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E D I T O R I A L E L’INFORMAFREEMAGAZINE nº 76 – anno XIII numero 5 settembre-ottobre 2018 ISSN 1828-0722 Editore

GOLIARDICA EDITRICE srl a socio unico sede operativa: I – 33050 Bagnaria Arsa, Italy via Aquileia 64/a tel +39 0432 996122 fax +39 040 566186 info@imagazine.it Direttore responsabile Andrea Zuttion Condirettore responsabile Claudio Cojutti Responsabile di redazione Andrea Doncovio Area commerciale Michela De Bernardi, Francesca Scarmignan, Fabrizio Dottori Responsabile area legale Massimiliano Sinacori Supervisione prepress e stampa Stefano Cargnelutti Hanno collaborato Vanni Veronesi, Claudio Pizzin, Paolo Marizza, Vanni Feresin, Margherita Reguitti, Andrea Fiore, Livio Nonis, Cristian Vecchiet, Alfio Scarpa, Michele D’Urso, Michele Tomaselli, Manuel Millo, Andrea Coppola, Germano De March, Alberto Vittorio Spanghero, Renato Duca, Renato Cosma, Germano Pontoni, Isa Dorigo, Sandro Samez, Marianna Martinelli, Irene Devetak, Andrea Tessari, Rossella Biasiol, Eleonora Franzin, Antonio Amato, Ermanno Scrazzolo Registrazione Tribunale di Udine n. 53/05 del 07/12/2005 Stampato in proprio Tiratura 70.000 copie Credits copertina Luciano Trombin (Digital Photo Point) Credits sommario :: Michele Tomaselli :: :: Claudio Pizzin :: :: Collezione Renzo Crobe :: :: Archivio Barcolana :: :: Rita Manzan :: © goliardica editrice srl a socio unico. Tutti i diritti sono riservati. L’invio di fotografie o altri materiali alla redazione ne autorizza la pubblicazione gratuita sulle testate e sui siti del gruppo goliardica editrice srl. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni o altro non verranno restituiti, anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico, elettronico, di memorizzazione delle informazioni ecc. senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere considerati responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati, direttamente od indirettamente, dall’uso improprio delle informazioni ivi contenute. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari, che ne detengono i diritti. L’Editore, nell’assoluzione degli obblighi sul copyright, resta a disposizione degli aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare al momento della stampa della pubblicazione.

Cari lettrici e lettori, la tragedia del Ponte Morandi di Genova è stata – inevitabilmente – la notizia che ha maggiormente interessato gli organi di informazione nazionali nelle ultime settimane. Tralasciando le modalità su come è stata affrontata dai colleghi giornalisti, è indubbio che una disgrazia di quelle proporzioni, che sarebbe potuta accadere a chiunque di noi (alzi la mano chi non ha pensato in quei giorni a quali ponti attraversa in auto nei propri spostamenti quotidiani), e accaduta in quelle modalità (una struttura che collassa all’improvviso dopo decenni senza un’apparente causa scatenante) lascia senza fiato l’immaginario collettivo. Quando l’emozionalità cede poi il passo alla razionalità, la ricerca dei motivi per cui sono morte 43 persone, altre centinaia hanno perso la propria casa e un’intera città si è ritrovata profondamente ferita, ha aperto la luce sull’ennesima tragedia annunciata in Italia. Perché se le autorità preposte non effettuano o non controllano i lavori di manutenzione ordinaria, se le case vengono costruite sotto un ponte o un ponte viene costruito sopra le case, se segnalazioni su rischi e anomalie finiscono archiviate senza essere prese in considerazione, parlare di disgrazia diventa scorretto. Ma sembra che al nostro Paese le disgrazie piacciano: ci fanno piangere, indignare, accusare qualcuno purché non noi, ci fanno dire che saranno un esempio affinché nulla di simile possa riaccadere in futuro e poi, soprattutto, ci fanno puntare con bramosia l’indice contro la nostra classe dirigente consentendoci con goduria di apostrofarla in malo modo con ogni sorta di epiteto. Inciso doveroso: non è mia intenzione fare l’avvocato difensore di governanti che negli ultimi decenni hanno contribuito in più maniere al declino della nostra società – hanno strumenti ben più potenti al loro servizio per potersi difendere da soli –, ma sarebbe superficiale non considerare che la classe dirigente (e, conseguentemente, accoliti e lacchè da essa piazzati in tutti i gangli della macchina statale) è il riflesso dell’Italia. Un video pubblicato in rete nelle scorse settimane aiuta a far capire il mio ragionamento meglio di molti discorsi. È stato ripreso da un utente della Circumvesuviana di Napoli, la metropolitana leggera del capoluogo partenopeo: si vedono decine di persone che attendono di accedere alla piattaforma della fermata del vagone, aspettando un volontario (uno!) che faccia il biglietto, in modo che le porte si aprano (come poi accade) e tutti possano passare salendo gratis sul mezzo pubblico (con tanto di risate gaudenti in barba agli utenti onesti che pagano regolarmente). Potremmo chiederci come mai nessuno controlla, potremmo chiederci come mai nessuno si indigna. E potremmo anche farci un’ulteriore domanda: se ci fossimo trovati lì, noi avremmo pagato il biglietto o saremmo passati sghignazzando? Moltiplichiamo il caso di Napoli per innumerevoli episodi analoghi che ogni giorno accadono anche in altri settori e anche in altri luoghi d’Italia. E ripetiamo la stessa domanda. Magari, davanti alla prossima tragedia, eviteremo almeno di indignarci e puntare l’indice contro qualcuno, all’infuori di noi. Non mi resta che augurarvi … buona lettura! Andrea Zuttion



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Desidero ringraziare iMagazine per aver consentito a me e a mio padre di partecipare all’evento Coronini ’50, nello splendido scenario di Palazzo Coronini a Gorizia: una serata magica in cui ci siamo rituffati negli anni cinquanta. Michele Buoro Cervignano del Friuli

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Intervista a Emiliano Tersigni, titolare di Al Galeone di Monfalcone Emiliano Tersigni, la passione per la ristorazione quando è scoccata? «Era con me fin da piccolo: ero attratto dalla preparazione dei piatti nei ristoranti e mi dilettavo a cucinare a casa. Ho scelto subiEmiliano Tersigni, to la scuola alberghiera con cuoco e titolare di “Al Galeone” indirizzo enogastronomico per imparare il mestiere. A 16 anni ho iniziato a lavorare come apprendista in vari ristoranti, migliorando le competenze in cucina oltre che con lo studio». Quando ha deciso di aprire Al Galeone? «Terminata la scuola, alla fine della stagione estiva 2017 ho avuto la fortuita opportunità di rilevare un’attività chiusa da tempo e ho deciso di iniziare subito ristrutturando i locali, cercando di creare un’atmosfera unica nella zona, scegliendo arredi eleganti e personale di sala e cucina con ottima esperienza alle spalle. Così dallo scorso ottobre il Galeone ha potuto levare le ancore e partire per questa nuova avventura! Ho deciso quindi di collaborare con le scuole alberghiere locali per condividere l’esperienza professionale di sala e cucina. Ad oggi il Galeone è presente su tutti i social network ed è possibile interagire con le App mobile per prenotazioni, informazioni e promozioni o offerte estemporanee». Che tipo di cucina propone all’interno del locale? «Le specialità sono di pesce, la cucina è semplice ma ben curata nel rispetto della stagionalità del pescato fresco locale. Assieme ai colleghi cerchiamo anche di presentare i piatti in linea con lo stile pittorico e marinaresco del ristorante. Il menù viene cambiato mensilmente e siamo pronti ad accogliere richieste speciali, piatti e menù su ordinazione». Quali sono le specialità della casa? «Il menù è una specialità studiata nel suo complesso, commisurato per provare anche tutte le portate, con attenzione per le materie prime e tutte le fasi di realizzazione. Proponiamo ad esempio un antipasto misto completo caldo e freddo o degli ottimi gratinati. Tra le paste, oltre le lunghe o le corte, proponiamo spesso gnocchetti e ravioli ripieni. Infine creiamo secondi espressi o serviamo il pescato intero del giorno. I dessert sono fatti in casa». Al Galeone ha scelto il network di iMagazine per promuovere la propria comunicazione: come mai? «Attraverso i suoi molteplici canali, dalla rivista al web, dai social network ai maxischermi, iMagazine riesce a raggiungere un numero elevato di persone. La serietà e l’affidabilità dei contenuti, poi, completa un’offerta che mi ha conquistato». Al Galeone fa anche parte del circuito iMoney: come valuta il progetto dei buoni valore di iMagazine? «Consentire ai lettori di poter conoscere i partner di iMagazine attraverso un vantaggio economico credo sia una proposta vincente: confido che molte persone possano presentarsi nel mio ristorante sfruttando l’opportunità degli iMoney». L’INFORMAFREEMAGAZINE | gennaio-febbraio 2008 | 11



S O M M A R I O

settembre - ottobre 26

L’ANALISI di Paolo Marizza

18 I paradossi della produttività ROSSANA LUTTAZZI di Margherita Reguitti

20 La rabbia in smoking ANDREA TARLAO di Claudio Pizzin

23 Libero di correre 30

ISOLE SVALBARD di Michele Tomaselli

26 Nel gelo della guerra fredda JOEY MARGARIT di Andrea Doncovio

30 Ritorno tra i ghiacci DA GORIZIA A TRIESTE di Renato Duca e Renato Cosma

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34 Gli albori della linea marittima GRAFFITI DALLA GRANDE GUERRA di Alberto V. Spanghero

36 L’ultimo segno prima della morte CECILIA SEGHIZZI CAMPOLIETI di Vanni Feresin

40 Auguri, professoressa GIOVANNI TORTELLI di Margherita Reguitti

42 L’architetto dell’archeologia 64

DINO FACCHINETTI di Claudio Pizzin

46 L’anima del barco TRIGEMINUS di Andrea Doncovio

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49 Attori si nasce

FERIE E DISGUIDI di Massimiliano Sinacori

56 Vacanza rovinata? Arriva il risarcimento YOU POL di Polizia di Stato di Gorizia

58 Il bullismo? Si può denunciare on line

EMPATIA ED EDUCAZIONE di Cristian Vecchiet

60 Quanto conta la morale? DROGHE LEGGERE di Andrea Fiore

62 Cosa si intende per “light”? BARCOLANA 50 della redazione

64 #ceroanchio

CANOA SAN GIORGIO di Ermanno Scrazzolo

66 Faticando sull’acqua RITA MANZAN di Michele D’Urso

68 Il tiro con l’arco e altre storie Turipesca di Livio Nonis

70 Il lago del Predil LA VILLA PADRONALE DI BELVEDERE di Eleonora Franzin

72 Diritto feudale

STAGIONI E NATURA di Rossella Biasiol

74 Autunno, tempo di trasformazione ADEGUATEZZA E QUOTIDIANO di Manuel Millo

76 L’ordine della Perfezione CHEF…AME

79 La ricetta di Germano Pontoni 80 e segg. Gli eventi di settembre e ottobre


: lettere alla redazione

▲ Trieste – Il direttore di iMagazine, Andrea Zuttion (a destra), assieme al presidente della Società Velica di Barcola e Grignano, Mitja Gialuz, durante la conferenza stampa di presentazione della cinquantesima edizione della Barcolana. Anche quest’anno iMagazine sarà partner della manifestazione, con la presenza dei propri maxischermi iMagazineVideoTruck.

▲ Belgrado (Serbia) – Alcuni studenti della classe 3° Cmab del Malignani di Udine mentre ritirano il premio di secondi classificati alla finale europea di Junior Achievement, il progetto che supporta i ragazzi delle superiori nello sviluppo delle proprie idee d’impresa fino all’arrivo sul mercato. Dopo aver trionfato in Italia, i giovani friulani, accompagnati dai professori e coordinatori di progetto Renato Polo e Stefano Bareggi, si sono distinti fra 39 progetti d’impresa finalisti da altrettanti Paesi, con la loro «etichetta magica» OKelvin, in grado di rendere evidente, colorandosi diversamente, se un vino è conservato o servito alla temperatura corretta, grazie a due inchiostri termocromatici.

▲ Villach (Austria) – Il gruppo folkloristico “Chei di Uanis” di Joannis di Aiello del Friuli prima della partenza della sfilata della più affollata festa del Folklore della Carinzia, la Villacher Kirchtag. Quest’anno per festeggiare i due lustri di partecipazione, la Cassa Rurale del Friuli Venezia Giulia di Aiello del Friuli ha erogato un contributo che ha permesso l’acquisto di nuovo abbigliamento e ha dato modo di allargare a un maggior numero di persone la partecipazione alla sfilata che, come tradizione, si è svolta il primo sabato di agosto. Nel 2017 i figuranti erano 28, quest’anno sono stati una quarantina, segnando un nuovo record.

▲ Milano – Mauro Buoro assieme alla giornalista di Telelombardia, Nicoletta Cammarota, a margine dell’intervista realizzata il giorno della partenza della 24 Ore in Mountain Bike del Piemonte, completata tra il 10 e l’11 agosto scorsi dal ciclista di Perteole. Dopo le esperienze vissute in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Lombardia, con la 24 ore in Piemonte Buoro ha completato le quattro tappe del suo progetto di sensibilizzazione alla lotta all’obesità e al rispetto dei ciclisti sulle strade. Prossimamente festeggerà un altro traguardo: il raggiungimento dei 40.075 km (equivalenti alla circumnavigazione della Terra) percorsi in bici da quando ha iniziato la sua lotta per perdere peso.

▲ Gorizia – La presentazione alla stampa dell’edizione 2018 di Gusti di Frontiera, in programma nel capoluogo isontino dal 27 al 30 settembre. Da sinistra l’assessore comunale ai Grandi eventi, Arianna Bellan, l’assessore regionale alle Attività produttive, Sergio Bini, il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna. Anche quest’anno iMagazine sarà partner della manifestazione e sarà presente con i maxischermi iMagazineVideoTruck.

▲ Pantianicco – Gli Streakers, ovvero Simone Aiello alla voce, Maikol Bigaran alla chitarra, Luca Gardelliano alla chitarra, Giuliano Fior alla batteria e Marco Cautero al basso, all’interno degli Angels Wing’s Recording Studio, assieme al contitolare Nico Odorico (secondo da sinistra), dove hanno registrato il loro primo lavoro discografico, intitolato “Dual”. Musicisti friulani e studio di registrazione friulano per una nuova avventura discografica.

È possibile inviare le proprie lettere e i propri commenti via posta ordinaria (iMagazine – via Aquileia 64/a – 33050 Bagnaria Arsa-UD), oppure via e-mail (redazione@imagazine.it).


▲ Rimini – Le ginnaste Gaia Trani, Aurora Munno, Gaia Marchi, Chiara Mazza, Angela Suglia hanno conquistato il terzo posto alle finali nazionali di Rimini, evento a cui hanno partecipato oltre 19.000 atleti di 730 società. Le ragazze dell’Unione Ginnastica Goriziana hanno preso parte alla finale nazionale del campionato Silver a squadra specialità 5 cerchi: si sono presentate con un pezzo ad alto potenziale sulle note di Billie Jean di Michael Jackson, conquistando alla fine di due giorni di gare il terzo posto finale. A Rimini le giovani atlete, oltre che dalla loro istruttrice Alina Volosyanska, erano accompagnate da Nicole Rosolin. Ad attenderle al loro ritorno l’affetto e l’orgoglio di tutta la famiglia UGG e in particolare del presidente Mario Corubolo e della vicepresidente Elisa Hoban, responsabile della sezione ginnastica ritmica e per molti anni ginnasta e istruttrice della società.

▲ Farra d’Isonzo – C’erano anche il caporedattore di iMagazine, Andrea Doncovio, primo da sinistra assieme alla moglie Marina, e la responsabile amministrativa Cinzia Martinelli, in centro assieme al figlio Nicolò, tra gli ospiti della prima serata di Vigne sotto le Stelle: appuntamenti organizzati da Eventiva, con la collaborazione di iMagazine, in cui gli chef del territorio preparano i loro piatti negli scenari suggestivi di prestigiose aziende vinicole. Il primo appuntamento si è tenuto alla Tenuta Villanova, dove il direttore Alberto Grossi, in camicia scura nella foto, ha fatto visitare ai commensali anche le cantine e la distilleria, prima della cena curata da Lokanda Devetak. Per essere aggiornati sui prossimi appuntamenti è possibile consultare il sito internet www.vignesottolestelle.it




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L’ANALISI

OCCUPAZIONE E DISUGUAGLIANZE Rubrica di Paolo Marizza

I paradossi

della produttività

L’economia non registra un boom trainato dalle nuove tecnologie. Stiamo invece imboccando un futuro del lavoro, in particolare per le nuove generazioni, che porta all’impoverimento delle progettualità di vita e a disuguaglianze crescenti.

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C’è una crescente e diffusa preoccupazione riguardo all’automazione e i robot che cannibalizzano posti di lavoro. L’immaginario collettivo è colpito dalle notizie su auto senza conducente, attività commerciali – dai viaggi ai beni di consumo – che offrono sempre più l’opzione di prenotare e ordinare tramite touch screen o on line, algoritmi intelligenti che forniscono traduzioni istantanee. Ma l’economia non registra un boom della produttività trainato dalle nuove tecnologie. La produttività è un concetto economico di fondamentale importanza per la crescita dell’economia e del benessere: indica quanto output si riesce a produrre con un’unità di input, che può essere il capitale investito e/o le ore lavorate, mentre l’output è misurato con il fatturato o il PIL di un Paese. Se un’azienda, un settore, o anche un Paese, a parità di input produce più output rispetto ad altri si dice che l’azienda, il settore, il Paese sono più produttivi. Alla fine degli anni ’90 i salari e la produttività stavano crescendo, ma la situazione ora è completamente diversa. L’occupazione cresce lentamente, mese dopo mese. Ma la crescita dei salari ristagna e lo stesso vale per la crescita della produttività. Un fenomeno che non dovrebbe sorprendere nelle economie come la nostra in cui ci sono molte persone che lavorano con bassi livelli retributivi e occupazioni precarie. La minaccia dei robot è reale? O siamo di fronte a una distorsione cognitiva di massa che ci distrae dai veri problemi del lavoro? In generale, il problema è che abbiamo troppa nuova tecnologia o troppo poca? Forse stiamo discutendo di un problema che non abbiamo, piuttosto che affrontare una vera crisi che è l’esatto contrario. Negli ultimi 15 anni, già da prima della crisi del 2008, la crescita della produttività è rallentata, gli investimenti delle imprese sono diminuiti e la crescita dei salari è stata debole. Se la rivoluzione dei 18

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settembre-ottobre 2018

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robot fosse davvero in corso, vedremmo un aumento delle spese in conto capitale e una crescita della produttività. In questo momento, sarebbe un bel “problema” da gestire. Invece abbiamo la realtà di una crescita debole in Europa, stentorea in Italia, con livelli retributivi stagnanti. La vera preoccupazione per quanto riguarda il mercato del lavoro è che l’automazione potrebbe paradossalmente riguardare i robot, i quali non stanno facendo abbastanza “produttivamente” il loro lavoro. È singolare che da un lato si tema che i robot assumano tutti i nostri compiti, con proposte di tassazione degli stessi, e dall’altro ci si lamenti dello stallo della crescita della produttività. Che cosa sta accadendo nel mondo reale del lavoro e delle imprese? Si può sostenere che il rapido progresso tecnologico possa implicare retribuzioni e produttività stagnanti e in calo? Come mai? Una risposta credibile può essere che i bassi costi di manodopera scoraggiano gli investimenti in tecnologie che riducono la manodopera, riducendo potenzialmente la crescita della produttività. Talvolta ci si dimentica che le aziende decidono di sviluppare e utilizzare tecnologie in funzione dei costi che devono affrontare. Spesso lo dimentichiamo quando si parla di robot e automazione. Oggi, i costi del lavoro sono relativamente bassi. In termini reali, la crescita dei salari è stata quasi impercettibile per la maggior parte della forza lavoro dal 2000 e, in alcuni casi, da molto prima. Il vero valore del salario minimo è piuttosto basso rispetto a quello che era mezzo secolo fa. D’altro canto è anche vero che il costo della potenza di calcolo e della memorizzazione dei dati è diminuito di molto. Poiché il costo della tecnologia è diminuito più del costo del lavoro, dovremmo aver visto prevalere fenomeni di automazione di massa. Ma il fattore scarso non è la dotazione di capitale. Ciò che è scarso e costoso è il capitale intangibile necessario per ridisegnare, revisionare,


realizzare e gestire i nuovi modelli di business, di produzione e di servizio abilitati dalle nuove tecnologie. È aumentata la complessità organizzativa e gestionale per far funzionare e operare questi sistemi in modo sostenibile e redditizio. In presenza di manodopera tradizionale “a buon mercato”, le imprese si trovano in una situazione di poca pressione per realizzare questi massicci investimenti in capitale intangibile al fine di automatizzare i processi chiave. E chi lo fa deve dotarsi e sviluppare un capitale umano adeguato ai nuovi ruoli e professionalità richieste, scarse e costose. La manodopera tradizionale a basso costo sta riducendo l’incentivo a spingere le nuove tecnologie lungo traiettorie virtuose da un punto di vista degli impatti economici e sociali. La rivoluzione digitale, in parte responsabile dei bassi costi del lavoro, ha creato un’abbondanza di lavoro. Se sei un’impresa e la tua forza lavoro richiede salari più elevati – o è difficile reperirla – hai molti modi per ottenere il lavoro di cui hai bisogno senza aumentarne il costo. Puoi spostare il lavoro all’estero. La tecnologia ha consentito la crescita delle catene di approvvigionamento globali, che hanno contribuito a portare milioni di lavoratori a basso salario nella forza lavoro globale. È possibile ristrutturare la propria attività in modi che consentano a meno lavoratori più qualificati di utilizzare la tecnologia per svolgere compiti che prima richiedevano molti lavoratori meno qualificati; oppure puoi ristrutturare la tua attività in modo da ridurre il potere contrattuale dei tuoi dipendenti o ridurre i tuoi obblighi nei loro confronti. E, naturalmente, puoi automatizzare. In che modo l’automazione contribuisce a questa abbondanza di lavoro? La storia ci insegna che a lungo termine il progresso tecnologico è sempre più capace di sostituire i lavoratori umani in una vasta gamma di compiti. Quando le imprese si trovano nel punto di indifferenza tra l’utilizzo di persone o macchine, e se le macchine (o il codice, il programma) sono abbondanti, l’effetto del progresso è quello di creare una massa di “lavoro indifferenziata”, cioè macchine equivalenti alle persone, che è molto elevata. Ma oggi c’è un modo più diretto e importante in cui l’automazione aumenta questa abbondanza. Quando una macchina sostituisce una persona, la persona non cessa immediatamente di essere parte della forza lavoro. Non accade che si produca x usando lavoratori y-1 e quindi la produttività aumenti. No, quel lavoratore ha probabilmente molte obbligazioni a cui deve far fronte e deve quindi trovare un altro lavoro. In alcuni casi i lavoratori possono transitare facilmente da un lavoro a un altro. Ma spesso questo non è possibile. Generalmente parlando, i lavoratori spiazzati dalla tecnologia tenderanno a essere quelli con abilità o formazione indifferenziati. Questi lavoratori si trovano in competizione con molte altre persone con livelli di abilità modesti e con la tecnologia: aumenta l’abbondanza di lavoro. Questo è un punto critico. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se domani l’automazione potesse

fare il lavoro del 30% della forza lavoro. L’occupazione non diminuirà del 30% finché i salari non scenderanno a un livello così basso da indurre a rinunciare completamente al lavoro, facendo ricorso a qualsiasi risorsa familiare a disposizione, o fino a quando sia economico assumere persone per fare lavori a bassa produttività. Data la struttura della nostra rete di sicurezza sociale, l’automazione tende ad aumentare la povertà e la disuguaglianza piuttosto che la disoccupazione. Che effetto ha tutto questo? Ce ne sono diversi: l’economia tenta di assorbire lavoro relativamente indifferenziato, i salari ristagnano o calano e diventa economico assumere persone per lavori a bassa produttività; l’occupazione in lavori a bassa produttività si espande, influenzando i dati sulla produttività aggregata; l’abbondanza di manodopera e le pressioni al ribasso sui salari riducono l’incentivo a investire in nuove tecnologie per risparmiare lavoro; le aziende non rinnovano/automatizzano e la produttività all’interno dei settori cresce più lentamente di quanto potrebbe; non si diffondono nuove tecnologie perché il lavoro è a buon mercato, non si sviluppano le innovazioni radicali; la creazione e l’accumulo di capitale intangibile che contribuisce alla crescita della produttività è minimo e comunque insufficiente allo sviluppo di nuovi modelli di business e dei correlati nuovi ruoli professionali e dell’occupazione di qualità; l’abbondanza di lavoro riduce il potere contrattuale dei lavoratori che si trovano a ricevere una quota di reddito in declino e non sono in grado di negoziare cambiamenti che potrebbero mitigare una fase di transizione che ha caratteri epocali; bassi salari e una diminuzione della quota di manodopera qualificata portano a squilibri macroeconomici perché più risorse si concentrano nelle mani di chi ha un’elevata propensione al risparmio, mentre diminuisce la propensione a investire; una domanda e consumi interni cronicamente deboli peggiorano le condizioni di vita dei lavoratori e generano ristagno della produttività; la bassa produttività non genera risorse adeguate ad alimentare processi di redistribuzione del reddito e ingessa le politiche fiscali, che rimangono restrittive. Il debole miglioramento dei livelli di occupazione relativamente dequalificata e spesso precaria, con una crescita debole di salari e di produttività non sono la prova di progressi tecnologici diffusi e dirompenti; significa che stiamo imboccando un futuro del lavoro, in particolare per le nuove generazioni, che porta all’ impoverimento delle progettualità di vita e a disuguaglianze crescenti. Una prospettiva che richiede urgentemente un profondo ripensamento dei modelli di sviluppo economico e sociale del nostro Paese.

Paolo Marizza Co-founder di Innoventually e docente DEAMS-UniTS |

settembre-ottobre 2018

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PERSONAGGI ROSSANA MORETTI LUTTAZZI Servizio di Margherita Reguitti

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La rabbia

in smoking

A otto anni dalla morte di Lelio, attraverso la Fondazione Luttazzi la moglie dell’artista triestino continua a diffondere la musica, la scrittura e il cinema del marito. La cui carriera venne spezzata al suo apice da un incredibile errore giudiziario.

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“La mia passione per il bianco e nero alla Fred Astaire. Il piacere per l’eleganza. Il rispetto per il pubblico. E l’amore per la verità”. Parole semplici, incisive e fortemente evocative di Lelio Luttazzi (Trieste, 27 aprile 1923 – 8 luglio 2010) scelte a prefazione del racconto La villa di campagna del 1971. Un testo scritto pochi mesi dopo l’errore giudiziario che lo coinvolse, ferendo in modo irrimediabile l’uomo e travolgendo uno degli artisti più eclettici e raffinati del secondo Novecento. Il libro, uscito postumo per volontà della Fondazione Lelio Luttazzi presieduta dalla moglie Rossana Moretti, si intitola La rabbia in smoking (Luglio Editore, Trieste). Raccoglie sceneggiature, racconti, pensieri e riflessioni mai pubblicati. In particolare la ventina di

pagine de La villa di campagna divenne la sceneggiatura del film L’Illazione. Un lavoro realizzato per la Rai che però non lo mandò mai in onda. Troppo diretto e senza appelli l’atto d’accusa contro l’istituzione magistratura e i giudici in quanto uomini; una presa di posizione antesignana di quanto accaduto decenni dopo. Un gesto di rivolta morale e civile verso quelle professioni – magistratura in particolare ma non solo – che permettono l’esercizio di un potere a danno degli altri, impunemente, senza controllo. Un testo di grande attualità contro chi può mettere alla gogna, senza l’obbligo di avere le prove definitive di un reato, contro “giudici” non giudicabili, liberi di decidere il bene e il male di una persona con superficialità. Un lavoro nel quale Luttazzi fu regista e interprete oltre che sceneggiatore. Il film è stato proiettato in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Roma nel 2011 dalla Fondazione Luttazzi, nata pochi mesi dopo la scomparsa dell’attore, cantante, musicista, direttore d’orchestra, regista, scrittore, showman e conduttore televisivo italiano. «È stato possibile proiettare il film – racconta la signora Rossana – solo a quasi 40 anni di distanza, grazie alla determinazione della direttrice artistica della rassegna, Piera Detassis, che, dopo averlo visionato, decise che andava fatto conoscere. È stata una granIn apertura, un primo piano di Rossana Moretti Luttazzi. Di fianco, Lelio Luttazzi e Rossana Moretti si sono sposati a Roma nel 1979.

