E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 74 – anno XIII numero 3 maggio-giugno 2018 ISSN 1828-0722 Editore
GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Area commerciale Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Vanni Veronesi, Claudio Pizzin, Paolo Marizza, Vanni Feresin, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Germano De March, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Isa Dorigo, Sandro Samez, Marianna Martinelli, Irene Devetak, Andrea Tessari, Rossella Biasiol, Eleonora Franzin Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Alberto Cella Credits sommario :: Vanni Veronesi :: :: Claudio Pizzin :: :: Centro Missionario Gorizia :: :: Michele Tomaselli :: :: Alberto Cella :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo goliardica editrice srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.
Cari lettrici e lettori, nell’avviare questa mia riflessione desidero condividere con voi un’interessante inchiesta realizzata per il Corriere della Sera dalla collega Milena Gabanelli. Il tema, oltre che strettamente attuale, risulta essere a mio avviso una delle principali questioni che incrosta e paralizza lo sviluppo del nostro sistema democratico e della nostra società: il rapporto ambiguo tra politica e magistratura. Partiamo da una garanzia del nostro ordinamento: tutti i cittadini della Repubblica hanno il diritto di accedere alle cariche elettive e di ritornare, quando lo desiderano, a fare la loro precedente attività. Ciò vale anche per i magistrati che – è bene sottolinearlo – fanno già parte di uno dei tre pilastri del potere in cui è suddivisa la nostra democrazia: legislativo (il parlamento), esecutivo (il governo) e giudiziario (la magistratura, per l’appunto). Senza avventurarsi in troppi sillogismi, è sufficiente porre una semplice domanda: con quale terzietà si comporterà un giudice eletto in Parlamento, che dopo anni passati a stretto contatto con la politica, rientra nelle aule giudiziarie? Un potenziale conflitto di interessi e di poteri con evidenti rischi per il regolare andamento della giustizia che ha spinto perfino l’Organismo di Controllo contro la corruzione del Consiglio d’Europa a intervenire sulle falle del nostro sistema, chiedendo all’Italia norme più stringenti per la partecipazione dei magistrati alla politica. Oggi, infatti, il nostro ordinamento rende addirittura possibile indossare la toga e la casacca di sindaco o di assessore, mentre l’incompatibilità territoriale vale solo al rientro (non fai il giudice dove sei stato eletto) ma non alla partenza (non ti candidi dove fai il giudice). Se poi al fosco intreccio tra politica e magistratura aggiungiamo anche il mare magnum dell’alta burocrazia, ci avventuriamo in un mondo di caste, poteri forti e boiardi di Stato in cui il potere viene tramandato e perpetuato senza soluzione di continuità. Basti pensare – come sottolinea la stessa Gabanelli – ai togati chiamati direttamente dal governo a svolgere i diversi ruoli di capo di gabinetto, direttore generale, capo dell’ufficio legislativo, consulente o esperto giuridico, nelle ambasciate, negli organismi internazionali, nelle giunte regionali, nelle Autorità di controllo… E così capita che nei posti chiave si incontra il giudice partito dal Consiglio di Stato che, nel corso degli anni, transita negli uffici dei principali organi istituzionali politici, amministrativi e di controllo per poi rientrare nel Consiglio di Stato dove tutto torna in caso di contenzioso e dove potrebbe capitargli di giudicare e interpretare norme che lui stesso ha contribuito a scrivere. Ma se Montesquieu si rivolterebbe nella tomba pensando alla sua teoria della separazione dei poteri, in Italia tutto procede come se nulla fosse. Grazie a meccanismi perversi che autoalimentano un sistema pensato per creare “specialisti” dell’alta burocrazia, incapaci di snellirla ma molto più bravi nel paralizzarla. E con lei, il nostro Paese e il nostro futuro. Nel frattempo non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion
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dicono di noi... Da Joia il personale è cortese e il locale accogliente. Da Stile il titolare è molto preparato e sa fornire i giusti consigli, anche quando si tratta di regali. Ester Lovetto Cervignano del Friuli Class Caffè è un bar storico del centro, conosciuto da tutti i goriziani: ottimo il servizio. Da Smartok il locale è rinnovato. Fabrizio Sgarbi Gorizia Da imprintaonline il servizio è sempre rapido ed efficiente. Simpatico poi il pupazzo mascotte! Giulia Soragno Trieste/Belluno Volevo complimentarmi con voi per il servizio su Arianna Gasperina pubblicato sullo scorso numero di iMagazine. L’ennesimo talento presente nel nostro Friuli Venezia Giulia e di cui rischiamo di non sapere assolutamente nulla. Grazie per l’attività di divulgazione delle eccellenze della nostra regione che realizzate su ogni numero della rivista. Micaela Lanfrit Pordenone Da Carli gli abiti sono di ottima qualità. Il gusto raffinato del titolare, poi, garantisce di uscire sempre con l’acquisto giusto. La capacità di seguire e consigliare le persone durante la scelta mette a proprio agio il cliente. Carmela Fonzar Monfalcone 10 | gennaio-febbraio 2008 | L’INFORMAFREEMAGAZINE
Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla qualità della trasmissione del vostro maxischermo mobile durante l’Unesco Cities Marathon. Nell’arrivo in piazza ad Aquileia ha dato un’aggiunta di spettacolarità ad una manifestazione comunque speciale, che mi auguro possa crescere ulteriormente nel tempo. Giovanni Salvador Udine Di Dima Sport sottolineo la gentilezza del personale. Presso la Farmacia Bacchetti sono molto disponibili all’ascolto, mentre SAIC è molto ben fornito. Da A modo mio sono gentili e il gelato è super. Class Caffè è un locale molto bello ed elegante, La Bottega di Trimalcione è garanzia di pesce fresco. Ottima la qualità degli abiti di Carli. Luca Scatamburlo Venezia Grazie allo staff di imprintaonline che a tempo di record è riuscito a consegnarmi la mia tesina. Super il trattamento ricevuto da La Colombara: cibo ottimo e titolari gentilissime. Serena Stell Trieste
Da Alla Fonda la pizza è gustosa. Ampia scelta di materiale tecnico da Dima Sport, mentre da imprintaonline l’ampia gamma di fotocopiatrici consente di risparmiare tempo con il servizio self service. Giulia Zentilin Trieste
Anche quest’anno ho scoperto dalla mia nipotina che donerete i vostri annuari scolastici durante gli ultimi giorni delle lezioni. A casa ormai li custodisco tutti da quattro anni e, ogni volta, riprenderli tra le mani e sfogliare le pagine osservando i volti di tutti gli alunni è sempre un’emozione. Visto il grande sforzo che compiete per consegnare gratuitamente a ciascuno studente la sua copia, mi sembra doveroso scrivervi un GRAZIE a lettere maiuscole. Carla Furlan Gorizia Da Al Postiglione la tagliata è una certezza: da leccarsi i baffi. Splendida la vista sul Collio durante le giornate di sole. Ottimi anche i vini. Letizia Rossman Trieste Da A modo mio tutte le ragazze del personale hanno sempre un sorriso per i clienti, anche di prima mattina. A tal proposito, ottima e vincente l’idea di aprire già alle 5. Giorgio Zampar Cervignano del Friuli Molto buono il pesce della Colombara: cucinato in modo sapiente e abbinato coerentemente con le verdure. Comodissimo l’ampio parcheggio. Loris Contento Trieste Il gelato del Dolcefreddo ha un sapore genuino e la titolare ha sempre un sorriso per tutti. Monica Farian Monfalcone
iMoneyPartner? Yes, I am!
Intervista ad Alessio Benincasa, titolare di Monfy-Mate a Monfalcone Alessio Benincasa, in cosa consiste l’attività di MonfyMate? «Siamo una piccola attività che fornisce assistenza software e hardware su smartphone, computer e piccoli elettrodomestici». Quando è nata l’idea di avviare questa attività? Alessio Benincasa, a destra, «Finito il percorso di studi assieme al socio Salvatore Rotilio mi sono accorto che in zona non c’era una proposta competitiva per questo ramo. Così abbiamo deciso di aprire con l’idea di offrire un servizio di qualità a un prezzo accessibile». A proposito, come mai la scelta del nome Monfy-Mate? «Il nome deriva da Monfy, ovvero Monfalcone, e Mate che è il “desktop environment” di un sistema operativo basato su Linux, interamente sviluppato e gestito da noi e che proponiamo in sostituzione dei sistemi operativi in uso dai nostri clienti». Il settore delle nuove tecnologie è in costante evoluzione: qual è il segreto per essere sempre aggiornati sulle ultime innovazioni? «Il segreto è non “impuntarsi” su un solo marchio ma confrontare diverse idee e diversi punti di vista, escludendo magari anche i colossi più conosciuti». Quali sono a suo avviso i punti di forza di Monfy-Mate? «I principali punti di forza sono la cortesia, la professionalità e i prezzi competitivi». Quali sono invece le esigenze principali della clientela che si rivolge a Monfy-Mate? «Le principali esigenze della nostra clientela riguardano l’assistenza software e hardware dei propri smartphone o computer». Monfy-Mate ha deciso di affidarsi al network di iMagazine per veicolare la propria comunicazione: come mai questa scelta? «Principalmente la decisione è stata presa per promuoverci e farci conoscere in zona: ci è piaciuto come iMagazine tratta i diversi annunci e i propri clienti». La sua attività è anche un iMoneyPartner: cosa l’ha convinta a sposare il progetto dei buoni valore di iMagazine? «Quando ci è stato proposto ci è sembrato vantaggioso sia per noi, in quanto avrebbe portato una pubblicità maggiore, sia per i nostri clienti grazie ai buoni valore utilizzabili in negozio». L’INFORMAFREEMAGAZINE
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gennaio-febbraio 2008
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S O M M A R I O
maggio - giugno 18
L’ANALISI di Paolo Marizza
16 Convivere con i robot DA ALESSANDRIA AD AQUILEIA di Vanni Veronesi
18 Cristianesimi perduti L’EREDITÀ DI FIDEL di Claudio Pizzin
22 Dove finisce la logica inizia Cuba 22
THAILANDIA di Margherita Reguitti
26 Fidei donum
SELLA NEVEA di Michele Tomaselli
28 La Regina delle Alpi LUIGI MAIERON di Andrea Doncovio
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31 Non voglio quasi niente TRASPORTO SOSTENIBILE a cura della redazione
35 Viaggiare tra le meraviglie della natura GIANLUCA BUTTOLO di Margherita Reguitti
38 Il gioco della vita
REGOLAMENTO GDPR di Massimiliano Sinacori
42 Dati personali: protezione più severa 28
SPRAY AL PEPERONCINO a cura della Polizia di Stato di Gorizia
44 Nebulizzare… per autodifesa
PROTAGONISTI DELL’800 ISONTINO di Renato Duca e Renato Cosma
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46 Il professor Carlo Hugues
L’EREDITÀ DEL GENIO MILITARE di Alberto V. Spanghero
48 Strade, ponti e passerelle sull’Isonzo PAROLE ED EDUCAZIONE di Cristian Vecchiet
54 L’identità del linguaggio SAFET ZEC di Margherita Reguitti
58 Arte per credere
PIERLUIGI DE LUTTI di Claudio Pizzin
60 Riflessi informali RI-TROVARSI NEL LABIRINTO di Manuel Millo
62 La bellezza del giorno qualunque EVENTO SPECIALE a cura della redazione
64 Go Blanc
STEFANIA SACCO di Michele D’Urso
66 Yoga per passione CHIARA CALLIGARIS di Livio Nonis
68 Il richiamo del vento SPORT E PSICHE di Andrea Fiore
70 Mens sana in corpore sano BELVEDERE di Eleonora Franzin
72 Nel vortice della storia FIORI E MATEMATICA di Rossella Biasiol
74 La Natura e i suoi numeri GIAN CARLO BLASINI di Livio Nonis
76 Orgoglio bisiaco CUCINA
78 La ricetta di “Al Galeone” CHEF…AME
79 La ricetta di Germano Pontoni 80 e segg. Gli eventi di maggio e giugno
: lettere alla redazione Son il marito di D.P. che verso la fine del 2014, presso l’ospedale S. Maria della Misericordia di Udine, ha subito un intervento di duodenocefalopancreasectomia. Come ben precisato in consenso informato, l’intervento – che ha richiesto la resezione del pancreas, del duodeno e dello stomaco – veniva indicato dai sanitari necessario, poiché affetta da stenosi neoplastica coledocica; sempre nel consenso informato, veniva precisato anche che non c’erano alternative all’intervento di resezione. Di seguito, con lettera di dimissione, si comunicava all’ammalata che non era affetta da neoplasia, ma da pancreatite cronica sclerosante, in oltre le veniva comunicato che l’intervento era stato effettuato sulla base di un semplice sospetto di neoplasia. Dall’acquisizione della cartella clinica si appurava che, dalle analisi svolte, la malattia risultava essere di fatto per i sanitari solo presunta. Si riteneva dunque opportuno rappresentare la vicenda alla magistratura di Udine. Dopo tre anni e varie vertenze legali, l’autorità giudiziaria certificava che quanto accaduto non aveva alcuna rilevanza penale. Dunque per quanto appurato a Udine può succedere che a un ammalato venga certificato in consenso informato l’essere affetto da una malattia mortale, che non trova soluzioni alternative all’intervento di resezione, quando invece per i sanitari detta malattia magari è solo presunta e che se questa, post intervento risultasse essere inesistente, il fatto di non aver comunicato all’ammalato la reale situazione clinica, vincolando perciò lo stesso a un’unica ed estrema soluzione, non abbia rilevanza penale. Può succedere anche che lo stesso ospedale certifichi prima dell’intervento, in un suo documento, che un esame in questo caso molto importante come la Risonanza Magnetica Nucleare non evidenzi reperti patologici, salvo poi trovare dei consulenti tecnici che, in contrasto con quanto certificato dallo stesso ospedale, senza visionare le immagini RMN, nel giustificare l’intervento chirurgico certifichino che detto esame indichi o indirizzi verso un sospetto di neoplasia. Può succedere poi che questo piccolo particolare nella valutazione dei consulenti tecnici, venga fatto notare alla Procura, ma questa ritenga infondata la doglianza e inutili ulteriori approfondimenti. Dunque appurato che tutto questo non ha alcuna rilevanza penale, oggi con questa lettera chiedo scusa all’ospedale e alla Procura per tutto il disturbo recato, per tutto il tempo speso, perché a quanto pare a Udine questa non è malasanità. Alfredo Cecotti Bagnaria Arsa
▲ Ruda – Mauro Buoro festeggia all’arrivo della sua ultima impresa: la 24 ore del Friuli Venezia Giulia in mountain bike. Oltre 330 km attraversando 39 diverse località della regione. Partito alle ore 24 di venerdì 13 aprile, Buoro ha completato la sua corsa alla mezzanotte del giorno successivo. iMagazine è stato tra i sostenitori dell’impresa.
▲ Aiello del Friuli – L’ex bomber Giuseppe Savoldi (a destra) assieme al caporedattore di iMagazine, Andrea Doncovio, a margine della presentazione del “Manuale tascabile per allenatori di calcio” scritto proprio da Savoldi con le illustrazione del pittore friulano Evaristo Cian (ph. Claudio Pizzin)
▲ Roma – MMAfft di San Canzian d’Isonzo è il nuovo team campione d’Italia nelle Arti Marziali Miste. A decretarlo sono stati i successi ottenuti dagli atleti allenati dal maestro Renato Subotic alla nona edizione dei campionati nazionali svoltasi al PalaOlgiata di Roma, che ha visto iscritti 400 combattenti da tutta Italia.
▲ Romans d’Isonzo – Un’immagine della tradizione Festa del Salame andata in scena lo scorso 15 aprile e che, come ogni anno, grazie agli assaggi di una qualificata giuria, ha decretato i migliori salami realizzati dai produttori del territorio.
È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria (iMagazine – via Aquileia 64/a – 33050 Bagnaria Arsa-UD), oppure via e-mail (redazione@imagazine.it).
▲ Aquileia – Un momento delle premiazioni della sesta edizione dell’Unesco Cities Marathon, avvenute all’arrivo in piazza Capitolo dopo i 42 km percorsi lungo la direttrice Cividale, Palmanova, Aquileia. Presente anche il maxischermo iMagazineVideoTruck: anche nel 2018, infatti, iMagazine è stato media partner della manifestazione.
▲ Gorizia – L’intervento del questore di Gorizia, Lorenzo Pillinini, durante la cerimonia per i 166 anni di fondazione della Polizia di Stato tenutasi all’interno del Teatro Verdi, alla presenza di autorità civili e militari. In virtù della consolidata collaborazione con la Questura della Provincia di Gorizia, il network di iMagazine ha svolto il ruolo di media partner dell’evento.
▲ Cividale del Friuli – Gli studenti della della 4^D del liceo linguistico di San Pietro al Natisone si sono aggiudicati il primo posto al concorso “Che sia… poesia”, organizzato dal Consolato Generale d’Italia a Mosca. Gli allievi friulani hanno interpretato in lingua russa i testi della poetessa Bella Achmadulina.
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L’ANALISI
Convivere
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E FUTURO Rubrica di Paolo Marizza
con i robot
Nei prossimi vent’anni la metà dei posti di impiego attuali potrebbero essere automatizzati. Eppure la natura del lavoro si è costantemente evoluta nel tempo; alcuni compiti sono stati delegati alla tecnologia mentre sono emerse nuove occupazioni. Accadrà così anche in futuro? Robotica, intelligenza artificiale (IA) astratto: i sistemi di intelligenza artificiale possoe apprendimento automatico (machine no fungere da partner in grado di aumentare e milearning) hanno effetti sociali, politici e gliorare molti aspetti del lavoro e della vita. La recommerciali, stanno trasformando mol- altà è che le macchine sono migliori di noi nel macinati settori industriali e spiazzano molti posti di lavo- re numeri, calcolare, memorizzare, prevedere ed esero. Recenti ricerche stimano che il 40-50% di tutti i guire movimenti precisi; i robot ci liberano di composti di impiego sono ad “alto rischio” di essere au- piti noiosi, pericolosi e fisicamente impegnativi. tomatizzati nei prossimi 20 anni. Queste tecnologie stanno sfruttando miliardi di In questo contesto, l’introduzione di forme di tas- dati disparati, ben oltre le capacità funzionali del sazione dei robot o di reddito di cittadinanza ven- cervello umano. Ogni due giorni nel mondo si gegono spesso citati come un modo per ridistribuire i nerano più dati di quanti l’umanità ha prodotto dall’ vantaggi di queste tecnologie, ma non è ancora chia- inizio della civiltà ai giorni nostri. ro come ciò potrebbe essere finanziato né in quale In un mondo incentrato sui dati, questi sistemi misura. Ciò significa che la tecnologia sarà un di- possono sintetizzare tonnellate di informazioni e struttore di lavoro, al netto delle nuove professioni aiutarci a prendere decisioni migliori. Possono anche si verranno a creare? che liberare il tempo che possiamo dedicare a ciò È comune considerare le nuove tecnologie come che è più prezioso per noi. L’intelligenza artificiaconcorrenti piuttosto che complementari per gli es- le è una raccolta di tecnologie applicabili ad analiseri umani, specialmente nel crescente timore che si avanzate, sistemi esperti, reti neurali e apprendil’IA minacci il nostro lavoro. Tuttavia le rivoluzioni mento automatico. Alcune forme di IA vengono utidel passato hanno di fatto incrementato la produtti- lizzate in una vasta gamma di applicazioni, la magvità e portato alla creazione di nuovi posti di lavoro, gior parte delle quali sono attualmente basate su reaumentando l’occupazione complessiva. gole: automobili senza conducente, pubblicità miLa natura del lavoro si è costantemente evolu- rata, assistenti digitali, giochi strategici interattivi, ta nel tempo; alcuni compiti sono stati delegati alla diagnosi e terapie mediche, interpretazione di dati tecnologia mentre sono emerse nuove occupazioni. complessi. Non è ancora chiaro quali attività l’IA creerà, ma le I progressi dell’intelligenza artificiale si stantendenze attuali prevedono che alcuni lavori siano no sviluppando anche nelle cosiddette aree della ragionevolmente “sicuri” a breve termine, in parti- “creatività”. Nel marketing ad esempio gli operatocolare quelli che richiedono ampio contatto umano, ri cambieranno ruoli e modo di lavorare in posizioabilità sociali, pensiero strategico e creativo, gestio- ni in cui gli addetti forniranno una serie di input su ne dell’ambiguità e dell’imprevedibilità. un problema o un obiettivo e il motore di intelligenL’IA non può (ancora) sostituire gli umani quan- za artificiale creerà la campagna di marketing e codo sono richiesti creatività, percezione e pensiero municazione in tutte le sue articolazioni, dalla cre-
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azione di messaggi fino alla distribuzione mirata dei contenuti ai clienti. Potremmo anche chiederci se questo articolo possa essere scritto da un algoritmo. Ci sono dei motori, dei software, che si stanno cimentando nell’attività editoriale, ma le piattaforme attuali non sono prive di difetti e carenze. In questo campo siamo ancora ai primi passi, ma sembra che la prossime generazioni di piattaforme di scrittura stiano sviluppandosi per eliminare potenzialmente del tutto l’autore umano. Per il marketer dei contenuti aziendali, questo sta in parte già avvenendo. Per il prossimo Pirandello, forse non sarà mai possibile.
Aprire la scatola nera
Man mano che sempre più compiti e decisioni vengono delegati agli algoritmi, cresce la preoccupazione per la responsabilità: a chi/cosa può essere addebitata la responsabilità in caso di errori o di incidenti? Ad esempio, chi è responsabile quando un sistema algoritmico, inizialmente implementato per migliorare l’equità nella valutazione delle prestazioni dei dipendenti, finisce per rafforzare i pregiudizi esistenti e creare nuove forme di ingiustizia? E chi è responsabile delle decisioni algoritmiche quando sono in gioco vite umane, come negli incidenti recenti che coinvolgono veicoli autoguidati? Dovremmo distinguere tra le decisioni prese da un’IA rispetto a quelle prese da un essere umano? Ci saranno molti casi in cui l’obbligo morale o legale di farlo solleva problemi etici a livello personale e collettivo, con valenze anche di ordine pubblico e di convivenza civile. Ed è qui che andrebbe posta la massima attenzione. Gli algoritmi avanzati possono essere così complessi che persino gli ingegneri che li hanno creati non comprendono il loro processo decisionale. Potrebbe essere il caso delle reti neurali profonde, un tipo di metodo di apprendimento automatico ispirato alla struttura del cervello umano. Il metodo prevede che gli algoritmi vengano alimentati, o si autoalimentino, con alcuni input, lasciando che l’algoritmo calcoli l’output. Non abbiamo idea di cosa succede in mezzo. Ci sono molti percorsi diversi che potrebbero portare al risultato e alla decisione: la maggior parte della “magia” avviene in strati nascosti del sistema. Inoltre, questa “magia” potrebbe anche implicare flussi e processi di scambio di informazioni completamente diversi da quelli del cervello umano. Una famosa esemplificazione di questa realtà è l’esperienza di algoritmi che negoziano utilizzando un linguaggio naturale e che, dopo diversi round di trattative, comprendono che non era necessario usare un linguaggio umano per contrattare. Come valutiamo l’attendibilità e l’impatto delle decisioni algoritmiche quando il processo informaticodecisionale dell’algoritmo è una scatola nera? Qua-
li nuove elaborazioni del pensiero etico filosofico si rendono necessarie? E quali meccanismi tecnico/legali si dovranno implementare? Un’opzione minimale consiste nella “progettazione trasparente” di questi algoritmi in modo che i loro “processo elaborativi” siano “leggibili”. Se potessimo capire come questi algoritmi prendono le loro decisioni, potremmo anche adeguare il loro “pensiero”, le loro logiche, ai requisiti e agli standard etici e sociali, tecnici e giuridici, rendendoli così “umanamente” responsabili.
Dalla IA “ristretta” alla IA “generale”
Il campione mondiale di scacchi Garry Kasparov ha dichiarato di essere stato il primo ad aver perso il suo lavoro a causa dell’intelligenza artificiale quando il Deep Blue dell’IBM lo ha battuto a scacchi. Ma Deep Blue era un super computer specializzato su un compito complesso in un ambito specifico, con la capacità di calcolare più mosse (200 milioni di posizioni al secondo) di un umano. È quindi più corretto dire che Kasparov ha perso il lavoro per la forza di calcolo bruta e la legge dei grandi numeri. L’intelligenza artificiale è molto più: si riferisce a un sistema in grado di imitare l’intelligenza umana. Il caso Kasparov rientra in quella che potremmo definire “IA ristretta”, che è specializzata nella progettazione per eseguire un compito specifico. Ma che dire dell’intelligenza artificiale “generale”, che potrebbe svolgere un qualsiasi compito cognitivo umano? Avrebbe una sua personalità, le sue emozioni? Se l’input di questa macchina fosse la nostra storia, perché dovrebbe comportarsi in modo diverso da noi? Nel creare civiltà passate, e nel nostro presente, non ci siamo preoccupati molto degli ecosistemi umani e biologici che uccidevamo lungo il cammino. Perché un IA dovrebbe allora preoccuparsi degli umani e delle loro regole? Per ora, questa domanda è, ovviamente, prettamente filosofica, ma è bene iniziare a porsela: è molto probabile che l’IA cambi radicalmente le nostre vite personali e professionali e la società in generale. Nel corso della storia, pur pagando prezzi altissimi sull’altare dell’evoluzione delle civiltà, abbiamo saputo sviluppare e mantenere il lato “benefico” delle nostre tecnologie. Non si tratta di essere pro o contro l’IA , sarebbe come chiedere ai nostri antenati se fossero a favore o contro il fuoco. Queste nuove tecnologie faranno parte della nostra vita quotidiana, la strategia migliore è essere proattivi e imparare come controllarle e gestirle.
Paolo Marizza Co-founder di Innoventually e docente DEAMS-UniTS |
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ALLA SCOPERTA DI... DA ALESSANDRIA AD AQUILEIA Servizio di Vanni Veronesi
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Cristianesimi perduti Dalle sabbie dell’Egitto alle rogge del Friuli, iMagazine vi racconta una storia lunga due secoli. Sulle tracce di un pensiero cristiano che la storia ha eliminato dal suo corso.
Il problema del ‘prima’
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«Se il mondo ha avuto inizio nel tempo, cosa faceva Dio prima che cominciasse il mondo?»: è questa la domanda più difficile a cui, nel III secolo, deve rispondere un pensatore cristiano,
costretto a confrontarsi con una tradizione filosofica pagana molto più antica e prestigiosa, sostanzialmente concorde nel ritenere l’universo eterno e ingenerato. Il cristianesimo, invece, si rapporta con la Genesi, dove a essere eterno e ingenerato è solo Dio: quello stesso Dio che ha creato l’universo, dandogli quindi un inizio. Su questi problemi si trova a meditare Origene, rimasto orfano di padre (colpito dalle persecuzioni) nel 202, a soli sedici anni, eppure talmente precoce da succedere a Clemente Alessandrino, nel 203, al vertice della scuola teologica di Alessandria d’Egitto, frequentata anche da pensatori pagani. Origene stesso, del resto, è aperto a varie influenze: pur fervente cristiano, non esita a imparare l’ebraico e a frequentare la scuola filosofica del neoplatonico Ammonio Sacca, fra i cui banchi siederà pochi anni dopo un altro gigante come Plotino. Ed è proprio in questo straordinario laboratorio culturale che egli matura la risposta alla fatidica domanda, dandone conto nel trattato Sui princìpi. Secondo Origene, prima di questo mondo c’è stato un altro mondo (tesi della ‘preesistenza’), nel quale Dio aveva creato un numero finito di creature spirituali (le ‘anime’) lasciate libere di agire; in seguito a una colpevole ‘caduta’ di una larga parte di esse, allontanatesi da Dio al punto da fondare il Male e il Peccato, il Signore avrebbe proceduto a una seconda creazione (quella A fianco: Monaco di Baviera, Staatsbibliothek, Clm 17092, foglio 130r: ritratto medievale di Origene. Sopra: Vienna, Biblioteca Nazionale, cod. Lat 847: manoscritto con le opere di Rufino di Aquileia. Il codice si apre con un’immagine simbolica raffigurante due uccelli sotto la croce.
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narrata dalla Genesi), con l’intento di fornire alle anime un contenitore materiale (il corpo) attraverso cui espiare e purificarsi. La diversità degli uomini e delle loro condizioni è dunque conseguenza del comportamento tenuto dalle anime nel mondo precedente, ma alla fine dei tempi ogni creatura ritornerà a Dio (tesi della ‘apocatastasi’): ne consegue che le stesse pene infernali, per quanto lunghe, devono essere temporanee.
La scuola di Cesarea
Il trattato Sui princìpi scatena da subito un dibattito ferocissimo; così, quando Origene viene consacrato sacerdote a Cesarea Marittima (odierno Israele) nel 230, il vescovo di Alessandria d’Egitto si cela dietro a un formalismo (solo lui avrebbe l’autorità di nominare prete un proprio diocesano!) per liberarsi di quel predicatore in odore di eresia. Nel 232 il filosofo ripara dunque a Cesarea; qui fonda una nuova scuola teologica, creando la più ricca biblioteca della cristianità e portando a compimento una impresa monumentale: la trascrizione su sei colonne (da cui il nome greco Hexapla) di altrettante versioni dell’Antico Testamento, rispettivamente il testo ebraico (1), l’ebraico traslitterato in caratteri greci (2) e le traduzioni greche di Aquila (3), Simmaco l’Ebionita (4), Settanta (5) e Teodozione (6). L’idea è tanto semplice quanto geniale: mettere a confronto le diverse redazioni della Bibbia che circolavano nel mondo ellenistico per avere un testo affidabile e porre fine, una volta per tutte, alle controversie fra giudei e cristiani sull’interpretazione dell’Antico Testamento. La quinta colonna, in particolare, è un distillato di tecnica editoriale: la versione greca dei Settanta (traduzione dall’ebraico risalente al III sec. a.C.) è infatti sottoposta a revisione attraverso i cosiddetti ‘segni diacritici’, a indicare passi dubbi, brani da eliminare e correzioni da apportare al testo. Dell’Hexapla, oggi, non rimangono che frammenti, tuttavia siamo in grado di ricostruirla parzialmente attraverso le citazioni di autori successivi.
Sopra: Cambridge, University Library: manoscritto T-S 12.182. Ritrovato al Cairo all’inizio del Novecento, il foglio ha regalato qualcosa di impensabile: sotto a un testo ebraico di X secolo è infatti apparso un frammento dell’Hexapla di Origene, raschiato al fine di riusare la pergamena. Per poter apprezzare il testo greco (copiato nel VII secolo) bisogna rovesciare l’immagine: si vedono chiaramente le colonne con le diverse versioni dell’Antico Testamento. Sotto: Vercelli, Archivio Capitolare, codice CLXV (copiato nell’anno 825 circa): miniatura raffigurante la conclusione del Concilio di Nicea. In basso, sotto lo sguardo vigile dell’imperatore Costantino, i cattolici bruciano i libri degli ariani, chiosati con una inequivocabile didascalia: heretici arriani damnati.
