila modi diversi ed esse hanno toccato sfere particolari della nostra personalità. Ma adesso i brividi di emozione suscitati da quelle parole diventeranno gesti di lotta e ribellione nelle nostre vite che scorrono parallele ma accomunate dalla stessa immagine d,i un’Italia giusta, cioè tutti noi. Per questo il corteo del 21 marzo è stato una lezione di democrazia che è fatta di cittadini attivi, uniti per un unico scopo, quello di costruire un Paese migliore, attraverso piccoli passi. Democrazia vuol dire tenere sempre gli occhi e le orecchie aperte per capire, approfondire, discutere, agire su quello che succede intorno a noi, senza fingere di non vedere le ingiustizie che si susseguono in ogni città. Democrazia non è né un potere imposto né i litigi dei politici: è la cittadinanza che

segnare già a scuola gli effetti collaterali, i danni, i problemi che possono portare le piante nocive per l’uomo, invece che bandirle. Soprattutto se bandirle significa lasciare che organizzazioni mafiose gestiscano liberamente il mercato non guardando in faccia a nessuno e chissà con quanti scheletri nell’armadio. Partendo dalle considerazioni oggettive della relazione della Direzione Antimafia è nato un intergruppo parlamentare guidato dal senatore Dalla Vedova che comprende membri di diversi partiti e che ha come obbiettivo quello di creare un disegno di legge da presentare prima della pausa estiva del Parlamento. È nato anche un gruppo Facebook creato dall’on. Giuseppe Civati (gruppo pubblico “Nazionale AntiProibizionisti”) per fornire un supporto dal basso all’intergruppo. Il manifesto del gruppo parla di una regolamentazione della cannabis, sia dal punto di vista dell’autoproduzione, che della produzione per vendita. Nell’attesa che la proposta si concretizzi, la miglior cosa da fare è parlarne, abbattere il taboo che da anni colpisce il nostro paese sul tema delle droghe e far capire ai cittadini che legalizzare non porta solo guadagni in termini economici e di lotta alla criminalità ma è altresì un segnale di progresso e buon senso. Nicolò Alban nicolo.alban.tv@gmail.com

lotta per il cambiamento e che si fa sentire vicina a chi ha perso un fratello, un amico, un proprio caro, uccisi per mano mafiosa, terroristica o capitati per caso sul luogo di una delle tante, troppe stragi che segnano la storia del nostro Paese. La solidarietà verso i familiari di queste vittime, come ha ricordato Don Ciotti, non consiste nell’appendere una targa, ma bensì nell’abbracciarli forte e ascoltare la loro voce rotta dalle lacrime. Ripetere ogni anno i tanti nomi delle vittime falciate dalla violenza mafiosa non è un esercizio celebrativo o retorico bensì è ricordarsi sempre di quelle vite spezzate, quelle famiglie lacerate, per rinnovare ogni anno il nostro impegno, per non sentirsi mai arrivati e completi ma per continuare il nostro percorso di costruzione della giustizia. Perché democrazia vuol dire non arrendersi mai. Sofia Pavanini sofy.nini@gmail.com


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La Nazione come Individuo

on molto tempo fa, accingendomi allo studio delle cause principali che portarono allo scoppio del primo conflitto mondiale, ho trovato interessante il fatto che in alcuni particolari momenti storici l’uomo come individuo, arrivi ad identificarsi nella propria nazione e che quest’ultima adotti a sua volta un modus operandi sempre più simile a quello di un singolo individuo. Man mano che svogliatamente, a puro fine scolastico, analizzavo causa per causa, fattore per fattore e attuavo il mio studio “intenso” si faceva sempre più chiara in me una riflessione che ho cercato (spero altrettanto chiaramente) di esprimere in questo articolo. Si sa che da una sola riflessione ne possono potenzialmente nascere altre mille e mi farebbe molto piacere che questo avvenisse anche in questo caso; vi invito quindi, se interessati, a farmi sapere la vostra opinione a riguardo con un post sulla pagina Facebook de “Il Mancino” o scrivendomi alla mail che trovate in fondo a questo articolo! Le necessità principali di una nazione, di un intero popolo, le azioni e gli obiettivi che ne conseguono sono perfettamente eguagliabili a quelle di un singolo individuo. La guerra, per esempio, (che sia interna, civile, mondiale, chimica, atomica ecc.) e l’atmosfera che da essa ne deriva possono essere considerate come le principali costituenti di una sfera d’azione in cui il comportamento collettivo organizzato non è più contraddittorio o conflittuale; una sfera d’azione in cui tutti gli egoismi individuali si riassumono in uno unico e nazionale. Le emozioni di un popolo, sintonizzate tra loro, sono ora volte a “trarre un’armonia da quel concerto di centinaia di voci contraddittorie” (Cit. Rilke). Ecco allora che l’istinto all’autoconservazione di ogni singolo individuo si riflette speculare in quello della propria nazione, del proprio popolo. E nell’individuo come in un popolo (per citare Hannah Arendt e il suo saggio su “La banalità del male”), una volta posto come criterio supremo l’autoconservazione, il prezzo per conseguirla viene costantemente alzato fino a che ogni

altra considerazione morale viene soffocata nella pratica razionale dell’obbedienza (al generale per il soldato semplice, al proprio superiore per il funzionario, al proprio portavoce per il popolo, ai giochi di potere per la nazione intenta ad affermare il proprio primato). All’inizio del 1914, infatti, ogni nazione D’Europa era pronta, ognuna con la propria “torcia” di interessi economici e politici (e schiava di quest’ultimi) ad appiccare il fuoco. Ognuna di esse confidava in grandi risultati e nutriva grandi speranze nelle braci di quello che intenzionalmente voleva essere un piccolo focolare destinato ad estinguersi in breve tempo. Così però non fu e il fuocherello assunse presto le dimensioni di un incendio con le inevitabili conseguenze. Alla base di ciò vi era sicuramente l’imperialismo di tutte le grandi potenze europee sostenuto dagli sforzi delle classi capitalistiche dettati solo dalla loro avidità di guadagni con l’accaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero. Dall’imperialismo e dall’inasprimento della lotta per i mercati derivano accordi tra le potenze che costituiscono il meccanismo delle alleanze che scatterà con l’assassinio dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando. Un fattore sociale, inoltre, che non spesso viene fatto presente è quello delle lotte politiche sociali interne alle quali con il conflitto si volle creare una “diversione”. Questo clima condizionò i popoli d’Eu-

ropa e li rese ciechi verso tutto ciò che non riguardasse il primato della propria nazione sulle altre. E se il popolo stesso, una volta caduto nello strano gioco di potere ostenta la conquista del primato della propria nazione, perde tutti i propri valori e quindi la propria umanità, anche gli individui che ne fanno parte vengono privati di tal umanità. Spesso infatti, guardando alle atrocità della guerra non possiamo trattenerci dal pensare: “Com’è stato possibile che UOMINI uccidessero altri UOMINI?” La risposta che mi do è che a quel punto non ha più senso parlare di uomini. Gli individui di un popolo in guerra, siano essi soldati, ufficiali o civili, sono e non sono uomini. Sono esseri viventi antropomorfi privati della loro umanità da quell’impulso alla vita, che è proprio della loro natura animale. Quell’irresistibile impulso a vivere spinge alla guerra e mette da parte tutti gli scrupoli morali e con essi la dignità. “Avendo ridotto la vita umana al calcolo dell’autoconservazione, la razionalità l’ha derubata della sua umanità” (Cit. Hannah Arendt). Secondo me non è quindi, come si è voluto pensare, il nefando ed egoistico desiderio di conquista fine a se stesso ma quella logica che estromette ogni istanza che contrasti con il perseguimento razionale della sopravvivenza, ad accordare l’assenso all’annientamento dell’altro, dello straniero, del diverso che diventa dunque nemico. La guerra riporta infatti l’uomo (e con esso la società) alla sua natura animale, all’assenza di un pensiero etico-morale, o meglio, all’assenza di ragione, poiché egli è ormai schiavo di soli due IMPULSI ANIMALI: quello alla morte e quello alla vita; l’uno originato dall’altro. Gianluca Piazza gianluca_piazza@outlook.it