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de anteprima mondiale alla quale erano presenti gli amici e un pubblico numeroso». Un lavoro essenziale nel quale viene raccontato il dolore mai dimenticato di aver vissuto una vicenda assurda e ingiusta. In contemporanea alla serata del Festival, venne mandato in onda anche da Rai 5. Rossana, cosa ha significato per lei la nascita della Fondazione? «Per me è una forma di sopravvivenza alla scomparsa di Lelio e di devozione per i 36 anni vissuti assieme. La perdita di Lelio è stata una grande, vera tragedia che mai avevo pensato potesse accadere. Ho deciso di dare vita a una fondazione dedicata a Lelio per dare una mano ai giovani musicisti e per diffondere il suo lavoro, tenere viva la sua musica, la sua scrittura, il suo cinema. In questi 8 anni abbiamo lavorato molto, io personalmente dedico tutte le mie energie a questo impegno». Luttazzi amava la musica e la scrittura e ha lasciato molti racconti, sceneggiature, testi veloci, pensieri e riflessioni, così come partiture. Come gestite questo grande patrimonio? «Tutto quello che era contenuto nella nostra casa di piazza Unità a Trieste, dove abbiamo vissuto dal 2008 fino a quando è volato via, è stato donato da me al Ministero per i Beni culturali per essere esposto nello Studio Luttazzi, allestito permanentemente in quattro sale della “Biblioteca statale Stelio Crise” di Trieste. Lì sono conservati ed esposti materiali importanti, manoscritti, premi, i suoi libri, oggetti personali, il suo smoking, il pianoforte e tanto altro. Il resto del patrimonio è conservato nella sede della Fondazione e piano piano, compatibilmente con le forze e le risorse economiche sempre più difficili da reperire, viene catalogato e diffuso». Il Maestro amava i giovani e la Fondazione ha istituito un premio... «A gennaio uscirà sul sito www.premiolelioluttazzi.it il bando del premio dedicato ai giovani pianisti e cantautori. Il premio è biennale, una scelta che ci permette di ottimizzare le energie organizzative per un progetto davvero impegnativo. Nel 2017 è stato un successo e la serata delle premiazioni, avvenute al Blue Note di Milano, è stata trasmessa da Rai 1. C’erano gli amici di Lelio come Pippo Baudo presidente della giuria, assieme a Rita Marcotulli, Fio Zanotti, Arisa, Paolo Giordano e tanti altri. Ma c’erano anche le istituzioni. Abbiamo avuto il Premio di Rappresentanza del Presidente della Repubblica. Il premio inoltre vede la presenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Mibac che, assieme ai Comuni di Trieste e Roma, hanno dato i loro patrocini. Anche la prossima edizione sarà realizzata in collaborazione con L’isola degli artisti». Che rapporto aveva Luttazzi con Trieste? «Un rapporto di amore ricambiato. Ci siamo sposati il 6 dicembre del 1979, festa di san Nicolò. Ogni anno tornavamo in città per festeggiare il nostro anniversario e Lelio tornava bambino, felice di girare tra le bancarelle, ritrovando le atmosfere della sua

fanciullezza e adolescenza. Nel 2008 era felice di essere tornato a vivere nella sua amata Piazza Unità, per lui la più bella del mondo, era ringiovanito e pieno di energia. Il 15 agosto del 2009, in occasione del concerto di Lelio, Piazza Unità era strapiena di gente e il mare luccicante di barche per ascoltarlo». Per lei cosa significa Trieste? «Mi è sempre piaciuta, amo la sua atmosfera mitteleuropea, così come amo la lingua di Saba, Svevo e la sua grande cultura. Ma dopo circa tre anni dalla sua scomparsa sono dovuta scappare. Continuare a vivere a Trieste era diventato doloro-

ph. Marinetta Saglio

…È una mia vecchia idea che, in una società bene organizzata, tutti coloro che hanno responsabilità sociali – insegnanti, medici, sacerdoti, poliziotti, magistrati e via dicendo – andrebbero psicoanalizzati prima di venire immessi nella professione. Una psicoanalisi addirittura discriminante, perché certe tendenze negative che fanno parte della natura di ciascuno di noi – sadismo, volontà di potenza, narcisismo, esibizionismo – alle volte, quando siano presenti in misura esuberante, ci spingono a scegliere professioni dove possano meglio soddisfarsi rimanendo al coperto. Siccome questa psicoanalisi ancora non si fa, il primo sentimento ch’io provo davanti alle divise, alle toghe, alle tonache, è la diffidenza. Per questo trovo che la parte più straordinaria della tua avventura, non è tanto che ti abbiano messo dentro, quanto che ti abbiano messo fuori. Un magistrato ti ha messo in galera per nulla e un altro magistrato, un mese dopo, ti ha messo fuori perché era evidente che non avevi fatto nulla. Possiamo anche dire che questo secondo magistrato, nel vedere giusto, è stato aiutato dall’opera d’un valente avvocato... Giuseppe Berto (dalla prefazione di “Operazione Montecristo” il libro scritto da Lelio Luttazzi) |

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so per me. Ogni volta sono felice di tornare ma i ricordi e la nostalgia mi fanno davvero molto male. La verità è che i lutti non si elaborano, i grandi dolori rimangono dentro di noi e con il tempo si trasformano. Oggi lo sento camminare, leggere e ridere accanto a me». Artista e uomo elegante, come vivrebbe questi tempi impuri, spesso volgari? «Era molto distante dalle cose terrene e distaccato dalle mediocrità. Detestava la stupidità, gli esseri vanesi e vanagloriosi. Nella scala dei valori pone-

va in alto l’intelligenza e l’umiltà, il tutto legato da una forte, a volte feroce, autocritica e da un brillante senso dell’umorismo. Si sentiva un antieroe, pigro e svogliato, come Oblomov protagonista del romanzo dello scrittore russo Ivan Aleksandrovič Gončarov. Per questo aveva battezzato la nostra barca con questo nome. Un’ironia raffinata e non gridata, non comprensibile a tutti. Si prendeva in giro, senza mai darsi dell’importanza, perché sempre insoddisfatto, in perenne ricerca della perfezione». Margherita Reguitti

La carriera Nel 1948 Lelio Luttazzi si trasferisce da Trieste a Milano e crea insieme a Teddy Reno la mitica CGD (Compagnia Generale del Disco) diventandone il direttore artistico. Nel 1950 a Torino assume l’incarico di direttore dell’orchestra RAI creando la prima orchestra d’archi ritmica in Italia della RAI; nel 1954 si trasferisce a Roma per dirigere una delle orchestre RAI di musica leggera con le quali parteciperà a diversi programmi di varietà. Negli anni seguenti lavora nel programma radiofonico a quiz Il motivo in maschera e, nella stagione 1956/1957 dirige l’orchestra nel varietà radiofonico Rosso e nero. Scrive canzoni dal carattere jazzistico e piene di swing, interpretandole al pianoforte e cantandole in uno stile molto personale e, tra le più note, si ricordano Chiedimi tutto, Legata a uno scoglio, Rabarbaro blues, Senza cerini, Timido twist. Compone brani come Una zebra a pois, cantata da Mina, Vecchia America per il Quartetto Cetra, Eccezionalmente, sì per Jula de Palma, You’ll say tomorrow registrato in italiano da Sophia Loren, Souvenir d’Italie; El can de Trieste, da lui stesso cantata in dialetto triestino. Il debutto televisivo come direttore d’orchestra avviene nel programma della RAI Musica in vacanza, del 1955, programma di varietà settimanale, assieme a Gorni Kramer e agli attori Isa Bellini, Alberto Bonucci, Paolo Ferrari, Adriana Serra. La sua carriera di presentatore inizia nel 1962, con la trasmissione Il paroliere, questo sconosciuto, un programma musicale per la regia di Lino Procacci che vedeva affiancata a Luttazzi una giovanissima Raffaella Carrà. Presenta poi trasmissioni televisive come Studio Uno con Mina (foto in alto), Doppia coppia con Sylvie Vartan, Teatro 10, Ieri e oggi. Come autore partecipa al Festival di Sanremo

1964 con Piccolo Piccolo, con testo di Antonio Amurri, interpretata da Emilio Pericoli e Peter Kraus. È anche attore, in L’avventura di Michelangelo Antonioni e L’ombrellone di Dino Risi, e in televisione in Biblioteca di Studio Uno con il Quartetto Cetra, dove recita la parte di messer Alvise Guaro nella puntata dedicata al Fornaretto di Venezia; è inoltre compositore di colonne sonore di film, tra i quali Totò, Peppino e la... malafemmina, Totò lascia o raddoppia? e Venezia, la luna e tu, Risate di Gioia. Compone le musiche per le Commedie Musicali di Scarnicci e Tarabusi, e altri autori. Alla radio conduce Hit parade, una rubrica settimanale sui dischi più venduti, andata in onda ininterrottamente dal 1967 al 1976 con la sigla Lelio Luttazzi presenta... Hiiit Parade! Dopo la vicenda giudiziaria che lo colpì lavorò ancora saltuariamente in televisione: nel 1982 nella trasmissione Cipria di Enzo Tortora, nel 1984 in Al Paradise di Antonello Falqui, nel 1991 per Telemontecarlo a Festa di compleanno, prima di ritirarsi a vita privata. Nel 1991 gli venne conferito il premio San Giusto d’Oro dai cronisti del Friuli Venezia Giulia. Nel 1992, dopo una serie di concerti jazz in Italia, fu insignito del Premio “Una Vita per il Jazz” dal Brass Group di Trapani. L’8 ottobre 2006 fu ospite d’onore della trasmissione Viva Radio2, che in quell’occasione andava in onda contemporaneamente alla radio e in televisione, ritornando così in RAI 36 anni dopo l’arresto; fu ospite della stessa trasmissione anche il 27 febbraio 2008. Nel 2008 fu ospite di varie trasmissioni televisive e radiofoniche: il 23 febbraio del programma Che tempo che fa, facendovi ritorno il 21 dicembre; il 16 maggio ha partecipato al Maurizio Costanzo Show, suonando Ritorno a Trieste, il 9 dicembre nella trasmissione radiofonica di Rai Radio Village. Nel novembre 2008, decise di ritornare definitivamente a Trieste insieme alla moglie e per l’occasione il regista Pupi Avati gira un film-documentario sulla sua vita. Il 19 febbraio 2009 ha partecipato al Festival di Sanremo accompagnando Arisa che vinse nelle nuove proposte. All’artista è stato conferito il “Premio alla musica 2009” al Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo. Muore la notte dell’8 luglio 2010 all’età di 87 anni, nella sua casa di Trieste.

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PERSONAGGI ANDREA TARLAO Intervista di Claudio Pizzin

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Un parto problematico che rischia di finire in tragedia. Una passione tramandata dai genitori. E un sogno a cinque cerchi che diventa realtà. In attesa di una nuova grande sfida: «Penso a Tokyo 2020, ma la strada è lunga».

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Andrea Tarlao e la bicicletta: una passione scoccata quando? «A casa mia si mangia pane e ciclismo. Mio papà corre in bici fin da quando aveva 14 anni, mia mamma è stata giudice di gara della Federazione ciclistica italiana. Io ho iniziato a fare gare a 9 anni, partendo dalla categoria G3». Una passione più forte dei problemi fisici. Dalla nascita soffri di una paresi ostetrica al braccio sinistro con lesione del plesso brachiale: cosa significa salire in sella con questo problema? «Se il buongiorno si vede dal mattino... per la nostra famiglia la mia nascita non è stata un buon inizio di giornata. Un parto problematico che ha rischiato di finire in tragedia. I miei genitori si sono subito rimboccati le maniche cercando di dare il massimo per me senza piangersi addosso. Detto questo io credo che per un bambino con delle problematiche fisiche non esistono barriere mentali, sono gli adulti che se ne fanno, a volte troppe. Lo sport è stato la mia salvezza in primis come metodo di riabilitazione – ho praticato ginnastica e nuoto subito dopo la nascita – e poi come valvola di sfogo e divertimento. Sulla bici mi sono sempre sentito libero e alla pari degli altri. Pur avendo difficoltà a scattare e a tenere il manubrio, ho vinto molte gare nelle categorie giovanili; ma quello che contava davvero era divertirsi e stare con gli altri senza pensieri». Salire in sella è già un traguardo importante, diventare un campione è cosa per pochi… Andrea Tarlao come ci è riuscito?

«Grazie alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto in tutte le mie scelte. Per affrontare i periodi di allenamento intenso e le lunghe trasferte fuori casa bisogna avere al proprio fianco le persone giuste». Fino al 2008 le gare tra i dilettanti, poi il passaggio tra i Paralimpici: come avvenne la scelta? «Nel 2008 alcuni problemi fisici mi impedirono di completare la mia preparazione invernale. Scelsi di fermarmi e di smettere con le gare. Poi nel 2010 decisi di tornare a correre a livello amatoriale e proprio in una di queste gare ho conosciuto il mondo Paralimpico. Ad agosto del 2010 fui selezionato dalla Nazionale italiana Paralimpica e partii per il Mondiale in Canada. Tornai a casa con un’inaspettata maglia di campione del mondo a cronometro». Da allora sei uno degli atleti di punta della Nazionale paralimpica di ciclismo: cosa significa per te correre con la maglia azzurra? «Ogni volta che indosso la maglia azzurra è come se fosse la prima volta. In particolare aver avuto la fortuna di rappresentare l’Italia ai giochi Paralimpici di Londra nel 2012 e di Rio nel 2016 non ha prezzo. Certe esperienze non si dimenticano e spero di poter trasmettere le miei emozioni anche ai ragazzi giovani che vorrebbero avvicinarsi al mondo Paralimpico». Finora in carriera hai conquistato otto titoli italiani, due titoli mondiali, numerose medaglie e un bronzo olimpico alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro. A quale trionfo sei più legato? |

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«Il mondiale 2011 in Danimarca. Non era semplice confermarsi campione del mondo per la seconda volta consecutiva. Il percorso era lungo e impegnativo, non è stato facile gestire una cronometro individuale di 34 km. Anche in questa occasione ho saputo mantenere la freddezza fino all’ultimo metro e grazie al tifo dei miei compagni di squadra ho indossato una maglia bellissima». Tra i tuoi record spicca anche quello dell’ora su pista, realizzato nel 2014 a Montichiari. Preferisci gareggiare su strada o su pista? «Sono nato come stradista, per caratteristiche fisiche mi ritengo un passista/scalatore. Mi trovo a mio agio nelle prove individuali contro il tempo su qualsiasi terreno: salita, pianura, pista. Il record dell’ora è stato un punto di partenza, una prova per vedere come si sarebbero mossi i miei avversari. Tutto sommato sono andato bene, ho percorso in un’ora 47.569 metri. Sto migliorando sia a livello fisico, sia a livello aerodinamico; presto ci riproverò». Andrea Tarlao quanto tempo dedica all’allenamento? «Il mio allenamento “viaggia parallelamente” alla mia carriera lavorativa, essendo impiegato presso una banca. Durante la settimana mi alleno 5/6 volte alternando esercizi anche in base alle mie sensazioni fisiche. L’inverno mi impegna in modo particolare, in

quanto sono costretto a eseguire sessioni di allenamento sui rulli in garage alternandole a sessioni su strada con la lucetta...» Tu hai corso in tutto il mondo: quando lo fai sulle strade del tuo Friuli cosa provi? «Correre in casa è sempre qualcosa di speciale, soprattutto per la presenza della mia famiglia, dei miei figli Manuel e Mattia che tifano per me. Ricordo particolarmente la Coppa del Mondo a Maniago di qualche anno fa con la vittoria assoluta davanti al mio pubblico». A proposito, che rapporto hai mantenuto con il territorio? «Il Friuli è la mia palestra naturale, ciò che mi ha permesso di essere quello che sono. Conosco bene le strade della mia zona, soprattutto le salite. Lo sport paralimpico è in piena ascesa, ciò che in regione mi manca è la visibilità, servirebbe qualche sponsor per migliorare soprattutto sotto l’aspetto tecnico e avere la certezza di essere competitivo sia su pista sia su strada alle prossime Paralimpiadi di Tokyo nel 2020. Spero che qualcuno sul territorio possa captare il mio messaggio». Doverosa parentesi riservata ai detrattori. A chi dice che per un ciclista quello al braccio è un handicap fisico meno grave rispetto ad altri, Andrea Tarlao cosa risponde? «Ogni atleta Paralimpico, indipendentemente dallo sport che pratica, viene sottoposto a visite mediche internazionali e classificato in base a dei punteggi assegnati a seconda del tipo di handicap e in funzione del gesto atletico. Questo fa sì che tutti possano competere allo stesso livello. Ad esempio nel ciclismo paralimpico esistono 5 categorie di ciclisti, 2 tricicli, 1 tandem e 5 handbike». Non solo bicicletta. Un handicap fisico talvolta rischia di essere anche un limite psicologico: nella tua Foto in alto, Andrea Tarlao alle Paralimpiadi di Rio nel 2016. Di fianco, Andrea assieme al nonno Aldo Tarlao, argento nel canotaggio “due con” alle olimpiadi di Londra 1948, con le rispettive medaglie olimpiche. In apertura, primo piano di Andrea Tarlao in Coppa Europa: sposato, è padre di due figli. Vive a Fiumicello.

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vita e nel rapporto con gli altri come ci hai convissuto da piccolo e come ci convivi ora? «Per chi come me ha avuto un problema alla nascita il discorso è diverso. Si cresce senza troppi pensieri: tutto è un gioco, non esiste la diversità tra bambini. La differenza la fa chi ti sta vicino, bisogna avere la forza di andare avanti a testa alta. Bisogna lavorare sui giovani nelle scuole per eliminare quelle vecchie dicerie sulla disabilità. Aiuta il tuo compagno disabile e non deriderlo». Tu sei un esempio concreto di come tenacia, volontà e determinazione possano consentire alle persone di superare i propri limiti. A chi soffre di problemi fisici ma vorrebbe ugualmente concretizzare le proprie passioni, non solo sportive, che consiglio ti sentiresti di dare?

Andrea Tarlao nasce a Gorizia l’8 gennaio del 1984. A causa di alcune complicazioni durante il parto, soffre di una paresi ostetrica al braccio sinistro. Complicazioni che, inoltre, gli comportano una lesione dei nervi della spalla, la rottura dell’omero e della spalla. Dopo tanta fisioterapia e riabilitazione, adesso Andrea riesce a fare solo alcuni movimenti ma non ha più sensibilità al braccio. Salire in bicicletta è stato naturale visto che sia papà Riccardo, con un brillante passato tra i dilettanti, e mamma Marina, ex commissario di gara della Federazione Ciclistica Italiana, gli hanno trasmesso la loro passione: Andrea inizia giovanissimo a pedalare con gli amici e a competere nelle prime gare. Ora è una pedina fondamentale per la Nazionale di Ciclismo Paralimpico guidata dal ct Mario Valentini, nella sua categoria, la C5. Il suo esor-

«Non esistono limiti all’immaginazione, ma questo vale per tutti. Il consiglio che darei è di venire a vedere le nostre gare, solo così si può capire l’emozione che si prova. La Paralimpiade di Londra ha cambiato tanto anche la mia vita. Ho potuto vivere un’esperienza indimenticabile fianco a fianco con campioni di vita provenienti da tutto il mondo». Un atleta è sempre a caccia di nuove sfide: quali sono le prossime per Andrea Tarlao? «Migliorare su pista nell’inseguimento e puntare a una medaglia ai mondiali su pista di marzo 2019 in Olanda. Mentirei se dicessi che non penso a Tokyo 2020, ma la strada è lunga: meglio restare con i piedi per terra e fare un passo alla volta». Claudio Pizzin dio in Nazionale risale al 2010, quando partecipa ai Mondiali di Baie Comeau, in Canada, e conquista la sua prima medaglia, un oro, nella gara di cronometro. Risultato che replica anche l’anno dopo ai Mondiali di Roskilde 2011, in Danimarca (nella foto sul gradino più alto del podio), confermandosi per la seconda volta Campione del Mondo. Nel 2012 partecipa ai Mondiali di Los Angeles, in California e continua a collezionare medaglie: un argento nella gara su pista sullo scratch e una medaglia di bronzo nell’inseguimento. Arriva così anche la convocazione azzurra per le Paralimpiadi di Londra 2012, in Gran Bretagna: nella gara su strada si classifica 10° e nella gara a cronometro sfiora il podio di un soffio, fermandosi al 4° posto. L’anno successivo Tarlao partecipa alla seconda Tappa di Coppa del Mondo a Segovia, in Spagna, e conquista una medaglia d’argento nella gara a cronometro; medaglia che conferma anche qualche mese nella gara a cronometro ai Mondiali di Baie Comeau 2013, in Canada. Nel 2014 Tarlao gareggia ai Mondiali di Greenville 2014, nel North Carolina, e si aggiudica un bronzo su pista. A dicembre dello stesso anno arriva un altro grande traguardo per il pluricampione: sulla pista del Velodromo Fassa Bortolo di Montichiari, stabilisce il nuovo record mondiale dell’ora della sua categoria C5, percorrendo in 60 minuti 191 giri della pista con la distanza di 47.569 metri. L’anno dopo le soddisfazioni continuano: ai Mondiali di Nottwil 2015, in Svizzera, vince altre due medaglie di bronzo sia su strada che nella cronometro e strappa il biglietto per le Paralimpiadi di Rio 2016: un’occasione unica dove Andrea aggiunge alla propria carriera una medaglia di bronzo nella gara su strada C5. Contatti: andrea.tarlao84@gmail.com |

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ALLA SCOPERTA DI...

ISOLE SVALBARD Servizio e immagini di Michele Tomaselli

Nel gelo

della guerra fredda

Tra orsi polari e città fantasma, un viaggio ai confini del mondo, in luoghi che sia l’Unione Sovietica sia l’Occidente hanno tentato di sviluppare. Scordandosi che in queste terre “non si nasce e non si muore”.

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È il 1977 e Yuri sta rientrando a Pyramiden, nell’arcipelago delle Svalbard, dopo aver partecipato a Mosca al funerale del fratello. Considera questo avamposto russo, ai confini del mondo, una casa adottiva. È qui che ha trovato un lavoro come capo ingegnere della città mineraria e, nonostante i pregiudizi del suo assistente Semyon – “il lettone Weasel” che ambiva a prendere il suo posto –, vive con serenità e mai penserebbe che quella vita di abitudini e tran tran, a cui si è affezionato, possa stravolgersi. Così, per sopravvivere al clima artico del 79° parallelo e ai rigidi precetti del Soviet, Yuri adotta tre regole (qui considerate delle sacre scritture): mai fidarsi di nessuno, tenere la testa bassa e aiutare sempre il più forte. Un approccio di vita cinico, ma dettato dalla certezza che a tenere unita l’Unione Sovietica e il suo impero c’è solo e soltanto la corruzione. Quanto sia opportuno ricorrere a questi espedienti per garantirsi la sopravvivenza, Yuri lo di-

mostra quando viene rinvenuto il cadavere di Semyon, episodio che peraltro lo porta a essere sospettato dell’omicidio. Un’ipotesi di reato che gli viene mossa da un uomo spietato del KGB: Timur, un despota che oltretutto, nel corso delle indagini, lo ricatta col fine di strappargli informazioni su Catherine, una giovane ragazza inglese arrivata fin quassù per professare la fede comunista e aiutare la madre Russia. Una situazione paradossale e aggravata da un clima tetro, in quel periodo dell’anno dove l’oscurità si protrae tutto il giorno. La vita di Yuri si complica nuovamente a causa di un’altra donna, Anya: un’insegnante bella ed emotiva che Yuri non capirà mai. Tuttavia è solo il preambolo di una storia passionale che lo spinge a rompere con le tre regole e ad affrontare la vita con un altro spirito. Con i vari fili della trama che coinvolgono spie, disertori, informatori The Reluctant Contact è un thriller interessante in un’ambientazione insolita: Pyramiden. Oggi è rimasta una città fantasma. È stata abbandonata progressivamente a partire dal 1991, a causa del crollo del regime comunista e per la bassa domanda del minerale, anche se in verità i motivi furono altri e ci riportano al terribile incidente aereo del 1996 , quando un velivolo proveniente da Mosca con a bordo 130 minatori e i loro famigliari, destinati a raggiungere questo luogo a metà strada tra Murmansk, in RusIn questa pagina, due immagini di Ny Alesund e la Baia del Re.

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sia, e il Polo Nord, si schiantò nei pressi di Longyearbyen. La comunità fu messa in ginocchio e così, presa dalla paura, decise di evacuare molto velocemente, lasciando effetti personali e buona parte degli arredi; nell’auditorium è ancora possibile trovare un pianoforte perfettamente funzionante: un Ottobre Rosso (il più a nord del mondo), che pare essere stato abbandonato durante l’intermezzo di un concerto, mentre le cucine ancora in buono stato saporano di cibo. Così, dopo il 1998, gli abitanti, circa 1.000 persone, in gran parte ucraini, lasciarono definitivamente la città. Il Polar girl, la piccola nave mercantile, ci porta a fare un giro lungo il Billefjorden e ferma i motori vicino alla seraccata del Nordenskioldbreen, un incantevole ghiacciaio dell’Artico. È davvero imponente e striato di venature azzurre. All’improvviso su una scogliera cinerea ecco apparire il signore incontrastato di queste terre: un orso bianco femmina col suo cucciolo. Vedere questi splendidi animali in libertà è un’emozione impagabile, perché è raro incontrarli. Da qualche tempo, però, amano raggiungere la città, dove magari riescono a scovare del cibo senza fare una grossa fatica. Si tratta però di animali enormi e potenti; ogni incontro con loro può rivelarsi una trappola mortale. Alle Svalbard vivono circa 2.500 persone ma ci sono almeno 3.000 orsi polari! Un loro attacco recente è avvenuto vicino alla capitale Longyearbyen, il centro abitato più a nord del mondo, con duemila residenti. Per questo motivo nell’arcipelago è obbligatorio armarsi di fucile se si vuole uscire dalle zone sicure, oltre le cittadine di Longyearbyen e di Barentsburg. Quest’ultimo è un villaggio russo decadente, con meno di 500 abitanti, usato per l’estrazione del carbone. Per contrastare la minaccia degli orsi, le tradizioni impongono di non chiudere mai a chiave le porte di casa, una precauzione per garantire un rifugio sicuro a chiunque ne incontri uno per strada. Non mi sembra fuori luogo sentirmi dire che “se si vede un orso ed è ancora lontano, lasciate cadere un oggetto e sfruttate la sua curiosità, magari facendogli pensare che gli si offra

Orso polare nei pressi del ghiacciaio Nordenskioldbreen L’aereo Dornier per il trasbordo a Ny Alesund

L’imbarcazione Nanuq della spedizione Polarquest 2018

Suggestivo scorcio di Ny Alesund

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Di fianco, il museo polare di Stefano Poli (a sinistra); in basso, Michele Tomaselli (secondo da sinistra) assieme al gruppo di Polarquest a Ny Alesund, presso la Base Artica del Dirigibile Italia. Nel gruppo è presente anche Cristina Battaglia del CNR (seconda da destra). Pagina accanto, dall’alto, tre immagini di Pyramiden: - la piazza con la terra ricoperta d’erba, portata dall’Ucraina e sullo sfono il ghiacciaio Nordenskioldbreen; - il teatro; - il porto semidistrutto.

del cibo, nell’intento di guadagnare tempo e trovare un riparo”. Paese che vai, tradizione che trovi: il bello di viaggiare è anche questo. Non è strano nemmeno venire a sapere che in queste terre vige l’usanza “qui non si nasce e non si muore”. E la gente ama ripetermelo, visto che per partorire bisogna andare in Norvegia e per trovare sepoltura si deve raggiungere il continente, a causa della presenza del permafrost. Quel terreno ghiacciato, caratteristico delle aree artiche, il cui spessore è legato alle condizioni climatiche. Alle Svalbard infatti tutti gli edifici sono rialzati da terra, mediante l’uso di palafitte. Ripresa la navigazione, ai piedi di una montagna, ecco apparire Pyramiden. È una città che nemmeno la fantasia umana può immaginare, che deve il suo nome alla vetta che la sovrasta. Ha edifici imponenti, ampie piazze e viali, monumenti imperiosi, ed è raggiungibile solo con la nave. L’URSS di Stalin la costruì come avamposto dell’Unione Sovietica per lo sfruttamento delle sue risorse naturali, secondo il Trattato delle Svalbard, del 1920, un documento che estese alle 40 nazioni firmatarie, tra cui la Russia, il diritto di estrarre le risorse naturali. Così l’URSS (l’unico stato che applicò l’accordo) ci costruì palazzi di cinque o sei piani: edifici mai visti a quelle latitudini. Poi, in piena guerra fredda, Pyramiden diventò covo di spie e vi si trovava perfino un ufficio del Kgb. Le famiglie

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vivevano in caseggiati denominati The Crazy House, per via della presenza di bambini, mentre i single maschi alloggiavano al quartiere Londra; le donne celibi al rione Parigi. Pyramiden aveva tutto quello che serviva: un asilo, una scuola, un ospedale, un auditorium, un cinema, una biblioteca con 50.000 volumi, un campo da basket e da calcio, una piscina riscaldata, una grande mensa per i minatori. C’erano poi serre nelle quali si coltivavano frutta e verdura, delle stalle piene di maiali, polli e bestiame. Fu addirittura portata della terra fertile dall’Ucraina, per produrre dell’erba che ancora oggi spunta in gran quantità durante l’estate. Aggirarsi tra le sue costruzioni è un’esperienza a dir poco “spettrale” e si ha quasi l’impressione di essere sopravvissuti a una guerra nucleare. Il freddo estremo e le particolari condizioni ambientali favoriscono la conservazione dei suoi manufatti che probabilmente tra duecento anni saranno ancora lì, intatti. Di Pyramiden si è occupata una puntata del programma televisivo di History Channel, La Terra dopo l’uomo (Life after People). Inoltre di recente è stato aperto l’hotel Tulip con l’intento di rendere il luogo un’attrazione turistica. Ma la strada da percorrere è ancora molta, visto l’isolamento e la mancanza totale di copertura telefonica. Nella piazza principale, un busto di Lenin guarda ancora la città. Tutto è rimasto come era. Niente si muove nelle strade, dai camini non esce fumo e nessun rumore si sente tra le sue strutture di cemento armato. Continuiamo il nostro viaggio. Da Longyearbyen, con un aereo Dornier da 15 posti, voliamo verso Ny Alesund, alla Baia del Re, alle origini un piccolo villaggio minerario considerato l’ultimo avamposto umano prima dell’estremo. Oggi ci si trova un importantissimo insediamento per la ricerca scientifica polare internazionale e a cui hanno aderito 10 nazioni, tra cui l’Italia con la base artica “Dirigibile Italia” del Consiglio Nazionale di Ricerca italiano. Il tempo si preannuncia magnifico così il pi-


lota livella la rotta dell’aereo a soli 8.000 piedi, per farci godere al meglio le viste magnifiche sulla calotta glaciale. L’atterraggio è da mozzare il fiato, e avviene su una lingua di terra stretta e corta. D’inverno è tutta ricoperta di ghiaccio e neve battuta e in caso di brutto tempo non sono consentiti ammaraggi e decolli. È la stazione meteo più a nord della Terra. Si può arrivarci solo se invitati dagli Enti di ricerca della base, utilizzando un aereo o una nave. Da questo luogo partì nel 1926 la spedizione vittoriosa di Nobile e Amundsen del dirigibile Norge e nel 1928 quella catastrofica del dirigibile Italia di Nobile, per la conquista del Polo Nord. Luogo ricco di fascino e da dove s’incrociarono i diversi destini. Una traccia evidente delle imprese polari ancora presente è il famoso pilone (anche se a dir la verità oggi è un po’ arrugginito… ) a cui vennero ancorate le due aeronavi. Cesco Tomaselli finì qui entrambe le due esplorazioni. È grazie al CNR, alla spedizione scientifica Polarquest di Paola Catapano e a Pino Biagi (il nipote dell’omonimo marconista dell’Italia) se sono arrivato fin quassù. In occasione del novantesimo della traversata del dirigibile Italia e dell’arrivo dell’imbarcazione Nanuq del team “Polarquest2018”, che a breve inizierà la ricerca del relitto del dirigibile, sono riusciti a riunire alcuni eredi della tragica spedizione e a portarli fin al 79° parallelo. Hanno preso parte al viaggio, oltre a chi scrive e a Biagi: Filippo Belloni, Paola e Mattia de Grassi, Sergio Alessandrini, rispettivamente discendenti di Filippo Zappi, Alfredo Viglieri e Renato Alessandrini. Davanti al monumento delle otto croci innalzato a ricordo delle vittime, grazie a Tina Zuccoli e a Aldo Caratti, si è proceduto a commemorare degnamente quella tragedia, leggendo la preghiera degli esploratori dell’aeronave Italia e depositando una corona di rose rosse a fianco della targa lì affissa, con impressi i nomi dei deceduti che furono Renato Alessandrini, Ettore Arduino, Attilio Caratti, Callisto Ciocca, Ugo Lago, Finn Malmgreen, Vincenzo Pomella e Aldo Pontremoli. Sono le 5 di pomeriggio e il sole splende intensamente, si ricorda una delle più grandi esperienze esplorative della storia italiana, affiorano aneddoti e ipotesi sulla sciagura, ma si può certamente affermare che “se ci fosse stata una giornata come quella odierna, la tragedia dell’Italia, novant’anni fa, non sarebbe mai successa”. Il viaggio volge al termine, ma abbiamo ancora il tempo per visitare il North

Pole expedition museum di Longyearbyen: il museo delle spedizioni polari aperto dal milanese Stefano Poli, due piani di cimeli, di foto preziose, di libri, bauli, barche, vestiti lettere, modellini e testimonianze che raccontano le gloriose spedizioni dei dirigibili America, Norge e Italia. Ora il viaggio è davvero finito, ma l’esperienza significativa che ci ha regalato emozioni e nostalgie dal primo all’ultimo minuto rimarrà indelebile dentro ciascuno di noi.

Michele Tomaselli |

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PERSONAGGI

JOEY MARGARIT Intervista di Andrea Doncovio

Ritorno

tra i ghiacci

Un anno fa aveva partecipato alla mezza maratona di Tromso. Il prossimo 28 ottobre il runner cervignanese sarà protagonista in Groenlandia di una nuova sfida: la maratona del Circolo polare. Nel frattempo ha fondato un’associazione per promuovere nelle scuole i valori dello sport e la salvaguardia dell’ambiente.

