E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 63 – anno XI numero 4 luglio-agosto 2016 ISSN 1828-0722 Editore
GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Redazione Giuliana Dalla Fior, Vanni Veronesi Area commerciale Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori, Stefano Vascotto Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Stefano Caso, Claudio Pizzin, Daniel Blasina, Germano De March, Paolo Marizza, Vanni Feresin, Renzo Bellogi, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Andrea Tessari, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Giuliana De Stefani, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Mauro Cozzutto Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Francesco Ferla Credits sommario :: Trygg S. Heli :: :: Gian Maria Musarra :: :: Igino Durisotti :: :: Maurizio Mattiuzza :: :: Alberto V. Spanghero :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo l’informa srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.
Cari lettrici e lettori, le convulse giornate che sono seguite al referendum sulla Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea) hanno messo in risalto criticità molto preoccupanti che i mass media stanno sottovalutando da tempo e che, come dimostra la trattazione delle notizie post voto, continuano a sottovalutare. In questo caso l’economia centra marginalmente, così come il risultato della consultazione elettorale. Il problema principale, infatti, non è dato dal fatto che abbia vinto un fronte piuttosto che un altro. Il fattore più allarmante riguarda la capacità delle leadership politiche di comprendere ciò che accade attorno a loro e, conseguentemente, di indirizzare le scelte verso gli orizzonti migliori per il proprio popolo. I contorni della Brexit, in tale contesto, stanno invece assumendo risvolti imbarazzanti. I governanti inglesi non solo si sono dimostrati totalmente impreparati nella gestione della macchina referendaria, ma non avevano nemmeno ipotizzato un piano in caso di vittoria della fronda anti UE, peraltro ampiamente preannunciata da mesi dai sondaggi. Ma se Sparta piange, Atene non ride. Nel caso specifico, Bruxelles. Le continue voci discordanti sulla gestione della vicenda provenienti dalle massime istituzioni dell’Unione Europea (con la lapalissiana conclusione: “Dobbiamo decidere con urgenza, ne riparliamo a settembre”) dimostrano – purtroppo ancora una volta – il marasma gestionale della politica continentale. O forse, più semplicemente e drammaticamente, la clamorosa incapacità di una classe dirigente di comprendere le necessità dei cittadini e, soprattutto, di possedere una visione di prospettiva per il futuro della società. Di fatto, il motivo principale per il quale, dalla notte dei tempi, la classe dirigente stessa esiste. Sia essa rappresentata da un tiranno o da un monarca, dall’aristocrazia o dall’oligarchia, il suo compito è da sempre quello di garantire il soddisfacimento dei bisogni vitali della popolazione. Ogni volta che ciò è venuto meno, la storia insegna, la classe dirigente è stata regolarmente spazzata via dal popolo. Ecco perché, oggi più che mai, i governanti che affermano di volerci guidare nel futuro dovrebbero tentare di comprendere il presente analizzando quanto accaduto nel passato. E possibilmente senza perdere altro tempo. Il prossimo banco di prova – a proposito di corsi e ricorsi storici – è atteso dietro l’angolo: primavera 2017, elezioni presidenziali in Francia. Proprio là dove, oltre 200 anni fa, le fondamenta istituzionali europee furono rivoluzionate in maniera ineluttabile. La convinzione di poter vivere nei propri palazzi dorati incurante delle sofferenze della popolazione fu un errore mortale per la nobiltà di allora. Evitare di ripeterlo in questa turbolenta contemporaneità sarebbe la prima grande vittoria di una classe dirigente pericolosamente in bilico su stessa. Non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion
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gennaio-febbraio 2008
| L’INFORMAFREEMAGAZINE
Lo scorso 20 maggio ho potuto assistere alla diretta della tappa del Giro d’Italia attraverso il vostro maxischermo posizionato a Cividale del Friuli: desideravo farvi i complimenti per l’iniziativa. Per chi come me era giunto nei pressi dell’arrivo già di prima mattina, poter assistere alla diretta nazionale dell’intera tappa su un maxischermo a così alta definizione è stato un piacere assoluto. Romano De Giorgi Udine Ottime le pizze presso “Alla Fonda”. Francesco Medici Savogna d’Isonzo Da GM Pub i panini sono davvero ottimi, così come la scelta delle birre. Il gestore poi è super simpatico! Michele Offreno Trieste Di Discoop segnalo la completezza dell’offerta e la logistica del negozio. Jasper Van der Salm Trieste La dottoressa della Farmacia Bacchetti è molto competente e gentile. Giada Rossi Gorizia I punti di forza di L’Idea sono la simpatia e… buone idee. Presso L’Officina delle Erbe ho trovato competenza e gentilezza, così come gentili e tempestivi si sono rivelati da CIMEF. Di Geotherm posso affermare che sono professionali e competenti. Alessio Pulghini Cervignano del Friuli
Da imprintaonline.it ho ricevuto un servizio super veloce e professionale: mi sono recata per la stampa della tesi di laurea e, nonostante la mia agitazione, il personale è stato gentilissimo ad aiutarmi nella scelta delle soluzioni migliori. Marta Serli Trieste Anche quest’anno mio nipote ha ricevuto la sua copia dell’Annuario scolastico. Vedere i volti di tutti questi giovani mi commuove sempre: perché nonostante le difficoltà di questo mondo, loro rappresentano la nostra speranza e il nostro futuro. Grazie per questo dono che è ormai diventato una tradizione irrinunciabile: sono convinta che tutti gli studenti, quando saranno grandi, sfogliandolo proveranno una grande gioia. Carla Furlan Gorizia Da Miniussi oltre all’ottimo pane, i dolci sono davvero gustosi e speciali. Mirta Cosulich Monfalcone Da La Napa le consegne delle pizze sono molto veloci. Elisa Giacomello Trieste Segnalo la disponibilità dimostrata dalla titolare di Yamamay e l’ottimo ambiente trovato presso A modo mio, dove tutto lo staff si è dimostrato cordiale. Sempre ben disponibili verso la clientela anche da Bertossi. Giorgio Coppe Monfalcone Da Joia il servizio è impeccabile e il ristorante curato. La rapidità del personale è un punto di forza di Alla Fonda. Da Stile ho trovato una vasta scelta di oggettistica per la casa e la persona in un negozio ottimamente arredato e con personale estremamente gentile. Marina Biancotto Cervignano del Friuli
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Manuel Fierro, co-titolare delle pizzerie “Alla Fonda” e “La Napa” a Trieste Manuel Fierro, quando è nato il progetto della pizzeria “Alla Fonda”? «Nel luglio del 2014: da tempo, assieme a mio fratello Stefano, eravamo alla ricerca di un locale con uno spazio aperto per offrire un nuovo servizio ai nostri clienti, non disponendo la pizzeria “La Napa” di uno spazio esterno. Unitamente a ciò ho sempre avuto la passione per il mare. Manuel Fierro, co-titolare assieme al fraCon questo locale abbiamo co- tello Stefano, di “La Napa” e “Alla Fonda” niugato tutte le nostre ricerche». La sua famiglia vanta un’esperienza cinquantennale nel mondo della ristorazione: cosa significa per lei portare avanti questa tradizione? «La nostra famiglia ha aperto la prima pizzeria in assoluto a Trieste. Nel 1960 mio nonno, Carmine Fierro, conosciuto poi nei tempi con il soprannome di “el talian”, aprì con suo cognato una pizzeria vicino al viale. Visto l’inaspettato successo decise di cambiare zona trasferendosi in via Caccia fino al 1968, dove aprì la pizzeria “La Napa” a tutt’oggi gestita sempre dalla nostra famiglia. Io sono onorato di proseguire il lavoro e tutta la tradizione che la mia famiglia ha portato in questa splendida città». Quali sono a suo avviso i punti di forza della pizzeria “Alla Fonda”? «La pizzeria “Alla Fonda” è situata in uno dei posti più belli di Trieste. Protetto dalla pineta di Barcola, sul mare, la capacità ricettiva di 280 posti a sedere su più sale fa di questo locale un posto strategico sia per le persone che vogliono stare un po’ in pace a gustarsi qualche prelibatezza, sia per gruppi, eventi e cerimonie che possono usufruire di spazi a loro dedicati». E i piatti del vostro menu di cui va più fiero? «Abbiamo una vasta cucina espressa sia di carne che di pesce. Da amante del mare io ho la passione per il sauté di cozze e vongole della nostra zona, oltre ovviamente alle nostre famosissime pizze». Da imprenditore della ristorazione, a suo avviso come sono cambiate le esigenze della clientela nel corso degli anni? «La ristorazione ha evoluzioni continue: siamo passati dal ristorante classico all’avvento dei fast-food, al ritorno dello slow-food. Noi cerchiamo di dare sempre ai nostri clienti spazi e tempi in base alle loro esigenze; purtroppo viviamo in una società dove la risorsa essenziale è proprio il tempo». Il segreto della sua famiglia è stato quello di sapersi sempre innovare negli anni: ci sono nuovi progetti per il futuro? «Siamo sempre alla ricerca di nuovi prodotti per soddisfare al meglio i nostri clienti. Adesso abbiamo inserito l’impasto senza glutine per le persone con intolleranza. Per il futuro abbiamo il progetto di fare qualcosa di utile per la nostra riviera di Barcola...» Da tempo si è affidato al network di iMagazine per promuovere la sua attività: come mai questa scelta? «Mi sono affidato a iMagazine perché lo vedo uno strumento versatile e giovane, adatto a ogni fascia di persone». La pizzeria “Alla Fonda” – così come “La Napa” – rientra nel circuito degli iMoneyPartner: come valuta il progetto dei buoni valore di iMagazine? «I buoni valore iMoney hanno riscosso un entusiasmante successo. Credo che lavoreremo ancora con questo progetto». 2008 | 13 L’INFORMAFREEMAGAZINE | gennaio-febbraio
S O M M A R I O
luglio - agosto 20
L’ANALISI di Paolo Marizza
18 Atlante? Meglio Prometeo, ma non sperateci STOCCOLMA di Andrea Doncovio
20 La terra dei Nobel 24
GIOVANNI SOLLIMA di Margherita Reguitti
24 Sensibilità ribelle
GIACOMO CECONI di Michele Tomaselli
26 Il costruttore visionario MAURIZIO MATTIUZZA
di Andrea Doncovio
30 Il narratore senza tempo 26
DOMENICO MONTESANO di Alberto V. Spanghero
34 Mènego Napoletàn
FIUME ISONZO di Renato Duca e Renato Cosma
36 Il figlio delle Giulie NICOLÓ PACASSI di Vanni Feresin
30
40 300 anni di dubbi ALESSANDRO CHITTARO E VALTER MORETTI di Michele Tomaselli
43 Lâ a tindi
2006-2016, 10 ANNI DI IMAGAZINE a cura della redazione
46 La tv tra la gente
PROTEZIONE CIVILE
34
49 Affrontare il terremoto, 40 anni dopo POLIZIA DI STATO di Andrea Doncovio
50 Droga, occhi aperti
LEASING IMMOBILIARE ABITATIVO di Massimiliano Sinacori
52 Una nuova possibilità di comprare casa CAMBIARE PROSPETTIVA di Manuel Millo
56 Forse ti perdono
GIOVANI E VOLONTARIATO di Cristian Vecchiet
58 Gratuità e gratitudine GIOVANI E SOCIAL di Andrea Fiore
60 Condivisioni pericolose RINUNCE E COMPENSAZIONI di Giuliana De Stefani
62 Di cosa ho bisogno? PAOLO FONDA di Michele D’Urso
64 Capotreno e gentiluomo ANGELO SERETTI di Andrea Doncovio
70 Sulle note della passione PARCO BASAGLIA di Margherita Reguitti
72 Patrimonio del futuro CHEF…AME
75 La ricetta di Germano Pontoni 80
e segg. Gli eventi di luglio e agosto
: lettere alla redazione
▲ Monfalcone – Lo chef Antonino Cannavacciuolo assieme a Cinzia Martinelli di iMagazine durante la presentazione di Terre di Magici Sapori a Monfalcone lo scorso mese di maggio. Il protagonista di Masterchef Italia ha firmato anche una dedica rivolta alla nostra testata.
▲ Udine – Il 17enne Christopher Destro, originario di Piove di Sacco ma residente a Udine, riceve da Roberto Lunelli, il premio intitolato in memoria della figlia Silvia Lunelli, e istituito per la formazione di giovani chef, con l’obiettivo di farli diventare ambasciatori della cucina e dei prodotti del Friuli Venezia Giulia. Christopher inizierà ora la sua esperienza formativa e avrà come tutor d’eccezione i protagonisti dell’eccellenza agroalimentare regionale associati in FVG Via dei Sapori. Il suo iter sarà “monitorato” dai ristoratori, che invieranno le loro relazioni alla famiglia Lunelli e al Presidente del Consorzio.
▲ Aquileia – Foto di gruppo delle 40 personalità intervenute all’Hotel Patriarchi alla presentazione del libro “1976 – 2056. Il Friuli prossimo venturo”, ideato e curato da Daniele Damele in occasione del 40° del terremoto in Friuli. A ciascuna di loro è stato chiesto di immaginare la nostra terra fra 40 anni.
▲ San Canzian d’Isonzo – Foto ricordo per i 101 anni compiuti da nonna Emma , la più anziana tra gli ospiti della casa di riposo di Pieris: anche da parte di iMagazine i più autentici auguri di buon compleanno!
▲ Gorizia – Foto di gruppo dei partecipanti alla Festa dei Cinquantenni svoltasi lo scorso 11 giugno presso il Teatro Tenda.
▲ Ruda – Gli studenti della scuola primaria “Padre Maria Turoldo” impegnati nel saggio di fine anno scolastico. Coordinati dall’insegnante Annalisa Sponton e diretti dai docenti Gabriele Zimolo e Eliana Cargnelutti, gli alunni hanno potuto contare anche sulla collaborazione dell’Associazione Pro Musica.
È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria oppure via mail
▲ Cividale del Friuli – Migliaia di appassionati attendono l’arrivo della tappa friulana del Giro d’Italia assistendo in diretta alla corsa grazie al maxischermo iMagazineVideoTruck, posizionato in prossimità del traguardo, in collaborazione con la Banca Popolare di Cividale.
▲ Villa Vicentina – L’ex capitano della Snaidero Basket Michele Mian (a destra) - argento olimpico ad Atene nel 2004 e campione d’Europa nel 1999 - incontra gli alunni della scuola primaria “Giacomo Leopardi” nell’ambito del progetto promosso dal CONI regionale per diffondere la cultura sportiva all’interno degli istituti scolastici. Il delegato CONI Livio Nonis (a sinistra nella foto) ha coinvolto nel progetto numerose scuole della Bassa friulana che, grazie alla disponibilità di diverse associazioni sportive del territorio, hanno permesso ai giovani studenti di provare diverse discipline.
▲ Gorizia – Foto di gruppo dei partecipanti alla Festa dei Cinquantenni svoltasi lo scorso 11 giugno presso il Teatro Tenda.
L’ANALISI
BANCHE DETERIORATE Rubrica di Paolo Marizza
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Atlante?
Meglio Prometeo, ma non sperateci
I nomi della mitologia usati per i fondi destinati a salvare le banche sottocapitalizzate rischiano di non essere di buon auspicio. Specie se gli abitanti dell’Olimpo continuano a restare indifferenti alle sofferenze dei comuni mortali.
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Sono trascorsi un paio di mesi dalla costituzione del Fondo Atlante. Un nuovo strumento, un «fondo di investimento alternativo» costituito con due obiettivi: sostenere gli aumenti di capitale degli istituti di credito in difficoltà e sostenere la dismissione dei crediti deteriorati delle stesse banche. La sua creazione è stata coordinata con il Governo italiano e i principali gruppi finanziari del Paese. Da anni, numerose banche italiane sono “sottocapitalizzate”, cioè hanno troppo poche risorse proprie rispetto ai prestiti e agli altri impegni che hanno erogato. Esistono regolamenti internazionali che stabiliscono quanto “capitale proprio” deve avere un banca rispetto al totale dei suoi impegni, in modo da garantirne la stabilità. Per rimediare a questa situazione, le banche possono emettere nuove azioni sul mercato, con un’operazione chiamata “aumento di capitale”. Il problema è che non sempre i mercati trovano molto allettante comprare le azioni delle banche italiane, soprattutto se si trovano in una brutta situazione. Il ruolo del fondo sarà, semplificando, quello di comprare le eventuali azioni che le banche non riusciranno a collocare. L’altro problema che il fondo cercherà di risolvere è quello dei crediti deteriorati, cioè i prestiti che le banche hanno difficoltà a riscuotere. In Italia sono quasi il 20% del totale di tutti i crediti erogati, per un valore complessivo di circa 350 miliardi di euro – contando anche i 150 miliardi di crediti “meno” de18
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teriorati. Le “sofferenze” vere e proprie sono circa 200 miliardi lordi. Per fronteggiarli, il sistema bancario ha messo da parte risorse per 120 miliardi. Le sofferenze nette, cioè la cifra che il Fondo Atlante dovrà contribuire a smaltire, sono quindi di 80 miliardi. Per cercare di agevolare questo “smaltimento” il Governo ha creato un meccanismo assicurativo (GACS), una forma di garanzia pubblica che una banca può acquistare per “assicurare” i propri crediti “meno deteriorati”, quelli più “sicuri”. Le banche potranno quindi rivendere sul mercato solo una parte dei crediti deteriorati, le cosiddette tranche “senior”, a un prezzo non troppo svantaggioso. Il Fondo Atlante potrà acquistare anche i crediti deteriorati meno sicuri, quelli più rischiosi con meno probabilità di recupero: le cosiddette tranche “junior”. Il primo problema che il fondo ha affrontato è stato quello dell’aumento di capitale della Banca Popolare Vicentina. A breve si vedrà quante risorse dovrà impiegare per far fronte all’altra banca veneta in difficoltà, Veneto Banca. Si discute se i fondi residui a disposizione di Atlante dopo l’intervento in Veneto Banca siano adeguati rispetto al compito: circa 2 miliardi di euro su un totale di sofferenze nette intorno agli 80 miliardi. E già si parla di un Fondo Atlante 2.
Una impresa titanica Una impresa titanica? Sembrerebbe di sì, visto il nome dato al fondo. Nella mitologia greca Atlante, fratello di Prometeo e di Menezio, è uno dei Titani, una creatura primordiale condannata da Zeus a soste-
nere sulle spalle la volta celeste e il mondo. La pena fu comminata da Zeus ad Atlante per aver partecipato con Menezio alla ribellione dei Titani contro gli Dei. A chi si ribella il Fondo Atlante? Nelle dichiarazioni degli ideatori si ribella allo strapotere dei cosiddetti fondi “avvoltoio”, ovvero di quei fondi esteri che vorrebbero comprarsi le sofferenze delle banche italiane a prezzi stracciati. Il fondo ha come obiettivo la creazione di un mercato italiano dei crediti difficili che non esiste in Italia. Quindi, si dice, una risposta al “fallimento del mercato”. Ma di fallimento del mercato si parla quando i mercati non sono in grado di determinare allocazioni efficienti delle risorse, ovvero di raggiungere condizioni di equilibrio. È di questo che si tratta? Oppure si tratta di condizioni determinate da banche collassate per le condotte dei loro vertici? O da chi ha collocato obbligazioni subordinate per mantenere il controllo della banca senza sostenere aumenti di capitale? La missione di Atlante sarebbe meritoria se ristabilisse le condizioni per consentire al mercato di fare il proprio mestiere e per sostituire definitivamente le classi dirigenti compromesse. Forse un riferimento diverso da Atlante poteva essere un miglior viatico per la missione del fondo. Anche perché la vicenda mitologica delle mele d’oro non è proprio di buon auspicio. Atlante tenne sempre il cielo e il globo sulle spalle, salvo per il breve periodo in cui Ercole lo alleviò di quel peso. Ercole, per compiere una delle sue famose fatiche, doveva rubare tre mele d’oro dal giardino delle Esperidi, figlie di Atlante, per consegnarle al re di Micene, Euristeo. Ercole chiese ad Atlante di fargli questo favore e a tal fine chinò le spalle per sostenere il globo celeste. Atlante ritornò con le tre mele colte dalle sue figlie pregustando la recuperata libertà: voleva portare le mele egli stesso a Euristeo. Ercole finse di acconsentire, pregando Atlante di sostenere il globo soltanto affinché potesse fasciarsi il capo. Atlante posò a terra le mele e riprese il suo carico. Ercole prese le mele e si allontanò con un ironico saluto.
Ercole come il fondo Apollo?
L’utopia di un Prometeo europeo Avremmo bisogno di un Prometeo a livello europeo. Per risolvere il problema dei crediti deteriorati che affligge anche le banche europee occorre una gestione europea. I costi sono ingenti per i singoli istituti e, data la concentrazione geografica, per alcuni Paesi. Atlante è necessario, ma probabilmente non sufficiente con le dotazioni attuali, poiché la leva nazionale non è consentita. Agire a livello europeo richiederebbe la costituzione di un fondo finanziato con gli strumenti dell’Unione bancaria, come già fatto da alcuni Stati europei. Il fondo europeo avrebbe l’obiettivo di ricapitalizzare e governare il processo di aggregazione degli istituti anche a livello intraeuropeo, mentre i crediti deteriorati dovrebbero essere ceduti a una «bad bank» per far sì che possano essere venduti su un mercato efficiente di dimensioni europee. Fondi come Atlante a livello nazionale rischiano di allungare i tempi e di creare effetti di contagio sistemico. Un processo troppo lento per la messa in sicurezza di istituti sottocapitalizzati e per la gestione dei crediti deteriorati disincentiva tutto il sistema bancario a concedere nuovi prestiti erodendone la profittabilità. Rimandare la soluzione del problema invece di affrontarlo da subito è quello che l’Europa ha fatto in tutte le occasioni dal 2008. C’è solo da sperare che Ercole, dopo aver incastrato Atlante nel giardino delle mele, liberi dal suo supplizio (l’aquila che gli mangia il fegato) un Prometeo moderno che, come nella mitologia, agisca da rappresentante degli uomini nei confronti di un Olimpo distante e indifferente alle sofferenze (bancarie e non) dei mortali. Più che una speranza un’utopia mitologica.
Uno dei cosiddetti “fondi avvoltoio” è il Fondo Apollo, il fondo estero che recentemente ha offerto prezzi da saldo per l’acquisto di sofferenze bancarie. Fondo che si intitola a una ben più illustre figura: il figlio di Zeus, dio del sole. Certo è che nel mondo della finanza i riferimenti alla mitologia non mancano. Senza andar a cercare troppo lontano tra le figure mitologiche, il fratello di Atlante, Prometeo, poteva meglio interpretare la sfida. Zeus toglie agli uomini il fuoco, ma Prometeo lo restituisce rubandolo a Zeus. Prometeo è “colui che prevede”, il suo nome contiene la methis, la “sagPaolo Marizza gezza” e l’“astuzia”, è il promotore di una condizione Paolo Marizza è Docente DEAMS-Università di umana culturale e perciò contrapposta alla condizio- Trieste e Partner di Financial Innovations ne “naturale” di sudditanza rispetto all’Olimpo. Prometeo è il consigliere ricercato da uomini, eroi e dei. |
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VIAGGI E METE
STOCCOLMA Servizio di Andrea Doncovio
Nella terra
dei Nobel
Una città dall’alto tasso di benessere ma con giovani senza tetto sulle panchine dei parchi. Una società fortemente legata ai propri valori ma con una crescente comunità di immigrati lontana dall’integrazione. Viaggio nella capitale svedese che guarda all’Europa in modo ambiguo, fiera del proprio passato e delle proprie tradizioni. Ma con il rischio di non comprendere il futuro.
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Osservare con attenzione l’acqua mentre scorre sotto il ponte che unisce l’isola di Riddarholmen con quella di Gamla Stan aiuta a comprendere Stoccolma. Una città simbolo di un intero Paese, ineluttabilmente marchiata dalla natura. Un terzo della superficie della capitale della Svezia è costituito dall’acqua. Acqua che scintilla al sole estivo e che si congela d’inverno. Perché a queste latitudini il clima diventa un discrimine fondamentale nella vita delle persone. Una città dove nei mesi estivi il sole sembra non tramontare mai, mentre in quelli invernali vederlo sorgere rappresenta un miracolo da attendere con ansia ogni giorno. Anche per questo motivo, nella straordinaria lucentezza dei primi giorni di giugno, tut-
ti gli abitanti sembrano delle lucertole affamate di luce: businessmen in bicicletta, giovani in t-shirt impegnati nel jogging lungo i viali dei parchi cittadini, coppiette o intere famiglie distese ad abbronzarsi sull’erba delle spiagge naturali del centro, senza disdegnare un tuffo rinfrescante in mare. A disturbare la quiete, all’improvviso, suoni di clacson e musica a tutto volume. Scortati da un furgone della polizia, sulla strada appaiono tre camion normalmente utilizzati per il trasporto della ghiaia. Al loro interno, però, ci sono decine di studenti festanti, con in mano lattine di birra e altri alcolici, scrutati a vista da addetti del servizio d’ordine. Sono i maturandi che, per tradizione, festeggiano così – scorrazzando per ore lungo le strade cittadine – la fi ne della scuola, tra lo sguardo perplesso dei turisti e quello adorante di genitori appostati sui marciapiedi con tanto di cartello ricordo con la foto dei figli da bambini. Perché le tradizioni, per questa città e per tutti gli svedesi, sono una cosa seria. Da un Sopra: il municipio di Stoccolma (ph. T. S. Heli). Accanto: scorcio dell’arcipelago di Djurgarden (ph. Jeppe Wikstrom).