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Di eresia in eresia
Nel 254, dopo essere stato torturato durante la persecuzione bandita dall’imperatore Decio, Origene muore accompagnato da un’ondata di commozione, ma anche di odio da parte di coloro che lo ritengono un eretico. Nel 313 il nuovo imperatore Costantino promulga un editto di libertà religiosa per tutte le fedi professate nell’Impero: i cristiani, finalmente salvi, iniziano a riorganizzarsi, ma si rendono conto di essere profondamente divisi. Perché si fa presto a dire che Cristo è «figlio di Dio», ma cosa significa veramente? Ario, che in quegli anni è predicatore ad Alessandria d’Egitto, non ha dubbi: se è vero che Dio è ingenerato ed eterno, fuori dallo spazio e dal tempo, è altrettanto vero che Cristo è nato, vissuto e morto sulla croce. Il Figlio, in quanto tale, è creato dal Padre: per quanto partecipe della natura di Dio, non può essere propriamente Dio. Analogamente, se è vero che lo Spirito Santo è stato inviato dal Padre per far comprendere le verità rivelate di Gesù, significa che anch’esso detiene parte della natura di Dio, ma non è Dio. Questa dottrina, figlia della stessa cultura neoplatonica in cui si era formato Origene, ‘abbassa’ la figura di Cristo a un rango inferiore rispetto a Dio: una posizione inaccettabile per il vescovo di Alessandria, che nel 318 scomunica Ario, costretto a riparare in varie località del Medio Oriente. La soluzione, però, si rivela peggiore del male: ovunque vada, il predicatore raccoglie seguaci. Al suo fianco si schiera addirittura Eusebio di Cesarea, allievo della scuola teologica origeniana e autore della prima storia della Chiesa mai scritta (la Ecclesiastikè historía); la sua vicinanza ad Ario gli costa la scomunica dal Concilio di Antiochia, ma la condanna non ha alcun effetto: Costantino, suo amico personale, ha in mente altri piani. Il 20 maggio del 325, vestito di porpora e ricoperto d’oro, dinanzi allo sguardo stupefatto di quei vescovi che ancora portano i segni delle torture subite sotto Diocleziano, l’imperatore in persona apre infatti il 20
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concilio di Nicea. Obiettivo: risolvere la questione sulla natura di Cristo per riportare stabilità in un impero lacerato dalle lotte religiose. Incaricato di redigere la formula finale, Eusebio cambia rotta e presenta un testo chiaramente antiariano: Cristo viene definito «Dio da Dio, Luce da Luce, Vita da Vita», formule a cui saranno aggiunte in un secondo momento le definizioni «Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre». Il cattolicesimo, dunque, esce trionfatore: Ario è costretto all’esilio. Ma la questione è ben lontana dall’essere risolta: la dottrina che ormai viene definita arianesimo si propaga dappertutto, anche grazie a figure come il vescovo goto Ulfila, che converte al cristianesimo ariano moltissimi suoi connazionali.
Lotta senza quartiere
L’eresia penetra anche ad Aquileia, accolta con ambigua disponibilità dal vescovo Fortunaziano, ma è solo una parentesi: il successore Valeriano (369) restaura immediatamente il credo niceno. Assieme a lui operano in città due giovani intellettuali che si sono conosciuti pochi anni prima nelle scuole di Roma: l’uno, aquileiese, si chiama Rufino; l’altro, di origine dalmata, è il futuro san Gerolamo. Qualcosa, però, si rompe: nel 373, per dissidi insanabili, entrambi decidono di andarsene. Rufino sceglie l’Egitto, dove entra in contatto con i monaci del deserto; Gerolamo, invece, si reca prima in Siria e poi, nel 378, a Costantinopoli. Per quanto divisi, entrambi sono accomunati da una passione: le opere filosofiche di Origene. Tutto cambia nel 380, quando l’imperatore Teodosio decide di passare alle maniere forti e nel suo editto di Tessalonica dichiara come unica religione dell’Impero il cristianesimo niceno. Il testimone passa quindi ai vescovi, che il 3 settembre 381, su iniziativa del milanese Ambrogio, si riuniscono nel concilio di Aquileia. Chiuso il sinodo con la scontata condanna dell’arianesimo, Gerolamo capisce che anche il controverso Origene
Sopra, da sinistra: - Antonello da Messina, San Gerolamo nello studio. Londra, National Gallery. - Cologny, Fondazione Martin Bodmer: foglio 1r del manoscritto Bodmer 65 (seconda metà del XII secolo). Il codice riporta la storia della chiesa scritta da Eusebio di Cesarea nella versione latina di Rufino di Aquileia (Historia ecclesiastica). Sotto, Basilica di Aquileia: mosaico con Giona nelle fauci del mostro marino. Pagina accanto, da sinistra: - Upsalla, Biblioteca Carolina Rediviva, ms. DG 1: foglio 1r del celebre Codex Argenteus, così chiamato dall’inchiostro color argento su sfondo porpora. Il manoscritto, copiato nel VI secolo, riporta la Bibbia nella versione in lingua gotica del vescovo Ulfila, veIl sovversivo timido scovo di fede ariana morto a Costantinopoli nel 388. Lasciata Roma nel 400 per contrasti con il clero locale, - Ritratto di Rufino di Aquileia (Frederick Bloemal’aquileiese decide di non rispondere ai tre libri Contro Rufiert, 1666).
va lasciato perdere: abbandonata Costantinopoli, nel 382 lo troviamo a Roma, segretario di papa Damaso I e suo alleato nella lotta contro le eresie. Rufino, invece, guarda gli eventi da lontano: ha appena fondato un monastero a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, e sta continuando a propagandare il pensiero di Origene. Gerolamo non lo può tollerare: morto Damaso (384) e sfumate tutte le possibilità di succedergli al soglio di Pietro, nel 386 si ritira a Betlemme per fondare a sua volta un monastero, in aperta concorrenza con quello dell’aquileiese. Lo scontro esplode prima nel 393 e poi, dopo una finta riappacificazione, nel 397, quando Rufino, tornato a Roma, traduce l’opera più scandalosa di Origene: quel Sui princìpi che oggi possiamo leggere proprio grazie alla sua versione latina (De principiis), poiché tutte le copie greche circolanti in Oriente verranno sistematicamente eliminate.
no appena pubblicati da Gerolamo e di dedicarsi, tornato nella sua città, a ciò che più ama: leggere e tradurre in latino i classici del cristianesimo greco. Origene in primis, ma anche Basilio, Gregorio di Nazianzo, Evagrio Pontico, nonché la Ecclesiastikè historía di Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica), ampliata con tutti gli avvenimenti dal 325 al 395: è proprio Rufino a raccontarci il concilio di Nicea, la diffusione dell’arianesimo e l’editto di Teodosio. Dal 400 al 406 lo schivo Rufino dà quindi vita a una ribellione, in punta di penna, nei confronti di una fede ‘ufficiale’ che ha smarrito la sua capacità di dialogare. Finché nel 408, di fronte all’avanzata dei Goti di Alarico, è costretto a rifugiarsi prima nel monastero di Pineto, vicino Terracina, e poi in Sicilia nel 410: fughe durante le quali continua a scrivere e a tradurre. La morte lo coglie nel 411, dopo aver tradotto parte delle Omelie sul Cantico dei Cantici di Origene: l’ultimo inno d’amore ai cristianesimi perduti di un formidabile sovversivo timido.
Vanni Veronesi
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VIAGGI E METE
L’EREDITÀ DI FIDEL Servizio e immagini di Claudio Pizzin
Dove finisce la logica,
inizia Cuba
Mentre l’epopea della famiglia Castro giunge al termine dopo 60 anni di potere, l’isola continua a vivere nelle sue infinite contraddizioni. Tra spiagge affascinanti, natura rigogliosa e rassegnato spirito di adattamento della gente. Ma anche una povertà crescente.
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Un mondo fatto di suoni e di canti, una realtà “altra” in cui è possibile entrarci solo abbandonando il proprio stile di vita e la propria visione del mondo. Mentre usciamo dell’aeroporto di L’Avana a notte inoltrata dopo un viaggio aereo con diversi ritardi lungo la rotta Francoforte-Toronto-Cuba, ancora non sappiamo quanta verità racchiuda la frase che un giovane del posto ci riferirà: “Dove finisce la logica, inizia Cuba”. Iniziamo a scoprirlo già l’indomani mattina, quando il risveglio avviene accompagnato da un sole splendente. Dopo un’ottima colazione con molta frutta, ci facciamo accompagnare alla città vecchia dove ci immergiamo in una miriade di rumori, talvolta accompagnati dalla suadente musica cubana e da sapori invitanti. Il tempo trascorre veloce fino all’ora di pranzo, che consumiamo in un locale consigliato da un ragazzo del luogo. Terminato
il pasto ci rechiamo prima alla Cattedrale poi nei numerosi locali di souvenir e nella piazza su cui si specchia il teatro. Improvvisamente veniamo colpiti da un vociare concitato: sembra un rissa. Alcuni energumeni stanno discutendo vivacemente. Chiedo lumi sulla situazione ma vengo rassicurato: stanno discutendo di sport e mettono tutta la loro passione e voce per sopraffare l’avversario. Ogni giorno è così. Lungo le strade si possono ammirare le variopinte auto d’epoca, ora adibite a taxi per la gioia dei turisti. Spiccano curatissime Pontiac, Dodge, Chrysler, Plymounth e altre vetture risalenti agli anni ’50. La sera ci sorprende mentre stiamo ancora gironzolando per L’Avana: stanchi ma felici non ci resta che salire su una moto-taxi per fare rientro alla casa particular dove siamo ospitati. L’indomani abbandoneremo la capitale per raggiungere Viñales, la nostra base per i prossimi giorni. Il primo approccio con la nuova destinazione ha il sapore del tabacco. Quello del campo in cui un anziano sta raccogliendo le foglie della pianta, mentre una giovane guida ci racconta l’importanza e la tradizione della coltivazione del tabacco per questi territori. Nemmeno il tempo di sentirne il gusto, che ci ritroviamo in sella a cavalli stupendi. Con loro raggiungiamo il Parco nazionale di Viñales, trascorrendo tre ore di rara intensità. La prima tappa la facciamo in un’azienda dove si coltiva caffè. Anche qui ci vengono spiegate le varie tipologie di lavorazione dei chicchi prima che la bevanda ragSopra: L’Avana, auto d’epoca in centro. A sinistra: anziano mentre raccoglie le foglie di tabacco a Viñales.
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giunga le nostre tavole. L’ultima tappa, invece, ci conduce al mirador da cui ammiriamo la bellezza del lago naturale. Piano piano, stanchi per la lunga cavalcata, raggiungiamo il taxi che ci aveva accompagnato e facciamo ritorno in paese, dove saliamo subito sul bus con destinazione Cueva dell’Indio. Qui ci addentriamo in una caverna per un suggestivo tour in barca. All’uscita ci attende nuovamente il bus che, dopo una sosta al Mirador del Cuajani, ci conduce ai “Murales Preistoricos”: qualcosa di unico. Incomincia a scendere la sera e facciamo rientro per il meritato riposo. L’indomani raggiungiamo Cayo Jutias, lunghissima spiaggia a 65 chilometri da Viñales. Il tragitto è un’autentica gimcana tra strade dissestate con profonde buche e con lunghi tratti di sterrato. Siamo a bordo di una vecchia jeep, ma fanno parte del convoglio anche una Pontiac, una Plymount e una Chrysler degli anni ’50. Al nostro passaggio si sollevano grandi polveroni che alla fine si disperdono lasciandoci davanti agli occhi la magia della spiaggia deserta. Impossibile non crogiolarsi al sole e concedersi dei bagni ristoratori. Dopo il rientro lungo lo stesso avventuroso percorso, consumiamo la cena al ristorante “El Olivo”, degustando la specialità della casa: coniglio alle erbe aromatiche con salsa di cioccolato amaro. Una vera delizia per il palato. Il giorno seguente inizia con una levataccia per prendere l’autobus che ci porterà a Cienfuegos. Nella notte è entrata in vigore l’ora legale e dobbiamo svegliarci un’ora prima dell’orario preventivato. Per raggiungere la destinazione impieghiamo circa sette ore e mezza. Lungo il tragitto soste preventivate consentono di accedere ai servizi e di rifocillarsi. Percorriamo la Strada Nazionale al ritmo della musica cubana in mezzo a grandi distese di canna da zucchero dove il nostro sguardo si perde a vista d’occhio. L’incedere viene sovente rallentato dai camion stracarichi di canna che escono dai campi. Finalmente arriviamo a Cienfuegos. La città pare addormentata e le poche persone che incontriamo sembrano non avere una meta precisa. È una giornata festiva, tutto è chiuso e solo un piccolo mercatino sembra ravvivare il contesto con i suoi colori. La prima destinazione dell’indomani è la riserva Laguna Guanaroca. Dopo un breve tratto a piedi ammirando la fauna del luogo, saliamo su un’imbarcazione leggera azionata a remi per non recare disturbo agli animali. Durante il tragitto ammiriamo garzette, aironi e cormorani. Dopo un breve tratto ci ritroviamo di fronte una moltitudine di fenicotteri rosa che pasteggiano tranquillamente. D’improvviso iniziano a muoversi, raggruppandosi per spiccare il volo: uno spettacolo emozionante. Terminata la visita raggiungiamo la spiaggia di Rancho Luna, abbandonandoci ai piaceri del sole e del mare. Rientrati a Cienfuegos, visitiamo le botteghe artigianali lungo la via principale, tutte con gli stessi prodotti: quadretti, portachiavi, soprammobili in legno. La destinazione del giorno successivo è Trinidad. Lungo il percorso sostiamo alle cascate di El Nicho, che raggiungiamo a piedi dopo un continuo saliscendi lungo un sentiero scivoloso, attraversando precari ponticelli che sembrano cedere al passaggio delle persone. Un sacrificio ripagato dalla maestosità della cascata principale che, con un salto di 100 metri, emoziona tutti i presenti.
L’Avana, il Capitolio
Fenicotteri rosa nella Laguna Guanaroca a Cienfuegos
Le cascate di El Nicho
Panel Hernandez Prieto è un giovane artista cubano di 35 anni appartenente all’associazione Hermanos Saiz (AHS), sostenuta dal fondo cubano dei beni culturali. Yanel vive a Camaguey e si dedica alla pittura su tela e a carboncino, recentemente si è concentrato nella reinterpretazione della fotografia antologica recuperando l’opera attraverso l’espressione artistica a mano libera. Hasta Siempre dà in immagine la forza delle idee di Fidel e del Che.
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Una via di L’Avana
Fotografo con macchina d’epoca
Da lì raggiungiamo in un paio d’ore Trinidad, dove ci avventuriamo per il centro storico. Incrociamo un signore distinto con tanto di sigaro in bocca. Chiedo se posso scattargli una foto pattuendo la ricompensa di un cuc. Scatto e, prima che me ne vada, mi porge il suo biglietto da visita, su cui leggo Jose Luis Garcia Rusindo - “El Caballero Trinitario”, con tanto di indirizzo e numero di telefono. Lo guardo e abbozzo un sorriso: che fantasia. A due passi visitiamo il mercato artigianale prima di concederci una cena gustosa al ristorante “La Guitara Mia”. La prossima tappa è Camagüey che raggiungiamo a bordo di un taxi collettivo. Siamo in sei su una macchina americana degli anni ’50. Con noi ci sono tre ragazzi maltesi con i quali facciamo subito amicizia. Dopo quattro ore stretti sui sedili, all’arrivo a Camagüey le gambe devono essere massaggiate per far ripartire la circolazione del sangue. Poco dopo Reyes e Carolina, due persone splendide, ci danno ospitalità nella loro casa particular. L’indomani visitiamo la città, Patrimonio dell’Umanità e anima cattolica di Cuba. Vicino alla chiesa di San Giovanni di Dio, con l’annessa piazza dove si svolge il mercatino artigianale, entriamo nello studio di un giovane pittore che ha esposto anche in Italia. È di nuovo tempo di mettersi in marcia: in cinque ore percorriamo la strada che da Camagüey ci porta a SanLa tomba di Fidel Castro nel cimitero di Santiago
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El Caballero Trinitario a Trinidad
tiago de Cuba. Il tragitto è costellato da vaste coltivazioni di canna da zucchero. Attraversiamo svariate cittadine dove la gente del posto si affanna a vendere i pochi prodotti che possiede. Calessi trainati da cavalli stanchi, biciclette e vecchi camion che sbuffano grandi quantità di gas di scarico rallentano spesso il nostro incedere. Giunti a Santiago ci dirigiamo al cimitero di Santa Ifigenia per visitare la tomba di Fidel Castro e quella di Compay Segundo. Uscendo assistiamo al cambio della guardia, prima di dirigerci in centro per visitare la cattedrale. Il giorno seguente è domenica e raggiungiamo il Santuario di Nuestra Señora del Cobre, dedicato a la Virgen de la Caridad, che dista 25 chilometri da Santiago. Il luogo è affollato, segno di devozione alla Madonna, a cui molte persone portano fiori e piccole ghirlande in omaggio o per chiedere delle grazie. Sulla via del ritorno sostiamo al Quartel Moncada, dove ci fu un’eroica insurrezione nel 1953. Le pareti esterne portano ancora i segni di quel tentativo fallito. Quindi saliamo al Morro, importante fortezza di epoca spagnola. L’indomani arriviamo a Baracoa: qui ci attendono Lourdes e Arturo, che ci ospitano nella loro casa particular. Saranno i nostri angeli custodi per il prosieguo del viaggio. La cittadina si affaccia sull’Atlantico e si sviluppa lungo la via principale dove il passaggio di molti automezzi rende l’aria irrespirabile. Il centro invece segue tutto un altro ritmo con i venditori di cioccolato e di altri prodotti commestibili e dai nomi impronunziabili. Gironzolando ci imbattiamo spesso in venditori di platano (piccole banane). Sul tardi apre la chiesa che, al suo interno, conserva la Cruz de la Parra, che il 1 dicembre 1492 venne eretta in queste terre da Cristoforo Colombo, unica di 29 a essere giunta fino ai giorni nostri. La sera, dopo cena, camminando verso casa assistiamo in un teatro a un matrimonio di fedeli alla Chiesa Pentecostale. Giusto il tempo per scattare alcune foto per poi andare a riposare. Il giorno successivo, dopo aver visitato un’azienda che produce cacao, ci dirigiamo alla riserva di Yumuri. In barca raggiungiamo un isolotto dove la nostra guida ci fa conoscere diverse varietà di piante e le loro proprietà medicinali. Per completare la visita, pranziamo in un “ristorante” di gente del luogo: oltre a un ottimo pranzo, ci divertiamo discutendo con loro.
La Cattedrale di Santiago
Nel frattempo la nostra guida, una ragazza molto giovane, si apre con noi chiedendoci qualcosa da darle per la sua famiglia: magliette, scarpe, sapone. Il ciclone Irma le ha distrutto la casa e non ha i soldi per ricostruirla. Insiste per accompagnarci a vedere dove vive assieme al marito disoccupato e alla bambina di 4 anni. La seguiamo fino a una baracca in lamiera in un’unica stanza, dove alcune tende separano il piccolo letto dei genitori e la culla della bambina. All’esterno quattro pali, un tetto in lamiera e un focolare improvvisato con pentole annerite dal fumo. Rimaniamo allibiti e senza parole. La tappa successiva è Guardalavaca. Nella casa che ci ospita la sera si riunisce una moltitudine di persone per festeggiare un compleanno. Il profumo del cerdo asado (maiale alla brace) è invitante e anche noi ci uniamo all’allegra compagnia. Ci sono inglesi, francesi, canadesi e locali. La birra scorre a fiumi e prima di cena molti mostrano i primi segni di cedimento… Il maiale e le cosce di pollo sono deliziose. Si balla al ritmo di musica cubana e, per digerire, cola con dell’ottimo ruhm. L’indomani la sveglia suona all’alba: un taxi ci aspetta per portarci a Holguin, da lì in autobus raggiungiamo prima Avila e quindi Moron. Successivamente raggiungiamo Santa Clara e per andare a visitare il monumento in onore di Che Guevara. La città appare stanca anche nel suo cuore: il Parque Vidal. Di diverso tenore la scena che viviamo il giorno seguente al terminal dei bus. I conducenti dei collectivos ci comunicano che il nostro mezzo per Varadero è al completo e non ci sono posti per noi. Iniziamo una frenetica trattativa con loro nella quale iniziano a sparare cifre spropositate che ci rifiutiamo di pagare. Mentre iniziano a deriderci, dopo aver fatto colazione con calma l’autista del bus ci comunica che sono disponibili nove posti. Ci contiamo: siamo in nove. Dopo aver fatto il biglietto, mi avvicino a quello che sembra essere il capo. Gli do una pacca sulla spalla e, sorridendo, gli dico “Adios, amigo”. Dopo tre ore di autobus pressati come sardine raggiungiamo Varadero. Qui trascorriamo gli ultimi giorni in una spiaggia magnifica, tuffandoci in un mare che assume tonalità verde smeraldo e azzurro intenso. L’ultima giornata a Cuba la trascorriamo nuovamente a L’Avana, ascoltando la musica dei locali del centro e acquistando gli ultimi souvenir al Mercado Artesanal. Il viaggio è alla fine, ci aspetta il ritorno a un’altra realtà. Consapevoli di aver vissuto un’esperienza al di fuori di ogni logica. Claudio Pizzin
Caratteristico taxi cubano
La spiaggia di Varadero
A Santa Clara si trova il mausoleo di Che Guevara, opera monumentale dedicata all’eroe nazionale Ernesto Che Guevara. Qui sono sepolti il Che e ventinove suoi compagni combattenti, uccisi durante il tentativo di rivolta armata in Bolivia. All’interno dell’imponente area c’è una grande statua in bronzo di Ernesto Che Guevara, alta 6,7 metri. I resti mortali di Guevara, dopo essere stati scoperti in Bolivia, furono sepolti con tutti gli onori militari il 17 ottobre 1997. All’interno del monumento c’è un museo dedicato alla vita del Che e nell’area arde una fiamma eterna. Il monumento venne eretto in ricordo della conquista della città, il 31 dicembre 1958, da parte di Guevara e dei suoi compagni. Grazie a questa impresa il dittatore cubano Fulgencio Batista abbandonò il potere. Il monumento è meta di visita di una moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo. |
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ALLA SCOPERTA DI...
THAILANDIA Servizio di Margherita Reguitti. Immagini di Centro Missionario
Fidei donum
Nel paese asiatico a maggioranza buddista, l’arcidiocesi di Gorizia svolge un ruolo chiave nel progetto di evangelizzazione promosso dalle chiese del Triveneto. «Siamo pochi ma rappresentiamo la coscienza della società». Che investendo sui giovani vuole combattere la corruzione della politica.
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Da oltre 20 anni esiste in Thailandia un progetto di evangelizzazione, promozione sociale, formazione scolastica e crescita culturale che coinvolge le 15 arcidiocesi del Triveneto. Un impegno nato nel 1990 durante il primo convegno ecclesiale di Aquileia, al quale partecipò papa Giovanni Paolo II, stigmatizzando così l’impegno missionario in Asia come la frontiera per il terzo millennio. Una presenza che vede impegnata in modo particolare l’arcidiocesi di Gorizia. In occasione dell’importante traguardo una delegazione goriziana, guidata dal direttore del centro missionario don Franco Gismano, si è recata nel paese asiatico per incontrare e conoscere le realtà delle missioni e la vita e l’attività dei sacerdoti diocesani fidei donum (donati dalla chiesa italiana a una sorella di altro Paese:
preti che scelgono di svolgere per un periodo più o meno lungo un servizio missionario all’estero, ndr). Al momento sono 4 i religiosi italiani che vivono nella Terra del Sorriso e conducono le due parrocchie del nordest, macro regione povera, nota come Isan, composta da 19 province. Nel 2000 a Chaehom è sorta “Maria Regina della Pace”, retta da don Bruno Rossi e don Raffaele Sandonà, mentre nel 2011 è nata a Lamphun la parrocchia di “San Francesco d’Assisi”, affidata a don Attilio De Battisti e don Bruno Soppelsa. Entrambe le realtà, che distano dalle due/tre ore e mezza di viaggio via autostrada a seconda del tragitto scelto, hanno impostazioni assai diverse per contesto culturale e sociale, ma soprattutto approccio di evangelizzazione e dialogo con la popolazione locale e i fedeli delle altre religioni. La prima è collocata in un territorio con la presenza di etnie e lingue diverse, provenienti anche dai paesi limitrofi, genti spesso in fuga da guerre e carestie, dedite a un’agricoltura fatta con mezzi primordiali che garantisce il minino per la sopravvivenza in condizioni di estrema povertà. Qui nel “Triangolo d’oro” fino a pochi anni fa i contadini coltivavano senza alternativa il papavero da oppio, in balia dei mercanti di droga. Oggi, grazie alla repressione del fenomeno da parte dello Stato thailandese, anche con impiego dei militari che in alcuni casi ancora presidiano i villaggi imponendo il coprifuoco, e grazie anche alla presenza dei missionari è stata realizzata una Foto in apertura, da sinistra, don Franco Gismano, il cardinale Kovithavanij, Alessandra Bianco, Alessandra Barazza e la nostra inviata Margherita Reguitti. Di fianco, don Bruno Rossi mostra il premio assegnato a Caffe Bruno.
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conversione delle coltivazioni soprattutto in piantagioni di pregiato caffè. La missione acquista i preziosi grani ciliegia dai contadini e provvede alla torrefazione e vendita del prodotto in tutta la Thailandia. Caffè Bruno è il brand di alta qualità, riconosciuta anche da un importante premio internazionale. Un gusto e un profumo davvero indimenticabili. Se ne producono mille chilogrammi al mese, con un indotto di oltre 300 persone. Dunque una missione del fare che è presente soprattutto per un aiuto concreto nell’emancipazione dalla povertà, oltre che nella testimonianza cristiana. Il tessuto sociale dell’area è composito dal punto di vista delle etnie, lingue e culture. Oltre ai thai, dominanti nel paese, convivono nel territorio da oltre mezzo secolo i gruppi etnici mong, provenienti dalla Cina, lao dal Laos, khmer dalla Cambogia e karen dalla Birmania. Un pacifico melting pot che si incontra nella grande struttura sede della parrocchia, dove vivono e studiano ragazzi e ragazze provenienti da isolati villaggi di montagna. Sono giovani molto disciplinati, rispettosi dell’autorità degli adulti, impegnati nello studio e nell’aiutarsi vicendevolmente, facilmente riconoscibili dalle divise scolastiche stile british. Sul territorio vi sono altri 3 centri-comunità gestiti dalla parrocchia. In alcuni casi sono case famiglia che ospitano anche bambini molto piccoli, con alle spalle situazioni di estremo degrado o povertà. È invece quasi un college di stampo europeo il centro “Porta del cielo”. Qui i più grandi aiutano e insegnano ai più piccoli la vita di comunità. Tutti collaborano alla gestione del complesso; si occupano della pulizia delle camere e degli ambienti comuni, lavano e tengono in ordine i loro vestiti e danno una mano in cucina alla cuoca nella preparazione dei pasti. Complessivamente sono circa 800 i ragazzi e le ragazze suddivisi nei diversi centri. È più improntata alla testimonianza religiosa e al dialogo interconfessionale in un contesto industriale, con i derivanti problemi sociali di perdita di identità e disgregazione dei valori tradizionali, la parrocchia “San Francesco d’Assisi” di Lamphun. La celebrazione comunitaria domenicale della messa nella chiesetta è molto partecipata: sono numerosi i fedeli che arrivano anche da lontano. Alla fine della celebrazione vi è sempre un momento conviviale al quale partecipano anche le religiose che vivono accanto alla missione e si occupano in particolare di organizzare corsi professionalizzanti per giovani donne. In alcuni casi però la mancanza di mezzi di trasporto pubblici e di autovetture fa sì che sia don Attilio ad andare a celebrare la messa in villaggi sperduti in montagna. Lunghi viaggi di ore con un fuoristrada percorrendo un’unica ripidissima strada, solo centralmente lastricata in cemento, che durante il periodo delle piogge si trasforma in un torrente di acqua rossa per il fondo argilloso. È il caso del villaggio di Pa Pae, dove vive una comunità karen originaria della Birmania, tribù famosa per le donne giraffa. Una ventina di case di legno con al centro la cappella, niente corrente elettrica né acqua, immerse in una giungla lussureggiante. Qui il tempo non c’è. In ogni casa, anche la più povera, all’ospite viene offerto un bicchiere d’acqua portata a spalle da valle. Sono i bambini a porgerlo con un sorriso a capo chino. I cattolici nel paese sono meno dell’un percento, circa 350 mila su una popolazione di 76 milioni. Nel 2019 la chiesa festeggerà i 350 anni dall’arrivo dei primi missionari e il cardinale Francis Xavier Kriengsak Kovitha-
Sopra, la tostatura del caffè nella missione di Chaehom. Sotto, ospiti del centro La porta del cielo in costumi tradizionali.
vanij, incontrato a Bangkok, ci rivela in perfetto italiano la speranza che papa Francesco, che l’ha designato nel 2015, possa inserire nei suoi prossimi viaggi la Thailandia. “Siamo pochi rispetto alla maggioranza di buddisti (pari al 96%) e dei mussulmani (quasi 4%) – dichiara il prelato già vescovo della capitale – ma siamo la coscienza della società. Svolgiamo anche un importante compito sociale: nelle nostre scuole formiamo i cittadini di domani. Ai nostri ragazzi insegniamo, affinché la diffondano fra gli adulti, la necessità di votare politici onesti, per fermare la corruzione molto diffusa. Il concetto che vogliamo far passare è che la politica è al servizio del popolo e non viceversa”. Nei progetti del cardinale vi è l’utilizzo nel seminario centrale di lingua inglese della capitale per l’insegnamento di tutte le materie, dalla filosofia morale alla teologia. Questo permetterà agli oltre 150 fra seminaristi e laici di avere una preparazione internazionale oltre che riconosciuta dallo Stato. Una politica che farà a breve della Thailandia il riferimento formativo teologico-filosofico e di catechesi anche per altri paesi dell’area asiatica, come Vietnam e Cambogia. La lingua thai verrà utilizzata nei programmi di iniziazione cristiana degli adulti che, negli ultimi anni, sono in crescita significativa nelle 10 diocesi nelle quali è strutturata la chiesa locale. Scelgono di essere cristiani cattolici perché affascinati e attratti dall’amore di Dio per l’essere umano, tanto fragile e imperfetto e dal concetto della gratuità del perdono, non presenti in modo così caratterizzante nelle religioni animiste né nel buddismo.
Margherita Reguitti |
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ALLA SCOPERTA DI...
SELLA NEVEA Intervista di Michele Tomaselli. Immagini d’archivio
La Regina delle Alpi Nonostante l’innevamento garantito fino a maggio e il nuovo collegamento transfrontaliero con Bovec, la località sciistica sorta a metà degli anni ’60 non ha ancora spiccato il volo. Un’associazione, presieduta da Andrea Snaidero e Rossella Masarotti, prova a rilanciarne il turismo. Ecco come.
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Sella Nevea nacque nella seconda metà degli anni ’60, quando le opportunità per lo sci erano ancora rare. Sviluppatasi come località di turismo invernale ed estivo, ottenne prestigio e popolarità quando nel 2009 fu collegata al comprensorio sciistico di Kanin-Bovec, in Slovenia, divenendo così un polo sciistico transfronta-
liero. Nonostante le grandi potenzialità e l’innevamento assicurato fi no a maggio, necessiterebbe di essere valorizzata maggiormente per divenire una vera “Regina delle Alpi”. Ne parliamo con Andrea Snaidero e Rossella Masarotti, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione “Sella Nevea Regina delle Alpi”. Presidente Andrea Snaidero ci può raccontare il suo rapporto con Sella Nevea e quegli inizi forse un po’ burrascosi che l’hanno portata a fondare l’associazione? «Abitando a Gemona del Friuli ho sempre respirato aria di “montagna” e forse per questo motivo mi sono appassionato subito di sci alpino. Ho una vocazione politica, provenendo da studi in scienze politiche: nel 2014, quando ancora l’associazione non esisteva, fui promotore di un Comitato per il rilancio di Sella Nevea; in tale occasione raccolsi e depositai in Consiglio Regionale la Petizione n° 13 fi rmata da 1.083 cittadini italiani residenti in Friuli Venezia Giulia; l’intento era di sensibilizzare la politica a investire nelle infrastrutture sciistiche del comprensorio. Fortunosamente gli sforzi non furono vani e il risultato fu l’inserimento a bilancio di ben 1.900.000 euro per l’ammodernamento del polo». Foto in apertura apertura: suggestiva immagine della salita a Forca del Palone (ph. M. Tomaselli). anco lettera della Società Alpina Friulana - sezioDi fianco: ne di Udine al cavaliere Livio Masarotti, costruttore visionario di Sella Nevea (archivio Rossella Masarotti).
