Il cinema ipermediale di Peter Greenaway
Scrittori e superpoteri
Desiderius Erasmus La mobilità nell’Ateneo barese: bilanci e prospettive
UNIVERSITà 06 10 12 13 14 16 18 20 21 22 24
Riforma Gelmini: come cambia l’Università Desiderius Erasmus Se per caso cascasse Erasmo io mi sposto un po’ più in là Giramondo FAQ – Frequent Academic Questions La verità sulle donne Vita da fuorisede – Vademecum del pendolare Da un nuovo sistema ibrido la fotosintesi ‘potenziata’ Un penny per i tuoi pensieri – La Legge 390 finanzia le idee Festival dei Saperi e delle Pratiche delle Donne Bari Città Universitaria – La Mediateca Regionale Pugliese
LIFE 26 28
Professioni in proiezione – Cercasi imprenditori di nuova generazione Lo voglio! – Rassegna di varie (in)utilità
LIBRI 30 31 32 33 34 35 36 37 50
L’altoforno Gli operai invisibili dell’Ilva Fuochi d’artificio a Taranto Delitto d’autunno Dal non avere grandi poteri derivano grandi responsabilità Quando i superpoteri sono inutili Il Tropico del libro Tombola con fantasmi Milagros – Un racconto di Antonella Di Marzio
VISIONI 38 40 41 42 43
Visioni a confronto – Le belve: dal libro al film Promised land, Van Sant lancia un messaggio agli americani Il novello Ulisse del cinema e la sua Odissea Tra calligrafia e desiderio – Torna in DVD il cinema di Greenaway Spring Breakers – Il nuovo film di Harmony Korine
ARTE 44 45
Siamo figli della grafica Sinfonia in Bianco minore
MUSICA 46 47 48 49
Take a Bow(ie) Tornano le Lezioni di Rock Dicevan che era un mago Disfunzioni Musicali
Editoriale #001
Culture in movimento Se esiste un parametro per misurare la propensione al rinnovamento, allora la capacità di muoversi e di restare dinamici è senza dubbio il riferimento fondamentale dei nostri anni ‘10. E in questa tipologia di spostamento non vi è nulla di assimilabile alla fuga, bensì all’attitudine di intraprendere un percorso e di restarvi fedele, a maggior ragione nel momento in cui esso richiede un repentino scarto verso le inedite direzioni che può regalarci. Con questo nuovo spin-off la redazione di «Pool» si rimette in gioco portando il suo bagaglio di esperienze e fascinazioni ai lettori che maggiormente rappresentano lo spirito del cambiamento della nostra società. Un pubblico di giovani viaggiatori a spasso per l’Europa, dotati della capacità di recepire idee e stili della cultura moderna, ma soprattutto di rappresentare le improcrastinabili istanze di trasformazione che il nostro tempo ormai reclama ad alta voce. Arte, cinema, letteratura e musica ci guidano allora attraverso le sollecitazioni del contemporaneo, guardando alla tradizione e alle tecniche del passato per sviluppare nuove idee e immaginare nuove prospettive. Come nel caso di Mark Cousins e Peter Greenaway, che analizzano e scompongono le tecniche del cinema dello scorso secolo per affrancarsi da un approccio ormai stantio e di maniera. O come ha fatto il Centro di Documentazione e Cultura delle Donne di Bari, creatore di un archivio che è specchio di un’identità di genere e che vuole ridefinire il ruolo femminile nella società contemporanea. Partendo da una realtà locale per raggiungere velocemente una dimensione globale, la redazione di «Pool» prova ad accelerare questo necessario processo di rinnovamento, mescolando cultura alta e immaginario pop, nuove tendenze culturali e originali approcci alla tecnica. Il tutto con un piacere per l’affabulazione e l’estetica assai simile a quello che Sei Shōnagon ci ha fatto riscoprire oltre 1.000 anni fa. Michele Casella
Per un’editoria pro-positiva Un’Università aperta, funzionale, creativa, solidale, innovativa. È questo il disegno perseguito in questi anni all’interno dell’Università degli Studi ‘Aldo Moro’, e che ha visto partecipe tutta la comunità accademica: dagli studenti, al personale tecnico-amministrativo, ai docenti. E la presente rivista, «Pool Academy», non è che uno dei frutti di questa visione sussidiaria di Università. Prima di essere una rivista, «Pool Academy» vuol essere un tentativo di mettere insieme docenti e studenti attorno a un progetto. Lo abbiamo realizzato con la collaborazione di due Facoltà – o meglio, quelle che una volta erano le Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze della Formazione – e di alcuni docenti che hanno creduto alla possibilità di creare un giornale fatto dai nostri studenti per e con l’Università. Insieme al lavoro gratuito di una redazione giornalistica giovane ma già attestata abbiamo cercato, attraverso una free call inserita nelle pagine Internet delle due Facoltà, giovani interessati a iniziare un lavoro comune, in qualità di giornalisti, reporter, fotografi e collaboratori. Il primo stupore che abbiamo dovuto constatare è stata la partecipazione convinta e persuasiva di quanti hanno risposto, iniziando un viaggio nel mondo del giornalismo, attraverso questo strumento che speriamo cresca sempre più. La stessa rivista vorrà essere sempre aperta a nuove collaborazioni e nuovi stimoli. «Pool Academy» è pro-positiva. Nelle pagine che seguono non