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Partendo dall’alto, in senso orario: - imbarcazioni nell’arcipelago di Saltsjon (ph. Erik G. Svensson); - l’interno della biblioteca cittadina di Stoccolma presso Oden Plan; - panoramica del centro cittadino (ph. T. S. Heli); - scorcio del Palazzo Reale (ph. Jeppe Wikstrom); - il caporedattore di iMagazine, Andrea Doncovio, davanti al palazzo del Parlamento. La città di Stoccolma ha una popolazione di 915.000 abitanti, ma supera quota 2.200.000 prendendo in considerazione l’intera area metropolitana.
lato le radici che danno forza alla propria storia, dall’altro un mantra che aiuta a perpetrare nel tempo le certezze di un passato che la globalizzazione sta facendo vacillare in maniera sempre più burrascosa. Per comprendere meglio il concetto è sufficiente attraversare uno dei tre ponti che collegano la città vecchia e il suo complesso di palazzi del potere con l’isola di Sodermalm: ex quartiere operaio divenuto luogo preferito di residenza di artisti e musicisti. Tra i numerosi locali e le gallerie d’arte, le facce della gente sono la testimonianza di una multietnicità totale. Se i tratti somatici più diffusi sembrano quelli mediorientali e nordafricani, le numerose donne a passeggio – giovani e anziane – che indossano il velo tolgono ogni dubbio sulla crescente presenza della comunità musulmana in città. Molti uomini sono invece seduti ai tavoli posizionati all’esterno dei numerosi bar gestiti da turchi, pachistani e siriani. Parlano nella propria lingua d’origine e vestono secondo le loro usanze. In un Paese vasto quanto l’Italia ma che non raggiunge i 10 milioni di abitanti, gli stranieri rappresentano circa il 14% della popolazione. Un dato che, per |
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o di
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A fianco, in bici alle prime luci del mattino. Durante i mesi estivi la luce del sole è visibile anche 20 ore al giorno (ph. Henrik Trygg). Pagina accanto, guardie reali a cavallo di fronte all’ingresso del Palazzo Reale (ph. Staffan Eliasson).
essere meglio interpretato, va correlato a un’altra cifra: 115.845. Ovvero il numero di stranieri giunti in Svezia nel solo 2013. Un incremento mai vissuto prima nella storia del Paese, che rischia di scuotere le certezze di una società poco abituata ad affrontare gli imprevisti. Come quelli che altri dati – riferiti all’oc-
Nobel, il Premio e il Museo
Il premio Nobel è un’onorificenza assegnata dal governo svedese, consegnata annualmente a persone che si sono distinte per aver svolto eccezionali ricerche, inventato tecniche o equipaggiamenti rivoluzionari, e portato contributi fondamentali alla società. Il premio fu istituito in seguito alle ultime volontà di Alfred Nobel, industriale svedese e inventore della dinamite, firmate al Club svedese-norvegese di Parigi il 27 novembre 1895. La prima assegnazione dei premi risale al 1901, quando fu assegnato il premio per la pace, per la letteratura, per la chimica, per la medicina e per la fisica. Dal 1969 si assegna anche il premio per l’economia in memoria di Alfred Nobel. I premi Nobel nelle specifiche discipline (chimica, fisica, letteratura e medicina) e il premio per l’economia sono comunemente ritenuti i più prestigiosi premi assegnabili in tali campi. I premi sono
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cupazione – nascondono dietro l’angolo: da un lato solo il 62% degli stranieri arrivati negli ultimi 5 anni lavora (il dato più basso della media OCSE), dall’altro l’aumento della disoccupazione tra i giovani svedesi. Per avere conferma del fenomeno è sufficiente una passeggiata nel parco della splendi-
generalmente assegnati in ottobre e la cerimonia di consegna si tiene a Stoccolma presso il Konserthuset (“Sala dei concerti”) il 10 dicembre, anniversario della morte del fondatore, con esclusione del premio per la pace che si assegna anch’esso il 10 dicembre a Oslo. La sera della consegna, le sale del Municipio di Stoccolma ospitano il maestoso banchetto di ricevimento organizzato per l’evento (foto in basso). Nel 1979 Madre Teresa di Calcutta, dopo aver vinto il premio Nobel per la pace, rifiutò il convenzionale banchetto cerimoniale per i vincitori e chiese che i fondi fossero destinati ai poveri di Calcutta, che avrebbero potuto essere sfamati per un anno intero. Nell’isola di Gamla Stan, all’interno dell’antica Casa della Borsa, sorge invece il Museo dei Nobel, al cui interno è presentata la storia del premio attraverso tecniche multimediali.
da biblioteca cittadina, nell’area di Oden Plan: tra le immancabili fontane e un altrettanto immancabile Mc Donald’s, la maggior parte delle panchine sono occupate da senza tetto con i capelli biondi e gli occhi azzurri. I più dimostrano un’età sotto i 40 anni: tra le mani tengono una bottiglia di birra, tra i piedi un fagotto con l’occorrente per trascorrere la notte all’addiaccio. In questa terra del nord, riuscita a restare ai margini di due conf litti mondiali e dove i negozianti di souvenir della città vecchia accettano con orgoglio solo pagamenti in corone svedesi (mentre i cambiavalute prediligono nell’ordine dollari, sterline e euro), la stabilità del futuro si gioca proprio sull’integrazione. Perché se i giovani senza tetto di Oden Plan e gli immigrati musulmani di Sodermalm saranno lasciati a vivere vite parallele desti-
Gamla Stan
La città vecchia (Gamla Stan) è l’insediamento più antico di Stoccolma e comprende l’isola di Stadsholmen e gli isolotti di Riddarholmen, Helgeandsholmen e Strömsborg. È un dedalo di stradine medievali, vicoli, facciate color senape e ruggine, piazze in puro stile tedesco settentrionale. La piazza principale, Stortorget, è il centro della città vecchia e si trova a fianco delle principali attrazioni dell’isola: il Palazzo Reale (Kungliga Slottet) in stile barocco e la Cappella Reale (Storkyrkan) dove si sono sposati la Principessa Victoria e Daniel Westling, nel giugno del 2010. Oggi la città vecchia conta circa 3.000 residenti e innumerevoli caffetterie, ristoranti, negozi di souvenir, laboratori artistici, gallerie e musei tra cui il Museo dei Nobel (foto a destra), il Museo della posta, e la zecca Reale all’interno del Museo nazionale dell’economia.
nate a non incontrarsi mai con il resto della società, la dura legge dei numeri presenterà il conto prima del previsto. E potrebbe essere salato non solo per la Svezia, prototipo a suo modo inconsapevole del futuro labile e incerto dell’Europa intera.
Andrea Doncovio Sodermalm
Ex quartiere di operai e artigiani, qui un tempo avevano sede mulini, birrerie, fabbriche e stabilimenti tessili. Oggi a dare fascino sono moderne gallerie, atelier d’artisti, caffè e locali musicali. Il quartiere di tendenza dell’isola è Sofo, con boutique appariscenti e negozi di seconda mano.
Karolinska Institutet
A pochi chilometri da Stoccolma, nella città di Solna, sorge una delle più importanti istituzioni di educazione universitaria in medicina al mondo. Fondato nel 1810, il Karolinska Institutet ospita il comitato che seleziona ogni anno i vincitori del Premio Nobel per la medicina.
Norrmalm
È il fulcro commerciale della città ed è caratterizzato da locali, ristoranti, cinema e negozi. Nella moderna piazza di Sergels Torg sorge il Kulturhuset: centro culturale disposto su cinque piani con una sala lettura, mostre temporanee e laboratori d’arte e una caffetteria all’ultimo piano da cui si gode di uno dei migliori panorami della città. Le altre due strade principali di Norrmalm sono Drottninggatan e Sveavägen, al cui centro si trova la piazzetta acciottolata di Hötorget, che vanta un mercato ortofrutticolo ed etnico, il palazzo dei concerti e il Filmstaden Sergel, il multisala più grande della capitale. |
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PERSONAGGI GIOVANNI SOLLIMA Intervista di Margherita Reguitti Immagini di Gian Maria Musarra
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Sensibilità ribelle Siciliano con il Friuli Venezia Giulia nel cuore, dopo aver diretto la FVG Mitteleuropa Orchestra, in autunno aprirà la nuova stagione della Fondazione Bon a Tavagnacco. E se gli si chiede un ricordo speciale della nostra regione, non ha dubbi: «La musica eseguita all’alba sulle vostre montagne».
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Vi è un legame forte di passione creativa, narrazioni e suggestioni musicali fra Giovanni Sollima e il Friuli Venezia Giulia. Il violoncellista e compositore siciliano, musicista fra i più apprezzati nel mondo, aprirà, su invito del direttore Claudio Mansutti, la prossima stagione della Fondazione “Luigi Bon” di Colugna di Tavagnacco, prestigiosa istituzione con la quale ha collaborato nella scrittura di “Canti rocciosi”, opera per orchestra d’archi e coro virile dedicata alle Dolomiti. Sollima ha inoltre diretto la FVG Mitteleuropa Orchestra, eseguito repertori classici e contemporanei nei principali teatri e sale da concerto della regione. Nella sua vasta produzione anche “Fragments”, lavoro dedicato a Pier Paolo Pasolini, e “Ellis Island”, opera interpretata da Elisa. Dunque un rapporto con i luoghi e le persone, in un abbraccio di sensibilità diverse. Un talento straordinario Giovanni Sollima, personalità in continua ricerca di nuovi linguaggi, sorprendente interprete di generi musicali, capace di improvvisare senza perdere coerenza di pensiero in uno stile sempre riconoscibile, legato alle suggestioni della natura, all’essenzialità del suono, al valore della tradizione del canto popolare, alla grande cultura classica. Artista senza confini, né fisici né mentali; solare, dinamico e riflessivo, sempre curioso dell’altro, capace di creare in solitudine e gestire la complessità di 100Cellos. Un compositore classico nella contemporaneità di linguaggio. Rientrato dal Festival Piatigorsky di Los Angeles, dove la prestigiosa testata The New Yorker lo ha defini24
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to “Compositore-violoncellista ribelle, capace di condurre l’improvvisazione dal Barocco all’avanguardia noise-making”, ha partecipato al Ravenna festival con i 100Cellos, dando vita, con Enrico Melozzi, al progetto “Cellolandia”, maratona sonora di libertà per un’orchestra che viaggia nel tempo e nello spazio. Questa comprende infatti grandi maestri, componenti di orchestre e ensemble affermati, e giovani anche alle prime armi nello studio del violoncello. Tutti assieme suonano partiture a volte viste poco tempo prima di imbracciare l’archetto. Giovanni Sollima, che cosa l’ha portata in Friuli? «La musica eseguita all’alba sulle vostre montagne. Per me, uomo di mare, è stata la scoperta delle affinità esistenti fra le Dolomiti e le Madonie. Ma anche la passione per i canti popolari, che ricerco, colleziono e scrivo. In Friuli ho trovato vivacità e grande ricchezza di testi trasmessi attraverso la memoria degli anziani. Credo che il canto popolare sia una lingua che andrebbe insegnata a scuola per leggerne l’incrocio di culture. In questo modo ho realizzato una mia personale mappa di canti italiani e internazionali, dal Sud America ai Balcani. Questa mia attenzione ai linguaggi mi ha fatto scoprire un friulano che definisco “fossile”, mescolato al croato e parlato sull’isola di Cherso. Friulani, inoltre, sono anche alcuni allievi di miei corsi all’Accademia di Santa Cecilia a Roma». La sua ultima opera “Il Caravaggio rubato”, presentato a Palermo in primavera, è un lavoro ispirato a un fatto di cronaca. Giusto definirlo un oratorio? «È una definizione corretta, in quanto è un’architettura composta da quattro stratificazioni e approcci percettivi
diversi del fatto di cronaca: il furto del quadro della Natività nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo. Sul palco ho suonato un violoncello antico e uno elettrico, ma anche la viola da gamba, con la presenza di un coro e di un’orchestra. Immagini sonore per rappresentare le luci e le ombre di quanto accaduto, per raccontare il senso e l’assenza di bellezza dopo il furto eseguito dalla mafia, avvolto dal mistero ed entrato nella leggenda». Si tratta di un lavoro classico o contemporaneo? «Ci sono delle citazioni a Guillaume de Machaut (1300-1377) in quanto ne sento la forza nell’esprimere la gioia e la nascita con una melodia più vicina alla musica popolare che alle sonorità di oggi. È stato il mio modo di andare verso un dipinto ignoto, per evocarne la bellezza e l’assenza». Un lavoro complesso di musica, parole e immagini, con testo di Attilio Bolzoni e fotografie di Letizia Battaglia. Come ha lavorato? «In modo autonomo; non ho scritto la musica né sul testo di Attilio Bolzoni né sulle fotografie di Letizia Battaglia che, confesso, mi hanno pietrificato; visi immobili nel passato fermo, immagini liquide e statuarie. Ho seguito un’evocazione, un filo rosso arcaico che
Giovanni Sollima è nato a Palermo il 24 ottobre 1962 da una famiglia di musicisti. Fin da giovanissimo collabora con artisti quali Claudio Abbado, Giuseppe Sinopoli, Jörg Demus, Martha Argerich, Riccardo Muti, Yuri Bashmet, Katia e Marielle Labèque, Ruggero Raimondi, Bruno Canino, DJ Scanner, Victoria Mullova, Patti Smith, Philip Glass e Yo-Yo Ma. La sua attività - in veste di solista con orchestra e con diversi ensemble (tra i quali la Giovanni Sollima Band, da lui fondata a New York nel 1997) - si dispiega fra sedi ufficiali e ambiti alternativi: Brooklyn Academy of Music, Alice Tully Hall, Knitting Factory e Carnegie Hall (New York), Wigmore Hall e Queen Elizabeth Hall (Londra), Salle Gaveau (Parigi), Accademia di Santa Cecilia a Roma, Teatro San Carlo (Napoli), Kunstfest (Weimar), Teatro Massimo di Palermo, Teatro alla Scala (Milano), International Music Festival di Istanbul, Cello Biennale (Amsterdam), Summer Festival di Tokyo, Biennale di Venezia, Ravenna Festival, “I Suoni delle Dolomiti”, Ravello Festival, Expo 2010 (Shanghai), Concertgebouw ad Amsterdam. Per la danza collabora, tra gli altri, con Karole Armitage e Carolyn Carlson, per il teatro con Bob Wilson, Alessandro Baricco e Peter Stein e per il cinema con Marco Tullio Giordana, Peter Greenaway, John Turturro e Lasse Gjertsen (DayDream, 2007). Insieme al compositore-violoncellista Enrico Melozzi, ha dato vita al progetto dei 100 violoncelli (100Cellos), nato nel 2012 all’interno del Te-
mi colpisse umanamente senza pianificare un percorso compositivo. L’opera segue binari paralleli ma anche sfalsati, mantenendo la forza, le suggestioni evocative e gli approcci percettivi dei singoli linguaggi. Nel testo le tracce della guerra di mafia, il dolore per le tante vittime e la speranza per una città viva, di bellezza struggente». Uno spettacolo che vedremo anche nei teatri del Friuli Venezia Giulia dove il pubblico ha già dimostrato di apprezzarla e seguirla? «Al momento non vi è nulla di concreto, ma lo spero davvero».
Margherita Reguitti atro Valle Occupato a Roma, con lo scopo di dimostrare che si possono abbattere anche barriere di carattere pratico, grazie alla bellezza. Musicisti di età e formazione diversa, interscambio tra culture e livelli differenti, laboratorio permanente. Tra i CD di Giovanni per SONY i CD “Works”, “We Were Trees”, per la Glossa “Neapolitain Concertos” in collaborazione con I Turchini di Antonio Florio, disco che raccoglie 3 concerti barocchi inediti del ‘700 napoletano e un nuovo brano di Giovanni “Fecit Neap” e “Caravaggio” per l’Egea. Giovanni Sollima insegna presso l’Accademia di Santa Cecilia a Roma dove è anche accademico effettivo e alla Fondazione Romanini di Brescia. Suona un violoncello Francesco Ruggeri realizzato a Cremona nel 1679.
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ALLA SCOPERTA DI...
GIACOMO CECONI Servizio di Michele Tomaselli Immagini di Igino Durisotti e di repertorio
Il costruttore
visionario
Dalla vita umile tra i monti della Val d’Arzino a un impero di 16.000 lavoratori. La storia di un uomo le cui opere ingegneristiche ancora oggi testimoniano la sua epopea. Riconosciuta e premiata dai regnanti di Austria e Italia.
Gli anni giovanili
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La Transalpina è una linea ferroviaria ricca di storia ed è costellata da opere ingegneristiche di notevole complessità; anzitutto il ponte di Salcano, che sormonta il fiume Isonzo poco dopo il confine italiano, è reputato un capolavoro architettonico, soprattutto per la sua arcata in pietra di 85 metri, particolare che lo eleva a ponte in pietra a campata unica ricurvo più lungo del mondo. Poi, in direzione di Villaco, prima di arrivare a Jesenice, si trova il traforo delle Caravanche, una galleria della lunghezza di 7.975 metri che collega la Carinzia alla valle slovena di Zgornjesavska. Degna di nota anche la galleria del Woichen (Piedicolle), nei pressi di Tolmino, un traforo alpino A fianco: il comte Giacomo Ceconi di Montececon (1833-1910). Sopra: il Castello Ceconi a Pielungo, in Val d’Arzino. 26
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della lunghezza di 6.327 metri sotto le Prealpi Giulie. Ma sono anche interessanti i fabbricati della stazione di Nova Gorica (Görz Staatsbahnhof), in stile secessionista, e l’adiacente deposito delle locomotive. La Transalpina, considerata oggi uno dei percorsi ferroviari più affascinanti d’Europa, venne inaugurata il 19 luglio 1906, da sua altezza reale, erede al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando (più tardi ucciso a Sarajevo nell’episodio che sancì l’inizio della Prima guerra mondiale) e serviva a collegare Jesenice a Trieste, la parte mancante dei 717 chilometri dalle Ferrovie imperiali, tra Praga e il Litorale Adriatico. Alle origini fu denominata Wocheinerbahn, dal nome della valle del lago di Bohinj in Slovenia (che in tedesco si dice Woichen), raggiunta dal percorso. Tra i protagonisti indiscussi di questa ferrovia, iniziata nel 1901 e terminata solamente cinque anni dopo, troviamo il friulano Giacomo Ceconi, uomo di umili origini che seppe costruire con la fatica del lavoro un vero e proprio impero. In pochi anni riuscì a diventare uno dei massimi costruttori di ferrovie dell’Impero Austroungarico, fino a disporre di 16.000 uomini, in gran parte provenienti dai monti del Friuli. Ceconi nacque nel 1833 a Pielungo, piccolo borgo silenzioso della spettacolare Val d’Arzino: qui le bellezze sono ancora oggi innumerevoli, in gran parte legate all’acqua, tra laghi, sorgenti carsiche e torrenti ovunque, pozze dal colore smeraldo, carsismi e fenomeni di erosione.
In questa pagina, partendo dall’alto: - il conte Ceconi assieme alla contessa Giuseppina Novak e ai figli Mario, Magda e Maria; - l’imperatore Francesco Giuseppe all’inaugurazione della Galleria dell’Arlberg; - una pozza del torrente Arzino.
I genitori di Giacomo (Jacum, in friulano), Angelo Ceconi e Maddalena Guerra, possedevano una casa modesta; in particolare erano dediti alla coltivazione della terra, conducevano un’esistenza semplice e tradizionale, sapendo come resistere al clima della vallata. La vita di montagna era dura, fatta di ritmi serrati e pesantemente condizionata dai rigidi inverni. Così, nella lotta per la sopravvivenza, la sua famiglia, come buona parte della popolazione, s’ingegnava a costruire zoccoli (tàlmines), che poi vendeva nei mercati di Clauzetto e Spilimbergo. Jacum passò tutta l’infanzia in questa vallata, portandosi addosso una gerla fino a che, appena diciottenne, tentò la fortuna nella città dei venti; assieme a suo cugino raggiunse Trieste e cominciò a lavorare nell’impresa Martina di Chiusaforte, allora appaltatrice dei lavori del parco ferroviario della Meridionale. A quel tempo Trieste era uno dei centri più importanti dell’Impero Austroungarico, dotata di un’efficiente linea ferroviaria e di un porto tra i più importanti d’Europa. Dodici, quattordici ore al giorno: era questo il normale orario di lavoro di Jacum. Dapprincipio doveva sgobbare così tanto per portare a casa qualche fiorino, anche se tutto migliorò quando ebbe la fortuna di apprendere il mestiere di muratore. D’altra parte districarsi con pietre e mattoni era un’arte per Jacum, oltre che permettergli di ottenere la fiducia dei capi. Incoraggiato dai risultati ottenuti, soprattutto attraverso gli studi scolastici, che frequentò nel tempo libero, tra gli anni 1851 e il 1856, investì il suo primo gruzzolo acquistando manuali di tecnologia costruttiva nei campi stradali, ferroviari e civili. Cossichè li assimilò scrupolosamente anche imparando a rinunciare a ogni tipo di svago e risparmiare quanto più denaro possibile. Tuttavia la strada verso il successo era alle porte… I cantieri triestini erano stati bloccati per un guasto tecnico che nessuno sapeva risolvere. Jacum si fece avanti e ovviò con astuzia al problema, ottenendo per premio la qualifica di muratore. Ma, a vent’anni, nel pieno della giovinezza e delle forze, lo colse impreparato la chiamata alle armi, un servizio allora obbligatorio della durata di otto anni, previsto per i sudditi del Regno Lombardo Veneto, di età compresa fra i venti e i venticinque anni. Cosicché Giacomo correva il rischio di essere sbattuto in Galizia, al confine dell’impero austriaco. Tuttavia mamma Maddalena fu subito dell’avviso di risparmiargli quella fatica, facendosi carico delle ingenti somme di denaro previste per l’esonero. Così Jacum, sfumata la chiamata alle armi, decise di fondare un’impresa, con l’avvio di diversi lavo|
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Villa Ceconi a Pielungo prima della trasformazione in castel- L’imbocco della strada Val d’Arzino al ponte di Flagogna (su lo (su gentile concessione della Biblioteca “Joppi” di Udine). gentile concessione della Biblioteca “Joppi” di Udine).
ri per la costruzione di ponti, stazioni e tronchi ferroviari. Nel 1857, a ventiquattro anni, partecipò alla costruzione della ferrovia Sudbahn: da Klagenfurt a Agram, in Croazia, e a Stuhlweissenberg, in Ungheria. Più tardi venne designato alla sorveglianza di alcuni cantieri, quindi promosso capo squadra e, infine, incaricato di eseguire dei lavori a cottimo. Nel 1865, la sua impresa risulta aggiudicataria di alcuni appalti sulla linea del Brennero e di diverse opere in Ungheria sulla ferrovia Ödenburg-Sopron e Steinamanger-Szombathely. Tuttavia, a causa di alcuni concorrenti sleali non riuscì a collaudare alcune infrastrutture e, per questo motivo, gli fu sottratto l’appalto. Non gli restò altro che promuovere un’azione legale per ottenere legittimamente giustizia. Fu per forza vittoria, oltretutto con il giusto indennizzo. Cosicché Giacomo Ceconi poté iniziare la sua carriera di grande costruttore. E siccome da cosa nasce cosa, seguendo un cantiere in Ungheria Giacomo conobbe una ragazza, Caterina Racz, che ben presto diventò sua sposa, oltre che consentirgli di avere due figli: Angelo (venturo ingegnere) e Rosa. Tuttavia la morte della moglie travolse ogni cosa e Ceconi, rimasto vedovo, decise di risposarsi con Giovanna Wuch, austriaca, da cui ebbe altri quattro figli: Vittorio, Jenny, Elvira e Umberto. Un passo avanti per ricordare che nel 1874, anche Giovanna morì, così ebbe modo di risposarsi (seppure per un brevissimo periodo) con Gertrude Maria Dittmar. Intanto nel 1866, cinque anni dopo l’Unità d’Italia, anche il Veneto e il Friuli Occidentale (e, conseguentemente, Pielungo e la Val d’Arzino), furono annessi al Regno d’Italia. Giacomo Ceconi, onde consentire la partecipazione della sua impresa alle gare d’appalto del Regno di Austria e Ungheria, spostò la residenza a Gorizia; in questo modo conseguì la cittadinanza austriaca. Fu un valido motivo per costruire la villa in stile “neogreco” di via del Monte Santo (oggi sede della Direzione Generale dell’ERSA) e arricchita da un parco in stile romantico, su progetto dell’architetto triestino Giovanni Andrea Berlam (1823-1892). Sempre realizzazioni di Giacomo Ceconi furono le linee ferroviarie da Zagabria a Székesfèhervàr, a Unterdrauburg e a Villacco; alcuni collegamenti ferrati in Baviera e in Boemia, tra cui le ferrovie da Kreuzstatten a Mislitz e da Grussbach a Znjmo; oltre che 28
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le stazioni dell’Austro Ungheria di Vipiteno, Colle Isarco, Brennero, Gries, Fiume, di San Pietro al Carso di Pontafel, (inglobata dopo la Grande Guerra a Pontebba) e di Tarvisio. Più tardi, nel 1870, spostando alcuni suoi cantieri in Italia, realizzò la linea tra Pontebba e Tarvisio, allora vivaci cittadine di frontiera divise dal Regno sabaudo e il Regno asburgico. Quest’ultima ferrovia, che collegava Udine a Tarvisio, era allora un’infrastruttura di notevole livello ingegneristico, oltre che paesaggistico, dotata di arditi viadotti e lunghe gallerie. Ma le imprese ferroviarie più importanti furono il traforo dell’Arlberg, una galleria di 10.200 metri fra la Svizzera e l’Austria, e la galleria del Woichen, sulla linea Transalpina e lunga 6.327 m. A proposito dell’Arlberg, il 23 dicembre 1880 ebbe luogo la discussione delle offerte: migliori offerenti rimasero le imprese Giacomo Ceconi per la parte orientale e i fratelli Lapp per il tratto occidentale. Secondo il capitolato speciale d’appalto il termine conclusivo per la fine dei lavori era previsto il 15 agosto 1885, la penale per ogni giorno di ritardo era di 800 fiorini. Dal giornale dei lavori si legge che il 25 giugno 1881 furono ultimati i primi mille metri del traforo; il 19 novembre 1883, il Ministro del Commercio accese la miccia che squarciò l’ultimo diaframma di galleria e il 14 maggio 1884 venne murata l’ultima pietra del tunnel. Cossichè dopo le operazioni di collaudo, il 3 settembre 1884, fu inaugurata ufficialmente la tratta Landeck-Bludenz. Ruolino da record che testimonia la fine dei lavori anticipata di un anno. In galleria si lavorava giorno e notte, e i turni si alternavano ogni otto ore; ma è curioso sapere che Giacomo Ceconi era presente al cambio della squadra, così da poter impartire gli ordini e prevenire possibili infortuni. Per far fronte a questa colossale opera, Ceconi ricorse a innovazioni tecnologiche fuori dal comune, soprattutto nel campo della sicurezza. Così, grazie al coraggio di scelte rivoluzionarie si ritrovò ricco sfondato. In breve tempo la sua impresa crebbe a dismisura, fino a contare 16.000 uomini, molti dei quali provenienti dalla Val d’Arzino e dalla Val Tramontina. D’altra parte anche l’imperatore Francesco Giuseppe si era accorto di lui e per questo motivo gli conferì il titolo di “Nobile di Montececon”. Da lì a poco iniziò un periodo di grande splendore per la famiglia Ceconi, tanto che la villa di Gorizia divenne ben presto salotto della nobiltà friulana. A fine dell’Ottocento la sua impresa era diventata un colosso dell’edilizia con cantieri sparsi in tutta Europa.
Spettacolare scorcio del torrente Arzino. A fianco il cartello di benvenuto all’ingresso della Val d’Arzino.
Sono di questo periodo i lavori di ristrutturazione del porto di Trieste e di alcune baie in Sardegna. In seguito, completata a tempi da record – otto mesi prima dei termini contrattuali – la galleria del Wochein, si stabilì definitivamente a Pielungo ove trasformò la casa paterna in una dimora degna di un principe. Dall’analisi architettonica emerge un’imponente costruzione neo-gotica dallo stile eclettico, con venature di liberty e dai riflessi medioevali e rinascimentali, circondata da torri e merlature a immagine della sua vita. D’altra parte ritornare alle origini per Giacomo Ceconi significava soprattutto godersi la quiete delle montagne e la bellezza della Val d’Arzino Ma, dopo una vita dura di lavoro, piuttosto che godersi la pensione, scelse di ascoltare la voce dei suoi cittadini, costruendo una nuova strada, tra la Val d’Arzino e Tolmezzo, valicando Sella Chianzutan, là dove a stento si inerpicavano solo le capre. La notizia del progetto destò stupore e incredulità, dacché i residenti non ritenevano possibile che un imprenditore potesse erigere autonomamente una nuova carrozzabile e sostituirsi alle istituzioni. Lo stesso Ceconi predispose il progetto e il 18 settembre 1889 esplose la prima mina che aprì il varco alla nuova strada. Gli undici chilometri del tracciato furono in buona parte scavati su roccia e consolidati da imponenti opere di sostegno costituite da muraglioni e scarpate in pietra. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 15 novembre 1891, alla presenza delle autorità, tra cui il senatore Antonino di Prampero e un rappresentante del Governo. Fu allora che Giacomo Ceconi intitolò la strada alla Regina Margherita, venendo insignito dal re Umberto I del titolo di Conte della Corona d’Italia. Ancora oggi quella strada è un itinerario ideale che ha mantenuto il nome e le sue bellezze. Negli ultimi anni di vita il Conte Ceconi si dedicò all’attività politica di Pielungo, venendo eletto più volte sindaco, nonché consigliere della Deputazione Provinciale di Udine. Grazie al suo impegno nelle istituzioni riuscì a vincere l’isolamento della vallata, costruendo i primi acquedotti comunali, alcune aziende agricole, nuovi ponti e sette scuole; queste ultime realizzate solo grazie alla sua generosità. In questi anni assunse una badante di origine slovene, Giuseppina Novak, che conquistò l’animo di Jacum. I due si innamorarono ed ebbero due figli: Mario (che diventerà uno dei massimi scultori italiani del ‘900) e Magda. Il conte, vecchio e ammalato, si spense definitivamente a Udine il 18 luglio 1910, per essere poi trasferito a Pielungo e seppellito nella Cappella di famiglia.
La Val d’Arzino
È una valle selvaggia e incontaminata, nel cuore delle Prealpi Carniche. Si estende dal paese di San Francesco, in comune di Vito d’Asio, ai comuni di Pinzano al Tagliamento, Clauzetto e Forgaria nel Friuli. È attraversata dal torrente Arzino, le cui acque smeraldine hanno costituito un patrimonio naturalistico di rara bellezza. I suoi abitanti lottano ogni giorno per salvaguardarlo. Vito d’Asio è il paese natale di Girolamo Ortis (1773 –1796), il giovane italiano al quale Ugo Foscolo si ispirò nelle sue Ultime lettere di Jacopo Ortis. Si ringrazia e si consiglia Il ristorante Da Renzo di S. Francesco di Vito d’Asio in Val d’Arzino, per la calorosa ospitalità e l’ottima cucina casalinga. Cibo tipicamente friulano. Alla domenica si serve capriolo con polenta. Tel. 0427 80123 (chiuso il venerdì) Bibliografia utilizzata “Conte Giacomo Ceconi”, Grapich Studio 2010, brochure edita in occasione del centenario della morte del Conte; Ludovico Zanini, “Il Conte Giacomo Ceconi di Monte Cecon”, edizioni de La Panarie, Udine 1930. Alla sua memoria sono state intitolate numerose vie e il nome dell’Istituto Professionale di Stato di Udine. A centosei anni di distanza dalla scomparsa del Conte Giacomo Ceconi, il suo ricordo è ancora vivo soprattutto nella Val d’Arzino. Di recente la Graphic Studio di Arba, azienda leader nel mercato della fotografia matrimoniale, ha provveduto a restaurare il Castello Ceconi riportandolo agli antichi splendori.