Di cosa si occupa e quali sono le fi nalità della vostra associazione? «L’associazione è apartitica e, attraverso l’organizzazione di eventi culturali e sportivi, promuove forme di turismo. Si prefigge l’obiettivo di riqualificare e valorizzare i comprensori di Sella Nevea, della Val Raccolana, senza però dimenticare il Canale del Ferro. Oggi conta più di 150 iscritti e circa 500 simpatizzanti delle diverse fasce d’età, persone distribuite tra Udine, Pordenone e Gorizia e gli annessi territori, ma anche da Trieste e dal suo entroterra. Su questi ultimi amici desidero aprire una parentesi: i triestini sono sportivi per natura e amano moltissimo Sella Nevea». Il cambiamento climatico in atto, associato a una notevole crescita delle attività sportive sulla neve, pone nuove problematiche inerenti la previsione e prevenzione del rischio valanghe. La vostra associazione cosa consiglia per domarlo? «In qualsiasi località montana esistono problematiche legate alla caduta di valanghe; ma Sella Nevea è toccata quasi ogni giorno dal fenomeno. Inoltre non ha ancora completato l’opera di messa in sicurezza del fondo valle. Secondo uno studio si tratterebbe di realizzare un vallo di protezione nell’area sciabile del Poviz. A tal proposito mi risulta che un geologo avrebbe dato parere favorevole alla sua esecuzione, ma l’Ufficio Valanghe avrebbe bocciato la proposta. L’ipotesi odierna prevedrebbe invece lo spostamento dei campetti di fondo valle nell’area della pista ex Slalom con un aggravio di costi non indifferente. Su quest’ultimo punto non sono favorevole». La pista Palacelar, un progetto discusso e mai realizzato. Di che cosa si tratta? «La Pista Palacelar, che permetterebbe di scendere da Sella Golovec sulla pista Canin, è stata a lungo discussa ma, per delle motivazioni oscure, fi nora mai realizzata. Certamente la sua creazione permetterebbe a Sella Nevea di diventare un polo sciistico di tutto rispetto e non sussisterebbero problemi di valanghe. L’ex presidente di Promotur, Manlio Petris, era favorevole alla sulla realizzazione, ma il progetto purtroppo giace ancora in qualche cassetto». Sella Nevea è l’unico polo privo di un direttore tecnico presente sulle piste. Perché secondo lei è importante investire su questa figura? «Questo è un problema molto serio. Senza direttore tecnico la nostra località non può sedersi ai tavoli che contano e siamo danneggiati nella ripartizione dei contributi regionali. In sostanza siamo un satellite di Tarvisio, ciò porterà l’area a morire. Ho richiesto più volte che venga individuata una persona, ma fi nora questo aspetto è sempre stato sottovalutato. Faccio un appello alle forze politiche affi nché creino l’autonomia gestionale del polo».
Andrea Snaidero ai piani del Montasio con un banchetto informativo dell’associazione
Rossella Masarotti, il suo impegno nell’associazione è nato dopo aver letto una lettera del presidente Snaidero su un quotidiano locale, vertente proprio su Sella Nevea… «Sono friulana e orgogliosa d’esserlo perché amo la mia terra. Mi occupo, come libera professionista, di consulenze marketing e sviluppo commerciale in modo specifico nel turismo, dove ho maturato una comprovata esperienza sia nel settore outgoing che incoming, oltre che nell’organizzazione di eventi. A mio parere il Friuli possiede territori poco conosciuti che possono diventare mete turistiche di pregio, grazie a un turismo sostenibile, responsabile, che salvaguardi l’ambiente non solo per il benessere dell’uomo, ma anche per quello della fauna e della flora che fanno parte integrante del nostro territorio». Da acuta osservatrice delle peculiarità del territorio, quali i consigli per attrarre visitatori? «Per attrarre un turista si deve puntare sull’ospitalità, con servizi di qualità e con proposte di vacanze distribuite su tutto l’arco dell’anno. L’offerta deve coniugare gli elementi distintivi del territorio: natura, paesaggio, silenzio ma anche enogastronomia, agricoltura, artigianato e tradizioni. Tuttavia la montagna deve mantenere la sua dignità e utilizzare con responsabilità le risorse messe a disposizione, tutelando l’ambiente e la sua comunità. Di certo non si può considerare “turismo” la massa di persone attratte da un singolo evento musicale, come quando l’anno scorso arrivarono in quota, nei pressi del rifugio Gilberti, più di 8.000 persone per assistere al concerto di Vinicio Capossela. Iniziativa che peraltro ha creato una situazione di degrado con bottiglie e lattine sparse un po’ dovunque». Rossella, lei è la figlia del cavaliere Livio Masarotti, l’imprenditore visionario che die|
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de vita a Sella Neva e che tanto amava le Alpi Giulie. Che ricordo ha di suo padre? «Quello di un uomo di grandi valori e dignità, un combattente. Classe 1915 partecipò alla Seconda guerra mondiale come aviatore, pilotando idrovolanti e ricevendo medaglie al valore. Finita la guerra, rientrato a Manzano in famiglia, si rimboccò le maniche e prese in mano le redini dell’azienda edile avviata dal nonno. La sua onestà, le capacità tecniche e intuitive, nonché la lungimiranza lo portarono a essere apprezzato e benvoluto e quindi a sviluppare con successo l’attività. L’amore per Sella Nevea me lo trasmise fin dal 1974, quando, ancora adolescente, mi diede la possibilità di frequentare la località sciistica in parte realizzata proprio da mio padre. Credendo nelle potenzialità del luogo investì a Sella Nevea, costruendo tre immobili residenziali (Stella Alpina, Ginestra e Bucaneve) e uno ricettivo: l’hotel Nevea, comprensivo di una discoteca. Mio padre amò questa località al punto da collocare nel giardino di casa a Manzano, dove allora abitavamo, alcune rocce che recuperò dagli scavi effettuati nei cantieri di Sella Nevea, le cui forme ricordavano il Monte Canin e il Monte Bilapec». Alcuni defi niscono Sella Neva un centro di villeggiatura costituito solo da “casermoni” che deturpano il paesaggio e che ricreano il disordine di una città cresciuta troppo in fretta. Che cosa difende del progetto dell’architetto Giacomo Della Mea? «I “casermoni”, come li defi nisce lei, sono il frutto del boom edilizio degli anni ‘70/’80, ma soprattutto tengo a precisare che mio padre lì costruì sulla base del nuovo piano regolatore, allora in vigore, e dei progetti che gli vennero commissionati. Il progetto dell’architetto Della Mea, che prevedeva la costruzione di villini isolati, venne subito abbandonato: una scelta peraltro dettata dal manto nevoso che a quell’epoca in paese poteva superare i 4 metri di altezza. Allora non esistevano adeguati mezzi spazzaneve e si restava spesso bloccati. Se fossero stati realizzati quei villini la neve li avrebbe sommersi fi no al tetto». Rosella, siamo arrivati alla conclusione. Può svelare ai nostri lettori i
prossimi impegni dell’associazione “Sella Nevea Regina delle Alpi”? «Per la stagione invernale trascorsa abbiamo proposto escursioni sulla neve off rendo corsi di sci alpino, di free ride, di fondo e con le ciaspole. Per l’attività estiva-autunnale usciremo a breve con un nuovo programma. Le nostre gite solitamente sono aperte a tutti, anche ai bambini, perché la nostra fi losofia è assaporare la montagna soffermandosi a guardare, conoscere e capire ciò che ci circonda. Per questo motivo proponiamo esperienze in montagna sempre accompagnate da guide professioniste esperte in natura, storia e tradizioni locali. È possibile mettersi in contatto con noi sia via mail (sellanevea@libero.it) sia telefonicamente (333 9957631), o seguendoci sulla pagina Facebook (sellaneveareginadellealpi) dove pubblichiamo le nostre iniziative. Associarsi costa 10 euro all’anno».
Michele Tomaselli In alto, Rossella Masarotti ai piani del Montasio. Qui sotto, il rifugio Gilberti circondato dalla neve (ph. M. Tomaselli)
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PERSONAGGI LUIGI MAIERON Intervista di Andrea Doncovio Immagini di Alberto Cella
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Non voglio
quasi niente
Da pochi giorni è uscito il nuovo album dell’artista carnico. «Questo disco prova a raccontare cosa ci succede, cosa ci batte dentro e cosa si sta spegnendo». Dal rapporto con Mauro Corona al dramma dell’emigrazione giovanile: intervista a 360 gradi con il cantastorie della montagna.
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Luigi Maieron, partiamo dalla fine: “Non voglio quasi niente” che genere di album è? «Sicuramente un disco molto diverso dai precedenti. Ha un respiro meno tradizionale, non ci sono personaggi del passato, né vicende singole a eccezione di Canzone per Icio, storico autista e amico di Mauro Corona, mancato prematuramente due anni fa. Questo è un disco legato al presente, ai sentimenti, all’amore maturo che non poggia sul linguaggio adolescenziale delle canzoni che ci vogliono far sognare l’impossibile. È un disco dal linguaggio asciutto che guarda al domani, che indaga i sentimenti profondi, che non ha paura della scomodità e della fatica. È un disco privo di super eroi, dove ognuno fa quello che può, con l’interruttore dell’anima sempre acceso». Quali messaggi desidera trasmettere? «Fino ad oggi ho cantato l’importanza delle radici, l’importanza della provenienza, del collegamento con persone concrete con un’epoca solida priva di fronzoli, abituata a caricarsi in spalle il proprio destino e a portarlo lontano da mode e facili ottimismi. Questo disco prova a raccontare cosa ci succede, cosa ci batte dentro e cosa si sta spegnendo. Ma vuole anche portare la sua testimonianza su quanto conti la semplicità, la normalità, così bistrattate da tante aspirazioni. Ogni canzone è una piccola osteria dove fermarsi a bere un bicchiere insieme e scambiarci qualche opinione». Cosa c’è di nuovo e cosa invece resta costante rispetto ai lavori precedenti? «Di nuovo ci sono i suoni orchestrati da Umberto Trombetta, Gandhi che ha curato la direzione artistica ed eseguito la parte ritmica con il battito delle sue pelli simi32
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le a un grande cuore pulsante. È un impianto musicale diverso, meno folk, ci siamo trasferiti per le vie di una qualsiasi città. Entriamo nei bar, guardiamo cosa succede per le strade, ma senza dimenticare di gridare a voce alta l’importanza dei piccoli paesi, l’importanza delle persone, ormai singole minoranze al cospetto di una modernità poco attenta ai bisogni reali della gente». La musica di Luigi Maieron è strettamente legata al suo territorio, la Carnia: come mai? «È l’aria che respiro, è il posto dove sono nato e cresciuto. È un luogo che ho dentro, un architrave su cui si sono fondati i miei pensieri, i miei sentimenti. Ma se lo leggi bene troverai che non è minore, è solo piccolo, un microcosmo che conserva una sua universalità. Ho sempre amato i microcosmi come Mieli (canto tradizionale carnico, ndr) ad esempio, perché tra i suoi sentieri, nei suoi boschi, nel cambio delle stagioni c’è un universo. A volte non lo vediamo, perché siamo impegnati a confrontarci con le immagini di un mondo in corsa fatto di enormi palazzi e ampi spazi, e crediamo siano questi i posti dove scorre la vita vera, dove accadono gli avvenimenti determinanti. In parte è così, ma solo in parte. Certo devi stare con il sedere in Carnia e la testa nel mondo, non devi pensare che il tuo paese sia il tutto, sia migliore e completo. Però è giusto raccontare quello che conosci bene, solo così la tua parola e la tua musica possono essere utili». Cosa rappresentano per Maieron le sue montagne? «Sono gli abbracci che non ho avuto da piccolo. Sono un’entità che mi protegge, che mi rassicura, che ogni tanto scalo per sentire ancora più forte il calore del loro abbracIn apertura, Luigi Maieron con la sua chitarra.
cio. Ma sono anche il confine che determina il mio posto. Federico Tavan in una sua poesia sollecitata da una domanda della sua professoressa (“Ma allora cosa farai?”) rispose, indicando la metà del muro che gli stava davanti: “Posso arrivare soltanto fin là”. Per tanto tempo mi sono sentito così anch’io, e le montagne erano i confini che non avrei lasciato. Invece il loro millenario linguaggio raccomanda concetti di apertura, di giusto confronto, sono madri protettive ma insegnano ai figli a muoversi senza timori, lasciando loro aperta la strada di casa». Da cosa traggono ispirazione le sue canzoni? «Di solito quando sono triste o mi sento più indifeso loro arrivano. Bussano ed entrano, altre volte se ne stanno sulla porta o se ne vanno senza salutare, altre si impuntano e non si lasciano prendere. C’è sempre qualcosa di fisico nella scrittura delle mie canzoni. Sento il testo o la linea melodica lì presenti. Sono come persone che vogliono essere capite e io cerco di farlo al meglio, cosciente della mia incapacità a rendere loro onore come meritano. Non sono mai del tutto contento del risultato, ma una cosa mi rassicura ultimamente: a distanza di tempo mi piacciono molto più di come le vivevo al momento della stesura. Spero che non sia una questione di età…» Un antico detto recita: “Nessuno è profeta in patria”. Vale anche per Luigi Maieron? «Io mi sono occupato di musica, poesia e scrittura perché la sentivo una mia esigenza. Certo c’è sempre una parte di te che aspira a essere ascoltata. Il disinteresse non fa bene al cuore di alcun creativo, ma se credi in qualcosa e lo senti necessario non ha grande importanza se non hai tutta l’attenzione che ti meriti o che credi di meritarti. Per il sottoscritto ritirarsi nel suo studio e fare quello in cui credeva è stato un privilegio e mi bastava. D’altro canto non sono mai mancati gli inviti e le possibilità anche di un certo rilievo, che continuano ad arrivare in numero crescente. Tra poco credo che finirò per rimpiangere i tanti pomeriggi di Carnia, in solitudine, fuoco e pensieri accesi». Cantautore, ma anche scrittore. Dopo La neve di Anna, ottimo riscontro di critica ha ricevuto Quasi niente scritto a quattro mani con Mauro Corona. Cosa rappresenta la scrittura per Luigi Maieron? «È lo stesso percorso. Per farla corta si può dire che la prosa è una bottiglia di vino e la canzone un bicchierino di grappa. Sono due forme espressive diverse ma confinanti. Il libro permette il respiro largo, la spiegazione minuziosa e per arrivarci hai spazi maggiori; la canzone invece è sintesi estrema, l’attimo da catturare in spazi strettissimi. Inoltre lo spartito musicale che usi per la prosa – perché anche un libro ha la sua musica – è un respiro derivato dalle emozioni dei tanti paesaggi, dalle loro vicende, dalle fragilità che sentiamo nostre». Non solo libri: lei è autore anche di spettacoli teatrali. È più complesso scrivere un romanzo, un copione o una canzone? «L’importante è scrivere con il senso giusto. Per me questo senso è derivato dall’utilità. Vorrei che ascoltando o leggendo le persone potessero cogliere una frase che accende una piccola lampadina o che si possa sentire il calore delle parole e la vicinanza. Diventa complessità quando è tecnicismo, quando pur essendo tutto bello e perfetto viene a
Luigi Maieron è nato a Cercivento il 25 gennaio 1954 (info: www.maieron.it)
mancare il dato del collegamento. E assieme all’applauso, che magari arriva ugualmente, si perde l’occasione di aver dato qualcosa. Gli esercizi di bravura non servono. Dobbiamo coltivare dentro di noi l’orto e piantare dei semi, poi curarlo e bagnare le tue piantine, siano canzoni, copioni, romanzi o spettacoli teatrali: qualcosa di buono nascerà». A proposito di Mauro Corona, come vi siete conosciuti? «Io e Mauro siamo accomunati da infanzie difficili. I segni sono nascosti ma chi li sa leggere li coglie con facilità. Noi ci siamo guardati e capiti. Il resto è venuto piano piano, perché non è così facile per noi aprirci veramente. Mauro ha fatto un atto di generosità accettando di scrivere un libro a quattro mani, dopotutto lui è uno scrittore conosciutissimo e io quasi un esordiente, eppure ha voluto farlo convinto del risultato. Ancora una volta ha dimostrato il suo spessore artistico, la sua intuizione formidabile. Quasi Niente è un libro non solo molto acquistato (ha superato le 70.000 copie) ma è anche molto letto. In famiglia se lo passano da nonno a nipote». Non solo il libro. Da molto tempo portate in scena assieme a Toni Capuozzo - lo spettacolo Tre uomini di parola: com’è lavorare assieme a Corona? «Corona è un leader, un comunicatore di alto livello, stare sul palco con lui non è stato facile, ma ti fai le ossa: se funzioni vicino a Mauro, funzioni dappertutto. Lo spettacolo Tre uomini di parola è nato da un’idea e per volontà del corpo degli Alpini di Cividale, capitanati dal maresciallo Ciabrelli, e poi sostenuto da altri comandi in tutto il nord e centro Italia. Grazie agli incontri fatti abbiamo raccolto 55.000 euro con i quali è stato costruito un reparto ospedaliero in Afghanistan per ospitare i bambini vittime della guerra. Il reparto si chiama proprio |
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Luigi Maieron (ph. Luca d’Agostino)
“Tre uomini di parola”. Il corpo degli Alpini è un grande esempio di efficienza e umanità nel nostro paese». Qual è il consiglio principale che Corona le ha dato e quello che invece lei ha fornito a lui? «L’ultima cosa da fare con Mauro è dargli consigli. Spesso li legge come “buoni consigli di chi non può più dare il cattivo esempio”. Quello che cerchiamo di trasmetterci è l’autenticità e soprattutto che uno avrà sempre il sostegno dell’altro. Abbiamo bisogno dell’amicizia, di sentirci insieme, di contare su qualcuno, di poter esprimere la gratitudine come sentimento da non dimenticare». Torniamo al territorio: Luigi Mieron come giudica lo stato di salute della Carnia di oggi? «Soffre come ogni piccolo luogo di montagna, dove per far cassa e trasferire privilegi in altri posti si chiudono uffici e servizi. Il popolo carnico è composto da gente solida, che non ha avuto vita facile. Se si pensa solo alla percentuale di emigrazione della generazione che ci ha preceduto (il 25% della popolazione, vale a dire un componente per famiglia, e in genere il capofamiglia) si capisce quanto abbia sofferto ogni singolo nucleo e quanto di questa sofferenza si sia adagiata nei nostri caratteri e nelle nostre reazioni. Emigrazione che purtroppo prosegue anche per i giovani, perché continuano le chiusure di infrastrutture, continuano i trasferimenti di uffici e servizi. Nell’aria c’è una certa stanchezza che ci ha fatto perdere un poco la “braure di jessi cjargnei”, ma dobbiamo pensare a quante promesse non mantenute si sono dovute mandare giù». Restiamo al problema dell’emigrazione delle giovani generazioni. Possibile invertire la tendenza o il processo è ormai irreversibile? «Non mi piace lamentarmi, preferisco tirare avanti, persino la protesta ha perso significato. Anche chi perde le elezioni, a rotazione, considera la sconfitta un atto di stupidità dell’elettorato. Non si sente, non si ascolta e quindi non si capisce. Come si può tenere in piedi un mondo del lavoro giovanile basato sul precariato? Chi è precario non vede futuro e sente il presente come una passerella ballerina mentre sta attraversando il fiume in piena della vita. Si sente insignificante e valutare la propria insignificanza sociale non fa bene. Credo si possa e si debba invertire la tendenza: confidiamo in un nuovo senso politico perché fino ad oggi la mia generazione ha fallito. Ognuno si dovrebbe alzare dal suo scranno in Parlamento e chiedere scusa, prima ai giovani, a ogni lavoratore, a ogni persona in difficoltà. “Offuscati dai privile34
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gi non vedete”. Dice un brano del nuovo disco: “Minoranze è la gente comune che esce di casa e fa un lavoro normale. Voi ci guidate ma non ci sentite e allora non vi seguiremo, vi battete per grandi principi dimenticando le persone, a parole costruite tante buone promesse e coltivate distrazione”». Torniamo al Maieron artista: come ha conciliato passione e lavoro? «Nella vita ho lavorato come impiegato per un ente pubblico. In genere mi occupavo delle persone con traumi e comunque il mio lavoro ha sempre avuto un collegamento con situazioni di disagio. Il mio essere “artista” si è inchinato per tutta la vita a un lavoro vero, fatto di orari e regole. Solo così ha potuto continuare a respirare l’aria pulita delle vette, perché non dovevo piegarmi a niente, ma solo lasciarmi portare dalla passione. Alle due finivo il lavoro vero, lasciavo la mia anima pratica; alle 15.30 entravo nel mio studio, indossavo la mia anima eterea e, chitarra in mano, cominciavo a giocare». Ogni artista ha solitamente un luogo speciale in cui trova l’ispirazione. È così anche per lei? «Il mio luogo speciale è dentro di me, è la parte che duole, i luoghi dove girano la mia fragilità, le mie paure, il mio sentirmi perduto. Attingo lì la mia penna, dopo aver diluito l’inchiostro con la leggerezza dei buoni pensieri, delle buone parole». Qual è la canzone del nuovo album cui è maggiormente legato? «In questo album ogni canzone ha la sua funzione, è impossibile sceglierne una. Il disco apre con un brano che s’intitola Non voglio quasi niente. Dice “non voglio quasi niente se tu sei qui, non voglio quasi niente se non ci sei”. Quasi che presenza e assenza mostrino lo stesso significato, ma non è così. Il ricordo della felicità non ti fa essere felice ma non fa male, mentre il ricordo del dolore resta sempre dolore e fa male. Le parole sembrano affermare un principio identico, invece stabiliscono una differenza, tra le più significative nella nostra vita: non capire spesso il bene che abbiamo e perderci nell’inutile protesta per aspirazioni superficiali, per il lamento di ciò che non ci è stato dato o a cui aspiravamo». A proposito di aspirazioni, qual è il sogno che vorrebbe ancora realizzare? «Scrivere un disco dove non servano parole a spiegare le canzoni, dove ogni canzone sia una scala che cresce verso il mondo di sentimenti sinceri per un sentire comune, in grado di generare un’emozione duratura e dove io non smetta di cantare queste canzoni. Ma so di chiedere troppo e mi accontento di meno: credo molto in questo nuovo disco e spero che porti nuovi amici tra emozioni e utilità. “Qualche volta hai detto vado, qualche volta ci hai provato, sai qual è il posto che vuoi? La tua meta ce l’hai chiara? Dopo gli argini e le strade ci sei solo tu con i tuoi colori accesi e lo sguardo in bianco e nero…”» Andrea Doncovio
L’album “Non voglio quasi niente” è stato interamente registrato negli “Angel’s Wings Recording Studio” di Mereto di Tomba (info: www.angelswings.it)
« Viaggiare
TRASPORTO SOSTENIBILE A cura della redazione
tra le meraviglie della natura
Evitare il traffico e lo stress delle strade scegliendo la bici e i mezzi pubblici, anche via mare. L’occasione per trasformare il viaggio da semplice spostamento a esperienza emozionale.
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“Solo nel tragitto tra il luogo che ho appena lasciato e quello dove sto andando io sono felice”. Se lo scrittore austriaco Thomas Bernhard avesse la possibilità di muoversi nel Friuli Venezia Giulia di oggi, scoprirebbe che questa sua citazione trova facile conferma. Dagli spostamenti in barca a quelli in bus – entrambi con la possibilità di portarsi al seguito la propria bicicletta – utilizzare i mezzi pubblici e pedalare all’aria aperta diventa il mix ideale per visitare le meraviglie naturali della nostra regione. Quel “piccolo compendio dell’universo”, che Ippolito Nievo ha saputo riassumere meglio di nessun altro, in pochi chilometri offre contesti pressoché unici: le spiagge e la laguna di Grado, la storia monumentale di Aquileia, la natura rigogliosa e i paesaggi rilassanti del Collio, la vivacità e il fascino senza tempo di Trieste e della sua costa.
Un itinerario ideale che grazie ai servizi messi in campo da APT Gorizia diventa “viaggio” perfetto per tutta la famiglia. La linea marittima del “Delfino Verde”, ad esempio, dopo il successo riscontrato nelle annate passate, quest’anno amplierà il proprio servizio prolungando la stagione: dal 19 maggio al 16 settembre collegherà quotidianamente il capoluogo regionale con Grado attraverso due coppie di corse giornaliere (mattina e sera) alle quali, dal 15 giugno al 3 settembre, si aggiungerà anche una terza corsa pomeridiana. Sull’imbarcazione sarà possibile portare anche la propria bicicletta: in questo modo una volta giunti a destinazione (Molo Bersaglieri a Trieste, Molo Torpediniere nell’isola del sole) sarà possibile muoversi liberamente lungo i numerosi percorsi ciclabili attivi in entrambe le località, andando alla scoperta sia dei principali punti di interesse, sia di anfratti e luoghi magici impossibili da raggiungere in automobile ma accessibili e visitabili in bici. È sufficiente essere invece comodamente seduti in barca per ammirare spettacoli che solo il mare è in grado di regalare, come la vista emozionante di magnifici delfini. Anche nel 2018, infatti, proseguirà la collaborazione di APT con l’Associazione DelTa - Delfini e tartarughe nell’Alto Adriatico, iniAccanto, il Delfino Verde. Sopra, alcuni delfini immortalati in mare lungo la tratta Trieste-Grado (ph. DelTa). |
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ziata nel 2016, con la presenza per due giorni alla settimana a bordo della motonave “Delfino Verde” di ricercatori e studenti universitari che, con l’ausilio di apposita apparecchiatura messa anche a disposizione dei passeggeri, illustreranno le specificità della fauna marina del golfo, segnalando eventuali avvistamenti e coinvolgendo in modo attivo tutti i presenti, personale di bordo incluso. Dallo scorso anno la collaborazione con DelTa si è arricchita anche con il Progetto N2K, indirizzato a svolgere azioni a sostegno della formazione di cittadini responsabili e sensibilizzati sul tema della conservazione delle specie marine minacciate (cetacei e tartarughe marine) comprese tra quelle della rete Natura 2000, principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. In tale ambito sono stati ospitati a bordo numerosi allievi delle scuole medie inferiori e, successivamente, anche studenti delle scuole superiori nell’ambito del periodo “alternanza scuola lavoro”. Oltre che in mare, la mobilità sostenibile diventa realtà anche grazie ai pullman. Con il servizio BiciBus è infatti possibile esplorare il territorio regionale intervallando tratti in bicicletta con spostamenti su mezzo pubblico lungo affascinanti percorsi nei territori di Grado e del Collio. Da Gorizia, Mossa e Cormòns sono facilmente raggiungibili itinerari ciclabili e percorsi ad anello
I biglietti si possono acquistare presso i punti vendita autorizzati o a bordo, con un piccolo sovrapprezzo. Il trasporto della bicicletta è incluso. É possibile caricare nel carrello fino a massimo 28 biciclette.
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adatti a tutti i tipi di ciclisti. Dai circuiti “Slow Collio” alle facili ciclopedonali a misura di bambini, dai saliscendi delle tipiche colline coltivate a vite e frutteti fino alle più impegnative salite verso il Monte Sabotino e Korada con possibilità di sconfinare nel Collio sloveno o lungo l’Isonzo. Da Monfalcone a Grado si incontrano numerosi percorsi ciclabili non impegnativi e adatti a tutti. Un suggestivo itinerario ricco di spunti paesaggistici in zone particolarmente ricche di attrattive naturali ai margini della fascia litoranea. Un affascinante tracciato tra terra e laguna conduce alla scoperta delle aree protette della Riserva Naturale Regionale Valle Cavanata e Riserva Naturale Regionale Foce dell’Isonzo, (Isola della Cona) e attraverso la translagunare al sito archeologico di Aquileia. Per imformazioni sulla Linea Marittima Grado-Trieste e sul servizio BiciBus contattare APT SpA: numero verde 800 955 957 o www.aptgorizia.it Accanto, suggestivo scorcio del Collio (ph. Archivio FIAB). Sotto, operatore DelTa mentre fotografa la fauna marina (ph. DelTa).
PERSONAGGI GIANLUCA BUTTOLO Servizio di Margherita Reguitti
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Il gioco
della vita
Il suo ultimo progetto editoriale – realizzato a quattro mani con il premio Pulitzer Hisham Matar – continua a mietere successo in tutto il mondo. In esclusiva per iMagazine, l’illustratore, fumettista e scrittore friulano spiega perché.
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In questi tempi di tutto subito il suo passo è lento e riflessivo. I suoi progetti hanno tempi di nascita, misurati in anni, la sua determinazione non conosce l’ansia di arrivare, ma si gode il piacere dei pensieri scambiati con chi incontra sul suo cammino. L’aver scelto nella professione la qualità rispetto alla quantità ne fa un raro esempio di creativo fuori dagli schemi del business editoriale. Gianluca Buttolo ( foto in apertura), illustratore, fumettista e scrittore friulano ha un passo in apparenza lento, ma inesorabile verso la meta. Il suo ultimo progetto editoriale Il libro di Dot (Renoir Comics, pagg. 40, euro 12) scritto a quattro mani con il premio Pulitzer Hisham Matar, scrittore nato a New York da genitori libici, dimostra la sua versatilità, la sua sete di nuove sfide. Un testo poetico, profondo, onirico e delicato, adatto a lettori di ogni età. Una storia semplice e avvincente nella quale le parole, scelte con attenzione alla musicalità del significato e alla forza di suggestione, si srotolano essenziali nel racconto del viaggio di un bimbo verso il senso di sé. Un’avventura nella quale il lettore entra e viaggia, sfogliando le raffinate tavole a colori del libro. L’idea di scrivere questo volume a 4 mani è nata molto tempo fa sulla base di una sorta di canovaccio appena abbozzato, poi lasciata a decantare in quanto Matar è stato impegnato nel completare il suo libro Il ritorno con il quale ha vinto il prestigioso premio Pulitzer 2017 nella sezione biografie. Una narrazione della memoria, viaggio privato e 38
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storico in Libia, alla ricerca di un padre, fiero oppositore di Gheddafi, rapito, scomparso e mai più ritrovato; per la famiglia morto ma sempre vivo. Nel frattempo anche Buttolo ha dato alle stampe La scelta, graphic novel incentrata sulla vicenda professionale e personale di Giorgio Ambrosoli, avvocato milanese che pagò con la vita l’aver svelato la grande truffa dell’impero di Michele Sindona. Una storia di valori etici e civili non negoziabili, scritti e disegnati dall’autore udinese. Anche in questo caso la storia di una perdita, della scomparsa di un uomo retto e determinato nella realizzazione delle proprie idee. «Il libro di Dot – spiega Buttolo – è il risultato dell’incontro, abbastanza casuale, di due persone che amano essere contaminate. Il progetto è solo una parte di tanti momenti vissuti assieme, conoscendoci, scambiandoci pensieri, idee, visioni della vita, gusti musicali e tanto altro, in lunghe conversazioni via Skype o di persona a Londra, dove Matar vive. Ci siamo anche divertiti e abbiamo molto scherzato. Da questa relazione varia e intensa, senza fretta, è nata la contaminazione fra disegno e testo. Davvero un lavoro a 4 mani, in progressione per piccoli passi». Nel libro La Scelta Buttolo aveva utilizzato il bianco e nero, giocando molto sulle ombre per raccontare il lavoro dell’avvocato milanese che aveva fatto emergere lo scandalo del Banco Ambrosiano e il suo omicidio. In questo nuovo libro il colore invece trionfa, in una complessità di piani. «Non credevo di avere una sensibilità professionale spendibile per il colore: io stesso ne sono rima-
sto colpito vedendo come, dal confronto ampio e alto con Matar, sia scaturito un desiderio di sperimentare per la prima volta una tavolozza tanto ampia di toni. Direi che anche questa mia scelta stilistica è frutto dello scambio, umano prima che professionale, che si è innescato fra di noi. Quando sono andato a Londra, abbiamo trascorso dei giorni a parlare chiusi nel suo studio, che hanno prodotto idee per almeno una quindicina di libri. È stato bello e divertente, una creatività nata dall’empatia sia giocosa sia intellettuale, che ci ha permesso di vedere il lato buffo e ludico, mai superficiale, della vita. Ecco perché questo libro viene letto senza difficoltà dai bambini, anche molto piccoli, e dagli adulti che non hanno perduto l’immediatezza dei bambini, la capacità di stupirsi e sognare e di dare risposte semplici a domande complesse». Ogni pagina è sorprendentemente diversa dalla precedente per stile e segno, ora densa di colore, linee e curve, ora elegante e vorticosa nell’aprire uno sguardo su una città o un cielo stellato… «È un libro stratificato in quanto ho utilizzato e mescolato varie tecniche come l’olio e la matita su texture particolari, come carte ingiallite o sporche. I disegni sono stati acquisiti al computer e montati in strati, valorizzando la trama della carta e l’intreccio dei fili che la compongono. Un procedimento nuovo per me, impossibile da assemblare senza impiegare applicazioni tecnologiche. In questo trovo che il computer sia uno strumento importante sulla base di un’idea creativa forte che fa sempre la differenza. Sono infatti convinto che non ci sia supremazia dei mezzi sull’arte, ma essi portano alla creazione e sperimentazione di nuove tecniche espressive». Quale sarà il prossimo lavoro? «Ci sono molte idee ma per il momento sono impegnato nel far conoscere e diffondere questo libro. Spero che con Matar daremo vita a uno dei progetti scaturiti con tanta gioiosa immediatezza…» Margherita Reguitti
Sopra, due tavole tratte da Il libro di Dot realizzate da Gianluca Buttolo. Nato nel 1968 a Udine, Gianluca Buttolo inizia, dopo una lunga collaborazione con uno studio di architettura, l’attività di illustratore nel 2003 disegnando per diverse testate giornalistiche, case editrici e il teatro. Per ReNoir Comics ha pubblicato La scelta (2015), una graphic novel che ripercorre la vicenda umana e professionale dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Nato nel 1970 a New York da genitori libici, Hisham Matar è vissuto a Tripoli e poi al Cairo prima di trasferirsi a Londra. Per Einaudi ha pubblicato Nessuno al mondo (2006), tradotto in ventinove lingue e finalista al Man Booker Prize, Anatomia di una scomparsa (2011) e Il ritorno (2017), per il quale ha vinto il premio Pulitzer 2017 nella categoria biografie e autobiografie. Le immagini dei due autori da bambini sono tratte dal volume Il libro di Dot. |
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R E G O L A M E N TO G D P R
Dati personali:
protezione più severa
Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori
D I R I T T O
Intervento dell’Unione Europea per regolamentare il controllo delle informazioni che riguardano l’individuo. Ecco cosa cambia per il cittadino e per le aziende.