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Joey Margarit alla Polar Circle Marathon: che effetto fa? «Un bell’effetto. Mi sento parte di quel freddo e di quel ghiaccio, è il mio habitat ideale. Non vedo l’ora di cominciare questa esperienza». Cosa significa per te partecipare a questa gara? «È un altro sogno che si realizza. Dopo l’anno scorso ho capito che lavorando sodo, alimentando quella piccola vena di follia condivisa con amici e collaboratori giusti, che credono in me, i sogni si possono realizzare». Com’è avvenuta la selezione? «In realtà niente di speciale: in fase di iscrizione bisogna indicare le gare a cui si è partecipato e i relativi tempi. Ovvio che la Polar Night Half Marathon corsa l’anno scorso a Tromso mi ha dato un bel vantaggio sotto quel punto di vista». Quali saranno le difficoltà principali di questa competizione? «Cercare di studiare abbigliamento e calzature adatte, per quanto possibile visto il contesto molto particolare, seguendo le indicazioni dell’organizzazione, anche se il clima in Groenlandia è imprevedibile. Una parte del percorso si svolge sulla calotta glaciale stessa, ma la parte principale del tracciato è percorsa sulla strada sterrata (spesso di neve ghiacciata) che collega la calotta glaciale con il piccolo comune di Kangerlussuaq, appena a nord del Circolo Polare. Mi troverò in un paesaggio artico e deserto, dove lo sforzo fisico e soprattutto quello mentale saranno molto intensi». 30

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Nel dettaglio come avverrà la spedizione? «Io dovrò essere a Copenaghen il 24 ottobre con tutti gli altri partecipanti; poi l’organizzazione ci porterà con un aereo ‘Antonov’ fino al piccolo paese di Kangerlussuaq, in Groenlandia. La maratona si correrà il 28 ottobre, salvo condizioni meteo avverse. Tutte le prenotazioni sono flessibili per ovviare a qualsiasi imprevisto». Come ti stai preparando per la gara? «La preparazione non si discosta molto da quella per una maratona normale. Quindi cerco di uscire almeno tre volte alla settimana, facendo allenamenti prefissati, di potenziamento, ripetute e anche uscite in mountain bike. Esco quasi sempre di notte per le temperature più accettabili e anche per il tempo. Ritagliare gli allenamenti avendo un lavoro pesante, che ti impegna tutto il giorno non è facile. Ma per passione si fa anche questo. Nel fi ne settimana cerco di andare a correre in montagna partecipando a trail nei nostri monti o solo per allenamento singolo». Quali sono i piazzamenti a cui ambisci? «I tempi di una maratona classica non sono paragonabili a questa gara. Quindi qualsiasi previsione possa fare non si avvicinerebbe alla realtà. Le condizioni climatiche e il contesto sono molto particolari, quindi cerco di rimanere concentrato e fare il meglio possibile riuscendo a tagliare il traguardo. Poi ogni gara ha la sua storia». In apertura, corridori durante la passata edizione della Polar Circle Marathon in Groenlandia.


Non solo fatica e allenamento: partecipare a un evento simile quali impegni logistici ed economici comporta? «Per quanto riguarda il viaggio quest’anno mi va di lusso: mi sposterò solo in aereo. L’iscrizione a questa gara è costosa in quanto la logistica e l’organizzazione dell’evento porta a far lievitare i costi. Sulla calotta polare e sul ghiaccio viene allestito il percorso di gara con punti di ristoro, soccorso e tutto il necessario a far correre gli atleti in sicurezza». Facciamo un passo indietro: quando è nata in te l’idea di partecipare alla Polar Circle Marathon? «Dopo aver partecipato alla gara di Tromso, cercavo alcune competizioni sempre a quelle latitudini e soprattutto al freddo. Questa, per particolarità del percorso e per come si svolge, mi ha incuriosito e ci siamo messi al lavoro. Dicono sia la più fredda maratona al mondo ma anche la più bella ». Rispetto alla Polar Night Half Marathon di Tromso questa gara in cosa si differenzia? «A Tromso si partiva da un centro cittadino, si arrivava fino su un fiordo a picco sul mare per tornare al punto di partenza. Il pubblico non mancava a darti un po’ di sostegno. In Groenlandia la gara si svolge in un deserto di ghiaccio dove devi contare solo su te stesso. Il piccolo paese da dove si parte ha pochissimi abitanti: non ci sono negozi o centri commerciali, solo runners, ghiaccio e passione per lo sport». A un anno e mezzo di distanza cosa è rimasto dentro di te dell’esperienza in Norvegia? «La cosa che mi ha colpito maggiormente è come la popolazione affronta la vita quotidiana tra ghiaccio, freddo, slitte, nelle difficoltà di spostamenti, scuola, lavoro. Essendo nati e cresciuti in quei luoghi per loro era normale amministrazione, ma da turista il paragone con il nostro Paese è stato inevitabile. L’assenza del sole è stata molto destabilizzante e soprattutto mille chilometri al giorno sulla “rossa” (la macchina con cui Margarit aveva compiuto l’intera spedizione, ndr) allenandomi comunque ogni sera per arrivare preparato alla gara sono stati un bel banco di prova. Il viaggio a Tromso mi è servito a migliorare il legame muscoli-cervello, cosa che per un runner è fondamentale in qualsiasi tipo di clima e su qualsiasi terreno». A Tromso tutti conoscevano la “macchina rossa” su cui hai viaggiato con il tuo staff. Chi verrà con te questa volta? «Questa volta partirò da solo. La mia squadra mi seguirà da casa, anche perché le condizioni non sono proprio ottimali. Forse ci sarà qualche amico che mi accompagnerà a Copenaghen per poi salutarmi al mio imbarco per Kangerlussuaq. Vi invito a seguire sui social gli aggiornamenti (pagina Fb e Instagram Cervignano Tromso – il viaggio)». La “Polar Night” sembrava un traguardo impossibile. Ora la Maratona del Circolo Polare: Joey Margarit ha già in serbo altre nuove sfide per il futuro?

Joey Margarit, 41 anni originario di Cervignano del Friuli, fotografato in Svezia durante il viaggio verso la città norvegese di Tromso dove il 6 gennaio 2017 ha partecipato alla mezza maratona del circolo polare, assieme a oltre 800 atleti provenienti da tutto il mondo, classificandosi tra i migliori italiani partecipanti (ph. Claudio Pizzin).

«Ho diversi obbiettivi in mente e sto valutando diverse gare. Un progetto mi sta molto a cuore: con la squadra di ‘Cervignano Tromso – il viaggio, abbiamo fondato l’Associazione ‘Blizzard run’: l’obiettivo è quello di collaborare con le scuole del territorio per raccontare la mia esperienza integrando lo sport al discorso climatico e ambientale; dobbiamo incentivare lo sport tra i giovani, fatto all’aria aperta, sensibilizzandoli a salvaguardare il nostro pianeta. E soprattutto devono cogliere il messaggio che se si lavora sodo i sogni possono avverarsi». Andrea Doncovio

La Polar Circle Marathon si correrá su un terreno irregolare sterrato e a tratti ghiacciato. Mentre correranno sulla calotta polare (circa 3 km), gli atleti dovranno prestare la massima attenzione: anche con una spessa coltre di neve questo tratto potrà essere molto scivoloso. A causa del pericolo di caduta nei crepacci, i corridori non dovranno mai abbandonare il tracciato. Sulla parte ghiacciata, il percorso compirà un anello prima di riportare i runners sulla stessa via del ritorno. Il terreno è principalmente collinare, mentre le salite più ripide sono rappresentate dall’ascesa alla calotta polare e dai 75 metri di dislivello a circa 5 km dall’arrivo. Alla gara parteciperanno 150 corridori da tutto il pianeta: 75 per la maratona e 75 per la mezza maratona. |

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DA GORIZIA A TRIESTE Servizio di Renato Duca e Renato Cosma Disegno di Alfio Scarpa

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Gli albori della linea marittima Il progetto ottocentesco per un servizio di trasporto su natante lungo l’Isonzo-Sdobba.

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A proposito di navigabilità dell’Isonzo-Sdobba a fini commerciali, nel luglio del 1803 venne presentato dal Presidente dell’I.R. Società Agraria di Gorizia conte Giovanni Battista Coronini Cronberg all’imperatore Francesco II un progetto per un servizio di trasporto misto da Gorizia a Trieste, per via fluviale e marittima. L’elaborato ne prevedeva l’attivazione tramite un’impresa di navigazione costituita ad hoc, utilizzando l’Isonzo, il ramo Sdobba dello stesso e il golfo triestino, con capolinea al ‘Passo della barca’ di Strazig (in alternativa, Podgora o Gradisca-Sagrado), toccando i vari passi di barca esistenti a valle del fiume (Mainizza, Sagrado, Fogliano, Cassegliano, Turriaco, Pieris), fino a quello terminale di Colussa-Isola Morosini. Estensore del progetto fu Giuseppe de Marinelli, ‘Ingegnere Provinciale’, successore nell’incarico dell’ingegnere e illustre cartografo Giannantonio Capellaris (1727-1807), su un’idea di padre Jeroslao Schmidt (professore di fisica idraulica e di idrostatica, Socio della Società Agraria). Era previsto l’impiego di un robusto natante a fondo piatto, costruito sul modello della cosiddetta peàta veneziana (chiamata anche piatta), in grado di portare un carico misto complessivo (20 persone, animali, merci...) fino a 300 centinaja o zentner, pari a circa 170 quintali (1z. = 0,56 q.li). Il trasporto fluviale-marittimo avrebbe consentito, rispetto alla via di terra, un risparmio di tempo di almeno 8 giornate di viaggio, per esempio, per consegnare a Trieste partite di ferro provenienti dalla Carinzia. Il rientro del natante a Sagrado-Gradisca o a Gorizia, risalendo il fiume – quindi contro corrente – poteva essere assicurato da traino di cavalli e spinta con pertiche e remi da parte di un congruo numero di barcaioli. L’onere per l’avviamento dell’intrapresa e per la gestione annuale dell’attività, con ingaggio di 15 marinai e utilizzo di 5 barche, fu stimato in 233.000 fiorini. Per rendere redditizia tale attività, ogni barca avrebbe dovuto fare almeno 72 viaggi all’anno (tra andata e ritorno), a fronte di una tariffa di 17 fiorini per ogni centinajo di merce trasportata da Gorizia a Sdobba o viceversa. 34

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La prova ufficiale di navigazione si tenne nell’estate del 1804, previa autorizzazione delle autorità su specifico protocollo operativo e con il supporto di un adeguato finanziamento cui concorsero diversi membri della citata I.R. Società Agraria. Venne impiegato un prototipo speditivo di barcone, costruito in loco e benedetto dal parroco di Gradisca, bar. Sigefrido Baselli; padrini dell’imbarcazione, denominata Immacolata Concezione, furono la contessa Teresa Pace di Abensberg Traun e il conte Antonio Cassis Faraone, in rappresentanza del conte Francesco della Torre Tasso. La partenza del natante avvenne alle 8 del mattino del 3 luglio 1804, staccando dalla sponda destra del fiume sotto la fortezza gradiscana e giungendo al Passo di barca della Colussa sullo Sdobba alle 14.30 dello stesso giorno. Il rientro alla base ebbe inizio qualche ora dopo, alle 19, con pernottamento alle 21 a Turriaco e conclusione alle 18 del 6 luglio, superando numerose difficoltà, tra cui qualche insabbiamento e una forte morbida isontina che impose il fermo dell’imbarcazione a riva il 4 e il 5 luglio. L’operazione dimostrò che la proposta era praticabile, previa esecuzione in taluni tratti d’alveo di lavori funzionali alla navigabilità e con esclusione di certi inconvenienti verificatisi durante la navigazione di prova: quindi, poteva dirsi ampiamente superata la “… quistione se il nostro fiume Isonzo sia realmente navigabile da Gorizia a Trieste ed in conseguenza per Venezia e tutto il litorale Austriaco …” (Archivio Stato Trieste - I.R. Governo del Litorale, Atti amministrativi, Gorizia 1803-1809). Alla partenza da Gradisca per il viaggio di verifica salirono sul barcone 20 persone: Nicolò de Villari, Commissario Deputato delli incliti Stati di Gorizia e Gradisca, cui spettò alla fine di redigere la relazione di collaudo da trasmettere alla Deputazione provinciale; Giuseppe de Salamanca, attuario; Antonio Collerig, fante; 6 barcaruoli e 7 facchini; 3 spettatori, tra cui il bar. Francesco Antonio Codelli di Fahnenfeld e Sterngreif, Capitano Circolare, e il progettista Giuseppe de Marinelli, Ingegnere provinciale e direttore della nuova intrapresa navigazione. In apertura: la versione “goriziana” di peàta.


Purtroppo, il 13 gennaio 1806 il natante, mentre era ancorato a Sagrado per talune operazioni di messa a punto, venne incendiato e distrutto dalle truppe napoleoniche. Il progetto di Giuseppe de Marinelli ottenne l’apprezzamento e il viatico dell’ing. Carl Friedrich von Wiebeking (1762-1842), uno dei massimi esperti di idraulica del tempo, consigliere aulico presso la corte di Vienna e progettista, tra l’altro, dell’ampliamento dei porti di Trieste, Venezia e Fiume. Per contro, si procurò la dura opposizione dell’autorevole ing. Giannantonio Capellaris, citato all’inizio. Va anche ricordato che de Marinelli, in una relazione del 15 agosto 1803, trasmessa al Consiglio Capitaniale di Gorizia per ribadire i vantaggi del suo elaborato, segnalò l’utilità della navigazione fluviale anche verso Lubiana lungo l’Idria e la Lubianza (Ljubljanica), quindi la Sava per poi sfociare nel Danubio: “… grande certamente sarebbe l’utile che il commercio di Trieste ritrarre potrebbe da questa navigazione dal Porto Sdobba sino a Gorizia, ma un vantaggio senza confronto maggiore risulterebbe se questa navigazione si protraesse sino al ponte di Santa Lucia, ove viene a sboccare il fiume Idria, e questo pure si rendesse navigabile sino alla città montagnistica dello stesso nome. La città montagnistica di Idria non è distante da dove in non molta distanza scaturisce il fiume Lubianza e si presenta subito navigabile sino alla città di Lubiana, che di sole leghe quattro in circa. Questo fiume si getta due ore sotto la suddetta città nel fiume Sava già navigabile fino al Danubio […] Certo è che l’introdurre una sì estesa navigazione sul fiume Isonzo, Idria e Lubianza, sarebbe un’impresa sommamente ardua; ma i sommi, ed incalcolabili vantaggi, che da questo sperar si potrebbe, col congiunger due mari di enorme distanza fra di loro, cioè Adriatico e mar Nero ad eccetto di sole quattro leghe di tragitto per terra, che farsi dovrebbe da Idria a Seschnico, meriterebbero certamente che si pen-

sasse di fare ogni tentativo per superare i ostacoli che vi si frappongono…” (Archivio Stato Trieste, I.R. Governo del Litorale, Atti amministrativi, Gorizia 1803-1809). Alla suddetta prospettiva di navigazione attraverso l’Isonzo vanno accomunate almeno due ipotesi di apertura di canali navigabili di ‘montagna’, verso nord e verso est, nell’ambito della Contea di Gorizia e Gradisca. La prima, a cura dell’ingegnere camerale Josef Maria Schemerl von Leytenbach (1754-1844), che tra il 1799 e il 1803 progettò due importanti canali navigabili, il Vienna–Leita e il Vienna-Schottwein. Nel 1795, nel quadro di un programma di apertura nel territorio dell’Impero di quattro grandi vie d’acqua confluenti nel Danubio, gli venne conferito l’incarico di studiare la costruzione di un canale navigabile tra Vienna e Trieste, denominato Canale Adriatico-Vienna, che però rimase sulla carta. La seconda fu di Max Fabiani (1865-1962), architetto e urbanista nato a San Daniele del Carso, noto come architetto del Carso, consigliere del principe ereditario Francesco Ferdinando. Negli anni tra le due guerre mondiali, in concomitanza con l’elaborazione di piani regolatori di diversi paesi della Valle del Vipacco, Fabiani prospettò la fattibilità di un canale navigabile Trieste-Europa centrale con sbocco nel Danubio, attraverso l’Isonzo e la stessa Valle del Vipacco, ma indipendente dal corso d’acqua. Anche quella ipotesi rimase allo stato di proposta, come peraltro i tanti discorsi di quest’ultimo trentennio sull’apertura di un’idrovia Isonzo-SavaDanubio, con capolinea Monfalcone.

Renato Duca e Renato Cosma

Renato Duca è stato direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana; Renato Cosma è stato condirettore del Consorzio di bonifica Pianura Isontina


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ALLA SCOPERTA DI...

GRAFFITI DALLA GRANDE GUERRA Servizio di Alberto V. Spanghero

L’ultimo segno prima della morte In battaglia ogni fante relegato nel proprio buco in trincea prima del balzo finale cercava di lasciare un segno del suo passaggio ai posteri. A Turriaco, invece, brani di storia lasciati negli armadi di una sagrestia sono stati scoperti un secolo dopo.

I prodromi dell’antefatto

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Era stato detto loro che la guerra sarebbe stata una questione di pura formalità e che sarebbe durata al massimo tre mesi. Già ai primi di maggio del 1915 le piazze si erano riempite di giovani studenti che inneggiavano all’entrata dell’Italia in guerra. Ignari che da lì a poco sarebbero finiti a penzoloni sui reticolati del Carso. Operai, contadini, pastori e artigiani erano stati arruolati con la promessa, viste le forze in campo, che la guerra sarebbe stata breve, eroica e gloriosa. Un’intera generazione di giovani lasciava il lavoro dei campi con il saluto: “Ci rivedremo per le vendemmie”. Ma così non fu. Sulle prime tutto sembrò come fosse andare a una gita fuori porta con salami, pane fresco e fiaschi di vino che brillavano al sole. Le famose tradotte, lunghissimi convogli ferroviari tra fiori, baci e canti partivano dal Sud dell’Italia carichi di giovani imberbi diretti verso un confine di cui non avevano mai sentito parlare.

Il 24 maggio, data storica, arrivò come un lampo a ciel sereno. Il confine con l’Austria fu divelto tra risa e sberleffi dai soldati italiani. Di quelli austriaci nemmeno l’ombra: si erano tutti ritirati sulle alture carsiche. Per coprire quei pochi chilometri che li separava dal fiume Isonzo, interi reggimenti italiani, in ordine sparso e senza incontrare una pur minima resistenza, impiegarono due giorni per arrivare sulla sponda destra all’Isonzo. E lì si arenarono. Fu un errore fatale. Il 5 giugno, quindi dieci giorni dopo, l’Isonzo fu forzato in località Colussa. Per coprire i 4 chilometri che li separavano da Monfalcone alle migliaia di Granatieri e Bersaglieri ci vollero altri cinque giorni e, senza sparare un solo colpo, finalmente il 9 giugno entrarono in una Monfalcone quasi deserta. Quindici giorni preziosissimi regalati dal titubante esercito italiano a quello austriaco che li usò per rinforzare le difese sul Carso in attesa dell’ormai inevitabile scontro. La gravità macroscopica di questo inopinato ritardo si sarebbe palesata in tutta la sua vastità quando iniziarono le prime delle Dodici battaglie dell’Isonzo.

In apertura, alture di Monfalcone. Quota 59, Gradiscata. Graffito su pietra carsica interno trincea. Di fianco, alture di Monfalcone. Quota 98. Graffito su cemento sopra cavernetta in trincea.

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Turriaco, 17 maggio 2018: il giornalista Maurizio Mervar di RAI 3 mentre intervista Alberto Vittorio Spanghero per la trasmissione Buongiorno Regione, dedicata ai graffiti ritrovati nella sagrestia.

Gli approcci dei soldati italiani con le popolazioni bisiache all’inizio erano molto pretenziosi e arroganti: cacciavano dalle abitazioni la gente, costringendola a dormire all’aperto, mentre loro si acquartieravano nelle stanze. Le case trovate vuote venivano messe a soqquadro e si distruggeva barbaramente tutto. Gli assenti venivano trattati da nemici dichiarati. A Turriaco la cura delle anime veniva affidata a un sacerdote di Udine che in chiesa pregava per il Re, mentre il popolo pregava per l’Imperatore e i soldati austro-ungarici in guerra. I ragazzi lo confessavano pubblicamente in faccia ai carabinieri. Con il passare dei mesi il comportamento dei soldati italiani assunse contorni sempre più riservati con la popolazione bisiaca e, in linea morale, si può dire corretti. A ciò avevano contribuito le tremende disfatte sui vicini colli di Sagrado e Vermegliano che fiaccarono la loro baldanza, tramutandola addirittura in costernazione. Il numero dei caduti in breve tempo assunse proporzioni esorbitanti e inimmaginabili fino a qualche mese prima. Con il perdurare del conflitto oltre ai tempi loro promessi, tra i soldati iniziarono a serpeggiare i primi mugugni e le maledizioni contro la guerra, contro i generali, il Governo e tutti quelli che l’avevano voluta e che li avevano mandati a morire sulle pietraie del Carso. A partire dalle Officine Adria e proseguendo lungo la linea ferroviaria con le stazioni di Monfalcone, Ronchi Nord, l’abitato di Selz, Fogliano e Sagrado si snodava la complessa linea difensiva della Terza Armata composta da camminamenti collegati tra di loro che coprivano tutte le alture di Monfalcone. Furono costruiti dei capisaldi per le future conquiste. Per ricordare i più famosi in ambito storico citeremo Quota 38 dello Zochèt o del suo Castelliere, Quota 60 - Gradiscata o Castelliere di San Polo, Quota 61 - Castelliere delle Forcate, Quota 85 - Rocca, Quota 120 - Cima di Pietrarossa, Quota 85 - Quota Toti - Trincea Adamo, Quota 76 o Stablici, Quota 58 o Moschenizza e Quota 112 o Monte Cosich. Le alture di Monfalcone sono attraversate da diversi sentieri accuditi dal CAI cittadino. Questi luoghi, ormai sommersi dall’avanzare della boscaglia, riescono ancora a ricordare quella immane tragedia, intrisa di sangue e di morte, che è stata la Grande Guerra. Sono pagine di un libro a cielo aperto, che raccontano di eventi disseminati ovunque, dove si parla di contadini, operai e artigiani contro altri contadini, operai e artigiani. Ogni fante relegato nel proprio buco in trincea prima del balzo finale contro la morte cercava di lasciare un segno del suo passaggio ai posteri, alla famiglia, graffiando con un pezzo di carbone, di gesso, una matita, o con la punta della baionetta, il proprio nome o un pensiero contro la guerra, male-

Turriaco, 1916: la piazza vista dal palazzo Priuli Turriaco, maggio 2018: la chiesa di San Rocco

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Turriaco, interno della chiesa dopo il restauro del 1922. Turriaco, sagrestia della chiesa, disegno a matita su uno degli armadi.

Turriaco, sgrestia della chiesa: scritta a matita su uno degli armadi.

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dicendo chi li aveva mandati a morire. Sono testimonianze che si aprono alla storia. Tutte le targhe di postazioni, di fregi di reparti e di reggimenti di appartenenza, di nomi sparsi e di graffiti, fino ad ora rinvenuti, sono stati suddivisi in aree, catalogati e inseriti nel Censimento delle iscrizioni della Grande Guerra, gestito da diverse associazioni, come la Società Alpina delle Giulie e la Sezione di Trieste del CAI. Sicuramente sono state migliaia le testimonianze e i segni andati perduti, centinaia quelli rimasti. Per questioni di spazio ricorderemo solo alcuni relativi all’area delle Alture di Monfalcone, tratti dall’ottima pubblicazione I graffiti della Grande Guerra sulle alture di Monfalcone di Gea Polli e Nino Cortese, Paolo Gaspari editore - 2007. Sopra la linea ferroviaria, poco prima della stazione di Monfalcone a quota 59, detta della Gradiscata, all’interno di una trincea si trova incisa su pietra carsica una specie di carta d’identità del soldato allora diciannovenne Bortolotti Angelo, classe 1898, proveniente da Massalombarda, Prov. di Ravenna. Data agosto 1917. Sotto la frase “Addio casa mia”, che suscita ancora oggi un sentimento di profonda commozione. In una trincea di seconda linea, a quota 104 in località Tamburo, la scritta “Viva la Pace” 2 rep. zappatori MCMXVII. Nella trincea della Ridotta, troviamo a Quota 85 la scritta 1917, il disegno di una stella, poi 1897 e infine “abasso la guerra”. Arrivati al fronte, i soldati italiani fin da subito si erano accorti di essere finiti in un ingranaggio perverso e mostruoso, una specie di tritacarne senza vie d’uscita. E così quando il senso innato della sopravvivenza aveva la meglio sugli orrori della battaglia e sulla paura della morte e i soldati rinnegavano i valori militari e lo spirito di obbedienza, entravano in funzione i sistemi repressivi del sistema militare: arresti, processi e pene. I reati più comuni erano la diserzione, la ribellione, l’indisciplina, l’abbandono del posto di combattimento e l’ammutinamento. Poi venivano i reati per i quali era prevista la pena di morte, come la diserzione in presenza del nemico e la diserzione con il passaggio al nemico. Per i reati minori la pena era quella di essere mandati in prima linea, dove si moriva davvero sotto il fuoco risolutore delle mitragliatrici austriache. Per mantenere l’ordine, migliaia di regi carabinieri perlustravano, giorno e notte, strade, paesi e campi in cerca di sbandati fuori presidio. Questi malcapitati, sulle prime, venivano rinchiusi in prigioni occasionali come stalle, granai ed edifici abbandonati. In seguito, dopo alcuni giorni di detenzione per varie cause, venivano trasferiti in carceri più sicure in attesa di essere processati dai Tribunali Militari con le conseguenze che possiamo solamente immaginare. Tristemente famoso era il tribunale militare di Saciletto, frazione del Comune di Ruda, soprannominato non a caso “Fuciletto”, dove le pene di morte per fucilazione venivano eseguite sul posto. Una prigione per soldati italiani fu scoperta a Turriaco cento anni dopo. Per anni, negli antichi e monumentali armadi della sacrestia della chiesa di Turriaco, dietro ai paramenti, stole, cotte, oggetti sacri e vecchi candelabri, rimasero nascoste delle frasi scritte a matita a cui nessuno ci aveva fatto mai caso. Poco leggibili, alcune delle quali sbiadite dal tempo, le scritte, ignorate dai sacerdoti e dai sagrestani che si erano succeduti nel tempo, erano là in attesa che qualcuno le decifrasse e ne rivelasse il senso e la storia.


Prima della Pasqua del 1992 gli armadi furono svuotati per procedere alla loro pulizia. E così si poté osservare con tranquillità l’interno, dove apparvero sul fondo, e soprattutto sui lati della parte interna, numerose scritte. Fu subito chiaro, al sottoscritto, che le iscrizioni non erano recenti. Il contenuto di questi brevi sintagmi era molto semplice e facilmente databile e per maggior sicurezza fu chiesto il parere ad alcuni studiosi, che da anni spendevano il loro tempo per la ricerca e la traduzione di graffiti tramandati dalla Grande Guerra. Gli scritti erano in tutto ventidue, più alcuni disegni di figure e fiori. Tutti decifrati e fotografati, i graffiti, nati come pagine di un libro, ci permettono oggi a cent’anni di distanza di capire come la sagrestia della chiesa di Turriaco, l’unica rimasta indenne di tutto il territorio di Monfalcone, fosse stata usata come prigione da soldati in attesa di giudizio, durante la Prima guerra mondiale. Aggiungiamo che la chiesa di San Rocco, fin dalla prima offensiva, fu trasformata in ospedale. La navata centrale infatti, sgomberata dai banchi, fu occupata da letti e portantine. Il viavai di medici, infermieri e crocerossine, nonché di morti, fu per due anni e mezzo lo scenario a cui i turriachesi dovettero assistere. Non più luogo di silenzio e preghiera quindi, ma luogo di sofferenza, grida di dolore e morte. Ogni militare capace di scrivere portava con sé una matita di grafite o di anilina, come corredo per comunicare via lettera con i propri familiari. La chiesa di San Rocco fu “affrescata” fino ad altezza d’uomo da innumerevoli messaggi con nomi e date realizzate da soldati italiani a testimonianza del loro passaggio. Tutte queste scritte furono coperte da uno strato di pittura durante i lavori di restauro del 1922, fatti per riparare i danni di guerra. In quell’occasione la chiesa fu pure riconsacrata ad cautelam, perché fu luogo non di preghiera ma di sofferenza e sangue. Durante i lavori di ristrutturazione della chiesa, eseguiti nel 1992, le ultime scritte murali rimaste, che si trovavano dietro l’altare maggiore, sono state coperte, da improvvida mano, con un buono strato di pittura bianca. Non tutte le scritte però: quelle degli armadi della sagrestia di Turriaco si sono salvate e sono giunte sino a noi come un diario di guerra, in cui si riflettono le esigenze dei soldati di segnare sulla carta, sui muri o su qualsiasi superficie le loro testimonianze e le loro paure. Ecco la trascrizione di alcuni dei ventidue graffiti, tra scritte e disegni, compilata da un preciso ricercatore storico, Ennio Dimitri, cardiologo presso l’Ospedale Civile di Monfalcone, una decina di anni fa.

Anta destra dell’armadio

Turriaco, sgrestia della chiesa: alcuni scritti a matita su uno degli armadi.

Ripostiglio sinistro

Il soldato Milano Domenico per la prima volta si trova in prigione per essersi recato con due suoi compagni a fare un chiavata qui nel bel paese di Turriaco. / Massalafra Giuseppe viene in questa preggione che siamo stati tutti disertori continuino mesi di vita borghese. Disertore Disertore S.Elene Sannita Campobasso Italia 8.9.1917 / W la pace a basso la guerra / W la pace a basso la guerra / Il cap. magg. Sarno Guido 6° artiglieria da fortezza compagnia Soldati frateli pensate che la guerra è troppo malipensati che deritati tutti un deserto che così la guerra deve fenire presto.

Gambarini Innocente. Soldato del 251 fanteria 2° sezione bettica / Già tre volte disertore condannato ha 10 Accanto a queste scritte, in ordine sparso, si possoanni di pena / condizionale ora sotto per altra volta diser- no vedere disegni di fiori, raffigurazioni di soldati, catore / detto tepa di porta Venezia. rabinieri, altri segni e iscrizioni che rappresentano sia il desiderio di speranza sia motti d’orgoglio, oltre che Parete destra semplici testimonianze, dell’esigenza umana di eviabasso la guerra... / gli opressor... / Ruggeri Giovanni denziare la propria presenza, di marcare il territorio e di Novara / disertore 42 giorni / 14.7.1917 di trasmettere ai posteri la traccia di un passaggio, di un sacrificio o di una vittoria. In ogni caso tali scritte metFondo dell’armadio tono in evidenza l’avversione e l’odio degli autori verquesto ragazi classe 1895 / cap.(orale) Emilio Puglie- so la guerra. rini condanato / a 7 anni alla fucilazione del piede sinistro Alberto Vittorio Spanghero / 9 luglio 1917 / Abasso la maledetta guerra. / Giuseppe di Ricercatore e storico di Turriaco S. Elena Sannita. Campobasso |

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CECILIA SEGHIZZI CAMPOLIETI Servizio di Vanni Feresin. Immagini di Collezione Renzo Crobe

ALLA SCOPERTA DI...

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Auguri,

professoressa

La musicista e pittrice goriziana taglia il traguardo dei 110 anni. Figlia del compositore Augusto Cesare Seghizzi, è l’ultima profuga vivente del campo di Wagna.