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Il cuore non basta

ià ad Agosto era arrivata la notizia: Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, giovani volontarie italiane andate in Siria per aiutare la popolazione oppressa e prestare soccorso ai guerriglieri ribelli dell’ esercito libero Anti-Assad, sono state rapite. Ricordo bene quello che è stato il primo commento di mio padre riguardo la faccenda: “Che ragazzine ingenue e sprovvedute” ha detto “volevano fare del bene ma in molti casi il buon cuore non basta: ci vuole anche la testa.” Ho riflettuto a lungo su quella frase. Ho pensato anche alla mia ignoranza (mia e di molti) su quello che sta accadendo nel mondo intorno a me e a quanto possa essere facile, se non si presta attenzione, cadere nei soliti stereotipi. Viviamo in un mondo tutto da decifrare e che apparentemente è fatto di paradossi. Non molto tempo più tardi, ecco ricomparire Greta e Vanessa in tutti i telegiornali, stavolta in un video: il velo nero avvolto attorno al capo e tra le mani una richiesta d’aiuto allo Stato Italiano. Le due ragazze sono ostaggi di Jabhat-al-Nusra, fazione più moderata e meno sanguinaria di Al-Queda che sicuramente vorrà in cambio un riscatto. Ed è stato dopo questa notizia che ho iniziato a sentire, a vedere, a percepire attorno a me l’antipatia e la diffidenza verso “queste due”. Dal canto mio, ho preferito non pensarci troppo. Anzi, non ci ho pensato proprio per nulla fino a quando non ho visto, su Facebook, una pagina intitolata “Non ce ne frega niente delle due italiane in Siria”. La pagina alimentava il disprezzo nei confronti di Greta e Vanessa, deridendole e insultandole, addirittura diffondendo calunnie infondate nei loro confronti. (cosa che è stata fatta in seguito anche da certi nostri politici) E allora non ho potuto fare a meno di pensare a come sia facile che la rabbia delle persone (sentimento talvolta comprensibile) si tramuti in odio. Quando poi è arrivata la notizia della loro liberazione (ufficiale) accompagnata da quella del versamento di 12 milioni di euro come riscatto da parte del Governo (non ufficiale, ma comunicataci da un tweet legato ai ribelli siriani) è scoppiato il finimondo. Sui social network ha impazzato per gior-

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ni una vera e propria guerriglia virtuale che vedeva due opinioni opposte (tra cui fazioni più o meno moderate): coloro che si trovavano a favore della liberazione e del versamento di un riscatto e coloro che non lo erano affatto (tra cui alcuni, non tutti, che se la sono presa fino in fondo con le due ragazze e di cui tralascio i commenti). In generale, io credo di capire entrambi. Da una parte, come ho scritto, è comprensibile la rabbia verso due ragazze che hanno scelto di andare in Siria (attualmente uno dei paesi più pericolosi al mondo) senza nemmeno avvisare la Farnesina della loro partenza e che adesso fanno però pesare la loro scelta ad altri, alle casse dello stato, che si vede obbligato a finanziare i terroristi se rivuole indietro le loro vite. E si, è vero che c’è tanta gente in Italia che è ridotta allo stremo, centinaia di senzatetto che muoiono di freddo ogni anno a cui lo Stato non versa neanche un centesimo di più. D’altra parte è anche vero però che in fondo si tratta solo di due ragazze che volevano fare del bene e sono partite per una nobile causa, forse un po’ ingenue, si, due “dilettanti”, ma chi ha il coraggio di lasciarle morire là? Ecco, io credo che questo genere di ragionamenti, seppur comprensibili, siano entrambi sbagliati. In situazioni come queste molte persone tendono a ragionare o con la pancia o con il cuore, senza arrivare davvero ad alcuna conclusione.

I sentimenti sono ciò che ci rende umani, certo, ma spesso offuscano la realtà dei fatti, impedendoci di centrare il punto della questione. Come se non bastasse, il nostro governo, nonostante sia palese che un riscatto sia stato versato non ce lo ha voluto dire in faccia, guardandoci negli occhi. Ma se si decide di adottare una linea, giusta o sbagliata che sia, bisogna assumersene la piena responsabilità. Quando al nostro Ministro degli Esteri Gentiloni è stata porta per la prima volta la fatidica domanda:” Insomma questo riscatto è stato pagato o no?” lui non ha risposto e si è girato dall’altra parte. Lo stesso atteggiamento era stato adottato nel 2004, con il caso della giornalista Giuliana Sgrena e quello (piuttosto simile) delle “due Simone”. Come è possibile tutto questo? Fin da bambini ci insegnano il valore dell’onestà e della trasparenza e ci parlano di quanto sia importante, crescendo, qualunque scelta si compia, assumersene la piena responsabilità. E la nostra politica, che dovrebbe nel concreto restituire valore a questi bei principi che impariamo, dandoci l’esempio, sta facendo esattamente il contrario. L’atto primo di scegliere è importante e mai banale, perché qualunque decisione si compia è giusto andare con essa fino in fondo. Ma mettendo a fuoco quanto accaduto, non è difficile capire che, tra i protagonisti di questa vicenda, nessuno è stato fino in fondo coerente con le proprie scelte. Le prime a non farlo sono state sicuramente le due ragazze, partite sapendo di rischiare ma senza tuttavia assumersi fino in fondo il pesante onere che comporta questa scelta: quello della propria vita. È grande, in questi casi, anche la responsabilità delle associazioni che promuovono questi progetti e che dunque hanno il compito di garantire la “preparazione”e la sicurezza dei cooperanti che decidono di prendervi parte. E poi sicuramente il Governo Italiano, il quale, qualunque linea abbia adottato,

“Qualunque scelta si compia, bisogna prima riflettere, ragionare, capire.”


ha preferito non parlarne apertamente per paura di polemiche da parte dell’opposizione (che comunque ci sono state) e malcontenti popolari, venendo meno alla propria responsabilità. Ma i mezzi di comunicazione si stanno evolvendo, le notizie , veritiere o fasulle, sgusciano ormai da tutte le parti: è evidente a tutti che il governo abbia patteggiato coi terroristi di Jabhat in cambio di due vite. E riecco di nuovo il grande dilemma che si ripresenta: è giusto tutto ciò? Lo ho rimandato fino ad adesso perché la risposta è brutta da sentire e suona come uno schiaffo: no. “Giustizia” è una parola abusata al giorno d’oggi, per questo in molti hanno dimenticato quanto questa sia scomoda e difficile da realizzare. A causa di persone che non hanno rispettato fino in fondo il valore della loro scelta, qualcun’altro si è ritrovato a stabilire sul piatto della bilancia il valore delle loro stesse vite. E si è deciso di dare la priorità a queste, in virtù della nostra morale. E se il mio cuore ne è sollevato, la mia testa continua a ripetermi che pagare due ostaggi ai terroristi è come barattare due vite con migliaia di altre vite. Stiamo innescando un meccanismo pericoloso che difficilmente riusciremo a fermare. Greta e Vanessa (ed altri benefattori sprovveduti prima di loro) sono partite con l’intenzione di fare del bene ma hanno senza volerlo messo in pericolo molte più persone di quelle che effettivamente sono riuscite ad aiutare. E questo è un dato oggettivo. “In questo mondo il cuore non basta: ci vuole anche la testa.” Mi torna di nuovo in mente quella frase. Qualunque scelta si compia, bisogna prima riflettere, ragionare, capire. Soprattutto se si tratta di una decisione strema come quella dei volontari nei paesi di guerra. Essi partono seguendo un ideale e con l’intenzione di realizzare il bene, ma per compierlo davvero bisogna prima essere consapevoli fino in fondo di sé stessi e del mondo che si ha attorno. Perché la realtà è ingarbugliata, presenta miliardi di sfaccettature ed è infinitamente più complicata di qualsiasi ideale. (Tratto da un tema scolastico) Letizia Prudenziato letiziamercuzia@gmail.com

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Talking about our generation

a nostra generazione è ritenuta spesso futile, senza virtù e senza futuro dai politici, dagli insegnanti e, più in generale, dagli adulti. Noi giovani, al contrario di quello che pensano queste cerchie sopracitate, abbiamo dei valori che, la maggior parte delle volte, vengono sottovalutati: anche noi abbiamo dei pregi, delle capacità e delle qualità che ci caratterizzano come esseri umani. Un giovane, purtroppo, viene troppo spesso valutato secondo criteri assurdi che non rispecchiano quella che è la sua vera natura. Un voto a scuola o un “like” su Facebook non spiegano a chi ci circonda il tipo di persona che veramente siamo. Per quanto ne sappiamo, quel giovane potrebbe essere una rockstar e sembrare un boyscout. A riguardo di ciò si potrebbero citare miliardi di aforismi, film o canzoni ma una in particolare esprime e sintetizza bene questo concetto, “My Generation” degli The Who: “La gente cerca di metterci sotto / solo perché ce la spassiamo in giro [...]” Noi viviamo in una società in cui noi ragazzi ci aggiriamo ogni giorno sempre più smarriti, confusi, persi in un labirinto senza vie d’uscita, combattuti tra la voglia di cambiare tutto ciò che non ci piace, tutto ciò che non ci va e la voglia di non volerci esporre, o di farsi valere, o di far cadere quelle inutili maschere che indossiamo ogni giorno per nascondere noi

stessi e le nostre paure. Alla fin dei conti non agiamo semplicemente per timore delle conseguenze. Una caratteristica riguardante gran parte della gioventù è la fragilità, che in alcuni casi, cede sfociando in dipendenze quali alcolismo e tossicodipendenza, che a lungo andare possono provocare problemi psico-fisici piuttosto seri. Anche in questo caso purtroppo, risultano essere davvero poche le persone disposte ad impegnarsi affinché il giovane in questione possa sentirsi meglio ed a suo agio nella società. Le cose che vogliamo e cerchiamo di cambiare sono tante, dalle istituzioni scolastiche, alle leggi discriminatorie e non lo vogliamo fare soltanto in maniera superficiale, ma radicale con continue lotte e discussioni affiché la nostra voce e le nostre idee possano essere non solo sentite, ma ascoltate. Sono in molti, infatti, gli studenti ed i giovani della nostra generazione che, insieme e in gruppo, lottano per questo. Perché allora, non cercate di capire meglio ciò che diciamo? Non stiamo cercando di suscitare una grande sensazione: stiamo solo parlando della nostra generazione! Michelle Cadorin michellecad8@gmail.com Tamara Fagherazzi faghetamy@gmail.com