Michele Tomaselli |
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PERSONAGGI MAURIZIO MATTIUZZA Intervista di Andrea Doncovio
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Il narratore senza tempo Poeta e scrittore, le sue opere sono state tradotte in diverse lingue europee. Nel suo ultimo progetto narra la reazione di uomini e donne di fronte all’arrivo di un mutamento sociale: «Siamo disabituati a pensarci Storia e così non comprendiamo più il presente».
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Maurizio Mattiuzza e la poesia: come si è sviluppato questo rapporto? «È qualcosa che mi accompagna ormai da oltre 30 anni. Ho sempre amato la lettura. I libri e la musica mi circondano praticamente da sempre. Come autore ho iniziato a metà degli anni ’80, scrivendo testi per la mia band, un gruppo al confine tra il punk e la poesia. Da lì ho proseguito come poeta, prima dentro alla grande officina creativa e politica della rivista Usmis e poi in quel movimento culturale che ne è stato in qualche modo conseguenza. Credo sia stata una primogenitura che ha segnato tutto, dandomi la fortuna di una dimensione condivisa. Molte delle cose che ho pubblicato, infatti, in qualche modo spesso si sono messe in cammino da sé. Altri autori ne hanno fatto video art o canzoni, chiudendo quel cerchio che è anche il mio inizio». Il suo lavoro unisce spesso poesia e musica: nell’era delle nuove tecnologie, qual è lo stato di salute del rapporto tra queste due arti? «Dal mio osservatorio posso dire che il rapporto è molto buono fino a quando si è in grado di fonderle in una possibilità espressiva entro la quale niente è come prima. Se poesia e musica diventano una nuova pozione magica, allora ecco che nasce un’altra emozione, una visione delle cose diversa da quella che ciascuna di queste due arti aprirebbe magari da sola». Agli artisti che interpretano e suonano le sue opere lei cosa chiede in particolare? «Più che chiedere ho un grazie da dare, da dire. Essere scelti per un progetto che nasce altrove, ha una magia 30
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tutta sua. Una magia che, per funzionare, ha bisogno di sincerità e attenzione reciproca. Insomma c’è da “volersi bene” a vicenda, come capita da anni, ad esempio, con Lino Straulino, con Renzo Stefanutti e, recentemente, con la band dei Luna e un Quarto. Sono stato fortunato perché tutti gli attori, i musicisti con cui ho collaborato o che mi hanno sottoposto un brano già finito, sono artisti di grande levatura e sensibilità. Gente che recita e scrive canzoni in un modo che io ammiro profondamente». Attraverso questa miscellanea di musica e poesia è nato un quartetto che porta in scena Cantata per la donna del chiosco sul Po: qual è il significato di questo recital? «Al centro di questo progetto, che vede insieme a me il cantautore Renzo Stefanutti, l’attrice Stefania Carlotta Del Bianco e Susan Franzil al violoncello, c’è un desiderio condiviso. La voglia, che abbiamo tutti e quattro, di dare ancora al verbo cantare quel senso civile e poetico che fa di tante canzoni popolari dei veri capolavori. È un omaggio alla terra, alle cose che sa dire con la nebbia, l’afa, l’inverno. Così, tutti assieme, abbiamo deciso di mettere sul palco un piccolo canzoniere contemporaneo dedicato a quell’Italia operaia e contadina che sta giusto mezzo passo dietro a noi. Un recital che mescola melodie friulane e storie della pianura, emigrazione di ieri e di oggi. Che inquadra case di ringhiera e parti di periferia fino ad arrivare alla figura che dà il titolo a tutto. Quella donna, che dal suo chiosco sul Po, sognava la certezza della fabbrica. Una certezza rivelatasi troppo spesso effimera». La sua opera narra le reazioni di uomini e donne di fronte al tempo che prelude un mutamento socia-
le. All’epoca, il passaggio dal mondo agricolo a quello industriale. Oggi giorno siamo di fronte a un nuovo cambiamento? «Ogni cambiamento, per essere compreso, diventare materia narrativa, necessita di tempo. Di un tratto di vita capace di farci percepire la distanza che separa il vissuto dal presente. Se ora è più facile comprendere il passaggio dal mondo agricolo a quello industriale, non è quindi altrettanto agile focalizzare quanto ci accade nel quotidiano. Inoltre noi ora viviamo forse un processo peculiare, tipico della nostra era. Una sorta di disabitudine a pensarci Storia che di certo non aiuta a comprendere il presente». Nel recital emerge che negli anni ’70 le persone sognavano le tappe di un avvenire migliore; nel 2016 secondo lei si guarda ancora al futuro sognando o prevale la paura? «Di motivi per avere paura, io credo e un po’ ricordo, ce n’erano anche allora. La guerra fredda, il nucleare, tanto per dirne alcuni di globali; per noi in Italia, ne ho memoria diretta, spesso anche il timore a salire su un treno, perché quelli erano tempi in cui si poteva saltare in aria per le bombe anche in una piccola stazione dell’Appennino, oppure a Bologna, a Brescia. Se si sognava, penso lo si facesse sulla base di una speranza, di una narrazione capace di evocare futuro. La paura, quando prevale, si nutre di vuoto. Cresce in quella solitudine che può coglierci anche in mezzo a una moltitudine». In passato, di fronte alle grandi crisi, l’uomo ha riscoperto il valore dell’arte e della cultura come caposaldo cui attraccare i propri ideali. Vale ancora così in questi tempi? «Crisi e arte stanno spesso insieme. Si confrontano, si intersecano, si fronteggiano. Si sfidano in un rapporto che ruota attorno a un etimo. Perché se crisi deriva da cambiamento, l’arte, di quel cambiamento, può essere sia conseguenza che anticipo, destino dato prima. Un destino narrato. Intravisto, sublimato. Oggi, guardando a questo rapporto, a quanto può significare in termini di valori o idealità, c’è però da fare parecchia attenzione alla lente del mercato, a quanto va formando e deformando la cultura». Qualsiasi opera ha un destinatario a cui desidera trasmettere un messaggio, un’emozione: com’è il rapporto di Maurizio Mattiuzza con il pubblico? «Un rapporto di profondo rispetto. Il pubblico è il principio di ogni cosa, la prova che si sta insieme su una base comune. Molte delle cose che scrivo e racconto sono materia di tutti. Io, pur facendo il poeta e lo scrittore, spesso mi sento un cantastorie. Uno che impara dalla vita e racconta con la scrittura ciò che vede o che non vede più». I suoi testi sono tradotti in diverse lingue europee e lei stesso scrive in italiano, friulano e nel
Qui sopra la copertina del libro dedicato ai giorni post sisma del maggio ’76. In basso, la copertina del disco “Oggi è sabato sera”. dialetto della Valsugana: nell’epoca dei messaggi abbreviati e degli emoticons, qual è lo stato di salute della “lingua”? «La lingua friulana, per molti aspetti, sta meglio di trent’anni fa. Peggio sta, forse, l’italiano, quanto meno in termini di qualità media, soprattutto in tv, alla radio. Sul friulano, poi, ci sarebbe molto da dire, anche perché, pur stando in salute, rimane sempre una lingua che ha davvero bisogno dell’affetto di chi la parla. Un affetto mai venuto meno e che va trasmesso alle nuove generazioni attraverso dei percorsi didattici ma pure comunicativi, artistici». Fare arte in Friuli Venezia Giulia è più semplice o più complicato rispetto che in altri luoghi d’Italia? «Entrambe le cose. La nostra posizione geografica, la nostra storia plurilingue, questo essere mare e terra che siamo, sono una materia potentissima. Per certi aspetti unica. Una materia che dà grandi risultati. Poi c’è l’altro aspetto, quel venir visti, soprattutto nelle grandi capitali della cultura italiana, come gente che sta in un posto freddo dove non capita mai nulla. Una percezione errata e che di certo non ci giova». Finale con sguardo al futuro: quali sono i prossimi progetti in cantiere? «Nell’attesa che esca un album di canzoni firmate assieme a Renzo Stefanutti, sto lavorando a diverse cose, soprattutto di narrativa».
Andrea Doncovio
Maurizio Mattiuzza, vincitore, con “La donna del chiosco sul Po” (La Vita Felice, 2015), della sezione Poesia XIII edizione «InediTO – Premio Colline di Torino» 2014, è una delle voce più significative della letteratura friulana contemporanea. Attivo già dalla seconda metà degli anni ’80 con la rivista Usmis, ha pubblicato diverse raccolte di poesia con note critiche di Gabriela Fantato, Luciano Morandini e del cantautore Claudio Lolli. Premio nazionale «Laurentum» 2009 per la poesia, lavora da diversi anni come spoken poet e paroliere accanto a Lino Straulino, col quale ha realizzato l’album Tiere nere e diversi altri brani. È autore, assieme a Renzo Stefanutti, di una delle canzoni finaliste del Festival di Poesia di Genova. Ha da poco firmato con Jacopo Casadio e la band dei Luna e un Quarto “Oggi è Sabato sera - Ballata per Primo Carnera” disco da cui è stato tratto il concerto recital omonimo con regia di Stefania Carlotta Del Bianco e gli interventi di sand art di Massimo Racozzi e Fabio Babich. È il direttore artistico della sezione letteratura del festival Suns Europe. Conta traduzioni in inglese, sloveno, greco e altre lingue europee con partecipazioni a numerosi festival internazionali di letteratura. Scrive in lingua italiana, friulana e nel dialetto della Valsugana. È uno degli autori de “ La notte che il Friuli andò giù”, libro di narrativa dedicato ai giorni del maggio ’76. Nelle scorse settimane ha conquistato il “Premio Carlo Levi 2016 - Sezione Poesia, con la lirica Qualcosa di Sud.
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ALLA SCOPERTA DI...
LA STORIA DI DOMENICO MONTESANO Servizio di Alberto V. Spanghero
Mènego
Napoletàn
Un bersagliere meridionale e una donna bisiaca con il fratello arruolato nell’esercito austriaco. L’amore improvviso e la partenza per il fronte, fino alla disfatta di Caporetto. E una scelta presa senza dubbio alcuno. Quando l’amore poté più del fucile.
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In una guerra ci sono tanti soldati galantuomini, magari eroi, ma anche tantissimi mascalzoni sicuramente vili. A tutte le nefandezze volute e organizzate da politici e generali criminali sovrapponiamo la storia molto semplice e sconosciuta ai più di un bersagliere italiano che a differenza di altri a Turriaco si comportò da vero galantuomo. Originario di Piscinola, provincia di Napoli, Domenico Montesano, “Mènego Napoletàn”, classe 1892, del 15° Bersaglieri Brigata Savona, nel
1915 era accampato a Turriaco. Domenico era addetto alla distribuzione della posta ai vari reparti e, durante i suoi giri in bicicletta da bersagliere, conobbe Orsola Mauchigna, che faceva da banconiera in una delle tante osterie improvvisate del paese. Orsola non era proprio una “bellezza” (aveva un leggero handicap a una gamba) a differenza di Domenico che, invece, era bello come un “artista di cine”. Si frequentarono e in breve nacque una relazione e lei, dopo qualche mese, si accorse di essere rimasta incinta. La relazione di Orsola con un “taliàn” in famiglia non era ben vista, anche perché il fratello Giuseppe e i suoi cugini erano stati arruolati nel 97° Reggimento Fanteria austroungarico. Nel frattempo Domenico venne mandato in prima linea sul fronte di Gorizia, dove, tra il 12 e il 26 maggio 1917, si combatté la X battaglia dell’Isonzo. Ferito, fu mandato in convalescenza nelle retrovie. Ma il pensiero per Orsola, sola e in “attesa”, lo tormentava e così, non ancora guarito, si fece spedire nuovamente al fronte. Finalmente, dopo una serie di avventure degne di un film, Domenico il 7 agosto del 1917, mantenendo fede alla sua promessa e da vero galantuomo qual era, sposò a Turriaco la sua Orsola. Terminata la licenza matrimoniale (dieci giorni), fu mandato nuovamente in prima linea sulla Bainsizza, dove tra il 17 e il 31 agosto 1917 si combatté la più tremenda delle battaglie dell’Isonzo: l’undicesima. Quella della Bainsizza viene ricordata dagli storici come la battaglia che batté tutti i record negativi precedenti e il computo degli uomini che persero inutilmente Sopra: Turiaco 1917, bersagliere portaordini si disseta. A fianco: Domenico Montesano in divisa da bersagliere.
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Turriaco 1916. Cassetta postale da campo: Domenico era Turriaco 7 agosto 1917. Matrimonio di Domenico Montesano e Orsola Mauchigna. addetto alla distribuzione della posta ai vari reparti.
la vita fu raccapricciante: fra morti e feriti il numero dei caduti italiani raggiunse la cifra di 144.000. “Venti chilometri quadrati trasformati in un tappeto di cadaveri”. Una fila di morti distesi testa-piedi lunga 330 chilometri: la distanza che separa Monfalcone da Bologna. Le critiche piovvero da tutte le parti e il generale Cadorna, comandante in capo dell’Esercito italiano, fu definito da alcuni politici un pazzo senza misura, un sanguinario che non sapeva dirigere. Mentre Domenico, tra un attacco e l’altro, era rintanato in qualche trincea dell’altipiano, il 20 ottobre dello stesso anno nacque il figlio Lino, il suo primogenito. Nel Monfalconese, quando la gente sentiva crepitare le mitragliatrici e tuonare il cannone, sapeva che sul Carso era incominciata una nuova e inutile carneficina. Della mattanza che avveniva appena a una decina di chilometri di distanza, pochi avevano l’esatta percezione delle reali dimensioni. Orsola, senza notizie di Domenico, si sentiva più sola e abbandonata che mai. Il suo pensiero non poteva che correre dove infuriava la battaglia e immaginarsi una vedova di guerra come tante, con un figlio appena nato, già orfano di padre. La mattina del 24 ottobre 1917, l’esercito austrotedesco passò deciso all’offensiva a nord di Tolmino, travolgendo tutte le posizioni italiane. Nell’arco di poche ore si era aperta una paurosa falla fra le linee italiane: controllando tutte le difese su ambedue le rive dell’Isonzo, le truppe austro-tedesche scesero velocemente lungo le valli convergendo su Cividale del Friuli. Le fasi della battaglia sono trop-
po note perché le si debba qui ricordare. Il fronte dell’Isonzo, che stava per essere aggirato, crollò completamente: la ritirata dell’esercito italiano in breve tempo si trasformò in una disastrosa disfatta, ricordata nei libri di storia come la “rotta di Caporetto”. Domenico, travolto dal susseguirsi da questi immani avvenimenti, si ritrovò improvvisamente invischiato nella ritirata, sperduto e senza riferimenti. Ma il pensiero che lo tormentava in quel momento non fu quello degli esiti della battaglia o della paura di essere fucilato per diserzione, bensì la sorte della propria famiglia. Domenico prese così la decisione più importante e pericolosa della sua vita: si liberò di fucile, baionetta e giberne e dette il suo personale “Addio alle armi”. Di notte, nei pressi di Romans d’Isonzo, abbandonando il flusso dei militari in fuga, fece marcia indietro e, arrivato a Villesse, attraversò a nuoto l’Isonzo in piena. Alle prime luci dell’alba, grondante d’acqua e infreddolito, arrivò finalmente a casa di Orsola, dove poté vedere per la prima volta il figlio Lino. Domenico rimase nascosto nei “Casoni”, una località fuori paese, fino al novembre del 1918, quando con la fine della guerra arrivò la sospirata pace. Galantuomini più di così: in tempo di guerra si diventa anche eroi. Nel 1920, la coppia fu rallegrata dalla nascita di Marino, il loro secondo e ultimo figlio. Di mestiere Domenico faceva il muratore. Morì nel 1952 mentre la moglie Orsola lo seguì nel maggio del 1964.
Alberto Vittorio Spanghero
Ricercatore e storico di Turriaco |
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ALLA SCOPERTA DI...
FIUME ISONZO Servizio e immagini di R. Duca e R. Cosma
Il figlio
delle Giulie
“Sono del parere che l’Isonzo è il più bel fiume d’Europa...”
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Tra i fiumi della regione Giulia, l’Isonzo è forse quello che, più di ogni altro, ha impegnato storici e studiosi in appassionate ricerche sulle variazioni remote e recenti del suo corso, sulle origini del suo nome, su presunte identificazioni con il mitico Timavo o con il Natisone, sul bilancio idrologico del suo bacino imbrifero, sui problemi originati nel tratto italiano dalla sregolazione delle portate e dai numerosi scarichi inquinanti. A questo emblematico corso d’acqua, ora transfrontaliero, simbolo di una terra tanto segnata dalla storia e dal destino, Celso Macor - poeta, scrittore, saggista isontino - ha dedicato nel 1991 un ‘cantico’, con un incipit splendido: “… Largo, solenne, colmo, le mille acque raccolte dai fianchi dei monti e nella piana, un sottofondo mormorato, un alleluja con tutte le voci della natura, eppure silenzioso, nella festa un po’ triste di giunchi e pioppaie a macchie nell’orizzonte, una lunga muraglia di canne: è il tramonto di un altro giorno del morire di un fiume. Morire? No: è un perdersi nell’immensità e nel mistero, un andare nell’arcano sconfinato dove si raccolgono la storia, la cultura, i canti dei popoli. Tutto nasce e tutto muore in un giorno ed ogni giorno. Lassù, dentro al fianco di una montagna la vita incomincia in un’ampolla di roccia…”.
Julius Kugy (1858-1944)
L’Isonzo è il ‘fiume’ della pianura isontina. L’ha costruita, l’ha modellata nel corso dei millenni, l’ha ampliata e modificata con le variazioni della sua foce. Concorre a renderla fertile da oltre un secolo attraverso fitte reti irrigue, che la mano previdente dell’homo faber ha saputo costruire e adeguare nel tempo. L’Isonzo nasce dalla viva roccia in alta Val Trenta (940 metri s.l.m.), ai piedi dei massicci frontoni della ‘Velika Dnina’, nel Parco nazionale sloveno del Tricorno, tra il monte Jalovec (Gialuz- Jalluz) e il Passo della Maistrocca (Preval Vrsic), nel grande ambito del maestoso Mangart e del mitico Tricorno. Dalla polla sorgentizia le acque precipitano in una gola profonda e scendono in direzione sud, verso la pianura che da esso prende nome: “…nel buio della coppa profonda che ne raccoglie il primo palpito il guizzo cristallino è già verde. Viene da profondità insondabili. C’è chi dice che raccoglie le acque sotterranee dai nevai e chi crede che non sia soltanto leggenda quella che lo vuole attingere la sua forza vitale dai laghi di Fusine…” Celso Macor 1991). L’asta fluviale ha un andamento piuttosto irregolare con numerosi e bruschi cambiamenti di direzione, determinati dalle direttrici orografiche delle Alpi Giulie, orientate da nord-ovest e da sud-est. Il bacino imbrifero (3.430 kmq: 2.320 in zona slovena, 1.110 in provincia di Gorizia) non è alimentato da ghiacciai eterni, ma da ampie pendici innevate che conferiscono al fiume carattere pluvio-nivale e conseguentemente regime torrentizio. Con i suoi 138 km di lunghezza (in linea retta, il tratto sorgente-foce è pari a 75 km) l’Isonzo è al 150° posto tra i corsi d’acqua italiani: 98 km ricadono in Slovenia e solo 40 in territorio italiano. Le portate oscillano da un minimo di 15 mc/sec a un massimo di oltre 2.500 mc/sec (massima piena 20/10/1896: 2.625 mc/sec) con una portata media annua di 130 mc/sec, superiore del 50% a quella del Tagliamento. A sinistra, il letto del fiume Isonzo senz’acqua a Sagrado. In alto, il Ponte 9 agosto sul fiume Isonzo a Gorizia (ph. Turismo FVG)
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L’antichissima confluenza con il Natisone, le ipotesi del paleoisonzo e di un alveo nel Vallone di Chiapovano, i ripetuti spostamenti di foce da occidente a oriente avvenuti nell’arco degli ultimi dieci secoli, hanno fatto guadagnare all’Isonzo anche il singolare appellativo di fiume vagabondo. Le cause fondamentali di quel lungo vagare sono attribuibili soprattutto all’ostacolo costituito dagli apporti solidi dei corsi d’acqua alla sua destra e alla maggiore pendenza del fondo sottomarino alla sinistra della sua foce. L’inizio del progressivo spostamento isontino può essere collocato tra il IX e il X secolo e l’identificazione del suo corso con quello dell’odierno ‘Isonzato’ verso la fine del secolo XI: ‘Tiel’, ‘Primero’ (Portus Primarius), ‘Averto’ (nell’ambito dell’odierna Fossalon), ‘Isonzato’, ‘Sdobba’, ‘Quarantia’ (Correntia) e nuovamente Sdobba sono stati, in successione, i suoi alvei di foce. Il graduale spostamento da occidente a oriente provocò il continuo mutare del paesaggio litoraneo monfalconese e gradese e la creazione di nuove terre, di cui il ‘Lido di Staranzano’, la ‘Cona’ e ‘Isola Morosini’ sono l’esempio più evidente. Nel 1935, per porre fine alla sua continua deriva verso levante, sono stati imposti al fiume un alveo di foce principale, tramite il ‘ramo Sdobba’ (km 8), e uno sussidiario, utilizzando il ‘ramo Quarantia’, per le portate di piena. L’Isonzato, alveo isontino originario (Isonzo vecchio, Isoncello), era ormai da secoli un corso d’acqua a sé stante, alimentato dalla falda. L’importante intervento di regimazione consta di un manufatto ‘scolmatore’, il quale ha esplicato la propria funzione soltanto per qualche decennio: un’imponente opera d’ingegneria idraulica, oggi degradata dal tempo e dall’incuria, ormai parzialmente interrata a monte, costituita da una serie di batterie di sifoni e di paratoie basculanti, protette a valle da un’ampia platea antiscalzamento in lastroni di pietra carsica. Il cono di deiezione delle alluvioni isontine, aprendosi a ventaglio da Gorizia al mare, tocca a occidente il materasso alluvionale del Tagliamento, si appoggia a oriente alle pendici carsiche e si insinua nella fascia litoranea monfalconese tra i depositi del Timavo. È praticamente impossibile fare un bilancio idrologico del fiume: esso cede e riceve acque ovunque, con un gioco continuo di perdite e di acquisizioni. Nella conca di Plezzo le acque dell’Isonzo defluiscono verso Gorizia e al di là del Collio (per giungere nella piana di Buttrio) e filtrano sotto il Vallone di Doberdò, verso i laghetti di ‘Doberdò’, ‘Mucille’, ‘Pietrarossa’, ‘Sablici’ e verso la piana del Lisert e il Timavo. C’è, quindi, un consistente apporto dall’Isonzo verso il Carso e dal Carso verso la falda isontina e sussistono fondati motivi per ritenere che le acque raccolte nell’altipiano di Tarnova, in Slovenia (a nord-est di Gorizia), sottopassato il Carso, raggiungano il mare rifluendo nel subalveo isontino. L’Isonzo è stato definito, non a caso, il fiume più giovane d’Europa. Ciò per la sua complessa storia geologica, caratterizzata da ripetute variazioni di corso, particolarmente nella piana di Gorizia e in quella
L’impeto del fiume Isonzo durante una fase di piena nei pressi di Sagrado
monfalconese. Nella conca goriziana, sotto un poderoso strato di ghiaie (50-80 m), si può ritrovare l’antico alveo del fiume, che, giunto in pianura, deviava a Salcano verso la sua sinistra idrografica e scendeva quindi a sud, in direzione del Vallone di Doberdò: con il graduale riempimento alluvionale, l’alveo si è sempre più spostato verso la destra idrografica, ovvero verso ovest. In epoca remota, un unico ghiacciaio alimentava tramite due distinti bracci sia l’Isonzo che il Natisone e, nella zona di Caporetto, c’era la confluenza tra i due corsi d’acqua, per cui il tronco fluviale da Caporetto a Tolmino costituiva il cosiddetto ‘paleoisonzo’. Sembra che, ancor prima, il fiume solcasse il Vallone di Chiapovano, ai piedi dell’altopiano della Bainsizza, scomparendo successivamente nel sottosuolo per il fenomeno del carsismo. Il nostro fiume risulta conosciuto con il termine ‘Sontius’ solo dal IV secolo, anche se l’indicazione di ‘Ponte Sonti’ riportata dalla Tabula Peutingeriana e i rinvenimenti di una iconografia del fiume (databile II secolo) tra le rovine di una chiesetta nella zona della Mainizza (Farra d’Isonzo) nel 1923 e di un reperto votivo, in pietra d’Aurisina (collocabile tra I e II secolo), in una cava di ghiaia di San Pier d’Isonzo nel 1989 (nel sito dell’antico guado sul fiume), inducono a una datazione anteriore. Certo è che nella letteratura romana (particolarmente Plinio il Vecchio - Naturalis Historia Libri), mentre sono nominati il ‘Timavo’, il ‘Tilavemptum maior minusque’ (Tagliamento), il ‘Natiso cum Turro’, l‘Anaxum’ (Stella), l‘Alsa’ (Aussa) e il ‘Liquentia’ (Livenza), non viene mai citato l’Aesontius, neanche da Erodiano che descrisse il forzamento del fiume ad opera dell’esercito di Massimino il Trace nel 237 (anno 990 di Roma, anno 418 di Aquleia), nonostante l’abbattimento del ponte lapideo per mano degli Aquileiesi. Secondo alcuni studiosi il termine ‘Sontius’ deriverebbe da ‘Esus’, il dio gallico del commercio, dei ladri, delle strade, dei guadi e dei ponti, cioè il corrispondente del romano Mercurio; da Esus, variazioni successive hanno portato alla forma ‘Aeson’, quindi a quelle latine di ‘Aesontium’ e ‘Sontius’. Per Wilhelm Oehl (1936) il termine Isonzo contiene la radicale ligure ‘Is’ (acqua), che compare anche in numerosi idronimi europei (Isar, Isarco, Isella, Iseo, Isère ed Ister- Istros, il nome greco attribuito al corso inferiore del Danubio); per Adolf Schulten (1914), invece, sarebbe ligure anche l’infisso ‘ont’, che Hans Krahe (1954) definì vetero-europeo con significato di ‘acqua che scorre’; per Giovanni Battista Pellegrini (1987) il termine farebbe riferimento alla radice indoeruropea ‘ais’ con significato di ‘sorgemte, fonte’. Il corso d’acqua è stato chiamato anche Istro e Isnitz dai tedeschi; Isunz, Usinch, Lusinch, Usinz, Lusinz, Usint e
Foto del 1940: scolmatore delle piene tra Sdobba e Quarantia, nel territorio di Staranzano
Lisùns, Lusint dai friulani; Lisonzo, Lisontium, Lisonzio e Lisonco dalle genti venete, Lisòns dai bisiachi; Soca e pure acqua bianca dagli slavi.
Renato Duca e Renato Cosma
Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina
Diversi poeti hanno rivolto un’attenzione particolare all’Isonzo. Eccone alcuni. Simon Gregorčič (1844-1906): …Rammenta, chiaro Isonzo, allora ciò che il cuore ardente implora: Quanto di acqua in serbo avrà nei suoi nembi il tuo cielo, quanto nelle tue montagne sarà d’acque e nelle pianure fiorite… Giuseppe Ungaretti (1888-1970): …Stamani mi sono disteso in un’urna d’acqua e come una reliquia ho riposato L’Isonzo scorrendo Mi levigava Come un suo sasso… Questo è l’Isonzo e qui meglio mi sono riconosciuto una docile fibra dell’universo Franco de Gironcoli (1892-1979): …ancje ‘l to nom, dolcezze, cun chel sutil savò, di tiare, mar e cil, co l’uldi, amèns mi vegnin li saghis dal Lisunz, claris come i tiei vòi, luzins ta gnot pi fonde… Silvio Domini (1922-2005): …Là ta sabioni e bari ‘ndove che more l’Isonz cu la longa ponta del Spigul ta salgari e canele spassiza al me cor in sogno… |
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ALLA SCOPERTA DI...
