godiasco salice terme Si interessano e si preoccupano dell’alimentazione dei propri cari e probabilmente le prime domande che fanno a loro sono: “hai mangiato? cosa hai mangiato? hai mangiato bene?”. Da sempre l’attenzione per l’alimentazione è al centro della cura della persona. E poi infine ma non per ultimo ,il quarto cliente, il più importante, il consumatore del pasto, una bella responsabilità, non crede ? Certamente, è lui che alla fine deve essere soddisfatto, è lui che ci dirà se abbiamo fatto bene o no il nostro lavoro. E’ lui che dirà al famigliare “sai, in questo posto si mangia bene!”. In un ristorante se non ti trovi bene puoi sempre non tornarci più, ma in una scuola un bambino ci deve mangiare forse 200 pasti all’anno per 6, 7 o 8 anni…e non ha scelta. In una Residenza Sanitaria l’Ospite consuma tutti i pasti della settimana, del mese, dell’anno e spesso sono gli ultimi della sua vita. Per tutti loro il pasto non è più solo una necessità ma diventa un momento di svago, aggregazione, convivialità. Noi dobbiamo contribuire, con il nostro impegno, a renderlo unico. Cucinando per loro siamo responsabili di un pezzetto della loro felicità». Ritiene stimolante cucinare in questo contesto? «Molto! In un ristorante l’unico scopo è di far mangiare bene un cliente che si vuole togliere qualche sfizio, non è insegnare la corretta alimentazione... anzi, per assurdo è proprio il contrario: è il luogo della concessione, dell’eccezione e dello strappo alla regola, il luogo dove ci si concede qualche caloria in più che “tanto domani la smaltiamo in palestra”. In RSA invece l’alimentazione è importantissima ed i clienti da accontentare con un pasto sono molti: Ospiti, Parenti, Direttore sanitario, Economo... per questo trovare la giusta ricetta, in tutti i sensi, è difficile, ma stimolante: una sfida continua». Gli chef, si sa, sono dei creativi, riesce a dare sfogo alla sua fantasia in cucina oppure non c’è margine di “iniziative personali”? «Per quello che dicevo prima, incentivare iniziative personali e liberare la fantasia diventa importante, ogni singolo pasto è importantissimo per chi lo consuma. I nostri clienti, spesso non per scelta, di-
AGOSTO 2021
pendono da noi, anche per il pasto, sono nelle nostre mani, si fidano di noi. Avere la loro fiducia è una responsabilità che va onorata». Gli chef stellati negli ultimi anni sono diventati sempre più famosi grazie anche ai media, si dà loro troppa importanza o è giusto così? «Personalmente, ammiro i grandi cuochi, gli Chef stellati, a volte un po’ patinati, quelli che ormai abbiamo imparato a conoscere in tv. Spesso sono attaccati e criticati in modo secondo me ingiusto, ma si sa, quando la volpe non arriva all’uva, dice che è acerba. Fanno un lavoro molto diverso dal nostro, sì, anche loro cucinano, ma lo fanno per intrattenimento, per convivialità, per far conoscere ai “golosi” prodotti dei quali ignoreremmo anche l’esistenza ma soprattutto lo fanno per passione ed amore verso il loro lavoro. Ci avvicinano a tecniche di cucina nuove, a piatti innovativi a volte estremi, a riscoperti piatti antichi o, come si dice oggi, rivisitati. Con un loro pranzo o cena probabilmente si vive una piccola esperienza, un breve viaggio nell’immenso mondo dei profumi e dei sapori. Non si fermano mai, sempre alla ricerca di qualcosa di unico per stupirci. Sono come i grandi compositori che con una manciata di note musicali e scarabocchiando in modo a noi incomprensibile uno spartito musicale ottengono migliaia di melodie, diverse tra loro nei ritmi, nei suoni, nelle emozioni che trasmettono. Oppure come i grandi pittori che, indossato il camice che racconta tutta una vita e afferrata la tavolozza imbrattata di colori, prendono a pennellate una povera tela bianca trasformandola in un capolavoro senza tempo con mille colori e mille sfumature per raccontarci chissà quale storia. Anche i grandi Chef sono artisti, alchimisti, fabbricanti di emozioni attraverso il cibo e come per le melodie e i dipinti anche le loro opere a qualcuno piacciono ad altri meno, ma l’impegno ed il tempo che dedicano al loro lavoro deve essere sempre rispettato». Come ha detto prima, per fare il suo lavoro ci vuole passione e dedizione anche perché è molto faticoso, non dobbiamo dimenticare i sacrifici e i ritmi di lavoro serrati di una cucina che fornisce così