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Il 25 maggio 2018 entra in vigore il Regolamento UE n. 679/2016 in materia di protezione, trattamento e libera circolazione dei dati personali relativi alle persone fisiche. Tale regolamento, meglio noto come GDPR (General Data Protection Regulation), va a sostituire la direttiva CE 95/46 fornendo una tutela più completa in merito alla protezione, trattamento, gestione, custodia e circolazione dei dati in un mondo sempre più digitale. A distanza di oltre 20 anni, quindi, l’Unione europea interviene nuovamente in materia di protezione dei dati personali attraverso un atto di legislazione, il regolamento, caratterizzato per essere direttamente applicabile a tutti gli Stati membri, senza interventi nazionali che ne recepiscano il contenuto e lo rendano obbligatorio a tutti i cittadini. Ciò al fine di stabilire regole uniformi in tutti gli Stati membri. L’obiettivo principale del GDPR è quello di dare all’individuo il controllo sulle informazioni che lo riguardano e, in secondo luogo, fornire agli operatori indicazioni certe e uniformi in relazione alla modalità di trattamento dei dati forniti dagli utenti. Oggetto di protezione del GDPR sono i dati personali, vale a dire tutte le informazioni che identificano una persona fisica, fornendo dettagli sullo stile di vita, sulle sue abitudini, sullo stato di salute... I dati possono suddividersi in identificativi (riguardanti informazioni anagrafiche, dati biometrici, immagini), sensibili (relativi alle origini etniche, alle idee politiche o religiose, allo stato di salute), giudiziari (indicano l’esistenza di provvedimenti giudiziari soggetti a iscrizione nel casellario giudiziario, rivelano la qualità di indagato o di imputato in procedimenti penali). |
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In via esemplificativa, nell’esercizio di un’attività di impresa questi dati possono derivare da: servizio clienti (nomi, indirizzi, telefoni di clienti, fornitori, dipendenti, ecc.), elaborazione di ordini (codici IBAN o di carte di credito, storico di vendite, tipologie di merci acquistate), informazioni raccolte attraverso siti web, apps, cookies e altre modalità di raccolta dati che consentono di ottenere informazioni in merito a quando viene visitato un sito, che tipo di contenuti ha e in che modo l’utente interagisce con essi attraverso collegamenti contenenti materiale pubblicitario mirato. Il regolamento, dunque, è rivolto a tutti quei soggetti (aziende, società, enti pubblici o privati) che, per il tipo di attività che svolgono, devono raccogliere, conservare, elaborare, trasmettere dati personali. In una parola “trattare” dati personali. In tali contesti, il GDPR delinea due figure principali: il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento. Il titolare del trattamento è la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; mentre il responsabile del trattamento è colui che tratta i dati personali per conto del titolare del trattamento e nel rispetto delle disposizioni del regolamento. Alla base della legittimazione al trattamento di questi dati non può che esservi il consenso dell’interessato al quale sono attribuiti ex lege i diritti di accesso, rettifica, di cancellazione (oblio) e di portabilità dei dati che lo riguardano. Al titolare del trattamento (o al responsabile del trattamento), viene richiesta massima trasparenza in merito alla tipologia dei dati raccolti, al trattamento che questi dati ricevono e allo scopo per il quale vengono raccolti. Oneri di trasparenza che devono essere ben compresi non solo da parte dei propri clienti e fornitori ma an-
che dei propri dipendenti che nel concreto raccolgono e utilizzano le informazioni dei clienti. Per garantire una tutela efficace dei dati personali, la normativa richiede ai titolari del trattamento, ovvero ai responsabili del trattamento, di compiere un’analisi costante e aggiornata che prenda in seria considerazione i rischi connessi al trattamento e conseguentemente di adottare adeguate misure tecniche e organizzative idonee a garantire la sicurezza nel trattamento. Misure che, in base alle dimensioni dell’organismo, alle tipologie di dati trattati e al volume degli stessi, possono prevedere la tenuta di particolari registri per il trattamento e/o la nomina di un soggetto terzo (cd. responsabile della protezione o data protection officer – DPO) con funzioni consulenziali, di vigilanza e di contatto con l’autorità di controllo. Ulteriore e significativa novità contenuta nel GDPR è la sua efficacia anche oltre i confini dell’Unione europea: sebbene si tratti di un regolamento europeo, la sua efficacia si estende a qualunque trattamento di dati personali dall’UE verso un paese terzo, oppure al trattamento da parte di soggetti terzi con riferimento ai dati personali di soggetti interessati che si trovano nell’Unione. La condivisione di tali dati può aver luogo soltanto se il trattamento avviene nel rispetto delle disposizioni del GDPR. Non ultimo, aspetto affatto trascurabile è il pesante impianto sanzionatorio contenuto nel nuovo regolamento: l’accertamento di violazioni del GDPR comporta, a seconda della gravità della violazione, l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie che variano dai 10 ai 20 milioni di euro ovvero, per le imprese, dal 2 al 4% del fatturato totale annuo dell’esercizio precedente. Inoltre, se l’interessato ritiene che la modalità di trattamento dei propri dati non avvenga in conformità con il GDPR ha diritto di proporre reclamo dinanzi all’autorità di controllo, la quale svolgerà un’attività di indagine per accertare l’effettiva violazione e per verificarne l’entità. L’interessato potrà altresì proporre ricorso giurisdizionale sia avverso una decisione dell’autorità medesima che nei confronti del titolare del trattamento che abbia violato i diritti previsti dal regolamento. Ragion per cui, è calorosamente consigliabile adoperarsi quanto prima per elaborare insieme a consulenti legali e tecnici un sistema di protezione che da un lato prenda in considerazione le esigenze correlate al tipo di attività svolta e alla tipologia dei dati in essa trattati e dall’altro renda tale attività in linea con la nuova normativa.
Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo: massimiliano@avvocatosinacori.com
OLEORESIN CAPSICUM
Nebulizzare… per autodifesa
Rubrica a cura della Polizia di Stato della Provincia di Gorizia
P O L I Z I A D I S TA T O
Lo “spray al peperoncino” in dotazione alla Polizia di Stato: come funziona e quando può essere usato? Ecco le principali linee guida. Il Decreto del Ministero dell’Interno n.103 del 12 maggio 2011, entrato in vigore il 9 gennaio 2012, ha definito le “caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un principio attivo naturale a base di Oleoresin Capsicum e che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona”, il cosiddetto “spray al peperoncino”. L’Art.1 comma 1 stabilisce che lo strumento deve essere in grado di nebulizzare una miscela irritante a base, appunto, di oleoresin capsicum e che non abbia attitudine a recare offesa alle persone e deve avere le seguenti caratteristiche: contenere una miscela non superiore a 20 ml; contenere una percentuale di oleoresin capsicum disciolto non superiore al 10%, con una concentrazione massima di capsaicina e capsaicinoidi totali pari al 2,5%; la miscela erogata dal prodotto non deve contenere sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici; essere sigillato all’atto della vendita e munito di un sistema di sicurezza contro l’attivazione accidentale; avere una gittata utile non superiore a tre metri. Tutti i dispositivi che non rispettano le indicazioni elencate nel comma 1 del decreto, sono soggetti alla normativa in materia di armi. La quasi totalità degli strumenti antiaggressione presenti sul mercato possiede i requisiti di funzionamento e destinazione di impiego che consentono di inserirli nel novero delle armi comuni, in quanto strumenti la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona. Il loro porto e utilizzo al di fuori dell’abitazione è vietato, e impone alle forze dell’ordine l’obbligo di segnalazione all’Autorità giudiziaria. 44
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A oggi si contano in poche unità i prodotti spray per la difesa personale di cui è consentita la libera vendita, comunque ai maggiori di anni 16, in quanto la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi ha espresso il parere che essi, in ragione del modesto contenuto di sostanza attiva, non abbiano attitudine a recare offesa alla persona, qualificandoli quindi “non armi” e ritenendo ammissibile la loro libera vendita e circolazione. Lo “spray” in dotazione alla Polizia di Stato Questo strumento di dissuasione, corrispondente alle direttive ministeriali, è stato adottato anche dalla Polizia di Stato per gli operatori impegnati nei servizi di controllo del territorio, al fine di migliorare la capacità di reazione di fronte a comportamenti violenti, senza necessariamente ricorrere all’uso delle armi. Inoltre, l’erogazione del tipo “a cono nebulizzante” consente, in un’azione istintiva e rapida, di ottenere tempi di reazione del capsicum sul soggetto di pochi secondi, allungando nel contempo quelli di saturazione dell’ambiente circostante. Il dispositivo è stato oggetto di una sperimentazione operativa dal 2014, con la verifica dei rischi alla salute effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità. In questa prima fase, che ha coinvolto le unità addette al controllo del territorio e la specialità della Polizia Ferroviaria in alcune grandi città campione come Milano, Roma e Napoli, sono stati distribuiti oltre tremila esemplari provvisti anche di un apposito kit di decontaminazione. Dalla fine del 2016 tutti i reparti che svolgono servizi di prevenzione e controllo del territorio (Reparti Prevenzione Crimine e Squadre Volanti) sono stati dotati di “spray al peperoncino”. In merito ai timori da parte dell’opinione pubblica riguardo all’eventuale pericolosità sull’utilizzo di tale strumento da parte degli operatori di polizia, è necessario
considerare che, a livello mondiale, vengono prodotte diverse tipologie di spray antiaggressione, alcune delle quali contenenti sostanze chimiche fortemente irritanti e di conseguenza potenzialmente dannose per la salute. Altri, invece, sono ottenuti mescolando sia sostanze chimiche che naturali, altri ancora, pur essendo a base di sostanze naturali vengono erogati utilizzando propellenti non conformi ai dettami della nostra legislazione; quindi non soggetti alla libera vendita nel nostro Paese. Lo spray in uso agli operatori della Polizia di Stato, come testimoniano le risultanze dell’Istituto superiore di sanità, è innocuo per la salute. La sostanza contenuta del dispositivo è l’Oc, conosciuto anche come oleoresium capsicum ed è interamente naturale; è una particolare sostanza che sfrutta le proprietà vasodilatatorie del principio attivo, cioè la capsicina, derivato dai frutti delle piante del genere capsicum, tra cui vi è il comune peperoncino. La sostanza è classificata come “infiammatore” e non come irritante poiché non agisce sulla soglia del dolore, ma su quella del fastidio che è meno alterabile dalle sostanze stupefacenti. A contatto con l’Oc le mucose dell’apparato respiratorio e visivo si infiammano e quindi si gonfiano, provocando la chiusura involontaria e incontrollabile degli occhi dovuta alla dilatazione dei capillari, fiato corto e infiammazione della pelle, accompagnati da una sensazione di bruciore molto elevata. Queste caratteristiche lo rendono molto efficace inducendo un forte senso di disorientamento e spesso crisi di panico nel soggetto contaminato che resta impossibilitato a tenere gli occhi aperti nei successivi minuti. L’utilizzo del dispositivo Le linee guida e le modalità operative circa l’utilizzo del dispositivo sono state predisposte dal personale del Centro Nazionale di Specializzazione e Perfezionamento nel Tiro della Polizia di Stato di Nettuno e da quello della Scuola Tecnica - Centro Polifunzionale di Roma. Gli operatori di Polizia a cui l’uso di tale strumento è riservato seguono un apposito percorso didattico, formativo e informativo, durante il quale apprendono sia le norme per il suo impiego in sicurezza sia le circostanze che lo autorizzano. Difatti, nel programma didattico sono previsti momenti formativi dedicati sia alla normativa vigente sia agli aspetti sanitari relativi al principio attivo contenuto in esso. Particolare riguardo viene dedicato alla decontaminazione ed eventuale soccorso del soggetto contaminato, dei luoghi interessati e al trasporto in sicurezza del fermato. Gli agenti possono ricorrere all’utilizzo del dispositivo anche a fronte di un’azione violenta, minaccia, resistenza attiva in atto, rivolta verso lo stesso operatore o altre persone coinvolte nel teatro operativo,
In apertura primo piano dell’erogatore dello spray al peperoncino. Sopra dimostrazione sul corretto uso del dispositivo.
quando ogni tentativo di negoziazione, mediazione o dissuasione verbale fallisce. Non può essere utilizzato per fini meramente intimidatori o punitivi, come invece risulta avvenire in contesti di polizie straniere. Pertanto, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità tra offesa e difesa, rappresenta un valido strumento intermedio per neutralizzare temporaneamente un comportamento aggressivo ed evitare che venga portato a ulteriori e più gravi conseguenze. Con gli effetti dei sintomi descritti in precedenza, nella maggior parte dei casi, il soggetto abbandona la propria condotta aggressiva. L’efficacia è descritta in una percentuale elevata, anche se la letteratura scientifica riporta un lieve tasso di fallimento; comunque, anche nei casi di minore efficacia, è descritto come la chiusura degli occhi abbia l’effetto di ostacolare le reazioni oppositive della persona colpita. In considerazione della tipologia di espulsione della sostanza contaminante, prevista nella modalità “a cono nebulizzato”, è raro l’uso in ambienti chiusi o quantomeno, in tali contesti, vi sarà un’attenta valutazione dei rischi connessi allo scenario operativo (rischio di contaminazione di terze persone e/o ambienti e auto-contaminazione) in relazione ai benefici che si potranno trarre dall’utilizzo dello stesso. Nessun protocollo particolare è necessario per la decontaminazione da Oc in quanto è biodegradabile; gli effetti infiammatori della sostanza svaniscono velocemente versando dell’acqua sulle mucose interessate senza successive conseguenze per la salute dell’individuo. Inoltre non è un agente persistente né nei locali né sugli abiti, e ciò risolve anche le problematiche legate alla contaminazione indiretta sugli operatori di polizia costretti a farne uso. Dall’inizio della sperimentazione a oggi non è stato mai segnalato alcun caso di soggetti contaminati che abbiano avuto in seguito necessità di cure sanitarie. Tuttavia, vi è la possibilità che soggetti contaminati con l’Oc, nei quali siano preesistenti patologie respiratorie complesse, manifestino ipersensibilità allo spray con la conseguente necessità di consultare un medico. |
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Alla riscoperta di grandi protagonisti dell’Ottocento isontino e del litorale asburgico al servizio dell’agricoltura e della ricerca
Il professor Carlo Hugues
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Carlo Hugues nacque a Casale Monferrato il 9 febbraio 1849 da una famiglia patrizia d’Oltralpe, rifugiatasi in Italia (a Pinerolo) nel 1792 in seguito alle vicende rivoluzionarie francesi. Fu figura di notevole rilevanza nel vasto campo dell’agronomia e anche in quello del carsismo del litorale asburgico, con particolare riferimento all’ambito istriano. Venne avviato a una formazione tecnico-agraria presso la Scuola di Agricoltura di Casale, poi incorporata nell’Istituto Tecnico Leardi, dove gli fu maestro il professor Giuseppe Antonio Ottavi (1818-1885), docente emerito, scrittore e pubblicista agrario francese. Ancora giovanissimo, prese la strada dell’insegnamento nelle cosiddette Scuole Pratiche di Agricoltura in quel di Perugia, Assisi e Spoleto, dando alle stampe saggi ed esiti di ricerche, che contribuirono a farlo conoscere da subito tra gli addetti ai lavori. Dal 1874 al 1882, su segnalazione del professor Edmund Mach (primo direttore dell’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, fondato dalla Dieta di Innsbruck il 12 gennaio 1874), fu segretario della storica I.R. Società Agraria Roveretana (costituita nel 1765) e Direttore della locale Scuola Agraria, poi acquisita dall’Istituto Agrario di San Michele, senza interrompere la propria incisiva produzione pubblicistica. Il professor Mach proveniva dalla prestigiosa Stazione Sperimentale Enologica-Pomologica di Klosterneuburg, operativa nel Distretto di Wien-Umgebung (Bassa Austria), sul Danubio. Nel 1882, Hugues venne chiamato dalla Dieta Provinciale dell’Istria a guidare, riorganizzandole, la Stazione Sperimentale Enologica-Pomologica di Parenzo e la connessa Scuola Agraria Provinciale (Scuola pratica di viticoltura, enologia e frutticoltura), portandole gradualmente a fama europea. In quel contesto operò per diciassette anni con grande determinazione e passione, anche a rischio dell’incolumità fisica, approfondendo gli accertamenti sull’agrono46
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mia, studiando ed esplorando pure il singolare ambito delle grotte, in particolare l’alveo del fiume Foiba e l’inghiottitoio di Pisino, dove lo stesso sprofonda. Fu anche membro della Commissione Sanitaria e segretario del Consiglio Agrario Provinciale. Non solo. Nel suo multiforme impegno scientifico e di promozione di un’agricoltura istriana innovativa, promosse con determinazione nei comprensori di Pisino e di Parenzo la lotta alla fillossera, introducendo nuovi impianti con viti americane, si dedicò alla diffusione della coltivazione dell’olivo e del gelso, contribuì allo sviluppo zootecnico e stimolò la lotta all’endemia malarica. Collaborò attivamente con la rivista specialistica francese Revue de viticulture e con la Società Agraria Friulana, inviando saggi e memorie al relativo Bullettino, considerato l’organo della Cattedra Ambulante Provinciale di Agricoltura. Fu emblematica guida dell’Associazione dei viticoltori di Parenzo e nel 1889, a proposito della crescita dell’economia agraria dell’Istria, “… elaborò una sorta di ‘rapporto ottimo’ nell’uso della terra, basato su osservazioni e calcoli relativi al suolo, al clima e ad altri parametri, ottenendone indicazioni estremamente precise: 44,7% all’arativo, 29,5% alla vigna, 19,2% all’oliveto, 5,7% a prato e 0,9% gelsi e castagni. In realtà, si trattava di una piccola rivoluzione concettuale: passare da un utilizzo opportunistico del terreno ad un suo uso razionale, mirato ad ottenere il massimo rendimento considerate le possibilità e le opportunità consentite dalle condizioni locali” (Giulio Mellinato, L’estremità periferica. Una prospettiva economica dell’Istria (1891-1943), Istria Europa-Economia e Storia di una regione periferica, Opicina-Trieste, 2013, p. 23). Nel 1901 seri motivi di salute lo convinsero a trasferirsi a Gorizia per beneficiare del clima gradevole della ‘Nizza austriaca’. Poiché il suo carisma scientifico era noto da tempo, venne subito chiamato a gestire la SegreFoto in apertura: Il Prof. Carlo Hugues a quarant’anni. Disegno di Alfio Scarpa
teria della locale Società Agraria, per la quale predispose nel 1913 una dettagliata cronistoria dei presidenti che si avvicendarono alla guida della benemerita Istituzione dal 1765 al 1913. Quell’ampio arco temporale fu scandito da 13 presidenze, di cui alcune di lungo periodo. Nel corso della Grande Guerra Carlo Hugues subì l’internamento a Lubiana e al rientro in città, alla fine del conflitto, continuò la meritoria opera di ricerca e di studio. Imponente il prezioso materiale scientifico lasciato in eredità per la consultazione da parte di ricercatori, discepoli ed estimatori. Oltre seicento elaborati, tra cui: L’irrigazione montana (1888); L’economia agraria dell’Istria settentrionale (1889); Orientazione dei temporali grandiniferi e impianto delle stazioni di sparo nell’Istria (1900); Classificazione e descrizione con Elaiografia istriana di ben 30 varietà di olivo presenti nella penisola su un’area di circa 10.000 ettari (1902); Idrografia sotterranea carsica, studi e ricerche per i provvedimenti di acqua potabile nelle regioni carsiche (1903); Irrigazione dell’alta pianura alla destra dell’Isonzo (1906); Memoria sul pascolo caprino alpestre (1908); Il presente e l’avvenire della frutticoltura alpina nel Goriziano (1910); Frutticoltura ed orticoltura industriali (1921). Ed inoltre, numerosi manoscritti e appunti (conservati presso la Biblioteca Statale Isontina, Fondo Hugues), tra l’altro su: Aquileia preistorica, romana e patriarchia - Aspetti essenziali della civiltà e dell’agricoltura; Il botanico senese Mattioli e i suoi tempi in Gorizia (15421554); Su alcune contestate scoperte del Mattioli nella flora di Dioscoride del Goriziano; Sulla causa della malattia del riso detta ‘Brusone’; Criteri per la selezione
del granoturco da semente per i paesi di siccità; Frutticoltura ed orticoltura industriali; Una nuova tecnica nel governo delle radici nella frutticoltura e alberi coltura; L’acqua calda per fare maturare la frutta; La seta bianca chinese introdotta dalla Società Agraria; Ancora del metodo di filare la seta a freddo; Sulla trattura della seta a freddo in Gorizia cent’anni fa; Monografia sul bruco ‘Cheimatolia brumata’; Le scienze naturali e l’agronomia agli albori della i.r. Societa Agraria Teresiana di Gorizia; La diffusione della flora mediterranea, illirica e dell’Europa media alpina nella Valle dell’Isonzo; Coltura della maggiorana nel Goriziano; La coltura e la distillazione della genziana nel Goriziano; La coltura del Sommacco nel Goriziano (Rhus cariaria); Inchiesta sulla situazione economica delle famiglie coloniche nel Goriziano; La teoria dell’alimentazione del contadino; Esplorazione idroscopica dei terreni del Carso; Difese idrauliche costosissime e assurde nel Goriziano; Un progetto per la navigazione tra Gorizia e Trieste nel 1803. Il professor Carlo Hugues si spense a Gorizia il 9 dicembre 1934. La città di Pola gli dedicò uno dei parchi cittadini, un’ampia area di forma rettangolare, coperta da una serie di ombrosi tigli (Tilia platyphyllos-Tilia europea L.), la cui fioritura a fine primavera emana un intenso profumo.
Renato Duca e Renato Cosma
Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina
L’eredità
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ALLA SCOPERTA DI...
STRADE, PONTI E PASSERELLE SULL’ISONZO Servizio di Alberto V. Spanghero. Immagini per cortesia di Archivio Spanghero
del Genio militare
Una delle eccellenze dell’esercito italiano giocò un ruolo fondamentale nel potenziamento delle vie di comunicazione. Che la successiva fuga frettolosa per la disfatta di Caporetto, paradossalmente, contribuì a lasciare intatte.
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Nella Grande Guerra lo Stato italiano, fin dall’inizio delle ostilità, si trovò del tutto impreparato ad affrontare le difficoltà che si stavano prospettando all’orizzonte, nella convinzione com’era, viste le forze in campo, che la guerra sarebbe stata breve e gloriosa. Le speranze andarono subito deluse e dal lato pratico-organizzativo si dimostrarono disastrosamente errate, in quanto la guerra incominciò ad andare drammaticamente per le lunghe. Fin da subito infatti ci si accorse che per ogni soldato che combatteva al fronte ce ne sarebbero voluti altri due o tre per garantirgli la sussistenza. Nel linguaggio militare ciò voleva dire servizi logistici come armi, munizioni e viveri. Nelle immediate retrovie del fronte e nei paesi circostanti poi si dovevano approntare giganteschi accampamenti di tende e baraccopoli, ospedali, magazzini, zone di riposo e depositi di munizioni. Basti pensare al fabbisogno giornaliero del soldato impegnato al fronte di pane, pasta, carne, acqua... A Palmanova furono impiantati enormi forni per la cottura del pane, enormi depositi di scatolame vario, di caffè, zuc-
chero, farina, sughi già pronti. In breve sorsero come funghi pure osterie, locali per spettacoli teatrali, luoghi per gare sportive e, dulcis in fundo, case di tolleranza. Centinaia di migliaia di persone impegnate a modo loro con un unico fine: vincere la guerra. Poi c’erano altri milioni di operai e contadini sparsi in tutto il Paese, impegnati nelle fabbriche e nei campi a produrre armi, viveri e materiale bellico e, per la prima volta nella storia, un massiccio impiego delle donne: in pratica la tecnologia al servizio della distruzione di massa. Uno sforzo immane. Vinceva chi ne aveva e poteva di più. Il ritmo della vita subiva un’accelerazione spasmodica come mai era stato prima. Tutto quello che si era vissuto fino allora nella tranquillità e nella spensieratezza, fatta di balli, feste e canzoni, dovette lasciare il posto a lutti e disgrazie. Si percepiva chiaramente che il tempo della languida Belle epoque, fatta di zucchero e ragnatele, stava per finire. Chi si era illuso che quella fosse stata ancora una guerra di tipo “romantico” fu subito messo a tacere. A tutto questo frastuono di idee, di uomini e di mezzi, in prossimità del fronte carsico, dove tutto si ammucchiava come in un “cul de sac”, la confusione regnava sovrana. A mettere alcune pezze e un po’ d’ordine fu incaricato il Genio militare, che nel corso della guerra svolse un ruolo di vitale importanza. Oltre alla costruzione di sbarramenti, linee trincerate e manufatti di vario genere il Genio doveva provvedere al potenziamento delle vie di comunicazione esistenti, diventate obsolete o danneggiate, come strade, ferrovie e soprattutto ricostrui-
In apertura, Pieris 1915. I ponti III (su barche) e IV (su palafitte) in costruzione. Di fianco, il ponte VI sull’Isonzo a Turriaco nel 1919. 48
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re sui fiumi Isonzo, Torre, Versa, Judrio e Vipacco tutta una serie di nuovi ponti, in sostituzione di quelli distrutti in gran parte dagli austriaci in ritirata. E qui entrarono in azione i pontieri del Genio. In breve. Nate due secoli fa ancora sotto Carlo Alberto, alcune unità Pontieri, impiegate poi nelle altre Guerre di Indipendenza contro l’Austria, dopo varie trasformazioni e leggi il 1° gennaio del 1883 vennero inserite a Piacenza nel 4° Reggimento Genio Pontieri, diviso in due corpi, uno dei quali con sede e comando a Verona. Nel corso della Grande Guerra i pontieri svolsero un ruolo determinate per gli esiti finali del conflitto. Infatti iniziarono a essere operativi già nel giugno del 1915 con il superamento dell’Isonzo in località Colussa con traghettamenti del fiume a Isola Morosini, San Valentino (Fiumicello), Papariano-Pieris, Molini di Turriaco e Cassegliano. Il 23 giugno il gittamento (termine desueto in uso ai comandi del Genio per indicare il superamento di un ostacolo) di un nuovo ponte consentì l’occupazione di Sagrado. In seguito a Plava, oggi in Slovenia, furono approntati due ponti e tre passerelle. Ponti e passerelle esistevano in altre località. Il 9 agosto 1916 ci fu il forzamento dell’Isonzo che portò all’occupazione di Gorizia. Altri gittamenti di ponti furono allestiti a Peuma, Mainizza e Villa Faustina, nonostante il continuo tambureggiare dell’artiglieria austriaca. Nel 1917 si verificò il forzamento dell’Isonzo a Loga Bodrez per la conquista dei monti Kuk e Vodice, e da Bodrez a Marsko (dieci chilometri di fronte) per la conquista della Bainsizza. Quattordici ponti vennero costruiti fra Anhovo e Doblar e in altre località. Durante tutto l’intero conflitto mondiale i pontieri del Regio Esercito Italiano ebbero 870 morti e guadagnarono, per azioni individuali, 97 medaglie d’argento e 294 di bronzo. Il primo serio ostacolo che si presentò all’esercito italiano il 24 maggio del 1915 nelle sua fulminea avanzata fu il fiume Isonzo. Infatti imponenti squadroni di cavalleria e decine di migliaia di fanti dovettero arrestarsi sulla riva destra del fiume tra Fiumicello, Villa Vicentina, Ruda e Villesse in attesa dell’attraversamento. Attesa che durò una decina di giorni. Questo inopinato ritardo dava il tempo agli austriaci di fortificarsi ulteriormente sulle prime pendici carsiche. Per gli italiani fu un errore fatale. L’Isonzo tutto sommato è un fiume di modeste dimensioni e in condizioni normali è del tutto tranquillo, quasi placido e canterino. Il suo corso lungo 130 chilometri è a carattere torrentizio e nei periodi delle piogge s’ingrossa e diventa tumultuoso e rapace, e attraversarlo è impossibile. Nei periodi di magra lo si può guadare tranquillamente a pie-
Sopra da sinistra, pianta del Comando del Genio XIII C.d.A. Stato stradale dei ponti al 7 gennaio 1916; Comando Terza Armata, situazione ponti al 1° luglio 1917. Sotto, Comando Genio Terza Armata, situazione dei ponti sull’Isonzo a Pieris e San Canziano; Comando Genio Terza Armata, situazione dei ponti sull’Isonzo a Turriaco.