NICOLÓ PACASSI Servizio e immagini di Vanni Feresin
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300 anni
di dubbi
“Nessun misero mortale, nato in riva al ceruleo Isonzo, è stato ritenuto dai cittadini più goriziano di lui, sebbene avesse visto la luce a Wiener Neustadt”.
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A trecento anni dalla nascita, Nicolò Pacassi continua a far sorgere domande e interrogativi, soprattutto per quanto concerne le opere goriziane. Un vivace dibattito ha fatto sorgere nel 2013 l’ipotesi, suffragata da indizi frammentari, che un giovane e promettente architetto alle prese con la corte viennese non poteva “sporcarsi le mani” in una città perificherica dell’impero, quale era Gorizia. Non si possono però dimenticare studiosi e storici dell’arte del calibro di Antonio Morassi, Sergio Tavano, Ranieri Maria Cossàr, Giuseppina Perusini e Diego Kuzmin che tutt’altro hanno affermato su quelle stesse opere. Molte ricerche e ancora tanti archivi dovranno essere consultati per giungere a una qualche verità storica, intanto le opere di Nicolò, vere o presunte, continuano a fare memoria di un secolo effervescente quale fu il Settencento. Gorizia può vantare vestigia architettoniche e artistiche di pregevole rilievo sostanzialmente per due ragioni: in primis perché la città ha origine molto antica, basti guardare il suo nucleo urbano arroccato nel borgo medioevale attorno al castello, e in seconda ipotesi per la sua particolare situazione geografica che l’ha messa a contatto con mondi molto diversi e talvolta contrapposti; sicuramente le devastazioni procurate dai duelli di artiglieria della Prima guerra mondiale poco o nulla hanno lasciato della città precedente al XVIII secolo e ciò ha recato dei danni profondissimi 40
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a una storia complessa che avrebbe meritato ben altro destino. Fondamentale per il capoluogo isontino è stato tutto il Settecento. Dal punto di vista sociale Gorizia, che contava poco più di cinquemila abitanti alla fine del Seicento (giungerà agli ottomila abitanti poco prima delle dominazioni napoleoniche), passò rapidamente a un’espansione e a uno sviluppo, sia dal punto di vista urbanistico sia demografico, determinato soprattutto da una notevole concentrazione di ordini religiosi che con i loro conventi, le chiese, i seminari, i collegi, le cappelle segnarono in modo profondo la fisionomia barocca di molta parte del centro cittadino. Il Settecento segnò l’innalzamento e il miglioramento della qualità della vita, con ripercussioni positive sulle arti in generale. A Gorizia si incrociavano in modo del tutto singolare due indirizzi culturali e formali perché la vita artistica cittadina ruotava intorno a due poli antitetici, Venezia e Vienna, due aree culturali che attraevano e influenzavano in modo simile gli artisti goriziani. Tra i pittori operanti nel XVIII secolo che si caratterizzeranno per la loro gorizianità (o perché vi sono nati o vi hanno preso fissa dimora) sicuramente sono da annoverarsi Antonio Paroli (1688–1768) e la famiglia di artisti Lichtenreiter. Nel campo dell’architettura, invece, la famiglia Pacassi, e in particolare Nicolò, lasciò un segno indelebile tra Gorizia e Vienna. Sopra: l’edificio del palazzo municipale di Gorizia.
Nicolò nacque a Wiener Neustadt il 5 marzo 1716 e, come sottolinea Ranieri Mario Cossàr in “Storia dell’arte e dell’artigianato a Gorizia”, edita a Pordenone nel 1948: “Nessun misero mortale, nato in riva al ceruleo Isonzo, è stato ritenuto dai cittadini più goriziano di lui, sebbene avesse visto la luce a Wiener Neustadt”. Il suo vero nome era Nikolaus Franz Leonhard von Pacassi, il padre Giovanni si trasferì a Gorizia dopo il matrimonio con una donna del luogo. La famiglia da generazioni si dedicava al mestiere di scalpellino e i Pacassi erano molto ricercati in città proprio per la lunga esperienza, in particolare nel campo della costruzione degli altari, tanto che Giovanni realizzò nel 1708 l’altare della Cripta dei Cappuccini a Vienna (luogo di sepoltura della famiglia imperiale d’Austria) e il nonno di Nicolò, Leonardo, aveva realizzato tra il 1690 e il 1694 l’altare maggiore della Chiesa del Santissimo Salvatore in Gradisca (si vedano le note spese presenti nell’archivio storico della parrocchia di Gradisca 3.4/1 Pagamenti effettuati e quietanze; b.39 – 43; 1620 – 1915). Il padre di Nicolò, negli anni di permanenza nella capitale dell’Impero, ebbe modo di entrare in contatto con i grandi protagonisti dell’arte e dell’architettura mitteleuropea e anche per questo motivo fece intraprendere la carriera di architetto a suo figlio. Nicolò nel 1740, non ancora ventiquatrenne, progettò e realizzò il Palazzo Attems – Santa Croce e sarà proprio Sigismondo d’Attems, amico e vicino di casa (abitavano entrambi in piazza Corno, oggi piazza de Amicis), a metterlo in contatto con il mondo della corte imperiale viennese, infatti già nel 1743 sovrintenderà ai lavori del Castello di Hetzendorf per conto dell’Imperatrice Maria Teresa. La carriera di Pacassi fu rapida e di successo: nel 1745 divenne Baumeister al servizio della corte, nel 1748 Hofarchitekt (Architetto di corte), nel 1753 ottenne il titolo di primo architetto delle costruzioni imperiali e nel 1760 K. K. Oberhofarchitekt (Sovrintendente alle costruzioni imperiali), tra il 1761 e il 1763 divenne professore all’Accademia di San Luca a Roma, nel 1764 ottenne l’investitura a cavaliere del Sacro Romano Impero e nel 1769 l’imperatrice lo nobilitò con il titolo baronale. Restano controverse, invece, le motivazioni delle sue improvvise dimissioni da sovrintendente, avvenute nel 1772. I lavori goriziani ancora oggi visibili sono, oltre al già citato palazzo comunale, la Fontana del Nettuno in piazza della Vittoria e quella dell’Ercole, nel cortile di Palazzo Attems Petzenstein, ultima opera dell’architetto del 1775. Nicolò Pacassi, nella sua visione moderna e innovativa dell’architettura, elaborò facciate chiuse entro schemi limpidi, rispettando e sviluppando proporzioni e temi ancora palladiani, con evidenti ascendenze francesi, e come scrive Sergio Tavano: “Imprime un indirizzo d’avanguardia non solo nella sua città ma anche e soprattutto a Vienna e dovunque lo chiamavano le sue mansioni di architetto di corte”.
La fontana del Nettuno in piazza Vittoria a Gorizia
Le opere goriziane che vengono contestate a Pacassi
Il Palazzo Attems – Santa Croce venne ultimato da Nicolò Pacassi nel 1740, che all’epoca aveva appena ventiquattro anni. Questo risulta essere il primo grande progetto attribuito all’architetto goriziano, che ideerà e realizzerà altri due notevoli palazzi per la nobile famiglia degli Attems: il Palazzo di Piazza Corno nel 1745 e quello di Podgora del 1748, andato distrutto durante il primo conflitto mondiale, l’8 agosto del 1915. Dell’originario Palazzo Attems – Santa Croce permangono oggi solamente i tre balconcini sul fronte stradale, la loggia jonica rivolta al giardino e la doppia scalinata d’ispirazione veneta, con gli alti gradini che conducono al primo piano. L’edificio venne completamente modificato da Johann Christoph Ritter de Zahony, subito dopo l’acquisto del 1823. Le modifiche sono state effettuate da un architetto che rimase misteriosamente anonimo. Il Palazzo Attems-Petzenstein famoso per la sua imponente facciata, si erge solenne in quella che fu Piazza Corno dominato da sette statue allegoriche e con lo stemma comitale segnato AN. MDCCXLV, iniziato secondo alcuni storici nel 1714, secondo altri nel 1732, e ultimato nel 1747. La costruzione di sapore palladiano, ma in stile di transizione fra il barocco e il rococò con il suo grande salone adorno di stucchi, venne impreziosita da numerose tele dei maggiori autori del secolo XVIII, non ultimo Antonio Paroli. Il Palazzo Attems di Piedimonte del Calvario (distrutto nel primo conflitto mondiale) venne ultimato nel 1748. Lo storico dell’arte Antonio Morassi così descrive le scelte di Pacassi: “Lo vedo specialmente intuitivo nel trar vantaggio partito dal paesaggio per ambientare bene le sue fabbriche: qualità che forse gli veniva da uno studio profondo su l’architettura rustica e sull’arte dei giardini”. La villa è fabbricata “in una prospettiva così bene intesa, che la valorizza e ingrandisce a dismisura. Il terreno leggermente ascendente e i terrapieni la fa apparire più lontana, ingannando l’occhio, e le proporzioni tra gli edifici principali, e le fabbriche annesse son tanto ben vagliate che dall’intimo nesso architettonico ne risulta un insieme perfettamente armonioso, ma aumentato in potenza prospettiva”. 42
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La Fontana del Nettuno, nell’attuale piazza della Vittoria, al cui centro domina Nettuno con il suo tridente sopra i sei tritoni che versano dal corpo lo strale d’acqua nel bacino, era stata benedetta e inaugurata il 25 marzo 1756. L’antico pozzo pubblico che gli stava accanto venne otturato nel 1758. Maria Teresa per la conclusione dell’opera aveva donato parte del ricavato della vendita delle caccie della contea, il giudice e rettore Francesco de Gironcoli aveva fornito gratuitamente la pietra necessaria e per questa ragione era stato creato nobile del Sacro Romano Impero con il predicato di Steinbrunn, nel 1760. Esecutore dell’opera lo scultore Marco Chiereghini. La Fontana dell’Ercole, segno tangibile dell’affetto di Nicolò Pacassi per la città di Gorizia. Ercole con la clava in mano è nell’atto di atterrare l’Idra di Lerna; la fontana era collocata in mezzo all’allora piazza Corno e un’iscrizione ne ricordava l’atto generoso dell’architetto. L’opera monumentale venne realizzata da Marco Chiereghini nel 1775 e con la sua linea di composizione armonizzava con il Palazzo Attems-Petzenstein. Venne rimossa nel 1934 per essere collocata nel giardino del palazzo stesso dove ancora oggi è possibile ammirarla.
Le opere di maggiore rilevanza europea
Le opere di maggior rilievo in ordine cronologico: Vienna, ristrutturazione del Castello di Schönbrunn; 1743 Vienna, ristrutturazione del Castello di Hetzendorf; 1753 Vienna, ristrutturazione del “Theresianum”; 1753 Laxenburg, costruzione del teatro; 1754 Praga, costruzione del Convento di Maria Immacolata; 1755-1758 Innsbruck, costruzione dell’altare maggiore della Hofkirche; 1755 Vienna, ristrutturazione degli appartamenti teresiani nel Leopoldinische Trakt della Hofburg; 1756 Vienna, ristrutturazione del Castello Daun a Döbling; 1756-1759 Wiener Neustadt, costruzione delle chiesa di Santa Teresa a Lichtenwörth; 1756-1774 Praga, ristrutturazione del Castello; 1757-1759 Vienna, ristrutturazione della “Vecchia Università”; 1760 Vienna, ristrutturazione dell’Hofburgtheater; 1761-1763 Vienna, ristrutturazione del Kärtnertortheater; 1761-1765 Bratislava (Pressburg), ristrutturazione del Castello della città; 1763 Vienna, realizzazione di un monumento funebre dedicato all’Imperatore Francesco nella chiesa degli Agostiniani; 1764-1766 Vienna, ristrutturazione degli appartamenti dell’Amalientrakt della Hofburg; 1764 Vienna, progettazione del restauro generale della Hofburg; 1765 Praga, ristrutturazione del Castello di Troja; 1766 Luxenburg, costruzione della Grünne-Haus; 1767 Vienna, costruzione dei corpi laterali della Hofbiblioteck; 1768-1769 Milano, progettazione del Palazzo Reale; 1768 Milano, ristrutturazione del Palazzo Clerici; 1768 Milano, progettazione di una cripta Granducale.
Vanni Feresin
PERSONAGGI ALESSANDRO CHITTARO E VALTER MORETTI Intervista a cura di Michele Tomaselli Immagini di Igino Durisotti
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Lâ a tindi La ricostruzione post terremoto ha visto la graduale scomparsa di roccoli e bressane: impianti arborei per la pratica dell’uccellagione, attualmente vietata per legge. «Eppure – dichiarano due esperti – la situazione avifaunistica era meglio prima. Con meno pesticidi e inquinamento».
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Nel 40esimo anniversario del Terremoto del Friuli vogliamo offrire una testimonianza della cultura friulana ante-sisma, legata alla miseria del passato e all’aucupio. Con quest’ultima denominazione s’indica la tecnica per catturare vivi gli uccelli tramite l’uso di trappole, reti, lacci, panie o vischio e, anche se oggi è proibita per legge, è stata un’attività molto diffusa nel secolo scorso, specialmente nella zona collinare e nella Bassa friulana. Dopo il sisma del 1976, la spinta della ricostruzione fu tale che questa regione schizzò in alto nelle classifiche dei consumi e del benessere. Lo slogan per la ricostruzione diventò “prima le fabbriche, poi le case e infi ne le chiese”. Ma inevitabilmente molte cose cambiarono: il sisma spazzò via buona parte del patrimonio artistico, delle architetture spontanee, oltre a quel piccolo mondo antico fatto di tradizioni e usanze legate alla terra e alla lotta per la sopravvivenza. Iniziò il declino dell’uccellagione e l’abbandono dei principali impianti destinati all’aucupio, tra cui le bressane e i roccoli. Ne parliamo ad Ara di Tricesimo con Alessandro Chittaro, ex amministratore del
Comune di Pagnacco, e Valter Moretti, presidente regionale dell’Associazione nazionale per le sagre e le fiere venatorie. Alessandro Chittaro, lei è un ambasciatore di friulanità nel mondo, un divulgatore dei tesori del territorio: ha vissuto i tragici avvenimenti del ’76, oltre ad aver combattuto tante battaglie, anche da amministratore, per la ricostruzione e il mantenimento del patrimonio esistente. Ci può spiegare esattamente che cosa sono i roccoli e le bressane e perché è importante parlarne? «I roccoli e le bressane sono degli impianti arborei del nostro territorio (ma anche diffusi in altre regioni) destinati alla pratica dell’aucupio. Dal 2003 non sono più utilizzati e, quei pochi ancora esistenti, rappresentano una traccia del Friuli scomparso. Inoltre ricoprono un ruolo strategico per l’osservazione dell’avifauna. Il loro utilizzo è andato gradualmente in disuso durante il passaggio dal mondo rurale alla civiltà Immagine di apertura: Bressana Pasc Armeline di Ara di Tricesimo. Al centro dell’immagine, da sinistra, Valter Moretti e Sandro Chittaro. |
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moderna. Fino al 1976 erano largamente diffusi, ma la furia del terremoto ha distrutto ogni cosa. I roccoli e le bressane, così come la semplice uccellagione, servivano a contribuire al sostentamento dei villaggi. Sono un esempio straordinario del lavoro dell’uomo sulla natura e alcuni di essi hanno assunto l’aspetto di veri monumenti del verde. Con questi apprestamenti i nostri avi hanno saputo rispettare il paesaggio senza violarlo, contribuendo a defi nire l’identità di un luogo. Anche Pre Checo Placerean, il grande traduttore della Bibbia in friulano e meglio conosciuto come “il Martin Lutero della piccola Patria”, era un impenitente uccellatore». Dalle testimonianze riaffiora un passato in cui l’attenzione e la sensibilità nei confronti delle fasi della natura e delle sue risorse erano percepite come maggiori rispetto a oggi. Sembra un paradosso: davvero l’uccellagione rispettava questi equilibri? «I nostri antenati erano dei maestri a sfruttare gli equilibri della natura sapendo rispettare l’avifauna. Ricordo, infatti, che il Friuli dell’ante terremoto era a stretto contatto con la natura e che viveva la quotidianità senza quelle sofisticazioni ed enfatizzazioni di oggi. Quel mondo garantiva un equilibrio tra predatori e prede, oltre che il funzionamento degli ecosistemi. D’altra parte c’e-
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ra una popolazione avifaunistica più ricca e ogni anno migliaia di uccelli migravano nelle nostre terre. Oggi non è più così e gli uccelli sono spariti, anche se l’aucupio non viene più praticato dal 2003. Di chi è la colpa? Sempre dell’uccellagione? No, in realtà sono i pesticidi, l’inquinamento e tutti quei prodotti usati oggi in agricoltura ad aver allontanato i nostri amici uccelli». Com’è nata la pratica dell’uccellagione? «Difficile dirlo. Alle origini, nel medioevo, i popolani e i contadini non potevano praticare la caccia maggiore (cervi, cinghiali, caprioli…) dacché era destinata esclusivamente ai nobili; di conseguenza per sfamarsi iniziarono a cacciare le prede più piccole, come per esempio il merlo, il tordo, il fringuello e l’usignolo. Così, i contadini e i boscaioli, che conoscevano i ritmi e i luoghi di frequentazioni dei volatili, cominciarono a costruire le trappole per catturarli. Nacque in questo modo l’aucupio, l’arte di catturare vivi gli uccelli. Poi, furono perfezionati i roccoli e le bressane. Questi ultimi venivano realizzati vicino alle rotte dei migratori. Ma si andava a caccia di uccelli (in friulano “lâ a tindi”) anche per mangiare un piatto di schidionata di uccelletti, accompagnati dalla polenta e dal buon refosco». Si poteva uccellare nella Bassa friulana? «Sì, usando le prodine, una tipologia particolare di rete; era invece raro trovare roccoli e bressane. Il libro “Uccellagione, memorie di un costume perduto” di Doimo Frangipane riporta come luoghi per uccellare i villaggi di Joannis e Castello di Porpetto, rispettivamente possedimenti dei nobili Strassoldo-Soffumbergo e Frangipane. L’avifauna comprendeva sopratutto fringuelli, lugheri, zigali, dordine e orbi. Nell’area di Joannis, il clou delle catture si ebbe nel 1821 con 3.625 uccelli». Cavaliere Valter Moretti, da presidente regionale del sodalizio per le Sagre e le Fiere Venatorie è impegnato a riqualificare la figura dell’uccellatore, oltre che intrattenere i rapporti di protocollo con la Regione. Lei è inol-
tre proprietario della Bressana Pasc Armeline di Ara di Tricesimo, la più grande in Friuli… «È una delle più belle “architetture verdi” della regione. È un impianto arboreo che ha funzionato fi no al 2003, quando è stato proibito l’aucupio, ed è frutto dell’ingegno dei nostri antenati; appartiene alla nostra famiglia da generazioni, esattamente dal 1940, e viene mantenuto attraverso due potature all’anno. Il perimetro è rilevante e ha dimensioni 63 x 20 metri, oltretutto è composto da un doppio fi lare di carpini bianchi. Lungo il corridoio, formato dai due fi lari (detti spalliere), veniva tirata la rete che, dopo il richiamo, garantiva la cattura degli uccelli. Mentre lo spazio chiuso dalle spalliere rappresenta la “piazza” che, nel lato a nord, fuori dal fianco, contiene il capanno. Lì l’uccellatore, ben nascosto, osservava gli uccelli e azionava la rete. Il fabbricato è piccolo ma ha ospitato una famiglia di terremotati». Che differenza c’è tra un roccolo e una bressana? «Si diversificano tra loro principalmente per la forma. I primi sono a pianta circolare ellissoidale, le seconde a pianta rettangolare». Quanti apprestamenti arborei si possono ancora trovare in regione? «Negli anni Ottanta esistevano grossomodo 1.200 impianti, tra roccoli e bressane. Oggi se ne contano solo 400. A Tricesimo ne esistevano 30 fi no al ’90, mentre a Montenars 17. Proprio in questo luogo è ancora ben conservato il “leggendario” roccolo di Pre Checo Placerean, che è ritenuto uno dei migliori del Friuli, dacché la sua posizione consente d’intercettare più rotte migratorie». Sono previste forme di salvaguardia dagli strumenti urbanistici? «Tutti gli apprestamenti arborei esistenti sono tutelati dal Piano Paesaggistico Regionale; il riconoscimento ufficiale è confermato dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale FVG 5 giugno 2000, n. 0182 e dalla Legge Regionale
FVG 22 febbraio 2000, n. 2. La Regione concede sovvenzioni ad hoc per la manutenzione degli impianti. Tutte le strutture che ottengono il contributo vengono considerate d’interesse storicoculturale». Attualmente la leggi in vigore, a differenza di quanto avviene in altri Stati dell’Unione Europea, non permettono di praticare l’aucupio: come mai? «Il problema è che dopo tanti anni di impegno non è ancora stato possibile promuovere per tutti gli Stati membri una normativa rispondente alle direttive comunitarie in vigore». Siamo arrivati alla conclusione. Qual è il futuro per l’uccellagione in Friuli? «Recentemente grazie all’amico Alessandro Chittaro, a mio figlio Manuel, al trascinatore Renato Zampa e altre diverse persone, è stata organizzata una serata amicale da Andrea Liussi, presso l’Osteria “Sul Ronc” a Tarcento, avente tema “Uccellagione e verso degli uccelli canori”; lì, abbiamo riflettuto affi nché questo patrimonio non venga perduto e possa essere giustamente valorizzato, anche grazie al supporto del Fondo Ambiente Italia (FAI) e del Touring Club Italiano (T.C.I.), senz’altro validi strumenti per la visibilità turistica. Inoltre già da tempo abbiamo avviato dei progetti con le scuole elementari di Tricesimo, Reana del Rojale e Cassacco, e con il F.A.I di Udine. Noi ci crediamo!»
Michele Tomaselli Pagina accanto: - in basso, da sinistra Valter Moretti e Sandro Chittaro; - in alto, scorcio dell’esterno della Bressana Pasc Armeline, la più grande in regione, di proprietà della famiglia Moretti. In questa pagina da sinistra: - particolare dell’interno della Bressana Pasc Armeline; - Sandro Chittaro (a sinistra) e Manuel Moretti, figlio di Valter, durante il convegno “Uccellagione e verso degli uccelli canori” tenutosi presso l’Osteria Sul Ronc a Tarcento. |
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2006-2016, 10 ANNI DI IMAGAZINE
La tv
tra la gente
Quarta puntata dello speciale dedicato ai dieci anni della nostra testata, con focus su uno degli ultimi progetti concretizzati in ordine di tempo: quello dei maxischermi digitali iMagazineVideoTruck.
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Nell’era della televisione interattiva, con i telespettatori attori principali e non più semplici fruitori passivi, dotati della possibilità di scegliere in qualunque momento cosa vedere e attraverso quale strumento vederlo, anche iMagazine ha voluto mantenere il passo con i tempi. Dopo mirati confronti con altre realtà internazionali del settore – dall’Irlanda alla Cina, passando per gli Stati Uniti – è emersa l’idea innovativa di una televisione itinerante ad alto contenuto spettacolare. Un progetto avviato nell’autunno del 2013 e che ha saputo conquistare rapidamente l’interesse e il coinvolgimento diretto delle istituzioni e degli organizzatori dei principali eventi in Friuli Venezia Giulia e non solo. Tutti affascinati da una ricetta tanto semplice quanto complessa: abbinare la qualità della trasmissione dei contenuti con la loro fruizione da parte degli spettatori. Perché uno dei punti di forza degli iMagazineVideoTruck è proprio la con46
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divisione multi-personale di quanto trasmesso: una scelta agli antipodi rispetto al sistema pay-tv e alla sua logica del salotto di casa. I maxischermi iMagazine puntano ad amalgamare il pubblico, facendo riscoprire il gusto dello stare assieme, sia assistendo a grandi eventi (come i Mondiali o gli Europei di calcio, le Olimpiadi, il Giro d’Italia, la Barcolana…) sia osservando in modo nuovo e privilegiato appuntamenti della tradizione regionale (dalle fiere cittadine alle kermesse musicali e culturali). Un ingresso nel futuro transitando per il passato. L’abbinamento tra moderna tecnologia e aggregazione delle persone riporta infatti con la mente agli anni ’60, quando il televisore era un elettrodomestico appannaggio dei bar e di poche famiglie: tutte realtà che, durante la trasmissioni di grandi eventi o di appuntamenti nazionalpopolari, si affollavano di persone che si ritrovavano a “vivere” insieme quanto l’agognato schermo diffondeva. «La sensazione che si vive con gli iMagazineVideoTruck – conferma il responsabile tecnico Stefano Cargnelutti ( foto a sinistra) – è pressappoco la stessa. In ogni contesto in cui siamo presenti, i maxischermi diventano veri e propri cata-
Pagina accanto: suggestiva immagine dell’iMagazineVideoTruck (iVT) sulle Rive di Trieste, davanti a una nave di crociera. In questa pagina,dall’alto in senso orario, alcune immagini degli iVT all’opera: - durante Gusti di Frontiera a Gorizia; - in diretta Rai alla Barcolana a Trieste; - in Piazza Unità a Trieste per l’arrivo della Bavisela; - in Piazza della Signoria a Firenze per una presentazione cinematografica.
lizzatori di gente, attirando davanti a sé uomini e donne, anziani e bambini». Il contesto adatto sia per gli organizzatori delle manifestazioni sia per le attività commerciali del territorio per poter diffondere i propri messaggi comunicativi, contribuendo a chiudere quel cerchio virtuoso che da sempre caratterizza l’operato dell’intero network di iMagazine, indipendentemente dagli strumenti comunicativi considerati. Garantire cioè a tutti gli attori che operano sul territorio la possibilità di trarre beneficio dal progetto di comunicazione e relazione. Ecco dunque che gli spot promozionali e gli annunci informativi trasmessi al grande pubblico dagli iMagazineVideoTruck diventano l’occasione privilegiata per far giungere i propri messaggi alla popolazione del territorio. Con lo sguardo sempre rivolo al futuro: l’uscita della nuova release del portale internet iMagazine.it e le innovative opportunità offerte dallo streaming video attraverso i canali web consentiranno infatti una più efficace interazione tra gli strumenti multimediali del network di iMagazine, offrendo sia al pubblico che ai partner proposte innovative destinate a rafforzare il legame reciproco.
A cura della redazione (puntata 4/6) Per noleggiare i maxischermi iMagazineVideoTruck o semplicemente per promuovere la propria attività o una determinata manifestazione nel corso degli eventi in cui gli iMagazineVideoTruck sono presenti sul territorio è sufficiente inviare una email (info@imagazine.it) o telefonare per richiedere informazioni più dettegliate (tel. 0432 996122).
Gli iMagazineVideoTruck sono maxischermi digitali mobili, in grado di soddisfare molteplici necessità. Con schermo fisso o rialzabile, grazie alla loro agile struttura possono essere utilizzati sia nelle funzioni di base, come la semplice proiezione di immagini statiche o video dinamici, sia in veri e propri show ad alto contenuto spettacolare. Gli iMagazineVideoTruck hanno infatti la possibilità di ampliare la propria struttura con palco, pareti laterali e teli in pvc personalizzabili (con loghi o messaggi ad hoc per ogni singola manifestazione). L’impianto audio professionale e le videocamere collegate ai maxischermi li rendono strumenti ideali per ottenere la massima spettacolarizzazione in ogni evento. |
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FVG40exe è il nome dell’esercitazione nazionale che coinvolgerà la nostra regione dal 15 al 18 settembre prossimi. L’obiettivo dell’evento è quello di verificare la capacità di risposta del sistema regionale nel caso di un terremoto di dimensioni paragonabili a quelle del sisma del 1976. L’esercitazione intende commemorare gli eventi sismici del 1976, con particolare richiamo alle scosse che amplificarono le perdite di vite umane e i danni del terremoto del 6 maggio. Peculiarità dell’impianto dell’esercitazione sarà la possibilità fornita a tutti i Comuni di comunicare via web attraverso il portale http://pianiemergenza.protezionecivile.fvg.it al Centro Operativo Regionale le attività che autonomamente i Comuni stessi decideranno di compiere come risposta alla diramazione simulata dell’allerta sismica e con riferimento alle istruzioni contenute nel piano. Potranno accedere al sistema le cariche comunali di protezione civile utilizzando le credenziali personali già fornite e valide anche per le pagine riservate del sito www. protezionecivile.fvg.it. Sebbene la fase operativa dell’esercitazione prenderà avvio giovedì 15 settembre, già lunedì 12 inizierà una fase preparatoria, mentre sabato 17 settembre presso la Sede regionale di Palmanova si terrà il momento conclusivo dell’evento, alla presenza delle
autorità nazionali e regionali, nonché dei sindaci dei Comuni del Friuli Venezia Giulia. Durante l’esercitazione saranno svolti test di attivazione della procedura regionale per il rischio sismico con il coinvolgimento della Sala Operativa Regionale, delle Sale Operative d’emergenza di Enti e Aziende, dell’OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale), delle squadre comunali di protezione civile e dei Comuni per l’attivazione dei COC (centri operativi comunali). Previsti inoltre corsi in materia di gestione dell’emergenza rivolti ai tecnici delle amministrazioni comunali e regionali. Info e approfondimenti: www.protezionecivile.fvg.it I luoghi dell’esercitazione Saletto di Dogna: Esercitazione con RFI Incidente in galleria ferroviaria Portis: Attività su edifici danneggiati Montenars e Savogna: Ricerca persone e Soccorso in montagna di persone in frazioni isolate Osoppo: Posto Medico Avanzato, tendopoli Gradisca d’Isonzo: Attività con Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, evacuazione casa di riposo e verifica agibilità, tendopoli Pordenone: Attività varie (evacuazione scuole e quartiere, verifica agibilità, ricerca persone, tendopoli) Visco: campo macerie Palmanova: centro operativo regionale |
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Servizio e immagini a cura di Protezione Civile della Regione FVG
A settembre si terrà in regione l’esercitazione nazionale per verificare la capacità di reazione del sistema di protezione civile di fronte a un sisma di proporzioni analoghe a quelle del 1976.