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Piero Comerio, da 30 anni cucina per Residenze Sanitarie, oggi serve 600 pasti al giorno tanti pasti a diverse realtà, che insegnamenti le ha dato questa professione nel corso degli anni? «Nel nostro Centro Cottura non siamo Chef stellati e a dire il vero neppure Chef, non abbiamo formazioni professionali. Una scuola però l’abbiamo frequentata, si chiama “Rimboccati le maniche”. Abbiamo avuto un paio di insegnanti, uno il Professor Gavetta, l’altro la Professoressa Esperienza. Il primo, il Professor Tanta Gavetta, ci ha introdotto nel suo mondo, quello del lavoro, ci ha insegnato le basi, ci ha insegnato il sacrificio, ci ha insegnato a sudare. Ha insegnato l’importanza del suo mondo, ci ha detto che la nostra vita l’avremmo passata per buona parte in esso. Ci ha spiegato che non esistono lavori importanti o meno importanti, tutti contribuiscono alla vita di ciascuno di noi, sono fondamentali l’uno per l’altro e tutti si sostengono a vicenda. La Professoressa Molta Esperienza invece ci ha affiancati silenziosamente e ha fatto crescere in noi, giorno dopo giorno, la padronanza, la pratica, la competenza. Ci ha insegnato a come conoscere i nostri clienti, a capire le loro esigenze, i loro gusti. Ha contribuito a far crescere in noi la consapevolezza nelle nostre capacità e la passione per il nostro lavoro. Ci ha insegnato i valori, ci ha insegnato a conoscere e rispettare i nostri limiti. Ci ha ripetuto spesso che: “amare quello che si fa, è il segreto per farlo bene e non sentirne il peso». Sbaglieremmo però a credere che questa scuola abbia un’ultima lezione, pensare un bel giorno di aver capito ed imparato tutto sarebbe un fallimento, professionale ed umano, sarebbe la vittoria della
presunzione, una professoressa subdola e ignorante che non vogliamo incontrare. Parafrasando il nostro ambito, dobbiamo avere sempre fame, fame di imparare cose nuove, di sperimentare, di crescere, dobbiamo essere insaziabili golosi di conoscenza». Qual è il segreto di un buon piatto? «Un buon piatto non lo si ottiene solo sapendo cucinare, ma sapendosi organizzare al meglio, non sottovalutando nessun aspetto, rispettando clienti e colleghi, rispettando le mille normative e gli organi di controllo, mettendoci sempre il desiderio di far felice qualcuno, mettendoci entusiasmo, lavorando sempre a testa alta senza paura di essere in prima linea». Attraverso la cucina, quindi, lei, il cuoco, entra in sintonia con chi gusta i suoi piatti, fornisce attenzione e affetto e se il cibo è apprezzato otterrà grande soddisfazione… «Penso che il nostro lavoro sia “molto difficile”, ma se guardiamo negli occhi uno ad uno i nostri clienti non dobbiamo vedere solo un numero, ma una Persona che ha un nome, una Persona con la sua umanità, la sua dignità e la sua sensibilità e che nel momento del pasto ha bisogno di noi, è nelle nostre mani e si fida. Deve sapere che per noi è un onore essere al suo servizio, dobbiamo comunicargli rispetto attraverso il piatto preparato per lui e se lo percepirà vorrà dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro… forse così ci perdonerà qualche pasta asciutta un po’ scotta ed insipida … ed è qui che il nostro lavoro “molto difficile” diventerà un po’ più semplice !». di Silvia Colombini