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Sorpresa: un italiano su due cambierebbe subito lavoro
Il Fenomeno Great Resignation
Negli Stati Uniti è ormai noto come “Great resignation”, le grandi dimissioni. In Italia non è della stessa portata ma di certo, dopo la pandemia, il fenomeno delle dimissioni dal lavoro si fa sempre più spazio. Sono oltre 1,6 milioni, infatti, quelle registrate nei primi nove mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 quando ne erano state registrate più di 1,3 milioni.
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10,3% dei lavoratori italiani: il 16,7% delle donne (rispetto al 5,7% degli uomini) e il 13,9% dei 15-34enni. Tra gli occupati giovani, la percentuale del part-time involontario raggiunge il 20,9% tra le femmine e si ferma al 9,0% tra i maschi. La precarietà è gio- vane e ancor più donna, e alimenta una parte significativa della mobilità nel mercato del lavoro.
CAMBI LAVORO (CHI PUÒ)
Se solo potesse, il 46,7% degli occupati italiani (quasi uno su due) lascerebbe l’attuale lavoro. Lo farebbero il 50,4% dei giovani e il 45,8% degli adulti, il 58,6% degli operai, il 41,6% degli impiegati e solo il 26,9% dei dirigenti. Anche perché il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per ricavare i soldi necessari per vivere e fare le cose che piacciono, senza altre motivazioni. Que- sto vale in particolare per il 69,7% dei giovani e per il 75,6% degli operai. Ma quali sono le ragioni dell’inquietudine che avvolge il rapporto con il proprio lavoro? Innanzitutto, le difficoltà di carriera: per il 65% degli occupati le opportunità di avanzamento professionale sono insufficienti. In secondo luogo, le retribuzioni insoddisfacenti: il 44,2% degli occupati considera lo stipendio percepito non adeguato alle proprie esigenze (il dato si alza per i giovani: il 53%). C’è poi la paura di perdere il posto di lavoro: teme di potersi ritrovare disoccupato nel prossimo futuro il 42,6% dei lavoratori (il dato aumenta al 51,6% tra gli addetti delle piccole imprese, rispetto al 34,9% di quelli assunti nelle grandi aziende). Si tratta di una precarietà attuale e concreta, più tangibile di quella preconizzata dagli annunciati stravolgimenti legati all’innovazione tecnologica.
SMART WORKING?
Smart working promosso, se alternato con il lavoro in presenza. Lavora da remoto il 12,2% degli occupati (la percentuale era pari al 4,9% nel 2019). Il lavoro da casa piace perché per l’81,3% consente una migliore conciliazione tra famiglia, vita privata e lavoro, per il 74,8% riduce lo stress legato al lavoro in presenza, per il 74,1% permette di lavorare in contesti migliori del luogo di lavoro deputato, per il 70,4% migliora più in generale la qualità della vita. Però, per il 72,4% il giudizio è positivo solo se lo smart working è alternato con giorni di lavoro in presenza. Per il 71,8% non è vero che in smart working si lavora di meno. Per il 52,8% si generano anzi benefici anche per i datori di lavoro. Per il 75,9% fa risparmiare le aziende, perché si trasferiscono alcuni costi direttamente sui lavoratori (ad esempio, le bollette dell’energia), per il 65,1% si innalza la produttività del lavoro. C’è però un unico grande rischio: per il 54,4% si potrebbe erodere il senso di appartenenza aziendale.
WELFARE AZIENDALE
Oggi gli strumenti di welfare aziendale sono conosciuti dal 64,9% dei lavoratori (ma solo il 19,8% sa con precisione di cosa si tratta). In merito alle tipologie di servizi e prestazioni maggiormente richieste, il 79,4% dei lavoratori desidera un supporto personalizzato, tagliato su misura rispetto alle proprie esigenze, il 79,2% chiede maggiori opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro, il 79,1% integrazioni del reddito, il 78% un aiuto per risolvere i problemi burocratici nel rapporto con le amministrazioni pubbliche, il 68,1% una consulenza psicologica per affrontare le difficoltà quotidiane. Se le integrazioni del reddito sono largamente apprezzate, dal welfare aziendale i lavoratori si attendono anche un utile supporto per raggiungere una più alta qualità della vita. Il welfare aziendale sarà sempre di più uno strumento importante per i responsabili delle risorse umane, per rimotivare chi è già in azienda e per attrarre nuovi lavoratori, soprattutto tra le nuove generazioni.
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GIOCO • Grancassa su lle vincite, silenzio sulle vittime. Gabriele Cervi racconta la lettera ricevuta dalla Santa Se de
VANNI RAINERI
Nulla cambia: di gioco d’azzardo si parla soprattutto in occasione delle vincite, mentre il silenzio è sovrano sulle tante vittime. È avvenuto nei giorni scorsi con la corposa vincita al Superenalotto, e anche per qualche vincita avvenuta nella nostra provincia. Nonostante siano più i soldi spesi di quelli incassati, sono solo gli ultimi che fanno notizia. A distanza di un anno dal lungo colloquio con Gabriele Cervi, presidente della cascinetta didattica di Castelverde che da anni si batte contro la ludopatia, in particolare contro le sale slot, lo ritroviamo grazie anche a una lettera a lui giunta dal Vaticano, firmata da Mons. Roberto Campisi a nome di Papa Francesco «Come gruppo di autoaiuto formato per lo più da genitori che hanno figli compulsivi al giocoafferma Cervi - abbiamo chiesto al Santo Padre un aiuto. Papa Francesco, a soli due mesi dal nostro appello, ci ha risposto. Le sue parole oltre a renderci felici ci hanno dato speranza e fiducia per affrontare con più forza la nostra non facile battaglia. Sua Santità ci assicura un particolare ricordo nella preghiera e, mentre rammenta che il gioco d’azzardo genera continui fallimenti, non solo economici, ma anche familiari ed esistenziali, esorta a proseguire con competenza, umiltà e cristiana carità nella sua significativa opera di vicinanza a quanti sono coinvolti in tale drammatica situazione. Egli invoca la materna intercessione della Vergine Maria e di cuore impartisce la Benedizione Apostolica, augurando ogni desiderato bene nel Signore. Alla lettera è stata allegata una fotografia del nostro amato pontefice». «Dirò di più - continua Cervi -: fortuna vuole che recentemente si