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SCUOLA

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Caro Matteo, lasciati spiegare come si fa una scuola #buonaxdavvero

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a per essere uno che capisce la scuola basta così poco? Una lavagna, un gessetto, una spruzzata di retorica e tanto tanto pressapochismo? Oppure serve confrontarsi con gessetto e lavagna, e dedicare a studio e istruzione, da studente, da professore, buona parte della propria giornata? Molti a quanto pare non ritengono sufficiente la parlantina del nostro premier e hanno colto come occasione per farglielo sapere la manifestazione del 5 maggio. Una mobilitazione davvero grande, resa tale da 200000 professori e 50000 studenti in piazza e per la quale la Rete degli Studenti Medi è stata presente in 5 città. Forse Renzi dovrebbe smettere di fare il maestrino e iniziare ad ascoltare chi sa rendere la scuola #buonaxdavvero. Al di là della solita retorica, la piazza non è stata così affollata in reazione ad un cambiamento qualunque proposto dal governo. Non è stata solamente sterile contestazione, fine a se stessa e all’immobilismo come accusano alcuni; anche noi studenti pensiamo che una riforma serva, ma una riforma molto diversa. Il governo parla di Buona Scuola, noi ribadiamo che non ripudiamo l’espressione, basta che sia #buonaxdavvero e non buona tanto per dire. La Buona Scuola secondo Renzi Che non si creda però che la manifestazione sia stata l’unico modo in cui abbiamo cercato di farlo sapere a chi di dovere anzi, purtroppo non si può fare di più per far sentire la nostra voce al governo: consultazioni, incontri, volantini, tweet e post su facebook sono altri strumenti che abbiamo usato senza ottenere attenzione se non formale. Ciò non fa che rafforzare l’impressione che andare verso un modello di scuola autoritaria, sottomessa alle aziende, esclusiva e non inclusiva sia l’obiettivo (dell’attuale governo, certo non quello di noi studenti e dei professori). Possiamo leggere in quest’ottica il contenuto del decreto “Buona Scuola”: si promettono 100mila assunzioni evitando abilmente di nominare come si tagliino fuori definitivamente circa 200mila docenti, si aumenta il potere dei presidi (vero risultato della autonomia scolasti-

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ca) con facoltà discrezionali nelle assunzioni, chiamata nominale e persino voce in capitolo nell’erogazione dei (pochi) aumenti salariali. Ora, “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”: chi ci dice che per quanto alcuni dirigenti scolastici potrebbero sfruttare bene questi poteri e non togliere voce in capitolo a studenti e professori altri non facciano l’esatto opposto creando una scuola fatta di favoritismi e e senza libertà di insegnamento? Sembra averla pensata bene “Il ruggito del coniglio” che in questi giorni ha lanciato un sondaggio su come ingraziarsi il preside; speriamo di non essere costretti a vedere scene di prof in fila per portare doni al luogotenente dirigente scolastico. Con il modello renziano di scuola i privati aumenteranno a dismisura la loro influenza. Dietro alla frase “una maggiore sinergia scuola-territorio” si nasconde il progetto di mandare gratuitamente per 400 ore l’anno gli studenti a lavorare in aziende con la scusa degli stages. Per agevolare tutta l’operazione banche e aziende potranno finanziare le scuole, dietro sgravi fiscali, con il forte pericolo di asservire la didattica al loro interesse economico immediato. Nessun privato deve poter influire sulle decisioni del consiglio d’istituto se vogliamo che la scuola pubblica rimanga veramente tale. Mentre Renzi parla di dialogo e confronto con gli studenti, chiede una delega per modificare gli organi collegiali senza spiegare come. Questo potrebbe anche comportare la riduzione dei poteri dei rappresentanti degli studenti, andando a rimarginare (o meglio marginalizzare) il nostro ruolo all’interno della scuola. La collegialità fa in modo che in consiglio d’istituto studenti e genitori possano discutere sulle questioni più importanti per l’istituto; la riforma invece va nel senso opposto: lasciare più potere in mano al preside togliendone a chi la scuola la

compone: studenti, personale e professori. Per queste ragioni è evidente come la riforma vada verso il modello di scuola-azienda capeggiata di preside come manager, molto distante da un’idea di scuola come luogo dell’apprendimento dove esprimere la propria libera opinione o farsene una in maniera democratica. Dulcis in fundo rimangono, e addirittura aumentano, le agevolazioni per chi iscrive il proprio figlio alle scuole paritarie: così che lo stato si preoccupa delle famiglie benestanti che si possono permettere una paritaria invece di pensare alle famiglie in difficoltà che faticano a cavarsela con libri e trasporto per mandare i figli a scuola. Nel frattempo la dispersione scolastica cresce drammaticamente (sempre più ragazzi si ritirano prima di raggiungere il diploma) e non si pensa ad una legge sul diritto allo studio che possa assicurare un’istruzione di qualità anche agli svantaggiati. Vogliamo una scuola per ricchi o una scuola per tutti? Esclusiva o inclusiva? Tutto questo non è altro che un ulteriore attacco alla scuola pubblica, già messa a dura prova dalla riforma Gelmini: stiamo andando progressivamente verso la scomparsa del’insegnamento libero e gratuito. Ma non possiamo nè vogliamo permetterlo. Buona Scuola secondo studenti e professori “Ma guarda un po’, dopo tutte queste critiche saranno capaci di proporre qualcosa?” Al contrario di quanto molti credono sì: non sappiamo solo criticare, ma anche proporre. Come abbiamo già detto crediamo nella Buon Scuola, anzi, in una scuola #buonaxdavvero. Le nostre idee hanno una direzione ben chiara: un’istruzione inclusiva, accessibile, che sappia colmare le differenze sociali ed economiche tra studenti, finanziata interamente dallo stato e in cui gli studenti possano

“Ma guarda un po’, dopo tutte queste critiche saranno capaci di proporre qualcosa?”


sentirsi protagonisti e non semplici spettatori (o meglio impiegati di un azienda sottoposti a continue valutazioni e differenziati in base a queste). Per prima cosa, vogliamo che si discuta del grande assente nella proposta di legge: il diritto allo studio; non si può parlare di una scuola buona se questa lascia indietro studenti e non sa combattere le disuguaglianze sociali che la crisi economica ha ingigantito negli ultimi anni. Anche noi vogliamo, come il governo, l’alternanza scuola-lavoro nei licei, ma con premesse differenti: uno stage ha ragione d’essere se si basa su progetti educativi veri e stabiliti in collaborazione con le aziende, con l’introduzione di uno statuto degli studenti in stages per evitare ogni forma di sfruttamento e renderli veramente educativi e utili per gli interessati, non per i privati. Vogliamo una scuola universale e flessibile, non più classista, che fornisca a tutti le stesse competenze base. Ci deve essere permesso inoltre di scegliere il percorso strada facendo, diventando i veri protagonisti accedendo all’offerta formativa e autogovernandone una parte. Insistiamo per una riforma dei cicli e perché si alzi la soglia dell’obbligo scolastico a diciotto anni Vogliamo una scuola veramente aperta, oltre l’orario di lezione e che possa essere utilizzata per attività autonome dagli studenti, dalle associazioni e dagli enti del territorio a fini sociali, ricreativi e culturali. Siamo convinti che una scuola pubblica debba essere finanziata esclusivamente dallo Stato e che questo debba essere realmente “senza oneri” verso le scuole private. La scuola deve essere democratica e noi studenti i protagonisti dotati di più potere decisionale e della conseguente responsabilità. A questo scopo serve una riforma della democrazia scolastica: più potere agli organi collegiali rispetto al Dirigente Scolastico, pariteticità con docenti e genitori nei Consigli d’Istituto, partecipazione nei nuovi organi addetti a valutazione e didattica, un POF scritto anche da noi studenti e il diritto di referendum. Vogliamo una scuola giusta per essere davvero corresponsabili della nostra educazione e non più sottomessi a un’organizzazione didattica spesso caotica, pesante e ingiusta. Abbiamo bisogno di nuovi diritti. Dobbiamo avere il diritto di sapere dall’inizio dell’anno con precisione quale programma affronteremo, quali cono-

scenze e competenze dovremo maturare; il diritto di stabilire insieme ai docenti le modalità, le tempistiche e la quantità delle verifiche; il diritto di rifiutare un voto e poterlo quindi recuperare; il diritto di decidere insieme ai docenti dove andare in viaggio d’istruzione e quali attività di classe svolgere; il diritto di stabilire insieme al docente almeno una parte della modalità di svolgimento delle lezioni.