troverete lamenti, denunce, recriminazioni contro la nostra Università e non perché non vi siano motivi per farlo, ma perché siamo certi che solo conoscendo a fondo la realtà positiva che c’è nel nostro Ateneo e attorno a noi si possano, poi, trovare i giusti metodi per poter affrontare e risolvere i tanti problemi che persistono all’interno di una delle Università più importanti e grandi del Mezzogiorno d’Italia. «Pool Academy» è aperta, libera e gratuita. La presente rivista non vuol essere una rivista pensata ad uso e consumo della sola Università di Bari: non abbiamo voluto che i nostri giovani studenti rimanessero chiusi nel recinto del giardino fiorito dell’Accademia. L’ambizione di Pool è quella di essere – o meglio, tentare d’essere – una finestra aperta sul mondo, sulla realtà italiana, sul territorio della nostra Regione. Non c’è, infatti, miglior modo per crescere che allenarsi a giudicare e a verificare liberamente all’interno di un’esperienza vera e leale con se stessi e con la realtà. Buona lettura. Paolo Ponzio
REDAZIONE Michele Casella Direttore Responsabile Paolo Ponzio Direttore Editoriale Carlotta Susca Caporedattrice Cristò Caporedattore Irene Casulli Fashion Editor DIREZIONE CREATIVA Vincenzo Recchia Creative Director Giuseppe Morea Multimedia Developer Baseneutra Copertina Giancarlo Berardi Visual COMITATO SCIENTIFICO – UNIVERSITà degli studi di bari ‘Aldo moro’ Angela Carbone, Marina Castellaneta, Grazia Distaso, Daniele Maria Pegorari, Ines Ravasini, Annarita Taronna, Paola Zaccaria, Giovanna Zaccaro. COLLABORATORI Nicolò Aurora, Iolanda Bronzoni, Rosa Cambara, Maddalena Candeliere, Claudia Colonna, Stella Dilauro, Antonella Di Marzio, Enrico Godini, Leonardo Gregorio, Ilaria Lopez, Alessandra Macchitella, Francesca Martines, Cataldo Miccoli, Claudia Morelli, Michela Panìco, Lorena Perchiazzi, Dora Renna, Laura Rizzo. PARTNER Gianfrate Rappresentanze MANDACI I TUOI RACCONTI BREVI scritture@ipool.it PER COLLABORARE SCRIVICI A academy@ipool.it Stampato presso Tipografia Ragusa – Bari Cercaci su Facebook, Twitter, Issuu POOL Registrazione n. 31 del 08/09/2009, presso il Tribunale di Bari | www.ipool.it PUBBLICITÀ – IMood Via Cristoforo Colombo, 23 - Putignano (BA) Tel. 080.4054243 | www.imood.it
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Riforma Gelmini: come cambia l’Università Rough Guide ai cambiamenti introdotti dalla nuova legge
a cura di Lorena Perchiazzi e Claudia Morelli
È stata combattuta, ostacolata e contestata sulle principali piazze italiane da studenti, ricercatori e dal mondo della cultura in generale, ma alla fine ce l’ha fatta: la tanto criticata riforma Gelmini è stata approvata in via definitiva dal Senato ed è definitivamente diventata legge. Al di là degli scontri e delle manifestazioni, cosa cambia davvero? La Riforma Gelmini è stata descritta come la fine dell’Università pubblica e statale, ma in realtà il disegno di legge parla di ‘Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario’: dunque i valori predicati dal Ministro sarebbero qualità, valore, meritocrazia, lotta al nepotismo e trasparenza dei conti, ma è davvero così? Abbiamo cercato di capirlo meglio discutendo delle principali novità introdotte dalla riforma Gelmini con il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari, Corrado Petrocelli. La prima e più significativa variazione riguarda le Facoltà, che da dicembre non esistono più: la riorganizzazione interna degli Atenei, infatti, prevede che le Facoltà, enti di raccordo di dipartimenti diversi, non potranno essere più di dodici per ogni Ateneo: «Nella nostra Università prima della Riforma avevamo 79 realtà: 15 Facoltà e 64 Dipartimenti, – spiega il Rettore – adesso abbiamo soltanto 24 Dipartimenti che sono strutturati secondo i nuovi compiti previsti dalla legge 240 e si innestano in un processo di rivisitazione totale della struttura dell’Università, che con il nuovo statuto si avvia ad avere un nuovo Senato e un nuovo Consiglio d’Amministrazione molto più snello». Anche il Senato e il Consiglio d’Amministrazione sono stati investiti dal vento della Riforma: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà del CdA la responsabilità delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate, con potere assoluto sulla programmazione economica e di bilancio. Il CdA, quindi, stabilirà «l’indirizzo strategico dell’Ateneo», sarà cioè contemporaneamente l’organo di direzione politica ed economica; inoltre, non sarà più elettivo, ma responsabilizzato e competente, con il 40% di membri esterni, ossia almeno 5 su 11, e anche il presidente del CdA potrà essere esterno. «Abbiamo cercato di dare voce a tutti – afferma Petrocelli – prevedendo la rappresentanza non solo del personale tecnico-amministrativo e degli studenti, ma anche dei non strutturati (i cosiddetti ‘precari della ricerca’, a cui guardiamo con molta attenzione): abbiamo un rappresentante dei dottorandi di ricerca, cosa abbastanza rara nel panorama italiano, ma in perfetta coerenza con la nostra linea».