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PR OTEZION E
C IV ILE
Affrontare il terremoto, 40 anni dopo
S T U P E FAC E N T I E P R E V E N Z I O N E
Rubrica a cura della Polizia di Stato della Provincia di Gorizia
P O L I Z I A D I S TA T O
Droga, occhi aperti Intervista con il Dirigente della Squadra Mobile della Questura di Gorizia: «Oggi, paradossalmente, i giovani hanno meno consapevolezza dei rischi che corrono assumendo sostanze stupefacenti. Ecco perché è fondamentale puntare su informazione e conoscenza». Recenti statistiche diffuse dalle istituzioni sanitarie nazionali segnalano che la diffusione nell’assunzione di sostanze stupefacenti tra i giovani sta coinvolgendo fasce d’età sempre più basse. Per fare il punto della situazione anche sul nostro territorio, ci siamo rivolti al dottor Claudio Culot, Dirigente della Squadra Mobile della Questura di Gorizia, che ha confermato il trend: «Effettivamente – spiega – i primi approcci dei ragazzi con le droghe in alcuni casi avviene già nel biennio iniziale delle scuole superiori: una precocità che spesso porta con sé una scarsa consapevolezza sui rischi». Cosa intende? «I giovani delle generazioni precedenti tendevano ad approcciarsi solo a sostanze note e di cui, bene o male, conoscevano gli effetti. Oggi invece i ragazzi si approcciano con disinvoltura a prodotti stupefacenti sconosciuti: non sono rari i casi di mix di sostanze quali lo stramonio ingerite come bevande, ma i cui effetti sono ignoti». Quali sono le droghe più diffuse tra i giovani? «Il nostro è un territorio particolare: rispetto ad altre parti d’Italia qui è meno diffusa l’hashish mentre “spopola” la marijuana, molto utilizzata oltreconfine. Inoltre la 50
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marijuana può essere coltivata in diverse tipologie, anche geneticamente modificate per garantire un principio attivo con resa superiore a quello naturale. Con evidenti effetti più pericolosi per la salute». Per esempio? «Il THC, uno dei maggiori principi attivi della cannabis, provoca effetti negativi soprattutto se assunto durante l’età dello sviluppo: difficoltà di concentrazione, inappetenza, disinteresse totale per tutto e scarsa socializzazione sono i sintomi più evidenti che si manifestano tra i giovani che ne fanno uso. Anche se il problema è molto più complesso». In che senso? «Le nuove tecnologie hanno moltiplicato i rischi. Oggi su internet è possibile reperire sostanze stupefacenti con estrema facilità. In questo contesto, dalla Cina in particolare, si riesce ad acquistare di tutto. E così inizia a prendere piede anche il consumo di ketamina, sostanza nata come anestetico veterinario per i cavalli. La conferma a una seria preoccupazione: i giovani di oggi sono disposti ad assumere di tutto». Dal punto di vista legale, come viene affrontato il problema? «L’articolo 73 del dpr 309 della Legge del 1990 punisce tutte le condotte illegali in relazione alla produzione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Per quanto concerne il possesso, invece, vanno considerati due fattori discriminanti: il quantitativo e il tipo di sostanza. A seconda di questo
rapporto, la legge prevede determinate sanzioni. Nel caso specifico, solitamente nelle scuole la diffusione è nei limiti delle sanzioni di tipo amministrativo, con segnalazione del giovane all’autorità amministrativa, passaggio per la Prefettura e invio al SerT». È possibile affrontare a monte la questione? «Direi che è fondamentale. Scuola, famiglie, strutture sanitarie, forze dell’ordine, mondo dell’informazione: tutte queste realtà devono svolgere un’attività di rete. Per essere efficaci non si può operare su piani distinti ma collaborare in modo attivo». Ha citato famiglie e mondo della scuola: spesso genitori e insegnanti si sentono impotenti di fronte al problema. Dinanzi a possibili situazioni a rischio quand’è il momento giusto per rivolgersi alle forze dell’ordine? «È sempre il momento giusto per eventuali segnalazioni. Oggi, non solo in questo campo, lottiamo con una certa mancanza di assunzione di responsabilità: tutti vediamo che succede qualcosa ma ci diciamo “Perché devo intervenire proprio io?”. Invece una segnalazione tempestiva, forte e coraggiosa, può contribuire a risolvere il problema prima che possa raggiungere livelli più pericolosi». Nel progetto di cooperazione in rete dei diversi attori in gioco, tutto questo come può concretizzarsi nella realtà? «Vivendo quotidianamente a contatto con gli studenti, gli insegnanti possono entrare a conoscenza di situazioni a rischio: per questo motivo noi della Polizia di Stato andiamo spesso a scuola per diffondere questo messaggio ai professori. L’ideale sarebbe che questa collaborazione e condivisione d’intenti prosegua anche tra la scuola e le famiglie». In che modo? «Oggi le famiglie hanno la tendenza a difendere e a giustificare a prescindere i propri figli. Non solo la scuola, ma anche le altre istituzioni – comprese noi forze dell’ordine – dobbiamo aiutare i genitori a comprendere che eventuali segnalazioni non vengono fatte per arrecare danno ai ragazzi, ma per cercare di aiutarli. È importante individuare e colpire il fatto per trovare poi assieme il modo per uscirne». Abbiamo parlato dei diversi attori in gioco: concludiamo con il ruolo delle forze dell’ordine. Come vi muovete per diffondere la cultura della prevenzione nelle scuole? «La scelta di far partecipare personale in uniforme, rendendolo così immediatamen-
Il dottor Claudio Culot te riconoscibile, ha l’obiettivo di stimolare la collaborazione con gli studenti, facendo comprendere ai ragazzi che con gli agenti è possibile confidarsi anche al di fuori della scuola, rivelando eventuali avvicinamenti da parte di persone sospette o condividendo qualsiasi tipo di perplessità. Solo rendendo minoranza determinati comportamenti potremo avere successo. Dobbiamo ripartire dal concetto di conoscenza, di prevenzione e di solidarietà. Tornando a interessarci e ad avere a cuore ciò che accade agli altri».
Andrea Doncovio
NUMERI UTILI E DI EMERGENZA 113
Polizia di Stato Soccorso pubblico di Emergenza
118
Emergenza medica
112
Carabinieri
115
Vigili del Fuoco
117
Guardia di Finanza Corpo forestale dello Stato
1515 Emergenza ambientale Capitaneria di Porto
1530 Emergenza in mare
800-82.20.56|
Blocco
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L E A S I N G I M M O B I L I A R E A B I TAT I V O
Un nuova possibilità di comprare casa
Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori
D I R I T T O
Maggiore flessibilità per le coppie under 35 che acquistano o costruiscono la prima casa. Ma le clausole previste dalla legge lasciano spazio a molti dubbi sui rischi che le parti in causa sono chiamati ad assumersi: ecco quali.
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La Legge di Stabilità 2016 ha introdotto una nuova figura di leasing immobiliare la cui finalità è quella di agevolare, in particolare per i giovani under 35, l’acquisto o la costruzione della “prima casa”. Il leasing immobiliare abitativo è un contratto di locazione finanziaria che nasce dall’esigenza di una maggiore flessibilità per chi sia intenzionato ad acquistare o a costruire la prima casa, da destinare ad abitazione principale, con un accesso più semplice ai finanziamenti. L’istituto in questione offre, appunto, un innovativo canale di finanziamento rispetto allo strumento più comune del mutuo ipotecario e, in considerazione del regime fiscale connesso, appare una soluzione più vantaggiosa rispetto ad altre formule di acquisto d’immobili, quale ad esempio il rent to buy. Come il contratto di leasing immobiliare traslativo, anche quello abilitativo si caratterizza per il coinvolgimento di |
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tre distinti soggetti: il fornitore del bene, il concedente (società di leasing) e l’utilizzatore finale. La parte concedente può essere esclusivamente una banca o un intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 358 (T.U.B.) Quanto agli impegni sottesi a tale contratto, il concedente diviene proprietario dell’immobile (acquistato o fatto costruire dal fornitore) che mette a disposizione dell’utilizzatore per un periodo determinato di tempo, mentre l’utilizzatore ha l’onere di pagare periodicamente i canoni pattuiti sul valore del bene. Allo scadere del periodo concordato l’utilizzatore ha la facoltà di acquistare il bene (riscatto del bene) a un prezzo stabilito dal contratto ovvero di restituirlo alla società di leasing. Qualora l’utilizzatore non pagasse i canoni (due per la precisione), il concedente potrà risolvere il contratto per inadempi-
mento dell’utilizzatore, secondo quanto previsto nel contratto di leasing. A seguito della risoluzione si verificano due effetti: in primo luogo, la società di leasing avrà diritto alla immediata restituzione del bene, tanto che è espressamente prevista la possibilità di agire giudizialmente con il procedimento per convalida di sfratto. In secondo luogo, la società dovrà procedere alla vendita del bene stesso o alla sua ricollocazione, adottando procedure che garantiscano il miglior risultato economico. Venduto o ricollocato il bene, il contratto prevede che il concedente dovrà restituire all’utilizzatore quanto ricavato al netto, tuttavia, delle seguenti somme: dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di risoluzione, dei canoni successivi alla risoluzione attualizzati, spese condominiali/assicurative/legali eventualmente sostenute nonché il prezzo pattuito per l’esercizio del riscatto finale. Se da tale operazione derivasse un saldo negativo, l’utilizzatore dovrà corrispondere al concedente la differenza. Tutte queste clausole connesse all’inadempimento del contratto hanno insospettito gli operatori del diritto, tanto da ritenere che un contratto così strutturato celi un contratto a causa di garanzia e possa pertanto qualificarsi come patto commissorio. Ai sensi dell’art. 2740 c.c. “Divieto di patti commissori” l’ordinamento italiano considera nulli i patti con i quali si conviene che, in mancanza di pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà di una bene in garanzia passi al creditore. Questo limite è superabile solo se tali negozi fiduciari a scopo di garanzia venga-
no accompagnati da un secondo accordo con cui venga riconosciuto all’inadempiente il diritto di ottenere la differenza di valore esistente tra debito e valore del bene (patto marciano). A riguardo, sono da ritenere quantomeno dubbi gli accordi a favore del concedente a seguito del mancato pagamento dei canoni che, si badi bene, potrebbe sopraggiungere anche a ridosso della scadenza del contratto. L’utilizzatore si troverebbe senza immobile, pur avendo corrisposto gran parte del prezzo: a tale danno si aggiungerebbe la beffa di vedersi restituire poco o nulla in quanto troppe sono le voci di vendita a favore della società di leasing. Tra queste, la clausola più sospetta è quella che riconosce alla società anche il prezzo pattuito per il riscatto finale del bene che, a ben vedere, resterebbe presso la stessa. Tuttavia, solo l’applicazione pratica del leasing immobiliare abitativo consentirà di far luce sui problemi appena descritti.
Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo massimiliano@ avvocatosinacori.com
CONTO TERMICO 2.0
Contributi
per nuove caldaie e stufe
L’incentivo verrà erogato in un’unica rata entro cinque mesi dall’effettuazione dell’intervento, favorendo l’acquisto di apparecchi dalle elevate prestazioni.
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Il Conto Termico 2.0, in vigore dal 31 maggio 2016, potenzia e semplifica il meccanismo di sostegno già introdotto dal decreto 28/12/2012, che incentiva interventi per l’incremento dell’efficienza energetica e la produzione di energia termica da fonti rinnovabili. I beneficiari sono Pubbliche Amministrazioni (PA), imprese e privati che potranno accedere a fondi per 900 milioni di euro annui, di cui 200 destinati alla PA. Responsabile della gestione del meccanismo e dell’erogazione degli incentivi è il Gestore dei Servizi Energetici. Il nuovo Conto Termico è un meccanismo, nel suo complesso, rinnovato rispetto a quello introdotto dal decreto del 2012. Oltre a un ampliamento delle modalità di accesso e dei soggetti ammessi (sono ricomprese oggi anche le società in house e le cooperative di abitanti), sono stati introdotti nuovi interventi di efficienza energetica. Le variazioni più significative riguardano anche la dimensione degli impianti ammissibili, che è stata aumentata, mentre è stata snellita la procedura di accesso diretto per gli apparecchi a catalogo. Altre novità riguardano gli incentivi stessi: sono infatti previsti sia l’innalzamento del limite per la loro erogazione in un’unica rata (dai precedenti 600 agli attuali 5.000 euro), sia la riduzione dei tempi di pagamento che, nel nuovo meccanismo, passano da 6 a 2 mesi. Con il Conto Termico 2.0 è possibile riqualificare i propri edifici per migliorarne le prestazioni energetiche, riducendo i costi dei consumi e recuperando in tempi brevi parte della spesa 54
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sostenuta. Inoltre, il CT 2.0 consente alle PA di esercitare il loro ruolo esemplare previsto dalle direttive sull’efficienza energetica e contribuisce a costruire un “Paese più efficiente”. Tra le numerose le novità introdotte, ecco le più interessanti: ● L’erogazione dell’incentivo è stata abbassata da due rate annuali a un’unica rata. Ciò significa che l’incentivo ora verrà erogato entro cinque mesi dall’effettuazione dell’intervento a differenza di quanto previsto dal decreto precedente (18 mesi). ● Per le caldaie o stufe a pellet/legna è stato abbassato il limite massimo dell’emissione delle polveri per gli apparecchi che possono goderne da 40 a 30 microgrammi a metro cubo. Ciò significa che acquistando un apparecchio in conto termico si ha anche la garanzia di acquistare un apparecchio particolarmente prestante. ● La pubblicazione on line, sul sito del GSE (Gestore dei Servizi Energetici - www.gse. it) di un elenco di apparecchi, periodicamente aggiornato, che possono accedere al contributo. Quali sono gli interventi che possono accedere a questo contributo? ● Sostituzione di caldaie o stufe a legna, carbone, pellet o gasolio con nuove stufe o caldaie a pellet o legna (misura 2B). ● Installazione di impianti solari termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling (raffrescamento estivo con pannelli solari - misura 2C).
● Sostituzione di scalda-acqua elettrici con scalda-acqua a pompa di calore (misura 2D). ● Sostituzione di caldaie tradizionali con pompe di calore a gas o elettriche, anche geotermiche. Come si fa ad accedere al contributo previsto dal Conto Termico 2.0? È necessario iscriversi all’apposito portale predisposto dal Gestore Servizi Energetici, quindi presentare al GSE la domanda corredata dalla scheda raccolta dati, dalla relazione tecnica, dal progetto, dall’asseverazione e dalle foto attestanti l’intervento. In ogni caso se tale procedura dovesse risultare troppo complicata ci si può sempre rivolgere a un CONTO TERMICO POINT dove personale qualificato sarà in grado di fornire la consulenza necessaria prima dell’intervento, una valutazione globale dei risultati ottenibili e, in seguito, istruire la pratica e seguirla durante tutto l’iter, fino all’erogazione del contributo.
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A N I M A E CO N F L I T T I
Forse
ti perdono
Rubrica di Manuel Millo
S O C I A L E
Essere arrabbiati per quello che ci è stato sottratto o essere grati per quello che abbiamo ricevuto?
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Ti sembrerà strano, sono passati anni ma tu sei ancora qui, nella mia mente, nel mio cuore, nei miei pensieri. Vorrei perdonarti ma non ci riesco. Sei sempre davanti a me. Quanta rabbia, quanta amarezza, quanto tormento. L’eco della tua voce che si intreccia alla mia è roboante frastuono d’incidente dentro l’anima. Come faccio, come posso perdonare il tuo addio così brusco e severo, senza motivo? Questa è solo una delle tante storie, uno dei tanti abbandoni, una tra le tante celle che abbiamo costruito dentro di noi. Siamo arrabbiati, siamo intontiti. Come fare a perdonare quel gesto, quell’azione, quella persona. Gli anni passano ma siamo ancora lì, chiusi dentro quella prigione che abbiamo costruito a misura per tutti coloro che non abbiamo mai perdonato veramente: amici, genitori, fratelli, mariti, mogli, figli. Ci siamo guardati bene da non lasciarli andare all’amore e quello che ci è stato servito è un piatto freddo di solitudine, vuoto e amarezza. Dentro quella cella ci sono tutti, anche tu che l’hai costruita. E la nostra anima e i nostri sentimenti inclusi. |
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Cerchiamo pace ma non riusciamo a scrollarci via da dosso l’orgoglio del nostro io, che non perdona, che si sente portatore di verità e giustizia, che si sente ferito nell’intimo. Ma l’altro come si sente? Cosa prova? Diciamo di amare, di essere buoni, diciamo che è colpa dell’altro, del mondo. Davvero è così? Per un attimo proviamo a lasciare da parte questo groviglio che ci immobilizza, a cambiare prospettiva, a fare pace con il lato interiore che ci appartiene. Perché cerchiamo sempre una risposta adeguata? Adeguata a che cosa? A quale punto di vista? Eric Berne, affermato psicologo degli anni ‘60, in diversi suoi studi ci ricorda che nello stesso momento possiamo avere o assumere più ruoli nella stessa vita (a volte siamo sia figli dei nostri genitori che genitori dei nostri figli) ma dobbiamo prestare attenzione a come ci poniamo nelle relazioni, perché confonderli può generare non pochi fraintendimenti comunicativi (pensate a quando parliamo da genitori a nostra moglie o nostro marito, dimenticando che loro non sono nostri figli). Ma allora qual è il punto nodale? Perché ci costa tanto dire mi dispiace, ho sbagliato,
ti chiedo scusa oppure ti perdono? Non vi piacerebbe sentire sulla pelle la freschezza della libertà, sciogliendo quelle catene arrugginite create nel nostro personale universo? Si tratta di amare, nella difficoltà, nella sofferenza, in qualsiasi situazione si presenti. E amare significa liberare. Donarsi al prossimo con fiducia. Senza aspettare per questo un tornaconto materiale o “quotazionale”. Noi non siamo i nostri giudizi né tantomeno i giudizi della gente. Noi siamo Noi così come siamo e diverse volte nella vita ci camuffiamo per essere adeguati ai modelli che l’esterno ci propone o desidera. Ma questo ci divide, ci fa sentire alieni e in questa mutazione, in questa separazione perdere il punto di vista sulla vita è facile e incappare nell’incomprensione e nella rabbia ancor di più. Ricordo sempre con affetto il consiglio dei miei nonni: “...prima di andare a letto metti da parte arrabbiature e sensi di colpa, pregiudizi e violazioni, in mitezza e umiltà perdona e soprattutto ama!”. Avevano ragione. E anche se oggi pensiamo che del domani ci sia “certezza certa”, trasformiamo questo pensiero in una certezza d’amore, così, indipendentemente da cosa accada, sapremo di aver amato con gioia e
pienezza, nel bene e nel male, e anche se il confine del tempo ci separerà dalla nostra corporeità, il messaggio universale dell’anima vivrà per sempre e il nostro respiro sarà libero dalle costrizioni dell’odio. Scelgo di perdonare perché scelgo il bene e la vita, perché il male non ci spaventi ma si illumini di luce davanti all’amore. Solo questa risposta, nel chiudere gli occhi o tenerli aperti, ci farà sentire nuovamente in pienezza, immersi in un mondo che ci appartiene davvero senza qui o lì, perché non farà più differenza, perché quella morsa sarà scomparsa. Scelgo la vita anche davanti alla morte, nei termini in cui anche se non capisco umanamente il senso di un evento, capisco che posso fare la differenza nel modo in cui lo vivo e lo trasmetto. Possiamo scegliere di essere arrabbiati per quello che ci è stato detto o fatto o sottratto oppure, con grande maturità, possiamo essere grati per tutto quello che abbiamo ricevuto e che possiamo continuare a donare.
Manuel Millo
Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane
Rubrica di Cristian Vecchiet
P E D A G O G I A
Gratuità e gratitudine
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G I O VA N I E V O LO N TA R I AT O
Dal servizio in favore delle persone bisognose a quello per la comunità, per gli animali o per la cultura. Ecco perché donare il proprio tempo libero agli altri è un investimento su stessi. E sulla nostra società. Tra le esperienza formative che i giovani possono sperimentare una delle più significative per capacità di ricaduta positiva nella sfera sia personale che sociale è rappresentata dal volontariato. Un giovane che si sperimenta nel volontariato saggia un modo diverso di stare al mondo, ossia un modo alternativo di vivere il rapporto con gli altri e con se stesso. Più nello specifico sperimenta il valore della gratuità (e della gratitudine). Vediamo perché e come. Il volontario è colui che decide liberamente (senza alcuna costrizione) di dedicare tempo ed energie ad attività che sono utili agli altri, alla società e al mondo in cui vive. Chi decide di praticare il volontariato lo fa perché avverte la positività di quanto sta per fare e perché non chiede nulla in cambio. Certo, vi possono essere la soddisfazione personale, a volte il narcisismo individuale, altre volte la speranza di forme di ritorno. Tuttavia, questi sono aspetti che non inficiano il valore dell’esperienza in se stessa. La carta dei valori del volontario così recita all’art. 1: “Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni”. 58
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La pratica del volontariato educa chi la esercita consapevolmente alla gratuità e alla gratitudine. Il volontario mette a disposizione le proprie capacità, competenze, risorse, energie per fare del bene agli altri e al mondo che lo circonda. Questo vuol dire che progressivamente si abitua o quanto meno si dà la possibilità di abituarsi a dare del proprio per un bene che va al di là di se stesso. Non solo. Il volontariato è un’esperienza di gratitudine. In fondo può essere letta come una “restituzione” alla comunità e alla realtà a cui appartiene del bene che ha ricevuto. Quella del volontario non è la logica compensativa o retributiva (mi hai dato e ti restituisco in proporzione) ma quella della gratitudine: dalla vita ho ricevuto gratuitamente e mi sembra giusto dare agli altri e al mondo qualcosa di me stesso. Fare il volontario poi educa alla pratica dei beni relazionali, ovvero al valore della relazione a tutto campo. Il volontario svolge nella maggior parte dei casi le proprie mansioni assieme ad altre persone. Spesso deve imparare le cose da fare da altre persone e spesso deve insegnare le cose da fare ad altri. Sempre, in forma diretta o indiretta, quanto il volontario fa, lo fa a favore degli altri. Per tutti ma forse soprattutto per i giovani il volontariato è o può essere una scuola di vita. Può essere una scuola di educazione etica e civica. Infatti, la pratica del volontariato educa ad un modo diverso di leggere, di sentire e di vivere il mondo. Questo perché chi fa del bene si deve
educare a stare attento ai bisogni e alle necessità degli altri. E soprattutto impara a entrare in empatia con gli altri e con le loro urgenze. E questo favorisce uno stile di pensiero e di vita che non si sottometta alla mera logica del profitto e dell’utile. Un’esperienza di volontariato ben fatta è un bagaglio che ci si porta dietro per tutta la vita. Un bagaglio di valori sperimentati e anche di competenze acquisite. E può rappresentare una testimonianza di come la vita possa essere vissuta e dei valori che danno più sapore all’esistenza. Le diverse forme di volontariato sostengono un modo di pensare, di sentire e di vivere il mondo secondo la logica della gratuità e della gratitudine. Per questo è fondamentale proporre ai giovani esperienze di volontariato. Le opportunità e le possibilità sono le più diverse. Sono davvero numerosi gli enti pubblici e privati che promuovono il volontariato. Su ogni versante. Si pensi al volontariato a favore degli anziani nelle case di riposo, ma anche a favore dei giovani nelle diverse comunità residenziali o diurne, a favore degli stranieri, a favore dei poveri nelle mense o negli asili notturni. Ma chiaramente c’è anche il volontariato a favore dell’ambiente o degli animali. E c’è il volontariato culturale o politico... Senza dimenticare il volontariato internazionale. Le possibilità davvero si sprecano. E, oltre a quelle esistenti, nessuno vieta di darne vita a nuove. Le offerte sono numerose. E i valori in ballo sono decisivi. Ecco perché è importante che gli adulti sappiano indirizzare, orientare, incoraggiare i ragazzi nella scelta. Ed è importante che i ragazzi avvertano il valore di un’esperienza come questa e imparino a muoversi autonomamente. Le possibilità non mancano. Bisogna saperle cogliere e sfruttare al meglio. Per questo è decisiva l’azione sinergica di tutti gli attori. Si devono impegnare gli enti pubblici e privati, si devono mettere in gioco gli adulti e i giovani. Ciascuno si può chiedere come può fare per sostenere lo spirito di solidarietà. Ad essere in ballo è la qualità della vita sociale e comunitaria, lo stile di vita dei ragazzi e degli adulti e lo spirito di cittadinanza attivo e responsabile. Al cuore della vita personale e comunitaria vi sono il senso del dono e di gratitudine, il senso del dovere di rispondere concretamente ai valori che contano. Per questo è importante che ciascuno si impegni nell’educazione ad un modo di vivere che guardi all’altro e alla comunità come beni su cui investire e far crescere.
Cristian Vecchiet
Collaboratore presso l’associazione La Viarte, è docente di Etica e Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia.
GIOVANI E SOCIAL
Condivisioni pericolose
Rubrica a cura di Andrea Fiore
S O C I E T À
Molti adolescenti di oggi cedono alla tentazione di condividere sul web la loro intimità, inconsapevoli dei rischi e delle reazioni a catena che ciò comporta. Come prevenire tutto questo? Non con i divieti.
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Giudicare situazioni apparentemente deplorevoli senza comprendere il contesto in cui si sviluppano rappresenta sempre un errore da evitare. Ancor di più se il contesto in questione è il risultato di un mutamento ineluttabile che ha già coinvolto una fetta consistente della popolazione, nel nostro caso quella dei giovani e giovanissimi, i cosiddetti “nativi digitali”. Ragazzi e ragazze che, a differenza dei loro genitori e dei loro nonni, utilizzano i social network e le chat come principali strumenti di comunicazione. Una tendenza – e lo sottolineiamo senza giudizi, ma come mera constatazione della realtà – destinata a consolidarsi in futuro. E di fronte a questo dato di fatto, è inevitabile che i genitori e gli educatori delle giovani generazioni debbano adattarsi al nuovo scenario, perché immaginare che i “nativi digitali” smettano di utilizzare questi strumenti di comunicazione sarebbe ipotesi semplicemente illusoria.
Smartphone, il mio migliore amico
Per completare l’ampio ragionamento di partenza, giungiamo dritti allo strumento che sta cambiando il modo di relazionarsi dei giovani: lo smartphone, ovvero il te|
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lefonino di ultima generazione che consente di realizzare e condividere foto e video. Per loro non un semplice cellulare, ma quasi una parte di sé. Attraverso lo smartphone i ragazzi infatti si danno appuntamenti, trasmettono le rispettive emozioni, si informano. Lo smartphone non è solo uno strumento di comunicazione, ma il loro contatto con il mondo circostante.
Vietarlo non serve
In tale contesto privare i giovani del principale contatto con il resto del mondo in generale e con i propri amici e coetanei in particolare rischia di essere una scelta con ricadute più negative che positive. Ecco perché diventa importante porre in essere delle regole per il suo utilizzo in casa, come ad esempio spegnerlo o lasciarlo in un’altra stanza durante i pasti o durante le ore dedicate allo studio. Come tutti gli strumenti, anche lo smartphone da utile e piacevole può diventare pericoloso qualora usato in maniera inappropriata. Per evitare che ciò possa accadere, spetta proprio ai genitori “digitalizzarsi”, anche chiedendo consigli ai propri figli, trovando così il modo di “visiona-
re” lo smartphone assieme a loro, cogliendo magari l’occasione per far comprendere ai ragazzi quali possano essere i contenuti più adatti da condividere e, di riflesso, quelli da evitare.