“Sarà un grande giorno quello in cui la scuola prende dallo Stato tutti i soldi che vuole e l’esercito e l’aviazione devono organizzare una vendita di torte per comprare bombardieri.” La nostra lotta continua, sempre dalla stessa parte, quella degli studenti. Alberto Rosada alberto.rosada@gmail.com Marco Crosato marco.crosato98@gmail.com

Ritiro del ddl Buona Scuola, la protesta continua

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uello di martedì 5 maggio è stato lo sciopero più partecipato del personale della scuola. Anche la Funzione Pubblica ne ha certificato la portata, l´80% del personale della scuola ha rinunciato ad una giornata di lavoro, ha partecipato alle manifestazioni, protestando contro un provvedimento ora all’ esame della Camera. La partecipazione massiccia delle famiglie, di associazioni e degli studenti, ha mostrato come il tema della scuola e il rispetto per chi la fa funzionare sia fortemente sentito come fondante per il nostro Paese. Che l’80% di docenti abbia scioperato e cinquecentomila persone siano scese in piazza non è servito a fermare l’iter parlamentare del ddl sulla riforma della scuola. Il testo della riforma ha passato il vaglio della VII Commissione cultura con minimi e discutibili cambiamenti che non ne modificano l’impianto. Molti i punti critici rimasti invariati nonostante le richieste pressanti dal mondo della scuola, a partire dal ruolo del dirigente che sceglierà i docenti da assumere nella scuola. Modifiche, invece, relativamente agli albi territoriali e al ruolo degli organi collegiali che manterranno le prerogative per la definizione del POF. Si apre uno spiraglio per gli idonei del concorso, mentre per TFA, SFP e PAS (corsi abilitanti) resta il concorso a cattedra. I docenti non ci stanno e sono pronti a

nuove forme di protesta e in assenza di adeguate risposte la mobilitazione continuerà fino a coinvolgere le attività di scrutinio finale, quindi al blocco degli scrutini, inoltre i sindacati in prima linea hanno attivato una campagna capillare di informazione nelle scuole, attraverso le Rsu, rappresentanti, di tutti i sindacati scuola, per coinvolgere il personale sugli esiti del confronto e del dibattito parlamentare. La mobilitazione continua in tutte le realtà territoriali con iniziative che coinvolgeranno le istituzioni locali, le rappresentanze politiche, la cittadinanza, e faranno sentire le ragioni alla base delle proteste dei sindacati, tra le quali il precariato del personale ata e docente, i superpoteri al dirigente come figura monocratica. Intanto sui social circola una petizione che chiede le dimissioni di Matteo Renzi “L’attuale Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si sta rivelando incapace di governare il paese, a partire dalla sottovalutazione della tragicità degli eventi in Libia, alla mediocrità dei risultati ottenuti dal suo governo in materia di politica economica, ai crolli nelle scuole e ai trasporti, al ridicolizzare le istituzioni, allo stato comatoso in cui si trova il Partito democratico e, non ultimo, l’umiliare chi lo critica. In ogni campo si sta rivelando un fallimento”. Eleonora Amadori eleonoraamadori723@gmail.com

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SCUOLA

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ARTE

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Arte della distruzione o distrazione per l’arte?

inizio maggio a Mosul è stato inaugurato (per la seconda volta) il primo albergo a cinque stelle in Iraq. Alla testa del fastoso corteo celebrativo c’erano alcuni capi ed esponenti dell’ISIS. Da tempo infatti, uomini molto vicini ad Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’autoproclamato Stato Islamico, pubblicavano compiaciuti su Twitter le foto del restauro del complesso seguito ai danni provocati dall’anno di guerra. Seppure possa rappresentare un orgoglioso traguardo per la politica del califfato, questo lussuoso palazzo non può essere comparato nemmeno lontanamente allo splendore dei palazzi di Ninive (attuale Mosul), fatti letteralmente a pezzi dai miliziani dello Stato Islamico lo scorso marzo. No, non starò qui a discutere i motivi – se mai ce ne fosse anche uno valido – che hanno portato a quegli atti barbari. La mia intenzione è un’altra: cercare di vedere un po’ oltre, un po’ più in là; o meglio, un po’ più in qua. Si, vicino a noi. È dura non parlare della distruzione degradante che anche noi ci lasciamo dietro, a casa nostra, in Italia. Spesso siamo fin troppo concentrati ad andare avanti che non ci accorgiamo delle pesanti responsabilità che abbiamo alle spalle. Magari non è colpa nostra: non siamo stati noi a fare questo o quello, e quindi ci sentiamo scagionati e ce ne laviamo le mani. Ma allora perché siamo così profonda-

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mente toccati dalla distruzione di quei luoghi che abbiamo studiato sui banchi di scuola, stampati sulle pagine dei libri, e facciamo finta di non vedere la rovina a pochi chilometri da casa nostra. Non c’è scusa che tenga: nessuno si può tirare fuori, nemmeno chi non ne sa nulla per disinformazione. Non si tratta di sapere qualcosa, bisogna prendere coscienza di alcune cose: la realtà ce l’abbiamo costantemente davanti agli occhi. Esempi? L’abusivismo, prima di tutto: ben undici milioni di italiani vivono nei quasi cinque milioni di alloggi che oltre a deturpare il paesaggio costituiscono un serio rischio per chi ci abita. Tutta la campagna veneta di Palladio e del Giorgione è selvaggiamente asfaltata da un caos di villette, capannoni e centri commerciali. È un bel quadretto dell’insulto al bello che tutti noi abbiamo ammirato più di una volta. Siamo testimoni dello sfregio che subiscono le famose ville venete, ormai completamente accerchiate da quella che consideriamo l’altra meraviglia della nostra regione: la gloriosa industria veneta. Non è solo il Veneto a soffrire: Pompei cade a pezzi, come Hatra sotto i colpi dei martelli di quelli che si possono senza dubbio chiamare ‘pazzi’. E noi? Noi no, non siamo pazzi: noi siamo quelli che hanno fatto la storia dell’arte. Eppure adesso la distruggiamo, anche in maniera indiretta. Siamo tutti by-standers di fron-

te alle bellezze storiche vandalizzate. Ora non si dica che la colpa è tutta di alcuni ragazzini con una bomboletta in mano e qualche rotella fuori posto, perché nessuno è escluso: i restauri si protraggono per anni, milioni di opere sono destinate a rimanere rinchiuse nei ripostigli dei musei, che spesso chiudono perché non ci sono fondi. D’altra parte la cultura non se lo può permettere: lo stanziamento per i Beni culturali è stato dimezzato in meno di dieci anni e in futuro non si intravedono miglioramenti di alcun genere. Sono le contraddizioni del nostro paese, quello che Dante definì il “belpaese”, ma anche quello che permette che un parlamentare (magari colpevole di corruzione o indagato, e chi ne ha più ne metta) possa prendere dieci volte lo stipendio di un archeologo o di un insegnante. E nonostante ciò nessuno puo’ negare le nostre bellezze, i paesaggi, le città rinascimentali e quelle medievali, i musei, le piazze e molto altro. Queste ricchezze però sono sotto attacco, e non sono dei pazzi con la ruspa a minacciarle, ma siamo noi, che senza alzare un dito diventiamo complici della fine che stanno facendo. La nostra negligenza sta facendo in anni quello che in poche ore hanno fatto le mani criminali dei fondamentalisti. Per questo, se c’è una cosa che possiamo imparare da questo scempio è che bisogna combattere contro chi non ha rispetto per l’arte soprattutto qui in Italia, perché non importa quali siano le modalità e i fini della distruzione, distruzione rimane, in ogni caso. Dopotutto possiamo essere europei, americani o iracheni, ma quando non ci interessiamo all’arte - troppo distratti - rimaniamo sempre e comunque tutti vandali. Come riscattarci? Con l’istruzione; a partire dalle scuole, terreno fertile dove educazione ed arte possono crescere e dare frutti concreti per il domani. Francesco Zambonin francesco.zambonin@hotmail.it