Un codice etico contro ‘parentopoli’ Si è paventato però il rischio che l’Università assumesse i contorni di un’azienda finalizzata alla produzione di un’educazione manipolata e non più di qualità: «Nonostante la legge prevedesse la possibilità di far entrare quattro o cinque componenti esterni, nel nostro Ateneo ci siamo limitati al minimo (due), una rappresentanza pari a quella degli studenti. Abbiamo fatto in modo che la scelta cadesse su persone che hanno requisiti particolari, ossia un curriculum in cui dimostrano di avere esperienza con terreni relativi alla formazione, alla ricerca, alla cultura, alla pubblica amministrazione. Quanto invece all’idea dell’università-azienda, questo è uno degli slogan più sbagliati perché noi non abbiamo come logica il profitto, ma con il nostro statuto abbiamo voluto mantenere ferma l’idea di Università pubblica e aperta a tutti». L’attuale Direttore Amministrativo è stato sostituito da un Direttore Generale con responsabilità dirette e un contratto a tempo determinato di massimo quattro anni; secondo la Riforma, inoltre, mentre prima non era previsto alcun limite, ora il Rettore non potrà essere eletto per più di due mandati, per un massimo di otto anni complessivi, o per un massimo di sei anni nel caso di mandato unico. Ogni Università deve adottare un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. ‘Parentopoli’ è un altro punto caldo della Riforma: viene infatti stabilito che per partecipare ai concorsi non si dovranno avere, all’interno dell’Ateneo,
parentele fino al quarto grado. A quelle Università che gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno inoltre ridotti i finanziamenti del Ministero. «Per quello che riguarda il riconoscimento del merito, è evidente che adesso saremo sottoposti a un fenomeno di valutazione dell’attività didattica e di ricerca, che ci impone di fare in modo che tutti i nostri docenti abbiano un livello di preparazione più che accettabile». Infatti saranno anche gli studenti a valutare i professori, e da questa valutazione dipenderà l’attribuzione dei fondi alle università da parte del Ministero dell’Istruzione, perché le risorse saranno trasferite in relazione alla qualità della ricerca e della didattica. Con la Riforma non verranno più distribuiti fondi a pioggia e ci sarà l’obbligo di accreditamento e di verifica da parte del Ministero di tutti i corsi e delle sedi distaccate per evitare quelli non necessari. Nell’Ateneo barese, inoltre, sono stati eliminati tutti quei corsi di laurea che erano duplicati o che avevano un numero di iscritti non sufficientemente alto o che non avevano una sostenibilità adeguata a livello di docenti. «Abbiamo cercato di fare in modo che lo studente rimanesse veramente al centro della nostra attività: esistono oggi delle realtà che prima non c’erano e che dovrebbero dare agli studenti maggior potere di intervento, come le cosiddette ‘commissioni paritetiche’ in cui studenti e docenti, presenti in numero pari, monitoreranno l’andamento dei corsi di laurea».
Nella foto: gli interni dell’Ex Palazzo delle Poste
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Diamo i voti all’Università In alto: il Rettore dell’Università di Bari, Corrado Petrocelli.
Sempre nel rispetto di quell’obiettivo di miglioramento della governance secondo criteri meritocratici e di trasparenza, l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) avrà il compito di monitorare periodicamente le università in base a risultati, gestione economica e finanziaria, trasparenza e promozione del merito, secondo criteri di qualità. Istruzione, ricerca e innovazione sono i tre poli intorno a cui ruota la Riforma, proponendosi di promuovere la crescita e l’occupazione: si introducono interventi volti a favorire la formazione e l’accesso dei giovani studiosi alla carriera accademica e l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione sarà attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità e i posti saranno quindi assegnati a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole Università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Ci sarà poi un cadenza regolare annuale dell’abilitazione a professore, al fine di evitare lunghe attese e incertezze. Viene inoltre istituito il Fondo per il merito destinato a erogare direttamente agli studenti borse di studio e prestiti eccellenti, secondo una quota determinata dai risultati accademici, da restituirsi in relazione al reddito percepito: i premi saranno assegnati tramite prove nazionali standard per il primo anno di Università e mediante criteri di valutazione del merito negli anni successivi. Un’altra parola chiave di questa Riforma è ‘ricerca’: i ricercatori saranno assunti esclusivamente a tempo determinato, con un contratto triennale rinnovabile solo una volta. Al termine del secondo mandato potranno partecipare all’esame di abilitazione nazionale e successivamente concorrere per un posto da professore nell’Ateneo di provenienza o in un altro Ateneo; anche gli attuali ricercatori a tempo indeterminato potranno allo stesso modo partecipare al concorso di abilitazione nazionale. Se il ricercatore sarà ritenuto valido dall’Ateneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato, altrimenti terminerà il rapporto con l’Università maturando, però, titoli utili per i concorsi pubblici. Tutto ciò è finalizzato a evitare il fenomeno dei ricercatori a vita. «Ci si deve rendere conto che deve esistere un sostegno alla ricerca e alla formazione con un investimento anche in tempo di crisi, come accade negli altri Paesi (per esempio in Germania, Francia, India, Brasile e Cina, che ha quintuplicato il numero dei laureati negli ultimi anni). I Paesi emergenti stanno puntando sulla produzione di capitale umano qualificato. Se vogliamo evitare il declino del Paese dobbiamo puntare su questo: puntare significa sostenere e non tagliare, come si è fatto e si sta facendo sino a ora». E l’Ateneo barese punta anche sul futuro dei suoi studenti, quintuplicando gli stage e i tirocini nelle imprese. «Adesso abbiamo ben 21 società spin-off che mettono insieme le idee dei docenti con le capacità dei nostri giovani laureati molto bravi». Con la Riforma viene data agli Atenei vicini la possibilità di fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa per evitare le duplicazioni e contenere i costi. «Abbiamo fatto subito una federazione con tutte le Università di Puglia, Molise e Basilicata, prima federazione interregionale a essere creata in Italia».