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Sono passati 10 anni da quando Cecilia Seghizzi ha compiuto i suoi primi 100 anni. Il 5 settembre 2018 segna infatti il traguardo dei 110 anni. Possiamo affermare che la professoressa non ci lascia mai indifferenti. La sua indole curiosa e serena l’ha accompagnata durante tutta la sua straordinaria esistenza e ciò si riflette negli spartiti e sulle tele: con tratto nitido e leggero si è dedicata all’acquerello (oggi anche all’olio) e sia nella musica che nella pittura vengono alla luce la sua voglia di esprimersi e di improvvisare, la ricerca di effetti luministici e l’agilità del tratto. Musica e pittura, scrive Alessandro Arbo, in Musicisti di frontiera, “sembrano convergere in un fuoco virtuale, dove si compone l’immagine di una realtà dalle tinte trasparenti e leggere: un’opera che conserva nella destrezza del tratto il senso di un’unica improvvisazione, che nella sua estemporaneità si fa specchio di un’esuberanza, della capacità di conservare intatti lo stupore e l’entusiasmo. Questo specchio non si limita a restituire l’immagine: è una scommessa che cambia il nostro modo di vedere le cose, ridisegnando i contorni della realtà. Le composi40

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zioni di Cecilia Seghizzi, come i suoi acquerelli, sono una lente limpida: promettono un mondo migliore, più ricco di colore, di leggerezza, di fantasia. E restano così nella memoria”. Cecilia Seghizzi è figlia del grande e mai dimenticato organista, compositore e direttore di coro e d’orchestra Augusto Cesare Seghizzi (1873-1933). Al rientro da Wagna di Leibnitz, Augusto Cesare iscrisse la figlia alla scuola di musica nella classe di violino del prof. Lucarini, una decina di anni dopo si sarebbe brillantemente diplomata al Conservatorio “G. Verdi” di Milano; ormai è rimasta l’ultima profuga vivente del campo di Wagna. Si è dedicata fi n da subito all’insegnamento, prima alla scuola di musica, poi all’Istituto magistrale e infi ne alla scuola media. Nella sua continua ricerca e crescita culturale decise di continuare gli studi e si diplomò anche in composizione al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste sotto la guida del prof. Vito Levi. A lei si deve la fondazione del Complesso Polifonico Goriziano, In apertura, Cecilia Seghizzi mentre suona il violino. Pagina accanto, mentre dipinge una sua opera.


che oggi porta il suo nome, e con il quale vinse già nel 1953 il primo premio al Concorso Polifonico Nazionale di Brescia e negli anni successivi tenne prestigiosi concerti e registrazioni a Milano, Venezia, Trieste e Udine. Nel campo della composizione lo stile ineguagliabile di Cecilia Seghizzi è già ben presente in Luna del 1948; l’indole curiosa, a tratti bizzarra e stravagante, ma sempre poetica, domina infatti la struttura; come nella tecnica pittorica dell’acquerello così nella musica lei abbozza con rapidità sul pentagramma l’idea che le è apparsa per la prima volta e successivamente vi adatta le forme e i colori. Le sue composizioni sono destinate sia alla musica strumentale, di ascolto complesso, Quartetto del 1961, Divertimento per violino e pianoforte del 1982, Concertino per archi, flauto e clarinetto del 1981 e Valzer per violino o flauto e pianoforte del 1984, sia alla musica vocale nella quale prevale la scelta di testi di autori gradesi, friulani e triestini, ma senza mai legare lo stile musicale a particolari cadenze popolari. Un sodalizio che durerà per oltre cinquant’anni è quello con il poeta Biagio Marin; da ricordare: Due barcarole del 1952, El gno canto del 1955, Te vogio ben del 1955, I to basi del 1956, Novembre del 1957, Solo le stele intorno del 1990 e Mar fermo del 1991. Per la poesia friulana è certamente da richiamare alla memoria Lejenda del 1996, scritto per il centenario della Cassa Rurale di Capriva, nel quale interpreta con assoluta sensibilità l’intensa espressione dei versi di Celso Macor. Si dedicherà anche alla musica sacra ma in modo assai circoscritto: la Messe cul popul del 1988, il Pari Nestri del 1989, l’Ave Maria e la Messa breve del 1990. In ogni caso si tratta di composizioni adatte per usi parrocchiali, confacenti al raccoglimento spirituale delle piccole cappelle di campagna piuttosto che alle grandi cattedrali. Per quanto concerne il suo dipingere, Cecilia Seghizzi compare sulla scena goriziana già nel 1975, con alcune mostre personali che si susseguono con regolarità nei decenni successivi anche a Venezia, Klagenfurt e Padova. Allieva, tra il 1965 e il 1977, del maestro pittore Tonci Fantoni (1898-1983) ha saputo sviluppare un proprio carattere e una maturazione compiuta e libera; gli insegnamenti di Fantoni trovano infatti ideale prosecuzione proprio nella Seghizzi che sviluppa però ulteriormente le proprie riflessioni, sfiorando l’informale ma con il tratto totalmente autonomo e inconfondibilmente etereo.

Scrive Sergio Tavano, in Pittrici a Gorizia e nella Regione: “Le visioni di Cecilia Seghizzi sono familiari in molte case goriziane e sorridono sulle copertine delle sue edizioni musicali: fanno ormai parte di quella che si dice immagine quotidiana o sono rifl esso e introduzione d’un modo d’essere, anzitutto goriziano, fatto di eleganza riservata ma sapiente, di festevolezza aperta e comunicativa”. Il tratto leggero, la volontà di esprimersi, la continua ricerca volta all’allargamento dell’orizzonte, la voglia di differenziare, di conoscere e approfondire, sono caratteristiche presenti nell’opus di Cecilia Seghizzi. Per sua stessa asserzione Cecilia quando dipinge “pensa in musica” in quanto è certa che “la musica nasconda in sé un atto creativo più grande e sempre diverso che si rinnova a ogni esecuzione: un brano musicale è sempre nuovo a ogni interpretazione, mentre la pittura giunge a defi nizione e tale rimane”. Il frutto del suo continuo, costante e attento impegno è un’armonia che unisce all’incanto per la bellezza del mondo e della vita una visione soggettiva, impulsiva e vivace, ma sempre serena e garbata. Ancora auguri professoressa! Vanni Feresin |

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PERSONAGGI GIOVANNI TORTELLI Servizio di Margherita Reguitti

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L’architetto

dell’archeologia

Il suo studio ha curato il nuovo progetto museologico del MAN di Aquileia, dopo essere intervenuto anche sul Museo della Custodia di Gerusalemme. «Oggi sono cambiati i canoni di comunicazione e di racconto dei musei». In esclusiva per iMagazine, ci spiega come.

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Aquileia romana – patrimonio di storia, architettura, cultura, potenza economica, cosmopolitismo, spiritualità e bellezza – entra nel futuro con la forza rivoluzionaria di un nuovo linguaggio contemporaneo che sappia parlare al mondo. A 136 anni dall’inaugurazione dell’Imperial Regio Museo dello Stato austroungarico, avvenuta il 3 agosto del 1882 nella villa neoclassica dei conti Cassis Faraone di Aquileia, è stato aperto il nuovo MAN – Museo Archeologico Nazionale. Un intervento voluto e sostenuto dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali nella città riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Un intervento articolato in diversi lotti, realizzato con il contributo anche di privati attraverso lo strumento dell’art bonus, per un investimento complessivo di 4 milioni e 500 mila euro. Il nuovo progetto museologico, inaugurato alla presenza del ministro Alberto Bonisoli, è stato curato dall’architetto Giovanni Tortelli dello studio Tortelli Frassoni Architetti Associati GTRF di Brescia, realtà

d’eccellenza internazionale nel settore. Un lavoro di squadra realizzato con il contributo di professionalità interne al MiBAC, fra le quali Luca Caburlotto, direttore del Polo museale del Friuli Venezia Giulia, e Marta Novello, direttrice del MAN. Non è la prima volta che lo studio Tortelli Frassoni firma un intervento ad Aquileia. Lo scorso anno aveva portato a termine il restauro dell’edificio dell’ex stalla Violin e in precedenza la realizzazione della struttura architettonica e l’allestimento dei mosaici dell’Aula Sud del Battistero antistante la Basilica, come ci conferma l’architetto Giovanni Tortelli in questa intervista. Architetto Tortelli, perché questo nuovo allestimento del patrimonio archeologico, di reperti, mosaici, epigrafi e manufatti può essere definito rivoluzionario? «La forza della narrazione e la contemporaneità lessicale del percorso proposto al visitatore attraverso la scelta dei reperti esposti è il vero elemento che connota la differenza con la precedente impostazione museale del MAN, che presentava tratti vicini a un modello Ottocentesco. Oggi sono cambiati i canoni di comunicazione e di racconto del museo, soprattutto archeologico, che non si rivolge più solo a esperti o appassionati ma al mondo, dunque anche a un pubblico privo di preparazione. Questo non significa abbassare il livello scientifico della proposta, ma rendere la storia della città e dei suoi abitanti, della sua potenza e cultura più comprensibile. Non viene abbandonato il rigore scientifico, ma lo si propone da un’angolazione diversa, più In apertura, Giovanni Tortelli. Di fianco, l’interno del Museo della Custodia francescana in Terra Santa a Gerusalemme.

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Qui sopra, l’Aula Sud del Battistero antistante la Basilica di Aquileia; nel dettaglio, panoramica di piazza Capitolo ad Aquileia, scattata dalla cima del campanile. Di fianco dall’alto: dettaglio dell’interno del Museo Acheologico di Aquileia; la sistemazione del soffitto del Domus delle fontane nel museo di Santa Giulia a Brescia.

addolcita e semplificata senza però cadere nella banalizzazione o rinuncia al rispetto della storia e dell’arte». Come avete dunque impostato la sequenza degli spazi? «Al piano terra abbiamo narrato la città pubblica, accessibile a tutti, della quale poco in proporzione è giunto a noi, viste le depredazioni susseguitesi nei secoli. La bellezza e l’imponenza del Foro, della Basilica, del Circo del Teatro e dell’Anfiteatro sono emotivamente suggerite e comunicate attraverso i mosaici, le statue e le epigrafi. Materiali che in alcuni casi erano conservati nelle barchesse o nei depositi. Viene proposta e spiegata la configurazione e l’evoluzione urbanistica, la collocazione geografica nel mondo allora conosciuto e le fasi salienti della nascita, crescita e decadenza della città». Ci può fare un esempio? «Nella sezione “Aquileia porta del Mediterraneo” il cosmopolitismo della città e il suo alto livello culturale, frutto del continuo scambio di informazioni veicolate dal porto e dalle attività commerciali, sono testimoniate dalle epigrafi in latino, ebraico e greco. Tavole di storie di uomini e donne che erano gli abitanti della città». Diversa l’atmosfera al secondo piano... «Proprio così. Qui il visitatore entra nella vita privata della città, nelle domus riccamente decorate e arredate. Gli oggetti esposti testimoniano il tenore di vita raffinato, la passione per l’arte e la bellezza. Emerge inoltre il tipo di lavoro svolto nel commercio legato al porto, l’importanza dei riti e delle religioni. Gli oggetti in mostra nelle bacheche sono stati scelti in collaborazione con gli esperti scientifici, non solo seguendo canoni estetici, |

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di sequenza cronologica, di provenienza dalla stessa domus o campagna di scavo, ma piuttosto per la loro capacità evocativa del contesto dell’ambiente e della vita che raccontano. Alla base di questo metodo, in sintonia con l’esigenza di raccontare il passato, vi è uno studio molto approfondito dei luoghi, dei reperti, dei materiali e degli spazi. Un’impostazione di lavoro che abbiamo avuto la fortuna di imparare, e successivamente perfezionare, andando a bottega nello studio Albini di Milano (uno dei più importanti e rigorosi architetti razionalisti italiani del XX secolo, di fama internazionale, ndr). Citando Franco Albini non esistono cose belle o brutte. Bisogna saperle esporre. Io aggiungo: per farlo bisogna conoscerle bene, ecco perché in collaborazione con il personale della Museo e della Soprintendenza abbiamo studiato e deciso assieme, nel rispetto delle competenze, cosa esporre». Dunque la rivoluzione del valorizzare e promuovere il passato si fonda su una nuova filosofia di allestimento e di linguaggio? «Direi che la prima manifestazione dell’importanza di un reperto è data dall’allestimento, segue poi la parte didattica ed esplicativa che noi come studio progettiamo e realizziamo con pari attenzione. Anche qui posso fare un esempio citando la sezione dedicata a vari oggetti in vetro (Aquileia fu un importante centro di produzione vetraria, ndr). I visitatori sono affascinati e sbalorditi non solo dalla bellezza e dalla varietà di colori dei manufatti esposti, ma colgono la ricchezza della qualità e la complessità delle tecniche produttive. Attraverso questi oggetti comprendono la raffinatezza degli abitanti. Percepiscono che il gusto di una casa, oggi come ieri, non è dato dalla consequenzialità cronologica o dall’uniformità di origine degli oggetti, decori e utensili, ma dalla varietà di datazioni e provenienze, e che la bellezza d’insieme rappresenta il gusto e la personalità di chi li ha scelti». Il MAN è da sempre ospitato in un edificio storico; che rapporto esiste fra contenitore e contenuto? «La relazione fra l’opera d’arte, il reperto e lo spazio architettonico è strettissima e noi poniamo la massima attenzione al restauro o alla creazione di spazi architettonici in chiave di fruibilità contemporanea, dove il percorso narrativo delle opere deve coincidere con la dimensione e sequenza degli spazi. Questo metodo è stato applicato negli interni di Villa Cassis Faraone anche in relazione con gli spazi esterni, importanti per la presenza di essenze arboree secolari. Lo stesso metodo, ma in un contesto diverso, è stato applicato negli interventi dell’Aula Sud nell’area del Battistero dove un volume di architettura moderna è stato creato per conservare i mosaici, senza ricostruzioni ma con suggestioni ed evocazioni di quello che c’era. Ancora nel progetto della ex stalla Violin abbiamo mantenuto la stratificazione degli edifici costruiti successivamente. Nell’intervento a Gerusalemme, nel Museo della Custodia francescana in Terra Santa, abbiamo lavorato in un contesto ipogeo, in ambienti pluristratificati fino a oggi sottoutilizzati ma che si sono rivelati di straordinaria importanza. Diverso per ampiezza e complessità l’intervento al Museo di Santa Giulia di Brescia. Come vede situazioni differenti unite da un metodo via via adattato nel rispetto del contesto nel quale operiamo».

Quali sono le reazioni che vi aspettate nel visitatore dai vostri progetti museografici e allestitivi? Apprezzamento del racconto proposto con un linguaggio comprensibile e di oggi, non gridato né provocatorio, ma costruito su basi scientifiche. Ci piacerebbe che il turista italiano e internazionale fosse sbalordito e incuriosito, non tanto da suggestioni estetizzanti ma da un coinvolgimento emotivo, frutto della comprensione delle opere d’arte e dei reperti. Certo il visitatore non deve capire o sapere tutto uscendo da un museo, anzi deve conservare la curiosità di approfondire, per proseguire così il suo viaggio nella conoscenza». Margherita Reguitti

Giovanni Tortelli (nella foto durante l’allestimento al MAN), classe 1957, dopo la laurea con Franca Helg al Politecnico di Milano affronta, assieme al suo futuro socio Roberto Fassoni, le prime esperienze formative nello studio BBPR a fianco di Lodovico Barbiano di Belgiojoso e quindi nello studio Albini-Helg-Piva dove maturano una coscienza progettuale da artigiani, libera dalle seduzioni dell’architettura di tendenza. Coerenti a questa impostazione ottengono riconoscimenti a concorsi nazionali e internazionali e partecipano al dibattito sul ruolo dell’architettura contemporanea attraverso gli impegni didattici universitari (a Milano e a Genova) e la ricerca progettuale, a varie scale, applicata principalmente in ambiti storici e monumentali. In campo museografico e allestitivo tra le opere più note si ricorda il Museo di Santa Giulia e le Domus dell’Ortaglia a Brescia, il museo diocesano a Vicenza, il museo archeologico a Cremona, il padiglione temporaneo per il sito archeologico di piazza Sordello a Mantova, il Museo e Tesoro della Cattedrale a Bergamo, l’aggiornamento del percorso museografico di Palazzo Bianco e del museo diocesano a Genova, nonché i musei della Custodia a Gerusalemme. |

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PERSONAGGI

DINO FACCHINETTI Servizio e immagini di Claudio Pizzin

L’anima

del barco

Ascoltando l’antica parlata di un gradese d’Argentina ebbe la folgorazione: un’isola di umanità che galleggiava sul mare. E che la sua arte pittorica e poetica vuole tramandare nel futuro.

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All’interno del suo studio al piano terra in Calle Corbatto a Grado Vecchia, Dino Facchinetti (foto in alto) mi accoglie con un atteggiamento di iniziale diffidenza. Attorno a me quadri, sculture e oggetti trasmettono un senso di confusione creativa, catturando il mio sguardo da diverse angolazioni. «Non rilascio interviste». Il primo impatto con l’artista svela subito il suo carattere: «Sono gli altri che devono parlare di me, non io». Dino Facchinetti è un uomo riflessivo e attento alle parole. Mi osserva. Poi all’improvviso prende un foglio e una biro, e inizia a disegnare. «Questa è Grado vista dall’alto». E per toglierla dall’isolamento, traccia una linea che rappresenta la strada di collegamento tra l’isola e la terra ferma. Di colpo i ruoli si invertono e, mentre continua a disegnare, inizia a pormi delle domande. «Cos’è questo?», chiede indicandomi il disegno. Non mi faccio cogliere impreparato e rispondo subito: «Il barco». Una parola che nell’arte e nella vita di Facchinetti rappresenta l’alfa e l’omega. Una storia iniziata diversi anni fa in quello stesso studio. Dove l’artista, aprendo una finestra, ascoltò le parole di un gradese ormai anziano di ritorno dall’Argentina che diceva ai suoi amici: “Bon àneme, ‘desso me ve saludo, perché vogio ‘ndà a veghe che ‘riva i barchi in porto!” (Amici, adesso vi saluto, perché voglio andare a vedere le barche che arrivano in porto). ‘I barchi? El barco?’: Facchinetti ricordava di averlo letto in alcune poesie di Biagio Marin, “el barco” al maschile, ma non gli aveva dato tanto peso; magari una

licenza poetica. Ma sentire quell’uomo tornato a Grado dopo 50 anni con in valigia questo dialetto antico lo aveva emozionato. “Vago e veghe i barchi!”, come se andasse a vedere la Madonna che appare. «Per quell’uomo – rammenta l’artista – era qualcosa di veramente mirabile. E da allora mi rimase nell’animo questa parola (el barco, i barchi), antica eppure così nuova, così fresca. Su quei bragozzi, su quelle barche grandi vivevano, stavano giornate fuori in mare, facevano figli, mettevano su famiglia… Era un’isola di umanità, contrassegnata da ogni sorta di fatiche, privazioni e rinunce, richieste dalla intransigente sopravvivenza». Da questo episodio è nato il progetto dell’Isola-barco, anche perché vista dall’alto l’isola ricorda la forma di una “galèa veneta”. E con questa chiave di lettura che Facchinetti traccia una determinata navigazione assieme al protagonista Barco -: tra mistero e realtà storico culturale con la curiosità dell’archeologo, evidenziando il pensiero sul piano teorico-pratico per accostarsi “in punta di piedi” all’anima del Barco. «Vedi, se tu oggi non fossi passato di qua, questo disegno l’avrei finito senza portarti a conoscenza di un elemento importante: il linguaggio dei segni. Però come puoi notare anche questo lavoro porta in fede questo segno utilizzato tanti anni fa, attribuito alla mia famiglia (i Balansi). Un linguaggio unico, fatto da semplici intagli, tacche, che i perscatori gradesi, soprattutto di laguna, utilizzavano come primitivo elemento di riconoscimento e di appartenenza (caratteri grafici dell’antico alfabeto germanitico X-XII secolo)». La personalità e il carattere dell’artista mi riportano al “A Dino Facchinetti che naviga i mari del suo cuore” presente del suo studio in Grado Vecchia. Mi fa vedere (Grado, 14 settembre 2017 - Vittorio Sgarbi) un contenitore con i trucioli dei suoi pastelli passati sotto 46

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il temperamatite; in un altro contenitore invece mi mostra le vecchie biro. Poi riprende il disegno, continuando a parlare. Inizio a scattare qualche foto. Dopo pochi scatti mi ferma: «Basta foto, non ne voglio più». Scambiamo ancora poche parole, poi cala il silenzio. Lo sguardo di Facchinetti è tornato fisso sul suo barco. Alla ricerca della sua parte più recondita. Alla ricerca della sua anima. Claudio Pizzin Claudio Magris nel suo libro Microcosmi (Garzanti Milano, 1997) scriveva: «Mani nodose di pescatore, nodi nel legno delle barche o nelle tavole su cui sono stati rovesciati caparossuli e granseole, nodi delle reti che si tuffano nell’acqua o delle funi che ormeggiano una barca: nelle incisioni di Dino Facchinetti ricorrono queste immagini di forza e di pazienza, apprese dai tempi lunghi e lenti delle acque, della fatica del lavoro di generazioni».

Dino Facchinetti nasce a Grado nel 1946, dove tuttora vive e lavora in una delle calli che attraversano l’antico castrum romano, tra le basiliche e il porto. L’isola è il punto di partenza di un itinerario artistico incominciato alla fine degli anni 60. Incontra giovanissimo il pittore Antonio Coceani e scopre “dalla radice”, facendone tesoro, il grande valore del disegno. Durante il servizio militare a Venezia fa conoscenza con il maestro Virgilio Guidi il cui insegnamento rafforza il suo desiderio di vivere d’arte. Dopo il congedo dalla Marina Militare, “l’incontro” con il poeta Biagio Marin: anche grazie a questo sodalizio umano e artistico, matura in Dino la volontà che si fa ricerca espressiva nella pittura. Nel 1971 Facchinetti espone a Roma presentato in catalogo da Biagio Marin. A cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80 Facchinetti collabora al “Piccolo Teatro Città di Grado” come scenografo, ricercando nuovi spazi espressivi. Ha esposto in 5 istituti italiani di cultura: nel novembre 1974 a Stoccarda, nel 2003 a Zagabria, 2004 a Lubiana e 2005 a Spalato con una mostra itinerante, nel 2018 a Vienna. Schivo ad apparire, Facchinetti inventa un approccio originale alle sue mostre, ricercando ambienti desueti, che

Alcune delle opere di Dino Facchinetti: di fianco, una dedicata all’Isola di Grado e, sotto, una dedicata al barco. Bigliografia: Dino Facchinetti, Pinsieri passai pe’ ‘l cavo, forsi fermài per tempo, a cura di Renzo Sanson. conservano l’essenza di tempi passati, come la Villa Matilde (dove espone nel 1981) e le Ville Bianchi (1985). Facchinetti ha dedicato tre importanti mostre all’amico Biagio Marin: nel 1981, 1985 e nel marzo 1988, quest’ultima intitolata “Al queto svolo de ‘na Vose”. Nel 1989 il Comune di Grado ospita al Palazzo Regionale dei Congressi una grande mostra antologica che Dino Facchinetti dedica “A Grado e alla sua Gente”. Nel 1991, ha l’incarico dalla direzione della Cassa di Risparmio di Gorizia di realizzare nelle sedi di Grado e Monfalcone due opere di grandi dimensioni sul tema “Ambiente e Poesia”. In quello stesso anno viene commissionata all’artista dal Comune di Grado la realizzazione di una formella artistica in bronzo a tiratura limitata in onore del poeta Biagio Marin, del quale ricorreva il centenario della nascita. Nel 1995 Facchinetti dà alle stampe un libro dedicato esclusivamente alle mani, “Le Mani”, testi di Renzo Sanson. Nel dicembre dello stesso anno, su invito dell’amministrazione Comunale di Sauris i quarantacinque disegni delle mani vengono esposti al Centro Etnografico. Nello stesso anno espone in Spagna su invito della Caja Vital Kutxa a Vitoria. Nel 2002 collabora con 23 tavole artistiche, esclusive, alla realizzazione del quinto volume della collana miti, fiabe e leggende del Friuli storico “Tere de Gravo e de Maran” (Chiandetti editore, Udine). Nell’ottobre 2003 nell’ambito della terza edizione de “la settimana della lingua italiana nel mondo”, organizzata dalla Farnesina con l’Accademia della Crusca, l’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria ospita la mostra itinerante di 40 opere di Dino Facchinetti dal titolo ”Piscator Nauta”. Nel 2007 il Comune di Saint Vallery (Francia) ospita nella sale della Maison Henri IV, sotto la direzione di Martine Lannoy, una raccolta di ottanta opere dal titolo “La Musa mia arriva …”. Nel 2009 elabora il progetto per la realizzazione di un’opera musiva di grandi dimensioni raffigurante “el Barco”. L’opera, realizzata nella scuola di Mosaicisti di Spilimbergo da un gruppo di allievi con la supervisione degli insegnanti e la guida di Dino Facchinetti, sarà collocata in un contesto storico e culturale dell’Isola. Da sempre Facchinetti collabora con le scuole primarie e dell’infanzia, offrendo disponibilità per incontri di studio e di ricerca tecnica, realizzando a fine anno l’esposizione dei lavori. |

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MOSTRE IN FVG (calendario aggiornato su www.imagazine.it) 9 settembre – 5 ottobre ▶ ANNI 80

In esposizione le opere degli artisti più significativi del periodo: Paolo Cervi, Zivko Marusic, Claudio Massini, Nata, Sergio Pausing, Serse Roma, Manuela Sedmach, Antonio Sofianopulo, Franco Ule, Gian Carlo Venuto.

Monfalcone (GO). Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, piazza Cavour 44. Orario: mer, dom 10-13, ven-sab 10-13/1619. Ingresso libero. Info: www.comune.monfalcone.go.it

Fino al 21 settembre ▶GRIGIO IN GRIGIO

Mostra di Maria Elisabetta Novello. Opere realizzate utilizzando prevalentemente la cenere e la polvere. Gorizia. Studiofaganel, viale XXIV Maggio 15/c. Orario: lun-ven 9.30-13/1619. Ingresso libero. Info: www.studiofaganel.com

Fino al 30 settembre ▶LE CREATURE DI PIETRA DI LEONE LODI

La mostra illustra e descrive i lavori di restauro delle due grandi statue realizzate dallo scultore lombardo nel 1938. Torviscosa (UD). CID, piazzale Marinotti 1. Orario: sab-dom 15-19. Ingresso libero. Info: www.cid-torviscosa.it

15 settembre – 9 dicembre ▶ MARIO SIRONI DAL FUTURISMO AL CLASSICISMO 19131924

La mostra presenterà una selezione di duecento opere realizzate dall’artista nel corso di un decennio (dal 1913 al 1924). Si potrà riscoprire un Sironi pittore, illustratore, grafico, scultore, decoratore, scenografo, tra le figure più originali, intense e radicali del secolo scorso.

Pordenone. Galleria Bertoia, Corso Vittorio Emanuele II 60. Orario: mar-ven 15-19, sab-dom 10-13/1519. Ingresso € 3. Info: 0434 392915

Fino al 7 ottobre ▶PADRI & FIGLI

Con sculture barocche, pitture medioevali e dipinti romantici, la mostra di Illegio fa rivivere storie di padri e figli, dalla mitologia alla poesia e alla fede. In un percorso suggestivo di sessanta dipinti e sculture dal quarto secolo avanti Cristo al Novecento, provenienti da quaranta collezioni d’Europa, riscopriamo cosa significhi per gli esseri umani diventare padri, figli e figlie. Tolmezzo (UD). Casa delle esposizioni, Illegio. Orario: mar-sab 10-19, dom 9-20. Ingresso € 11. Info: 0433 44445

Fino al 19 settembre ▶ FRIULI VENEZIA GIULIA FOTOGRAFIA

Esposte le opere partecipanti alla 32^ edizione della rassegna fotografica organizzata dal Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia del Friuli Venezia Giulia. Spilimbergo (PN). Palazzo Tadea. Orario: merven 16-20, sab-dom 10.30-12.30/16-20. Ingresso libero. Info: www. craf-fvg.it

7 ottobre ▶IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO: GUERRIERI SENZA DIVISA CENTO ANNI FA E OGGI

Fino al 14 ottobre ▶PARADOXA. ARTE DA METÀ COREA

Si conclude la trilogia Paradoxa con una mostra dedicata alla Corea del Sud. Yee Sookyung, Park Chang-kyong e Kyungah Ham espongono opere dense di riferimenti alla cultura tradizionale ed all’attualità della penisola coreana. Udine. Casa Cavazzini, via Cavour 14. Orario: mardom 10.30-19. Ingresso € 5. Info: www.casacavazzini.it

Fino al 14 ottobre ▶IN VIAGGIO CON THALIA

Una mostra ricorda la storia del piroscafo del Lloyd austriaco, le rotte percorse e il gusto di un’epoca. Fotografie, documenti, cartoline, oggettistica, descrivono un percorso storico significativo della crocieristica moderna. Trieste. Civico Museo del Mare, via Campo Marzio 5. Orario: gio-mar 9-13. Ingresso libero. Info: www. triestecultura.it

Fino al 14 ottobre ▶LA NAVE DI CARTA

Opere di Nobushige Akiyama: un’ installazione e una trentina di sculture e rilievi in carta dalle forme metamorfiche. Da artistascultore ha utilizzato la carta come materiale per le sue sculture, modellandola nelle forme più varie.

Trieste. Civico museo d’arte orientale, via S. Sebastiano 1. Orario: margio 10-13, ven-sab 16-19, domenica 10-19. Ingresso libero. Info: www.museoarteorientaletrieste.it

La mostra, curata dallo storico Lucio Fabi con il contributo di Roberto Todero e la grafica di Alfio Scarpa, ricostruisce la storia dei “cani guerrieri” della Prima guerra mondiale, con pannelli fotografici e reperti d’epoca. Visco (UD). Museo sul Confine, borgo Piave 22/24. Orario: 10-13/15-18. Ingresso libero. Info: www. comune.visco.ud.it

Fino al 14 ottobre ▶STORIA E NATURA, PENSIERI E RACCONTI

Mostra di Enzo Valentinuz.

Grado (GO). Hotel Abbazia, via Colombo 12. Orario: 10-19. Ingresso libero. Info: www.hotel-abbaziagrado.com Fino al 28 ottobre ▶MARE E SPORT IN VENEZIA GIULIA, FIUME E DALMAZIA

Fotografie e cimeli d’epoca (ad esempio, l’armo olimpico di canottaggio che vinse le Olimpiadi di Amsterdam del 1928 con l’equipaggio della “Pullino” di Isola d’Istria o la giacca azzurra della Nazionale italiana alle Olimpiadi del 1948), coppe, trofei e medaglie. Nonché tutta una serie di diplomi, tessere, regolamenti, pergamene, stendardi e vari documenti inerenti le società nautiche di riferimento. Trieste. Museo Civico della Comunità Istriana-fiumana-dalmata, via Torino 8. Orario: lun-sab 1012.30/16-18.30, dom 1019. Ingresso libero. Info: http://aici.it

Fino all’11 novembre ▶L’EREDITÀ RUSSA DEI CONTI CORONINI

Uno sguardo privilegiato sul gusto e lo stile di vita della società aristocratica russa, dall’inizio del XIX secolo alla vigilia della Rivoluzione di ottobre. Opere d’arte e oggetti preziosi dall’impero degli zar.

Gorizia. Palazzo Coronini, viale XX Settembre 14. Orario: mer-sab 10-13/1518, dom 10-13/15-19. Ingresso: € 5. Info: www.coronini.it

Fino al 30 dicembre ▶MANET E MASSIMILIANO. UN INCONTRO MULTIMEDIALE

Miramare propone un percorso immersivo e “multimediale”, allestito negli spazi delle Scuderie del Castello, per dar vita all’incontro impossibile tra l’imperatore del Messico, fucilato il 19 giugno 1867, ed Édouard Manet, il grande pittore francese che, indignato dalla vicenda, denunciò con la sua pittura le responsabilità francesi. Trieste. Castello di Miramare, viale Miramare 1. Ore 9-19. Ingresso € 12. Info: www.castello-miramare.it

I COSTI E GLI ORARI DI APERTURA POSSONO VARIARE SENZA PREAVVISO. VERIFICARE SEMPRE RIVOLGENDOSI AGLI APPOSITI RECAPITI.


TRIGEMINUS

PERSONAGGI

Intervista di Andrea Doncovio Immagini di Tassotto&Max photo agency

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Attori si nasce

Dopo anni di teatro amatoriale, nel 2005 hanno realizzato il proprio sogno: trasformare la passione per la recitazione in una professione. I loro spettacoli registrano un continuo successo, «anche se all’inizio gli esperti di settore ci snobbavano». Ora vogliono esportare la comicità e la cadenza friulana in tutta Italia.