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Sezione trasversale ponte in legno con stilata tipo alto. di. Le sue acque dalla sorgente della Grande Dnina, ora in Slovenia, impiegano 24 ore circa per raggiungere il mare nel golfo di Panzano. I pontieri italiani, non essendo ancora attrezzati con ponti prefabbricati con elementi modulari tipo “Bailey” che sarebbero comparsi anni dopo, dovevano improvvisare il da farsi di volta in volta, a seconda del tipo di attraversamento. Il legno era il materiale più usato, oltre naturalmente alla ferramenta di supporto del tipo arpesi, chiodi, bulloni, puntazze per i piloni da conficcare negli alvei, lame per il collegamento delle assi. Uno dei primi interventi del Genio militare italiano della Terza Armata fu quello di mettere in sicurezza gli argini dei fiumi Isonzo, Torre, Judrio e Versa quasi tutti manomessi a scopo di difesa dagli Austriaci in ritirata con aperture di brecce, buchi e asportazioni del Pieris, ponte di barche italiano materiale di contenimento. Al mantenimento degli argini furono create delle apposite compagnie di pontieri con l’incarico della sorveglianza, della manutenzione sia degli argini sia delle strade d’accesso ai ponti. Dopo una lunga serie di tentennamenti il mattino del 5 giugno 1915 alcuni reparti italiani decisero di superare l’Isonzo su un ponte di barconi da traghetto in località Colussa: direzione Staranzano Monfalcone. Nello stesso punto nei mesi successivi veniva costruito il ponte 00, su palafitte. La sua lunghezza era di 149 metri e la larghezza di 5,50 metri. In pochi mesi furono costruiti altri ponti e passerelle disseminati in tutta l’area della bassa friulana e nel territorio gradiscano - monfalconese. Sicuramente il ponte più importante per il trasporto di uomini e mezzi fu il ponte VI di Turriaco che collegava Ruda e Villesse a Turriaco. Da una sezione schematica possiaPeteano, passerella del monte Fortin mo osservare che il ponte era stato costruito in palafitte dal diametro medio di 30 cm. A lavori ultimati il ponte aveva una lunghezza di 408 metri. Era composto da 51 campate di 8 metri ciascuna e con stilate di tipo alto e basso. Tutte le stilate erano rinforzate con crociere, filagne e puntoni. A un centinaio di metri a monte del ponte VI, solo per pedoni e sempre in palafitte, si rese necessaria la costruzione del ponte VII con lo scopo precipuo di evitare l’attraversamento dell’abitato di Turriaco da parte delle truppe dirette verso il Carso. Questo pontepasserella, costruito in fretta e furia, durò pochi mesi: infatti fu spazzato via dalla prima piena dell’Isonzo. Nel luglio 1917, come si evince dallo specchietto prodotto dal Comando della Terza Armata - Ufficio ponti tratto dalla pubblicaSopra e sotto due immagini del ponte bruciato zione: I tracciati delle trincee sul fronte dell’Isonzo di Silvo Stok a Pieris nel 1918 (Gaspari Editore, Udine - 2011). La tabella 1 riporta com’era la situazione. Con la rotta di Caporetto, dell’ottobre 1917, l’Esercito Italiano in ritirata non ebbe il tempo materiale di provvedere alla distruzione di tutti i ponti e molti rimasero intatti, come quello di Turriaco. Dopo la guerra si provvide al ripristino dei ponti distrutti. I due di Colussa che furono incendiati dagli italiani non furono più ricostruiti come pure quelli di Cassegliano e San Pier d’Isonzo. Pieris 1916, ponte ferroviario
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CARATTERISTICHE TECNICHE DEI PONTI ESISTENTI NEL MONFALCONESE, NEL GRADISCANO E NEL CERVIGNANESE-AQUILEIESE, RIFERITI AL 1° LUGLIO del 1917 Lungh. m Largh. m Portata in kg 1) Passerella di Bruma (Gradisca) sull’Isonzo, passaggio pedonale 223 1,60 2) Ponte a valle della passerella di Bruma (Sdraussina-Gradisca) 250 5.500 3) Ponte in ferro di Sagrado sull’Isonzo. In restauro 4) Ponte in palafitte sull’Isonzo di Sagrado. Quadrivio Biasol 304 5.05 8.000 4 bis) Ponte di equipaggiamento Genio a valle di Sagrado 194 310 5.500 5) Ponte in palafitte sull’Isonzo di Cassegliano, via Villesse 388 4.75 8.000 6) Ponte in palafitte sull’Isonzo di San Pier d’Isonzo, via Villesse 492 5.80 8.000 8) Ponte sull’Isonzo in palafitte di Turriaco via Ruda, Villa Vicentina 680 5.50 8.000 9) Ponte ferroviario sull’Isonzo di Pieris linea interrotta 10) Ponte sull’Isonzo in palafitte di Pieris, via Monfalcone 559 5.50 10.000 11) Ponte in palafitte sull’Isonzo di San Valentino-Fiumicello 513 5.50 8.000 12) Ponte in palafitte sull’Isonzo di Colussa, via Monfalcone 295 5.50 10.000 13) Ponte sull’Isonzo in palafitte di Colussa 149 515 8.000 15) Ponte girevole in ferro sull’Isonzato, di Palazzato 52.10 3.50 10.000 16) Ponte in palafitte sull’Isonzato, via Aquileia - Monfalcone 64.75 5.50 8.000 17) Ponte in palafitte di Villesse sul Torre, via Ruda-Villesse 189.75 6.00 8.000 17 bis) Ponte in palafitte di Tapogliano sul Torre, via Villesse 304 5.50 10.000 18) Ponte in palafitte di Versa sul Torre via Tapogliano 130 5.40 7.000 19) Ponte in palafitte di Romans sullo Judrio, via Versa 52 7.00 6.000 20) Ponte in palafitte di Viscone sul Torre, via Chiopris Jalmicco 515 5.50 8.000 21) Ponte in palafitte di Medea sullo Judrio, via Chiopris 72 6.00 8.000 22) Ponte in palafitte di Medeuzza sullo Judrio, via Corno Borgnano 35 5.50 8.000 23) Ponte in ferro e legno di Fratta sul Versa, via Medea 30 5.50 8.000 24) Ponte in palafitte di Peteano sull’Isonzo 338 5.60 10.000 26) Ponte in palafitte di Rubbia sul Vipacco 47.70 5.50 10.000 27) Ponte in ferro “tipo Scarelli” sul Vipacco 40 3.50 10.000 28) Ponte in palafitte di Pec, sul Vipacco 50.80 5.45 10.000 29) Ponte in palafitte apribile a Dorida (Aquileia) sul Natissa 2.83 3.50 6.000
Tabella 1 Il ponte in legno di Pieris fu smantellato e al suo posto fu costruito l’attuale in cemento armato e pietra che fu inaugurato dal Duca d’Aosta nel 1933. Con la costruzione del ponte di Pieris il traffico stradale fu dirottato completamente lì, determinando in questo modo una lenta e inesorabile fine di quello di Turriaco. Infatti, vuoi a causa delle spese di manutenzione non più sostenibili, vuoi per l’apertura di quello di Pieris, ritenuto più comodo e sicuro, il glorioso ponte VI in legno a due carreggiate di Turriaco, sul quale transitarono centinaia di migliaia di giovani italiani che andavano a morire sul fronte carsico, fu abbandonato al suo destino. Il Comune di Turriaco, nel 1934, tentò una vendita all’asta per il recupero del legname, che si rivelò infruttuosa, e con l’andare del tempo la restante parte fu “cannibalizzata” dalle popolazioni dei paesi vicini. Per anni riemersero qua e là i resti delle palafitte di sostegno. Dopo quasi cent’anni furono rinvenute pure alcune ancore in ferro forgiato, usate per
bloccare barche e pontoni di supporto dall’irruenza delle acque dell’Isonzo. Qualcosa però a Turriaco è ancora rimasta. Infatti, in prossimità del canp de Gero, si possono vedere sulla roggia i punti di appoggio del ponte VII. Agibile e ben conservato invece fa ancora bella mostra di sé il ponte sulla roggia che collega il paese di Turriaco con la provinciale Gorizia-Grado, in località Mulin vec’ (ora via Roma), costruito nel 1915 dal Genio pontieri diretto dal colonnello Perizzi. All’inizio del piccolo ponte posto all’incrocio con via Verdi, collocato in mezzo a un’aiuola, troneggia un po’ malandato il cippo viario che indicava fino al 1932 le località raggiungibili “di là de l’aghe” e cioè Scodovacca, Papariano e San Valentino-Fiumicello a sinistra e Cassegliano, San Pietro e Fogliano a destra.
Alberto Vittorio Spanghero
Da sinistra, due immagini del passaggio sull’Isonzo a S. Canziano il 30 novembre 1917.
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(as) s a g g i Fiona Mitchell I segreti della domestica ribelle Mondadori, 2018 Pagg. 348 € 18,00 Dolly e Tala non si sono mai sentite così lontane da casa. Avvolte dal caldo rovente di Singapore, passano le giornate per dare agli inglesi per i quali lavorano una qualità della vita che loro non avranno mai. Anche se si può permettere un po’ di libertà in più rispetto alla sorella, con il suo impiego Dolly riesce a malapena Rocco Civitarese Giaguari invisibili Feltrinelli, 2018 Pagg. 288 € 16,00 Pavia. Pietro, Giustino e Davide sono iscritti all’ultimo anno di liceo. Vivono quel momento irripetibile in cui si deve scegliere il proprio futuro, però a comandare sono i primi amori, la scoperta del sesso, il semplice fatto di essere diciottenni. La loro è l’età inquieta e meravigliosa, senza compromessi: tutto pare a portata di mano, ma anMary Higgins Clark Sola sull’Oceano Sperling & Kupfer, 2018 Pagg. 336 € 19,90 Costruita per una clientela esclusiva, la Queen Charlotte sta salpando dal porto sul fiume Hudson per la sua crociera inaugurale. A bordo della nave salgono personaggi famosi, ricche signore, fortunati vincitori di biglietti premio e alcuni brillanti speaker che allieteranno le giornaMaurizio Maggi La coda del diavolo Longanesi, 2018 Pagg. 360 € 18,60 È una rara notte di temporali, in Sardegna, quando arriva il mostro. La ragazza era riuscita a fuggire, ma lui, il suo rapitore e aguzzino, l’ha inseguita e l’ha uccisa, incurante del fatto che a pochi metri di distanza ci fosse una pattuglia dei carabinieri. Subito arrestato, il mostro viene portato in carcere. Lì, c’è Sante. E l’arrivo di
a vivere, considerato che quasi tutto ciò che guadagna serve a mantenere la sua bambina rimasta nelle Filippine. Un giorno, se sarà fortunata, riuscirà a tornare a casa per rivederla… Tala, invece, non riesce proprio a tenere la bocca chiusa in merito alle arcaiche e restrittive regole a cui sono costrette ad attenersi le domestiche se non vogliono venire licenziate e rispedite nel loro paese. Pur di aiutare le colleghe che tentano di far sentire la loro voce ormai da troppo tempo, decide di rischiare il tutto per tutto aprendo un blog, irriverente e divertentissimo, in cui denuncia le loro misere condizioni. Ma se la dovessero scoprire sarebbe la fine… che pronto a sfuggire per sempre. Giustino, che da anni sta insieme a Laura, sogna di fare il fumettista, però non si applica davvero; Davide, detto Golia, è un buon giocatore di basket, ma sulla sua strada incrocia la disinibita Lucilla, una distrazione irresistibile. E Pietro teme di fallire il test di Medicina, dovrebbe studiare, invece i suoi neuroni non fanno che ammutinarsi appena compare Anna Pettirosso. I tre amici, infatti, sono spavaldi e cinici quando si tratta di rapporti con le ragazze, fragili e spaventati quando entrano in gioco speranze e sentimenti, proprio come Anna, Laura e Lucilla – ragazzi e ragazze di una generazione che ha paura di sognare e tuttavia non può farne a meno. te dei viaggiatori con le loro conferenze. L’atmosfera è sfarzosa, come in certi romanzi alla Agatha Christie, e la traversata promette di essere splendida. Anche perché si dice che una delle passeggere, Lady Emily Haywood, indosserà per la prima volta l’inestimabile collana di smeraldi che pare sia appartenuta a Cleopatra. E che, secondo la leggenda, reca con sé una maledizione: chi la porta in mare non vivrà abbastanza da tornare a riva. A tre giorni dalla partenza, Lady Em è ritrovata cadavere e la collana è scomparsa. La lista dei sospetti è lunga, ma chi è il vero colpevole? quell’assassino è forse la sua occasione di redimersi. Sante ha un segreto da nascondere, una colpa da espiare, un passato da cui scappare. Eppure, Sante è in prigione per sua stessa volontà. Perché non è un carcerato, ma una guardia, e la sua è una condanna autoinflitta. Ma quella notte tutto cambia. Il mostro è ricco e protetto, ha agganci altolocati. Se la caverà, dice a Sante l’avvocato della madre della vittima. L’assassino ne uscirà, a meno che Sante non intervenga. E lo uccida. L’avvocato promette a Sante un alibi, una copertura, una via d’uscita e soprattutto tanti soldi. Uccidere è la cosa giusta? si chiede Sante. Può un peccato cancellarne un altro?
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PA R O L E E D E D U C A Z I O N E
Rubrica di Cristian Vecchiet
P E D A G O G I A
L’identità del linguaggio Aiutare i ragazzi a ragionare sulle parole che usano o leggono è opera educativa. E se è vero che la filosofia difficilmente si sarebbe sviluppata mediante WhatsApp, sollecitarli a riflettere sui testi delle canzoni che ascoltano potrebbe risultare meno banale di quanto si creda. Le parole hanno un loro potere. Siamo gli unici esseri, noi umani, dotati di linguaggio verbale. Da quando nasciamo fino alla morte le parole influenzano fortemente il nostro modo di pensare, di sentire emotivamente la realtà, di relazionarci, di vivere. Plasmano la nostra identità fin nel profondo. Quando diciamo “sono felice” oppure “sono depresso”, o altro, noi interpretiamo lo stato emotivo, mentale ed esistenziale che proviamo attraverso parole che abbiamo imparato da altri e fatto nostre. Quelle parole ci insegnano a leggere e a vivere un determinato stato di fatto in un determinato modo. Le parole educano a leggere se stessi e la realtà, strutturano fin dall’età natale il pensare, il sentire, il vivere. Il potere del linguaggio verbale si estende anche a quello scritto. Quello che leggiamo ci influenza, ci fa pensare, immaginare, provare emozioni, incide su ciò che siamo. I segni delle parole scritte possiedono un potere decisamente superiore a quanto possiamo di primo acchito sospettare. Hanno un potere simbolico, attivano i processi del pensiero, della memoria, del sentire… E questo vale anche per il mondo virtuale. Il virtuale è assolutamente reale. Anzi, proprio perché non è sonoro e non appartiene ancora alla nostra cultura come il cartaceo, potrebbe risultare più influente. Viviamo tutti ormai anche nella rete. Il mondo digitale rappresenta un am54
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biente di vita con le sue logiche, i suoi stili comunicativi, le sue parole. Attraverso il linguaggio verbale si costruisce simbolicamente la realtà. Questo perché la lingua è fatta di parole, di sintassi, di morfologia. Di tutta una simbolica e una logica che restituiscono un sistema di significati. Si pensi al valore e al potere della letteratura. Omero, Dante, Manzoni hanno dato un orientamento al nostro modo di stare al mondo. Le parole parlano oltre il verbale e lo scritto. Hanno un potere evocativo straordinario. Celano un mondo di ricordi e svelano molto anche quando non dicono. Si pensi alla poesia. La poesia dice e non dice, evoca, lascia parlare il silenzio, apre al mistero… Esprime esattamente quando la parola tace. La parola costruisce la realtà e noi stessi. Essa ci introduce nel mondo. Ha il potere di incidere nel bene e nel male. Può far evolvere ma anche deprivare. Una parola detta in un certo modo al momento opportuno può far cambiare la giornata. Una parola di troppo può renderla storta. La parola richiede anche silenzio. La parola va ascoltata. A volte necessita di essere pensata e ripensata e fatta sedimentare. Per capire è necessario fare spazio all’altro. Anche prima di esprimersi è bene darsi del tempo per riflettere. Senza contate che la parola richiama sempre qualcosa che non riesce a simboleggiare in pieno.
La parola è comportamento ed è ambiente di vita. Essa contribuisce a dare forma ai pensieri e ai sentimenti. Induce a una mentalità piuttosto che a un’altra. Quindi sollecita determinati comportamenti piuttosto che altri. Può costruire ponti tra le persone oppure separarle e contrapporle. Come si vede, la parola ha un potere educativo notevole. È bene che ogni educatore sia consapevole di questo potenziale e della responsabilità che ne deriva. La parola è pensiero, ricordo, evocazione, immaginazione, astrazione, concretezza, relazione, comportamento… Abituarsi a utilizzare un linguaggio più riflessivo, a ricorrere a termini non scontati e a costruire frasi più articolate è opera educativa. Un linguaggio articolato e complesso favorisce la costruzione di una visione della realtà più ricca, la capacità di risolvere problemi, di leggere il passato, di immaginare il futuro… Possiamo supporre che la filosofia difficilmente si sarebbe sviluppata mediante WhatsApp. Anche aiutare i ragazzi a riflettere e a ragionare sulle parole che usano e che ascoltano o leggono è opera educativa. Gli adulti dovrebbero imparare a dare la giusta considerazione alle parole delle canzoni che i ragazzi ascoltano. Potrebbero sollecitarli a riflettere più attentamente sulle parole della musica che ascoltano o dei testi che leggono. I testi delle canzoni sono spesso molto più pensati e ricercati di quanto possa sembrare. Anche nella musica che può
apparire più banale. Le parole in questo caso sono rafforzate dal potere del suono. Spesso gli adulti pensano che per attrarre l’attenzione dei ragazzi sia opportuno adottare un linguaggio anche scurrile e volgare. Quasi per far percepire una vicinanza. In realtà l’uso della volgarità ha un suo pericolo. Può legittimarla e rischia di comunicare solo l’uso del vocabolario scurrile. Anche perché i giovani negli adulti non cercano chi li scimmiotti, ma esattamente chi ha un posto nel mondo diverso dal loro. È importante anche correggere e richiamare l’uso improprio e offensivo delle parole. È doveroso che l’adulto riscopra l’arte di richiamare un ragazzo quando fa uso eccessivo di linguaggio volgare. Anche facendo ricorso a quella che don Bosco chiamava la “parolina all’orecchio”, cioè dando delle indicazioni al ragazzo senza farsi notare dagli altri. Spesso noi adulti non riflettiamo abbastanza sugli strumenti educativi più ordinari, eppure così decisivi. L’uso pensato della parola può offrire un canale e un ambiente educativo molto più incisivo di quanto potrebbe a prima vista sembrare. La parola è una specificità umana. E questo non è un caso.
Cristian Vecchiet
Docente di Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia
MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) 5 maggio – 16 giugno ▶CARLO CIUSSI & ITALO FURLAN (1952-1964) La mostra, incentrata su un gruppo di opere di Carlo Ciussi (19302012) realizzate tra gli inizi degli anni Cinquanta e il 1964, dà avvio ad un percorso di riflessione sull’artista e di approfondimento sui rapporti con la famiglia Furlan e in particolare con l’amico Italo (1933-2014). Pordenone. Fondazione Furlan, via Mazzini 49. Orario: martedì-sabato 17-19.30. Ingresso libero. Info: www.fondazioneadofurlan.org
Fino al 13 maggio ▶TAPPE DI UN CALVARIO L’agghiacciante realismo del lager di Sandbostel nella mostra di Marcello Tomadini. Visco (UD). Museo sul Confine. Orario: sab-dom 10-13/15-18. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 18 maggio ▶OMAGGIO A GIUSEPPE BARISON La rassegna ripercorrere i cinquant’anni di attività espositiva di Barison, confermandolo come uno dei migliori artisti dell’800 e come un insuperabile ritrattista. Trieste. Galleria Cartesius, via Carducci 10. Orario: mar-sab 10.3012.30/16.30-19.30. Ingresso libero. Info: cartesiusartemoderna@tiscali.it
Fino al 26 maggio ▶SANTI MITI E LEGGENDE
Le dodici tavole del ciclo Santi miti e leggende del fotografo Maurizio Frullani. Trieste. Spaziotrart, viale XX Settembre. Orario: mar-sab 17.30-19.30. Ingresso libero. Info: www. trart.it Fino al 27 maggio ▶PAOLO FIGAR. LA PITTURA
Esposti una cinquantina di dipinti e disegni nella mostra antologica dell’artista goriziano. Pordenone. Galleria Sagittaria, via Concordia 7. Orario: mar-dom 1619. Ingresso libero. Info: www.centroculturapordenone.it
Fino al 3 giugno ▶TESORI E IMPERATORI Sessantadue reperti provenienti da musei serbi oltre a un calco storico della Colonna Traiana (1861) prestato dal Museo della Civiltà Romana trasporteranno il pubblico sulle tracce della storia dell’impero romano. Aquileia (UD). Palazzo Meizlik, via Popone 7. Orario: lun-ven 9-18, sab-dom 9-19. Ingresso € 4. Info: www.imagazine.it
Fino al 3 giugno ▶PEACE IS HERE! Fino al 31 maggio ▶EXODUS
Arte per credere. Mostra dedicata all’artista bosniaco Safet Zec.
Manzano (UD). Abbazia di Rosazzo. Orario: merdom 9-12/15-18. Ingresso libero. Info: www.abbaziadirosazzo.it
Fino al 1 giugno ▶ALICE PALTRINIERI - NON MI CURO DI CERCARE PAROLE
Disegni a grafite su carta.
Trieste. Econtemporary, via Crispi 28. Orario: giosab 17-20. Ingresso libero. Info: www.exibart.com Fino al 3 giugno ▶OCCHI VETRIFICATI
24 disegni di Zoran Music che sono altrettante testimonianze su Dachau, in presa diretta da chi vi era deportato.
Fotografie di propaganda degli Americani in Estremo Oriente nel fondo USIS.
Trieste. Museo d’Arte Orientate, via San Sebastiano 1. Orario: mar-gio 1013, ven-sab 14-17, dom 10-17. Ingresso libero. Info: www.museoarteorientaletrieste.it
Fino al 10 giugno ▶UN PAESE. MILLE PAESAGGI Oltre sessanta spettacolari immagini di grande formato e filmati celebrano le montagne italiane. Udine. Ex Chiesa di San Francesco, largo Ospedale Vecchio. Orario: gio-ven 16-19.30, sab-dom 10.30-13/1619.30. Ingresso libero. Info: www.civicimuseiudine.it/
Trieste. Museo Revoltella, via Diaz 27. Orario: merlun 10-19. Ingresso € 7. Info: www.museorevoltella.it
Esposti 35 opere su carta di uno dei fondatori della Pop Art. Udine. Casa Cavazzini, via Cavour 14. Orario: mardom 10.30-19. Ingresso €
5. Info: www.civicimuseiudine.it Fino al 24 giugno ▶IN VIAGGIO CON THALIA Dalla nave bianca del Lloyd alla principessa del mare (19071967). Trieste. Civico Museo del Mare. Via di Campo Marzio 5. Orario: da giovedì a martedì 9-13. Ingresso libero. Info: 040 304885 Fino al 22 luglio ▶IL COLORE APPASSIONATO La più ampia mostra antologica mai dedicata a Sergio Altieri, grazie ai prestiti dalle collezioni private di tanti appassionati collezionisti, a un gruppo di lavori inediti e altri che l’artista ha realizzato in questi ultimi tempi. Gorizia. Palazzo Attems, piazzale Da Amicis 2. Orario: mar-dom 10-18. Ingresso € 6. Info: didatticamusei.erpac@regione.fvg.it
Fino al 2 settembre ▶MONACO, VIENNA, TRIESTE, ROMA In mostra le opere dei più prestigiosi e noti artisti triestini e giuliani del primo Novecento. Trieste. Museo Revoltella, via Diaz 12. Orario: merlun 10-19. Ingresso € 7. Info: www.museorevoltella.it
Fino al 17 giugno ▶JAMES ROSENQUIST
I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.
MOSTRE SAFET ZEC Servizio e immagini di Margherita Reguitti
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Arte
per credere
Nella secolare Abbazia di Rosazzo l’artista, pittore e incisore bosniaco si scaglia attraverso le sue opere contro la guerra e l’esilio obbligato. Drammi che lui ha vissuto sulla propria pelle.
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L’uomo Safet Zec è noto per la sua indole silenziosa, una presenza discreta dai gesti felpati, un’attenzione sempre vigile. L’artista, pittore e incisore Safet Zec è narratore di umanità in perenne andare, alla ricerca di pace e serenità, di luoghi perduti, dopo aver attraversato tragedie, conosciuto l’esilio e la solitudine, l’incontro e la condivisione del dolore. Nella mostra Exodus. Arte per credere, allestita nella chiesa e nelle sale dell’ex tribunale della secolare Abbazia di Rosazzo di Manzano, la sua potenza creativa e umana si manifesta con forza ed energia di gesto e suggestione nella narrazione che si dipana nel silenzio mistico del luogo sacro. Il maestro bosniaco, esule a causa della guerra nella ex Jugoslavia agli inizi degli anni ‘90 del
secolo scorso, non teme, anzi ama misurarsi con le grandi superfici. I maestosi teleri collocati alle pareti delle navate laterali dell’Abbazia hanno come tema l’attualità delle migrazioni di uomini che nulla possiedono, salvo un’umanità sofferente, martoriata, vilipesa, ma non vinta. Il ciclo pittorico, esposto alcuni mesi fa nella Chiesa della Pietà, in Riva degli Schiavoni a Venezia, è realizzato con tecnica mista, dall’olio alla tempera, dal collage di fogli di giornale al disegno. È una presa di posizione netta e precisa dell’artista contro ogni forma di guerra, contro la tragedia delle migrazioni, contro l’esilio obbligato. Vicende e sentimenti che ha provato sulla sua pelle, arrivando da profugo, preceduto dalla sua notorietà di maestro, docente e intellettuale fra i più stimati e autorevoli del suo Paese.
In queste pagine, alcune delle opere di Safet Zec esposte nell’Abbazia di Rosazzo
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In Friuli Venezia Giulia inizialmente furono gli artisti come Franco Dugo ad accoglierlo e, a Udine, lo stampatore Corrado Albicocco, che gli mise a disposizione la sua stamperia per tornare a lavorare, realizzando lastre incise di segni forti, intrisi dei dettagli della quotidianità abbandonata, celati dietro una finestra spalancata su una cucina deserta, e del vento fra alberi centenari dalle folte chiome. Nostalgia silente della propria terra abbandonata per sfuggire alla guerra dei Balcani. «Conosce il linguaggio di trasformare le ferite in foreste di segni», scrive Enzo Bianchi nel testo del catalogo che presenta la mostra. «Ferite – prosegue il religioso – che divengono pittura, la quale non vuole ferire l’occhio di chi le osserva ma vuole riportarci a cercare in noi quel silenzio che ha generato questi teleri, che li ha riportati alla luce dopo essersi sedimentati nell’animo». Accanto alle immagini sacre dell’Abbazia le donne, gli uomini e i bambini rappresentati da Safet Zec sono l’umanità di migranti; volti senza nome, numeri spesso negli articoli dei media, statistiche snocciolate nei dibattiti fra politici e opinionisti. Donne e uomini dei quali non si conosce il passato e poco importa il futuro. Sono i volti, le braccia, le mani, gli abbracci e le deposizioni laiche dell’esodo biblico di questo secolo, che l’artista raffigura con sapienza formale e forza emotiva. Emergono da fondi scuri e sono illuminati dal bianco delle povere vesti sulla carne esposta. Soggetti e opere che attraggono e obbligano alla riflessione nel luogo destinato a Dio; che pongono di fronte al Gesù sulla croce l’umanità del presente, rappresentata in fuga, nel luogo della preghiera e del raccoglimento. I teleri, realizzati fra il 2015 e il 2017, compongono due polittici di oltre 20 metri per 3, un lavoro epico, degno dei tempi eroici della pittura, una testimonianza personale, intensa e reale, della fuga e dell’esilio dalla sua città Sarajevo. «L’esodo – ricorda monsignor Edoardo Scubla – presidente della Fondazione Abbazia di Rosazzo: non è solo fuga ma anche ricerca del nuovo, non è solo morte ma inizio di una nuova vita».
Safet Zec (nella foto mentre dipinge) nasce in Bosnia nel 1943, ultimo di otto figli di un calzolaio che, durante la Seconda guerra mondiale, si trasferisce a Sarajevo dal paese di Rogatica. Si forma alla Scuola Superiore di Arti Applicate di Sarajevo e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, dove incontra la futura moglie Ivana, anch’essa artista. Assieme restaurano una vecchia casa nel quartiere ottomano dell’antica città di Pocitelj, vicino a Mostar, luogo amato da molti artisti, che mantiene anche quando, nel 1987, torna a vivere a Sarajevo, da pittore ormai affermato anche a livello internazionale. Con lo scoppio della guerra nei Balcani, il mondo in cui Zec è cresciuto – di convivenza tra diverse culture e religioni – è sconvolto. Pocitelj viene distrutta e, con essa, tutte le sue opere incisorie. Morte e devastazione a Sarajevo lo costringono a fuggire con la famiglia a Udine nel 1992 e quindi a Venezia e Parigi. Oggi vive e lavora tra Sarajevo, Pocitelj, Venezia e Parigi. Cuore della mostra è la grande barca, immagine che rimanda al celebre quadro del pittore romantico-neoclassico Théodore Géricault, dedicato al naufragio del battello Medusa. «Quello che più impressiona del lavoro di Zec – scrive Giandomenico Romanelli nel secondo saggio del catalogo – oltre alla dilaniata testimonianza che ci offre sulle tragedie di oggi, è la stupefacente tecnica di cui egli dispone con un’apparente e magistrale facilità». Dopo aver vissuto l’esperienza delle opere in Abbazia, l’esposizione nell’attigua galleria dell’ex tribunale propone una visione di maggiore dettaglio sul tema del ciclo. Nelle diverse sale infatti sono esposti quadri che confermano come la forza espressiva rimanga tale anche su formati di dimensioni ridotte. Carne e sangue, passione e pietà, il tutto sempre pervaso dal pudore che rifugge la teatralità.
Margherita Reguitti La mostra resta aperta fino al 31 maggio 2018 con ingresso libero, da mercoledì a domenica dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18. |
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PERSONAGGI
PIERLUIGI DE LUTTI Intervista e immagini di Claudio Pizzin
Riflessi
informali
Nelle prossime settimane la Royal Academy di Londra ospitera una sua personale. Solo l’ultimo traguardo in ordine di tempo per l’artista friulano che frequentò l’atelier di Zigaina. E che con un suo quadro ha conquistato il MoMa di New York.
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Nel suo studio di Fiumicello, immerso tra tele e colori, Pierluigi de Lutti dipinge senza soluzione di continuità. A breve, infatti, nella prestigiosa Royal Academy di Londra sarà allestita una sua personale con decine di opere. L’ultimo riconoscimento per un artista ormai di caratura internazionale, apprezzato in Europa, Stati Uniti, Cina e Sudamerica. Tutti conquistati dal suo desiderio di essere semplicemente se stesso, esprimendo la propria unicità. Perché, come ama sottolineare, «seguendo sogni e progetti perdiamo di vista tutto quello che ci circonda, persino la nostra libertà». Pierluigi de Lutti, facciamo un passo indietro: da piccolo amava già l’arte o nutriva altri interessi? «Avevo due passioni. Una era dipingere: disegnavo sempre, a scuola, a casa, ogni occasione era buona per imbrattare di colore qualsiasi cosa. L’altra passione era giocare a calcio». E proprio per il calcio ha abbandonato da giovanissimo il Friuli Venezia Giulia per trasferirsi a Ferrara…
«Andai in Emilia per tentare la fortuna nel mondo del pallone, ma dopo due anni sono ritornato in Friuli per giocare a Pordenone». L’esperienza in Emilia cosa le ha lasciato? «Un ricordo bellissimo e amicizie che ancora durano». Come mai decise di rientrare in regione? «Tornai indietro per giocare in una categoria che mi permise di finire gli studi. Inoltre potevo stare vicino alla famiglia visto che a vent’anni mi ero già sposato». La folgorazione artistica scoccò frequentando l’atelier di Giuseppe Zigaina: come fu il primo incontro con lui? «Erano gli anni ’80: un giorno di novembre andai dal maestro Zigaina e fui colpito dalla sua bravura, dall’odore della trementina che un po’ ti inebriava e ti faceva sognare a occhi aperti». Cosa ha significato per lei potersi formare al cospetto di uno dei principali artisti italiani del Novecento? «Come nella vita, il confronto con artisti o persone di un’altra levatura culturale – com’era il caso di Zigaina – porta il tuo pensiero ad affiancare il loro e a percorrere strade che mai avevi pensato di poter raggiungere. Credo che per Zigaina avvenne lo stesso dopo l’incontro con Pasolini». Qual è stato il consiglio più importante che le diede Zigaina? «Il maestro Zigaina non dava mai consigli, era un leader. Quando finiva un quadro diceva: “Nessuno è più in alto di me... vivo un attimo in cui nessuno può raggiungermi”». In apertura, Pierluigi de Lutti mentre realizza una sua opera all’interno del laboratorio di Fiumicello (foto a fianco un dettaglio dell’interno).