Lo Yemen e i problemi del Medioriente

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iò che sta succedendo nello Yemen è veramente gravissimo. Senza nessun mandato delle Nazioni Unite, una coalizione di potenze medio-orientali e non solo (Arabia Saudita in primis, Egitto, Marocco, Sudan, Emirati arabi uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait e Giordania) oltre ai soliti Usa e alla Turchia (che forniscono servizi logistici) sta bombardando la capitale dello Yemen (Sana’a) e sta meditando un attacco via terra. L’Arabia Saudita ha mobilitato, al confine con lo Yemen, cento bombardieri (che visti i bombardamenti sono già ‘’operativi’’), 150mila soldati, paracadutisti, navi da guerra e mezzi corazzati. Tutto questo per qualche migliaia di ribelli sciiti (pare siano finanziati dall’Iran) in pick-up e armati di kalašnikov che hanno ‘’conquistato un pezzo di capitale’’. Ora ci viene detto che la coalizione dei volenterosi è composta da paesi in maggioranza sunniti e invece i ribelli ‘’Houthi’’

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come anche l’Iran sono in prevalenza sciiti. E ci viene anche detto che sarebbe una ‘’guerra religiosa’’. Come sappiamo bene le guerre sono mosse sempre da motivi economici, i motivi religiosi sono solo uno specchietto per le allodole. Nello Yemen oltre al sempre-presente petrolio c’è lo stretto che separa lo Yemen e il Gibuti, stretto che poi porta nel Mar Rosso e infine al canale di Suez. Un’altra importantissima caratteristica di questo nascente conflitto è la vicinanza ideologica tra l’Arabia Saudita e Israele. Entrambe le potenze si muovono (sulla pelle dei civili, come al solito e come in ogni guerra) in funzione anti-Iran. Stranamente proprio in questi giorni si sta concludendo l’accordo sul nucleare iraniano, che si sta negoziando a Losanna, con i Paesi del 5+1 e la Germania. La mossa delle potenze mediorientali anti-Iran, ovvero quella di cercare disperatamente di innescare una scintilla che

causerebbe uno scontro importante tra Iran e Usa, in grado di far saltare l’accordo sul nucleare e in grado di poter ridisegnare le ‘’leadership’’ nel medioriente è semplicemente criminale! Nel nome della realpolitik, nel nome degli interessi di potere e nel nome dei soliti interessi economici-estrattivi si contano decine e decine di morti. Inoltre, non mi pare che l’Arabia Saudita si sia mossa con centinaia di migliaia di uomini per difendere Gaza o perlomeno per fare pressioni affinché Israele fermasse il genocidio della scorsa estate! L’Arabia Saudita insieme agli Usa hanno creato, finanziato e dato da mangiare all’Isis (fino ad un annetto fa) e a tutti i cani e porci possibili ed immaginabili in funzione anti-Assad e per ridisegnare i confini regionali (scomodi alle multinazionali del petrolio)! Ci lamentiamo (giustamente) delle condizioni delle donne in Arabia Saudita e negli altri paesi mediorientali e poi facciamo guerra e affari assieme a quei dittatori tiranni? Coerenza zero. Forti con i deboli e affari con i ‘’forti’’. Forti di portafoglio, ma carenti di umanità. Emanuel Oian emanuel98.o@hotmail.it

Il giovane Cavour

empre meno ricordato o menzionato, Camillo Benso di Cavour fu uno dei più grandi politici della storia italiana dall’Unità in poi. Eccezionale statista, accresce la propria cultura in tre diverse città europee: Genova, Parigi e Londra. Dai libri di scuola traspare l’immagine di un Cavour come un sostenitore della monarchia anche se, secondo il giudizio dello storico Rosario Romeo, da giovane mantenne una strenua ostilità iniziale nei confronti del Piemonte assolutista, sul terreno istituzionale ed anche su quello più prettamente ideologico e culturale. In quell’epoca Cavour era un liberale laico e anticlericale, politicamente avanzato e convinto della necessità di riprendere la sfida all’ “Ancien Régime”, anche nei termini di una soluzione rivoluzionaria. Da qui la visione positiva dei motti insurrezionali francesi del 1830 e con una speranza per la causa dell’unificazione italiana. Già da giovane si ispirò al liberalismo anglosassone guardando all’Inghilterra come modello di libertà e

modernità e allo stesso tempo esempio di sviluppo economico e sociale. Durante la gioventù fu ufficiale del genio militare di Genova dove poté trovare un contesto politicamente più vivo di quello torinese, qui riuscì a formare molto della sua personalità politica e si avvicinò e prese come punto di riferimento le teorie economiche di Adam Smith. Il giovane piemontese capì subito l’arretratezza del mercantilismo settecentesco e iniziò un approfondito studio dell’economia liberista, cominciò a riflettere sulla rivoluzione industriale, anche alla luce delle condizioni di vita e lavoro delle classi lavoratrici: il giovane statista pensava alla necessità di una correzione statale dello squilibrio tra imprenditori e lavoratori a favore di quest’ultimi. Non solo attento economista, ma anche ottimo osservatore del problema religioso, di lui è celebre l’espressione pronunciata in parlamento il 17 marzo 1861 “Libera Chiesa in Libero Stato”, per sottolineare la divisione tra potere spirituale e potere temporale del

Papa. Cercò di coniugare le teorie economiche con quelle religiose in modo tale da unire sentimento religioso e progresso sociale. Senza dubbio fu un politico completo che tramite il suo lavoro contribuì notevolmente all’unità italiana e al suo sviluppo. Alessio Resenterra alessioresenterra@gmail.com

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MONDO E STORIA

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TERRITORI

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NOTIZIE DAI TERRITORI >>> BELLUNO

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Un mondo differente: Il passaggio di testimone la lotta dei ciechi

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el 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cambiato radicalmente la definizione di handicap. Prima veniva considerata come “qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”, successivamente è stata rivalutata in una condizione di svantaggio che limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale del soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali. In sintesi, l’handicap non viene più considerato come una condizione dell’individuo, ma come una condizione in cui l’individuo si trova, a causa della sua disabilità. Lo stato e gli enti per l’integrazione dei disabili dovrebbero (teoricamente) occuparsi dell’eliminazione di tali, eventuali situazioni. Questo purtroppo non succede e ne abbiamo esempio da vari episodi che avvengono in tutta Italia, perfino nel bellunese. Sabato 9 maggio infatti la scala mobile che collega il parcheggio «Lambioi» al centro storico è stata bloccata per oltre un’ora su decisione dei gestori della struttura per impedire che un gruppo di non vedenti la utilizzasse, essendo la scala preclusa ai cani per ciechi. Il gruppo di partecipanti, circa 15 persone con i loro rispettivi animali, si era presentato proprio per dar vita ad una piccola manifestazione sul problema del divieto dell’uso dei loro cani accompagnatori sulla struttura. Il divieto, al centro di una discussione che si protrae ormai da vari anni, sarebbe collegato alle irregolarità di particolari dimensioni geometriche e di pendenza della struttura rispetto alle normative europee. Esaminando il problema si capisce quanto esso sia inesistente: è risaputo infatti che i cani-aiuto per i non vedenti sono appositamente addestrati, quindi il vero problema, come hanno

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riscontrato, non è il comportamento di questi prodigiosi cuccioli, il problema sono solamente le strutture. E le scale mobili non sono l’unico esempio. Per riportarne un altro, le poste di Belluno, in piazza Duomo non sono munite di apposite rampe e limitano perciò l’accesso a persone su sedia a rotelle. La riflessione obbligata è una sola: come può uno stato che declama e difende il benessere dei cittadini e che si proclama nuovi obbiettivi come il welfare state, cadere su queste basilari esigenze di alcuni cittadini? Il comune di Belluno dovrebbe regolamentare tutte le strutture pubbliche che, al contrario di ciò che realmente sono, dovrebbero già essere adatte. I cittadini, in primo luogo dovrebbero prendere posizione e difendere i diritti dei loro concittadini stessi, per eliminare queste inutili discriminazioni. Come scriveva Peter Marshall: “Un mondo differente non può essere costruito da persone indifferenti.”. Zoe Dal Bianco zoedalbianco3@gmail.com