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Mara e Bruno Bergamasco, se nel 1991 quando iniziò l’avventura dei TRIGEMINUS vi avessero prospettato il successo ottenuto finora ci avreste creduto? «Abbiamo sempre creduto nella capacità “innata di far ridere”; per questo motivo la nostra attività da amatoriale si è trasformata in professionale nel 2005. Ci è piaciuto rischiare; abbiamo scommesso su noi stessi e dobbiamo ammettere che il successo, in certi frangenti, è andato veramente oltre le aspettative». Secondo voi perché la comicità dei TRIGEMINUS continua a piacere al pubblico? «Piace perché non è fuori tempo e risponde alla realtà. Non è una comicità astratta, portiamo in scena pezzi di vita vera, situazioni che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi. È evidente che per rendere comici anche i contesti seri serve quell’occhio che vede ma anche quel cuore che sente oltre la realtà e che è capace di trasformare e di alleggerire ogni fatto, rendendolo divertente».

Attraverso i vostri spettacoli cosa desiderate trasmettere? «Desideriamo far ridere, regalare alle persone due ore di allegria. Amiamo provocare risate rumorose: la nostra missione è trasmettere leggerezza, infondere una nota gioiosa nel cuore delle persone. Ci siamo inoltre resi conto che con le nostre messe in scena improntate su temi importanti come la sicurezza sul lavoro, in casa, alla guida, in agricoltura, in edilizia, a scuola, riusciamo a coinvolgere e a catturare l’attenzione anche dei giovani e degli studenti: questo è molto gratificante. Affrontando infine temi come lo screening mammografico, la violenza sulle donne, l’affido familiare o il dono del sangue abbiamo la possibilità concreta di veicolare un messaggio che salva la vita». Torniamo indietro nel tempo: com’è iniziato il vostro rapporto con il teatro? «Negli anni ’70 facevamo parte del gruppo parrocchiale di Manzano. Per diversi anni quel gruppo, |

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In queste pagine le immagini di alcuni spettacoli dei TRIGEMINUS. A sinistra “Beato fra le Gonne”; sotto, “Diluvia (tutti dentro)”; a destra in alto nello sketch “Grado”. In apertura di servizio e a destra in basso due immagini di repertorio di Mara e Bruno Bergamasco.

con la regia di Lauro Moja, ha sfornato messe in scena di livello. Bruno era uno degli attori, Mara ricopriva invece il ruolo di suggeritore. Per una serie di circostanze, di quel gruppo restò il regista e noi due. E abbiamo dato vita ai TRIGEMINUS». Sembra quasi una magia. «Con un pizzico di vanto possiamo sostenere che prima di noi il cabaret friulano non esisteva. All’inizio e per anni il nostro tipo di spettacolo veniva snobbato dagli esperti del settore, perché ritenuto di serie B, non giudicato teatro di qualità. In realtà noi siamo stati una rivelazione: da amatoriali avevamo così tante richieste che dopo alcuni anni abbiamo realizzato il nostro sogno: trasformare il teatro nel nostro lavoro». Nel vostro percorso un ruolo fondamentale lo ha ricoperto proprio Lauro Moja, scomparso nel 2007: qual è il ricordo più bello che avete di lui? «Lauro Moja: “il nostro maestro”. Così l’abbiamo nominato e così lui è stato per noi. Era un regista severo e un attore nato. Bravo, preparato, capace di estrapolare il meglio da ognuno di noi. Lui ci ha insegnato ogni cosa. Il ricordo più bello è senza dubbio la serata evento del 21 maggio 2005 al teatro Giovanni da Udine. Da quasi sconosciuti, dopo il passaggio in tv dei nostri sketch ci siamo ritrovati davanti a un incredibile tutto esaurito, in un’epoca in cui non esistevano ancora Facebook o Whatsapp. Sembrerà strano ma più passa il tempo e più sentiamo la presenza di Lauro, in particolare prima d’iniziare gli spettacoli, quando ci tenevamo tutti e tre per mano durante la sigla inizia-

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le dietro le quinte. Ma lo spettacolo non si è fermato; dopo Lauro, fondamentale per il nostro perfezionamento è stato il regista Mauro Fontanini che ha collaborato con noi per alcuni anni, firmando la regia delle commedie Beato tra le gonne e Diluvia! Tutti dentro, delle quali è coautore insieme a Mara. Il regista Luca Ferri invece ha firmato la regia di Divine Comedie nata nel 2014, dando vita a una felice collaborazione tra i TRIGEMINUS e Anathema Teatro». Recitare tra fratelli che significato ha per voi? «È sempre stato ed è meravigliosamente divertente, lacrime agli occhi dal gran ridere durante le prove. Non abbiamo mai litigato – anche se pochi ci credono – in nessun ambito. Vincente tra noi è la grande intesa: basta un’occhiata per capire se uno dei due è in difficoltà, basta una parola, un gesto per creare una nuova battuta». A proposito, attori si nasce o si diventa? «Attori si nasce, poi si cresce con la tecnica e con l’esperienza che si acquisiscono pian piano. Per noi il salto dalla platea a sopra il palco è stato quasi normale, come facesse parte di una scaletta. Quando sul palco ci si sente a proprio agio, bene come a casa propria, quando quella vocina dentro ti dice “vai” e tu lì sopra sei felice al di là di tutto e i pensieri “ci sarà gente a vederci? Chissà come andrà?” passano in secondo piano, in quel momento ti rendi conto che tu “attore sei nato” e sei stato bravo a capirlo e soprattutto a curare e a mantenere vivo l’entusiasmo e la voglia di proseguire». Nei vostri spettacoli la lingua friulana è una componente decisiva. Nelle esibizioni fuori dal Friuli, tuttavia, recitate in italiano. Cosa cambia per voi? «La lingua friulana è la nostra lingua e i TRIGEMINUS sono nati parlando la loro lingua. È naturale che sia così perché la lingua madre è quella che ti permette di esprimere meglio i sentimenti. Fuori dal Friuli usiamo la cadenza friulana così come fanno i comici dell’Italia intera: veneti, milanesi, toscani, romani, napoletani e così via. Non abbiamo mai capito perché non possiamo usare la no-


stra… Molto probabilmente perché i friulani stessi la giudicano brutta... Noi invece stiamo riscontrando che piace e diverte». Proprio per il vostro stretto legame con il mondo friulano siete stati chiamati a esibirvi nei Fogolȃrs in Italia e all’estero. Cosa avete provato in quei contesti? «In Canada – per citare un esempio – ci ha colpiti “la friulanità” genuina delle persone emigrate tanti anni fa. Il primo pensiero è stato: “sono più friulani di noi”. Sono momenti che restano nel cuore perché fanno amare ancora di più la nostra terra, facendo comprendere quale grande lavoro abbiano compiuto queste persone: il primo su loro stesse quando sono emigrate e poi, con un impegno immenso, per ricostruirsi e costruire il loro nuovo modo di vivere mantenendo vive le proprie origini». Tra i vostri spettacoli a quale siete maggiormente legati? «D’impulso esce subito un titolo: 626. È lo sketch che ha allargato il nostro orizzonte in ambiti diversi: grandi aziende, scuole, università in tutto il Friuli, ma anche nel resto d’Italia, e che viene richiesto ancora in continuazione. Poi ce ne sono altri che si possono definire dei tesori per la nostra storia: ad esempio La Biciclete, che ha determinato l’inizio del cabaret, e Il Matrimoni di Claudia, la prima commedia che Lauro Moja ha scritto per noi tre e che ha creato l’impulso perfetto per la nascita dei TRIGEMINUS». Voi non siete solo interpreti, ma anche ideatori e autori degli sketch che proponete. È più impegnativo scrivere un testo o recitarlo? «È più impegnativa la stesura del testo nel senso proprio della scrittura. Una volta abbozzata la storia si fissano i punti principali; i più importanti sono l’inizio e il finale. L’inizio è basilare perché il pubblico deve essere in grado di capire immediatamente chi sono i protagonisti, il finale perché il colpo di scena è bene che chiuda chiaramente la storia o la situazione». Dalla stesura alle prove agli spettacoli: il teatro come scandisce le vostre giornate? «Di solito l’ideatrice dello spettacolo – quella che scrive – è Mara. Alla prima lettura del brogliaccio, interviene Bruno con le sue osservazioni e aggiunte, dopo di che s’inizia a testare se il contenuto è buono. Una volta capito che si può proseguire, si procede con gli affinamenti, si decide chi sono i protagonisti, il loro carattere, fino a giungere alle definizione precisa. Poi iniziano le prove vere e proprie fino al momento della prima». Oltre che sul palco avete recitato anche in televisione: cosa cambia quando di fronte a voi non c’è direttamente il pubblico ma una telecamera? «La televisione ha il potere di portarti comodamente in ogni casa. È un modo diverso di trasmettere, un mo-

do diverso di lavorare. La tv ha i suoi tempi e davanti a una telecamera l’ambiente è freddino. Più volte ci siamo cimentati in trasmissioni anche in diretta e con buoni risultati, ma noi amiamo il teatro, il contatto con il pubblico che, molto spesso, diventa compartecipe, si immedesima. Il respiro delle persone è quello che dà la carica e che fa capire se gradiscono le battute: abbiamo bisogno di capire se quello che diciamo è un’eco che ritorna. Addirittura nel frastuono dei nostri spettacoli un silenzio – se previsto – è importante. E solo se hai un pubblico davanti capisci se l’hai creato o meno». Nel 2011 le testate giornalistiche del Friuli Venezia Giulia vi hanno assegnato il “Moret d’Aur”. Che valore ha avuto per voi questo riconoscimento? «È stata una vera e propria sorpresa, una gratificazione enorme. Essere riconosciuti nel luogo dove si nasce non ha paragoni con nessun altro premio». Voi calcate le scene da quasi trent’anni: in questo arco temporale com’è cambiato il pubblico? «A differenza di trent’anni fa le persone sono molto più preparate ed esigenti, nel senso buono del termine. Ora l’offerta di spettacoli è molto più ampia, di conseguenza la gente sceglie cosa andare a vedere. Mantenersi “vivi” soprattutto per chi, come noi, lavora prevalentemente in Friuli, vuol dire prestare attenzione alle esigenze del pubblico, affinare occhi e orecchie». C’è un sogno nel cassetto che vorreste realizzare? «Portare la nostra comicità in tutta Italia, magari con una puntatina in tv nazionale: non per vanto ma per dimostrare che anche i friulani con la loro cadenza sono capaci di far ridere e far finalmente cadere la maschera che ci hanno applicato da sempre di “gente seria e chiusa”». Andrea Doncovio

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L E G G E R E

(as) s a g g i Kristin Hannah Il grande inverno Mondadori, 2018 Pagg. 456 € 20,00 Quando Ernt Allbright torna dalla guerra del Vietnam è un uomo profondamente instabile. Dopo aver perso l’ennesimo posto di lavoro, prende una decisione impulsiva: trasferirsi con tutta la famiglia nella selvaggia Alaska, l’ultima frontiera americana, e cominciare una nuova vita. Sua figlia Leni, treWolfram Eilenberger Il tempo degli stregoni Feltrinelli, 2018 Pagg. 432 € 25,00 1919. La Prima guerra mondiale è finita da poco. “Il dottor Benjamin fugge dalla casa di suo padre, il luogotenente Wittgenstein commette un suicidio finanziario, il libero docente Heidegger perde la fede e monsieur Cassirer lavora sul tram alla propria illuminazione.” Comincia un decennio di eccezionale creatività, che cambieDeborah Moggach Tulip Fever Sperling & Kupfer, 2017 Pagg. 276 € 17,90 Amsterdam, 1636. La città è tutta fermento e opulenza: il commercio prospera, le arti fioriscono. Come uno specchio, i canali rimandano l’immagine delle dimore più belle, tra cui quella di Cornelis Sandvoort, dove ora tutto è silenzioso e immobile: il ricco mercante e la sua giovanissima consorte, Sophia, stanno poMarco Buticchi Il segreto del Faraone nero Longanesi, 2018 Pagg. 552 € 22,00 Egitto, 1798. Claude de Duras, archeologo inviato in Egitto al seguito dell’esercito napoleonico, nel corso degli scavi compie una scoperta eccezionale. La Campagna d’Egitto sembra procedere senza intoppi fino alla disfatta di Abu Qir. A quel punto, messo alle strette dal successo di Nelson, il di-

dici anni, è nel pieno del tumulto adolescenziale: soffre per i continui litigi dei genitori e spera che questo cambiamento porti a tutti un futuro migliore. Mentre Cora, sua moglie, è pronta a fare qualsiasi cosa per l’uomo che ama, anche se questo vuol dire seguirlo in un’avventura sconosciuta. All’inizio l’Alaska sembra la risposta ai loro bisogni: in un remoto paesino, gli Allbright si uniscono a una comunità di uomini e donne estremamente temprati, fieri di essere autosufficienti in un territorio così ostile. Però quando l’inverno avanza e il buio invade ogni cosa, il fragile stato mentale di Ernt peggiora e il delicato equilibrio della famiglia comincia a vacillare. rà per sempre il corso delle idee in Europa e senza il quale alcuni pensieri non sarebbero mai stati pensati. Wolfram Eilenberger mette in scena l’esplosione del pensiero, sullo sfondo di una Germania divisa tra l’esuberanza e la voglia di vivere del dopoguerra e l’abisso della crisi economica, tra la lussuria delle notti berlinesi e i complotti reazionari della Repubblica di Weimar, mentre il nazionalsocialismo si trasforma velocemente in una minaccia. I quattro protagonisti di questi anni decisivi sono giganti di ogni tempo. E le loro vite straordinarie si intrecciano nella necessità di rispondere alla domanda che ha orientato nei secoli la storia del pensiero: che cos’è l’uomo? sando per il ritratto che li renderà immortali. Insieme a loro, nel dipinto, un vaso di tulipani: i fiori che, secondi soltanto alla sua bellissima moglie, sono la più grande passione di Cornelis. Così come di tutta l’Olanda, che sembra preda di una follia collettiva: i bulbi di tulipano valgono una fortuna, e c’è chi è disposto a ricorrere a ogni mezzo, lecito o illecito, pur di possedere quelli più pregiati. È Jan van Loos, uno degli artisti più promettenti del momento, a fissare su tela quella scena, che dovrà trasmettere per sempre magnificenza e armonia. Ma il suo occhio, attento ai minimi dettagli, sa penetrare l’apparenza e cogliere l’essenza più profonda. Il fuoco sotto la cenere, l’irrequietezza dietro l’obbedienza… plomatico e segretario personale di Bonaparte, Louis Antoine de Fauvelet de Bourrienne, stringe un accordo con Robert Goldmeiner, giovane rampollo di una ricca dinastia dalle antiche origini. Goldmeiner propone prestiti che potrebbero risollevare le sorti della spedizione e delle avide casse della Francia rivoluzionaria. In cambio Bourrienne promette a Goldmeiner tutto l’oro che de Duras troverà durante gli scavi. Nessuno di loro, però, può immaginare le conseguenze delle scoperte dell’archeologo francese: una scia di morte perseguiterà chi, da quel momento, verrà a conoscenza dei suoi incredibili ritrovamenti.

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Anche i medici

amano viaggiare

Una vacanza ristoratrice. È tutto ciò che amiamo e aneliamo, nel nostro cuore, nei lunghi mesi invernali. Ciò che ci dona sprint e voglia di fare è il condire con un po’ di fantasia la nostra giornata lavorativa, semplicemente immaginando che, prima o poi, la vacanza si materializzerà davanti ai nostri occhi e il viaggio che affronteremo sicuramente ci sorprenderà! Anche i professionisti vanno in vacanza. Ciò è normale, comprensibile. Così questa volta, anziché parlare di medici e medicine, di rimedi naturali e di libri, ci concediamo una vacanza e andiamo – tutti insieme – in montagna! È quassù che porto me stesso e vorrei portare anche voi, amici lettori, per il tempo della lettura, due minuti o poco più. Può sembrare strano che uno psichiatra possa portare i lettori in giro per il mondo. Ma il luogo più bello, almeno per me, è quello delle Alpi. Dolomiti trentine, per la verità, forse perché quand’ero

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ancora in fasce ho respirato a fondo il loro profumo. Personalmente ciò che amo di più è il tipico paesaggio montano. Le rocce, l’ampia distesa di prati in fiore, una valanga di alberi dalle mille tonalità cangianti del verde più intenso che scivola lento verso il tenue dei prati strappati all’avanzare lento degli abeti. I fiumi che spingono l’acqua fresca verso valle. Il muggire delle mucche al pascolo e l’odore del fieno ti riempiono la pelle e i polmoni di fresco. C’è bisogno, a volte, di staccare la spina, di spendere due lire per se stessi. Di cercare altrove il vero senso della propria vita. Spegnere il televisore, lasciare andare le notizie quotidiane, non acquistare per qualche giorno i quotidiani e immergersi, per davvero, nel vero senso delle cose. Le più genuine, le più chiare. Quelle che non ti chiedono che tragedia è avvenuta oggi in un piccolo paesino dell’Italia, che governo ci governa o meno o se l’indice della borsa di New York è in salita o discesa. Né, tantomeno, se quel giorno la tua cassetta della posta si è arricchita di qualche bolletta vagante come mina. Per un attimo guardi il crescere e lo sbocciare di un fiore, il grido del gheppio o delle rondini basse su un campanile, il sibilare di una marmotta o il rumore degli zoccoli di un cerbiatto che, come poco fa, si è spaventato fuggendo fra le frasche del bosco senza chiedersi se ti sei spaventato anche tu, sentendo all’improvviso quel fragore. Rifletto fra me e me, mentre i miei passi avanzano sul dolce sentiero in salita, su ciò che ho ascoltato, sulle persone viste in città, sulle pene dei pazienti alte come le cime, sul lago dei loro dolori e le loro sofferenze, che


almeno un po’ sono diventate le mie. In pianura, a valle, hai lasciato la parte più professionale di te, quella col camice bianco latte, tanto per intendersi, dedita – anima e corpo – agli altri. Quella che ha sempre una parola buona per ognuno e un rimedio o un consiglio da dare. Quella che mi viene facile. Qui, in montagna, invece, porto il silenzio. Il silenzio dentro di te. Il senso della vita che ogni uomo, al di là del lavoro che fa, deve o dovrebbe avere. Professore, impiegato, cantante o suonatore, operaio o dirigente d’azienda, qui, sul sentiero che sto percorrendo adesso, siamo tutti uguali. Piccoli rispetto alle alte vette. Minimi, rispetto alla magia dell’ambiente. Ma è qui che la mente si libera dal corpo. Dove nella tua piccolezza ti senti partecipe dell’infinito. Dove la tua anima si sposa col Cielo e dove ogni cosa diventa leggera. Come un soffio di vento sulle cime. Trasparente come le nuvole e limpida come l’acqua del ruscello che vedo scorrere al mio fianco. È qui che la mente diventa i funghi che trovi sotto le radici esposte di un abete rosso, la linfa che uggiola dal tronco ferito di un albero, il profumo degli aghi di pino del sottobosco e del muschio adeso saldamente alla corteccia o l’umido che esce dallo scorrere dell’ac-

qua fra le felci. La rugiada al mattino, il canto del cuculo o dei passeri fra le chiome frondose dell’alto faggio. Tutto questo ti libera dagli affanni e diventa, per l’anima, un toccasana. Ciò che ti permette di ricaricare le batterie e di ripartire all’attacco… più entusiasta e dinamico di prima. Meglio di un farmaco o di una medicina che, per quanto naturale possa essere, sempre medicina è. Forse la medicina più grande è dentro di noi… nel nostro cuore. Come una poesia soave che giunge da lontano e scaccia le ansie. Una musica che permea l’abito e vola via, attraverso le parole, come un suono nostalgico dietro l’ultima alba, al di là delle vette. Ma ora è tutto finito. Domani si ritorna… domani è un altro giorno.

Il dottor Roberto Pagnanelli è medicochirurgo e psicoterapeuta. Specializzato in Psichiatria, è diplomato in Medicina Psicosomatica, in Medicina Omeopatica e in Psicoterapie Brevi. È autore di pubblicazioni su riviste scientifiche e di volumi di successo. Ha partecipato a trasmissioni radiotelevisive nazionali e scritto su Starbene, Per me, Più Salute & Benessere, Viver Sani & Belli, Top Salute, Donna Moderna, Più Sani più Belli e Salute Naturale. Ideatore della Musicoterapia Cinematografica, applica la Psicoterapia d’Azione da oltre un ventennio. Lavora a Trieste, Monfalcone, Gorizia e Udine. Info: robertopagnanelli@libero.it www.robertopagnanelli.it Per appuntamenti: cellulare: 330-240171 |

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FERIE E DISGUIDI

Vacanza rovinata?

Arriva il risarcimento

Rubrica a cura di Massimiliano Sinacori

D I R I T T O

Ritardi nelle partenze, smarrimento dei bagagli, problemi con le prenotazioni: secondo la giurisprudenza il turista che ne è vittima non subisce solo un danno patrimoniale. Chi ripaga il tempo trascorso inutilmente e l’irripetibilità dell’occasione perduta?

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La vacanza è quel momento di libertà dal lavoro e dagli obblighi quotidiani in cui ciascuno di noi può riposarsi, viaggiare o impiegare il proprio tempo seguendo le proprie passioni e facendo ciò che più gli piace. Per gli amanti dei viaggi sono purtroppo molti i disagi che potrebbero rovinare i tanto agognati periodi di riposo (dai ritardi nelle partenze allo smarrimento dei bagagli, furti, etc.): in questi casi, la legge prevede il diritto alla tutela risarcitoria a chi ha acquistato un cosiddetto “pacchetto turistico” affidandosi direttamente a un tour operator, o a un’agenzia di viaggio. La definizione di pacchetto turistico, fornita dall’art. 33 del Codice del Turismo (D.Lgs. 79/2011), fa riferimento a una formula contrattuale scritta con cui si acquista una vacanza “tutto compreso”, caratterizzata dall’offerta di almeno due dei seguenti servizi: trasporto e alloggio; servizi turistici non accessori al trasporto e all’alloggio (si pensi a escursioni organizzate, visite guidate, noleggio di auto o di altri mezzi e via dicendo). Nell’ipotesi in cui il viaggiatore subisca eventuali disagi o danni collegati alla totale mancanza o all’inesatta ese|

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cuzione delle prestazioni oggetto del contratto stipulato, l’organizzatore, se non prova che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, sarà tenuto a risarcire il danno subito dal cliente. Tale responsabilità dell’organizzatore sussiste anche nel caso in cui lo stesso si avvalga di soggetti terzi per l’erogazione di alcuni dei servizi proposti, ferma la possibilità di rivalersi poi nei confronti dei diretti responsabili. La normativa di derivazione comunitaria, che disciplina la responsabilità dei tour operator e delle agenzie che vendono un pacchetto turistico, non si limita a ristorare i soli danni patrimoniali subiti dal viaggiatore, estendendo la propria tutela anche alla sfera del danno non patrimoniale: infatti, il viaggiatore che, a causa di un disagio subito da un disservizio, si è visto rovinare significativamente le vacanze, potrà richiedere anche l’ulteriore risarcimento per il cosiddetto danno da vacanza rovinata. Nel nostro ordinamento il danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c. può essere richiesto solamente ove vi sia un’espressa previsione di legge che ne


sancisce la risarcibilità. Il diritto a essere risarciti per la vacanza rovinata, conseguentemente, trova la sua fonte nell’art. 46 del Codice del Turismo, il quale stabilisce che: “nel caso in cui l’inadempimento o l’inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455, il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso e alla irripetibilità dell’occasione perduta”. Ad esempio, alla luce di questa previsione normativa, il viaggiatore che, a causa del bagaglio smarrito dal vettore, sia costretto a spendere parte della propria vacanza al fine di rimediare al disagio subito, oltre al risarcimento patrimoniale per il danno economicamente valutabile, potrà altresì richiedere al giudice la liquidazione di un’ulteriore somma di denaro, determinata secondo equità, volta a ristorare quella sofferenza determinata, per l’appunto, dalla vacanza rovinata. La particolare tutela, di natura non patrimoniale, del danno da vacanza rovinata trova il proprio fondamento nell’art. 2 della Costituzione. Il bene “vacanza”, nella sua ampia accezione, costituirebbe, dunque, una di quelle attività nelle quali si realizza la personalità dell’individuo. Anche la più recente giurisprudenza di Cassazione in materia di tutela dei lavoratori ha evidenziato come le ferie non debbano essere considerate esclusivamente quale semplice corrispettivo del rapporto di lavoro, bensì quale momento di libera espressione dell’individuo. Il termine per richiedere all’organizzatore il risarcimento dei danni patiti durante il viaggio può variare in ragione del tipo di disservizio che ha determinato il disagio, nonché in ragione del tipo di danno che si

è verificato. In linea generale, è opportuno provvedere a una denuncia tempestiva formalizzata a mezzo raccomandata o attraverso altro mezzo idoneo a fornire la prova dell’avvenuto ricevimento da parte dell’organizzatore. Nello specifico, ai sensi del secondo comma dell’art. 46 del Codice del Turismo, il termine prescrizionale previsto al fine di richiedere il risarcimento per il danno da vacanza rovinata è di tre anni a decorrere dalla data di rientro del viaggiatore nel luogo di partenza. Qualora il danno da vacanza rovinata sia conseguenza di un danno alla persona previsto dalle disposizioni che regolano i servizi compresi nel pacchetto turistico, il termine di prescrizione triennale può essere eccezionalmente esteso.

Massimiliano Sinacori Per approfondimenti ed esame di alcune pronunce e della casistica in materia è possibile rivolgere domande od ottenere chiarimenti via e-mail all’indirizzo:  massimiliano@avvocatosinacori.com


Rubrica a cura della Polizia di Stato della Provincia di Gorizia

P O L I Z I A D I S TA T O

YO U P O L

Il bullismo? Si può denunciare on line Pienamente attiva la nuova app che mette in contatto i cittadini con la Polizia di Stato. Rivolta in particolare ai giovani, mira a contrastare anche lo spaccio di stupefacenti. Dallo scorso maggio è attiva in tutte le provincie italiane “YouPol” la nuova app della Polizia di Stato, realizzata per contrastare il fenomeno del bullismo e dello spaccio di sostanze stupefacenti. L’applicativo è scaricabile su tutti gli smartphone e tablet da Apple Store e Play Store e consente di interagire con la Polizia inviando immagini o segnalazioni scritte direttamente alle Sale Operative delle Questure, anche in via anonima, se si è testimoni o si è venuti a conoscenza di episodi di bullismo o traffico di stupefacenti. YouPol nasce per consentire a ogni cittadino, giovane e meno giovane, di concorrere al miglioramento della vivibilità del territorio e della qualità della vita. La Polizia di Stato, da sempre impegnata nella formazione civica dei ragazzi, con YouPol desidera coinvolge58

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re soprattutto gli adolescenti e responsabilizzarli sul rifiuto del consumo della droga e di ogni forma di violenza, realtà che troppo spesso restano sommerse e che sono fonte di emarginazione e grande sofferenza. L’app è stata avviata in via sperimentale nel novembre dello scorso anno nelle città di Roma, Milano e Catania e, in pochi mesi, è diventata operativa in tutto il territorio nazionale. Alla presentazione ufficiale dell’applicazione il Prefetto Franco Gabrielli, Capo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha spiegato che “YouPol non è una sorta di Grande Fratello. L’app non è uno strumento di delazione, non abbiamo bisogno di avere spioni sul territorio. È una modalità di colloquio tra le Forze di polizia e i cittadini, perché abbiamo bisogno di cittadini sempre più consapevoli e che si facciano partecipi del sistema di sicurezza, a partire dai giovani. Non è uno strumento repressivo bensì preventivo”. Una volta scaricata l’applicazione è possibile registrarsi o proseguire in forma anonima per


un’eventuale segnalazione. In entrambi i casi la Polizia di Stato esaminerà la segnalazione alla stessa maniera. La registrazione però permette di seguire l’operato della Polizia in base alla segnalazione ricevuta, integrare le informazioni già trasmesse, se incomplete, e visualizzarle in qualsiasi momento. All’avvio della app l’apparato interroga il GPS e ne rileva le coordinate. Al momento dell’invio del messaggio, l’apparato rileva nuovamente le coordinate per allegare alle informazioni comunicate la posizione corrente.

Il calendario della Polizia di Stato 2019 L’attività della Polizia di Stato illustrata attraverso i disegni di dodici famosi fumettisti. Queste saranno le tavole che rappresenteranno i mesi del 2019 nel nuovo calendario istituzionale della Polizia di Stato, i proventi della cui vendita – come accade ininterrottamente dal 2001 – finanzieranno alcuni appelli umanitari dell’UNICEF. In questi diciotto anni è stato possibile devolvere oltre due milioni di euro a supporto di numerosi progetti a sostegno dell’infanzia e contro lo sfruttamento dei minori in Cambogia, Benin, Congo, Guinea, Repubblica Centro Africana. Solo lo scorso anno sono stati raccolti 117.000 euro destinati al progetto UNICEF “Italia - Emergenza bambini migranti”. Il ricavato della vendita dell’edizione 2019 del calendario sarà destinato al sostegno del progetto “Yemen”, teatro di una delle più

Al termine dell’invio, non viene più interrogato il GPS quindi non viene seguito l’utente nei suoi spostamenti successivi. L’utente avrà anche la possibilità di effettuare una chiamata di emergenza, utilizzando un pulsante ben visibile di colore rosso, alla sala operativa della provincia nella quale si trova. Dall’avvio del progetto a oggi, i download effettuati sono stati più di 150.000, le segnalazioni per casi di bullismo oltre 1.000 e quelle per uso di sostanze stupefacenti più di 2.000.

gravi crisi umanitarie del mondo dove oltre 22,2 milioni di persone necessitano di assistenza immediata. L’UNICEF si prefigge di raggiungere, con i propri interventi, 17,3 milioni di persone, tra cui 9,9 milioni di bambini attraverso azioni che garantiscano l’accesso sicuro all’acqua, la prevenzione e la cura delle malattie killer più frequenti e il supporto psicosociale ai bambini e adolescenti attraverso percorsi di educazione. Inoltre una quota del ricavato delle vendite del calendario sarà devoluto dal Comitato Italiano per l’UNICEF al Fondo Assistenza per il personale della Polizia di Stato. È possibile prenotare il calendario nella versione da parete (al costo di 8 euro) e nella versione da tavolo (al costo di 6 euro) entro il 24 settembre, effettuando un versamento sul conto corrente postale nr. 745000, intestato a “Comitato Italiano per l’UNICEF”. Sul bollettino dovrà essere indicata la causale Calendario della Polizia di Stato 2019 per il progetto UNICEF “Yemen”. La ricevuta del versamento dovrà poi essere presentata agli Uffici Relazioni con il Pubblico di tutte le Questure d’Italia che forniranno dettagli sulla consegna. Attenzione, questo è l’unico calendario ufficiale della Polizia di Stato i cui costi e le modalità di acquisto sono state appena indicate e sono disponibili sul sito www.poliziadistato.it. La Polizia di Stato non propone l’acquisto del suo calendario (oppure della sua rivista ufficiale “Poliziamoderna”) telefonandovi a casa; se venite contattati da sedicenti poliziotti per la sottoscrizione di un qualsivoglia abbonamento rifiutate e contattateci immediatamente. |

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E M PAT I A E D E D U C A Z I O N E

Rubrica di Cristian Vecchiet

P E D A G O G I A

Quanto conta la morale?