Più giga per tutti Dopo aver affrontato i punti salienti della Riforma, chiediamo quindi al Rettore di parlarci di una novità introdotta quest’anno dalla collaborazione gratuita tra l’Università di Bari e la società Google, che consente di mettere a disposizione degli studenti, per tutto il periodo di iscrizione ai corsi di studio, una casella di posta elettronica ‘@studenti.uniba.it’ di GMail. Tale servizio consente di disporre di ben 25 GB di spazio di archiviazione e di usufruire di diversi servizi e applicazioni che consentiranno agli studenti di prenotarsi agli esami e ricevere comunicazioni attinenti risultati, certificati, moduli e notizie. Ora che tutto questo è realtà, non ci resta che augurarci che davvero l’Università italiana si renda concretamente uno strumento insostituibile di formazione, partecipazione e democrazia, tenendosi al passo con le altre realtà europee.
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Desiderius Erasmus La mobilità nell’Ateneo barese: bilanci e prospettive a cura di Antonella Di Marzio È da ormai venticinque anni che il programma ERASMUS, acronimo per European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, coordina gli scambi accademici tra 33 Paesi: principalmente membri dell’Unione Europea, ma anche a essa associati tramite accordi EFTA/EEA. «Erasmus non è però solo mobilità studentesca» puntualizza la professoressa Marisa Argene Valleri, delegata del Rettore dell’Università di Bari per il programma LLP/Erasmus. «Un elemento molto importante è anche lo scambio di personale docente e amministrativo, che permette una sinergia ancora maggiore tra i poli universitari coinvolti». Erasmo e i suoi fratelli Per il periodo 2007-2013, Erasmus è parte del Lifelong Learning Programme, il programma UE mirato alla promozione dell’apprendimento permanente. Il documento del 2006 che lo istituisce cita espressamente istruzione e formazione quali priorità fondamentali; che puntano a rendere l’UE una economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, come già fissato nel Consiglio di Lisbona del 2000. Oltre al progetto Erasmus, il programma LLP comprende il Comenius, rivolto agli istituti scolastici; il Leonardo Da Vinci, a supporto della formazione professionale; il Grundtvig, incentrato sull’educazione degli adulti. Vi sono poi un programma Trasversale di coordinamento congiunto e il programma Jean Monnet, a supporto delle attività di ricerca nel settore di studi dell’integrazione europea. Eppur (ci) si muove «Non è pensabile che Erasmus subisca un’interruzione» rassicura la professoressa Valleri, interpellata a proposito delle sempre più insistenti voci riguardo la chiusura del progetto. «È anzi
nelle previsioni del Ministero e dell’ANVUR, l’ente di valutazione per l’Università e la Ricerca, che i programmi di mobilità siano sempre più operativi». A fronte di esigenze di bilancio, più realistico appare che i fondi a disposizione delle istituzioni risultino ridotti. È poi da considerare che non sempre l’assegnazione di una destinazione sia coperta da una borsa di studio. Programme in progress La cosiddetta ‘scomparsa delle Facoltà’ determinerà necessarie variazioni organizzative per quanto riguarda il programma Erasmus; direttive precise, però, non sono ancora state definite. In generale, come anticipa la professoressa Valleri, il programma sarà incardinato nelle strutture dipartimentali; il riconoscimento dei periodi di studio avverrà sulla base del codice ISCED, che definisce le aree disciplinari alle quali afferiscono i diversi insegnamenti. Prima di partire per un lungo viaggio Gli studenti dell’Università di Bari interessati a presentare domanda Erasmus dovranno attendere l’uscita del bando per l’Anno Accademico successivo. In fase di consultazione, andranno individuate le destinazioni afferenti alla propria struttura di appartenenza e al proprio livello di studi, che determineranno la scelta di una o più sedi in ordine di preferenza tra quelle pertinenti a un solo coordinatore accademico. La scelta dovrà tener poi conto del codice ISCED e del numero delle mensilità disponibili per ogni singolo accordo. Gli studenti dovranno poi registrare sul sito www. uniba.llpmanager.it la propria candidatura, da stampare e presentare presso gli uffici competenti. La graduatoria di assegnazione terrà conto di: media degli esami sostenuti; crediti maturati; conoscenza linguistica in funzione dei Paesi di destinazione prescelti e, per quanto riguarda studenti di livelli