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uando le stanze si riempiono, le persone arrivano anche da lontano e tutti hanno un sorriso stampato in volto. Quando ci si emoziona, ci si commuove, si ride e si canta. Quando si legge, si suona, si osserva. E c’è chi insegna e tramanda; chi conosce e scopre. Ma tutti riflettono, ricordano, imparano. È in questi momenti che avviene il passaggio di testimone, che noi ragazzi capiamo a fondo grazie ai partigiani, nostri maestri e compagni, cosa sia la libertà. Cosa sia stata la resistenza, cosa è ora, cosa deve essere e come vogliamo che sia. La fiaccola della memoria resterà accesa. Ora e sempre RESISTENZA” Queste parole di Caterina Zingale esprimo bene cos’è stato “Abbiamo sognato assieme primavera”. Il 26 aprile ad Arten per un’ora e mezza un centinaio di persone hanno ascoltato sia le canzoni del gruppo trentino “Poesica”, sia le letture dei ragazzi e delle ragazze della Rete Degli Studenti Medi di Feltre. Alternando la musica alle poesie, ai grandi discorsi del rettore dell’Università di Padova Concet-


to Marchesi e del comandate partigiano Paride Brunetti e ad altre testimonianze, è stato passato il testimone della memoria. L’evento era in parallelo con la mostra “La Pietra di Arten”, sulla vita di Antonio Boschieri, il comandante “D’Artagnan” di un battaglione della Brigata Matteotti. Il partigiano ventitreenne è stato barbaramente torturato e ucciso proprio ad Arten, dove una lastra ricorda le barbarie perpetrate contro di lui e gli altri partigiani e civili lì sepolti. Uno era un pastore, stava solo cercando il figlio adolescente, disperso da alcuni mesi. Nella piazza, sotto un capannone, il ricordo della Resistenza univa tutti, ragazzi, adulti, anziani, due partigiani ed anche un deportato in un campo nazista a Bolzano. E’ stato proprio lui, Gianni Faronato, il Presidente dell’Anpi di Feltre, a dare inizio con noi, con tutti i presenti, l’eterno canto “Bella Ciao”. Lui, davanti agli studenti che avevano letto le memorie della Resistenza, battendo le mani dava il ritmo e con la voce faceva da guida per tutto il centinaio di persone riunite nella piazza di Arten.

> > > V E N E Z IA

Marco Polo occupato

(L’occupazione si è svolta nella prima parte dell’anno scolastico 2014-2015.) n quei giorni la scuola è stata occupata da noi studenti, occupata in senso fisico, ma anche metaforico. I ragazzi finalmente erano dentro di essa, la sentivano loro, si sentivano loro. Perché sono dovuti arrivare a questo? Perché evidentemente prima non era così. Non parlo di tutti, per carità, molti tra voi che leggete si sentiranno completi e soddisfatti all’interno di queste mura. Ma altri no. Ci sono alcuni che non si accontentano, che vogliono andare oltre. Ci sono alcuni a cui non basta scaldare il banco recependo silenziosamente ciò che si stacca dalla bocca del professore ed arriva alle loro orecchie assopite, in quello stato di torpore che inevitabilmente si crea nel momento in cui passi cinque, sei ore seduto a farti riempire di sapere. “Il sapere del maestro non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva”. Non lo dico io, lo scrive Massimo Recalcati, uno tra i più noti psicoanalisti italiani. Ma cosa significa preservare la mancanza? Significa che quando ti sei issato la cartella pesante sulle spalle non lasci la tua aula come se fosse un brutto incubo da cui scappare, ma oltrepassi il portone della scuola con la coscienza di aver ricevuto una goccia di sapere e di volerne ancora e ancora. Significa tornare a casa stanco, ma non sentirti comunque sazio, significa leggere anche il paragrafo dopo di quello a cui l’insegnante ha detto di fermarsi. E significa anche organizzare un corso di canto o di teatro in cui trasmettere tutta la tua passione ad amici e compagni. E’ proprio in questi momenti che i professori dovrebbero sentirsi appagati nel proprio ruolo. Proprio quando il ragazzo si mette in gioco perché sente di essere qualcuno che può donare qualcosa, e lo dona ad altri ragazzi che spontaneamente si sono recati da lui, non obbligati, ma sentendo una mancanza, appunto.

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“Il sapere del maestro non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva”

Lì, a cantare, c’era anche l’organizzatrice della mostra e dell’evento, la nipote di Antonio Boschieri, Catia, che porta in giro per l’Italia da anni la vita del partigiano, arricchita anche da poesie originali del giovane comandante. E’ stata lei a contattare la Rete e a creare con gli studenti il pomeriggio di musiche e letture. Il suo massimo desiderio era che il testimone della Resistenza passasse ai ragazzi e alle ragazze lì presenti. E così è stato. Alberto Botte albi.botte@gmail.com

TERRITORI

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C’è stato un momento durante questa autogestione in cui la mia voce ha vibrato insieme a quella di tutti gli altri compagni del corso di canto. E la nostra melodia viaggiava libera per le aule sgombre da libri e cartelle, raggiungeva gli angoli più remoti della scuola, sospirando un’armonia che non si avvertiva da tempo. Eravamo felici di stare lì, perché lo volevamo noi, perché eravamo persone prima che studenti di cui valutare la media. Ritengo che in una “buona scuola” (che di certo non è quella proposta dai nostri ministri) spazi del genere dovrebbero essere parte del programma, e non elemosinati anno per anno come se fossero una concessione. In queste circostanze siamo noi alunni che, in prima persona, raccogliamo ciò che ci è stato trasmesso dagli insegnanti e lo plasmiamo secondo le nostre attitudini e inclinazioni. Cosa può esserci di meglio? “Non siamo vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Frase famosa, no? Eppure tutt’oggi sembra essere un miraggio. Con queste verifiche continue e asfissianti che mirano, nella maggior parte dei casi, ad affiancare a un numero (quello dell’alunno sul registro) un altro numero. Vi sembra possibile che sia considerato naturale il fatto che un ragazzo miri a un voto piuttosto che a un altro, senza soffermarsi un minimo su ciò attraverso cui deve essere valutato? Il sapere infatti è spesso sentito come un mezzo grazie al quale non essere bocciati, non un infinito cui tendere. Una scuola in cui lo studente si senta attivo, senza la paura di prendere quattro, mosso da quel desiderio che l’insegnante si è preso l’incarico di trasmettergli e proteso verso la conoscenza, non pensate potrebbe essere più produttiva? Per citare nuovamente Recalcati: “Senza desiderio di sapere non c’è possibilità di apprendimento soggettivato del sapere; senza transfert, trasporto, erotizzazione, non si dà la possibilità di un sapere legato alla vita, capace di aprire porte, finestre, mondi”. Petra Codato neraky.p@gmail.com

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TERRITORI

Il Mancino >>> ODERZO

Liberi di... dimenticare?

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l 25 Aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo. Un ovvietà. O forse no. Purtroppo molti fanno ancora confusione: mi è capitato di vedere delle interviste di giovani che non sanno cosa sia il 25 Aprile, ma sarebbe troppo facile scaricare la colpa sulle nuove generazioni, come ha giustamente detto l’ex partigiano Umberto Lorenzoni, ospite a Ballarò. La colpa forse anche di chi, come certi amministratori locali, il giorno della festa della liberazione si sente libero di dimenticare il sacrificio dei partigiani. Il cattivo esempio quest’anno l’hanno dato alcuni sindaci della provincia di Treviso che non hanno voluto istituire delle celebrazioni ufficiali nel loro comune. Ma c’è anche chi ha organizzato un cerimonia, ma in modo discutibile: è il caso di Pietro Dalla Libera, sindaco di Oderzo, che non riesce a pronunciare la parola “partigiani” o quella “resistenza”: parla genericamente di “liberazione della nostra patria”, mentre la banda intona la “canzone del Piave”. Per fortuna ad Oderzo che c’eravamo noi della Rete con ANPI, CGIL, PCL e Giovani per Oderzo ad intonare tutti assieme un “Bella Ciao” sotto il monumento ai caduti nella Resistenza. Se almeno ad Oderzo, il 25 Aprile si celebra, in altre realtà non avviene neppure questo: è il caso di Santa Lucia, dove il sindaco leghista Riccardo Szumski si è rifiutato di celebrare il 25 Aprile e sulla facciata del municipio ha piazzato un gonfalone di San Marco. Fortunatamente la Rete di Conegliano, l’ANPI e altre associazioni si sono ritrovate a Santa Lucia per deporre una corona di fiori al monumento ai partigiani. A Resana, invece, il sindaco Mazzorato sostiene che sarebbe ipocrita celebrare il 25 aprile di fronte ai gravi problemi che tante persone si trovano a vivere ogni giorno, come se eliminare una festa simbolo di libertà e di democrazia aiutasse la cittadinanza. Anche qua la risposta non si è fatta attendere. Il 25 Aprile quest’anno è stato minacciato, ma non dimenticato. “Il fiore del partigiano morto per la libertà” sboccia ogni primavera, sta a noi curarlo e rispettarlo. E sta a noi ricordarci sempre chi ha versato il proprio sangue per la nostra libertà. Alberto Rosada rosada.alberto@gmail.com