I crescenti atteggiamenti di aggressività giovanile sono la testimonianza che qualcosa nel patto generazionale si è rotto. A partire dall’insegnamento di un modo etico di stare al mondo. Studenti che alzano le mani sui docenti. Genitori che aggrediscono i professori dei figli. Minorenni che lanciano uova contro una ragazza. Adolescenti che girano armati. Avvenimenti di aggressività giovanile si verificano da sempre. Eppure la percezione comune (e non solo) è che qualcosa negli anni sia peggiorato, qualcosa nel patto generazionale si sia rotto, qualcosa non funzioni più come prima. Senza voler entrare in tutta l’articolazione della questione – compito semplicemente impossibile – è il caso di sottolinearne alcuni tratti. Innanzitutto una questione a monte: molti hanno smesso da tempo di credere che l’educazione sia un fenomeno morale e che educare voglia dire anche formare ai valori morali. Questo è un punto determinante. L’educazione, infatti, si articola mediante un insieme di pratiche, rette da una comune intenzionalità, che introduce un cucciolo d’uomo alla realtà e quindi anche a un determinato modo di vivere. Educare equivale a umanizzare, cioè a favorire la crescita di quanto vi è di più umano nell’uomo. La pratica educativa è una pratica morale e forma a un modo etico di stare al mondo. A giustificare il nesso tra educazione e moralità vi è un presupposto di ordine antropologico. Non esiste identità umana che non sia al tempo stesso un’identità morale. La morale è parte integrante e costitutiva dell’identità della persona. Identità e moralità sono legate da una connessione inscindibile. La persona è inevitabilmente, sempre e comunque, un soggetto morale, qualcuno che 60

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fa propria una visione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e soprattutto che mette in pratica uno stile di vita moralmente orientato. Infatti, ogni uomo porta con sé una domanda, a cui cerca inesorabilmente di rispondere: «Qual è per me il modo migliore di vivere?» (Ch Taylor). Alla base dell’identità personale e quindi della moralità vi è il rapporto con l’altro. L’altro è parte integrante della persona e questo legame è costitutivo dell’identità. Senza l’altro io non esisto. Senza l’altro non esiste umanità. Il rapporto con l’altro è la via principale di conoscenza di sé, di accesso a sé, di costruzione di sé. Una delle chiavi di accesso all’altro e quindi a se stessi è l’empatia. L’empatia è quell’atto che ci permette di percepire la presenza di un’altra persona diversa da noi e simile a noi. Quest’atto ci consente di percepire l’evidenza della presenza dell’altro (E. Stein), come di una persona dotata di un mondo esteriore e interiore come lo siamo noi e, in ultima analisi, di cogliere il suo valore intrinseco, pari al nostro. Di più, è proprio sperimentando i rapporti empatici che capiamo come senza l’altro noi non siamo noi stessi e che, in qualche modo, il rapporto con l’altro ci rende maggiormente noi stessi, ossia potenzia la nostra umanità. Se questo è vero, la portata educativa dell’empatia è decisiva. Se l’empatia rappresenta una speciale porta di accesso al mondo dell’altro e quindi al nostro, è chiaro che lo sviluppo di questa capacità favorisce la maturazione di una personalità eticamente più solida, maggiormente capace di rispettare l’altro e se stessa.


L’empatia si qualifica per il riconoscimento del mondo dell’altro e, in particolare, del suo mondo emotivo e affettivo. Riconoscere gli stati d’animo che l’altro prova vuol dire non minimizzarli o, peggio ancora, negarli. Vuol dire dare ad essi il giusto peso e saperli chiamare col nome corretto. Ma è possibile educare alla competenza e a uno stile empatico? Di certo l’adulto ha la possibilità di darne innanzitutto una opportuna testimonianza. Un genitore può e deve ascoltare i figli, con attenzione e non in modo distratto. Chiedere loro cosa è successo durante la giornata e cosa hanno provato, aiutandoli a esprimere pensieri e sentimenti, è un modo per favorire la crescita del contatto col mondo interno proprio e quindi con quello altrui. Gli adulti stessi possono esprimere quello che hanno provato in certe situazioni. Chiaramente questo va calibrato a seconda dell’età, della maturità del figlio o del ragazzo e della situazione. Bisogna sempre evitare di trattare il bambino o il ragazzino come un adulto, così come è opportuno evitare di trattarlo come un bambino quando è adolescente. Raccontare che la vita al lavoro a volte è molto soddisfacente ma a volte è pesante può essere opportuno. Dire che si è stati in ansia perché il figlio non è rientrato in orario e non era reperibile al cellulare oppure che si è rimasti male di fronte a determinati comportamenti è del tutto legittimo, sano e talvolta persino doveroso. E poi possono esprimere pensieri e sentimenti di fronte a episodi che riguardano altre persone. Raccontare la fatica che qualcuno ha dovuto sostenere per ottenere un risultato non semplice, la gioia che ha provato un amico alla nascita del figlio o il dolore

provato a causa di ingiustizie subite, può insegnare l’arte di mettersi nei panni degli altri. Molti altri sono i canali che possono aiutare a far maturare lo spirito empatico. Si pensi alla lettura dei romanzi: Fedor Dostoevskij è un autore finissimo nella lettura dell’animo umano e della complessità delle situazioni morali. Oppure ai versi che Dante dedica alla donna di cui è invaghito. Ma anche alla “Pietà” di Michelangelo: la madre che tiene tra le braccia il figlio, la sofferenza atroce che si fa vita per la redenzione. Senza dimenticare i film e i cartoni animati che parlano di affetti e di riconoscimento dell’altro. Le occasioni per innescare processi di crescita empatica sono davvero infiniti. Non è sempre facile costruire rapporti educativi. Eppure è un processo affascinante e necessario, da affrontare se vogliamo tessere o ricucire un patto tra le generazioni che sia qualificato da valori che sappiano introdurre il cucciolo d’uomo nella realtà e aiutarlo a diventare adulto, cioè libero e responsabile. L’educazione a uno stile relazionale e sociale empatico potrebbe rappresentare una via di accesso preferenziale al mondo delle nuove generazioni e soprattutto un sentiero opportuno per favorire la maturazione di personalità capaci di ascoltare gli altri e tessere rapporti interpersonali e sociali ispirati al rispetto del prossimo e, perché no, anche alla solidarietà nei suoi confronti.

Cristian Vecchiet

Docente di Teologia dell’Educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia


DROGHE LEGGERE

Cosa si intende per “light”?

Rubrica a cura di Andrea Fiore

S O C I E T À

Mentre continua il dibattito sulla legalizzazione della cannabis, il suo utilizzo è sempre più diffuso tra i giovanissimi. Con pesanti conseguenze in termini di disturbi comportamentali.

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Mentre in Italia il dibattito sul libero utilizzo della cannabis procede senza chiarezza, con favorevoli e detrattori arroccati sulle rispettive visioni, il suo utilizzo tra i giovanissimi continua a crescere a dismisura, dimostrando una volta di più che parlare di un problema senza giungere mai a conclusioni difficilmente condurrà a risultati positivi.

Alcuni potrebbero richiederla per trascorrere in maniera diversa una serata tra amici, altri per motivi ancora diversi… Nella convinzione che essendo una droga leggera e liberalizzata non faccia male alla salute. Eppure tutte le droghe moderne – compresi alcol e sigarette – derivano da sostanze naturali e sono legali, ma non vuol dire che facciano bene.

La verità? Sta nel mezzo

Occhio al “light”

Sia coloro che spingono per la liberalizzazione della cannabis, sia quelli che la contrastano hanno ragioni reali e concrete. Dire che la cannabis uccide è infatti sbagliato, esattamente come affermare che la cannabis non faccia male. Come tutte le droghe ha alcuni aspetti positivi e altri negativi: per questo bisognerebbe affrontare il ragionamento senza ideologie, ma con grande attenzione a tutti i dettagli. Una delle grosse problematicità della questione è infatti la banalizzazione che rischia di coinvolgere anche altre sfere.

Passaporto verso dove?

L’unica certezza che possiamo analizzare è che la liberalizzazione della cannabis porterà inevitabilmente a un suo maggior utilizzo, conseguenza dell’aumentata platea di persone che potranno richiederla. Di fatto diventerà una sorta di passaporto per muoversi liberamente in questo contesto, con un semplice problema: muoversi in che modo e verso dove? |

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Nella nostra società il termine “light” viene spesso abusato in ambito commerciale per sdoganare i rischi per la salute di determinati prodotti. Dalle bevande gassate per giungere fino al fumo, il “light” diventa quel grimaldello che fa credere alla gente di consumare qualcosa di sano o, quantomeno, di non dannoso per la salute. E ciò tende a stimolarne l’acquisto. Recenti dati statistici aiutano a spiegare meglio: dopo il via libera alla sigaretta elettronica, il mercato del tabacco è letteralmente esploso, facendo aumentare la richiesta di sigarette light, ritenute meno dannose di quelle tradizionali. Tralasciando che diversi studi hanno segnalato la loro elevata nocività, oltre al danno ci troviamo di fronte anche alla beffa: ritenendo che facciano meno male, le persone ne acquistano e ne consumano di più. Perché “se prima fumavo 10 sigarette normali al giorno, ora ne posso fumare 20 light…” Lo stesso discorso avviene anche per gli alcolici, in particolare per la birra: la diffusione delle birre light ha infatti contribuito all’aumento del consumo, con conseguente ampliamen-


to del business dei produttori. Anche perché, per la legge del mercato, i miracolosi prodotti light costano di più di quelli standard.

Il rischio maggiore? Le manipolazioni

Se la manipolazione del marketing ha già ottenuto successo, un altro genere di manipolazione rischia invece di creare seri danni. Mi riferisco a quella del prodotto. Una moda sempre più in voga tra le nuove generazioni, affascinate dalle sperimentazioni fai da te, ignorando quali rischi e complicazioni possano arrecare alla salute. Già oggi sono numerosi gli esempi di persone che utilizzano appositi spray legalmente in commercio per spruzzarli sul tabacco allo scopo di trasformarlo in uno spinello. Domanda tanto provocatoria quanto drammaticamente concreta: cosa accadrebbe se queste sperimentazioni fossero fatte direttamente sulle droghe leggere? Facile intuire che il “light” sia destinato a venire “appesantito”: situazione che peraltro avviene già oggi tra molti dei giovani che riescono a procurarsi la cannabis. Con pesanti ripercussioni a iniziare dai comportamenti alterati dei ragazzi fino a giungere, in taluni casi, a veri e propri danni psichiatrici che rischiano di provocare problemi mentali destinati a perdurare tutta la vita.

dott. Andrea Fiore

Medico delle Farmaco-Tossicodipendenze, psichiatra andrea.fiore@imagazine.it


BARCOLANA 50 Servizio della redazione. Immagini di Archivio Barcolana

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Domenica 14 ottobre la regata più affollata al mondo festeggerà un compleanno speciale. Che Trieste vuole celebrare degnamente tra grandi eventi e uno scenario naturale senza eguali.

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Che la cinquantesima edizione della Barcolana non sarà come tutte le altre lo si è compreso già lo scorso 25 luglio durante la tradizionale conferenza stampa di presentazione a Trieste nella sede della Società Velica di Barcola e Grignano, organizzatore della manifestazione. Per celebrare lo speciale anniversario, infatti, in quella data è stata varata Barcolana50: «Una barca – ha dichiarato il presidente della SVBG, Mitja Gialuz – che meglio ci rappresenta e racconta la nostra storia, che parte da lontano, da quella frase pronunciata dai nostri fondatori: “Hai una barca, hai una vela? Allora puoi partecipare”. Ispirati dalle nostre origini, abbiamo realizzato nei mesi scorsi un’imbarcazione, una passera della tradizione adriatica, innovandola. Attorno a un tavolo abbiamo messo il progettista Federico Lenardon, il velaio Mauro Parladori con Olimpic Sails, Giorgio Ferluga e i maestri d’ascia del Cantiere Alto Adriatico, Motomarine per l’attrezzatura, la nostra esperienza e professionalità, il sup-

porto economico del nostro sponsor SIAD: in poche settimane è nata Barcolana50, ed è una barca che ci rappresenta perfettamente; tradizione, modernità, rispetto per l’ambiente, la forza del know how Adriatico che sono i pilastri di Barcolana, della nostra gente di mare, dell’economia blu del Nord Est». La polo del cinquantenario – Il colore Marine Blue, invece, caratterizza la polo ufficiale del cinquantenario, prodotta anche quest’anno da SLAM: «Barcolana è indimenticabile, ogni Barcolana lo è. L’edizione numero 50 è però anche irripetibile: un’icona. SLAM – sottolinea Gialuz – celebra l’evento degli eventi con una linea di capi e accessori che gridano la voglia di dire “io c’ero”. Non solo un omaggio alla regina delle regate pop, ma veri e propri must destinati a lasciare un segno e scolpirsi nella memoria di tutti gli amanti del mare, delle competizioni e dei grandi momenti della storia». Iscrizioni aperte: in regalo le tazze “vintage” dei marinai per celebrare i cinquant’anni – Aperte da settimane le iscrizioni online alla cinquantesima edizione, il primo a formalizzare la propria partecipazione è stato il friulano (residente a Udine) Stefano Miani, con la sua Psiche. Dopo il record di iscritti raggiunto nella scorsa edizione, quest’anno la Barcolana vuole ringraziare tutti i partecipanti, e ha pensato a un regalo – oltre alla tradizionale sacca SLAM – per tutti gli iscritti, in linea con la Cinquantesima edizione: un diario di bordo dedicato agli armatori e ideato da Fincantieri e una coppia di tazze “vintage” in stile marinaro, personalizzate con il logo Barcolana, in edizione limitata solo per gli iscritti, e regalate in coppia. Sono prodotte in metallo e smaltate, e sono due (una rossa e una blu, come i colori dell’evento) per evocare e ricreare i momenti conviviali della crociera, dei racconti di mare e di avventure vissute, anche


Le polo ufficiali di Barcolana 50.

Il varo dell’imbarcazione Barcolana50.

in Barcolana. Il regalo viene aggiunto al contenuto del- Il calendario condiviso – Sono oltre cento le associala sacca di Barcolana. zioni, i privati e le realtà economiche che hanno aderito al bando per creare il calendario partecipato degli #ceroanchio e il racconto dei 50 anni – È #ceroanchio eventi a terra di Barcolana. 103 proposte che Barcolal’hashtag ufficiale della cinquantesima edizione della na ha valutato per arricchire ancora il proprio calenBarcolana, che permetterà a tutti i velisti e al pubblico dario eventi, in collaborazione con tutti gli appassiodell’evento di raccontare non solo la Barcolana “in cornati di mare, di vela e di Barcolana. «Ancora una volso” ma anche di andare indietro nel tempo, condividenta – conferma Gialuz – la nostra città risponde con afdo immagini e ricordi delle precedenti edizioni. «Il Cinfetto, inventiva, creatività, alle iniziative di Barcolana. quantesimo della Barcolana – spiega Gialuz – non è una Per quanto noi amiamo e conosciamo Barcolana, il noautocelebrazione, ma è il racconto costruito dai partecistro pubblico ha saputo portarci idee che mai avrempanti, da quanti hanno vissuto in mare o a terra l’evenmo pensato da soli: piccoli eventi e grandi progetti, to. Sono già un migliaio le immagini arrivate, pubblicate nuovi punti di vista e nuove interpretazioni del nostro sul nostro sito web attraverso un “wall” e condivise sui evento. Inseriremo gli eventi che si adattano al nostro social. Ringrazio tutti i fotografi che hanno seguito Barcalendario e sono compatibili con il budget a disposicolana in questi anni e hanno voluto condividere con noi zione, ma non lascieremo andare le idee (alcune davle loro fotografie, e ringrazio tutte le persone che stanvero geniali e divertenti) che non si possono realizzano mandando le loro immagini, facendoci scoprire store in breve tempo, ma che potremo proporre assieme rie e momenti di Barcolana che non abbiamo mai visto. il prossimo anno”. Ne aspettiamo altre, tantissime, per continuare ad alimentare quel racconto condiviso che è, da sempre, nel I top eventi dell’edizione 50 – Sono numerose le iniziaDNA di Barcolana». tive che verranno presentate a inizio settembre, nella seAnteprima: la città pavesata – Spettacolare si prean- conda parte del road show di promozione che coinvolgerà nuncia anche il coinvolgimento visivo della città nell’e- Venezia, Roma, Genova, Monaco di Baviera e ulteriori vento: «In occasione della Barcolana 50 – annuncia il località italiane, puntando a dei “microtarget” per favoripresidente della SVBG – vogliamo che tutta la città sia re la promozione turistica e aumentare la quota di pubblicoinvolta. Siamo partiti dal concetto del Gran Pavese, co che proviene da fuori città e fuori regione. il carosello di bandiere che nella marineria rappresenPer essere sempre aggiornati sugli eventi di Barcolata la festa e la celebrazione di un successo. Abbiamo rielaborato le bandiere del Gran Pavese, realizzando una na 50 è sufficiente consultare il sito internet www.barsequenza di simboli che evocano il nostro logo e la no- colana.it stra promozione internazionale: stiamo producendo delle bandiere che doneremo a chi abita lungo le Rive, affinché i palazzi di Trieste possano partecipare alla Barcolana, ed essere protagonisti vestendo a festa, “pavesando” – come scrisse Gillo Dorfles ricordando la sua Trieste d’altri tempi – la città». Di fianco, il villaggio della Barcolana lungo le rive di Trieste. Pagina accanto, in apertura: la partenza della passata edizione della regata; in basso Mitja Gialuz. |

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SPORT

CANOA SAN GIORGIO Servizio e immagini di Ermanno Scrazzolo

Faticando sull’acqua Nel 2017 è risultata la prima società canoistica d’Italia vincendo la speciale classifica “Sergio Orsi”. Quest’anno ricorre invece il cinquantesimo della sua fondazione: l’occasione per rivivere una storia di successi.

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Ricorre quest’anno il cinquantesimo anno di fondazione dell’ASD Canoa San Giorgio di Nogaro. Sebbene gli inizi dell’attività risalgano al 1965 come Dopolavoro ferroviario (DLF), sezione Canottaggio, l’8 giugno 1968 è la data ufficiale in cui la realtà sangiorgina si affilia alla FIC (Federazione Italiana Canottaggio). Fin da subito le uscite in acqua avvengono sul fiume Corno, proprio a San Giorgio di Nogaro, a 6 chilometri dalla laguna. Nel 1972 su quelle acque viene organizzata la prima gara dimostrativa con la presenza delle società remiere Timavo di Monfalcone e Ausonia di Grado, oltre alla compagine locale. Il 1977 è un anno importante, perché prende avvio anche l’attività canoistica e da quella data in società si praticano sia il canottaggio che la canoa. Trascorrono cinque anni e nel 1982 arriva il primo titolo italiano di canoa con il K2 ragazze di Marzia Zanon e Loredana Taverna allenate da Adelfi Scaini, a cui fa seguito una espansione del settore che porterà alla conquista di numerosi titoli italiani sia maschili che femminili.

Nella seconda metà degli anni ottanta, in accordo con il DLF, la società si rende autonoma e prende il nome di Canoa San Giorgio e nel 1987 sposta la propria sede da Porto Nogaro all’altra sponda del fiume Corno, in via Famula, dove il Comune ha fatto costruire una nuova canottiera che viene ceduta in comodato alla Canoa San Giorgio. Gli spazi della nuova sede consentono uno sviluppo societario con un notevole aumento nel numero degli iscritti alla pratica sportiva della canoa e del canottaggio; inoltre, la struttura si dimostra adeguata all’organizzazione di gare sia di canoa che di canottaggio, essendo il fiume Corno, canalizzato negli anni settanta, adatto come campo di gara per ambedue le discipline sportive. Vista anche la vicinanza del nuovo campo di gara al casello autostradale e al confine orientale dell’Italia, il centro ha un immediato successo nell’organizzazione di manifestazioni nazionali giovanili quali il Gran Premio Giovani di Canoa e il Festival dei Giovani di Canottaggio, oltre a gare internazionali di canottaggio quali l’Esagonale a cui tutt’ora vi partecipano le rappresentative giovanili di Slovenia, Istria Croata, Alta Austria, Carinzia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Negli anni vengono organizzate anche gare di canottaggio denominate Alpe Adria e sponsorizzate dalla Regione FVG con lo scopo di migliorare i rapporti fra popoli geograficamente vicini, ma divisi dalla Cortina di Ferro. In apertura, Campionati italiani di canoa maratona a San Giorgio di Nogaro nel 2012. Di fianco, il centro canoa sangiorgino.

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Nel 2005 la Canoa San Giorgio ospita le gare di canoa relative ai Giochi EYOF (European Youth Olympic Festival) in cui confluiscono i giovani canoisti in rappresentanza di 34 nazioni europee. Nel 2011 ospita i Campionati Europei Master di Canoa e Canottaggio, mentre dal 2004 al 2012 ospita il Trofeo Internazionale di Canoa Polo “Franco Baschirotto”. Il tutto senza scordare le altre manifestazioni importanti organizzate nella struttura sangiorgina: Campionato Italiano di Canoa Maratona (1997 e 2012), Internazionale di canottaggio Alpe Adria (1990-91-9293-96), la cinquantesima edizione dell’Esagonale di canottaggio (2007), Campionati Italiani Universitari di Canoa e Canottaggio (2009), Campionati Italiani di Canottaggio in tipo regolamentare (2009), Campionati Italiani di Canoa per le Categorie Master (2013), Campionato Italiano di Canoa Maratona per K2 e C2 (2014), Campionato italiano di fondo per singolo e due senza (2014-2015-2016), sessantesima edizione dell’Esagonale, Campionati Italiani in tipo regolamentare e Campionati Italiani di fondo (2017). Intanto i ragazzi e le ragazze della canoa mietono allori sul campo sia nazionale che internazionale. Diversi atleti del Canoa San Giorgio hanno vestito la maglia della nazionale senior, quali Grazia Della Ricca, Cristian De Pollo, Luca Totis, Gloria Franco, Sofia Campana, Mattia Roson, e anche l’allenatore Paolo Scrazzolo ha occupato la posizione di tecnico della nazionale. Sempre nella canoa, nel 1997 Cristian De Pollo (passato alle Fiamme Gialle) vince l’argento e il bronzo ai Giochi del Mediterraneo; nel 2013 Mattia Roson ottiene la medaglia di bronzo agli Europei U23 e partecipa ai Campionati mondiali senior; nel 2013-2014 Sofia Campana (passata alle Fiamme Azzurre) partecipa ai Campionati mondiali senior e conquista l’argento ai Giochi del Mediterraneo e il bronzo ai Mondiali universitari. Anche nel canottaggio viene vinto un titolo italiano, ma il miglior risultato giunge nel 2017 con Luca Zemolin che ottiene il quinto posto con l’otto ai Campionati del mondo junior. I titoli tricolori vinti nella canoa, nelle varie categorie dai ragazzi ai master, a oggi sono 231 e comprendono 15 primi posti nella classifica nazionale della specialità “acqua piatta” e anche 8 primi posti nella classifica del Canoa Giovani riguardante gli Under 14. Nel 2017 la Canoa San Giorgio è risultata in assoluto la prima società canoistica d’Italia vincendo la speciale classifica “Sergio Orsi”.

Sopra da sinistra, 1967, in iole sul fiume Corno; anni ’90, l’8 sangiorgino con Roberto Ietri al centro. Fu lui a introdurre il canottaggio a San Giorgio di Nogaro. Sotto, gli atleti del Canoa San Giorgio che hanno partecipato ai Mondiali 2011. Da sinistra, Nicola Franco, Nicola Biondin, Sofia Campana, Paolo Scrazzolo (coach), Mattia Roson.

Artefice degli allori conquistati nel campo canoistico è indubbiamente Paolo Scrazzolo che, una ventina di anni fa, ancora studente Isef, prese in mano il settore tecnico e con passione e dedizione l’ha portato agli attuali livelli, raccogliendo allori in campo nazionale e internazionale. Oltre alle manifestazioni sportive il Direttivo del Canoa San Giorgio, attualmente presieduto da Massimo Beggiato, ha sempre messo la propria sede a disposizione dei Comitati regionali della canoa, del canottaggio e del Coni per assemblee annuali o altri raduni riguardanti il mondo dello sport. Per i brillanti risultati ottenuti dal sodalizio sui campi di gara e per le numerose manifestazioni sportive organizzate – a oggi sono più di 280 per un totale di oltre 370 giorni gara – il CONI nel 1989 ha conferito al Canoa San Giorgio la Stella di Bronzo al merito sportivo, e nel 2008 quella d’Argento. Sempre nel 2008, in occasione del quarantennale societario, è stato stampato il libro sulla storia della Società, scritto a quattro mani da Franco Stener e da Ermanno Scrazzolo. Quest’anno, per celebrare il 50esimo di fondazione, è stata coniata una speciale medaglia commemorativa. Ermanno Scrazzolo |

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F I G L I D I U N O S P O R T M I N O R E o v v e r o , s a r a n n o ( s t a t i ) q u a s i f a m o s i !

Il tiro con l’arco e altre storie Se l’invenzione della ruota segna l’inizio della storia dell’uomo moderno, quella dell’arco, molto più antica, segna l’inizio della dominazione dell’essere umano sulle altre specie animali. Ruota e arco sono entrambi simboli mitologici, essendo associati la prima al dio Iuppiter dei Galli, mentre il secondo è associato alla dea Diana dei Romani. E Rita Manzan (foto in basso), giovane atleta dell’Arco Club ‘Il Falcone’ di Lucinico, talentuosa ‘quasi neofita’ di questo sport, nel mio immaginario film mentale appare proprio come una novella Diana. «Ma io non andrò mai a caccia, non potrei proprio: il solo pensiero di poter fare del male a qualche creatura mi fa rabbrividie, anche se è vero che la mia specialità è quella dell’Arco 3D...»

Siccome di tiro con l’arco non ci capisco proprio niente, cos’è l’Arco 3D? «Nel tiro con l’arco esistono varie specialità, divise tra loro in base al tipo di arco che si usa e al tipo di gara. Per quanto riguarda i tipi di arco si va dal ‘nudo’, al ‘ricurvo’, al ‘compound’, mentre per le gare si va dall’Arco Olimpico, che è la specialità più famosa anche grazie ai successi degli arcieri italiani, alle gare di ‘campagna’, alla Sky Arcery, dove bisogna essere arcieri e 68

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sciatori contemporaneamente. L’Arco 3D è una delle specialità di tiro con l’arco nella quale, su percorsi ‘di campagna’ prefissati, si tira a delle sagome a 3 dimensioni, rappresentanti animali di varie specie e dimensioni». Cosa significa ‘di campagna’? «Innanzitutto che si svolgono all’aperto, quindi anche nei boschi, ovviamente dove si è autorizzati e sussistono le possibilità di ‘sgombero’ della zona di tiro, in modo che nessuno si faccia male». Già, non bisogna dimenticare che l’arco è un’arma... «In questo senso posso anche concepire il suo utilizzo nell’antichità per procacciarsi il cibo, ma io lo sento solo come gesto atletico, come attività coordinativa mente-corpo». Il famoso libro Lo Zen e il tiro con l’Arco... «Che non ho ancora letto e del quale tutti mi parlano». Come non l’ha ancora letto? «Ho cominciato da poco a gareggiare con l’Arco; prima facevo nuoto, ma non agonistico, poi l’anno scorso, sotto la guida del mio istruttore Danilo Chinese, mi sono ritrovata a scagliare una freccia, ed è stato amore a prima vista. Da allora tiro tutti i giorni … o quasi». Come mai proprio questa specialità? «L’arco ricurvo che uso è essenziale; senza fronzoli, diretto e in continuo cambiamento come la vita. Fra un tiro e l’altro può cambiare il vento, la forza con cui regoli l’arco e altre componenti; nelle altre gare non dico che non ci sia bisogno di sensibilità, ma ci sono più ‘supporti’, che non sento miei». Come si svolge una gara 3D? «I partecipanti vengono suddivisi in ‘Pattuglie’, le quali, agli ordini di un capo pattuglia e sotto il controllo di un arbitro, si avvicendano nelle varie postazioni di tiro. L’arbitro non è lì solo per controllare che si tirino i numeri di frecce previsti, ma anche funge da giudice di campo in quanto controlla che ci siano tutte le condizioni di sicurezza. Dopo aver scoccato tutti le proprie frecce, allora si procede al recupero e al conteggio punti». Quindi si gareggia solo a squadre? «No, ognuno gareggia per sè, il raggruppamento è solo ai fini dello svolgimento della gara. Però esiste anche il concetto di squadra di so-


Un’immagine di Dario Furlan, recentemente scomparso

cietà, solo che per poter accedere anche a tali classifiche bisogna avere una tiratrice per tre tipi di arco diversi… e non è facile essere in tre». Quante frecce si tirano in una gara? «Le gare 3D prevedono 24 piazzole, e per ogni piazzola si possono tirare due frecce, quindi 48». È necessario quindi avere anche un certo allenamento fisico… «Bisogna tenersi allenati sempre, sia nel corpo che nella mente. Io mi alleno tutti i giorni cominciando da esercizi di riscaldamento per avere le spalle libere e pronte, e poi faccio un ‘warm up’ di 50 frecce. Quindi si comincia: all’inizio si usano archi non troppo potenti, proprio perché non si è forti abbastanza, poi si sale come ‘Libbraggio’, anche perché più l’arco è potente e più la freccia resta stabile, insomma va più dritta». Ci vorrà il suo tempo per fare tutto; ma lei mi ricorda la dea Diana spesso raffigurata con un segugio ai suoi piedi... «Chi è autorizzato ad andare a caccia con l’arco può avere il suo cane da riporto, e in questo contesto l’emulazione dei tempi antichi è La concentrazione prima di scoccare la freccia

Rita Manzan con alcuni compagni della compagnia arcieri

molto fedele, ma io addestro cani per ‘Utilità e difesa’, non per la caccia». Cani di quali razze? «Solo una in realtà: il Pastore Tedesco. È una passione che condivido con mio papà Simone da tempi ormai immemori. Abbiamo entrambi preso il brevetto S.A.S. e ci stiamo organizzando per aprire un centro di addestramento ad Aquileia; speriamo di inaugurarlo a breve, magari all’inizio dell’anno prossimo. Il nostro obiettivo è di addestrare i cani, e i padroni, a essere dei ‘buoni cittadini’, nel senso che per una corretta vita sociale ognuno di noi, cani compresi, devono avere chiare le regole di convivenza, che invece, troppo spesso, sono trascurate per soddisfare le proprie passioni». Mi perdoni in anticipo una pessima battuta; ma ai cani parlate in tedesco? «In realtà sì, perché per dare gli ordini bisogna usare dei suoni perentori, che non ammettono ambiguità di interpretazione; in questo senso un imperativo teutonico ‘Sitz!’ è più efficace di un morbido ‘Seduto!’». Quali altri progetti per il futuro? «Oltre al centro di addestramento vorrei cogliere qualche successo sportivo, anche perché grazie all’arco ho conosciuto persone speciali, alle quali sono molto legata, e vorrei chiudere dedicando, a nome di tutta la mia compagnia arcieri, un pensiero a Dario Furlan, uno dei nostri, purtroppo, recentemente e prematuramente scomparso». E lo sport vero è questo; rispetto, stima, senso di fratellanza, condivisione, affetto. E noi ci uniamo al cordoglio, perché è bene ricordarlo che anche l’amore arriva con una freccia (sentimentale) diritta al cuore.

Michele D’Urso Chiunque voglia segnalare “un mito della porta accanto”, può scrivere alla redazione di iMagazine:  redazione@imagazine.it


TURIPESCA Rubrica di Livio Nonis Supporto tecnico di Dario Vetta

Lago del Predil Prima tappa del giro turistico del Friuli Venezia Giulia, pescando nei vari endemismi che formano un fiume.