avanzati, coefficiente di Laurea o di Dottorato. Se ritenuti idonei, i candidati dovranno concordare con i propri docenti un piano di studio, il Learning Agreement, che dovrà essere approvato dall’istituzione di appartenenza e comunicato a quella ospitante. Nel corso della mobilità, al piano di studi potranno essere comunque apportati dei cambiamenti, da formalizzare attraverso il modulo Changes to the Original Proposed Study Programme. Durante e dopo Appena arrivati, gli studenti dovranno farsi compilare il Certificate of Arrival, da inviare alla propria istituzione di appartenenza; a cui consegnare, una volta terminato il soggiorno, altri documenti fondamentali: il Transcript of Records, su cui registrare le attività didattiche svolte durante la mobilità, e un certificato attestante il periodo di studio trascorso all’estero. La modulistica è interamente disponibile sul sito LLP Manager, assieme a informazioni ulteriori e dettagliate. Da e per Bari, presente e futuro Di recente, Erasmus è stato aperto anche ad altre istituzioni. Per quanto riguarda Bari, oltre all’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ e al Politecnico, gli istituti coinvolti sono l’Accademia di Belle Arti e il Conservatorio di Musica ‘Niccolò Piccinni’. Da quest’anno, gli studenti che approdano all’Univeristà di Bari potranno godere di convenzioni con la sezione pugliese del WWF e con il Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Ciò va a integrare gli accordi già attivati con l’A.Di.S.U. e con le sezioni baresi dell’E.S.E. (Erasmus Student Experience) e dell’E.S.N. (Erasmus Student Network). In più, gli studenti incoming potranno beneficiare di corsi di Lingua italiana sia gratuiti che a prezzi convenzionati, in collaborazione con la sezione barese della Società
Dante Alighieri. Inoltre, verrà presto istituito un Front Office per accogliere le esigenze di studenti incoming e outgoing. Auspicabile è poi l’attivazione di mezzi non formali: fra questi, una piattaforma di e-learning. Dica ventitré: un bilancio sugli anni di mobilità Il polo universitario barese, parte del circuito Erasmus dal 1989, conta allo stato attuale circa 650 accordi con istituzioni straniere, distribuiti in maniera abbastanza variegata a seconda delle aree disciplinari di pertinenza. Attualmente, una grande opportunità – soprattutto in ambito scientifico e linguistico – è rappresentata dai Paesi di nuova adesione all’UE; con i Paesi non ancora membri è in corso un’integrazione preparatoria attraverso scambi di personale docente. Con la professoressa Valleri viene tracciato il bilancio di un’esperienza abbastanza radicata da garantire un primo ricambio generazionale. Se, in una prima fase, Erasmus rappresentava una garanzia in termini di placement, allo stato attuale tale situazione si è ridotta; ma la partecipazione al programma continua a pesare favorevolmente sui curricula. Una spinta verso l’eccellenza è poi garantita dal fatto che, attualmente, la mobilità sia diffusa anche tra studenti di livelli avanzati. Il ritorno sul territorio si misura sia in termini di studenti in entrata che in uscita. «La convenzione con il Parco dell’Alta Murgia mira a rendere gli studenti stranieri ambasciatori del nostro territorio all’estero» afferma la professoressa Valleri. «Per quanto riguarda gli studenti baresi, al ritorno si dimostrano più propositivi e più inquadrati a livello organizzativo». L’organizzazione risulta infatti un punto di debolezza dell’Ateneo barese, di cui viene invece apprezzata la didattica, in grado di attrarre gli studenti stranieri.
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Se per caso cascasse Erasmo io mi sposto un po’ più in là Spiacere è il suo piacere, lui ama essere odiato: il Bastian Contrario stavolta spara a zero sull’Erasmus. sull’Erasmus a cura di Bacon A me fanno anche un po’ ridere ’sti tizi su Facebook, tutti lì a linkare che mancano i fondi per l’Erasmus, che l’anno prossimo non si parte, si parte ma senza soldi, che i fondi mancano pure per quest’anno, non si capisce. Improvvisamente ci si è scoperti cittadini europei, e passi se si tratta degli studenti di Lingue, che se la menano per deformazione professionale – manco lo sanno quelli chi è Wittgenstein, ma con la scusa che «I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo» sono abituati a farselo, quel mesetto di corso all’estero. No, gli insopportabili insospettabili paladini dell’Erasmus sono altri, da quelli che in inglese dicono al massimo «I take a pizza» (che poi per un quarto è in italiano), alle provincialotte che si sparano tre ore di treno tra andata e ritorno, ma non prendono casa a Bari, ché il fidanzato non vuole. Tutti a trincerarsi dietro la mobilità, il background internazionale, e la cooperazione eccetera; ma ce ne fosse uno sincero – Erasmus fa rima con Orgasmus, dice niente? Guardate, me lo abbraccerei. Sarà anche un’esperienza formativa, ma non credo pensi a quello, chi ghigna già in coda all’ufficio Erasmus. Ma si sa, nessuno giudica le feste e l’alcool: test clinici dimostrano che chi parte fidanzato torna single o si sfidanza appena prima di partire. Che c’entri qualcosa con l’inesorabile domanda che vi fanno al ritorno? Non gliene importa niente a nessuno di sapere che avete imparato, cos’è che avete visto: vogliono numeri, forse nomi, magari con supporto visivo istantaneo gentilmente concesso dai social network. Certo, si può sempre bluffare; ma, se rimanete sul vago, è chiaro a tutti che non avete combinato niente. E allora, scusate, ma in Erasmus che ci siete andati a fare? Non l’avete visto L’Appartamento Spagnolo? Altra cosa insopportabile: ostentazione di reti