Ingenuità adolescenziale e perversioni adulte
L’adolescenza è il momento dello scoppio della sessualità. Un momento di scoperta del proprio corpo e delle proprie pulsioni che, come le altre cose che fanno quotidianamente, sempre più spesso i ragazzi sentono il bisogno di condividere attraverso questi nuovi strumenti, senza rendersi pienamente conto che inviare agli altri immagini della propria intimità equivale a renderle visibili al mondo. Un adolescente, infatti, tende a vivere la propria esistenza con leggerezza, senza una completa percezione del limite. Come un bimbo che insegue un pallone in strada senza preoccuparsi del potenziale pericolo rappresentato dalle automobili, così i ragazzini si esibiscono senza capire la portata del loro gesto, non comprendendo che social network, chat o altri tipi di messaggi non conoscono la protezione delle mura della propria camera, mettendoli con un click alla mercé del mondo. Un mondo in cui proliferano strumenti aberranti come siti pornografici o di adescamenti, non certo creati dagli adolescenti, bensì dagli adulti.
Indietro non si torna
Come scritto in apertura, lo sviluppo tecnologico e la conseguente diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione sono processi ineluttabili. Perfino il mondo della scuola utilizza sempre più i social network e altre piattaforme di condivisione on line per divulgare materiale didattico e formativo. Ecco perché, come in altri casi della vita, il focus del problema non è rappresentato dallo strumento, ma dal suo utilizzo. E proprio come per gli altri casi, anche in questo la famiglia ha un ruolo fondamentale nell’educare e formare i propri figli: affermare “non voglio saperne nulla di questi nuovi strumenti tecnologici” per i genitori di oggi, quindi, non è più una giustificazione valida.
dott. Andrea Fiore
Medico delle Farmaco-Tossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it
Di cosa
dirittoalameta
RI NUNC E E COMP EN S A Z I O N I
ho bisogno?
Rubrica a cura di Giuliana De Stefani
P S I C O L O G I A
Essere contenti o essere scontenti: questo è il problema…
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Dal punto di vista esistenziale, per la maggioranza delle persone equilibrate vivere una buona esistenza significa sentirsi piuttosto appagati dalla salute fisica, dagli affetti e dallo stile di vita che ognuno è riuscito a distillare negli anni, a partire dalle proprie scelte formative e occupazionali. In tal senso “una buona vita” per i più non corrisponde ad una vita da film, eccitante, da riccone, ma piuttosto a una esistenza in cui la persona riesca a soddisfare in una certa misura il suo mix di specifici bisogni individuali. Per aprire la via al ragionamento che seguirà, distinguiamo la categoria dei bisogni fisiologici di sussistenza dell’organismo (nutrimenti, sonno, riparo) da quella dei bisogni psicologici. La letteratura ha dimostrato che la più rilevante necessità psicologica umana, e probabilmente di ogni vivente, è il bisogno di riconoscimento. Questa è anche l’innata e prima richiesta psicologica che il neonato mette in atto con il movimento e i suoi richiami vocali: vuole l’attenzione parentale, vuole essere toccato, accarezzato e manipolato con cura, vuole ricevere stimoli sensoriali piacevoli e rassicuranti che gli aprano una finestra di conoscenza sul mondo e su se stesso. La sensazione di benessere, comfort e godimento è insostituibile per motivare il bambino alla sopravvivenza e alla ricerca dell’appagamento dei suoi bisogni: “stare bene” diventa obiettivo dell’esistenza del neonato. Nel costante scambio fisico tra il bimbo e la mamma si genera un flusso emozionale molto in|
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tenso, una relazione intima e profonda in cui fisicità e psiche sono ancora indistinguibili. L’importanza delle esperienze emotive del primo anno di vita si manifesta nello sviluppo della personalità proprio perché costituisce la base strutturale di una futura impalcatura: tutti gli eventi della vita di un individuo influiranno sulla sua personalità come fattori esogeni, ma le prime relazioni e i primi accadimenti vengono incorporati dal bimbo nell’intimo perché non vi è ancora la capacità di distinguere il Me dall’Altro, l’interno soggettivo dall’esterno oggettivo. In poche parole, la sensazione di non essere riconosciuto, la mancata risposta a certi bisogni, la frustrazione frequente possono permanere all’interno della psiche di un adulto come residuo di esperienze molto precoci. Alcune persone denunciano la loro costante sensazione di non essere abbastanza amate e apprezzate, ritenendo quindi di aver ricevuto un riconoscimento inferiore a quello cui credono di avere necessità e diritto per stare bene. Siamo sicuramente in un campo in cui la soggettività è sovrana, infatti quanto amore, apprezzamento e riconoscimento sarebbero da considerarsi “la normalità”? E quanto di meno ho ricevuto? E come misurarlo? In poche parole, anche se sappiamo benissimo quali comportamenti genitoriali siano insufficienti e inadeguati al benessere di un bimbo (ciò che sicuramente non si deve fare perché nocivo), purtroppo non esiste uno standard di accudimento parentale
che garantisca l’appagamento del bisogno di riconoscimento del bimbo. Come mai? La risposta risiede nuovamente nella soggettività in via di formazione del neonato: la sua inconsapevole elaborazione di stimoli e accadimenti si accompagna all’adozione di varie modalità reattive alla soddisfazione o alla frustrazione di un bisogno. Prevalentemente, un appagamento porta al rinforzo, alla ripetizione di una modalità di richiesta che ha avuto successo... Ma sul versante della frustrazione di un bisogno le cose si complicano. A seconda dell’indole del neonato, più o meno reattiva (dato biologico), ci può essere un’escalation nella richiesta (urla o pianto più forte) oppure una rinuncia e un adattamento nella frustrazione (pianto debole e sommesso) oppure una chiusura nella passività e rinuncia totale alla soddisfazione di quel bisogno specifico anche per il futuro. Ogni situazione di frustrazione costituisce in sostanza l’alterazione di un equilibrio soggettivamente determinato, probabilmente generatosi molto precocemente e quindi in modo inconscio. Per la persona adulta polarizzata sullo scarso riconoscimento che ritiene di ottenere dal suo ambiente, o che è convinta di essere stata poco amata da tutta la sua famiglia, la sofferenza può diventare davvero insopportabile. Si sente spesso una vittima, sente di aver ricevuto un trattamento discriminatorio rispetto alle altre persone, ha ottenuto di meno, meno amore, meno considerazione, meno opportunità. Talora si potrebbe verificare che effettivamente l’esistenza di questi soggetti è stata costellata di eventi e comportamenti oggettivi di scarsa umanità, empatia e sensibilità sia nelle famiglie d’origine che nei successivi ambienti frequentati, ma spesso non si evidenziano fattori esogeni così determinanti della sofferenza della persona. Naturalmente la sofferenza non è una condizione che accettiamo passivamente, e ognuno di noi è attrezzato per la ricerca del raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio emotivo. Proprio perché il bisogno di riconoscimento è vitale e innato, dura tutta la vita ma è anche soggettivamente declinato, ognuno mette in atto le sue strategie per gestire la frustrazione e il fallimento. La più nota è la compensazione: “Non ho ottenuto questa cosa... allora adesso ne voglio di più”. Alla prossima...
Giuliana De Stefani
Psicologa psicoterapeuta
F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !
Capotreno e gentiluomo (in canottiera e braghette) Cari lettori, per introdurre il triestino Paolo Fonda, classe 1942, autentico e verace ‘gentleman’ dell’arte della remata, prendo a prestito, modificandolo, il titolo del famoso film ‘Ufficiale e gentiluomo’, perché questa copia triestina di Paul Newman avrebbe potuto essere protagonista di un film. «Ai tempi della Nazionale – confida Fonda – avrei davvero potuto fare l’attore; era il tempo degli ‘Spaghetti western’, e gli atleti erano molto richiesti per quel tipo di ruoli. Carlo Pedersoli, al secolo Bud Spencer, è un chiaro esempio di ciò. Inoltre ero nei primi mesi di leva nei Granatieri di Sardegna, e diversi talent scout cercavano comparse per Cinecittà: un mio caro amico genovese iniziò proprio così la carriera di attore». Si riferisce a Luigi Montefiori, ora conosciuto come George Eastman… «Esatto, ma stare davanti alla macchina da presa non faceva per me. Risposi così alla convocazione al Centro Remiero FFAA di Sabaudia per provare a essere atleta di vertice anche se ne avevo altri davanti più forti. All’età di vent’anni, invece, sono stato assunto nelle Ferrovie, anche se prima ho svolto diversi lavoretti: scaricatore, magazziniere, commesso, autista… A quei tempi il lavoro ti cercava». In Italia quello dei rematori è considerato uno sport minore… «Non sono d’accordo, perché per me lo sport minore è quello fatto senza sudare, presentandosi in ritardo in allenamento e ‘tirandosi indietro’ quando serve come facevano tanti calciatori che venivano ad allenarsi al ‘Grezar’ a Trieste assieme a noi. Quello è da
sport minore». Carattere deciso. «Non ho mai sopportato chi imbroglia, chi si lamenta senza motivo. Sono nato a Trieste per “trasferta” materna. Noi abitavamo a Capodistria, allora sotto la “stella rossa”, e abbiamo dovuto abbandonare nel 1950 casa, campagna e arredi: di motivi per lamentarmi ne avrei avuti, ma non l’ho mai fatto. Sono stato educato così». In che senso? «Mio padre non ha mai giudicato nessuno e io ho fatto altrettanto. Per me il gusto per l’impegno non è genetico ma viene esplicato da un certo tipo di educazione. Gli Istriani erano profughi, ma si sono risollevati; i Friulani hanno avuto tutto distrutto dal terremoto, ma hanno ricostruito rimboccandosi le maniche senza stare troppo a compiangersi». Ciò che di fatto insegna lo sport… «Infatti. Non bisogna attendere i disastri per mettersi alla prova, per migliorarsi e stare bene con se stessi. E questo è il vero messaggio dello sport in senso lato, non le quotazioni delle scommesse. Io, in pieni anni Cinquanta, periodo di quasi fame, per stare bene ho cominciato praticando nuoto e pugilato. La gioventù dell’epoca non era mai ferma». Perché è passato al canottaggio? «La boxe mi piaceva e nella palestra del Maestro Culot avevo ottimi tecnici, ma proprio lì venni indirizzato a fare una prova coi remi al Circolo MM dove Culot era uno degli allenatori più famosi e severi. Da lì poi tutto è nato spontaneo. Rispetto al nuoto o alla A fianco, Paolo Fonda (primo da destra), mentre rema assieme ai compagni ed ex atleti: da sinistra Tolusso, Giraldi e Finocchiaro, in una regata dei primi anni 2000; nella pagina accanto, Fonda al centro remiero delle forze armate a Sabaudia nel novembre del 1964, il giorno del suo congedo.
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boxe, in barca vedi il panorama, puoi salutare qualche bella ‘mula’ che prende il sole sulla riva… Nel nuoto non vedi nessuno, e nella boxe, se pensi alle ragazze, ti ritrovi subito col naso come un peperone». E così arrivò il titolo italiano di canottaggio… «Nel 1960, alla terza regata nella categoria ‘2 Con’ con il Dopolavoro FFSS di Trieste sono stato subito campione italiano ‘Ragazzi’ (l’odierna categoria ‘Juniores’). Facemmo la preparazione per le Olimpiadi di Tokio 1964, ma non riuscimmo nell’impresa. Comunque l’esperienza fu ampiamente positiva: trasferte, anche all’estero, regate memorabili e soprattutto amicizie preziose, come con l’equipaggio formato da Baran, Sambo e Cipolla, che vinsero la medaglia d’oro nell’Olimpiade successiva, quella di Città del Messico 1968». Mentre lei divenne Capotreno delle Ferrovie. «Ero già in Ferrovia prima di andare militare, e nonostante turni di lavoro, famiglia e impegni sociali, non ho mai smesso di praticare il canottaggio, con i complementari di corsa e bici, fino a sei anni fa, quando problemi cardiaci mi hanno costretto a fermarmi. Le regate ‘Master’ sono più per tenersi in forma che per gareggiare, ma il contatto col mare, col proprio corpo che lavora e suda, sono emozioni impagabili anche se lo si fa per diporto, rimanendo nell’ambiente dove conta come sei e non chi sei». Ha mai pensato di allenare? «Ho fatto anche quello. Ho conseguito il patentino di allenatore di 2^ categoria e ho collaborato a lungo con la mia società, il Saturnia, che attualmente è fra le prime in Italia. Anzi, per i risultati 2015, ha conquistato uno storico primo posto». L’episodio che ricorda più volentieri? «Per ridere dico che ho battuto Giampiero Galeazzi, il famoso cronista sportivo. Lui è di qualche anno più giovane, gareggiava a buon livello e aveva un notevole appetito. Ricordo che eravamo a una Internazionale sul Lago di Bled nel ’66: io vi ero arrivato con la mia Fiat 500 nuova; Galeazzi venne a fare un giro con me e subito mi chiese dove si poteva andare a mangiare qualcosa…» E lei ha ancora una Fiat 500? «No, ma una come nuova l’ho regalata a uno dei miei figli lo scorso anno. Ne ho an-
che restaurate un paio. Ho avuto da sempre la passione per la meccanica e per le moto, arrivando ad averne una piccolissima collezione della quale mi sono pian piano quasi disfatto per problemi logistici, oltre che burocratici. La mia prima moto fu una ‘Rumi’ comprata, a 16 anni, in società con un amico. Ho posseduto anche Vespe, Cuccioli e Mosquito… Con le Moto Guzzi ho girato mezza Europa. Ora mi diletto ancora a restaurare biciclette». Barche niente? «Anche quelle, ovviamente! Mio padre e mio zio, quando vivevano in Istria, le barche le costruivano…» Come vede il futuro del canottaggio? «Bene, sia a Trieste che nel resto d’Italia. Abbiamo atleti di valore, però ci vorrebbe qualche attenzione in più. Per esempio a Trieste non esiste più un campo di regata completamente rettilineo; l’unico in regione che possa dirsi tale è a San Giorgio di Nogaro». Non resta altro da dire. L’incontro con Paolo Fonda è stato un viaggio totale, olistico. Lo ringrazio delle sue parole che hanno portato sullo schermo della mia mente mille immagini, colorite emozioni di gioia, speranza e grinta. Proprio come quando Galeazzi commentava l’impresa degli Abbagnale: “E c’è luce, c’è luce e andiamo a vincere!” Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine: info@imagazine.it Per rileggere tutte le puntate precedenti di “Figli di uno sport minore” visita la sezione “approfondimenti” di www.imagazine.it
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COLORIAMO I FIORI DI BACH Nel libro “I fiori di Bach – Cure & Rimedi”, edito da Editoriale Programma, lo psichiatra Roberto Pagnanelli e la studentessa Nicoletta L. Pagnanelli invitano a dare un volto ai fiori di Bach e ad approfondire le conoscenze delle loro caratteristiche psicologiche. Imparare divertendosi è la scelta più semplice.
È curioso attribuire ad ogni fiore di Bach un colore, alludendo alle sue caratteristiche psicologiche essenziali e collegandole simbolicamente col significato dei colori. Troveremo così fiori bianchi che necessitano di pace e armonia non solo in se stessi ma anche nell’ambiente; fiori verdi che richiedono maggior sicurezza (il verde, secondo Max Lüscher, il più grande studioso del significato psicologico dei colori, è il colore della sicurezza in se stessi). Avremo poi fiori blu dominati dai pensieri, e viola spigolosi, ipercritici con scarsa capacità di entrare in empatia, anche con il terapeuta. Sottili differenze vi saranno poi fra gli azzurri e i celesti: entrambi eterei, fantasiosi, chiacchieroni. Ma anche lunatici, distaccati, immersi nei loro mondi sognanti. Comunque eccezionalmente sensibili come una folata d’aria fresca e bisognosi di contatti umani e d’eterna comprensione da parte degli altri. L’azzurro del cielo e l’aria il loro mondo. Mancano, in tal senso, della zavorra legata alla Terra: concretezza, durezza, determinazione, convinzione nelle proprie idee e bisogno di realizzare nel concreto le proprie aspirazioni. E ancora i fiori arancioni che legano la loro essenza all’emotività, all’affettività e alla passione; quelli marroni, pedanti, ossessivi, meticolosi, armati da senso del dovere e “rompiscatole” per definizione (con grandi pretese anche nei confronti di se stessi). Per finire coi rossi, attanagliati dall’ansia, caldi e vibranti come lingue di fuoco; i grigi affetti da forme leggere di depressione come un cielo ricco di nuvole e, infine, i neri, depressi fin nel profondo delle ossa, rasentando la malattia psichiatrica. Vorremmo che alla fine dell’opera poteste dare ai fiori il ‘vostro colore’ e trarre voi stessi delle conclusioni. Studiando i singoli rimedi comincerete ad immaginare il loro modo di essere e cercherete di trovare, nel prossi-
mo incontro che farete, casuale o professionale, – fosse un paziente, un amico o un conoscente – le caratteristiche del rimedio che potrà giovargli. Per portare un immediato beneficio. Ne saremmo felici.1 Roberto e Nicoletta L. Pagnanelli 1. Tratto da “I fiori di Bach, Cure & Rimedi” Editoriale Programma (2015). Il volume sarà allegato al quotidiano Il Piccolo in estate.
Due nuovi studi a Udine e Gorizia Roberto Pagnanelli, psichiatra psicotera- Nicoletta L. Pagnanelli, diplomapeuta esperto in Medicina Naturali riceve a ta al liceo classico Dante Alighieri di Trieste, è studentesTrieste, in Piazzale Gioberti 8; sa all’Università degli a Monfalcone, in via Romana Studi di Trieste. È al 93; a Udine, in via del Gelso suo primo lavoro sul 3; a Gorizia, in via Duca d’Atema delle Medicine osta 50. Naturali. Cell.: 330-240171 www.robertopagnanelli.it
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(as) s a g g i Sergio Olguìn La fragilità dei corpi Mondadori, 2016 Pagg. 336 € 22,00 Alfredo Carranza, macchinista ferroviario, si suicida lanciandosi dalla terrazza di un edificio in pieno centro, lasciando una lettera di commiato struggente e criptica: non poteva sopportare l’angosciante senso di colpa che lo affliggeva da quando, suo malgrado, aveva ucciso quattro persone lungo la linea Sarmiento. La presenza di un bambino Vladimir Sorokin La tormenta Bompiani, 2016 Pagg. 208 € 17,00 Platon Il’ic Garin, medico di provincia, cerca disperatamente di raggiungere il villaggio di Dolgoe, dove una misteriosa epidemia sta Simonetta Agnello Hornby Caffè amaro Feltrinelli, 2016 Pagg. 352 € 18,00 Gli occhi grandi e profondi a forma di mandorla, il volto dai tratti regolari, i folti capelli castani: la bellezza di Maria è di quelle che gettano una malìa su chi vi posi lo sguardo, proprio come accade a Pietro Sala – che se ne innamora a prima vista e chiede la sua mano senza curarsi della dote – e, in maniera meno evidente, all’amico Giosuè, che è stato cresciuto dal padre di lei e che Maria considera una sorta di fratello maggiore. Maria ha solo quindici anni, Pietro trentaquattro; lui è un facoltoso bonvivant che ama i Szilárd Borbély I senza terra Marsilio, 2016 Pagg. 270 € 18,50 Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, in un misero villaggio abitato da zingari, ungheresi, romeni di varie religioni ed etnie, un bambino che vive con la famiglia (un neonato, una sorella, padre e madre) in un tugurio di fango, argil-
tra le vittime degli incidenti colpisce l’attenzione di Veronica Rosenthal, una redattrice inquieta e implacabile, che non si ferma neanche quando capisce che sta per sollevare il velo su un gioco macabro che coinvolge i bambini dei quartieri poveri. Ciò a cui Alfredo alludeva con la sua lettera d’addio, infatti, è una sorta di roulette russa che si protrae da anni. Durante le indagini, Veronica conosce Lucio, un giovane ferroviere che sembra essere al corrente di quanto avveniva sui binari. Tra i due nasce subito un’attrazione magnetica e morbosa: Lucio sarà l’unico disposto ad aiutarla, ma Veronica dovrà essere pronta ad affrontare il lato più oscuro dei suoi desideri... decimando la popolazione. Ha con sé il vaccino, ma il suo percorso è ostacolato da una tempesta di neve impenetrabile. Riesce a trovare un passaggio di fortuna, ma il viaggio, che dovrebbe durare solo poche ore, diventa un’esperienza quasi onirica, una spedizione fitta di incontri straordinari, fughe disperate, visioni confuse e avventure amorose in un paesaggio che deve molto alle campagne russe descritte da Cechov. viaggi, il gioco d’azzardo e le donne; lei proviene da una famiglia socialista di grandi ideali ma di mezzi limitati. Eppure, il matrimonio con Pietro si rivela una scelta felice: fuori dalle mura familiari, Maria scopre un senso più ampio dell’esistenza, una libertà di vivere che coincide con una profonda percezione del diritto al piacere e a piacere. Attraverso l’eros, a cui Pietro la inizia con sapida naturalezza, arriva per lei la conoscenza di sé e dei propri desideri, nonché l’apertura al bello e a un personalissimo sentimento della giustizia. Durante una vacanza a Tripoli, complice il deserto, Maria scopre anche di cosa è fatto il rapporto che, fino ad allora oscuramente, l’ha legata a Giosuè. Comincia una rovente storia d’amore che copre più di vent’anni di incontri, di separazioni, di convegni clandestini in attesa di una nuova pace. la e letame. Gli strati infimi dell’esistenza nei quali si svolge la vicenda sono descritti con un linguaggio diretto, semplice, mai finto, senza evitare né forzare crudezze, ma senza nascondere nemmeno nulla. La vicenda è il semplice fluire dell’esistenza quotidiana di quel villaggio, con tutta la miseria, tutta la crudezza, tutto l’intrecciarsi di vita animale, addirittura biologica, di meschinità e schermi politici, religiosi e razziali. Eppure si esce da questa lettura come rigenerati: perché non c’è l’illusione da quattro soldi qui, ma solo coraggio, umana caparbietà e verità.
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PERSONAGGI ANGELO SERETTI Intervista di Andrea Doncovio Immagini di Evandro Mariucci Photographer
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Sulle note della passione Cantando davanti al pubblico ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita. L’incontro con un artista di fama internazionale ha fatto il resto. E ora anche il mondo della tv si è accorto di lui. In attesa del nuovo brano realizzato assieme a un plurivincitore del Festival di Sanremo.
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Friulano di Codroipo, Angelo Seretti ( foto in apertura) è un cantante emergente che si è fatto notare qualche anno fa grazie a un brano scritto per lui da Claudio Natili, componente dello storico gruppo dei Romans e autore di “Tornerò”, brano che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Dopo aver sentito la voce calda di Angelo, decise di affidargli l’interpretazione di “Without you”. Dopo i passaggi in radio, seguirono esibizioni live all’estero, compreso nella lussuosa Montecarlo. L’inizio di un percorso ricco di sorprese e nuovi traguardi. Angelo Seretti e la musica: quando è nato questo rapporto? «Il mio rapporto con la musica è nato… con me: l’ho sempre amata e ha sempre scandito ogni momento della mia vita. Insomma, è “vero amore”». Quando ha capito che la musica poteva essere qualcosa di più di una semplice passione? «Determinante è stato il pubblico: quando ho cantato davanti a tante persone e ne ho visto l’entusiasmo, ho capito che questa passione poteva essere qualcosa di più». C’è stato un cantante a cui si è ispirato? «In realtà mi sono ispirato a diversi cantanti, sia del passato che del presente, cercando di non imita70
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re mai nessuno, ma prendendone solo spunto. Credo che la cosa peggiore per un artista sia il tentativo di imitazione». Lei canta in cinque lingue (italiano, francese, inglese, spagnolo e tedesco): quanto influisce una tipologia di lingua sulla musicalità di una canzone? «Influisce in maniera importante. Uno degli esempi più evidenti è la leggendaria “My Way”: nata come canzone francese, fu proposta in molte lingue, raggiungendo però il successo mondiale solo con la versione in inglese di Frank Sinatra». Nel suo percorso un ruolo fondamentale lo ha avuto l’incontro con George Aaron… «Ho incontrato George a una manifestazione canora alcuni anni fa. Lo conoscevo come performer da 10 milioni di dischi venduti, famoso in tutto il mondo. Siamo diventati amici e abbiamo deciso di incidere “Let It Be Me”. Ammiro l’artista e stimo la persona, sono orgoglioso di aver lavorato con lui. Questa collaborazione mi ha inoltre dato l’opportunità di farmi conoscere da un pubblico più ampio». A proposito di “Let It Be Me”: come descriverebbe questo lavoro? «È stato un vero lavoro di squadra. Io ho lanciato l’idea e George, subito entusiasta, mi ha consigliato e aiutato fi no alla fi ne. Credo di poter affermare che la canzone sia piaciuta, anche perché è stata in classifica radio
nazionale per diverse settimane e ora sta andando in onda in varie emittenti estere. A tutto questo ha contribuito anche il mio produttore David Marchetti della Ghiro Records che approfitto per ringraziare». L’omonimo singolo è diventato anche un videoclip girato in Friuli, a Camino al Tagliamento: come mai questa scelta? «Abbiamo semplicemente voluto mettere in luce il nostro territorio, così bello da essere un set naturale apprezzato anche da molti grandi registi. E l’enorme quantità di visualizzazioni sul web dimostrano che la scelta è stata apprezzata anche dal pubblico». A proposito di video, lei ha da poco concluso la registrazione del format tv Mille Voci 2016: di cosa si tratta? «È un format di varietà musicale ideato da Gianni Turco, distribuito alle tv private in Italia e in Europa. Quest’anno ho avuto il piacere di cantare sullo stesso palco con Amedeo Minghi, Bobby Solo, Annalisa Minetti, Mariella Nava, i Cugini di Campagna, solo per citarne alcuni. La nuova edizione di Mille Voci andrà presto in onda anche in Friuli». Dalla sua esperienza, come valuta l’attuale panorama musicale italiano? «Lo defi nirei vario ma a mio parere eccessivamente influenzato da troppi talent, che fanno audience ma mortificano possibili talenti a favore della spettacolarizzazione a tutti i costi». E quello regionale? «In Friuli Venezia Giulia ci sono numerosi musicisti di valore, molti però esitano a farsi conoscere al di fuori della regione ed è un vero peccato». Per il futuro di Angelo Seretti quali sono i nuovi progetti all’orizzonte? «Ho in uscita un brano inedito e un album. Sto anche lavorando a un altro brano, insieme a un big della canzone italiana che ha vinto più volte il Festival di Sanremo… Ma non svelo ancora il nome». Concludiamo con il suo rapporto con il territorio: se dovesse scegliere una canzone per descrivere il Friuli, su quale punterebbe? «Descrivere il Friuli è difficilissimo, proverò a descrivere i friulani… Sembrerà fuori moda, ma penso a “Stelutis Alpinis” di Arturo Zardini, che fa capire come la nostra gente, pur avendo molto sofferto, dopo ogni calamità grazie a un profondo orgoglio e tanta volontà sia riuscita a rialzarsi meglio di prima».
Un frame del videoclip di “Let it be me”, girato da Angelo Seretti e George Aaron a Camino al Tagliamento e diretto da Attilio Caldognetto e visibile su You Tube. Anche le registrazioni del singolo sono state curate in Friuli, dallo studio “Angels Wings” di Mereto di Tomba.
Andrea Doncovio A destra, primo piano di Angelo Seretti mentre canta e, in basso, Angelo durante una puntata del format tv “Mille Voci”. |
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ALLA SCOPERTA DI...
PARCO BASAGLIA Servizio di Margherita Reguitti
Patrimonio
del futuro
L’ex ospedale psichiatrico di Gorizia diventerà punto di riferimento transfrontaliero per la cure delle persone con disturbi mentali e centro di formazione per gli psichiatri sloveni che operano a Nova Gorica.