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Situato a una decina di chilometri da Tarvisio, nel meraviglioso territorio delle Alpi Giulie, il Lago del Predil (o di Raibl) è il luogo perfetto per una vacanza in montagna o per una giornata rilassante lontano dalla città. Circondato dalla folta vegetazione di faggi e abeti, il lago di Predil, secondo per estensione in tutto il Friuli Venezia Giulia, si trova lungo la strada statale n. 54, nelle vicinanze dell’abitato di Cave del Predil e dell’omonimo passo da cui prende il nome. Situato nella valle del Rio del Lago racchiusa dai gruppi montuosi dello Jof Fuart e del Canin, a 969 m. di quota, originato dallo scioglimento di antichi ghiacciai, viene alimentato dal Rio di Saletto che scende da Sella Nevea, è largo 500 m., lungo 1 chilometro e mezzo e profondo circa 30 m. Nelle sue limpide e gelide acque si specchiano le suggestive cime delle Cinque Punte (1919 m.). Il lago offre 2000 metri quadrati di spiaggia attrezzata perfettamente, ove è possibile noleggiare attrezzatura nautica per praticare le più disparate discipline sportive. Dal kajak alla surf bike, dalle mute alle barche a remi e a vela, ai pedalò, qui troverete tutto il necessario per trascorrere una giorna-

ta attiva, confortati da un paesaggio di indiscussa bellezza. Nelle vicinanze si trova inoltre un panoramico punto di ristoro.

I pesci

Endemico del lago è il “Salvelinus alpinus”, un pesce molto simile alla trota comune, che presenta alcuni caratteristici segni di riconoscimento: ha le pinne ventrali, pettorali e anali, con bordo color bianco vivo, inoltre il dorso verde oliva ha macchie chiare diversamente dalle altre specie di trota nelle quali le macchie sono più scure; nel periodo riproduttivo il maschio si distingue per il colore rosso sangue delle pinne inferiori e del ventre. Lo si cattura con più tecniche, “spinning” (ovvero con girevoli e ondulanti artificiali) e “a fondo” (ovvero con piombo scorrevole e amo innescato con anellidi), ma la tecnica principe è “a passata con il vivo” ovvero innescando l’amo, sorretto da un galleggiante e un paio di piombini che lo bilanciano, con un pesciolino vivo preferibilmente autoctono.

Laghi alpini

I laghi alpini (com’è quello del Predil) sono abbastanza estesi e collocati a un’altitudine piuttosto eleTipica canna da spinning con l’attrezzatura utilizzata per la pesca.

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vata, occupano conche scavate dai ghiacciai che un tempo coprivano l’intera Catena Alpina e alcuni sono situati ai bordi inferiori degli attuali ghiacciai. Generalmente prendono la loro denominazione dalle località, o paesi, che vi si affacciano. Spesso la loro capienza è stata aumentata mediante la costruzione di dighe, allo scopo di costituire più cospicue riserve idriche da utilizzare per la produzione di energia elettrica. Caratteristica imprescindibile del lago alpino è quella di avere una buona percentuale di acque di fusione molto fredde, pulite e trasparenti.

Da visitare

Nei pressi del lago c’è il villaggio di Cave del Predil, frazione di Tarvisio. Nato come villaggio operaio per i minatori che estraevano solfuri di zinco (Blenda) e piombo (Galena) dal monte Re, cioè dalla principale miniera di piombo e zinco dell’intero arco alpino. Cave, che nel 1898 aveva già la luce elettrica in tutte le abitazioni grazie alla costruzione della prima centrale idroelettrica con potenza di circa 300 kwa che doveva fornire energia elettrica agli impianti della miniera, ha avuto a un certo punto della sua storia oltre 4.000 abitanti, ben più della stessa Tarvisio, e una prospera economia, visto che gli stipendi dei minatori erano comunque migliori rispetto a quelli di qualsiasi operaio in fabbrica Tutto il paese di Cave merita una passeggiata. Le case popolari presentano sulle facciate i simboli del lavoro, conducendo il visitatore a fare un vero e proprio tuffo nel tempo, riportandolo a quegli anni in cui questo paese pulsava attorno alla sua miniera e la domenica i lavoratori indossavano orgogliosi la divisa della festa per partecipare alle cerimonie. Molto interessante è la visita al museo e le escursioni guidate in parte della miniera.

Qui sopra e in apertura, due immagini del lago del Predil. Qui sotto, il Fontanon di Goriuda, e un esemplare di Salvelinus, tipico pesce del loco.

E inoltre…

Finita la giornata di pesca e le eventuali visite a Cave, non è una brutta idea rientrare passando per Sella Nevea, percorrendo la strada della Val Raccolana dove si può ammirare l’imponente Fontanon di Goriuda, detto anche “La cascata del Sole”, percorrendo un breve sentiero che conduce alla base della cascata e alla fresca pozza d’acqua che si forma prima di defluire nel torrente Raccolana. La leggenda narra che la cascata sbuca da una grotta abitata dall’orco Goriuda e dai suoi Nani. Livio Nonis

Gastronomia

Ottimo motivo per fermarsi al Fontanon è anche una meritata sosta alla trattoria, a cucina familiare, dall’omonima insegna, che offre a prezzi più che favorevoli ottimi piatti tipici tra i quali si distingue il filetto di trota affumicata. Info e prenotazioni: 338 6750580 / daniele.delamea@gmail.com |

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FRIULI SCONOSCIUTO

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Diritto feudale

LA VILLA PADRONALE DI BELVEDERE

Servizio di Eleonora Franzin. Immagini di Claudio Pizzin

Dal Patriarca di Aquileia a Carlo Magno, dai conti Savorgnan ai marchesi Colloredo: quando la storia di un edificio viaggia parallela alla storia di un’intera comunità.

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Nel Medioevo Belvedere era un piccolo feudo alle dipendenze del Patriarca di Aquileia. Quando, con la calata dei Franchi, Carlo Magno entrò in Friuli, il territorio di Belvedere, in seguito, dai patriarchi venne infeudato a diversi signori. Il feudatario abitava nel suo castello o nella villa entro il feudo, nei quali i contadini portavano il raccolto. Quando il signore prendeva possesso del suo feudo veniva celebrata la cerimonia dell’investitura che lo immetteva nel beneficio. Fu così che il 2 luglio del 1387 il Patriarca di Aquileia, residente a Udine, investì del feudo di Belvedere il nobile Federico Savorgnan. I Savorgnan, dapprima alleati dei Patriarchi aquileiesi e poi della Repubblica veneta, nel cui Consiglio risultano presenti fi n dalla seconda metà del secolo XV, avevano costruito, presumibilmente

verso la fi ne del Trecento, una prima casa-fortezza in località Centenara che, nei tempi bui dei continui rivolgimenti politici dell’epoca, poteva consentire loro un’eventuale via di fuga, per mare, verso Grado. Fu attorno a questo primo edificio, oggi scomparso, che si sviluppò il successivo complesso della villa e anche il borgo stesso di Belvedere. Allora il feudo di Belvedere comprendeva il centro di Belvedere, le isole centenarie, le piccole comunità di Muson e Morsano, e il diritto alle acque della laguna. Nel tempo il feudo si trasformò da vitalizio a ereditario e cosi i Savorgnan ne rimasero proprietari fi no al 1805, quando consegnarono la proprietà ai marchesi Colloredo. La villa, ancora visibile al centro del paese, è un complesso edilizio iniziato nel XVII secolo dai Savorgnan e poi ristrutturato e rielaborato dai marchesi Colloredo e in seguito dalla famiglia Fior. Il corpo centrale che vediamo oggi risale alla seconda metà dell’Ottocento, mentre la barchessa orientale conserva ancora alcune parti risalenti al XVII secolo. In apertura, vista dell’esterno della Villa Padronade di Belvedere. Di fianco, il viale alberato che conduce alla villa.

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Sopra, la Villa Padronale fotografata dall’interno del giardino, in mezzo alla vegetazione; di Belvedere; di lato, il cartello illustrativo posizionato all’esterno della villa.

Il complesso è costituito dal corpo dominicale dove abitavano i padroni e dagli annessi rustici che delimitano il cortile d’onore. Ulteriori edifici a destinazione rurale servivano all’azienda: qui i mezzadri portavano i raccolti e dividevano a metà i prodotti della campagna. Altri edifici fungevano da stalla. L’edificio padronale si erge maestoso in perfetto stile villa veneta.

Attualmente l’intero complesso (non più abitato) è sede privata dei proprietari del Belvedere Pineta Camping Village, che sorge sulla collina della Centenara. All’esterno della villa è stato posto un cartello illustrativo con alcuni cenni storici. Eleonora Franzin


S TAG I O N I E N AT U R A

Autunno, FIORI E PIANTE

tempo di trasformazione

Rubrica a cura di Rossella Biasiol. Immagini di Francesca Bottari

In passato era il momento per fare il bilancio della stagione calda, raccogliendo “i frutti del lavoro estivo” e preparando la scorta in previsione dell’arrivo dell’inverno. Per buon auspicio si realizzavano ceste con i prodotti raccolti. E se le riproponessimo nelle nostre cucine? Ecco con cosa potremmo riempirle…

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È arrivato il tempo del ritorno alla casa, l’estate svanisce, i suoi colori forti e accesi iniziano piano piano a tingersi di nero e di grigio, si spengono e magicamente si avvolgono di mistero. La natura non muore ma dona gli ultimi fiori, gli ultimi strascichi estivi prima di addormentarsi per rigenerarsi. L’autunno è una stagione calma che passa quasi inosservata ma che regala colori meravigliosi e sensazioni splendide: profumi di sottobosco, cioccolato caldo e torta di mele, aria più frizzante, nuvole che cambiano la forma, foglie che si tingono di rosso, giallo e arancio, balconi e finestre che si colorano di ciclamini, giornate che si accorciano. Per le persone normali questo periodo è collegato al rientro dalle ferie estive e all’inizio delle scuole, ma non è proprio così. Anche in questo appuntamento vi invito a curiosare nel tempo e nelle tradizioni per ritrovare erbe, fiori e frutta che ci accompagneranno con la loro energia di guarigione fino all’inverno. Nel calendario agricolo poco o nulla è rimasto delle festività legate all’autunno, ma i popoli antichi che vivevano in simbiosi con il Regno della Natura, in questo periodo si preparavano per celebrare due date molto importanti: Samhain, il nostro Ognissanti, e Mabon che incontriamo adesso in settembre. |

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Mabon è la festività dell’equinozio, giorno che si trova a metà fra i due solstizi: è un tempo di equilibrio quando giorno e notte sono uguali e astronomicamente si apre la porta all’autunno. Mabon era il dio della giovinezza e della luce, figlio della grande dea gallese Modron e, come tutte le divinità collegate al percorso del Sole e al concetto di rinascita, il suo destino ciclico era come quello di un fiore: nascere dalla Grande Madre, crescere, trasformarsi in frutto e tornare infine alla Terra per poi rinascere in primavera. Nel tempo antico questo era un momento per fare il bilancio della stagione, si raccoglievano “i frutti del lavoro estivo” e si preparava la scorta in previsione dell’arrivo della stagione fredda: una tradizione di buon auspicio consisteva nel riempire delle grandi ceste con i prodotti raccolti e banchettare per ringraziare gli dei dell’abbondanza ricevuta. La forma del grande cesto, che è anche il simbolo legato a Mabon, è la Cornucopia il cui significato dal latino cornu-corno e copia-abbondanza, è il seguente: “Vaso a forma di corno, riempito di frutti e coronato d’erbe e di fiori, simbolo della prosperità e della fertilità e attributo iconografico delle divinità ritenute dispensatrici dei beni della terra; in origine, uno dei corni della capra Amaltea, nutrice di Giove”.


La Cornucopia è anche una delle forme armoniose per eccellenza. Se la osservate con “occhi per vedere” noterete che è parte della spirale aurea: torniamo così al Fiore della Vita, al nautilus, alla galassia, alle nostre orecchie, ai nostri chakra… Torniamo alla Genesi. Benvenuto Autunno, dunque. Accogliamo con amore nelle nostre case questa stagione con la sua energia di trasformazione: in cucina la tavola preparata con tovaglia e tovaglioli di colori autunnali, decorata con un bellissimo cesto a forma di cornucopia riempito di noci, more, melograni, ciclamini, girasoli essiccati e foglie autunnali, accanto candele rosse e marroni al profumo di frutti di bosco e cannella: anche questo è riequilibrio energetico degli ambienti e delle persone. Un cesto da realizzare con la consapevolezza di quelli che saranno i doni di Madre Terra…

Melograno

Attributo della Grande Madre, nel suo duplice ruolo di colei che dona e che toglie la vita, la melagrana è simbolo sia di fecondità sia di morte, ne sono testimoni i frutti d’argilla trovati nelle tombe greche del sud Italia. Nell’antico testamento simboleggia la fecondità, la prosperità ma anche la femminilità. Con la sua energia, sia il fiore che il frutto rimettono in equilibrio le forze femminile e maschile, la creatività femminile e accrescono l’intuizione. Il suo messaggio dice: “...aiuterò a equilibrare il tuo essere portando la longevità nella tua essenza...”

rafforzare la volontà di portare avanti i progetti e di concretizzare le idee; lavorando sul terzo occhio aiuta a “vedere oltre il velo e le maschere”.

Noce

Simbolo di trasformazione e rinnovamento è portatrice di tesori e portafortuna. Per la teoria delle segnature, il gheriglio viene associato al cervello. Con la sua energia aiuta a trovare la propria essenza e a creare intorno a sé un vero e proprio scudo di protezione.

Girasole (foto in apertura)

Il nome Helianthus deriva da due parole helios-sole e anthos-fiore in riferimento alla tendenza di questa pianta a girare il capolino verso il sole; è un fiore cosiddetto eliotropico. Nel suo centro ritroviamo la spirale aurea e nel numero dei suoi petali la meravigliosa serie di Fibonacci. Con la sua energia risolleva l’umore, aiuta a sorridere e a essere felici. Il suo messaggio dice: “...è ora di cambiare, sii felice di essere chi sei...”

Ciclamino

Mora

Frutto antichissimo, la mora di rovo è una pian-

Fiore magico per eccellenza, porta un’energia in grado di allontanare le negatività e di avvicinare l’amore e la bellezza. La forma rotondeggiante del fiore, inoltre, viene spesso associata alla fertilità e alla maternità. Buona armonia ta spinosa appartenente alla famiglia delle rosaceae che cresce spontanea in quasi tutta l’Europa. Da sempre simbolo di convivialità e condivisione, viene annoverata fra i “frutti di bosco” insieme a mirtilli e lamponi. Con la sua energia aiuta a

Rossella Biasiol

Presidente della Scuola Fioristi del FVG www.scuolafioristifvg.it

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ADEGUATEZZA E QUOTIDIANO

L’ordine della Perfezione

Rubrica di Manuel Millo

S O C I A L E

La società dell’immagine e del consumo ci spinge a voler essere perfetti. Ma è realmente possibile? Se poi pensiamo che anche l’universo è stato generato dal caos primordiale…

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Vi è mai capitato di sentirvi non adeguati alla situazione che stavate vivendo in un determinato momento della vita? In una parola, eravate perfetti? Lo siete mai stati? L’avete mai ricercato? Ma cosa significa essere perfetti? E a cosa servirebbe? Il paradosso più grande è che se tutto fosse stato perfetto nemmeno l’universo si sarebbe formato (si dice infatti che si sia generato da un “caos” primordiale). Forse in alcuni casi gli incontri più importati della vita sono avvenuti per caso e magari non troppo perfettamente… Dunque come possiamo dire o volere raggiungere il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto e spesso quindi identificabile con l’assoluta o la massima compiutezza? E in modo particolare possiamo chiederci chi è che da dietro le quinte stabilisce quest’ordine di perfezione? Come può l’essere umano decretare un ordine assoluto se lui stesso assoluto non è? Il nostro intento è quello di mettere ordine a un dibattito oggi molto “di moda” e sull’onda di ogni media comunicativo. Perché si tratta di comunicazione. E |

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spesso comunicazione del sé per il sé che comprende l’altro. Pensiamo per un attimo a tutta l’attività social di questi anni: migliaia e migliaia di foto che ci ritraggono in ogni genere di condizione esistenziale, di certo non sempre rappresentano la nostra perfezione. Anzi, a volte tutto l’opposto. Ma siamo tutti diventati elementi partecipativi di un mondo esclusivo? Forse questa perfezione in realtà è semplicemente fittizia. Allora cosa riguarda e perché ci sentiamo richiamati a essa? Non è che per caso, come ricordava anche la guida sciamanica dello scrittore Carlos Castaneda, Don Juan, tutto riporterebbe a chiederci se la strada che stiamo percorrendo abbia o meno un cuore? Così per divertirci e riprendere in mano il nostro cammino dopo la pausa estiva proviamo a guardare quello che abbiamo fatto fino a oggi, il nostro percorso ma anche la nostra giornata in linea generale, il tempo dedicato alle cose del quotidiano. Vi torna tutto? Qualcosa è dissonante con ciò che vi eravate prefissati? Possiamo veramente pensarci al centro della nostra vita? Bisognerebbe proprio ritornare lì: che cosa ho messo al centro della mia vita? Incredibile che in questo contesto


di ricerca perfettiva oggi sembriamo apparire maggiormente in crisi di quando all’orizzonte non c’era apparentemente nulla se non la speranza di creare qualcosa di nuovo (penso all’esperienza dei nostri nonni). Un giorno mi è capitato di leggere una frase che spesso mi ritorna in mente, soprattutto quando vengo preso dalla frenesia del quotidiano: “Non rincorrete la vita: la vita vi aspetterà comunque”. E se la perfezione fosse proprio accettare l’imperfezione di cui facciamo parte? Se in una piccola attesa potessimo riscoprire che l’ordine si trova già dentro di noi? Non sarebbe una novità comprendere che spesso la caratterizzazione di una persona è data proprio dalle sue imperfezioni (lo sguardo, un sorriso, una mossa particolare, forse a volte buffa ma decisamente coinvolgente). Proviamo a porre ordine alla ricerca di perfezione, a misurarla con le aspettative più profonde per cogliere l’essenza e perché no anche i possibili inganni del mondo. In un saggio riguardante le passioni dell’anima, il filosofo Cartesio si era posto il compito di indagare cosa potesse comportare nella nostra vita e in modo particolare nella nostra salute il grande calderone ribollente di istinti che ci contraddistinguono e le influenze esteriori del mondo che spingono da ogni parte. Perché nella ricerca di questa potenziale perfezione che spesso segue le mode del momento più che i richiami dell’anima, un continuo senso di inadeguatezza estrinseca tenderebbe a velare il nostro vero ed efficace potenziale. Attualizziamo l’oggetto della ricerca: dove è scritto che tutti dobbiamo sempre essere i migliori? Migliori rispetto a chi? Qual è il metro di misura? Non sarebbe forse più opportuno riprendere il termometro delle nostre qualità e valorizzare i talenti personali? Per anni, ad esempio, le persone con disabilità sono state denigrate o incluse nella sfera del “peso sociale”. Oggi fortunatamente le cose sono cambiate. E gli ostacoli sono diventati punti di partenza per riscrivere la grammatica della vita. Allora ecco che in questi nuovi termini la dinamica della perfezione come ordine di perfezionamento potrebbe assumere nuovi intenti. Il lato opposto della medaglia potrebbe essere però quello di restare immobili e impassibili davanti alle possibilità di crescita e di miglioramento per-

sonale o sociale. Allora ecco che un nuovo punto di vista si staglia all’orizzonte. Perfezionamento come disfacimento del “non posso farcela”. Una funzione attiva che non rincorra la vita ma che le faccia prendere il volo adeguato, la sua funzione più poderosa. Come su ali d’aquila, con la forza di poter giungere alla meta, qualunque essa sia, senza giudizio giudicante ma con fermezza d’animo rispetto all’intendimento più profondo. “Mi abbeverai alla luce del cielo dopo che si furono dissolte le nebbie della tristezza”. Questa riflessione del filosofo Boezio ci permette di giungere alla sintesi del nostro percorso di ricerca attuale. È come se ci fossimo dimenticati le nostre origini, se la ricerca di perfezione non fosse altro che una ricerca identitaria di quel mondo delle idee di cui la realtà è semplicemente una copia, direbbe Platone. Ma il mondo che ci è dato a disposizione è l’opportuna integrazione per accedere a quel ricordo straordinario di interiore integrità che il cielo stesso ricorda, aggiungerebbe Aristotele. Come possiamo dire allora che l’imperfetto stesso non sia perfetto? Non avremo mai una risposta certa ma non è questo il nostro intento. Piuttosto aggiungerei che il buon discernimento quotidiano nella via dell’ordine, con delle buone domande a portata di mano, ci permette di tenere ben fermo in modo efficace l’indirizzo rispetto al vero obiettivo che soggiace alla ricerca dell’uomo. Una ricerca fatta di salite e discese (per non dire roboanti cadute), di percorsi emozionanti e anche altalenanti, ricchi di fantasia e con margini di oblio, ma sempre volta a una maggiore coscienza dell’essere piuttosto che dell’avere. Vanità delle vanità tutto potrebbe a volte apparire vanità e una corsa affannata dietro il vento, ma se fosse anche solo per un attimo, il fatto stesso di poter percepire un ordine superiore che fuori e dentro noi, così apparentemente imperfetti, ci permette di partecipare a una compiutezza altra e molto alta, diviene un miracolo che per la sua gratuità e la potenziale casualità di legame naturale mantiene vivo quel sogno innato, sempre desiderato, chiamato Perfezione con una ‘’p’’ molto maiuscola.

Manuel Millo

Membro Onorario AGCI Ass Gen Cooperative Italiane |

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chef…ame! Zucca a cuore rosso in agrodolce Ricetta del Maestro di Cucina Germano Pontoni

Preparazione

Ingredienti per 4 persone

Togliere la buccia e i semi alla zucca, tagliare a fette di mezzo centimetro, cospargere di sale e lasciare riposare per far perdere l’acqua di vegetazione. Asciugare con carta da cucina e friggere in abbondante olio. A parte, soffriggere l’aglio in olio di oliva. Togliere l’aglio, aggiungere la zucca, la menta e sfumare con l’aceto. Infine spolverare con lo zucchero, rivoltare le fette e lasciare cuocere per pochi minuti. Far raffreddare. La preparazione è ottima se servita fredda.

- 1 zucca di circa 1 kg

Ottobre il mese delle zucche Di tanti colori di tante forme: proverbi, detti, ricette nostrane e foreste, rimedi salutistici. È la zucca. Da qualche anno vuoi per la festa di Hallowen o per un momento di congiuntura economica, la zucca riprende la sua immagine nell’ambito culinario. Chi dice portata dai Fenici, chi dall’America, chi ancora la ricorda negli anni del boom economico come nutrimento per gli animali o chi ancora la ricorda come surrogato delle noccioline americane da consumare nelle affollate e fumose sale da cinema degli anni ’50. Mi collego a un progetto Interreg che vede come capofila il Comune di Fiumicello, impegnatosi con la collaborazione dell’Università di Trieste e di altri Enti di Slovenia, Emilia Romagna, Veneto e FVG per introdurre nei menu delle scuole primarie alcuni piatti della tradizione locale. Interessanti i piatti proposti da una regione della Slovenia imperniati su cibi molto sostanziosi; della Romagna con i passatelli; del Veneto con la macinata di trota per trasformare polpette e polpettine al posto di crocchette di pesce globalizzate. La nostra regione ha evidenziato una ricetta con ingrediente la zucca, lo storico “ZUFF o Pestarei” del vicino Veneto, ricetta che ricorda momenti particolari della civiltà rurale di ieri, trasformando la zucca in una prelibata crema di zucca. Questo piatto, che

- 1 spicchio d’aglio - 1 manciata di foglie piccole di menta - 4 cucchiai di olio extravergine di oliva - 1/2 bicchiere di aceto - 1 cucchiaio di zucchero - sale q.b. - olio per friggere

ha avuto molti consensi da parte degli studenti, è divenuto un’alternativa piacevole per una minestra autunnale dove tutti gli ingredienti semplici vengono esaltati da un filo di olio buono. E poi c’è la zucca che si presta anche a essere Germano Pontoni trasformata, oltre a Maestro di Cucina 347 3491310 minestre, a risotti, Cell: Mail: germanoca@libero.it a essere abbinata a carni di maiale, e ancora per preparare marmellate o creme per accompagnare formaggi… La polpa della zucca ha inoltre proprietà lassative e rinfrescanti: in Emilia, dove grandi estensioni di terreno agricolo alla fine dell’estate si colorano di giallo arancione delle zucche che, pronte per entrare nel mercato nazionale ed europeo, vengono confezionate sottovuoto o congelate sottoforma di prodotti come i classici tortelli o per molte altre preparazioni. Non a caso a Fiumicello si è voluto proporre la zucca: nella campagna al confine con l’antica Aquileia, le aziende agricole che la producono sono numerose e con varietà interessanti. Poco conosciuta questa zucca? Un vecchio detto dice che con un po’ di sale in zucca si arriva molto lontano… |

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I tuoi eventi su iMagazine!

FOLKLORE

Visita il sito www.imagazine.it, entra nella sezione eventi e segnala direttamente on line le tue iniziative.

Legenda Caffetteria

Afterhour

Birreria

Eventi a tema

Enoteca

Sale convegni

Special drinks

Musica dal vivo/karaoke

Stuzzicheria

Musica da ballo

Vegetariano/biologico/regimi

Happy hour

Cucina carne

Giochi

Cucina pesce

Internet point

Paninoteca

TV satellitare/digitale

Pizza

Giochi e spazi per bambini

Gelateria

Pernottamento

Catering

Buoni pasto

Organizzazione feste

Parcheggio

13-16 settembre ▶ Friuli DOC

Per la sua 24esima edizione la grande kermesse del cibo e della tradizione friulana rinsalda il legame con il territorio, valorizzando anche l’artigianato friulano e puntando sugli appuntamenti per tutta la famiglia. Udine. Info: www.friuli-doc.it

ristorante

Il range di prezzo indicato (ove applicabile) si riferisce al costo medio di un pasto, escluse bevande alcoliche. I dati segnalati sono stati forniti direttamente dal Gestore del locale. Qualora doveste verificare delle discordanze, Vi invitiamo a segnalarcelo.

27-30 settembre ▶ Gusti di Frontiera

Torna l’appuntamento con le cucine del mondo. A Gorizia spazio alle specialità culinarie di tutti i continenti, compresa – novità assoluta – la carne del canguro australiano. Spazio anche a spettacoli, show cooking e concerti. Gorizia. Info: www.gustidifrontiera.it

ristorante

e inoltre... 15-16 settembre ▶ La giostra dei castelli

Aria di vita medievale, degustazioni e spettacoli. Pordenone. Info: www.giostradeicastelli.it

5-7 ottobre ▶ Fiera di Santa Giustina

Hobbistica, artigianato, luna park, spettacoli e intrattenimenti. Palmanova (UD). Info: eventipropalma@gmail.com


scopri tutti gli eventi in regione su www.imagazine.it

ristorante

La principale rassegna enogastronomica del nord-est Italia dedicata alle eccellenze del Friuli Venezia Giulia, nazionali e internazionali. Previsti degustazioni e approfondimenti a tema. Tarvisio (UD). Info: www.einprosit.org

trattoria

18-21 ottobre ▶ Ein prosit

bar

20-21 ottobre ▶ In Autunno: Frutti, Acque, Castelli

Tradizionale appuntamento nello scenario suggestivo dei Castelli di Strassoldo che ospiteranno hobbysti da tutta l’Alpe Adria, ospitandoli nelle stanze dei manieri e negli spettacolari giardini all’aperto. Cervignano d. F. (UD). Info: www.castellodistrassoldo.it

12-15 ottobre ▶ Il filo dei sapori

Tipicità agroalimentari e specialità culinarie “made in Carnia”. Tolmezzo (UD). Info: www.ilfilodeisapori.it

20-21 ottobre ▶ Festa della Zucca

Con rievocazione storica e spettacoli. Terzo d’Aquileia (UD). Località San Martino. Info: www.amicidelborgo.it


L I V E

M U S I C

16 settembre ▶ Anna Oxa

Farà tappa a Friuli Doc il tour estivo “Voce sorgente”, in cui la cantante ripercorre i brani più significativi della sua carriera, riarrangiati ex novo da un sestetto composto da flauto, violoncello, chitarra, basso, tastiera, batteria e percussioni. Ingresso libero. Udine. Piazza Libertà. Ore 21.30. Info: www.friuli-doc.it

21 settembre ▶ Can Çakmur

Il giovane pianista turco è stato recentemente apprezzato dalla critica internazionale per “i suoi disarmanti talenti, così speciali e genuini, allo stesso tempo ingenui e sofisticati”. Sacile (PN). Fazioli Concert Hall. Ore 20.45. Info: www.fazioliconcerthall.com

e inoltre... 14-15 settembre ▶ Sergej Krylov

Concerto per violino. Musiche di Beethoven. Trieste. Teatro Verdi. Ore 18 o 20.30. Info: www.teatroverdi-trieste.com

23 settembre ▶ Philharmonia Orchestra 82

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settembre-ottobre 2007

| L’INFORMAFREEMAGAZINE

Musica tardo romantica mitteleuropea. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45. Info: www.teatroudine.it


www.imagazine.it

18 ottobre ▶ Glenn Miller Orchestra

Uno spettacolo che farà rivivere sul palco il mito della swing era e del leggendario Glenn Miller, fra i più importanti musicisti del primo novecento. In scaletta grandi classici acclamati e apprezzati in tutto il mondo e da tutte le generazioni. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 21. Info: www.teatroudine.it

23-28 ottobre ▶ Jazz&Wine of Peace Festival

Lungo il Collio grandi artisti del panorama jazz italiano e internazionale si esibiranno in concerti speciali dedicati al tema della pace. Con gli immancabili brindisi con i vini locali. Cormòns (GO). Info: http://controtempo.org

30 settembre ▶ Twenty for twenty

Vent’anni di Sting in venti canzoni. Cordenons (PN). Auditorium Moro. Ore 21. Info: www. ortoteatro.it

13 ottobre ▶ Massimo Felici e Damiana Mizzi

Pianoforte e soprano. Colloredo di Monte Albano (UD). Castello. Ore: 21. Info: www. puntomusicale.org


CLASSIC ARTS

3 ottobre

▶ Ex Chimico

In prima nazionale, Sonia Bergamasco dà voce e corpo ad alcune fra le pagine più luminose e sorprendenti di Primo Levi. Una rappresentazione laica in bilico tra racconto e immedesimazione. Pordenone. Teatro Verdi. Ore 20.45. Info: www.comunalegiuseppeverdi.it

12-14 ottobre

▶ Shakespeare in love

Un’opera gioiosa, corale e coloratissima, una rocambolesca “commedia degli equivoci” nella quale, dalla penna di William Shakespeare, nasce la storia d’amore più famosa al mondo, quella tra Romeo e Giulietta. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 20.45 (14/10 ore 17). Info: www.teatroudine.it

e inoltre... 21-22 settembre ▶ Nikša Bareza

Violino Kirill Troussov. Musiche di Čajkovskij e Ravel. Trieste. Teatro Verdi. Ore 18 o 20.30. Info: www.teatroverdi-trieste.com

12 ottobre ▶ Mitteleuropa Orchestra

Con Giuseppe Albanese al pianoforte. Monfalcone (GO). Teatro Comunale. Ore 20.45. Info: www.teatromonfalcone.it 84

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| L’INFORMAFREEMAGAZINE


w w w.im agazi ne.i t

22-23 ottobre

▶ A night in Kinshasa

Il giornalista Federico Buffa, riscopertosi narratore straordinario, ci riporta nell’allora Zaire del 1974, per rivivere la sfida tra Muhammad Ali vs George Foreman, molto più di un incontro di boxe. Trieste. Politeama Rossetti. Ore 20.30. Info: www.ilrossetti.it

30 ottobre

▶ Ho perso il filo

Un’Angela Finocchiaro inedita racconta con la sua stralunata comicità e ironia l’avventura di un’eroina pasticciona e anticonvenzionale che parte per un viaggio, si perde, tentenna ma poi combatte fino all’ultimo il suo spaventoso Minotauro. Cormòns (GO). Teatro Comunale. Ore 21. Info: www. artistiassociatigorizia.it

19-31 ottobre ▶ Basabanchi rèpete

Con Ariella Reggio. Trieste. Teatro Bobbio. Ore 16.30 o 20.30 (tranne martedì). Info: www.contrada.it