internazionali di amicizie che durano una vita. Ma va’, ché le circostanze vi spingono a non andare troppo per il sottile e ad appiccicarvi a persone che in patria nemmeno avreste degnato d’uno sguardo; e da cui potrete scroccare un soggiorno la prossima estate, in cui immancabilmente rievocherete i vecchi tempi. Data la babele linguistica, rimane il dubbio sul fatto che vi capiate davvero: ma forse il segreto dell’amicizia è proprio questo. Perché sì, poveretti, la lingua è difficile; e voi, tra test a crocette e tracce semplificate, ci fate una figura appena un po’ migliore di Peter Griffin. Ma certo, ma certo: se poi aggiungiamo professori compiacenti e manica larga delle tabelle di conversione dei voti, appare chiaro perché al ritorno sembriate tutti geni. Ma più che menti illuminate, a volte mi sembra ci proviate gusto a regredire; no, non ho detto ‘trasgredire’. Non si spiegano altrimenti quei giochetti tipici da Erasmus che, se togliete l’alcool e li traducete, somigliano ai grandi classici degli oratori di montagna. Non ho mai; Obbligo o Verità; ci manca solo il gioco della bottiglia e siamo a posto. Non credo sia questo che s’immaginano quei genitori che parlano delle imprese del loro pargolo come se l’avessero mandato a trivellare in Antartide, e fosse lui a inviare i soldi alla famiglia. Meglio tacere, su come i loro liquidi, che rabboccano gli otri dove i fondi UE non bastano, riescano con successo a conservarsi liquidi. Ad alta gradazione. Massì, mi direte, a vent’anni non si può essere seri, per farlo ci sarà una vita, non c’è niente di male a divertirsi. Tutto giusto, ma perché dovrebbe essere l’UE a pagare? Sté la cris!
Giramondo USA & TV Series a cura di Maddalena Candeliere Si sa che da sempre le serie televisive più seguite e amate soprattutto dal pubblico giovane sono ambientate tutte, o quasi, negli Stati Uniti. Ma vi siete mai soffermati a collocare l’ambientazione dei vostri telefilm preferiti? Proviamo a dare qualche indicazione di viaggio sulla base di alcune serie televisive degli ultimi anni. Partiamo con il 2006. Dexter è stata la rivelazione del piccolo schermo con il suo omonimo protagonista, ‘leggermente’ psicopatico, che decide di dedicare la sua vita a uccidere i criminali che sfuggono alla giustizia. Ovviamente sotto copertura, perché Dexter Morgan in apparenza è un semplice e tranquillo tecnico della polizia scientifica. Beh, certo. Ambientazione: Miami, il capoluogo della contea di Miami-Dade, situata sulla costa sud-orientale della Florida. Da sempre considerata ottimo scenario per le ambientazioni di film e serie tv dal gusto crudo e violento, come Scarface di Brian De Palma o Miami Vice. Ma a Miami potete visitare anche il Museo di arte contemporanea, il parco naturale di Everglades e il parco marino Seaquarium. Passiamo al 2007 con The Big Bang Theory, che vede protagonisti quattro giovani amici, nerd/geek ma, cosa più importante, scienziati: un astrofisico, un fisico sperimentale, un fisico teorico e un ingegnere aerospaziale. L’unico problema per loro è che sono dei veri e propri disadattati, e non sanno che si perdono, visto che vivono a Pasadena. Starete pensando dove diavolo si trovi questa città. Semplice, in California, e più precisamente nella contea di Los Angeles. Ospita il complesso del Jet Propulsion Laboratory della Nasa e, cosa sicuramente di maggiore interesse per i più, è la sede del Rose Bowl, l’unico stadio al mondo in cui sono state giocate le finali del torneo olimpico di
calcio, dei mondiali di calcio maschile e femminile e del Superbowl. Inoltre, come dimenticare che Quentin Tarantino ha scelto di ambientare una scena di Kill Bill Vol 1. proprio a Pasadena? E non è stato il solo: ricordiamo Vizi di famiglia, il più recente Project X e, infine, la serie Brothers & Sisters. 2008. Breaking Bad – Reazioni collaterali ha per protagonista un professore di chimica di una scuola superiore. Lui è Walter White e gli viene diagnosticato un cancro ai polmoni con un’aspettativa di vita di soli due anni. A questo punto prende una decisione discutibile: diventa uno spacciatore per cercare di salvaguardare la sua famiglia sul piano economico quando lui passerà a miglior vita. Tutto questo avviene nello stato federato del sudovest degli Stati Uniti d’America: il New Mexico. Immaginato da tutti come un luogo arido e asciutto, in realtà lo ‘stato spagnolo’ passa da scenari deserti ad ambientazioni decisamente più fredde e nevose, attraversando ampie estensioni forestali. Se amate la natura è il posto giusto per voi. Concludiamo la nostra carrellata con Smash, una serie televisiva del 2012 ambientata nella ‘Grande Mela’. La serie parla del classico sogno di Broadway: i protagonisti sono impegnati nella rappresentazione di un musical incentrato sulla vita di Marilyn Monroe. Certo non poteva mancare tra le nostre ambientazioni la fantastica e intramontabile New York, sogno di tutti i viaggiatori. In fondo chi di noi non ha mai detto, citando il libro di Stefano Spadoni, «Vado a vivere a New York»? Buon viaggio a tutti.