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Franco Basaglia, l’uomo che cambiò il corso della psichiatria in Italia e nel mondo, aveva fatto cancellare la scritta “Ospedale psichiatrico provinciale” sulla facciata della palazzina direzionale del manicomio che venne chiamato a dirigere a Gorizia. Quella che vediamo oggi è un falso storico, nata da esigenze cinematografiche quando nel 2009 qui fu allestito il set de “La Città dei matti”, ricorda un operatore storico del Dipartimento di salute mentale dall’AAS2 - Azienda Sanitaria Bassa Friulana Isontina. Una presenza ingombrante l’ex Ospedale psichiatrico provinciale (OPP) di Gorizia, luogo nato sotto l’Impero austroungarico per segregare divenne, grazie allo psichiatra veneziano e alla sua équipe simbolo di possibile libertà, restituzione della dignità di essere umano a uomini e donne incatenati, reclusi e privati di identità, segregati, ridotti a numeri e a mere diagnosi. Un’oasi il parco Basaglia, varcato il portale d’accesso si respira in ogni stagione un’atmosfera intensa e intima, fra alberi secolari, prati che conducono alle diverse palazzine, spazi di pace ora dopo tanto dolore e avvenimenti tumultuosi. Costruito all’inizio del ‘900 ai margini della città verso il contado, si è trovato, dopo la Seconda
guerra mondiale, a essere proprio sul confine della cortina di ferro fra Italia e Jugoslavia. Il muro di cinta a est era la linea di separazione fra due mondi. Dopo la chiusura dei manicomi, la città di Gorizia lo ha rimosso: un passato ingombrante col quale era difficile fare i conti. Non tutti i goriziani lo hanno voluto dimenticare: molti sono i volontari, oltre al personale medico, infermieristico e amministrativo della AAS2, che vi fanno attività, ma in generale la città non lo considera un luogo da citare e frequentare. Ora però pare giunto il tempo di voltare pagina e di riconoscere al comprensorio quel ruolo di centralità nello sviluppo di un futuro possibile, attingendo alle sue potenzialità di giacimento culturale per costruire una rigenerazione urbana al servizio della città di Gorizia e dell’area GECTGO (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale), fra Italia e Slovenia. Prima fra tutte le istituzioni a credere in questa svolta l’AAS2, per voce del direttore Giovanni Pilati, definisce il Parco Basaglia una risorsa per la città: «In tal senso sono già previsti interventi edilizi per finalità assistenziali e direzionali, sostenuti dalla Regione», ha dichiarato il vertice dell’azienda. Entro la fine di luglio, sarà inaugurata la nuova sede del Centro di Salute Mentale nella palazzina ex cucine. Gli interventi, costati oltre 2 milioni di euro, hanno avuto un iter lungo e accidentato, ma alla fine il lavoro è compiuto. «La disponibilità di questi spazi – ricorda Franco Perazza, direttore del Dipartimento di salute mentale – ci permetterà Sopra, la facciata del vecchio Ospedale Psichiatrico; qui a fianco, la rete di recinzione che ha sostituito il vecchio muro per il “contenimento” degli ospiti.
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Un particolare del vecchio Ospedale ora adibito a cen- Sopra, il Trgoski dom di corso Verdi a Gorizia, che ha tro direzionale. ospitato plastici e planimetrie sul futuro del Parco Basaglia immaginato dagli studenti (foto in basso).
di spostarvi anche uffici e servizi oggi nella palazzina direzionale, dove Basaglia aveva il suo ufficio. Una volta svuotato l’edificio potranno iniziare, con procedura di urgenza, le gare per redigere un progetto di ristrutturazione e successivamente iniziare i lavori di restauro». Al momento vi è un finanziamento regionale di oltre un milione e 400 mila euro ma altri fondi arriveranno. «Le cose – prosegue Perazza – stanno finalmente cambiando; non si parla più di progetti ma di sostegno a politiche di salute mentale sul territorio vasto che comprende Italia e Slovenia. In questo senso stiamo già da tempo collaborando con i colleghi sloveni che ritengono il nostro sistema di assistenza alla persona nel suo contesto familiare un esempio da seguire». Gli psichiatri sloveni che operano a Nova Gorica verranno formati in Friuli Venezia Giulia e un giorno le persone con disturbo mentale slovene verranno curate da équipe integrate italiane-slovene. Lo scorso mese di maggio, nell’ambito della rassegna èStoria a Gorizia, è stata allestita una mostra promossa dall’AAS2 assieme, tra gli altri, alla Provincia di Gorizia, all’Università di Trieste - Dipartimento di Ingegneria e Architettura e alla Cooperativa sociale Arcobaleno onlus. Esposti nel Trgoski dom di corso Verdi, sotto uno striscione da 9 metri che gridava il titolo “La libertà è terapeutica”, plastici e planimetrie di possibili scenari architettonici all’interno del parco, realizzati dagli studenti di Architettura. Progetti per un futuro accanto a una sezione dedica alla memoria. Esposto infatti per la prima volta quanto resta dell’archivio dell’ex OPP dal 1933 al 1978. Documenti, cartelle cliniche, fotografie, schede personali ritrovati nelle cantine del complesso, salvati dal degrado e dalla distruzione grazie a finanziamenti e borse di studio per persone svantaggiate. Un patrimonio docu-
mentale salvo e un primo “catalogo di consistenza”, il prossimo passo sarà un vero e proprio inventario che lo renderà poi disponibile per la consultazione da parte di storici e studiosi. «Il parco Basaglia – conclude il dottor Perazza – è un patrimonio di natura e memoria a vantaggio di questo territorio di cultura italiana e slovena, che sarà nel futuro una realtà di cura del disturbo mentale, scegliendo di includere chi ne soffre, garantendo libertà e uguaglianza in un tessuto di solidarietà e di opportunità perché tutti possano realizzare un loro progetto di vita». Un progetto ambizioso che parte da lontano: dal 1961, quando Basaglia arrivò a Gorizia con la moglie Franca Ongaro e i figli: osservando cosa significasse manicomio, decise che quei luoghi non si potevano riformare, ma solo distruggere.
Margherita Reguitti |
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MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) Fino al 16 luglio ▶ VIAGGIO NELLA TERRA DELL’ORO Lo sguardo del fotoreporter e regista Luigi Vitale racconta con 35 immagini a colori il territorio e con 5 documentari artisti simbolo di una terra di confine, multilinguistica e multiculturale. Codroipo (UD). Villa Manin di Passariano. Orario: mar-ven 15-19, sab-dom 10-19. Ingresso libero. Info: www.villamanin.it Fino al 17 luglio ▶ GIORGIO VELIA Personale del pittore triestino. Nei suoi quadri il colore rosso non si espande attraverso lo spazio della tela ma si trova rinsaldato entro rigorose partiture geometriche e prospettiche. Trieste. Sala comunale d’arte, piazza Unità 4. Orario: 10-13/17-20. Ingresso libero. Info: www.retecivica.trieste.it
Fino al 17 luglio ▶ ROSA MUTABILIS In esposizione opere dell’artista Renzo Tubaro (Codroipo 1925 - Udine 2002). Manzano (UD). Abbazia di Rosazzo. Orario: vendom 9-12/15-18. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it Fino al 18 luglio ▶ EXTEMPOREPIRAN Esposto uno spaccato delle opere della collezione dell’Ex tempore internazionale di pittura di Pirano. Trieste. Sala Sbisà, via Torrebianca 22. Orario: lun-sab 16.30-19.30, dom 10.30-12.30. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it
Fino al 31 luglio ▶ DANILO JEJCIC Mostra antologica.
Gorizia. Palazzo Attems, piazza De Amicis 2. Orario: mer-dom 10-17, gio 10-19. Ingresso: € 3,50. Info: musei@provincia.gorizia.it Fino al 31 agosto ▶AQUILEIA ASBURGICA Oltre duecento pezzi tra libri, disegni, dipinti, documenti e oggetti di cultura materiale. Il periodo documentato in mostra va dal 1509 al 1918. Aquileia (UD). Palazzo Meitzlik, piazza Capitolo. Orario: lun-ven 16.30-19; sab-dom 10.30-13/16.3019. Ingresso libero. Info: www.imagazine.it
Fino al 18 settembre ▶TRA FIGURATIVO E ASTRATTO Mostra collettiva di Luigi Spacal, Elio Ciol, Giammarco Roccagli, Giorgio Cosarini, Claudio Mrakic, Danilo Jejcic, Concetto Pozzati, Grazia Varisco e Luigi Veronesi. Pordenone. Galleria Sagittaria, via Concordia 7. Orario: mar-dom 16-19. Ingresso libero. Info: www.centroculturapordenone.it/cicp Fino al 30 settembre ▶LEONI E TORI Dall’antica Persia ad Aquileia. La memoria di due grandi città, entrambe distrutte col ferro e col fuoco, a quasi ottocento anni di distanza, ed entrata a far parte del patrimonio di cultura, di arte, di suggestioni dell’intera umanità. Aquileia (UD). Museo archeologico nazionale, via Roma 1. Orario: mar-dom 8.30-19.30. Ingresso: € 7. Info: www.museoarcheologicoaquileia.beniculturali.it
Fino al 2 ottobre ▶IL SEGNO INFINITO Mostre retrospettiva dell’artista friulano con l’esposizione di oltre 140 o-
pere (olii e tecniche miste su tela, tempere, grafiche). Pordenone. Galleria Pizzinato, viale Dante 33. Orario: mer-dom 15-19. Ingresso: € 3. Info: www.artemodernapordenone.it ▶LABOR OMNIA VINCIT Ritratti di vita e di lavoro dall’archivio fotografico della SNIA Viscosa. La mostra ripercorre la peculiare storia dell’origine autarchica del paese-fabbrica di Torviscosa attraverso le fotografie dell’archivio storico della SNIA Viscosa. Torviscosa (UD). CID, piazzale Marinotti 1. Orario: sab 15-20, dom 1020. Ingresso libero. Info: www.comune.torviscosa.ud.it Fino all’8 ottobre ▶LLOYD Le navi di Trieste nel mondo. L’itinerario della mostra copre un periodo rivoluzionario nella tecnica della navigazione nell’ampliamento dei traffici e nello sviluppo economico e sociale della città. Trieste. Centrale Idrodinamica, Porto Vecchio. Orario: mar-dom 11-18, ven-sab 11-21 (aperto lun 15/8). Ingresso: € 9. Info: www.retecivica.trieste.it Fino al 9 ottobre ▶PASSAGGIO IN INDIA Arte e vita nel subcontinente indiano nelle fotografie del fondo Usis della Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte. A cura di Claudia Colecchia. Trieste. Civico Museo d’Arte Orientale, via San Sebastiano 1. Orario: marven 16-19, dom 10-19. Ingresso libero. Info: www. triestecultura.it
Fino al 9 ottobre ▶OLTRE In viaggio con cercatori, fuggitivi, pellegrini. Oltre quaranta dipinti su tela e su tavola, suddivisi in cinque sezioni tematiche, provenienti da 30 collezioni pubbliche e private italiane ed europee. Tolmezzo (UD). Casa delle Esposizioni, località Illegio. Orario: mar-sab 10-19, dom 9.30-19.30 (lunedì a-
perto solo ad agosto). Ingresso: € 10. Info: www.illegio.it Fino al 12 ottobre ▶OMAGGIO A ITALICO BRASS Opere dalla Collezione Marignoli di Montecorona e dalla Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia. Gorizia. Palazzo Attems, piazza De Amicis 2. Orario: mar-dom 10-17. Ingresso: € 3,50. Info: musei@provincia.gorizia.it
Fino al 16 ottobre ▶TORNA A FIORIR LA ROSA Dipinti, ceramiche e porcellane dalle collezioni dei Civici Musei di Storia ed Arte. Trieste. Civico Museo Sartorio, Largo Papa Giovanni XXIII 1. Orario: mar-gio 10-13, ven-sab 16-19, dom 10-19. Ingresso libero. Info: www.triestecultura.it ▶ SCRIGNI DI FIORI E PROFUMI Le ceramiche di Nove: capolavori tra natura e finzione. Trieste. Castello di Miramare, viale Miramare. Orario: 9-19. Ingresso: € 8. Info: www.castello-miramare.it Fino al 4 dicembre ▶GUERRA E MODA Il viaggio della moda in un periodo compreso tra gli anni 1905 e 1925 circa, narrando, attraverso un cambiamento rivoluzionario, una trasformazione che in silenzio scardina un ordine precostituito. Gorizia. Musei Provinciali, Borgo Castello 13. Orario: mar-dom 9-19. Ingresso: € 3,50. Info: 0481 533926
I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.
chef…ame!
Trota Regina in crosta di pane farcita con erbe di campo Ricetta del Maestro di Cucina Germano Pontoni Preparazione
Togliete la testa e la spina dorsale alle trote (se non riuscite fatelo fare dal vostro pescivendolo) tutte le eventuali lische rimaste e la coda mettere in frigorifero. Tritate a coltello le erbe spontanee cotte e mettete in una bacinella, aggiungete sale, pepe, 2 cucchiai di pane grattugiato, un uovo, il Grana grattugiato e amalgamate molto bene. Mettete in frigo- Ingredienti per 4/6 persone rifero a riposare per un’ora. Con le mani fate un salsicciotto, allargate le - 2 trote grandi circa (600/700) gr trote e farcite con il preparato, pennellate con uovo sbattuto i bordi per - 400 gr di erbe spontanee ( silene, tarassaco, bruscandoli possibilmente rimaste verdi già far aderire bene in modo che in cottura non abbia ad aprirsi, legate con lessate) uno spago fine da cucina in tre punti. In una bacinella mettete il pane - 3 uova, 200 gr di pane grattugiato grattugiato rimasto, il prezzemolo e la buccia di limone grattugiata, - 1 cucchiaio di formaggio Grana grattugiato sbattete le uova rimaste in un piatto largo e insaporite con sale e pepe. - 1 cucchiaio di prezzemolo tritato Infarinate le trote, passate nell’uovo e nel pane. Foderate una teglia con - 4 cucchiai di olio extravergine di oliva carta forno, appoggiate le trote pennellate con olio e cuocete in forno - 1 cucchiaino di buccia di limone grattugiata, per mezzora a 190° (fino a che si forma una crosta dorata). Lasciate ri- - 100 gr di farina “00” posare una decina di minuti e con un coltello a sega affilato tagliate dei - sale e pepe q.b. tranci di circa 3 cm, togliete lo spago con un paio di forbici e sistemate i - Insalata riccia e rondelle di limone per guarnizione tranci sui piatti, guarnite con insalata riccia e rondelle di limone.
Guizzi di sapore, la trota friulana
Negli ultimi anni, dopo che per pesce si è inteso solamente quello di mare, ecco che un prodotto del nostro Friuli, la trota, viene riscoperta e riproposta, non solo come prodotto alimentare da intervallare nei menu con carni, formaggi e verdure o per arricchire la gamma del paniere nostrano, ma anche come un ingrediente di grande importanza per i contenuti salutistici in essa presenti. Le qualità organolettiche e salutistiche della trota dipendono per buona parte dalle tipologie di allevamento. In particolare, grande importanza riveste la qualità delle acque, che nella nostra regione possono vantare un’ottima salubrità. Se poi la trota viene allevata in acqua di sorgente il prodotto ottenuto può veramente raggiungere l’eccellenza. Da questo punto di vista, sul nostro territorio ci sono Aziende con la A maiuscola, che allevano, lavorano e confezionano le carni della trota, sia per la ristorazione di classe sia per il consumatore accorto. Le caratteristiche organolettiche e nutrizionali di questi prodotti, ideati spesso per il mercato professionale, possono aumentare considerevolmente la consapevolezza del consumatore sul modo di alimentarsi, aiutandolo a incrementare il consumo di pesce con preparazioni veloci e gustose. Pensiamo ad esempio ai filetti di
trota che nella lavorazione vengono completamente deliscate, ottenendo un prodotto facile e veloce da cucinare, e aggiungendo ulteriore sicurezza alimentare, soprattutto nell’alimentazione dell’infanzia e della terza età. Un aspetto importante da considerare è che l’utilizzo di una trota di qualità mo- Germano Pontoni, desta costringe il cuoco, per presidente Cuochi FIC FVG renderla appetibile sin dal dell’Unione Cell: 347 3491310 primo momento, a creare Mail: germanoca@libero.it sapori “artificiali” con esaltatori di sapidità e aromatizzazioni spesso poco naturali o con cromaticità esagerate. Con una buona Trota, invece, un cuoco attento, con un pizzico di saggezza legata all’esperienza e alla conoscenza delle tipicità del territorio, può confezionare un piatto piacevole con cotture semplici e con aggiunta di pochi aromatici naturali esaltando sia il sapore delle sue carni che le sue caratteristiche nutrizionali. L’augurio è quindi che la trota diventi sempre più una proposta fissa delle nostre cucine, sia professionali che casalinghe, per una alimentazione moderna e innovativa, attenta al gusto e agli aspetti salutistici.
Ristorante Da Brontolo Via Vittorio Emanuele 36, AIELLO DEL FRIULI (UD) Tel. 0431 973961
Il locale “Da Brontolo” si trova sulla via principale di Aiello del Friuli, via Vittorio Emanuele II n. 36. Il ristorante ha due salette, una più rustica e riservata, e un’altra più capiente ed elegante. Nell’insieme 80 posti a sedere, mentre nel giardino interno al locale recentemente rinnovato sono disponibili altri 100 coperti. Il ristorante serve piatti sia a base di pesce che a base di carne, con prodotti principalmente sempre freschi di giornata. Per accompagnare tali portate gustose è a disposizione una cantina vini degli alti Colli friulani. Inoltre, in tutti i giorni feriali a pranzo si può scegliere un menù fisso, oltre al solito menù à la carte.
Chef Danilo Fedele, “Da Brontolo” Com’è nata e come si è sviluppata la sua come mai questo nome per il suo locale? passione per il cibo e per la ristorazione?
«Il nome è stato scelto principalmente per due motivi, uno di questi è sicuramente dettato dall’amore e dalla passione per la cucina che rende tutto il personale molto esigente, quasi a non essere mai soddisfatti e sempre alla ricerca della perfezione. Il secondo motivo, non meno importante, è una scelta presa insieme a mia figlia che è sicuramente parte integrante della mia vita». Chef Danilo Fedele. In basso a destra lo staff del ristorante
«Sin da piccolo mi sono avvicinato al mondo della cucina e del sapore, sperimentando e inventando sempre cose nuove. Nonostante le tante sfide affrontate per questo lavoro, la passione per il cibo e per la ristorazione a oggi non si è mai affievolita. Dopo gli studi e dopo aver girato più cucine del Friuli Venezia Giulia, ho voluto realizzare il mio sogno aprendo questo ristorante».
Che tipo di cucina propone all’interno del suo ristorante?
«Proponiamo ogni giorno un menù a base di pesce fresco proveniente principalmente dalla nostra laguna per esaltare i sapori locali. Un menù a base di carne per soddisfare i gusti di tutti i nostri clienti e infi ne proponiamo anche piatti più semplici e caserecci, per conquistare anche i più piccini».
chef…ame! Danilo ci suggerisce:
Antipasto “Brontolo” Ingredienti carpacci insalatina di polipo gamberone baccalà alici patate pane grattugiato salsa di yogurt latte acqua pomodorini e olive olio all’aglio, pepe, sale, prezzemolo, cipolla, aceto bianco, limone
Preparazione I carpacci vengono sfilettati e affumicati al naturale con legno di faggio. L’insalatina di polipo è condita con sale pepe, prezzemolo, olio all’aglio, con aggiunta di pomodorini, olive e patate. Il nostro gratinato viene spolverato con una panatura composta da pane grattugiato, prezzemolo, olio all’aglio, sale, pepe e un filo di olio d’oliva. Compreso nel gratinato troviamo anche il gamberone kadaifi, che prende il nome dalla pasta nella quale è avvolto, adagiato su una salsa allo yogurt. Il baccalà mantecato è composto da semplici ingredienti come latte, acqua, sale e, ovviamente, il baccalà. Le sarde in savor sono impanate nella farina e fritte, con una composta di cipolla e grani di pepe sfumata all’aceto bianco. Le alici, invece, sono semplicemente marinate con sale, aceto bianco, limone e olio di semi. |
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Centro Benessere Dentale di Gradisca d’Isonzo I nostri servizi - IGIENE DENTALE: PREVENZIONE, PULIZIA DEI DENTI - CONSERVATIVA: OTTURAZIONE, CURA DELLA CARIE - ENDODONZIA: CURA DEI CANALI RADICOLARI DEI DENTI - PEDODONZIA: LE CURE PER I DENTINI DEI PIÙ PICCOLI - SBIANCAMENTO DENTALE: PER UN SORRISO SICURO ED EFFICACE
Direttore Sanitario Dott. Nicola Greco
Quando pensiamo al nostro sorriso pensiamo spesso solo ai denti e ignoriamo così i tessuti del parodonto - che è indispensabile al mantenimento di una dentatura sana e di un bel sorriso.
Che cos’è il parodonto? Come indica la parola stessa, perí = attorno, odoýs, odóntos = dente, i tessuti del parodonto includono la gengiva, l’osso alveolare, una sottile lamina ossea che circonda il dente e delimita l’alveolo dentale, il cemento radicolare - il tessu- ORTODONZIA CONSERVATIVA ED ESTETICA: to che ricopre la radice del dente - e il legamento RIALLINEAMENTO DEI DENTI; APPARECCHIO INVISIBILE parodontale, ovvero fibre di tessuto che si anco► PARODONTOLOGIA: rano da un lato all’osso alveolare e dall’altro lato CURA DELLA PIORREA alla radice del dente, creando una sorta di robu- PROTESICA FUNZIONALE ED ESTETICA: sta “ragnatela” che mantiene la radice del dente PROTESI DENTALI FISSE E MOBILI sospesa all’interno dell’alveolo. La parodontolo- IMPLANTOLOGIA - IMPLANTOLOGIA GUIDATA: SOLUZIONE FISSA PER L’EDENTULISMO gia, quindi, si occupa dell’insieme dei tessuti molli - CHIRURGIA AVANZATA: e duri che circondano il dente e che assicurano la TECNICHE SPECIALIZZATE DI INTERVENTO ORALE sua stabilità nell’arcata alveolare e delle loro possibili patologie. Centro Benessere Dentale - A Gradisca d’Isonzo (GO) (Direttore Sanitario dott. Nicola Greco) Quindi di piorrea? in Viale Trieste, 34 Esatto. Per piorrea si intendono proprio le maTel./Fax: 0481 969739, cell.: 333/3213683 lattie che interessano il parodonto: le parodontiti e - A Trieste (Direttore Sanitario dott. Nicola Greco) le gengiviti. La malattia parodontale è una malattia in Via Erta di Sant’Anna, 12 infettiva multifattoriale sitospecifica. è multifattoTel.: 040/8320830 riale - ovvero ha più concause che assieme posso- A Cavalicco di Tavagnacco (UD) no potenziare e aggravare gli effetti della compo(Direttore Sanitario dott.ssa Tiziana Fonzar) nente infettiva; è, appunto, infettiva - quindi tra le in Via San Bernardo, 30/5 cause ci sono i batteri; e sitospecifica, perché ogni Tel.: 0432/570995 E-mail: info@centrobenesseredentale.it Sito: www.centrobenesseredentale.it
dente e ogni sua zona può esserne colpito in maniera differente. è quindi molto importante una diagnosi accurata dente per dente. Una gengivite, ad esempio, comporta la guarigione e un ritorno dei tessuti a completa salute; una parodontite comporta sempre, anche dopo la guarigione, una lesione irreversibile. Quali possono essere le conseguenze? Con la malattia parodontale l’attacco epiteliale si può spostare apicalmente, allontanan-
dosi dal dente verso la radice, e si può perdere l’osso alveolare. Queste modifiche anatomiche portano a due possibili manifestazioni cliniche: recessione gengivale, un abbassamento della gengiva che si evidenzia con un dente più lungo; o una tasca parodontale, per cui la gengiva rimane nella posizione corretta, ma l’osso e l’attacco si sono spostati apicalmente lungo la radice, formando così uno spazio vuoto chiamato appunto tasca parodontale.
Il dentista? Il mio migliore amico! Queste malattie possono insorgere anche nei bambini. Le cause della parodontite nei bambini sono non solo il fattore ereditario, che sembra predisporre maggiormente alcuni bambini rispetto ad altri, ma anche - e soprattutto - i batteri. Sono proprio questi i maggiori responsabili della malattia paradontale e della riduzione delle gengive. I batteri possono annidarsi tra i denti, nutrendosi dei residui di cibo e provocando la for-
mazione della placca che, a sua volta, se non viene rimossa tempestivamente, si trasforma in tartaro. Il tartaro si accumula e la gengiva reagisce per proteggersi, prima con l’infiammazione e poi ritirandosi. La cura per la parodontite di stato iniziale è un’accurata igiene orale. In stato più avanzato, il dentista può intervenire sulla parodontite localizzata per l’eliminazione del tartaro in eccesso. Solo nei casi più gravi è necessaria l’asportazione dei denti da latte interessati. Agire tempestivamente e in modo mirato in questi casi, comunque, è fondamentale, se si vuole evitare che la parodontite diventi anche refrattaria ai trattamenti convenzionali.
Quali sono i possibili trattamenti? Gli interventi variano, ovviamente, in relazione alla gravità del problema. Se il danno si limita all’infiammazione superficiale della gengiva e/o la distruzione dei tessuti di supporto è in fase iniziale, può essere sufficiente l’eliminazione dei depositi batterici e del tartaro dalle tasche, abbinati, ovviamente, al mantenimento di un’ottima igiene domiciliare grazie a semplici istruzioni di igiene che verranno suggerite al paziente. Se la lesione è più profonda, può essere necessario intervenire chirurgicamente sui tessuti molli gengivali, come nella chirurgia muco-gengivale o, nei casi più avanzati, anche sui tessuti duri, cioè l’osso, con interventi di chirurgia resettiva, che mirano a rimodellare l’osso alveolare, o di chirurgia rigenerativa che si propongono di ricostruire l’osso.
LA NOSTRA ESPERIENZA AL TUO SERVIZIO Sebbene un’adeguata igiene orale sia indispensabile, da sola non è sufficiente a impedire l’istaurarsi della malattia; ci sono diversi fattori che possono influire: stress, l’abitudine al fumo, una dieta non adeguata, e persino fattori genetici. Si calcola che almeno dieci milioni di italiani soffrano di tali malattie dopo i trenta anni di età. Studi recenti hanno dimostrato che una patologia a livello gengivale può essere tra i segnali indicatori di altre ben più gravi patologie, quali ad esempio il diabete o un aumentato rischio di infarto. è stato anche dimostrato che donne affette da malattie parodontali corrono un rischio dalle 3 alle 5 volte più alto di partorire prematuramente. Non dimenticare che una visita dal dentista può salvare molto più del tuo sorriso!
Lo sapevi che...
Abbiamo iniziato solo nel 1700 a studiare le malattie parodontali, ma tali malattie ci sono sempre state! Persino le mummie egizia-
ne portano i segni di malattie parodontali. Ai tempi dei Sumeri, nel caso di perdita di tono della gengiva si raccomandava di massaggiare sulla gengiva una mistura di mirra, mirra dolce, asafetica e trementina fino a quando non scorresse sangue, credendo che poi la patologia si sarebbe risolta.
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FOLKLORE
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Paninoteca
TV satellitare/digitale
Pizza
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Gelateria
Pernottamento
Catering
Buoni pasto
Organizzazione feste
Parcheggio
14-18 luglio ▶ Mostra regionale delle Pesche
Quattro giorni di degustazioni, spettacoli, concerti, teatro, mercatino, balli e convegni. Alla presenza dei migliori produttori di pesche del territorio. Fiumicello (UD). Info: www.comune.fiumicello. ud.it
ristorante
Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.