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In questa pagina, alcune delle opere realizzate da de Lutti
Quali sono gli altri artisti che hanno contribuito alla crescita di Pierluigi de Lutti? «Ho guardato con ammirazione tutta l’action painting americana, ma in quel periodo ero attratto da tutta l’arte: land art, pop, astrattismo, iperrealismo... In Italia mi piacevano e mi piacciono tutt’ora Tancredi, Afro e Vedova». Quale fu la prima opera che realizzò? «La prima opera che portai a termine fu una mix di tutte le influenze intellettuali che mi contaminarono e, in verità, non ne vado molto fiero». Dall’opera alla critica: come venne accolta la sua prima esposizione? «Allestii la mia prima esposizione alla galleria Nuovo Spazio di Udine. Il critico era Paolo Rizzi e il gallerista Luciano Chinese, tutt’ora un grande amico, una persona di cultura e conoscenza irraggiungibili. Fu un bell’inizio». Non solo Italia: lei ha frequentato per lunghi periodi corsi di astrattismo a Los Angeles e New York. Perché furono importanti quelle esperienze? «L’incontro a New York con DJT Fine Art, un certo Dominique Tagliatella, fu determinante per trovare la mia cifra pittorica che, con orgoglio, ritengo essere unica e distinguibile tra tutte». Tanto che una sua opera è esposta proprio al MoMa della Grande Mela… «L’opera esposta al MoMa di New York è una doppia ferita, una pitto-scultura dedicata alla tragedia dell’11 settembre. È un riconoscimento ricevuto partecipando a un concorso: credo di essere stato anche molto fortunato». Cosa desidera esprimere attraverso la sua arte? «Nulla di importante, voglio solo raccontare il mio viaggio terreno, unico e fantastico. Forse a ognuno di noi per trovare se stessi basterebbe pensare di essere “unici” e non cercare sempre e costantemente obiettivi più alti». Oltre che negli Stati Uniti lei ha esposto anche a Parigi e in altri Paesi. Nella valorizzazione dell’arte quali differenze ha trovato tra l’Italia e l’estero? «Solo noi italiani siamo così esterofili. In tutti i Paesi dove ho esposto ho trovato mille difficoltà. Gli americani amano solo i loro artisti e imporsi è veramente difficile. La stessa cosa vale altrove: diven-
ti un idolo solo quando i tuoi quadri possono essere cambiati con il “Dio denaro”, solo quando la nota fama ti ha invaso». C’è un’opera che ha in mente e che non è ancora riuscito a realizzare? «Non ho progetti veri e propri, dipingo per necessità senza pensare troppo». Claudio Pizzin Pierluigi de Lutti è nato a Monfalcone il 23 agosto 1959. Diplomato all’Istituto d’Arte, negli anni ’80 frequenta l’atelier di Giuseppe Zigaina, iniziando poi a esporre le prime opere. Negli anni ’90 frequenta per lunghi periodi corsi di astrattismo a Los Angeles e a New York, passando così dal figurativo all’informale. Nel 2005 inizia la collaborazione con la galleria d’arte Orler di Venezia; il MoMa (Museum of Modern arts) di New York – dopo aver selezionato l’opera “doppia ferita 2001” – lo invita a entrare nel “The Artist Viewing Program”, inserendo nella biblioteca del museo il catalogo “Attuale Spiritualismo”. Nel 2008, secondo classificato al Premio Boè, gli viene conferita la laurea in Storia dell’Arte all’Università del Verbano. Comincia poi la collaborazione con DJT Fine Art Gallery di New York. Info: www.delutti.net |
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La bellezza del giorno qualunque
cablook.com
RI-TROVARSI NEL LABIRINTO
Rubrica di Manuel Millo
S O C I A L E
Guardiamo spesso con preoccupazione al futuro, talvolta rimpiangendo il passato. Eppure guardando alla storia non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. La soluzione va trovata nel modo in cui scegliamo di vivere il presente.
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Mentre sistemavo gli orologi di casa durante il periodo del cambio tra l’ora solare e l’ora legale ho prestato attenzione allo scarto temporale tra uno strumento e l’altro nelle varie stanze dell’abitazione. E mi ha colpito il “fuso orario’’ interno (pochi minuti ma importanti) che gli apparecchi avevano tra loro. Forse una frettolosa disattenzione mi aveva portato a regolarli male la volta precedente, tanto da creare quello scarto di deriva attuale; eppure ero certo di essere stato attento. Cos’è successo dunque? Succede che comincio a mettermi in relazione con il tempo che passa, con l’ordine e la sincronicità, con il desiderio sempre più tenace di perfezione cronometrica in un mondo diversamente perfetto. Perché comincio a pensare che il battito della vita non sia necessariamente legato a un tempo prettamente quantitativo ma a un tempo interiore, fatto di respiri, di pause, di osservazioni, di desideri, insomma di qualcosa che va oltre l’aspetto meccanico? Che confusione. Solo mia o diffusa nella società contemporanea? Perché oggi, in questo futuro sempre perfettibile, alla ricerca dell’ordine e della comunicazione istantanea e multimediale, dove tutto è connesso e calcolabile, ci sentiamo |
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presi a volte da uno stato pressoché dissociativo, incerto, difficilmente coerente, come smarriti, anche davanti a scelte molto semplici, come ad esempio scegliere la marca migliore di biscotti al market? Basta aprire un quotidiano per essere catturati da notizie che ci tengono in tensione o allarme, facendoci stare sempre all’erta; e poi le notizie web, quelle radio, quelle televisive. Sembra come se un incantesimo si fosse spezzato, quello della serenità dell’animo. Eppure guardando alla storia non è proprio vero che si stava meglio quando si stava peggio: guerre, carestie, malattie erano quasi all’ordine del giorno. Questa verità ci confonde, a volte desideriamo un passato che è solo illusorio, pensiamo che forse il futuro sarà migliore, ma in questa dilatazione dello stato di attesa le nostre idee sul senso della realtà e sulla ricerca profonda della verità restano magmatiche, oppure contrariamente a ciò si cristallizzano su ideologie vendute a buon mercato. Vivere sotto questi modelli significa generare o alimentare quello stato psicologico interpretativo in cui la percezione della realtà diventa claudicante. Ho utilizzato inizialmente la metafora degli orologi per far comprendere che se la mia vita poggia il suo fondamento lungo indirizzi sociali e morali che cambiano rapida-
mente da “una stanza all’altra”, le mie stesse radici esistenziali diventeranno a tal punto fragili da non poter più reggere i frutti della vita. Questo non significa irrigidirsi su posizioni fondamentaliste. Nel mondo contemporaneo è decisivo avere uno sguardo aperto alla multiculturalità e flessibile al cambiamento. Dobbiamo però prestare attenzione a fortificare la centralità del nostro obiettivo creaturale. Erich From direbbe Essere o Avere. La sensazione di incertezza esistenziale, generativa dello stato confusionale che ci sembra aleggi oggi nello spazio quotidiano, deriva proprio da questo continuo altalenarsi di ricerca affermativa dell’io diviso tra interiorità ed esteriorità materiale. Come se gli oggetti che possediamo acquisissero una parte della nostra persona; come se lo stesso possesso dell’oggetto affermasse me rispetto all’altro da me. Il punto centrale della nostra riflessione è il momento epifanico in cui, per una serie di potenziali concause, mi rendo conto che io non sono ciò che possiedo; e questo spesso avviene nel momento in cui quando qualcuno viene a mancare ci accorgiamo che con sé non porta nulla. ‘’Stolto questa stessa notte ti sarà richiesta la tua vita’’, ricordava Gesù nella parabola del ricco che accumula i suoi beni (Lc 12, 20). Questa piccola osservazione diventa illuminante rispetto all’ordine che con frequenza ricerchiamo per la nostra vita. Per essere nuovamente centrati. Per comprendere che quando viviamo uno stato di confusione fisica o mentale, prima di tutto potremmo cominciare a mettere a posto le lancette dell’orologio. Cioè sincronizzare quello che stiamo facendo o vivendo rispetto alla realtà interiore che sentiamo nostra, che ci tiene in vita ma che alle volte comincia a stridere ed entrare in dissonanza con la relazione oggettiva del vissuto presente. Da dove partire? Potremmo definire questa ricerca come l’essere in un labirinto. Il labirinto interiore. Il centro di questo labirinto è il centro del mio essere vitale ma per arrivarci devo prendere fisicamente tra le mani il vissuto personale e le decisioni a esso correlate, gli errori compiuti e le gioie profonde vissute, non semplicemente come successi effimeri legati all’oggetto o al carrierismo. Pren-
diamo uno di quei vecchi giochi circolari in legno da stringere tra le mani, in cui l’obbiettivo è far arrivare la sfera al centro, ruotando con perizia l’oggetto, per evitare che la biglia cada in un vicolo cieco. Per entrare in profondità e trovare la nostra centralità dobbiamo prendere in mano la vita e guardarla dall’alto. Gli errori compiuti possono rappresentare i vicoli ciechi in cui ci siamo imbattuti. Ma se guardiamo dall’alto riusciamo a vedere tutti i potenziali percorsi. Questo significa che se ascoltiamo in profondità il richiamo della nostra essenza creaturale, legata a un senso di relazionalità esistenziale e non di materialità consumistica, riusciremo a cogliere già a priori quali possano essere le vie di inciampo e quelle che invece ci portano al collasso difronte al roccioso muro dell’indifferenza sociale. Se il mio occhio è limpido non solo riuscirò a vedere lontano ma “tutto il conosciuto” apparirà nuovo, cristallino. E scoprirò che quello che mi circondava non solo era lì, ma possedeva colori inimmaginabili. Fulgidi. Che brillano alla luce e alla stessa misura riverberano in me le medesime tonalità. Dunque riportando questo gioco di immagini alla sfera della concretezza significa che trovare il centro del labirinto, il mio senso profondo dell’essere nel mondo, mi permetterà di intraprendere la via di uscita dalla caotica e criptica giungla del materialismo radicale, in cui il sentiero tortuoso e la fitta vegetazione non sempre permettono di procedere con linearità verso la meta del proprio cammino. Non è certo una via spianata dalle difficoltà del giorno ma è cambiare atteggiamento rispetto a ciò che in qualsivoglia misura si presenta davanti a noi. Non si tratta di vincere o perdere. Si tratta di vivere in pienezza e con concretezza scegliendo la strada della porta aperta, cioè dell’apertura che scavalca le ansie e le paure generalmente confusionarie per far entrare nella nostra vita la bellezza del “giorno qualunque”. Che diventa speciale nella sua irripetibile singolarità. Come ogni storia. Come ogni incontro. Come ogni persona.
Manuel Millo
Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane |
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Immagini di Grigiomedio e Claudia Guido
EVENTO SPECIALE
GoBlanc
Venerdì 29 giugno è in programma la terza edizione della tradizionale cena in bianco, nata a Parigi trent’anni fa. Una serata in cui tra dress code, menù sfiziosi e buona musica, Gorizia riscopre l’emozione della semplicità.
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La location – come da etichetta – sarà comunicata solo a ridosso dell’evento con un messaggio privato a ciascun iscritto. A quel punto il popolo in bianco potrà mettersi ufficialmente in moto per la terza edizione di GoBlanc, già ufficializzata in agenda a Gorizia nella serata di venerdì 29 giugno 2018. Un’idea diff usasi in tutto il mondo dal 1988, quando a Parigi la Diner en Blanc si presentò per la prima edizione. A trent’anni esatti di distanza, la semplice cena in bianco – legata al codice di abbigliamento secondo cui tutti i
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partecipanti devono vestirsi con abiti rigorosamente bianchi – si è evoluta con modalità diverse a seconda dei Paesi e delle città. Tra queste, dal 2016 c’è anche Gorizia, grazie all’idea vincente di Eleonora Lulli ( foto pagina accanto in alto), titolare dell’agenzia di eventi Eventiva, ideatrice e organizzatrice di GoBlanc. «Organizzare questo evento nella mia città – confida a iMagazine, partner della manifestazione – è un piacere e un onore. Nelle due precedenti edizioni è stato emozionante vedere il coinvolgimento di tante persone provenienti non solo da Gorizia. La cosa più bella è poi la colla-
borazione e la partecipazione attiva di tutti gli attori in gioco: dalle istituzioni ai commercianti, dalle realtà gastronomiche ai cittadini. GoBlanc è un evento capace di coinvolgere l’intero territorio e questo, per me, rappresenta la soddisfazione più grande». Un format apprezzato e vincente che potrebbe essere a breve esportato anche in altre città del Friuli Venezia Giulia (per informazioni info@eventiva.it). In attesa di scoprire quale sarà il luogo prescelto per l’edizione 2018 – nel 2016 fu la Corte di piazza Sant’Antonio, nel 2017 il Parco del Municipio con l’affluenza record di 1.000 partecipanti – anche quest’anno sono confermate le collaborazioni sia con i commercianti cittadini, che proporranno vetrine a tema e offerte appositamente studiate per i partecipanti all’evento, sia con i partner gastronomici che prepareranno le sfiziose dinner box con menù ideati ad hoc per la serata. Una serata che, seguendo la tradizione, prenderà ufficialmente avvio alle 20.30 con lo sventolio dei tovaglioli bianchi da parte di tutti i commensali. La
magia del tramonto e il calar del buio renderanno il contesto ancor più suggestivo, tra illuminazione soffusa, musica e piacere di stare insieme. Un’atmosfera magica che si protrarrà fino all’una di notte quando i partecipanti, dopo aver sparecchiato le proprie tavole e portato via tutti i rifiuti, si saluteranno sotto l’incanto del cielo stellato. Info: www.goblanc.it
Calici a Palazzo, una serata evento
agricole, aziende vinicole, birrifici artigianali, ristoranti e altre produzione gastronomiche locali. La serata sarà accompagnata da intrattenimenti musicali e altre performance. Oltre alle consumazioni illimitate, il biglietto di ingresso all’evento comprenderà anche una visita guidata all’interno Palazzo Coronini. Per informazioni: 366 1334196 info@eventiva.it
Visitare le suggestive cantine di Palazzo Coronini a Gorizia, solitamente inaccessibili al pubblico? L’occasione diventerà realtà venerdì 8 giugno in occasione della prima edizione di “Calici a Palazzo”: una serata di degustazione nella quale i partecipanti potranno assaporare le specialità di numerose aziende
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F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !
Yoga … per Passione La competizione è sportiva. Così dicono. Ma c’è davvero bisogno di aver qualcuno da affrontare, un tempo da superare, per essere competitivi? Ribalto la questione a Stefania Sacco, insegnante di yoga dell’Associazione Triestina Methamorfosys… «La questione è aperta, specialmente per noi dello yoga che ci siamo visti ‘revocare’ il titolo di sport a tutti gli effetti perché manca proprio ‘l’aspetto competitivo’. Personalmente trovo che cercare di migliorare il rapporto con il proprio corpo rendendolo più flessibile, più armonioso, più libero nei movimenti sia una forma di competizione. Ad ogni modo siamo fuori dal CONI».
Nello yoga ognuno vince se migliora se stesso? «Questo è il successo più grande che ci si possa aspettare, sotto tutti gli aspetti di vita. Difatti lo yoga è ‘Olistico’; se migliori in un esercizio sei migliorato anche mentalmente, spiritualmente, non solo fisicamente. Potrebbe sembrare un dettaglio banale, ma non essere riconosciuto come sport ci costringe a declassarci a ‘Ginnastica yogica’; un handicap non da poco per chi vuole mettere su un’associazione sportiva». 66
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Per chi come me è profano completo della disciplina, può fare una piccola introduzione? «Lo yoga è una pratica contemplata nei gran libri dei ‘Veda’, antichi testi che risalgono al xx secolo avanti Cristo, dove sono riportati i fondamenti della religione induista. Lo yoga è contemplato negli inni dei Veda e poi sul come praticarlo nelle Upanisad. Lo yoga quindi è un mezzo di elevazione». Perciò mantenere sano il corpo è un ‘precetto religioso’? «Se il corpo viene visto come il ‘Tempio materiale dello Spirito’, questa è una conseguenza logica; chi vuole avere un tempio in disordine? Ma nei testi non viene menzionata solo la ginnastica yogica, bensì anche l’alimentazione, gli atteggiamenti mentali adeguati e tante altre indicazioni che bisognerebbe seguire per una buona vita. Sottolineo però che la pratica yogica è svincolata da qualsiasi culto, soprattutto oggi e in occidente. Personalmente trovo che praticare lo yoga sia più che mai attuale e spirituale, anche quando la pratica viene eseguita esclusivamente a scopo sportivo». Quindi l’iniziazione alla pratica non è un atto di fede? «Assolutamente no. E per quanto riguarda il percorso iniziatico non esistono nemmeno regole precise; la mia iniziazione è avvenuta quando avevo poco più di tredici anni, grazie a un libro preso in prestito dalla Biblioteca comunale. Ero attratta dallo yoga, però non sentivo parlare di corsi o seminari nella mia zona, per cui pensavo proprio che non si praticasse molto in Italia questa disciplina. Per saperne di più noleggiai il libro e appena arrivata a casa provai subito l’Asana detta ‘Aratro’. Quando sentii i muscoli del collo allungarsi provai dolore. Però, finito l’esercizio, la sensazione di benessere che mi rimase addosso mi conquistò immediatamente». Amore a prima… Asana. «Un colpo di fulmine; un amore che è cresciuto di giorno in giorno, che ha avuto i suoi alti e bassi, ma che mi sono sempre portata appresso negli anni in giro per il mondo». In che senso in giro per il mondo? «Ho vissuto per alcuni anni in Indonesia, a Bali, ma ero già più grandicella e mamma. Fino a quando sono stata in Italia ho praticato per mio conto, documentandomi come potevo, poi in Oriente c’è stato il gran salto: seguivo la pratica con regolarità attingendo a insegnamenti di vari maestri. Al ritorno in Italia il
Sopra, Stefania Sacco mentre dirige una lezione di yoga all’aperto. Pagina accanto, primo piano di Stefania Sacco durante una Asana in riva al mare.
desiderio più grande è stato quello di cercare di farne anche una professione oltre che una passione». Difficile però. Non per niente il nome della rubrica è ‘Figli di uno sport minore’… «Sì, ma se una cosa la vuoi una strada la trovi. Anche andare a vivere in Indonesia non era una scelta facilissima; con due figli, poi…» Ho sentito parlare di Hatha Yoga, Pranayama... Cosa sono? «Esistono vari tipi di yoga in base a diverse classificazioni, come ad esempio yoga statico o dinamico. L’Hatha Yoga, quello che pratico io, è un tipo dove si usano entrambe. La parola Hatha è composta da due radici: la prima, Ha, significa sole e la seconda, Tha, significa luna. Mai farsi ingannare dalla semplice traduzione perché il significato intrinseco è molto più ampio. Invece Pranayama, nello yoga, è l’insieme di particolari tecniche di respirazione durante la pratica». Come si svolge questa ‘pratica’? «Si cerca di creare un luogo, un campo dove possiamo avvicinarci al benessere, e si parte con delle Asana iniziali, che possiamo definire posizioni o esercizi, dove si prende contatto con il corpo e il respiro. Successivamente si scende più in profondità. Lavorando su ogni muscolo del corpo e non solo corpo». Fino a giungere alla ‘Contemplazione meditativa’... Scusi se uso parole sibilline, ma io ho provato a meditare con scarsi risultati, perciò le chiedo: cosa si prova quando si medita? «La visione che si tende a proporre della meditazione viene spesso arricchita con vocaboli dal sentore esoterico, come si trattasse di uno stato mistico riservato a pochi. In realtà basta concentrarsi sul respiro e seguir-
lo per un po’ di tempo, il resto viene da sé. È ovvio che più si pratica più cresce la sensibilità». Come si sviluppa la sua attività? «Attualmente tengo lezioni quasi quotidiane, sia al mattino che alla sera, presso la Palestra delle Scuole elementari di Ronchi dei Legionari; tengo corsi anche a Gorizia e Trieste. Preciso che ho allievi di tutte le età, dai giovanissimi a qualcuno che ha più capelli bianchi di lei». Quindi lo yoga potrebbe farmi bene? «Non ci sono controindicazioni di nessuna sorta. Ognuno lavora con se stesso e per migliorare il proprio livello. Forse questo non sarà una competizione, ma è un modo di agire che ci viene copiato a piene mani anche in altri campi; non so se ha sentito parlare di ‘Yoga finanziario’…» Effettivamente gli scaffali delle librerie si sono arricchite con pubblicazioni i cui titoli citano spesso lo yoga o il suo stile di vita. Un titolo poi mi ha particolarmente colpito, perché spiegava che lo yoga rendesse felice facendo poi arrivare i soldi. «Ho sentito anch’io; pero insegno yoga, non economia». Quindi se vengo ai suoi corsi sarò felice ma non diventero ricco? «Per la sua felicità posso sicuramente contribuire, per la ricchezza… anche, visto quanto costano poco i miei corsi». Dopo questa affermazione, che dire per concludere? Niente, metto la tuta e vado a praticare. Visti i chiari di luna, tutta quella storia sulla felicità… Vuoi mettere che sia la volta buona? Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine: redazione@imagazine.it |
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PERSONAGGI
CHIARA CALLIGARIS Intervista di Livio Nonis
Il richiamo
del vento
La passione per la vela nacque da bambina, osservando i ragazzi praticare windsurf. Dopo aver vinto titoli europei e mondiali, partecipando anche a un’Olimpiade, l’atleta monfalconese conserva ancora intatto l’amore per il mare: «È il mio rifugio e la mia droga».
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Chiara Calligaris, quattro volte campione del mondo di classe Europa, due assoluti e due juniores (a Oxelosund, Svezia, nel 1990 e a Livorno nel 1991), campionessa europea nel 1991, olimpionica a Pechino nel 2008, oltre a moltissime vittorie e piazzamenti nelle più prestigiose regate internazionali nel suo palmares, a 46 anni la passione per la vela che aveva da bambina non si è ancora sopita e la sua carica agonistica è rimasta intatta. Quando c’è una competizione importante nell’Adriatico e nel golfo di Trieste, lei ci si tuffa, come accaduto negli ultimi campionati del mondo disputati lo scorso anno a Muggia. Nata a Gorizia, originaria di Monfalcone, laureata in Scienze Geologiche con un Dottorato di ricerca in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, è stata per tre mandati consecutivi presidente
dell’Associazione Nazionale Atleti Azzurri d’Italia della Sezione di Gorizia. Ha fatto inoltre parte per un quadriennio della giunta regionale del CONI. È socia dello Yacht Club Adriaco di Trieste, è vicepresidente dell’Associzione ASD Le Stelle ed è ricercatrice in geologia applicata presso il Dipartimento di Matematica e Geoscienze all’Università di Trieste. Chiara, riavvolgiamo il nastro dei ricordi: quando ha iniziato a praticare la vela? «Ero davvero un cucciolo, avevo otto anni: mia mamma mi portava sulla spiaggia di Marina Julia a fare le passeggiate e a prendere “aria buona”, come si diceva all’epoca. In un pomeriggio di ottobre, con il cielo plumbeo e una bora forte, in acqua c’erano tantissime vele colorate: i ragazzi con i windsurf si stavano divertendo moltissimo. Ingenuamente dissi a mia mamma che mi sarebbe piaciuto molto essere là in mezzo. Mi rispose che il mare è pericoloso, che va rispettato, che bisogna imparare a conoscerlo, che bisogna andare a scuola. E io risposi: “Ma se c’è una scuola, mi mandi?”. E da lì tutto ha avuto inizio… Il primo corso in Optimist a 10 anni e a 14 anni i primi podi nazionali». Dopo tanti anni di gare e di agonismo nei mari di tutto il mondo, dove trova la voglia di In apertura, Chiara Calligaris in azione sul Lago di Garda. Di fianco, Chiara assieme a Mauro Pelaschier (ph. Andrea Carloni).
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In questa pagina, dall’alto, Chiara Calligaris sul gradino più alto del podio al Campionato del Mondo di Oxelesund, in Svezia, nel 1988; primo piano di Chiara in tenuta olimpica.
mettersi in discussione ancora, partecipando a competizioni di grande intensità? «Amo vivere il mare a 360 gradi. È la mia vita, è quello che mi dà energia, che tutte le volte quando sono giù di morale mi dà conforto, è in sostanza il mio rifugio e la mia droga. Ma purtroppo non mi dedico più all’agonismo anche se un’agonista lo è sempre, dentro il mondo dello sport ma anche fuori. Ogni volta che posso scappo a rifugiarmi nel mio mare per navigare. Se poi si tratta di competizione, meglio: mi stimola di più…» Vista dalla sua esperienza e dai suoi trascorsi, come appare la situazione della vela in Friuli Venezia Giulia? «Siamo da sempre una regione un po’ speciale, nel senso che la vela è stata per alcuni periodi uno sport quasi popolare. Molti erano i giovani atleti che si cimentavano in Optimist. Con la crisi economica c’è stata una contrazione del movimento. Le strutture però sono di qualità, così come gli allenatori e i dirigenti, quindi sono fiduciosa che i numeri torneranno a crescere». E a livello nazionale? «La situazione non è molto rosea. Gli atleti che si cimentano in questo sport sono diminuiti parecchio e soprattutto c’è un elevato tasso di abbandono che coincide spesso con il cambio di classe e con l’adolescenza. I Club lungo la costa del Friuli Venezia Giulia stanno lavorando molto su questa tematica, ma non è facile. Un grande aiuto per gli atleti di livello invece è dato dalle forze dell’ordine che arruolano i ragazzi e le ragazze nei gruppi sportivi, dando loro la possibilità di avere un reddito e di allenarsi con serenità e continuità». Per richiamare i giovani sarebbe importante un’attività di divulgazione nelle scuole: da quanti anni si può iniziare a praticare la vela? «Si inizia a 7-8 anni con gli Optimist. Sono tanti gli allenatori che si occupano di divulgazione all’interno delle scuole primarie, per cui direi che c’è abbastanza informazione, anche se tutto è lasciato all’iniziativa del singolo. Sarebbe importante richiamare i giovani facendoli salire in barca e dando loro l’opportunità di provare l’emozione, la gioia e la libertà che trasmette il navigare. Se si riesce a creare un minimo di interesse saranno loro a chiedere ai genitori di portarli a fare vela». Quale consiglio darebbe a un giovane che inizia questo sport?
«Di non demordere e di divertirsi sempre. La vela è uno sport complesso che richiede una maturità mentale e un impegno fisico notevole. È però anche uno sport “longevo”, nel senso che può essere praticato a tutte le età, naturalmente con intensità diverse. Non bisogna scoraggiarsi se non si ottengono subito i risultati, bisogna essere tenaci e caparbi oltre che amanti della natura. È uno sport che fa diventare molto responsabili. Bisogna prendersi cura del proprio mezzo che deve essere sempre performante, ci si deve rapportare con gli elementi e pertanto anche con se stessi e con le proprie paure. È sicuramente uno sport totalizzante». Livio Nonis |
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Mens sana in corpore sano
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SPORT E PSICHE
Continua a crescere il numero dei giovani che non praticano attività sportiva. Un fenomeno che rischia di portare con sé problematiche educative, evolutive, salutari e sociali.
S O C I E T À
Il periodo critico è quello delle scuole medie. Secondo le statistiche e le esperienze sul campo è infatti tra i giovani dai 12 ai 14 anni che si assiste al crollo di partecipazione alle attività proposte dalle associazioni sportive. In concomitanza con il fisiologico aumento dell’impegno scolastico, rispetto a quanto avveniva in passato le prime attività extra a venire ridotte sono proprio quelle che riguardano lo sport, sacrificato senza troppi ripensamenti rispetto al tempo trascorso sul web, davanti alla tv, giocando alla playstation o chattando sullo smartphone.
Rubrica a cura di Andrea Fiore
Tempo e denaro. In caso lo sport
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Come mai lo sport non viene più percepito come un mezzo educativo e un’attività socializzante e salutare, ma come il primo intrigo da eliminare nelle priorità del tempo libero dei nostri giovani? La risposta a questo fenomeno coinvolge molteplici fattori, tuttavia una discriminante comune chiama in causa anche le famiglie. In una società in cui il più delle volte entrambi i genitori lavorano, se i propri figli rinunciano a praticare attività sportive che richiedono spostamenti e necessità di accompagnamento il rischio di assecondarli per una questione di comodità è sempre più incombente. L’iscrizione a un’associazione sportiva e l’attrezzatura o l’abbigliamento per praticare lo sport, inoltre, hanno un costo rilevante. Senza scordare che attualmente lo Stato non prevede rimborsi in materia. Ecco al|
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lora che in tempi di crisi, specie nei casi di famiglie in cui uno o entrambi i genitori restano senza lavoro, questa voce di spesa tende a essere tagliata senza troppi rimpianti.
Peccato, ma va bene lo stesso
Le problematiche di natura logistica o economica, tuttavia, non sembrano essere le uniche in ambito familiare. Tra i genitori è sempre più diffusa una percezione di timore del mondo esterno per i propri figli. Ecco allora che saperli chiusi in casa davanti a uno schermo li rende paradossalmente più tranquilli: se stanno lì non rischiano di fare cavolate fuori o di finire nei pericoli (sebbene dei pericoli che si nascondono dietro a un semplice schermo abbiamo già ampiamente parlato…). In questa visione, a venire colpita non è solo l’attività sportiva praticata all’interno delle associazioni, ma anche il gioco libero con i coetanei nei campetti pubblici, nei ricreatori o in altri luoghi di aggregazione. Con ripercussioni potenzialmente devastanti.
Lo sport è relazione
La mancanza di attività sportiva, oltre che ripercussioni di carattere salutare sul fisico dei giovani, impoverisce anche le loro capacità di vivere in relazione. L’assenza di rapporto, confronto e competizione con i coetanei rischia infatti di produrre ragazzi sempre meno performanti, con una sensibile perdita della propria autostima (“Tu cosa fai?” “Nulla, sto a casa a guardare la tv…”). Senza confronto viene meno la spinta evolutiva, lasciando l’individuo privo di idee e stimola-
zioni. Relazionarsi significa anche competere, ma i giovani di oggi sanno sempre meno cosa sia la competizione. E questo nel tempo mina la loro capacità di diventare adulti responsabili e critici, rischiando al contrario di divenire sempre più massa gestibile da altri.
Invertire la rotta? A scuola
In Italia, abbinare i termini attività sportiva e scuola è da sempre un azzardo. È sufficiente che ognuno di noi provi a ricordare le proprie ore di educazione fisica alla scuola dell’obbligo per scacciare ogni timore di possibile smentita. Tuttavia proprio l’universo scolastico, paradossalmente, sembra detenere al momento l’unico chiavistello per invertire la tendenza. Perché di fronte a uno scenario come quello sopra descritto, senza un drastico intervento normativo il rischio che le giovani generazioni abbandonino sempre più lo sport con pericolose conseguenze per il loro sviluppo psicofisico va quanto prima disinnescato. E l’unico modo è far sì che la scuola renda obbligatoria la frequenza di attività sportive. È vero, gli obblighi quasi mai piacciono, ma se sono a fin di bene diventano necessari. Anche i nostri antenati non avevano il minimo dubbio sull’importanza della pratica sportiva (“mente sana in corpo sano”): spetta a noi voler essere una società in evoluzione e non in involuzione.
dott. Andrea Fiore
Medico delle Farmaco-Tossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it
FRIULI SCONOSCIUTO BELVEDERE
Servizio di Eleonora Franzin. Immagini di Claudio Pizzin
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Nel vortice della storia
Dallo sbarco dell’evangelista Marco fino all’invasione nazista: nella piccola frazione di Aquileia si cela un passato ricco di eventi che hanno segnato il corso dei secoli. Lasciando eredità che vengono ancora tramandate.