Visita il sito ufficiale di Breaking Bad http://bit.ly/gmlVOu
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FAQ Frequent Academic Questions a cura di Ilaria Lopez
È mai possibile che l’Università non premi gli studenti meritevoli? Cosa: buono spendibile in libri universitari del valore di € 260,00. Dove: aree Segreterie Studenti, Settore II, Palazzo Ateneo, I piano ingresso da via Nicolai, Bari (dal lunedì al venerdì: 10,00-12,00; martedì e giovedì: 15,0017,00; tel. +39 080 571 4512-4831). Qui si ritirano e riconsegnano i moduli per chiedere il buono. Come: è necessario superare tutti gli esami del piano di studi previsto per ciascun anno accademico entro il 30 settembre. La media non deve essere inferiore a 29/30. Quando: entro il 31 ottobre, ogni anno. Link: www.uniba.it > Studenti > Segreterie studenti > Segreterie amministrative > Click su ‘parte amministrativa’ nel testo della pagina > Bonus
L’Università dispone di convenzioni per agevolazioni a teatro? Cosa: biglietti gratuiti per gli spettacoli della Camerata Musicale Barese. Dove: Ufficio Relazioni con il Pubblico, Centro Polifunzionale Studenti piazza Cesare Battisti, angolo via Nicolai, Bari. Come: occorre presentarsi presso l’Ufficio adibito al servizio muniti di libretto universitario. Quando: consultare il programma degli spettacoli disponibile sul sito www.uniba.it o presso l’URP per conoscere il periodo di distribuzione dei biglietti di ciascuno spettacolo. Link: digitare www.uniba.it/ateneo/amministrazione > Ufficio Relazioni con il Pubblico > Servizi e agevolazioni per gli studenti > Attività culturali
L’università mette a disposizione dei fondi per il perfezionamento post-lauream? Cosa: borse di studio di perfezionamento all’estero del valore di circa € 8,000. Dove: una volta scaricati bando e domanda di partecipazione, il plico va consegnato presso il Settore I Protocollo del Servizio Archivistico (Palazzo Ateneo, Piazza Umberto I, 1, Bari). Come: per i requisiti necessari per richiedere la borsa di studio, consultare il bando, disponibile su www.uniba.it. Quando: la consegna della domanda scade all’inizio di agosto, ogni anno (il giorno varia di anno in anno). Link: www.uniba.it/organizzazione/amministrazione/ dip-amm/risorse-finanziarie/borse-studio > Settore IV – gestione borse post laurea.
È disponibile qualche servizio per usufruire di agevolazioni al cinema? Cosa: servizio Showcard riservato a studenti, specializzandi, dottorandi, iscritti ai master e ai corsi di Alta Formazione dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ presso le sedi di Bari, Brindisi e Taranto. Si tratta di una tessera che dà diritto a tre ticket mensili con i quali pagare l’ingresso ai cinema associati AGIS-ANEC a € 2,00. È possibile utilizzare i ticket dal lunedì al venerdì e per il primo spettacolo del sabato. Dove: SEDE DI BARI Ufficio Relazioni con il Pubblico, Centro Polifunzionale Studenti, piazza Cesare Battisti, angolo via Nicolai (dal lunedì al venerdì: 9,00-13,00; martedì e giovedì: 15,00-17,30) SEDE DI BRINDISI Presidenza (II piano), via Primo Longobardo, 23 Referente: Maria Macchitella SEDE DI TARANTO Presidenza II Facoltà di Giurisprudenza, via Acton, 77 Referente: Egidio Naio Come: è necessario esibire la fotocopia di un documento di riconoscimento valido, l’autocertificazione dello stato di studente dell’Università di Bari, la ricevuta di versamento di € 2,00 (effettuato presso l’ufficio Economato-Palazzo Ateneo, atrio di via Nicolai), una foto personale formato fototessera. Quando: dal lunedì al mercoledì presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Link: www.uniba.it/ateneo/amministrazione > Ufficio Relazioni con il Pubblico > Servizi e agevolazioni per gli studenti > Iniziativa Showcard
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La verità sulle donne L’Università degli Studi di Bari crea un Archivio di genere
a cura di Dora Renna
Bisogna stare attenti a parlare di donne. Perché abusare di luoghi comuni indispone le donne, fare retorica femminista indispone gli uomini. E invece c’è bisogno di entrambi i punti di vista per potersi confrontare, scontrare, o persino trovarsi d’accordo, perché no. La presenza delle donne come protagoniste – o peggio ancora come autrici – di opere letterarie pare davvero scarsa. Almeno così potremmo pensare aggirandoci per una qualsiasi biblioteca o sfogliando le classiche antologie scolastiche. Eppure i contributi femminili esistono. Cosa è andato perduto? Ricostruire un punto di vista spesso ignorato, che può piacere o meno, ma che per essere valutato deve essere conosciuto: questo era l’obiettivo del Centro di Documentazione e Cultura delle Donne di Bari, più comunemente CDCD, in associazione con l’Università degli Studi di Bari, nella fattispecie dell’ex Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna e del Centro Interdipartimentale di studi sulla Cultura di Genere. E per riuscirci, l’unica possibilità era la costituzione di un vero e proprio Archivio di Genere, il primo in Puglia. La proposta è stata approvata e finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Regione, rendendo così possibile il recupero delle voci di tutte le donne smarrite per strada, a scuola, in cucina. Voci adirate, romantiche, ironiche, voci di creatrici fantasiose e acute osservatrici. Il materiale raccolto dal CDCD con il contributo di docenti universitari, collezioni private, associazioni culturali e sindacali, e in particolare dell’Associazione ‘Aracne’ di Silvana Donno, è davvero notevole. Dalle riviste alla fotografia alla letteratura, alle donne come autrici e/o protagoniste. Di vita, sessualità, cultura, arte e politica viste dalle donne e dell’universo femminile raccontato dalle sue protagoniste o dagli uomini. Scorrendo i titoli si trovano letteratura rosa e diari di donne attive (e attiviste) nei periodi più drammatici della Storia o nei luoghi martoriati da guerre e dittatura. Qualche numero? Stiamo parlando di 12.000 titoli, di cui 3.000 già disponibili in ricerca OPAC e gli altri in fase di catalogazione. Niente male. Ma chi sta lavorando, in pratica, a questa pionieristica impresa?