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Una Rovigo a misura di studente

n vista delle amministrative a Rovigo, la Rete degli Studenti Medi e l’Unione degli Universitari di Rovigo hanno scritto un appello a tutti i candidati Sindaci e Consiglieri. Appello in cui sono state messe in luce le esigenze e le proposte degli studenti, che sentono il bisogno di ridare vita a servizi e iniziative sociali e culturali che in questi anni sono andati via via scemando fino a non essere più appetibili né quantomeno sentite dai giovani e dai residenti in generale. Di seguito lo scritto che i candidati hanno potuto leggere dal 18 maggio, data in cui è stato lanciato. Cari candidati Sindaci e Consiglieri, Il 31 maggio sarà un appuntamento importante per tutta la città e, come Rete degli Studenti Medi e Unione degli Universitari di Rovigo, ci sentiamo in dovere di mettere nero su bianco alcune fra le istanze che riteniamo prioritarie e rappresentative di un’importante componente sociale: quella studentesca. Proprio per questo vi rivolgiamo un appello, che auspichiamo possa trovare l’appoggio in ciascuno di voi, non solo a parole ma anche nei fatti qualora veniate eletti. SPAZI Troppi sono i luoghi dimenticati, abbandonati o sconosciuti: abbiamo bisogno di nuovi spazi di aggregazione dove poter crescere e dare espressione alle nostre passioni. Siamo convinti che i giovani rappresentino un potenziale enorme in grado di poter ridare alla città quella vitalità che ancor’oggi manca. L’ex stazione delle corriere, che ospita ora il parcheggio ‘multipiano’, e la Cepol in Commenda sono due luoghi che chiediamo vengano finalmente riqualificati per il bene della cittadinanza intera. Sono tante le cose che si possono decidere di fare: perché non indire dei bandi comunali che vadano a premiare il progetto migliore? Aule studio aperte fino a sera con wi-fi gratuito, sale lettura e in affitto a basso costo (per esempio per musicisti e artisti), nuove sedi per le associazioni territoriali, spazi per il ‘coworking’ e uno skatepark dove potersi allenare. Giovani, adulti, famiglie, anziani devono poter riuscire a mettere insieme creatività, risorse e passioni. Ro-

vigo deve rinascere. AMBIENTE La rivalutazione delle aree verdi in città, nei quartieri e nelle frazioni deve essere una priorità: negli ultimi anni hanno subito un pesante ridimensionamento e una vergognosa svalutazione, a partire dal Parco Maddalena sino ad arrivare a Parco Langer senza tralasciare i numerosi viali ‘storici’ spogliati del loro verde. I parchi devono tornare luoghi di attrazione per i bambini, le famiglie, i giovani e gli anziani e, per questo, devono essere capaci di soddisfare le varie esigenze intrecciando gli interessi di tutti. Chiediamo la ripresa, a partire dai parchi citati, del verde nell’intero Comune di Rovigo: basta cemento, basta traffico e inquinamento. Politica e cittadinanza si educhino reciprocamente al rispetto del proprio territorio. CULTURA E SERVIZI L’Accademia dei Concordi rappresenta il cuore del nostro patrimonio storico-culturale. Vogliamo, però, che questo cuore torni a pulsare: chiediamo che la nuova amministrazione si impegni a garantire un prolungamento dell’orario e un ampliamento dell’offerta a partire da una biblioteca ‘scaffale aperto’ e la possibilità di realizzare assunzioni a termine rivolte principalmente a studenti e precari per supportare il servizio. La città deve garantire ai suoi cittadini un’offerta culturale valida e costante. Scuole e Università devono diventare, finalmente, il punto di forza per Rovigo: proponiamo ‘notti bianche dell’istruzione’ dando la possibilità di sfruttare i luoghi comunali e scolastici oltre l’orario di lezione. Chiediamo venga ripensato anche il Consorzio Universitario di Rovigo, davvero troppo estraneo alla città che lo ospita; sono numerosissimi gli studenti che vivono il Cen.Ser e che non trovano nel nostro centro l’offerta culturale ed i servizi che caratterizzano, invece, tutte le città universitarie. Una riorganizzazione è necessaria, ma prima di tutto è necessario che quegli studenti vengano ascoltati e consultati! Tra questi molti sono i ‘fuorisede’ che studiano al CUR, ma anche al Conservatorio ‘Venezze’: è arrivato il tempo di sconfiggere l’affitto in nero e di offrire loro un servizio mensa economi-


TERRITORI

Il Mancino

Giugno 2015 - N.3 >>> VICENZA co ed efficiente. Chiediamo si realizzi un tavolo operativo tra Comune, Università, associazioni studentesche e sindacati per risolvere, una volta per tutte, questo problema. TRASPORTI Rovigo deve diventare una vera ‘smart city’. È necessario un serio collegamento tra centro città, quartieri e frazioni partendo dalla realizzazione di vere piste ciclabili e una implementazione del servizio di trasporto pubblico su gomma urbano. È necessario un ripensamento degli orari delle corse mattutine sulla base delle richieste degli studenti, aprendo tavoli con le associazioni e la consulta provinciale studentesca. Inoltre, mancano corse serali che colleghino la città alle frazioni, specialmente nei fine settimana. Per promuovere l’educazione ambientale e fornire un servizio ai cittadini, vanno implementati e promossi carsharing e bikesharing per la città; la politica perciò deve intervenire su questo punto anche attraverso convenzioni e abbonamenti che incentivino l’uso del mezzo pubblico e della bicicletta per giovani e adulti. SOLIDARIETÀ Rovigo deve essere aperta e inclusiva. Chiediamo, infine, una città priva di discriminazioni capace di offrire servizi a tutti i suoi cittadini senza distinzione di provenienza, religione o orientamento sessuale. Il Comune e la pubblica amministrazione devono impegnarsi a garantire la rimozione di eventuali ostacoli sociali ed economici, che impediscano lo sviluppo e l’inserimento all’interno della sua comunità: fare rete con le scuole e il Centro Servizi Volontariato è quindi necessario per formare cittadini consapevoli. Rovigo deve promuovere una politica di pace e di integrazione tra i vari popoli che la compongono, a partire da eventi culturali in grado di unire le diverse tradizioni, all’insegna di una conoscenza reciproca e una convivenza felice. Chiara Bordon chiara1.bordon@gmail.com

Settimana corta

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onostante la discussa riforma della scuola sia una dei primi provvedimenti che si discostino dalla politica di tagli sfrenati all’istituzione scolastica la provincia di Vicenza è comunque riuscita a minacciare ulteriori sacrifici contro gli studenti. La causa è la legge di stabilità che impone molte restrizioni alle provincie: come fare per risparmiare? Semplice.. si taglia alle scuole! Questa operazione è però magnificamente mascherata come un favore agli studenti: si tratta infatti dell’introduzione della settimana corta che prevede l’abolizione del sabato a scuola. Essa crea chiaramente di un grande risparmio sia perché la scuola aperta è un costo e un giorno in meno ogni settimana da sostenere è una grande differenza, sia dal punto di vista delle aziende di trasporto, gli interessi delle quali sembra abbiano più voce in capitolo degli studenti. È una questione di terminologia: c’è chi lo chiama taglio e chi lo chiama risparmio ma in fondo è lo stesso, solo che fa una figura migliore il secondo termine. E qui gli studenti si dividono: qualcuno è favorevole per la semplice ragione di avere una sera in più in cui uscire con gli amici, qualcuno perché “di questi tempi bisogna tirare la cinghia senza stare a lamentarsi”, qualcun altro è contrario in quanto duro e puro contestatore di qualunque forma di taglio all’amata istituzione scolastica e poi c’è chi fa notare i problemi di questa iniziativa. Infatti esistono numerose difficoltà: la principale è rappresentata dal liceo musicale in cui gli studenti devono già stare a scuola in numerosi rientri pomeridiani e non se ne possono permettere altri. Altre problematiche sono sottolineate da chi abita distante dalle principali città per cui restare anche solo un’ora in più a scuola può voler dire un rientro a casa molto tardi e quindi meno tempo per lo studio. Inoltre il sabato i trasporti per la città principale sarebbero molto più difficoltosi per i conseguenti tagli alle corse. Alcune scuole a Vicenza hanno comunque già introdotto la settimana corta e gli studenti affermano di trovarsi bene, ma ciò ha comunque importanza fino a un certo punto: chi ha scelto queste scuole aveva già messo in conto il sabato a casa, ora invece non ci sarebbe scelta. Al di là delle varie discussioni la mancanza principale secondo la Rete degli

Studenti Medi di Vicenza sta nel fatto che questa sarebbe l’ennesimo cambiamento subito passivamente dagli studenti che come al solito non sono stati interpellati. La nostra linea non è contestare la decisione in sé ma esigiamo che vengano fatti dei questionari per gli studenti e per tutti i lavoratori del mondo della scuola in modo da tenere conto della volontà di chi è direttamente interessato da questa iniziativa della provincia. Vogliamo che la settimana corta sia introdotta solo negli istituti in cui i risultati di questi questionari siano favorevoli. Giuseppe Rigobello beppe.rigobello@gmail.com