22-24 luglio ▶ Festa della Sedia
Piazza Chiodi si animerà a festa con spettacoli e concerti, oltre alle immancabili degustazioni enogastronomiche. Domenica pomeriggio il tradizionale Palio. Manzano (UD). Info: www.prolocomanzano.ud.it
ristorante
e inoltre... 30 luglio – 15 agosto ▶ Sagra del Toro
Degustazioni e concerti Porpetto (UD). Località Corgnolo. Info: www. prolocodicorgnolo.it
11-15 agosto ▶ Festa del Lampone e del Mirtillo
Spettacoli, mercatino, gastronomia. Trasaghis (UD). Località Avasinis. Info: www.prolocoavasinis.org
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Pub
Tradizionale evento dell’estate gradiscana, con concerti, spettacoli, sfilate, e degustazioni speciali per un fine settimana all’insegna del divertimento Gradisca d’Isonzo (GO). Info: www.festivaldelsorriso.it
trattoria
5-7 agosto ▶ Festival del Sorriso
agriturismo
21 agosto ▶ Sagra dei Osei
La prima domenica dopo Ferragosto va in scena la più antica sagra del Friuli Venezia Giulia, con l’elezione del “Tordo Nazionale” al termine del concorso. Sacile (PN). Info: www.prosacile.com
13-15 agosto ▶Festa del formaggio salato e di malga
Mercatino, degustazioni e musica Sauris (PN). Località Lateis. Info: www.sauris.org
26 agosto – 5 settembre ▶Sagra de le Raze
Gastronomia, mostre, concerti, spettacoli. Staranzano (GO). Info: www.sagradeleraze.it
CLASSIC ARTS 22-23 luglio ▶ Momix
“Opus Cactus” è un incredibile viaggio scandito da ritmi tribali, rituali col fuoco e danze iniziatiche provenienti dai più remoti luoghi della terra, che proietterà il pubblico direttamente nel deserto dell’Arizona, rendendo magnificamente tributo a queste aree misteriose e affascinanti. Lignano Sabbiadoro (UD). Arena Alpe Adria. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
16-24 luglio ▶ Mittelfest
La 25.ma edizione del festival esprime una forte connotazione internazionale insieme a importanti ospitalità italiane, anche in prima assoluta, e alcune eccellenze artistiche del territorio. Cividale del Friuli (UD). Info: www.mittelfest.org
e inoltre... 23 luglio ▶ Giuliano Palma
Bada Bing Aiello del Friuli (UD). Palmanova Outlet Village. Ore 20.45. Info: www.azalea.it
26 luglio ▶ Meraviglie e soavità
Con l’Orchestra Senza Confini Tarvisio (UD). Chiesa B.V. Loreto. Ore 20.30. Info: www.turismofvg.it
scopri tutti gli eventi in regione su www.imagazine.it 6-15 agosto ▶ Festival Internazionale del Folklore Aviano-Piancavallo
Gruppi provenienti da Russia, Romania, dagli Stati Uniti, dal Messico, dall’Indonesia e il Gruppo Folcloristico “F. Angelica” Danzerini di Aviano. Aviano (PN). Info: www.danzerinidiaviano.it
4 -8 agosto ▶ FestinVal
Cinque giorni dedicati alla musica, alla danza e al canto tradizionali, con un contorno di eventi collaterali con laboratori artistici e spettacoli teatrali. Tramonti di Sotto (PN). Info: www.protramontidisotto.it
31 luglio ▶ Aida
Opera. Musiche di Giuseppe Verdi San Vito al Tagliamento (PN). Piazza del Popolo. Ore 21.15. Info: www.comune.san-vito-al-tagliamento.pn.it
22-28 agosto ▶ Alpe Adria Puppet Festival
Teatro di figura e marionette, con spettacoli per adulti e bambini Grado (GO) e Aquileia (UD). Info: www.ctagorizia.it
L I V E
M U S I C
26 luglio
▶ Iron Maiden
Il 2016 è l’anno del grande ritorno live del gruppo metal inglese con il “The Book of Souls World Tour” che dopo aver toccato Stati Uniti, Sud America, Canada, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda, arriva in Italia per tre soli concerti: uno dei quali a Trieste. Trieste. Piazza Unità. Ore 19. Info: www.azalea.it
28 luglio
▶ Mika
L’artista proporrà tutti i suoi grandi successi di una carriera sempre in ascesa, vere e proprie hit come “Grace Kelly”, “Stardust”, “Relax”, “GoodGuys”, “Love Today”, “Staring At The Sun”, “We are Golden”, “Happy Ending” e molte altre ancora. Trieste. Piazza Unità. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
e inoltre... 16 luglio ▶ Max Pezzali
Nell’ambito del Festival di Majano Majano (UD). Ore 21.30. Info: www.azalea.it
20 luglio ▶ Steve Hackett
Off The Beaten Track Grado (GO). Diga Nazario Sauro. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
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settembre-ottobre 2007
| L’INFORMAFREEMAGAZINE
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29 luglio
▶ Gianna Nannini
Uno spettacolo incredibile, completamente pervaso dalla sua energia, con il pubblico in fibrillazione dall’inizio alla fine del concerto, dove poter ascoltare live sia i grandi successi sia i nuovi brani estratti dall’album “HistStory”. Sul palco con lei prestigioso sestetto d’archi Red Rock Strings. Tarvisio (UD). Piazza Unità. Ore 21.15. Info: www.azalea.it
22 agosto
▶ Renzo Arbore
Accompagnato dalla sua Orchestra Italiana, dopo sette anni di assenza ritorna in Friuli Venezia Giulia l’artista considerato il primo disc jokey d’Italia, amatissimo cantautore, conduttore radiofonico, clarinettista, showman, attore e personaggio televisivo. Lignano Sabbiadoro (UD). Arena Alpe Adria. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
1 agosto ▶ Subsonica
Lignano Sabbiadoro (UD). Arena Alpe Adria. Ore 21.30. Info: www.azalea.it
30 agosto ▶ Elio e le Storie Tese
Piccoli Energumeni Tour Maniago (PN). Piazza Italia. Ore 21.30. Info: www. azalea.it
L’INFORMAFREEMAGAZINE
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S PO R T 5-6 agosto ▶ Rally Piancavallo
Trentesima edizione: in scena le auto storiche e moderne. Si corre per il neonato campionato regionale di Aci-Sport. Aviano (PN). Località Piancavallo. Info: www.rallypiancavallo.it
13-14 agosto ▶ Air Show
Tradizionale appuntamento con il volo acrobatico sui cieli del Friuli Venezia Giulia con l’esibizione delle Frecce Tricolori. Sabato 13 agosto a Grado, domenica 14 a Lignano. Grado (GO) e Lignano Sabbiadoro (UD) Info: www.turismofvg.it
1-8 agosto ▶ Città di Tarvisio
Seconda edizione degli Internazionali femminili di tennis, con giocatrici provenienti da tutta l’Alpe Adria e non solo. Tarvisio (UD). Tennis Club. Info: 324 8317458
21 agosto ▶ Staffetta Tre Rifugi
Gara internazionale di corsa in montagna maschile e femminile, che toccherà i rifugi Tolazzi, Lambertenghi e Marinelli. Forni Avoltri (UD). Località Collina. Info: www.3rifugi.com
15 agosto ▶ Staffetta del Monte Lussari
28 agosto ▶ Carnia Classic International Fuji-Zoncolan
Tre frazioni (salita – discesa – piano) per i 20 chilometri complessivi di una delle corse in montagna più affascinanti della regione. Tarvisio (UD). Da Camporosso a Monte Lussari. Info: www.ustositarvisio.it
Gran fondo di ciclismo con partenza e arrivo a Tolmezzo. Previsti tre percorsi: cicloturistico, medio (74 km) e lungo (112 km). Tolmezzo (UD). Info: www.carniabike.it
e inoltre... 14-17 luglio ▶ Green Volley
Migliaia di atleti impegnati in diverse discipline sportive Faedis (UD). Info: www.greenvolley.com
24 luglio ▶ Lussari Mountain Bike
Gara internazionale di MTB Tarvisio (UD). Località Camporosso. Info: www.pedaletarvisiano.org
6 agosto ▶ Vertical Dog
Cronoscalata del Varmost con cane al guinzaglio Forni di Sopra (UD). Ore 16. Info: www.vertical.for-adventure.it
28 agosto ▶ Barcis in Voga
Manifestazione di canottaggio Barcis (PN). Lago. Info: www.barcis.fvg.it
MEETING
8-17 luglio ▶ Stazione di Topolò
Registi, musicisti, scrittori, fotografi, performers e uomini di scienza provenienti da tutto il mondo confrontano la loro ricerca con la molteplice realtà del luogo. Grimacco (UD). Località Topolò. Info: www.stazioneditopolo.it
14-20 luglio ▶ Premio Amidei
35^ edizione del premio internazionale alla miglior sceneggiatura cinematografica. Consegna del Premio all’Opera d’Autore al regista e attore Carlo Verdone. Gorizia. Info: www.amidei.com
e inoltre... 7/14/21/28 luglio ▶ Luci & Ombre
Sul Carso della Grande Guerra: recital evocativi Fogliano Redipuglia (GO). Dolina Bersaglieri. Info: www. prolocofoglianoredipuglia.it
12-14 luglio ▶ FMK 2016
Festival internazionale di cortometraggi Pordenone. Info: www.fmkfestival.it 88
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18-24 luglio ▶ Pordenone Blues Festival
Assaggi di blues attraverso concerti, mostre, proiezioni, conferenze, letture, lezioni di rock’n’roll, stage, contest, sfilate... Pordenone. Info: www.pordenonebluesfestival.it
18-21 agosto ▶ Kugy Mountain Festival
Rassegna culturale dedicata al mondo della montagna: in programma proiezioni, incontri con gli autori e spettacoli teatrali. Tarvisio (UD). Piazza Unità. Info: https:// etadellacquario.wordpress.com
17 luglio ▶ Premio Cavallini
Evento letterario: 20^ edizione Barcis (PN). nfo: www.barcis.fvg.it
29-31 luglio ▶ Aquileia Archeofest
Dibattiti, proiezioni e visite guidate Aquileia (UD). Info: www.archeofestival.it L’INFORMAFREEMAGAZINE
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F U O R I
R E G I O N E
T R E V I S O 15 luglio – 1 agosto
▶MOSTRA DEL VINO Le specialità enogastronomiche del territorio fanno da cornice a serate danzanti e spettacoli musicali. Attesa per la gara ciclistica in notturna. Fontanelle. Località Vallonto. Info: www.prolocovallonto.it 16 luglio
▶MISS MONDO Selezione per il concorso di bellezza: sfilata elegante e bikini moda mare. L’evento rientra nel programma dei festeggiamenti della Sagra del Redentore. San Biagio di Callalta. Info: 347 8879734 Fino al 17 luglio
▶I VIVARINI La prima mostra mai realizzata sui Vivarini, la famiglia di artisti muranesi in primo piano nel magico panorama dell’arte veneziana del Quattrocento, che giunse a contendere il primato alla celeberrima bottega dei Bellini. Conegliano. Pinacoteca comunale. Info: www.palazzosarcinelli.it 21 luglio – 7 agosto
▶SUONI DI MARCA FESTIVAL L’occasione per poter godere dei piaceri del palato, dell’artigianato e della buona musica immersi in uno storico e pittoresco contesto di mura alberate. A ingresso gratuito. Treviso. Info: www.suonidimarca.it 23 luglio
▶FESTA DEI POPOLI I gusti e i sapori del mondo allieteranno una serata di musica internazionale. Sarà anche allestito un mercatino di promozione sociale e artigianato etnico. Godego. Info: http://festadeipopoligodego.wordpress.com 29-31 luglio
▶BADOERE BEER SUMMER Musica dal vivo con i gruppi Pink Size, Mothership e Damien Mc Fly, ma anche la spettacolare esibizione di moto freestyle (sabato 30 luglio). Morgano. Località Badoere. Info: www.prolocomorgano.it 26-28 agosto
▶D+ ULTRACYCLING DOLOMITICA Partenza e arrivo a Cison di Valmarino. Percorso di 606 chilometri attraverso sei province, con 16 passi montani e dolomitici da scalare. Cison di Valmarino. Info: www.ultracyclingdolomitica.com
F U O R I
R E G I O N E
V E N E Z I A 3-28 luglio
▶VENEZIA JAZZ FESTIVAL Villa Pisani a Stra ospiterà grandi nomi del panorama jazz internazionale. Attesi tra gli altri Goran Bregovic, Ezio Bosso e Ludovico Einaudi. Stra. Villa Pisani. Info: www.venetojazz.com 16-17 luglio
▶FESTA DEL REDENTORE Sabato sera grande spettacolo pirotecnico, mentre domenica le centinaia di imbarcazioni presenti sul Bacino di San Marco si sfideranno nella Regata del Redentore lungo il Canale della Giudecca. Venezia. Info: http://vela.avmspa.it Fino al 24 luglio
▶ADOLF LOOS La mostra analizza la figura dell’architetto da un doppio punto di vista: della sua rilevanza all’interno dell’attuale dibattito architettonico e della sua importanza storica quale uno dei principali interpreti della modernità agli inizi del Novecento. Venezia. Biblioteca Nazionale Marciana. Info: marciana.venezia.sbn.it Fino al 24 luglio
▶MIRANO SUMMER FESTIVAL Big della musica italiana come gli Stadio e i Negramaro si alterneranno con le principali tribute band (di Vasco Rossi, Jovanotti, Pink Floyd…). Mirano. Info: www.associazionevolare.it Fino al 31 luglio
▶JEAN FAUTRIER GRAFICA E LIBRI ILLUSTRATI Dalle prime litografie per l’Inferno di Dante ai libri illustrati come Lespugue e Orénoque di Robert Ganzo, L’Alleluiah di Bataille, Digne de vivre di Paul Eluard. Venezia. Galerie Bordas. Info: www.galerie-bordas.com Fino al 7 agosto
▶FACE FOOD FESTIVAL Nel “Villaggio del Cibo” si susseguiranno appuntamenti dedicati all’enogastronomia di qualità e alla buona musica: spazio quindi a degustazioni e concerti. Venezia. Località Marghera. Info: www.facefoodfestival.it Fino al 13 novembre
▶VENEZIA, GLI EBREI E L’EUROPA Organizzata in occasione del cinquecentenario dell’istituzione del Ghetto di Venezia, la mostra si propone di descrivere i processi che sono alla base della realizzazione e della nascita del primo “recinto” destinato agli ebrei creato al mondo. Venezia. Palazzo Ducale. Info: www.museiciviciveneziani.it
O L T R E CARINZIA 14 luglio – 3 settembre
▶FESTIVAL DELLA COMMEDIA Durante l’estate la città di Spittal sulla Drava si dedica interamente all’arte del teatro. Ci s’incontra a Castel Porcia per divertirsi con stile e per immergersi nella leggerezza dell’essere. Spittal. Castel Porcia. Info: www. ensemble-porcia.at 16 luglio
▶FISCHFEST Tradizionale festa del pesce a Feld am See. Oltre a menu a base di prodotti ittici, in programma anche concerti e appuntamenti ludici riservati ai bambini. Feld am See. Info: www.fischfest.at 17 luglio
▶GROSSGLOCKNER BERGLAUF Per gli amanti delle sfide impossibili una delle gare di corsa in montagna più massacranti e difficili: l’ascesa al ghiacciaio del Großglockner. Il percorso è lungo 13 km, con un dislivello di 1494 m. Heilingenblut. Info: www.grossglocknerberglauf.at 25-26 luglio
▶STRASSENKUNST FESTIVAL Festival Internazionale degli Artisti di Strada. Giocolieri, musicisti, attori, ballerini: ogni angolo della città diviene luogo per spettacoli da livello artistico eccelso. Villach. Info: www.villach.at 31 luglio – 7 agosto
▶VILLACHER KIRCHTAG Con oltre 200.000 visitatori è la grande attrazione dell’estate in Carinzia. Oltre ai variopinti costumi tradizionali e alla musica folk, la festa sarà allietata da squisite specialità gastronomiche tra cui la “Kirchtagssuppe”. Villach. Info: www. villacherkirchtag.at 19-21 agosto
▶KÄRNTEN LÄUFT Mezza maratona del Wörthersee. Una corsa altamente spettacolare grazie all’affascinante paesaggio circostante che attira ogni anno migliaia di atleti. Wörthersee. Info: www.kaerntenlaeuft.at
C O N F I N E S L O V E N I A 9-10 luglio
▶FESTA DEL VINO E DELL’AGLIO Ricca offerta di vino, aglio e altri prodotti caserecci locali. In quest’occasione gli abitanti del villaggio aprono le proprie fattorie ai visitatori per mostrare loro le antiche tradizioni. Villanova. Info: www.slovenia.info 20-23 luglio
▶BLED GOLDEN MICROPHONE Concorso internazionale per bambini, giovani e adulti. Cinque le categorie complessive con un primo premio di mille euro. Bled. Info: www.bled.si 22-24 luglio
▶LE GIORNATE DI BLED L’occasione per osservare gli oggetti dell’artigianato locale e assistere ai concerti all’aperto. La serata finale i barcaioli calano sul lago più di 15.000 lucine che galleggiano su gusci d’uovo. Bled. Info: www.bled.si 24-30 luglio
▶METALDAYS Le sponde del fiume Isonzo diventano la destinazione di appassionati di metal, rock, pop e musica alternativa o musica tradizionale popolare. Tolmino. Info: www.metaldays.net 28 luglio – 7 agosto
▶ETNO FESTIVAL OKARINA BLED L’ocarina è uno strumento musicale a fiato a forma ovoidale, costruito in argilla, che produce un suono molto dolce. È il simbolo del festival che propone musica popolare autentica e canti popolari. Bled. Info: www.festival-okarina.si 29-30 luglio
▶WEEKEND RUSSO Cerimonia commemorativa per ricordare i soldati russi che nel 1916 furono sepolti da una valanga durante la costruzione della strada che attraversa Vršič. Per l’occasione nel Palazzetto sportivo Vitranc si esibiscono artisti russi. Kranjska Gora. Info: www.kranjska-gora.si 15 agosto
▶LA GIORNATA PAESANA DI RATEČE Una delle più belle manifestazioni etnologiche locali inizia con un corteo degli abitanti del villaggio in costumi tradizionali. Seguono presentazioni degli antichi lavori agricoli, esibizioni di cori, gruppi folcloristici, chitarristi e fisarmonicisti... Rateče.. Info: www.kranjska-gora.si
C R O A Z I A 9-16 luglio
▶TRADINETNO Festival della musica tradizionale ed etno: concerti, serate di folclore, laboratori per la voce e di danza, proiezioni di film ad argomento etnico ed esibizioni di opere realizzate dai bambini. Pisino. Info: www.tradinetno.com 9-16 luglio
▶PULA FILM FESTIVAL Nell’imponente Arena oltre ai nuovi film di produzione croata verranno proiettati anche venti film del programma delle rassegne mondiali più prestigiose: Venezia, Cannes, Berlino, Roma e altri. Pola. Info: www.pulafilmfestival.hr 12-30 luglio
▶JAZZ IS BACK BP La buona musica viene completata e arricchita dalla varietà e dalla spontaneità; sui palchi della città si esibiranno numerosi musicisti rinomati provenienti da una decina di Paesi. Grisignana. Info: www.jazzisbackbp.com 15-24 luglio
▶KONZUM CROATIA OPEN UMAG 27^ edizione dell’annuale torneo di tennis Master 250, inserito nel circuito ATP World Tour. Umago. Info: www.croatiaopen.hr 21-24 luglio
▶SEASPLASH FESTIVAL Festival di musica e cultura drum and bass. Alla manifestazione si balla il dub, reggae, ska, dubstep, hip hop, world music e un’intera varietà di musica elettronica. Pola. Località Stignano. Info: www.seasplash.net 26-30 luglio
▶MOTOVUN FILM FESTIVAL Festival di film e produzioni indipendenti. I film vengono proiettati in vari luoghi per coinvolgere in maniera diretta il pubblico. Montona. Info: www.motovunfilmfestival.com 17-22 agosto
▶ARTER I JA Festival internazionale di arte contemporanea. Mostre, proiezioni, esibizioni e performance artistiche di autori locali e internazionali. Cittanova. Info: www.muzej-lapidarium.hr
AZIENDA PER L’ASSISTENZA SANITARIA N.2 BASSA FRIULANA - ISONTINA GRUPPO D’AIUTO PER IL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO Attivo ogni martedì pomeriggio presso la sede del Sert di Gorizia È attivo a Gorizia presso la sede del Sert in via Vittorio Veneto 174, Parco Basaglia (palazzina B), il Gruppo d’aiuto per il gioco d’azzardo patologico, aperto ogni martedì pomeriggio con orario estivo 18-19.30 (orario invernale 17.30-19). Un servizio rivolto sia ai soggetti con problematiche legate al gioco d’azzardo, sia ai loro famigliari e conoscenti che possono così trovare personale preparato per aiutarli ad affrontare e superare il problema. Le attività che vengono svolte dal servizio, infatti, consistono nell’accoglienza delle persone con problemi di gioco d’azzardo patologico, nell’organizzazione di incontri di trattamento di gruppo e di percorsi di trattamento individuali. Una volta valutate le situazioni a rischio, è previsto l’avvio del percorso di sostegno e aiuto alle persone e alle famiglie con problemi di gioco d’azzardo patologico nonché un servizio di consulenza per familiari e amici dei giocatori. Compito del Gruppo, inoltre, è quello di promuovere una serie di attività di prevenzione e informazione nelle comunità locali, al fine di sensibilizzare le persone sulla problematica. Per tutti coloro che sono coinvolti in maniera diretta o indiretta da problemi legati al gioco d’azzardo è possibile rivolgersi telefonicamente ai seguenti numeri: 0481 592729 / 335 8269592. Tutte le mattine dal lunedì al venerdì e il martedì pomeriggio, operatori del Sert saranno a disposizione per fornire consigli e aiuto.
COMUNE DI MONFALCONE Abitanti: 28.099
(dati Anagrafe apr - mag 2016) nati: 36, deceduti: 55, immigrati: 190, emigrati: 246, matrimoni: 8 Recapiti: 0481 494280, www.comune.monfalcone.go.it
COMUNE DI STARANZANO Abitanti: 7.175
(dati Anagrafe mar 2016) nati: 2, deceduti: 10, immigrati: 21, emigrati: 13, matrimoni: 1 Recapiti: 0481 716911, www.comunedistaranzano.it
COMUNE DI RONCHI DEI LEGIONARI Dati: N.P.
Recapiti: 0481 477111, www.comuneronchi.it
COMUNE DI SAN CANZIAN D’ISONZO Abitanti: 6.179
(dati Anagrafe apr - mag 2016) nati: 2, deceduti: 14, immigrati: 47, emigrati: 32, matrimoni: 2 Recapiti: 0481 472311, www.comune.sancanziandisonzo.go.it
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1 luglio Auguri Massimo! Stefano, Eva, Luigi 6 luglio Tanti auguri a Eugenio Luisa, Andrea e Marina 10 luglio Buon compleanno Bruttino! Nick e Cinzia 15 luglio Tanti auguri Alexandra! Eva, Stefano, Luigi, Giorgio 17 luglio Felice anniversario Barbara! Michele 18 luglio Buon compleanno Marta! papà Stefano 24 luglio Tanti auguri Francisco! Cinzia e Nick 3 agosto Tanti auguri di buon compleanno al nostro nipotino Luca Nonna Elisa e nonno Antonio 20 agosto Buon compleanno Fabrizio! Lo staff di iMagazine 24 agosto Happy birthday Paola Maria, Clara e la Betty 29 agosto Tanti auguri Max! Lo staff di iMagazine 31 agosto Felice anniversario a Elisa e Riccardo! The Family Mandaci entro il 1º agosto i tuoi auguri per le ricorrenze di settembre e ottobre! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).
Fonte: Federfarma Gorizia e Ordine dei Farmacisti di Trieste
96 | marzo-aprile 2015 FARMACIE DI TURNO
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ALLA SALUTE via Cosulich 117 Monfalcone, tel. 0481 711315 CENTRALE pzza Repubblica 16 Monfalcone, tel. 0481 410341 COMUNALE 1 via Aquileia 53 Monfalcone, tel. 0481 482787 COMUNALE 2 via Manlio 14 Monfalcone, tel. 0481 480405 REDENTORE via IX Giugno 36 Monfalcone, tel. 0481 410340 RISMONDO via Toti 53 Monfalcone, tel. 0481 410701 SAN ANTONIO via Romana 93 Monfalcone, tel. 0481 40497 SAN NICOLÒ via Iº Maggio 92 Monfalcone, tel. 0481 790338 ALL’ANGELO via Roma 18 Ronchi dei L., tel. 0481 777019 ALLA STAZIONE v.le Garibaldi 3 Vermegliano, tel. 0481 777446 LEDRI via Marina 1 Grado, tel. 0431 80058 COMUNALE via C. Colombo 14 Grado, tel. 0431 80895 ZANARDI via Trieste 31, Staranzano, tel 0481 481252 AL LAGO via Roma 13, Doberdò, tel 0481 78300 LUCIANI via Dante 41, Sagrado, tel 0481 99214 SPANGHERO via Aquileia 89, Turriaco, tel 0481 76025 VISINTIN via Matteotti 31, San Pier d’Isonzo, tel 0481 70135 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 TRIESTE via Mazzini 43, tel. 040.631785 TRIESTE via Combi 17, tel. 040.302800 TRIESTE via Fabio Severo 122, tel. 040.571088 TRIESTE piazza Ospedale 8, tel. 040.767391 TRIESTE capo di piazza Mons. Santin 2 tel. 040.365840 TRIESTE via Commerciale 21 tel. 040.421121 TRIESTE via Ginnastica 6, tel. 040.772148 TRIESTE piazza Venezia 2, tel. 040.308248 TRIESTE via Curiel 7/B (Borgo S. Sergio), tel. 040.281256 TRIESTE via Giulia 14, tel. 040.572015 TRIESTE via Dante 7, tel. 040.630213 TRIESTE via Costalunga 318/A, tel. 040.813268 TRIESTE via Giulia 1, tel. 040.635368 TRIESTE corso Italia 14, tel. 040.631661 TRIESTE largo S. Vardabasso 1, tel. 040.766643 TRIESTE piazza della Borsa 12, tel. 040.367967 TRIESTE via Rossetti 33, tel. 040.633080 TRIESTE via Mascagni 2, tel. 040.820002 TRIESTE via S. Giusto 1, tel. 040.308982 TRIESTE via Roma 15 (angolo via Valdirivo), tel. 040.639042 TRIESTE via Piccardi 16, tel. 040.633050 TRIESTE via Baiamonti 50, tel. 040.812325 TRIESTE piazza Oberdan 2, tel. 040.364928 TRIESTE piazzale Gioberti 8, tel. 040.54393 TRIESTE via Oriani 2 (largo Barriera), tel. 040.764441 TRIESTE piazza Cavana 1, tel. 040.300940 TRIESTE viale Miramare 117, tel. 040.410928 TRIESTE via dell’Istria 33, tel. 040.638454 TRIESTE piazza Giotti 1, tel. 040.635264 TRIESTE via Belpoggio 4 (angolo via Lazzaretto Vecchio), tel. 040.306283 TRIESTE via Bernini 4 (angolo via del Bosco), tel. 040.309114 TRIESTE largo Piave 2, tel. 040.361655 TRIESTE via Felluga 46, tel. 040.390280 TRIESTE piazza Libertà 6, tel. 040.421125 TRIESTE via dell’Istria 18/B, tel. 040.7606477 TRIESTE via di Servola 44, tel. 040.816296 TRIESTE viale XX Settembre 6, tel. 040.371377 TRIESTE via dell’Orologio 6 (via Diaz 2), tel. 040.300605 TRIESTE via Pasteur 4/1, tel. 040.911667 TRIESTE via Tor S. Piero 2, tel. 040.421040 TRIESTE piazza Goldoni 8, tel. 040.634144 TRIESTE via Revoltella 41, tel. 040.941048 TRIESTE via Ginnastica 39/A, tel. 040.764943 TRIESTE campo S. Giacomo 1, tel. 040.639749 TRIESTE piazzale Valmaura 11, tel. 040.812308 TRIESTE via Roma 16 (angolo via Rossini), tel. 040.364330 TRIESTE piazza Garibaldi 6, tel. 040.368647 TRIESTE via Stock 9, tel. 040.414304 TRIESTE largo Sonnino 4, tel. 040.660438 TRIESTE piazza S. Giovanni 5, tel. 040.631304 TRIESTE via Alpi Giulie 2, tel. 040.828428 TRIESTE via Cavana 11, tel. 040.302303 TRIESTE largo Osoppo 1, tel. 040.410515 TRIESTE via Settefontane 39, tel. 040.390898
Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate. Le farmacie di Trieste iniziano e terminano i turni 2 giorni dopo rispetto alle date indicate
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06-12
30-05
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02-08 2015 | 97 LUGLIO | marzo-aprile AGOSTO
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98 | maggio-giugno 2015 98 | marzo-aprile 2012 |
Rio 2016 ... daghe con l’Olimpionica Samba!
Rio 2016 »… in sedaj predajmo se olimpijski sambi!«
Rio 2016 ...e vai con l’Olimpionica Samba!
Rio 2016 ...tache cu la samba olimpioniche!
Rio 2016 ...e và co l’olimpionica Samba! Rio 2016 ... also los, tanzen wir den Olympischen Samba! Per le traduzioni si ringrazia: Marjeta Kranner e Anna Magaina (sloveno), Isa Dorigo - Ufficio comunità linguistiche Provincia di Gorizia (friulano), Andrea Coppola - Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).