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Tra le due località turistiche della nostra regione, Grado e Aquileia, si trova un piccolo borgo che già nel nome racchiude le tante bellezze storiche e paesaggistiche che da sempre la contraddistinguono: Belvedere. È un paese abitato da ormai poco più di 40 persone, ma nei primi del ’900 vantava una popolazione di 300 abitanti, per lo più mezzadri, che lavoravano alle dipendenze della famiglia Fior e ancor prima della nobile famiglia dei Savorgnan. Nel feudo di Belvedere sorgeva sin dai tempi antichi una piccola chiesa a forma di capanna, che faceva parte delle sei chiesette che fungevano da corona alla Basilica di Sant’Eufemia di Grado. Nel 1600 si hanno notizie dell’esistenza di una chiesa posta sulla duna, con al suo interno una pregevole pala d’altare commissionata del Conte France-
sco dei Marchesi Savorgnan all’artista veneziano Giannantonio Guardi, posta a Belvedere nella metà del 1700, dipinta dopo aver visitato la località per conoscerne la realtà e le tradizioni. Nella pala d’altare (che ora a Belvedere è stata sostituita con una copia) vengono rappresentati Sant’Antonio Abate, patrono del paese, la Madonna del Rosario, San Marco evangelista e San Giovanni Nepomuceno. Attorno a Belvedere sorgevano altre piccole località: Muson, Casale Collorendo (“dei cinque camini”), Morsano, La Centanara, la Casa della Valle e San Marco. Proprio in quest’ultima sorge il cimitero parrocchiale: tutta la zona che si affaccia sulla laguna porta il nome dell’evangelista in quanto la tradizione tramanda che San Pietro mandò proprio Marco a evangelizzare Aquileia. Approdato sulla spiaggia di Belvedere, venne successivamente eretta una chiesetta in suo onore mentre l’epigrafe posta all’interno del luogo di culto, tuttora esistente, ne racconta la storia. Da qui San Marco andò a Venezia e ad Alessandria d’Egitto, lasciando in queste terre il successore Ermacora, cittadino di Aquileia. Tutta la zona intorno alla chiesetta e al cimitero è conosciuta come la Pineta di San Marco e una volta In questa pagina in alto, la chiesa di San Marco; a sinistra, la chiesa di Sant’Antonio Abate.
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In questa pagina, l’interno della chiesa di Sant’Antonio Abate a Belvedere e, nel dettaglio la statua raffigurante il patrono della comunità, situata all’interno del luogo di culto.
all’anno, il 25 aprile in occasione del giorno del martirio del santo, le due parrocchie di Belvedere e di Aquileia si radunano in una processione lungo la via d’accesso e, sopra la duna, viene celebrata la messa. Il Patrono della comunità, invece, è Sant’Antonio Abate. Il 17 gennaio di ogni anno, al mattino, vengono portati come un tempo tutti gli animali – da cortile e da compagnia – per ricevere dalle mani del sacerdote la benedizione del loro santo protettore. Inevitabilmente più recenti sono le vicissitudini che il territorio di Belvedere ha dovuto vivere agli inizi del secolo scorso. Nel luglio 1910, sotto il dominio dell’Impero Asburgico, venne inaugurata la ferrovia: un unico binario congiungeva la stazione ferroviaria di Cervignano all’isola di Grado, scoperta dagli Austriaci quale località di rilievo per le cure termali e quindi interessati a poterla raggiungere in modo diretto. Il treno arrivava a Belvedere; i passeggeri raggiungevano poi Grado tramite i motoscafi o i vaporetti presenti nel porticciolo. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, molti uomini del paese vennero chiamati alle armi e avviati ai vari fronti. Durante il conflitto la frazione di Belvedere venne trasformata in luogo di riposo: a turno venivano mandati qui i combattenti per qualche mese, prima di ritornare sul Carso. Molti di loro lasciarono in dono alla parrocchia la statua della Madonna venerata come “regina pacis”. Ogni anno, per celebrare tale ricorrenza, l’ultima domenica di maggio la statua della Madonna presente tuttora all’interno della chiesa parrocchiale viene portata in corteo lungo le vie del paese. Durante il periodo della guerra, la comunità di Belvedere fu attanagliata da gravi sofferenze: non solo mancavano gli uomini, partiti per combattere lasciando sprovvista la forza lavoro per coltivare i campi, ma una grave carestia colpì le persone rimaste, che furono decimate. Nel 1918 Belvedere passò sotto il Regno d’Italia, ma durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi occuparono la zona. Essendo a ridosso del mare e con la paura dello sbarco degli Alleati, gli invasori costruirono di-
versi bunker e sistemarono i loro squadroni all’interno della canonica, della villa padronale e dentro la scuola elementare. La fine del conflitto e l’ingresso degli Alleati a Belvedere portarono grande sollievo alla località e ben presto le condizioni delle famiglie rimaste migliorarono. Eleonora Franzin |
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F I O R I E M AT E M AT I C A
La Natura e i suoi numeri
Rubrica a cura di Rossella Biasiol. Immagini di Francesca Bottari
FIORI E PIANTE
Dalle foglie delle piante ai petali dei fiori: l’algebra e la numerologia rappresentano un fattore oggettivo dell’universo naturale. A cominciare dalla serie di Fibonacci…
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Fiori e numeri? Sembra impossibile eppure è cosi. Facciamo un passo alla volta e andiamo a ricercare il significato della parola che avrà il ruolo di attrice principale nella nostra avventura: fiore, nel suo significato etimologico di radice indoeuropea, significa gonfiare, traboccare, sbocciare; e dal greco: gonfio, trabocco. Una vera e propria esplosione di forme sensuali e armoniose quelle dei fiori, bellezza allo stato puro che ci rende ben disposti, provocando espansione del cuore e leggerezza della mente. Ma attenzione: nel Regno della Natura nulla viene creato a caso, alla fonte infatti troviamo numeri, matematica e numerologia, quella che potrebbe essere chiamata la “bacchetta magica” dell’Armonia che ci viene data, passando attraverso il Fiore della Vita, dalla serie di Fibonacci. Chi ha letto il libro o visto il film Il Codice da Vinci avrà sicuramente sentito parlare di Fibonacci e della sua serie di numeri. Il vero nome di Fibonacci era Leonardo Pisano (1170-1250), originario di Pisa, appassionato di scienze matematiche il quale, attraverso i suoi viaggi d’affari in nord Africa, ebbe l’opportunità di imparare la matematica araba. Con la sua opera più famosa, il Liber Abaci del 1202, cercò di dimostrare i vantaggi delle cifre arabe per il calcolo, confrontandole con l’abaco e i numeri romani utilizzati in Italia a quell’epoca. Il Liber Abaci parla di cifre e metodi di calcolo, problemi di algebra, teoria dei numeri, |
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ma il più famoso è il problema dei conigli, dal quale nacque la serie di Fibonacci. “Quante coppie di conigli avremo a fine anno se cominciamo con una coppia che genera ogni mese un’altra coppia che a sua volta procrea dopo due mesi di vita?”. Il risultato del problema è una successione di numeri dove ogni termine si ottiene come somma dei due che lo precedono e il quoziente di due numeri successivi dà un valore che si avvicina notevolmente a PHI, il numero aureo 1,618 (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, ...).
Dai conigli ai fiori
Ora proviamo a osservare le piante. Le foglie sui gambi non crescono una sopra l’altra, infatti Madre Natura è così perfetta da aver anche pensato che ogni foglia deve avere il suo spazio per riuscire a vivere e a nutrirsi attraverso i raggi del sole e le gocce di pioggia: esse si distribuiscono a forma di spirale aurea. Un’altra forma, il pentagono, è spesso presente nei petali dei fiori e nei semi di alcuni frutti, fra i quali le mele: il 5 di Fibonacci in numerologia simboleggia la vita universale, l’individualità umana, la volontà, l’intelligenza, l’ispirazione e la genialità. Viene inoltre associato all’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci; al pentagramma che, quando è dritto, si identifica nuovamente con l’uomo (stella a cinque punte), nella sua valenza positiva; quando invece è capovolto assume un valore negativo, attributo delle forze del male.
Nel XIX secolo ci si accorse che i numeri di Fibonacci erano presenti nelle pigne in forma di spirali in senso orario e antiorario; poi la spirale aurea si fece scoprire nel centro del girasole (foto in apertura), nell’ananas, nel cavolo romano, nel cuore delle pratoline e delle gerbere, nella forma dei petali del gelsomino, nella calla. I numeri di Fibonacci sono presenti anche nei petali della margherita (21) e dei fiori di lillà (3), negli anemoni, nelle rose, nel delphinium, nella malva, nella calendula, nel trifoglio... Tutto il Regno della Natura è matematica armoniosa, in questo Regno c’è anche il posto per l’Uomo con le sue naturali dimensioni. È inutile chiedersi come fa la Natura a essere così perfetta, se torniamo alla Genesi è logico che sia così, la Natura è stata creata con Armonia e Bellezza il terzo giorno: sta all’Uomo il compito di “ritornare a ricordare”, di “ritornare a guardare”, di risentirsi armonioso nell’Armonia. Vogliamo scoprire insieme i numeri in alcuni fiori e il messaggio che ci portano?
Gelsomino: l’amore divino
Secondo una credenza araba il paradiso è profumato di gelsomino poiché questo fiore simboleggia l’amore divino. La struttura del fiore della specie più nota in occidente, Jasminum officinale, è a 5 petali, numero che ha simboleggiato nelle tradizioni mediterranee e del vicino Oriente la Grande Madre dai molti nomi: Venere, Ishtar, Afrodite. Nell’Asia Minore il fiore veniva collegato alla stella a cinque punte, il pentacolo, e utilizzato come amuleto di protezione contro gli spiriti malvagi. Nella forma dei suoi petali ritroviamo l’Armonia Universale con la spirale aurea; spesso viene classificata come pianta femminile (yin), è governata dalla Luna e possiede le proprietà dell’acqua. Simboleggia l’amabilità, procura una sensazione di pace e tranquillità, consente di raggiungere un maggior grado di padronanza della pratica contemplativa, e favorisce la guarigione. Messaggio del fiore: “Insieme possiamo superare tutti gli ostacoli”.
re smodatamente. Nel Rinascimento fu soprannominata omniomorbia, rimedio per tutti i mali e veniva prescritta per varie malattie quali la tosse, l’asma, le malattie da raffreddamento. Nella medicina popolare del passato venivano utilizzate le foglie per estrarre i pungiglioni di vespa, mentre la sua linfa gommosa veniva ridotta in poltiglia e usata come rinfrescante per il viso. Anche nei fiori di malva ritroviamo il numero 5 della serie di Fibonacci, l’armonia e la bellezza di Madre Natura. Nel linguaggio ottocentesco dei sentimenti, il fiore ha ispirato i simboli dell’amore materno e della mansuetudine che ben corrispondono alle sue proprietà medicinali. È la pianta del riequilibrio, soprattutto quando nella vita si ha la sensazione di aver perso la rotta: la sua energia è rilassante, calmante e aiuta a espellere le tossine mentali che accumuliamo a causa dello stress e delle preoccupazioni. Messaggio del fiore: “Ti aiuterò a espellere qualsiasi emozione che intasa il tuo cuore, lascerai andare ciò che non ti serve più”.
Calendula: il guaritore
L’etimologia del nome deriva probabilmente dal latino calendae, cioè i primi giorni del mese lunare nel calendario degli antichi romani. Come la luna sorge ogni mese, così fa questa piccola meraviglia di colore arancio durante tutto il suo periodo di vegetazione dalla primavera all’autunno; un rapporto molto stretto con l’astro lunare, sottolineato anche dai semi di questa pianta che hanno la forma di falce di luna. Anticamente veniva anche inserita fra le erbae solaris, le piante eliotropiche, per l’apertura e chiusura del fiore con il passaggio del sole. All’inizio del ‘900 la calendula fungeva da barometro per gli agricoltori: se alle sette del mattino i fiori non erano ancora aperti, era segno di possibile maltempo in giornata. Come la pratolina, la margherita, il girasole, anche la piccola calendula è armonia di colori, forme e numeri: il suo capolino porta la spirale aurea, nei suoi petali il numero magico di Fibonacci. È il fiore “guaritore”, aiuta ad affrontare i problemi fisici, mentali ed energetici; conduce verso la guarigione più efficace; ripara l’aura e rinforza lo scudo aureo; aumenta la vitalità e l’autostima. Messaggio del fiore: “Contribuirò a far Malva: l’amore materno crescere la fiducia in te stesso e i tuoi livelli di La malva è un delle piante eliotropiche perché energia; lascia che la tua vitalità aumenti graorienta i suoi fiori sul corso del sole. Anticamente ve- zie a me”. niva usata come Buona armonia cibo semplice e povero; in epoca Rossella Biasiol romana serviva Presidente della Scuola Fioristi del FVG per neutralizzawww.scuolafioristifvg.it re gli effetti delle nottate trascorse a bere e mangia|
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PERSONAGGI GIAN CARLO BLASINI Servizio e immagini di Livio Nonis
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Orgoglio
bisiaco
Da 30 anni veste i panni del Notaro del Carnevale Monfalconese. Eppure la sua attività nell’organizzazione di eventi per la diffusione della cultura e della lingua del territorio si svolge 365 giorni all’anno: «Perché piuttosto che perdere le tradizioni è meglio bruciare il paese».
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Ecco Gian Carlo Blasini, il Notaro “Toio Gratariol” del Carnevale Monfalconese che da trent’anni fa coppia con Sior Anzoleto Postier durante la cerimonia della lettura del testamento e della Cantada in piazza. Ma non è solo quello; è membro del Comitato del Carnevale Isontino, fa parte della redazione della rivista La Cantada, è il presidente del Consorzio Isontino Giuliano delle Pro Loco delle province di Gorizia e Trieste, e da 35 anni è l’anima della Pro Loco di Monfalcone di cui, per 6 anni, è stato il presidente, e tuttora riveste la carica di direttore artistico delle manifestazioni che il sodalizio organizza nella città dei cantieri. Citando le più importanti: il “Canta Festival de la Bisiacaria”, festival canoro della canzone dialettale; il Carnevale monfalconese; la Festa del Vino; la Festa del Bosco; “Magnemo fora de casa”… Nel 2010 l’Amministrazione comunale di Monfalcone lo ha premiato con i sigilli della città. Gian Carlo Blasini, trent’anni di Notaro: come è nata questa figura divenuta assieme a Sior Anzoleto l’emblema del Carnevale monfalconese? «La figura del Notaio, o Notaro per dirla alla bisiaca, è la rivisitazione di quel personaggio degli inizi del ‘900 – poi scomparso con l’introduzione della sposa – che era il “secretario”: lui aveva il compito 76
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di ufficializzare gli appuntamenti del carnevale. Ancora oggi il Notaio ha il compito di ufficializzare e dare il consenso alla lettura del testamento di Sior Anzoleto e di far giurare alla cittadinanza l’impegno di continuare sempre la tradizione della Cantada». Qual è il ricordo più simpatico che conserva di questi trent’anni di Notaro? «Uno degli episodi più simpatici che mi vengono in mente risale al carnevale del 2000 quando siamo arrivati a bordo di un elicottero; oppure nel 2007 quando abbiamo fatto il corteo a lutto con tanto di sposa in nero, ghirlanda e urna, per la scomparsa prematura del “biscotto della piazza”, ovvero l’isola pedonale della piazza di Monfalcone, completamente “scomparsa” dopo i lavori». Lei è presidente delle Pro Loco consorziate di due province e contemporaneamente direttore artistico della Pro Loco di Monfalcone, una delle più importanti del mandamento: una passione o un sacrificio? «Più che un sacrificio è un bel impegno, però le Pro Loco consorziate sono tutte associazioni con parecchi anni di esperienza e con la loro professionalità, quindi al di là degli impegni istituzionali, le assemblee o altre necessità di gestione – di contabilità o di coordinamento – sanno essere indipendenti. Inoltre mi avvalgo di una eccellente collaborazione con la segreteria del consorzio. Per fare il direttore artistico ci vuole invece molto più tempo e impegno, anche perché tutti gli eventi devono essere pianificati con mesi di anticipo, in modo che nei giorni dello svolgimento ogni aspetto fili liscio». Ovvero? In apertura a destra, Blasini nei panni del Notaro assieme a Sior Anzoleto interpretato da Orlando Manfrini. Di fianco, primo piano di Gian Carlo Blasini.
«Organizzare un evento oggi non è cosa semplice: bisogna fare i conti oltre che con i costi, anche con una burocrazia esagerata e con il rispetto di severe norme di sicurezza, altrimenti il carnevale o altri appuntamenti non potrebbero avere luogo. Si tratta di un lungo lavoro di squadra, dove ogni componente del Direttivo porta il proprio contributo. Dopo mesi di riunioni, preventivi, programmi e progetti, vedere che alla fine tutto è andato a buon fine e con la partecipazione di tanta gente rappresenta per noi la soddisfazione più grande». Il Canta Festival de la Bisiacaria è un altro evento che registra ogni anno il tutto esaurito di pubblico: secondo lei come mai? «Il Festival nel 2018 festeggerà i suoi 15 anni, a confronto di altri concorsi regionali è molto giovane, ma sin dalla prima edizione ha destato interesse e curiosità. Ogni anno collaborano le principali associazioni culturali della Bisiacaria, molti poeti, musicisti e cantanti, ha il patrocinio di tutti i Comuni e di tutte le Pro Loco del territorio, e il sostegno fondamentale della Fondazione Ca.Ri.Go. Sono collaborazioni preziose per la nostra cultura e il nostro dialetto. Il Canta Festival de la Bisiacaria è nato per promuovere, riscoprire, divulgare la nostra parlata, la storia, la tradizione attraverso le canzoni popolari che sono l’anima di un gruppo sociale». Per Gian Carlo Blasini perché è importante che la cultura bisiaca non si disperda? «Proprio le canzoni mettono sulla bocca dei giovani e degli anziani quel dialetto che tutti abbiamo paura che scompaia: salvare il dialetto vuol dire volergli bene e salvaguardare la nostra parlata per trasmetterla alle nuove generazioni. Sono convinto che manifestazioni come il Canta Festival o il Carnevale con la Cantada siano il giusto veicolo per tramandare quelle tradizioni che appartengono alla nostra cultura. Di-
vertendosi poi si impara meglio: quando sul palco del teatro presento il Festival, uso volontariamente l’italiano e il bisiaco, a seconda delle situazioni, anche perché certe battute in dialetto sono più divertenti. Senza dimenticarci della rivista La Cantada, un vero e proprio contenitore della nostra storia e della nostra cultura, che da 64 anni raccoglie fatti e misfatti, racconti, poesie, vignette e arte delle nostre terre. Una pubblicazione che da sempre viene collezionata e, consultando i numeri antichi, si possono ricostruire il clima e le situazioni che si vivevano nei tempi passati». Torniamo alla Pro Loco di Monfalcone: quante persone sono coinvolte in questa realtà? «Noi della Pro Loco di Monfalcone e di tutte le altre del territorio confidiamo nell’interesse delle nuove generazioni, cerchiamo di avvicinare i giovani coinvolgendoli nelle nostre attività, anche se l’impresa non è semplice, in quanto la gioventù di oggi ha altri interessi e si dedica ad altre cose. Tuttavia noi operiamo affinché in qualche giovane nasca lo stimolo di dare il proprio contributo, divenendo magari il nuovo Sior Anzoleto o Toio Gratariol, più o meno come è successo a me all’età di 24 anni, quando sono stato stimolato dagli anziani della Pro Loco a entrare nel Direttivo per portare avanti quell’eredità di storia e tradizioni che mi hanno lasciato. Da quel giorno sono passati 35 anni e non ho ancora finito». C’è un saluto speciale che Gian Carlo Blasini desidera rivolgere ai bisiachi? «Innanzi tutto li ringrazio per avermi festeggiato in occasione dei 30 anni da Notaio. Poi voglio ricordare un antico proverbio locale: pitost de perdar le tradizion, xe mei brusar al paese (piuttosto che perdere le tradizioni è meglio bruciare il paese, ndr)».
Ristorante Al Galeone Via Ponziana 2, MONFALCONE (GO) Tel. 0481 285683
Al Galeone, situato vicino al porto di Monfalcone, nasce dall’idea di un giovane Chef che ha approfittato dell’opportunità di ristrutturare ampi locali e aprire un nuovo ristorante con cucina a base di pesce. La proposta della cucina prevede variazione mensile, piatti semplici ma ben curati, ispirati principalmente ai prodotti locali come il pescato fresco dell’Alto Adriatico. L’offerta si adatta volentieri a richieste speciali spaziando su tutta la cucina tradizionale italiana, disponibili prodotti per celiaci. È possibile creare piatti o menù completi su ordinazione, specialmente per celebrazioni ed eventi. Il ristorante è disponibile a offrire un servizio di catering per feste da svolgersi presso la terrazza panoramica del vicino Sam Hotel. Il Capitano e l’Ammiraglio vi aspettano a bordo!
Emiliano Tersigni, la passione per la risto- scorso ottobre il Galeone ha potuto levare le ancore e partire per questa nuova avventura! Ho deciso quindi di collaborare razione quando è scoccata?
«Era con me fin da piccolo: ero attratto dalla preparazione dei piatti nei ristoranti e mi dilettavo a cucinare a casa. Ho scelto subito la scuola alberghiera con indirizzo enogastronomico per imparare il mestiere. A 16 anni ho iniziato a lavorare come apprendista in vari ristoranti, migliorando le competenze in cucina oltre che con lo studio».
con le scuole alberghiere locali per condividere l’esperienza professionale di sala e cucina. Ad oggi il Galeone è presente su tutti i social network ed è possibile interagire con le app mobile per prenotazioni, informazioni e promozioni o offerte estemporanee».
«Terminata la scuola, alla fine della stagione estiva 2017 ho avuto la fortuita opportunità di rilevare un’attività chiusa da tempo e ho deciso di iniziare subito ristrutturando i locali, cercando di creare un’atmosfera unica nella zona, scegliendo arredi eleganti e personale di sala e cucina con ottima esperienza alle spalle. Così dallo Emiliano Tersigni
le. Assieme ai colleghi cerchiamo anche di presentare i piatti in linea con lo stile pittorico e marinaresco del ristorante. Il menù viene cambiato mensilmente e siamo pronti ad accogliere richieste speciali, piatti e menù su ordinazione».
Che tipo di cucina propone all’interno del locale?
«Le specialità sono di pesce, la cucina è semplice ma ben
Quando ha deciso di aprire “Al Galeone”? curata nel rispetto della stagionalità del pescato fresco loca-
Quali sono le specialità della casa?
«Il menù è una specialità studiata nel suo complesso, commisurato per provare anche tutte le portate, con attenzione per le materie prime e tutte le fasi di realizzazione. Proponiamo ad esempio un antipasto misto completo caldo e freddo o degli ottimi gratinati. Tra le paste, oltre le lunghe o le corte, proponiamo spesso gnocchetti e ravioli ripieni. Infine creiamo secondi espressi o serviamo il pescato intero del giorno. I dessert sono fatti in casa».
chef…ame! Lo Chef Emiliano Tersigni suggerisce:
Ravioli Ripieni di Asparago Bianco con Sugo di Scarpena Ingredienti per 4 persone Per la pasta: 200 g farina 00, 100 g semola, 3 uova intere, acqua Per la farcia: 750 g di asparagi bianchi, 1 porro, olio EVO, sale, pepe, vino bianco Per il sugo: 1 kg di scarpena, olio EVO, aglio, sale, pepe, vino bianco 78
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Preparazione Per la realizzazione della pasta per i ravioli disporre la farina a fontana e mettervi l’acqua, le uova e la semola. Mescolare velocemente con una forchetta e impastare energicamente finché la pasta risulta liscia ed elastica, quindi coprirla e farla riposare per 30 minuti. Per il ripieno lavare e mondare gli asparagi e tagliarli a rondelle sottili. In una casseruola preparare un soffritto con l’olio e i porri tritati, salare e pepare quindi aggiungere gli asparagi, sfumare col vino e lasciar cuocere a fuoco lento finché si inteneriscono.
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Stendere la pasta e ricavare due strisce sottili e su una di queste posizionare una dose di ripieno ogni 5-7 cm, quindi coprire con l’altra striscia di pasta e ricavare i ravioli con un copapasta rettangolare. Per il sugo iniziare pulendo e sfilettando la scarpena. Con gli scarti preparare un leggero fumetto in acqua. Preparare un soffritto con olio e aglio in una casseruola, unire i filetti, farli rosolare brevemente a fuoco vivo, aggiungere sale e pepe, quindi sfumare con il vino. Aggiungere un po’ di concentrato di pomodoro e del fumetto. Far cuocere a fuoco lento finché non si ottiene un composto morbido e omogeneo. Bollire i ravioli per 5 minuti in abbondante acqua salata quindi scolarli e saltarli nel sugo e servire subito.
chef…ame!
Lasagne con ortaggi gratinate alla panura profumata Ricetta del Maestro di Cucina Germano Pontoni Preparazione
Mondare gli ortaggi e tagliare a pezzetti separatamente. Tritare il prezzemolo e tritare finemente la cipolla e l’aglio, far rosolare in una casseruola la cipolla con 4 cucchiai di olio, aggiungere metà aglio e iniziare ad aggiungere gli ortaggi partendo dai più duri (carote, sedano): tenere coperto e bagnare di tanto in tanto con brodo vegetale. Con il latte, 200 gr di burro e la farina preparare una besciamella. Quando gli ortaggi saranno cotti e asciutti, aggiungere un cucchiaio di trito di prezzemolo. Togliere e mettere in una bacinella, aggiungere le uova e mescolare bene, aggiungere i 200 gr di Grana e regolare di sale e pepe: dovrà risultare una preparazione cremosa e di giusta densità. Sciogliere il burro rimasto e pennellare il fondo di una pirofila, allargare 3 cucchiai di besciamella e stendere la pasta, allargare 6-7 cucchiai di besciamella e 3-4 cucchiai di farcitura di ortaggi. Questo fino a tre quarti della pirofila. Terminare con la besciamella allargata. Fare una miscela con il Grana, l’aglio rimasto, il prezzemolo, il pane grattugiato e l’olio, cospargere sopra la besciamella, pulire i bordi e far gratinare a 200° per 20 minuti (fino a formare una crosta dorata). Lasciare raffreddare. Riscaldare la polpa di pomodoro con un cucchiaio di olio e insaporire con sale. Tagliare a quadri le lasagne una volta riposate, versare due cucchiai di pomodoro nella base del piatto, appoggiare nel fianco la lasagna e guarnire con foglie verdi di basilico fresco e gocce di olio extravergine di oliva. (Ricettario per Castelnovo del Friuli, “Il gnof Ort”, 2013)
Il mio orto
Un tempo non c’erano i pensionati che, come oggi, per tenersi in movimento o per avere delle verdure “bio” da consumare con devozione in famiglia, si prodigano a lavorare l’orto. All’epoca tutta la famiglia aveva un compito nell’orto: i bambini toglievano le erbe infestanti, il babbo vangava la terra e la preparava per la semina nelle varie stagioni, fino a metterla a riposo in autunno con abbondante concime organico degli animali del cortile, sapientemente conservato o diluito in acqua affinché non fosse troppo forte. Mantenere gli attrezzi sempre in ordine, pulirli, ungerli d’inverno con il grasso del maiale era il compito dei ragazzi più grandi, e poi, con la forca a quattro denti rimuovere la terra per mantenerla morbida per facilitare la crescita delle piantine nate o trapiantate, fino al lavoro della mamma che, con la schiena curvata, seminava o trapiantava quello che in ogni stagione si raccoglieva. Separando e togliendo gli ortaggi meno “belli” e disponendo il tutto nei cesti per portarlo poi al mercato e, con l’economia ottenuta, acquistare il fabbisogno famigliare. Gli ortaggi meno belli o non venduti venivano consumati dalla famiglia. C’era lavoro per tutti nell’orto, anche per la nonna che con sapienza guidava le nostre mani, quelle delle ragazze per affinare in cucina le preparazioni,
Ingredienti per 8 persone -
300 gr di pasta fresca per lasagne 2 carote 2 gambi di sedano 2 cipolle 1 spicchio di aglio 1 barattolo di polpa pronta di pomodoro a cubetti 200 gr di Grana grattugiato 100 gr di coste di bietola 2 zucchini 100 gr di piselli sgusciati 100 gr di fagiolini (cornetti) 1 melanzana 2 litri di latte 250 gr di burro 180 gr di farina 00 2 cucchiai di pane grattugiato 1 bicchiere di olio extravergine di oliva brodo vegetale 2 uova prezzemolo e basilico sale e pepe q.b.
ma anche per insegnare loro il modo migliore per conservare gli ortaggi in ogni stagione. Allora non c’erano i freezer, ma gli ortaggi venivano preparati per poi essere conservati o sotto sale o vinacce o messi nei vasi e sterilizzati in acqua bollente. Allora non lo chiamavo Pontoni “il mio orto”, anzi lo dete- Germano Maestro di Cucina stavo, lo odiavo perché Cell: 347 3491310 spesso per punizione mi Mail: germanoca@libero.it trovavo a togliere l’erba, quando gli altri bambini invece giocavano. Oggi lo ricordo con nostalgia, forse perché è legato ai miei ricordi d’infanzia o perché ora con questa globalizzazione non ci riconosciamo più e le stagioni sono un riferimento secondario. Forse questo declino è iniziato quando da lunario è diventato calendario o da quando abbiamo smesso di educare i nostri figli verso questa economia sommersa del secolo scorso. La moda ritorna ogni 40 o 50 anni: le vacche grasse ogni tanto lasciano lo spazio a quelle magre, e allora ci si rimbocca le maniche convinti che tutto si possa ristabilire. |
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I tuoi eventi su iMagazine!
FOLKLORE
Visita il sito www.imagazine.it, entra nella sezione eventi e segnala direttamente on line le tue iniziative.
Legenda Caffetteria
Afterhour
Birreria
Eventi a tema
Enoteca
Sale convegni
Special drinks
Musica dal vivo/karaoke
Stuzzicheria
Musica da ballo
Vegetariano/biologico/regimi
Happy hour
Cucina carne
Giochi
Cucina pesce
Internet point
Paninoteca
TV satellitare/digitale
Pizza
Giochi e spazi per bambini
Gelateria
Pernottamento
Catering
Buoni pasto
Organizzazione feste
Parcheggio
12-13 / 18-20 maggio ▶ Sapori Pro Loco
Torna nello scenario suggestivo del giardino di Villa Manin il tradizionale appuntamento con l’enogastronomia del Friuli Venezia Giulia, grazie alle specialità realizzate dalle pro loco del territorio. Codroipo (UD). Villa Manin di Passariano. Info: www.saporiproloco.it
ristorante
Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.