La Basilica Chiede un abbraccio

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o sapevate che un abbraccio aumenta il livello di ossitocina, “l’ormone dell’amore” che a sua volta può avere effetti benefici sulla salute? Dallo scorso anno l’associazione “15 giugno” Arcigay Vicenza in occasione del 17 maggio, Giornata Internazionale contro l’omofobia e la transfobia, organizza l’Abbraccio alla Basilica Palladiana, patrimonio dell’UNESCO dal 1994 e simbolo della città di Vicenza. Arcigay, in collaborazione con le altre associazioni LGBT di Vicenza, si è incontrata in Piazza delle Erbe alle ore 16.30 ad accogliere più di 500 persone che volevano far parte della catena umana che ha circondato la Basilica; tutto ciò accompagnato da musica, festa, colori e dall’innovativa esposizione fotografica, intitolata “It’s only love” di Selene Pozzer. Quest’Abbraccio ha voluto dimostrare come i cittadini siano uniti contro ogni forma di discriminazione fisica, morale o simbolica legata all’orientamento sessuale. “Se non ti mobiliti per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privato, quando poi intaccheranno i tuoi nessuno si muoverà per te. E ti ritroverai solo.” (Harvey Milk) Bianca Facco faccobianca@gmail.com Sergio Ragone sergioragone97@hotmail.it

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OROSCOPO

Il Mancino

Giugno 2015 - N.3

L’oroscopo dello studente Ariete 21/03 - 20/04 Mercurio vi viene in aiuto, questo sprint finale (soprattutto per chi ha gli esami) sarà più sereno rispetto a ciò che vi aspettavate. Quest’estate godetevela, è il momento giusto per pianificare una vacanza in qualche città o delle belle giornate di mare con gli amici!

Leone 23/07 - 22/08 La fine della scuola sarà un po’ tormentata per te, Marte e Mercurio ti faranno penare. Alternerai momenti di disperazione e ansia ad attimi di lucidità e pacatezza assolute. Abbi pazienza, perché poi quest’estate si dimostrerà anche per te perfetta per viaggiare e fare nuove esperienze.

Sagittario 22/11 - 21/12 Questo periodo sarà pieno di alti e bassi per voi Sagittario. Cercate di non essere impulsivi e dare il giusto peso alle cose, dopo queste prime settimane altalenanti arriverà anche per voi un’estate serena e piena di belle esperienze.

Toro 21/04 - 20/05 È il momento di dare una svolta alla vostra vita alla fine di quest’anno scolastico. Ritrovate la grinta che nell’ultimo periodo avete un po’ perso e ricavatevi del tempo per riflettere sul vostro futuro e le vostre ambizioni. Una volta colti quali saranno i vostri obiettivi, questo sarà un ottimo momento per cominciare a renderli concreti.

Vergine 23/08 - 22/09 Le persone intorno a te ti sembreranno tutte impazzire in questo periodo, ma abbi la forza di dimostrare ciò che a loro manca: la pazienza. Abbi la forza di non agire impulsivamente e saper placare le tensioni che ci sono intorno a te, vedrai che così saprai risolvere i problemi e goderti al meglio l’estate.

Capricorno 22/12 - 20/01 In questi mesi sei una forza. Hai una grinta che non ritrovavi da un po’ che ti aiuterà a finire al meglio delle tue possibilità quest’anno scolastico. Riuscirai ad affrontare tutti gli eventuali rancori e problemi che ti attanagliavano da un po’ e sarai carichissimo anche al momento di organizzare la tua estate con gli amici.

Gemelli 21/05 - 21/06 Ultimi voti da recuperare? Ansia per la maturità? Zero idee sull’università da fare? Prenditi qualche giorno per riflettere e concentrarti bene su tutto questo, è il momento giusto, ma soprattutto ti permetterà di aprire un’estate ben più serena, in cui lo studio lascerà molto più spazio alla socialità.

Bilancia 23/09 - 23/10 Tu hai già completamente la testa nelle vacanze, e allora così sia! Utilizza le tue energie per risvegliare gli amici stanchi e svogliati, ormai stremati da questo anno di scuola, e guidali nell’organizzazione di una bella vacanza tutti insieme!

Acquario 21/01 - 19/02 Forse i tuoi genitori si aspettavano qualcosa di più, magari potranno farti un po’ di storie per la scuola o perché secondo loro stai già pensando troppo allo svago estivo, ma pazienza passerà. Riuscirai ad essere sereno comunque e circondarti di tanti buoni amici che ti faranno godere l’estate tra divertimento e riposo.

Cancro 22/06 - 22/07 In questo periodo sei un po’ confuso e introverso rispetto al solito. È il momento delle riflessioni e delle grandi domande, che sicuramente ti porteranno a soluzioni ragionate e grintose. Se ti attanagliano dubbi sulla tua scuola forse sarà il momento giusto per mettersi in gioco e pensare alla rappresentanza studentesca magari per l’anno prossimo.

Scorpione 24/10 - 21/11 Marte ti farà innervosire ancora un po’. Quel prof a cui proprio non vai giù, quel voto che proprio non riesci a recuperare… Abbi pazienza e cerca di dare il giusto peso alle cose, ragionandoci lucidamente ma senza farti avvelenare troppo il sangue, per fortuna l’estate è alle porte!

Pesci 20/02 - 20/03 Pesci siete decisamente troppo nervosi al momento, e questo vi crea ancora più malintesi e problemi di quanti non ne abbiate già. Cercate di rimanere più calmi, e vedrete che superate queste prime settimane anche le stelle vi aiuteranno. Non vorrete mica rovinarvi l’estate, no? Forse avete proprio bisogno di una vacanza.

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I giochini dello studente 1) Possono essere di chimica, fisica o anche di lingue 2) Così si definisce “l’educazione tra pari” 3) Lo puoi presentare all’ufficio scolastico regionale in caso di ingiusta bocciatura 4) Organo di rappresentanza studentesca che si rinnova ogni due anni 5) Se hai problemi per sanzioni disciplinari ingiuste puoi rivolgerti all’organo di... 6) La principessa guerriera 7) Il mestiere con cui è diventata famosa Cara Delevingne 8) Tutti devono farla alla fine della quinta superiore 9) Ne ha grande esperienza Robert Baratheon 10) Il luogo in cui continui gli studi dopo le superiori 11) Quelli dell’istituto e della classe li eleggi ogni anno 12) Canta “Vengo dalla Luna” 13) Un animale e una capitale

The art is a boom

Una recente ricerca dimostra quanto il popolo Italiano sia disaffezionato alla cultura. Reputiamo grave questa mancanza e vorremo provare a rimediare, nel nostro piccolo, all’interno di questo giornalino studentesco. Questi non sono compiti per casa, o noiose faccende che DOVETE fare, quanto più dei consigli per andare a scoprire novità, libri, film, ecc.. Non vogliamo farvi recensioni o dirvi cosa ne pensiamo, vogliamo solo far girare alcuni titoli che non sempre trovano spazio nei programmi scolastici e che magari possono interessarvi.

Noi siamo la vostra Arterapia: leggiamo, leggiamo di tutto, senza paura contaminiamo le nostre idee con la cultura, non diamo giudizi, non censuriamo, diffondiamo e difendiamo il potere della cultura. Aiutateci, ne abbiamo bisogno. Se volete recensire libri, film o opere teatrali, saremo felici di pubblicarle nei prossimi numeri de “Il Mancino”, basta mandarli alla mail: redazione.mancino@ gmail.com

Diritti Civili -Film “Pride” di Matthew Warchus. -Libro “L’altra parte di me” di Cristina Obber

Russia -Film “Educazione Siberiana” di Gabriele Salvatores -Libro “Anna karenina” di Lev Tolstoj

Dipendenze e adolescenza -Film “Basketball diaries (Ritorno dal nulla)” di Scott Kalvert. -Libro “Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino” di Kai Hermann e Horst Rieck

Terre lontane -Film “Marrakech express” di Gabriele Salvatores -Libro “Il senso di Smilla per la neve” di Peter Høeg

In questo numero vi consigliamo quattro libri e quattro film su quattro temi:

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TEMPO LIBERO

Il Mancino

Giugno 2015 - N.3


Il Mancino - Giugno 2015 - Numero Tre - giornalino studentesco Veneto a distribuzione gratuita - tiratura: 5000 copie Denis Donadel - denisdonadel@gmail.com - 3408204707 Jacopo Buffolo - jacopo@buffolo.it - 3466314395 Stampate presso Centro Stampa Delle Venezie - Via Austria, 19/b – Z.I. Sud 35127 Padova (Italy) Edito da: Rete degli Studenti Medi Veneto - c/o Reset - Via Loredan 26, Padova (Italy) redazione.mancino@gmail.com


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