26-28 ottobre ▶ Viktor und Viktoria

Con Veronica Pivetti. Udine. Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ore 17 o 20.45. Info: www.teatroudine.it



SPORT

22-23 settembre ▶ Cervignano Motor Festival

Esibizioni di drifting, rally, motard, enduro, motocross, fuoristrada e kart. Evento speciale con i centauri bassa friulana. Cervignano d. F. (UD). Area le Rogge. Info: www.prolococervignanofvg.it

22-23 settembre ▶ Maratonina Città di Udine

Weekend per gli appassionati di corsa: sabato si parte con la Staffetta Scuole, la Minirun (riservata ai bambini) e la Corsa con il Cane. Domenica Maratonina Internazionale e StraUdine (corsa non competitiva aperta a tutti). Udine. Info: www.maratoninadiudine.it

7 ottobre ▶ Eco Trail della Penisola di Muggia

La formula che prevede tre percorsi rimane invariata, con le due competizioni, di 25 e 10 chilometri, e una marcia a passo libero di 7 chilometri dedicata alle famiglie. Muggia (TS). Info: www.euromarathon.it

14 ottobre ▶ Coppa d’Autunno

Evento clou della Barcolana, la regata più affollata del mondo quest’anno taglia il traguardo delle 50 edizioni. Sul Golfo di Trieste imbarcazioni di ogni dimensione partecipano alla grande festa del mare. Trieste. Info: www.barcolana.it

www.imagazine.it

e inoltre... 21-23 settembre ▶ Italian Eventing Tour

24 settembre – 1 ottobre ▶ Campionato Mondiale di Powerchair Hockey

23 settembre ▶ Transcavallo

21 ottobre ▶ Città di Gorizia

Concorso Completo Internazionale di Equitazione. Palmanova (UD). Info: https://anaccolocfriuli.jimdo.com Corsa in montagna a squadre. Aviano (PN). Piancavallo. Info: www.transcavallo.it

Otto Nazionali per la conquista del titolo. Lignano Sabbiadoro (UD). Info: www.turismofvg.it Maratonina transfrontaliera. Gorizia. Info: www.marciatorigorizia.it


MEETING 19-23 settembre ▶ Pordenonelegge

Ritorna il festival del libro con gli autori. Scrittori internazionali e italiani presenteranno nella città del Noncello le loro ultime opere. Previsti incontri, dibatti, workshop e spazi dedicati anche alla letteratura per l’infanzia. Pordenone. Info: www.pordenonelegge.it

18-23 settembre ▶ Cervignano Film Festival

Sesta edizione del concorso internazionale di cortometraggi che apre per la prima volta al mondo della realtà virtuale e dei videogames. Confermata la sezione dedicata alle opere realizzate in FVG. Cervignano del Friuli (UD). Info: www.cervignanofilmfestival.it

e inoltre... 10 settembre – 3 ottobre ▶ L’Arlecchino Errante

Festival Internazionale di Teatro. Pordenone. Info: www.arlecchinoerrante.com

27-30 settembre ▶ BioPhotoFestival

Festival internazionale di fotografia naturalistica. Budoia (PN). Info: www.biophotocontest.com


www.imagazine.it 15-28 ottobre ▶ In\Visiblecities

Due settimane di installazioni, live performance, spettacoli e workshop per indagare e agire sulla città attraverso le arti digitali e i linguaggi della multimedialità e dell’interattività. Gorizia. Info: www. invisiblecities.eu

6-13 ottobre ▶ Le giornate del cinema muto

Gli adattamenti letterari avranno un ruolo rilevante nel programma della 37a edizione dell’evento. Particolarmente significativa, per quanto riguarda gli intrecci fra cinema e letteratura, sarà la sezione dedicata a Honoré de Balzac. Pordenone. Teatro Verdi. Info: www.giornatedelcinemamuto.it

5-7 ottobre ▶ Malnisio science Festival

30 ottobre – 4 novembre ▶ Trieste Science+Fiction Festival

L’acqua filo conduttore per parlare di scienza. Principale manifestazione italiana dedicata alMontereale Valcellina (PN). Località Malnisio. Info: la fantascienza. info@malnisiosciencefestival.com Trieste. Info: www.sciencefictionfestival.org



F U O R I

R E G I O N E

T R E V I S O 1-2/8-9/15-16 settembre

▶FESTA DEL FAGIOLO BORLOTTO NANO Oltre alle degustazioni e al mercato del fagiolo, in programma anche il sesto festival del Vino di Asolo e Montello e delle eccellenze dei prodotti tipici gastronomici. Poderobba. Info: www.prolococovolo.it 14-16 settembre

▶BIRRITALIA Festival dei birrifici artigianali italiani. In programma degustazioni, concerti ed esibizioni di artisti di strada. Presenti più di 200 birre di diversa produzione. Castelfranco Veneto. Info: www.birritaliafestival.it 14-29 settembre

Festa dell’Uva Oltre alle specialità gastronomiche, spazio a musica dal vivo, dj, ballo, latino, revival, corsa dell’uva, spettacolo per bambini, esposizione vinicola con vendita e assaggi, raduno vespa, auto storiche e fiat 500, luna park, spettacolo pirotecnico. Treviso. Sant’Angelo. Info: www.prolocosangelo.it 16 settembre

▶PALIO DEI MUSSI Nell’ambito della tradizionale Sagra di San Matteo, il palio vedrà la partecipazione di asini guidati dai loro fantini, impegnati a gareggiare sul percorso affollato di pubblico. Riese Pio X. Info: www.prolocoriesepiox.it 29-30 settembre

▶NATURA IN FESTA Mostra mercato di uccelli e animali esotici. In programma anche la rassegna canina, la sfilata degli asinelli, i falchi in volo, il raduno dei cavalli e la tradizionale pesca di beneficenza. Loria. Info: www.pappagalli.com 30 settembre

▶ASOLANDO IN ROSA Passeggiata non competitiva dedicata alle donne. Il percorso prevede due diverse distanze che i partecipanti dovranno ricoprire: 7,5 km e 8,5 km. Asolo. Info: www.asolandoinrosa.it 13-14 ottobre

▶MOSTRA SCAMBIO CITTÀ DI TREVISO Auto, moto, cicli e ricambi d’epoca. Spazio privilegiato per modellismo, mostra e vendita del rottame, auto e moto da restaurare, speciale raduni multimarca e mostre tematiche. Treviso. Info: www.sport-show.it

V E N E Z I A 2 settembre – 4 novembre

▶DINA GOLDSTEIN  SNAPSHOTS FROM THE GARDEN OF EDEN Gli scatti, con il loro suggestivo bianco e nero, accostando miti biblici e vita quotidiana, creano immagini dal potente impatto narrativo e mostrano un modo del tutto originale di guardare alle storie della tradizione ebraica. Venezia. Museo ebraico. Info: museoebraico@coopculture.it 6 settembre – 6 gennaio

▶TINTORETTO 1519  1594 Nelle magnifiche sale dell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale – il luogo che maggiormente testimonia il successo e il predominio raggiunti da Jacopo sulla scena artistica veneziana del XVI secolo – Tintoretto torna protagonista di un grande progetto espositivo. Venezia. Palazzo Ducale. Info: www.palazzoducale.visitmuve.it 14 settembre – 20 gennaio

▶IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE Più di cento reperti archeologici, dal 4000 a.C. sino al 2000, saranno esposti in una rassegna che ha il pregio di un’ampia copertura geografica: le opere sono ritrovamenti dalla valle dell’Indo all’Iran, dalla Mesopotamia a Cipro, fino a raggiungere il territorio oggi spagnolo. Venezia. Palazzo Loredan. Info: www.istitutoveneto.it 16 settembre

▶REGATA DI BURANO A partire dalle ore 16 spazio alla regata dei giovanissimi su pupparini a 2 remi, per proseguire con la regata donne su pupparini a 2 remi e concludere con la regata gondole a 2 remi. Venezia. Burano. Info: www.comune.venezia.it 21 settembre – 14 gennaio

▶OSVALDO LICINI  CHE UN VENTO DI FOLLIA TOTALE MI SOLLEVI La mostra celebra i 60 anni della scomparsa di Osvaldo Licini che nel 1958 vinse il gran premio internazionale per la pittura alla XXIX Biennale di Venezia dove aveva presentato 53 opere – eseguite tra il 1925 ed il 1958 – in una sala personale allestita da Carlo Scarpa. Venezia. Collezione Peggy Guggenheim. Info: www.guggenheim-venice.it 20 ottobre

▶VENICE HOSPITALITY CHALLENGE Sportività, luxury e lifestyle sono i mondi di riferimento di questa competizione che vedrà partecipare undici Maxi Yacht abbinati ad altrettante famose realtà dell’alta hôtellerie veneta. Venezia. Marina Santelena. Info: www.venicehospitalitychallenge.it 28 ottobre

▶VENICE MARATHON Si corre su un percorso unico al mondo dove ogni chilometro è ricco di fascino e suggestione; dalla partenza, posta di fronte a Villa Pisani, all’arrivo con spettacolare vista sulla laguna. Venezia. Info: www.huaweivenicemarathon.it


O L T R E

C O N F I N E

C R O A Z I A Fino al 15 settembre

▶POREČ OPEN AIR Nelle vie e piazze della città e sull’isola di sveti Nikola in programma i concerti di virtuosi musicisti, le performance di strada, le proiezioni dei film, gli spettacoli all’aperto e numerosi eventi speciali. Parenzo. Info: www.porecopenair.com 3-15 settembre

▶MONTRAKER Scuola internazionale di scultura. Nella penisola ai piedi della cittadina di Orsera si trova una vecchia cava che torna a rivivere grazie al dinamismo della creazione artistica, con la scuola internazionale di scultura che raduna i talentuosi studenti, futuri scultori. Orsera. Info: www.infovrsar.com 14-15 settembre

▶ANTICA FIERA SOTTO IL CASTELLO Rievocazioni in costumi medievali, degustazione di pietanze tipiche del territorio, spettacoli di artisti di strada e concerti di musica etnica. Orsera. Info: www.infovrsar.com 15 settembre

▶PULSKA XICA Corsa cittadina notturna di 10 km. Partenza davanti all’antico anfiteatro e gran finale all’Arena, dopo aver corso lungo uno scenario suggestivo. Pola. Info: https//hr-hr.facebook.com/PulskaXica 21-23 settembre

▶PARENZANA Gara internazionale di MTB. Il tracciato attraversa luoghi dove, cento anni fa, passava la ferrovia Parenzana, che collegava le città di Trieste e Parenzo. Parenzo. Info: www.bbk-groznjan.com 22-23 settembre

▶FESTIVAL DEL FORMAGGIO Manifestazione gastronomica dedicata ai formaggi istriani e alle loro derivazioni. In programma anche il concorso Miss Capra d’Istria. Sanvincenti. Info: www.tz-svetvincenat.hr 28-30 settembre

▶REGATA DI RABAC Regata di vela delle classi Optimist, Laser 4.7 e Laser Radial, riportando l’originale splendore alle eccitanti regate delle vele bianche. Porto Albona. Info: www.jkkvarner.hr

20-23 settembre

▶HUMOR FESTIVAL Quattro giorni di risate con artisti e commedianti da tutto il mondo: un festival all’insegna della satira e del divertimento, con spettacoli di teatro, musica e cabaret. Velden. Info: www.humorfestival-velden.at 22-23 settembre

▶TRAIL MANIAK Per i fanatici della corsa campestre, due giorni in cui gareggiare in mezzo ai boschi attraverso sentieri impervi a spiovente sul lago, e arrampicandosi sugli alberi… Woerthersee. Info: www.woerthersee.com 29-30 settembre

▶FESTA DEL FORMAGGIO I casari della Gailtal vantano una lunga tradizione nella preparazione del formaggio di malga. Il festival invita all’assaggio di formaggi e alla degustazione di vini. Kötschach-Mauthen. Info: www.alles-kaese.at


O L T R E C A R I N Z I A 29-30 settembre

▶FESTA DELLE MELE Momento d’incontro tra cultura e tradizione, ma anche occasione golosa per assaggiare le specialità culinarie carinziane, con la mela protagonista assoluta. St. Georgen im Lavanttal. Info: www. sankt-georgen.at 29 settembre – 9 ottobre

▶ST. VEITER WIESENMARKT La più antica festa folklorica di tutta la Carinzia, tra sfilate, giochi e rievocazioni. St. Veit. Info: www.wiesenmarkt.at 6 ottobre

▶POLENTAFEST Ricette prelibate con protagonista la polenta. Che, a differenza dell’opinione pubblica comune, è un piatto versatile, capace di stupire con i suoi abbinamenti. Nötsch im Gailtal. Info: www.carinzia.at

C O N F I N E S L O V E N I A 16 settembre

▶FESTIVAL DELLA MUCCA Nel periodo della Transumanza il villaggio di Ukanc accoglie con una festa tradizionale il bestiame di rientro dai pascoli montani: in programma musiche, danze e specialità gastronomiche a base di formaggio. Ukanc. Info: www.bohinj-info.com 20-29 settembre

▶FESTIVAL MARIBOR Per 11 giorni Maribor si trasforma nel centro europeo della creatività musicale. Lungo le strade della città e nei teatri sarà possibile ascoltare concerti di musica da camera e sinfonica. Maribor. Info: www.festivalmaribor.si 21 settembre – 7 ottobre

▶FESTIVAL DELL’ESCURSIONISMO Per due settimane nel Parco Nazionale del Triglav saranno organizzate escursioni sulle montagne più belle della Slovenia. Bovec. Info: www.dolina-soce.si 23 settembre

▶I FEEL SLOVENIA IRONMAN 70.3 Nel territorio dell’Istria slovena evento riservato a super atleti: nuoto in mare, ciclismo e ultima trance in corsa per poter ambire a conquistare il titolo di Ironman. Capodistria. Info: http://eu.ironman.com 23-29 settembre

▶PIPPI’S FESTIVAL In solo una settimana più di 100 mila spettatori visitano ogni anno il principale festival sloveno dedicato alla famiglia e in particolare all’immaginazione dei più piccoli. Velenje. Info: www.pikinfestival.si 29 settembre – 4 novembre

▶FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLE ARTI FIGURATIVE Duecento artisti da tutto il mondo raggiungono le gallerie di Kranj per partecipare ed esporre al principale festival artistico dell’intera Slovenia. Kranj. Info: www.visitkranj.com 28-30 settembre

▶FESTIVAL DEL DESSERT Decima edizione della manifestazione dedicata ai dolci istriani e internazionali. Previsti workshop, conferenze, laboratori e, ovviamente, degustazioni… Capodistria. Info: www.sladka-istra.si


F acustica, classica e moderna

24-27 OTTOBRE

Viale Borgo Palazzo, 137 BERGAMO Tel 035 3230911 www.promoberg.it

▶FIERA INTERNAZIONALE DEL BOVINO DA LATTE

▶ALTA QUOTA

▶ITALPIG

12-14 OTTOBRE

Fiera della Montagna 27 OTTOBRE – 1 NOVEMBRE

Fiera campionaria

Salone Internazionale del Biologico e del Naturale 24-28 SETTEMBRE

12-14 OTTOBRE

▶BOLOGNA BEER FESTIVAL

Birre e Ristoranti dal mondo

17-19 OTTOBRE

▶ACCADUEO

Tecnologie per il Trattamento e la Distribuzione dell’Acqua Potabile e il Trattamento delle Acque Reflue 17-19 OTTOBRE

▶AMBIENTE LAVORO

Salone della Salute e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro 17-20 OTTOBRE

▶SAIE

Salone della nuova industrializzazione edilizia e del territorio 25 OTTOBRE

▶FLEET MANAGER ACADEMY

Gestione delle flotte auto aziendali

Cremona Fiere s.p.a. Piazza Zelioli Lanzini, 1 CREMONA Tel 0372 598011 www.cremonafiere.it

▶ BIOENERGY ITALY

28-30 SETTEMBRE

▶CREMONA MONDOMUSICA

L’èlite della liuteria internazionale

28-30 SETTEMBRE

▶PIANO EXPERIENCE

L’unica manifestazione in Europa dedicata al piano e agli strumenti a atstiera 28-30 SETTEMBRE

▶ACOUSTIC GUITAR VILLAGE

Salone della chitarra

18-20 OTTOBRE

▶DIDACTA ITALIA

Tel 049 840111 www.padovafiere.it

19-21 SETTEMBRE

▶FLOMART

Florovivaismo, architettura del paesaggio, infrastrutture verdi

Istruzione e formazione professionale

31 OTTOBRE – 4 NOVEMBRE

30 SETTEMBRE – 2 OTTOBRE

▶TECNOBAR & FOOD

24-27 OTTOBRE

Tecnologia per la produzione e distribuzione del latte e derivati 24-27 OTTOBRE

Salone delle tecnologie per le rinnovabili 24-27 OTTOBRE

▶WATEC ITALY

Tecnologia dell’acqua e controllo ambientale

Salone del matrimonio

Fieramilanocity Piazzale Carlo Magno 1 MILANO Fieramilano Strada statale del Sempione 28 RHO Tel 02 49971 www.fieramilano.it

14-17 SETTEMBRE

▶HOMI

Fieramilano

16-19 SETTEMBRE

▶MIPEL

Mercato internazionale della pelletteria

Tecnologie di bonifica

21-24 SETTEMBRE

29-30 SETTEMBRE

▶FERRARA SPOSI

Salone del matrimonio 13-14 OTTOBRE

▶FERRARA MILITARIA

Collezionismo militare e storico 13-14 OTTOBRE

▶SOFT AIR

Equipaggiamenti e attrezzature

13-14 OTTOBRE

▶ELETTRONICA FERRARA

Componentistica e radiantismo

26-28 OTTOBRE

▶TATTOO AND BIKERS

Fiera del custom e della moto

Fieramilano

▶THE ONE MILANO

22-23 SETTEMBRE

▶FYP – FOLLOW YOUR PET

La più grande fiera toscana dedicata ai pets 28-30 SETTEMBRE

▶FIRENZE LIBRO APERTO

Festival del libro

4-5 OTTOBRE

▶VETRINA FARMACIA

Salone Farmaceutico 5-7 OTTOBRE

▶FLORENCE TATTOO CONVENTION

Fiera internazionale dedicata all’arte del tatuaggio e della body art

▶CASA SU MISURA

Salone dell’abitare

13-14 OTTOBRE

▶PADOVA SPOSI

Salone del matrimonio 25-28 OTTOBRE

▶AUTO E MOTO D’EPOCA

Via Rizzi, 67/a PARMA Tel 0521/9961 www.fiereparma.it

▶CASA MODERNA

Abitare con passione Udine

20-21 OTTOBRE

▶MOSTRA ORNITOLOGICA Udine

26-28 OTTOBRE

▶SPOSO & SPOSA

Fiera del matrimonio Udine

8-16 SETTEMBRE

Fieramilanocity

25-27 SETTEMBRE

Fieramilano

5-7 OTTOBRE

▶MILAN GAMES WEEK Fieramilano

9-13 OTTOBRE

▶BIMU

Macchine utensili, robot, automazione Fieramilano

9-13 OTTOBRE

▶SFORTEC

Subfornitura Tecnica & Servizi per l’Industria Fieramilano

▶HOBBY SHOW

Salone Italiano della Creatività Fieramilano

18-20 OTTOBRE

▶VISCOM ITALIA

Comunicazione Visiva e Servizi per l’Evento

▶MERCANTEINFIERA AUTUNNO

▶MARMOMAC

29 SETTEMBRE – 7 OTTOBRE 29 SETTEMBRE – 7 OTTOBRE

▶ART PARMA FAIR

Arte moderna e contemporanea

23-25 OTTOBRE

6-8 SETTEMBRE

▶ELETTROEXPO

Mostra mercato del materiale elettrico 26-27 SETTEMBRE

▶COIL TECH

Materiali e macchinari per motori elettrici e generatori 16-19 OTTOBRE

Componenti, Accessori e Semilavorati per l’Industria del Mobile 1-4 NOVEMBRE

▶RISO E CONFETTI

Salone del Matrimonio

Energie, carburanti e servizi per la mobilità 12-15 OTTOBRE

▶ART VERONA ▶SAVE

Soluzioni e applicazioni verticali 17-18 OTTOBRE

▶MCM

Manutenzione industriale 17-18 OTTOBRE

▶ACQUARIA

Trattamento dell’acqua e dell’aria 25-28 OTTOBRE

▶FIERACAVALLI

Salone dell’equitazione

Via dell’Oreficeria, 16 VICENZA Tel 0444 969111 www.vicenzafiera.it

15-17 SETTEMBRE

25-27 OTTOBRE

▶TECNARGILLA

Fieramilanocity

▶TTG

24-28 SETTEMBRE

Industria ceramica e laterizio 10-12 OTTOBRE

Esperienze di viaggio

24-26 OTTOBRE

Via N. Tommaseo, 59 PADOVA

9-11 OTTOBRE

▶OIL & NON OIL

▶HIEROS

Information Communications Technology

▶SALONE FRANCHISING MILANO

Marmi, design e tecnologie

▶SICAM

Via Emilia, 155 RIMINI Tel 0541 744111 www.riminifiera.it

Fieramilanocity

26-29 SETTEMBRE

17-18 OTTOBRE

Viale Treviso 1 PORDENONE Tel 0434 23 21 11 www.fierapordenone.it

Fieramilano

▶SMAU

16-18 SETTEMBRE

▶FIERA DEL CONDOMINIO SOSTENIBILE

▶LINEAPELLE

Pelletteria, abbigliamento e arredamento

Viale del Lavoro, 8 VERONA Tel 045 8298111 www.veronafiere.it

▶SALONE DEL CAMPER

Moda prêt à porter

12-14 OTTOBRE

Piazza Adua, 1 FIRENZE Tel 055 49721 www.firenzefiera.it

6-14 OTTOBRE

16-19 SETTEMBRE

19-21 SETTEMBRE

▶REMTECHEXPO

Novità e tecnologie per i professionisti dell’ospitalità

29 SETTEMBRE – 7 OTTOBRE

Fieramilano

Esposizione Internazionale della Calzatura

via della Fiera, 11 FERRARA Tel 0532 900713 www.ferrarafiere.it

6-9 OTTOBRE

Via Cotonificio, 96 Torreano di Martignacco (UD) UDINE Tel 0432 4951 www.udinegoriziafiere.it Via della Barca, 15 GORIZIA

Salone degli stili di vita

▶MICAM

▶CERSAIE

Salone Internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno

Congresso di Ortodonzia

Gestione dell’allevamento avicolo

▶BIOENERGY

▶SANA

11-13 OTTOBRE

▶TUTTO SPOSI

▶FARETE

7-10 SETTEMBRE

E

24-27 OTTOBRE

▶INTERNATIONAL POULTRY FORUM

▶EXPO CASEARIA

Il Meeting Point delle imprese a Bologna

R

▶RASSEGNA AGENTI CALZATURE

Viale della Fiera, 20 BOLOGNA Tel 051 282111 www.bolognafiere.it

5-6 SETTEMBRE

E

▶SIDO

24-27 OTTOBRE

Rassegna suinicola

I

▶IBE

International Bus Expo

Arte sacra per il Mediterraneo

22-26 SETTEMBRE

▶VICENZAORO

Oreficeria, gioielleria, argenteria e pietre preziose 18-21 OTTOBRE

▶ABILMENTE AUTUNNO

Fiera della creatività

20-22 OTTOBRE

▶GOLD ITALY

Gioielleria italiana


my

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marzo-aprile 2015

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8 settembre Auguri Andrea! Lo staff di iMagazine 8 settembre Buon compleanno Andrea! Marina 12 settembre Buon anniversario Luca Teresa 13 settembre Tanti auguri Anna! Lo staff di iMagazine 15 settembre Buon compleanno Giuly! Michela, Valentina, Rosy 18 settembre Tanti auguri Stefano! Lo staff di iMagazine 27 settembre Buon compleanno Riccardo! Mattia, Elisa, Marina, Andrea, Graziana, Cesare 1 ottobre Happy Birthday Sister! Cinzia e Nick 9 ottobre Buon compleanno Francesca! Lo staff di iMagazine 17 ottobre Auguri Cesare! Tanguera & Fans 21 ottobre Tanti auguri Lorenzo! I santoli 31 ottobre Buon compleanno zia Lida! The Family Mandaci entro il 1º ottobre i tuoi auguri per le ricorrenze di novembre e dicembre! Li pubblicheremo gratuitamente su iMagazine! Segnalaci giorno, evento, mittente e destinatario e spedisci il tutto via e-mail (info@imagazine.it), via posta ordinaria (iMagazine, c/o via Aquileia 64/a, 33050 Bagnaria Arsa – UD) o via fax (040 566186).


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marzo-aprile 2015

FARMACIE DI TURNO

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Fonte: Federfarma Gorizia e Udine

AL PONTE via Don Bosco 175 Gorizia, tel. 0481 32515 ALESANI via Carducci 40 Gorizia, tel. 0481 530268 BALDINI corso Verdi 57 Gorizia, tel. 0481 531879 COMUNALE 1 via San Michele 108 Gorizia, tel. 0481 21074 COMUNALE 2 via Garzarolli 154 Gorizia, tel. 0481 522032 D’UDINE piazza San Francesco 5 Gorizia, tel. 0481 530124 MARZINI corso Italia 89 Gorizia, tel. 0481 531443 MADONNA DI M. via Udine 2 Lucinico, tel. 0481 390170 PROVVIDENTI via Oberdan 3 Gorizia, tel. 0481 531972 TAVASANI corso Italia 10 Gorizia, tel. 0481 531576 TRAMONTANA via Crispi 23 Gorizia, tel. 0481 533349 FARO via XXIV Maggio 70 Brazzano, tel. 0481 60395 STACUL via F. di Manzano 6 Cormons, tel. 0481 60140 LUZZI via Matteotti 13 Cormons, tel. 0481 60170 ROJEC via Iº Maggio 32 Savogna d’Is., tel. 0481 882578 PIANI via Ciotti 26 Gradisca d’Is., tel. 0481 99153 BACCHETTI via Dante 58 Farra d’Is., tel. 0481 888069 CINQUETTI via Manzoni 159 Mariano d. Fr., tel. 0481 69019 MORETTI via Olivers 70 Mossa, tel. 0481 80220 LAZZARI via Petrarca 15 Moraro, tel. 0481 80335 DELLA TORRE via Latina 77 Romans d’Is., tel. 0481 90026 SORC piazza Montesanto 1 S. Lorenzo Is., tel. 0481 80023 LABAGNARA via Monte Santo 18 Villesse, tel. 0481 91065

TRESCA via XXIV Maggio 1 Aiello d. F., tel. 0431 99011 CORRADINI c.so Gramsci 18 Aquileia, tel. 0431 91001 SORANZO via Vittorio Veneto 4 Bagnaria Arsa, tel. 0432 920747 RUTTER c.so Marconi 10 Campologo Tapogliano, tel. 0431 999347 COMUNALE via Monfalcone 7 Cervignano d.F., tel. 0431 34914 SAN ANTONIO via Roma 52/1 Cervignano d.F., tel. 0431 32190 LOVISONI p.zza unità 27 Cervignano d.F., tel. 0431 32163 DEBIASIO via Gramsci 55 Fiumicello, tel. 0431 968738 MONEGHINI via Roma 15/A Ruda, tel. 0431 99061 SATTI via 2 Giugno 4 Terzo d’Aquileia, tel. 0431 32497 GRIGOLINI p.zza del Popolo 2 Torviscosa, tel. 0431 92044 SANTA MARIA via San Antonio Villa Vicentina, tel. 0431 967263 FLEBUS via Montello 13 Visco, tel. 0432 997583 FAVARO via Roma 48 S. Vito al Torre, tel. 0432 997445 FACINI borgo Cividale 20 Palmanova, tel. 0432 928292 LIPOMANI borgo Aquileia 22 Palmanova, tel. 0432 928293 MORANDINI piazza Grande 3 Palmanova, tel. 0432 928332 RAMPINO piazza Venezia 15, San Canzian d’Is., tel 0481 76039 DI MARINO via Redipuglia 77, Fogliano, tel 0481 489174 CORAZZA via Buonarroti 10, Capriva del Friuli, tel 0481 808074 RAJGELJ CHIARA via Scuole 9, Medea, tel 0481 67068

COMUNE DI GORIZIA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 383276, www.comune.gorizia.it

COMUNE DI VILLESSE

Abitanti: 1.681

(dati Anagrafe giu-lug 2018) nati 3, deceduti: 5, immigrati: 14, emigrati: 15, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 91026, www.comune.villesse.go.it

COMUNE DI MOSSA

Abitanti: 1.554 (dati Anagrafe giu-lug 2018) nati 3, deceduti: 3, immigrati: 12, emigrati: 10, matrimoni: 9 Recapiti: 0481 80009, www.comune.mossa.go.it

COMUNE DI MEDEA Dati: N.P.

Recapiti: 0481 67012, www.comune.medea.go.it

COMUNE DI GRADISCA D’ISONZO Dati: N.P.

Recapiti: 0481 967911, www.comune.gradisca-d-isonzo.go.it


03-09

27-02

20-26

13-19

06-12

OTTOBRE

29-05

22-28

15-21

08-14

01-07

SETTEMBRE

   

   Le farmacie contrassegnate dal fondino arancione anticipano di un giorno le date di turno indicate.

   

       

            

 

  

COMUNE DI CERVIGNANO DEL FRIULI Abitanti: 13.835

(dati Anagrafe giu-lug 2018) nati 14, deceduti: 18, immigrati: 110, emigrati: 98, matrimoni: 9 Recapiti: 0431 388411, www.cervignanodelfriuli.net

COMUNE DI FARRA D’ISONZO Abitanti: 1.709

(dati Anagrafe giu 2018) nati 0, deceduti: 1, immigrati: 2, emigrati: 3, matrimoni: np Recapiti: 0481 888002, www.comune.farra.go.it

COMUNE DI MARIANO DEL FRIULI Dati: N.P.

Recapiti: 0481 69391, www.comune.marianodelfriuli.go.it

COMUNE DI S. LORENZO ISONTINO

Abitanti: 1.543 (dati Anagrafe giu-lug 2018) nati 1, deceduti: 2, immigrati: 4, emigrati: 4, matrimoni: 0 Recapiti: 0481 80026, www.comune.sanlorenzoisontino.go.it

COMUNE DI CORMÒNS Abitanti: 7.335

(dati Anagrafe mar-giu 2018) nati 17, deceduti: 37, immigrati: 87, emigrati: 70, matrimoni: 4 Recapiti: 0481 637111, www.comune.cormons.go.it


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marzo-aprile 2012

maggio-giugno 2015

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G - F O RI FLO ISO ARRA ZIA- ED G N I RO RIAN TINOCD’ISO RADI ZION MA O D - EC NZ SC E P A R NS EL ORVCEO - D ER D’I COL MIOGRMO ’ISO LE SO LI NGNS VIRA NZ FA NZ O - O-ADNGRO O M 32796|/2 O - M ROLIONA- M - CA IGL 0011 VIL ARI EZGDI NO PR IE 028 LES AN NAEA LOSSA IVA DI SE O D DEFLRD-ESA DE - CE EL COI LN L F RV FRIU ULLLI FLROR RIU IGN LI OI- IEUN LI AN - M SAN LZO O D EDE I . F. A -

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Dogodki v Furlaniji in Julijski krajini Za to jesen smo uredu!

Veranstaltungen in Friaul-Julisch Venetien. - Für diesen Herbst haben wir alles!

Eventi in Friul Par ‘sto autuno semo a posto

Eventi in FVG Per sto autuno semo a posto

Events in FVG - Par chest Autun o sin a puest

Eventi in FVG - Per questo autunno siamo a posto! Per le traduzioni si ringrazia: Irene Devetak (sloveno), Isa Dorigo - Regjon autonome FVG Servizi lenghis minoritariis (friulano), Andrea Coppola Università di Trieste (tedesco), Marianna Martinelli (bisiaco), Alessandro Samez (triestino).




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