25-27 maggio ▶ Terra e Fiume
Specialità enogastronomiche, appuntamenti culturali e solidali, esibizioni bandistiche, sfilata di moda, concerti, raduni e intrattenimenti sportivi per la grande festa di primavera. Cervignano del Friuli (UD). Info: www.prolocerviganano fvg.it
ristorante
e inoltre... 18-20 maggio ▶ Romans Langobardorum
“Alboino, tra storia e mito”. Rievocazione storica. Romans d’Isonzo (GO). Info: www.invictilupi.org
26-27 maggio Sagra dei cjalčons
Degustazione del piatto tipico della Carnia. Pontebba (UD). Località Studena Bassa. Info: www. turismofvg.it
scopri tutti gli eventi in regione su www.imagazine.it
ristorante
Eventi tra gusto e arte. Agli appuntamenti gastronomici si alterneranno mostre, concerti, spettacoli, incontri sportivi ed escursioni. Coinvolti l’intero centro cittadino e diverse location al coperto. San Giorgio di Nogaro (UD). Info: www.itinerannia.org
trattoria
1-3 giugno ▶ Itinerannia
bar
8-10 giugno ▶ Fiera regionale dei Vini
La più antica manifestazione enoica italiana. Previsi concerti, degustazioni, mercatini, corsi di cucina, giochi, spettacoli circensi, attività sportive, visite guidate ed eventi rivolti alle famiglie e ai bambini. Buttrio (UD). Villa di Toppo Florio. Info: www.buri.it
9-10/16-17 giugno ▶ Festa delle erbe di primavera
Degustazioni, convegni e mostre. Forni di Sopra (UD). Info: www.fornidisopra. com
13-17 giugno ▶ Festa del vino
Enogastronomia, spettacoli, concerti. Monfalcone (GO). Info: www.monfalcone.info
L I V E
M U S I C
12 maggio ▶ Simona Molinari
Un viaggio tra le canzoni che hanno caratterizzato la carriera di Ella Fitzgerald intervallato dai brani della cantautrice swing. Per una serata benefica ideata per raccogliere fondi in favore del Burlo Garofolo. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 20.30. Info: www. fondazionelelioluttazzi.it
27 maggio ▶ Vasco Rossi
Parte dal Friuli Venezia Giulia il nuovo tour del Blasco, con un concerto che richiamerà i suoi fan da tutto il triveneto. Una sera di puro rock con i brani di un vero e proprio totem della musica italiana. Lignano Sabbiadoro (UD). Stadio Teghil. Ore 21. Info: www. livenation.it
e inoltre... 25 maggio ▶ The pianists of next generation
Rassegna pianistica. Sacile (PN). Fazioli Concert Hall. Ore 20.45. Info: www.fazioliconcerthall.com
8 giugno ▶ Giovanni Guidi
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“Drive!”. Jazz Trieste. Auditorium Museo Revoltella. Ore 20.30. Info: http://controtempo.org
Ph. Giovanni Gastel
www.imagazine.it
15 giugno ▶ Cesare Cremonini
Prima tappa dei quattro concerti in cui l’artista si esibirà negli stadi italiani (prossime tappe Milano, Roma e Bologna), ripercorrendo con intensità i 18 anni della sua brillante carriera. Lignano Sabbiadoro (UD). Stadio Teghil. Ore 21.30. Info: www.livenation.it
23 giugno ▶ Charles Aznavour
A Palmanova l’unica data italiana del tour mondiale dell’artista francese di origini armene che nella sua carriera ha scritto più di mille canzoni, in sette diverse lingue. Palmanova (UD). Piazza Grande. Info: www.azalea.it
9 giugno ▶ Jim Black e Elias Stemeseder
“Bunky Swirl”. Trieste. Auditorium Museo Revoltella. Ore 20.30. Info: http://controtempo.org
24 giugno ▶ Negramaro
Amore che torni Tour Stadi 2018. Lignano Sabbiadoro (UD). Stadio Teghil. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
CLASSIC ARTS
3-20 maggio
▶ Il sogno di un uomo ridicolo
Un uomo solitario che riflette sulle ragioni per cui si è sempre sentito estraneo alla società. Più volte ha accarezzato l’idea del suicidio ed ora, a 46 anni, decide di mettere in pratica il proposito. Ma… Trieste. Politeama Rossetti. Orari diversi. Info: www. ilrossetti.it
18 maggio
▶ Funhouse
Sei personaggi uniti, assieme ad altre 44.000 persone, da un unico sconcertante obiettivo: raggiungere la più grande convention di attori e comparse che abbiano mai preso parte a uno spot di Mc Donald. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45. Info: www.teatroudine.it
e inoltre... 14 maggio ▶ Perlasca. Il coraggio di dire no
Di e con Alessandro Albertin. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 20.30. Info: www.ilrossetti.it
21 maggio ▶ Cinquanta sfumature di Friulano
Con Caterina “Catine” Tommasulo. Gorizia. Kulturni Dom. Ore 20.30. Info: www.kulturnidom.it 84
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w w w.im agazi ne.i t
25 maggio – 3 giugno
▶ L’italiana in Algeri
Opera. La musica di Gioachino Rossini trascina il pubblico nell’emozionante viaggio in due atti di questo dramma giocoso diretto da George Petrou. Trieste. Teatro Verdi. Orari diversi. Info: www.teatroverdi-trieste.com
29 giugno – 7 luglio
▶ ShorTs
Diciannovesima edizione del festival internazionale di cortometraggi. Nella sezione Maremetraggio in palio il prestigioso premio da 5.000 euro assegnato da una giuria selezionata. Trieste. Teatro Miela e centro città. Info: www.maremetraggio.com
9 giugno ▶ Orchestra del Teatro Mariinsky
Direzione di Valery Gergiev. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45. Info: www.teatroudine.it
9-17 giugno ▶ Le giornate della luce
Festival sugli Autori della Fotografia del nostro tempo. Spilimbergo (PN). Info: www.legiornatedellaluce.it L’INFORMAFREEMAGAZINE
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S PO R T
19-20 maggio ▶ Giro d’Italia
Per due giornate la corsa in rosa attraverserà le strade del Friuli Venezia Giulia. Sabato la partenza da San Vito al Tagliamento con arrivo in cima allo Zoncolan, domenica da Tolmezzo a Sappada. San Vito al Tagliamento (PN). Info: www.giroditalia.it
25-27 maggio ▶ Verzegnis – Sella Chianzutan
Gara automobilistica internazionale di velocità in salita. Si correrà sulla strada provinciale 1 della Val d’Arzino nel comune di Verzegnis per 5,640 km, nel comprensorio della Carnia. Verzegnis (UD). Info: www.scuderiafriuli.com
15 giugno ▶ Marathon Collio-Brda Cup
Trofeo transfrontaliero di mountain bike con un circuito di quattro prove a Cormòns e nei territori limitrofi. Prevista anche uno spettacolare tratto in notturna. Cormòns (GO). Info: www.colliobiketeam.it
24 giugno ▶ Campionati italiani di Corsa in montagna
Nell’occasione, saranno assegnati circa 20 titoli italiani master oltre all’assegnazione dei tricolori di società master maschili e femminili. Si correrà sull’Altopiano. Aviano (PN). Info: www.piancavallo.run
e inoltre...
10-13 maggio ▶ Biker Fest
1-3/8-10 giugno ▶ Concorso Ippico Internazionale
19-20 maggio ▶ Rally Piancavallo
10 giugno ▶ Piston Cup
Raduni, gare ed esibizioni moristiche. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: www.bikerfest.it 32^ edizione dell’evento motoristico. Aviano (PN). Località Piancavallo. Info: www.kniferacing.it
Completo di attacchi dedicato alle carrozze. Palmanova (UD). Info: www.comune.palmanova.ud.it Automobilismo. Prova di regolarità. Gorizia. Kartodromo di Sant’Andrea. Info: www.gasclub.org L’INFORMAFREEMAGAZINE
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MEETING
10-13 maggio ▶ Vicino/lontano
18-20 maggio ▶ Terminal
14-20 maggio ▶ èStoria
30 giugno – 2 luglio ▶ In/visible cities
Incontri e approfondimenti per il festival culturale udinese che avrà nella serata del 12 maggio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine il momento clou con la consegna del Premio Terzani a Domenico Quirico. Udine. Info: www.vicinolontano.it
Quattordicesima edizione del festival internazionale della storia, incentrato quest’anno sul tema delle migrazioni. In programma presentazioni, dibattiti, approfondimenti e conferenze. Gorizia. Info: www.estoria.it
Tre giorni di spettacoli, musica, teatro, danza, circo contemporaneo per entrare in contatto con artisti internazionali che faranno rivivere lo spazio urbano. Udine. Piazza Venerio. Info: www.terminal-festival. com
Festival della multimedialità urbana. Cormòns e i suoi spazi visti attraverso il connubio tra arte e tecnologia, emozioni e innovazioni che la renderanno un palcoscenico aperto e diffuso. Cormòns (GO). Info: http://invisiblecities.eu
e inoltre... 12-13/19-20 maggio ▶ Design Zone
Festival internazionale del design contemporaneo. Duino-Aurisina (TS). Porto Piccolo. Info: www. portopiccolosistiana.it
18-20 maggio ▶ #Pordenoneviaggia
Festival del viaggio e dei viaggiatori. Pordenone. Info: www.pordenoneviaggia.it
1-17 giugno ▶ Risonanze
Mostre tematiche e percorsi nella natura. Malborghetto Valbruna (UD). Info: www.risonanzefestival.com
5-9 giugno ▶ Festival del Giornalismo
Incontri e presentazioni editoriali. Ronchi dei Legionari (GO). Info: www.festivaldelgiornalismoronchi.wordpress.comt L’INFORMAFREEMAGAZINE
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F U O R I
R E G I O N E
T R E V I S O 7-13 maggio
▶RADUNO NAZIONALE DEI BERSAGLIERI 66^ edizione in una ricorrenza speciale: i cento anni dalla conclusione della Prima guerra mondiale, evento bellico in cui i bersaglieri ricoprirono un ruolo fondamentale dal punto di vista strategico. San Donà di Piave. Info: www.66radunobersaglieripiave2018.it 11-20 maggio
▶SAGRA DELLE ROSE Grande evento della primavera trevigiana con stand enogastronomici, musica dal vivo, esposizioni storiche in ricordo delle due guerre mondiali. Oltre all’immancabile concorso e premiazione delle rose più belle. Treviso. Località Monigo. Info: 339 8045380 26-27 maggio
▶MOSTRA DI MODELLISMO STATICO E DINAMICO Treni, aerei, navi, mezzi di locomozione: due giornate di dimostrazioni ed esposizioni per ammirare modelli unici provenienti da tutta Italia e dall’estero. Spresiano. Info: 339 8614543 2-3 giugno
▶TERRA TREVISO Festival enogastronomico che raccoglie alcuni tra i più rinomati produttori e consorzi della Marca. Gli accostamenti dei prodotti e il loro utilizzo nei piatti tipici della tradizione per provare un’esperienza completa dei sapori trevigiani. Treviso. Info: www.terratreviso.wordpress.com Fino al 3 giugno
▶RODIN. UN GRANDE SCULTORE AL TEMPO DI MONET Mostra conclusiva delle celebrazioni per il primo centenario della scomparsa di Auguste Rodin (1840 – 1917), che completa così il programma di grandi esposizioni, allestite anche a Parigi e a New York. Treviso. Musei Civici. Info: www.museicivicitreviso.it Fino al 3 giugno
▶ARTURO MARTINI. CAPOLAVORI DEL MUSEO LUIGI BAILO Su due piani, il Museo Bailo (che legittimamente potrebbe chiamarsi Museo Martini) dipana quasi 140 opere fra terrecotte, gessi, sculture in pietra, bronzi, opere grafiche, pitture e ceramiche del grande maestro. Treviso. Museo Bailo. Info: www.trevisoinfo.it Fino al 24 giugno
▶TEODORO WOLF FERRARI LA MODERNITÀ DEL PAESAGGIO La rassegna, curata da Giandomenico Romanelli con Franca Lugato, si pone come obiettivo di indagare alcuni aspetti fondamentali, ma meno conosciuti, della storia dell’arte italiana. Conegliano. Palazzo Sarcinelli. Info: www.exibart.com
F U O R I
R E G I O N E
V E N E Z I A 12-13 maggio
▶FESTA DELLA SENSA Rievocazione che più di ogni altra fa rivivere la millenaria storia della Serenissima Repubblica di Venezia, il suo intimo rapporto con il mare e la pratica della voga alla veneta. Venezia. Info: www.events.veneziaunica.it 14 maggio
▶EMMA Data zero del nuovo Essere Qui Tour 2018. La star di “Amici” parte dal Veneto per una serie di concerti che la vedranno protagonista nei principali palazzetti d’Italia. Jesolo. Palazzo dei Congressi. Ore 21. Info: www.azalaea.it 20 maggio
▶VOGALONGA 44^ edizione della manifestazione sportiva ludico-motoria amatoriale, non competitiva, che si svolge nel contesto della laguna di Venezia su un tracciato di circa 30 chilometri. Venezia. Info: www.vogalonga.com Fino al 31 maggio
▶KATERINA ŠEDÁ AS A UFO La mostra a cura di Andrea Lerda anticipa la partecipazione di Kateřina Šedá alla prossima edizione della Biennale di Architettura di Venezia, occasione in cui l’artista sarà protagonista del Padiglione della Repubblica Ceca e Slovacca. Venezia. Galleria Rizzo. Info: www.galleriamichelarizzo.net Fino al 10 giugno
▶JOHN RUSKIN. LE PIETRE DI VENEZIA Per la prima volta in Italia, un evento internazionale punta i riflettori su Ruskin-artista e sul suo rapporto con la città lagunare. Venezia. Palazzo Ducale. Info: www.palazzoducale.visitmuve.it Fino al 17 giugno
▶CRUOR SANGUE SPARSO DI DONNE L’esposizione di Renata Rampazzi presenta un’installazione inedita dell’artista ispirata al tema della violenza sulle donne. Venezia. Fondazione Cini. Info: www.cini.it Fino al 17 giugno
▶GIACOMO QUARENGHI PROGETTI ARCHITETTONICI In occasione del bicentenario della morte, le Gallerie dell’Accademia propongono una mostra dedicata agli elaborati architettonici riferibili all’autore bergamasco appartenenti alle loro collezioni. Esposti circa cento disegni. Venezia. Gallerie dell’Accademia. Info: www.gallerieaccademia.org
O L T R E
C O N F I N E
C R O A Z I A 21-27 maggio
▶DANCESTAR WORLD FINALS Più di 5.000 tra i migliori ballerini al mondo si sfideranno nelle finali internazionali dopo esservi giunti superando le selezioni effettuate nei rispettivi Paesi. I 20 finalisti saranno protagonisti della Gala Night. Parenzo. Info: www.dancestar.org 25-26 maggio
▶FESTIVAL DEI GIGANTI “Le giornate di Veli Jože“ a Montona sono dedicate ai giganti istriani e a tutti gli altri personaggi fantastici nati dalla fervida fantasia dell’uomo. Cinema, teatro e laboratori per bambini. Montona. Info: info@istria-motovun.com 26-27 maggio
▶DVIGRAD OUTDOOR WEEKEND Gare di trekking e trail che variano dalle più semplici specialità di orienteering ai 40 km della categoria Ultra. Competizioni aperte sia a corridori esperti che a semplici appassionati. Canfanaro. Info: www.dvigradtrek.srk-alba.hr 7-10 giugno
▶BEACH POLO CUP Le competizioni si svolgeranno sulle rive settentrionali di Rovigno, vicino al Porton Biondi in cui verrà installata l’arena. In centro città invece la grande festa con concerti e spettacoli. Rovigno. Info: www.croatiapolo.com 9-17 giugno
▶JUDO FESTIVAL Per dieci giorni atleti giovanili e seniores provenienti da tutta la Croazia si ritrovano a Parenzo per un meeting che prevede incontri e stage di alto livello. Parenzo. Info: www.judofestival.com 14-17 giugno
▶STAAARI ROKERI Uno dei più grandi motoraduni della regione, che registra sempre un grande successo di pubblico, si appresta anche quest’anno a inaugurare la stagione in modo frenetico e rumoroso. Umago. Info: + 385 98 254 416 16-17 giugno
▶SUPER SURFERS CHALLENGE Gara internazionale di stand up paddle della categoria Elite, nonché della gara croata nell’ambito del CRO SUP Tour. I surfer più esperti si cimenteranno in una regata lunga 14 km. Torre. Info: www.surfmania.net
9-12 maggio
▶WÖRTHERSEETREFFEN Raduno GTI a Reifnitz sul lago Wörthersee: tra esposizioni d’auto, concerti live e spettacoli dal vivo, quattro giorni ad alto tasso di adrenalina. Reifnitz. Info: https://woertherseetreffen.at 19-24 maggio
▶TOUR DE KAERNTEN Sei tappe di ciclismo nella Carinzia centrale, con lunghezze tra 54 e 122 km e fino a 2.100 metri di altitudine al giorno. Per un percorso complessivo di 360 km di lunghezza totale. Ossiach. Info: http:// tourdekaernten.at 26 maggio
▶SWIMANIAK Per gli appassionati di nuoto un evento che mette alla prova la velocità e la resistenza dei partecipanti, tutti in azione nelle acque del lago Klopein. Klopeinersee. Info: www.klopeinersee.at
O L T R E C A R I N Z I A 2-3 giugno
▶SPECK FEST Festa gastronomica in cui sarà possibile degustare le migliori qualità di speck del Gailtal. Numerosi eventi collaterali: dai concerti alle escursioni. Hermagor. Info: www. speckfest.at 22-24 giugno
▶EUROPA CUP Torneo internazionale di calcio a 5 amatoriale aperto agli appassionati di ogni stato e di ogni età. Oltre alle partite, in programma anche eventi musicali e gastronomici. Millstätter See. Info: www.europacup.at 1 luglio
▶IRONMAN AUSTRIA TRIATHLON Una delle gare ufficiali “Ironman” del mondo. Il programma sportivo davvero eroico è riservato agli oltre 2.800 atleti iscritti, provenienti da 5 continenti (3,8 km a nuoto, 180 km in bici, 42 km di corsa). Wörthersee. Info: www.ironman.com
C O N F I N E S L O V E N I A 11-19 maggio
▶SETTIMANA DELLA GIOVENTÙ Danze, concerti, attività sportive, spettacoli all’aria aperta, saranno gli ingredienti principali di un menù artistico e culturale rivolto in primis alle giovani generazioni. Kranj. Info: www.visitkranj.com 16-20 maggio
▶RACE AROUND SLOVENIA Con i suoi 1.200 km di tracciato, di cui molti in salita, la corsa riservata agli specialisti delle ultra maratone ciclistiche rappresenta il proscenio ideale per prepararsi alla famosa Race Around America. Postumia. Info: www.racearoundslovenia.si 17-19 maggio
▶JAZZ CERKNO FESTIVAL Concerti ma anche workshop, incontri e conferenze per una tre giorni dedicata a 360 gradi al mondo del jazz e delle sue contaminazioni con altri generi musicali: dalla classica all’elettronica, passando per il rock. Cerkno. Info: www.jazzcerkno.si 18-20 maggio
▶VINSKA VIGRED WINE FESTIVAL Dalle degustazioni dei vini del territorio a quelle delle specialità enogastronomiche di tutta la Slovenia, un evento capace di abbinare il piacere per il buon cibo alla purezza della natura. Metlika. Info: www.metlika-turizem.si 26-27 maggio
▶ROSE & ROSÉ FESTIVAL Nel Giardino delle rose sarà possibile assaporare i migliori vini rosati, gli spumanti e altre prelibatezze arricchite con l’aroma delle rose, con il sottofondo di musica jazz & blues. Portorose. Info: www.slovenia.info 27 maggio
▶A PASSEGGIO NELLA BRDA Un’intera giornata all’aria aperta tra natura e attività fisica, in marcia tra le colline del Collio sloveno, con soste mirate nelle aziende agricole del territorio. Brda. Info: www.brda.si 2 giugno
▶TRIATHLON ISTRIA CUP Dalla categoria sprint (750 m nuoto/ 20 km bici/ 5 km corsa) a quella olimpica e a staffetta (1,5 km nuoto/ 40 km bici/ 10 km corsa): un evento agonistico aperto a tutti. Capodistria. Info: www.sd3sport.com
F 21-23 GIUGNO Viale della Fiera, 20 BOLOGNA Tel 051 282111 www.bolognafiere.it
▶PITTI IMMAGINE BIMBO
Collezioni abbigliamento e accessori 0/18 anni, premaman
▶SMAU BOLOGNA
Information & Communication Technology per Imprese e Pubbliche Amministrazioni
GENOVA Tel 010 53911 www.fiera.ge.it
7-8 GIUGNO
12-13 MAGGIO
Salone Internazionale della Ricerca Industriale
E
R
E
29 MAGGIO – 1 GIUGNO
Ipack-Ima Industria del packaging Fieramilano
Piazzale J. F. Kennedy, 1
▶GIZMARK
Fiera dell’elettronica e dell’informatica
Salone Internazionale delle Materie Plastiche e della Gomma Fieramilano
29 MAGGIO – 1 GIUGNO ▶INTRALOGISTICA ITALIA
Logistica e materiali di supporto Fieramilano
6-9 GIUGNO ▶VENDITALIA
Cremona Fiere s.p.a. Piazza Zelioli Lanzini, 1 CREMONA Tel 0372 598011 www.cremonafiere.it
25-27 MAGGIO ▶SALONE DEL CAVALLO AMERICANO
Esposizioni e gare
Fieramilanocity Piazzale Carlo Magno 1 MILANO Fieramilano Strada statale del Sempione 28 RHO Tel 02 49971 www.fieramilano.it
7-10 MAGGIO ▶SEEDS & CHIPS via della Fiera, 11 FERRARA Tel 0532 900713 www.ferrarafiere.it
13 MAGGIO ▶MOSTRA CINOFILA
Esposizione di bellezza
Innovazioni globali in campo alimentare Fieramilanocity
8-12 MAGGIO ▶XYLEXPO
Tecnologie del legno e delle forniture per l’industria del mobile Fieramilano
Piazza Adua, 1 FIRENZE Tel 055 49721 www.firenzefiera.it
10-12 MAGGIO ▶FLORENCE CREATIVITY
Fatto a mano in Italia 12-15 GIUGNO ▶PITTI IMMAGINE UOMO
Collezione abbigliamento e accessori moda maschile e Collezione Donna
17-19 MAGGIO ▶TECHNOLOGY HUB
Nuove tecnologie
Fieramilanocity
18-21 MAGGIO
Mostra internazionale della distribuzione automatica Fieramilanocity
10-12 LUGLIO ▶MILANO UNICA
Salone italiano del tessile Fieramilano
29 MAGGIO – 1 GIUGNO ▶PRINT4ALL
Il mondo della stampa ha una nuova prospettiva Fieramilano
Automazione elettrica, sistemi e componenti
Viale Treviso 1 PORDENONE Tel 0434 23 21 11 www.fierapordenone.it
5-6 MAGGIO ▶NORD EST COLLEZIONA
Collezionismo militare, convegno filatelico numismatico, minerali e bigiotteria 20 MAGGIO ▶NAONISCON
Convention di giochi e fumetti 14-17 GIUGNO
▶EASY FISH
Festival del Pesce dell’Alto Adriatico Lignano Sabbiadoro
21-24 GIUGNO ▶ITALIAN BAJA Via N. Tommaseo, 59 PADOVA Tel 049 840111 www.padovafiere.it
12-20 MAGGIO ▶FIERA CAMPIONARIA
18-19 MAGGIO ▶TED X PADOVA
Tecnologia, intrattenimento, design
Esposizioni di fuoristrada e accessori
Via Rizzi, 67/a PARMA Tel 0521/9961 www.fiereparma.it
Via Filangeri, 15 REGGIO EMILIA Tel 0522 503511 www.fierereggioemilia.it
26 MAGGIO ▶MOSTRA MERCATO DEL FUMETTO
Salone internazionale dell’alimentazione
Fiera dell’industria dentale italiana
31 MAGGIO – 3 GIUGNO ▶RIMINI WELLNESS
Fitness, benessere e sport 22 GIUGNO – 1 LUGLIO
▶GINNASTICA IN FESTA
Viale del Lavoro, 8 VERONA Tel 045 8298111 www.veronafiere.it
4-6 MAGGIO ▶VERONA LEGEND CARS
Fiera delle auto d’epoca 15-17 MAGGIO
▶AUTOMOTIVE DEALER DAY
Informazioni, strategie e strumenti per la commercializzazione automobilistica
Fiera internazionale del vaping 25-27 MAGGIO
▶VERONA MINERAL SHOW
Fiera internazionale di minerali, fossili e preziosi 25-27 MAGGIO ▶VERONAFIL
Via Emilia, 155 RIMINI Tel 0541 744111 www.riminifiera.it
6-8 MAGGIO ▶MIR
Innovazioni tecnologiche della luce e del suono
7-10 MAGGIO ▶CIBUS
17-19 MAGGIO ▶EXPODENTAL MEETING
19-21 MAGGIO
8-9 GIUGNO
Salone della solidarietà e dell’economia sociale e civile
ortofrutticola
▶VAPITALY
▶CIVITAS
▶CHIBIMART
Salone internazionale degli accessori da moda Fieramilanocity
22-24 MAGGIO ▶SPS IPC DRIVES
29 MAGGIO – 1 GIUGNO ▶PLAST
7-8 GIUGNO
▶R2B
I
9-11 MAGGIO ▶MACFRUT
Fiera della filiera
Manifestazione filatelica, numismatica, cartofila
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3 maggio Buon compleanno Graziana! Cesare, Marina, Elisa, Riccardo, Mattia, Andrea 9 maggio Tanti auguri Nick!
Cinzia 14 maggio Tanti auguri Luca
papà Stefano 17 maggio Buon compleanno Claudio!
Lo staff di iMagazine 25 maggio Tanti auguri Damiano!
Lo staff di iMagazine 27 maggio Tanti auguri Luigi! Eva, Alexandra, Stefano, Manuel 30 maggio Buon compleanno Eva!
Stefano e fans! 20 giugno Auguri Fabio!
Stefano 20 giugno Buon anniversario Marina!
Andrea 29 giugno Tanti auguri Vanni!
Lo staff di iMagazine 29 giugno Buon compleanno Paola!
Luca, Marta, Stefano Mandaci entro il 1º giugno i tuoi auguri per le ricorrenze di luglio e agosto! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).
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marzo-aprile 2015
FARMACIE DI TURNO
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Fonte: Federfarma Gorizia e Udine
AL PONTE via Don Bosco 175 Gorizia, tel. 0481 32515 ALESANI via Carducci 40 Gorizia, tel. 0481 530268 BALDINI corso Verdi 57 Gorizia, tel. 0481 531879 COMUNALE 1 via San Michele 108 Gorizia, tel. 0481 21074 COMUNALE 2 via Garzarolli 154 Gorizia, tel. 0481 522032 D’UDINE piazza San Francesco 5 Gorizia, tel. 0481 530124 MARZINI corso Italia 89 Gorizia, tel. 0481 531443 MADONNA DI M. via Udine 2 Lucinico, tel. 0481 390170 PROVVIDENTI via Oberdan 3 Gorizia, tel. 0481 531972 TAVASANI corso Italia 10 Gorizia, tel. 0481 531576 TRAMONTANA via Crispi 23 Gorizia, tel. 0481 533349 FARO via XXIV Maggio 70 Brazzano, tel. 0481 60395 STACUL via F. di Manzano 6 Cormons, tel. 0481 60140 LUZZI via Matteotti 13 Cormons, tel. 0481 60170 ROJEC via Iº Maggio 32 Savogna d’Is., tel. 0481 882578 PIANI via Ciotti 26 Gradisca d’Is., tel. 0481 99153 BACCHETTI via Dante 58 Farra d’Is., tel. 0481 888069 CINQUETTI via Manzoni 159 Mariano d. Fr., tel. 0481 69019 MORETTI via Olivers 70 Mossa, tel. 0481 80220 LAZZARI via Petrarca 15 Moraro, tel. 0481 80335 DELLA TORRE via Latina 77 Romans d’Is., tel. 0481 90026 SORC piazza Montesanto 1 S. Lorenzo Is., tel. 0481 80023 LABAGNARA via Monte Santo 18 Villesse, tel. 0481 91065
TRESCA via XXIV Maggio 1 Aiello d. F., tel. 0431 99011 CORRADINI c.so Gramsci 18 Aquileia, tel. 0431 91001 SORANZO via Vittorio Veneto 4 Bagnaria Arsa, tel. 0432 920747 RUTTER c.so Marconi 10 Campologo Tapogliano, tel. 0431 999347 COMUNALE via Monfalcone 7 Cervignano d.F., tel. 0431 34914 SAN ANTONIO via Roma 52/1 Cervignano d.F., tel. 0431 32190 LOVISONI p.zza unità 27 Cervignano d.F., tel. 0431 32163 DEBIASIO via Gramsci 55 Fiumicello, tel. 0431 968738 MONEGHINI via Roma 15/A Ruda, tel. 0431 99061 SATTI via 2 Giugno 4 Terzo d’Aquileia, tel. 0431 32497 GRIGOLINI p.zza del Popolo 2 Torviscosa, tel. 0431 92044 SANTA MARIA via San Antonio Villa Vicentina, tel. 0431 967263 FLEBUS via Montello 13 Visco, tel. 0432 997583 FAVARO via Roma 48 S. Vito al Torre, tel. 0432 997445 FACINI borgo Cividale 20 Palmanova, tel. 0432 928292 LIPOMANI borgo Aquileia 22 Palmanova, tel. 0432 928293 MORANDINI piazza Grande 3 Palmanova, tel. 0432 928332 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 CORAZZA via Buonarroti 10, Capriva del Friuli, tel 0481 808074 RAJGELJ CHIARA via Scuole 9, Medea, tel 0481 67068
COMUNE DI GORIZIA Dati: N.P.
Recapiti: 0481 383276, www.comune.gorizia.it
COMUNE DI VILLESSE
Abitanti: 1.689
(dati Anagrafe feb 2018) nati 0, deceduti: 2, immigrati: 3, emigrati: 8, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 91026, www.comune.villesse.go.it
COMUNE DI MOSSA Dati: N.P.
Recapiti: 0481 80009, www.comune.mossa.go.it
COMUNE DI MEDEA Dati: N.P.
Recapiti: 0481 67012, www.comune.medea.go.it
COMUNE DI GRADISCA D’ISONZO Dati: N.P.
Recapiti: 0481 967911, www.comune.gradisca-d-isonzo.go.it
07-13
30-06
23-29
16-22
09-15
02-08
GIUGNO
26-01
19-25
12-18
05-11
MAGGIO
Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate.
COMUNE DI CERVIGNANO DEL FRIULI Abitanti: 13.853
(dati Anagrafe gen-feb 2018) nati 10, deceduti: 34, immigrati: 86, emigrati: 90, matrimoni: 1 Recapiti: 0431 388411, www.cervignanodelfriuli.net
COMUNE DI FARRA D’ISONZO Abitanti: 1.715
(dati Anagrafe dic 2017) nati 1, deceduti: 1, immigrati: 2, emigrati: 5, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 888002, www.comune.farra.go.it
COMUNE DI MARIANO DEL FRIULI Dati: N.P.
Recapiti: 0481 69391, www.comune.marianodelfriuli.go.it
COMUNE DI S. LORENZO ISONTINO Abitanti: 1.545
(dati Anagrafe feb-mar 2018) nati 1, deceduti: 4, immigrati: 17, emigrati: 5, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 80026, www.comune.sanlorenzoisontino.go.it
COMUNE DI CORMÒNS
Abitanti: 7.338 (dati Anagrafe feb 2018) nati 5, deceduti: 10, immigrati: 8, emigrati: 12, matrimoni: 3 Recapiti: 0481 637111, www.comune.cormons.go.it
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marzo-aprile 2012
maggio-giugno 2015
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G - F O RI FLO ISO ARRA ZIA- ED G N I RO RIAN TINOCD’ISO RADI ZION MA O D - EC NZ SC E P A R NS EL ORVCEO - D ER D’I COL MIOGRMO ’ISO LE SO LI NGNS VIRA NZ FA NZ O - O-ADNGRO O M 32794|/2 O - M ROLIONA- M - CA IGL 011 VIL ARI EZGDI NO PR IE 082 LES AN NAEA LOSSA IVA DI SE O D DEFLRD-ESA DE - CE EL COI LN L F RV FRIU ULLLI FLROR RIU IGN LI OI- IEUN LI AN - M SAN LZO O D EDE I . F. A -
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FIFA WORLD CUP 2018 Pozitivno navijanje Vsaj ne bomo videli poraza Italije
FUBALL-WELTMEISTERSCHAFT 2018 Positive Fans. - Zumindest werden wir Italien nicht verspielen sehen.
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018 D CUP 2a. L R O W FIFA seria positiv a perdere. Tifo remo l’Itali on ved n Almeno
FIFA WORLD CUP 2018 tifosi positivi - Almeno no vardemo l’Italia perder
FIFA WORLD’S CUP 2018 Tifoseria positiva. Almeno no vedaremo l’Italia perdar.
FIFA WORLD CUP 2018 Passion sportive positive. Almancul no viodarìn pierdi la Italie.
Per le traduzioni si ringrazia: Irene Devetak (sloveno), Isa Dorigo - Regjon autonome FVG Servizi lenghis minoritariis (friulano), Andrea Coppola Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).
VIA PONZIANA 2 - MONFALCONE
NUOVA APERTURA
TEL. +39 0481 285683
ristorantegaleone@yahoo.com