Sono stati, oltre alle donne del CDCD, le studentesse e gli studenti (!) del Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione a tirar fuori i libri dagli scatoloni, classificarli per genere e argomento, archiviarli e registrarli, sistemarli negli scaffali. Ovviamente, dopo un necessario corso di formazione teorica (a cura di Domenico Lopez e di Silvia Magistrale), nonché sfruttando le conoscenze pregresse in ambito di Studi culturali e di genere. Tutto ciò sotto la guida dei docenti universitari, e in primis della Presidente di Scienze della Comunicazione Paola Zaccaria, responsabile scientifica del progetto. Il risultato del duro lavoro svolto a partire da quest’anno è senza dubbio encomiabile: l’archivio offre spunti di approfondimento, ricerca, e anche un valido aiuto per quanti (in genere piuttosto numerosi) decidano di scrivere una tesi di laurea o di dottorato sulle donne. Tanti anche i titoli adatti a chi volesse avvicinarsi alla letteratura femminile per semplice curiosità. In attesa dell’inaugurazione ufficiale, prevista per la primavera 2013, i testi già catalogati sono accessibili alla consultazione e prestito il lunedì e
il mercoledì dalle 16,00 alle 17,30 e il venerdì dalle 10,00 alle 12,00 presso la sede dell’ex Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna a Bari, in via De Rossi, 233. Bisogna stare attenti a parlare di donne. È vero, ma con gli strumenti giusti possiamo farlo, senza preconcetti e polemiche. Perché donne e ragazze possano ritrovare se stesse. E anche tu, uomo-che-non-deve-chiedere-mai, hai comunque necessità di capire l’universo femminile.
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Vita da fuorisede Vademecum del pendolare Rubrica pratica di consigli di sopravvivenza per Cenerentoli e Cenerentole di provincia. a cura di Antonella Di Marzio «E i pendolari? Nessuno pensa ai pendolari?» L’amara verità è che nessun esponente del MOIGE (Morigerati Organizzatori di Idiosincrasie e Gogne Eventuali) interverrà in vostra difesa nei salotti televisivi; né impegnati attivisti sfodereranno la maglietta ‘L’unico pendolo che tollero è quello dell’orologio’. Prendete dunque coscienza della vostra condizione, e rendetela orgoglio di classe: non piegatevi a cercare protezione dagli studenti in sede, troppo presi a millantare le tentazioni della nightlife della city (Mentono! Sono lì perché la London School of Design costava cara; o perché i genitori hanno minacciato di diseredarli se mettono in fila un’altra volta, nella stessa frase, le parole IO-DAMS-BOLOGNA senza frapporci un salvifico NON). E non sognatevi di far comunella coi fuorisede! Sentendosi a voi superiori, non vi ascolteranno: voleranno tiritere sugli spifferi della loro buia cella, striderà piano il lamento della pizza surgelata del discount. Non vi proteggerà quindi nessuno – e sì che ce ne sarebbe bisogno, tra tutte quelle simpatiche bestiole succhiasangue che si annidano nelle imbottiture dei sedili, su cui appoggiate i capini stanchi e grevi di nozioni: accettate dunque conforto da chi ve lo porge senza indugi, fate girare tra di voi l’accorata missiva ausiliatrice. Grazie.
Cominciamo con una facile. Fondamenti di Statistica & Politica Economica, Sociale e del Lavoro: le probabilità che uno sciopero generale dei mezzi coincida con la data del vostro esame è inversamente proporzionale al numero di esami che vi mancano alla Laurea; converrà dunque premunirvi in tempo per non saltare l’appello. Siate curiosi del mondo, informati sulle sorti delle umane genti; se quest’è troppo, siate sindacalisti almeno per un giorno. El pueblo appiedato seguro será bocciato. Autodifesa pour elle. Che siate occupate (a tempo indeterminato, a contratto, a progetto, in nero; con un lui, una lei, or both) o solinghe, verrà inesorabile il giorno in cui il polipone da treno sfodererà suadente la domanda: «Libera?» alludendo a qualcos’altro che non sia la poltrona. Bene. A meno che non desideriate sorbirvi un pompatissimo resoconto delle sue imprese (metà Donald Trump, metà Kenshiro), non andate in giro sguarnite: costruitevi un anello con materiali di scarto, ma che siano luccicanti; e indossatelo all’appropinquarsi di ogni reo sospetto di molluscaggine. Fingendo nonchalance, agitate la mano come a scacciare mosche immaginarie, in modo che lo noti; in casi di faccia di tolla estrema, stiracchiatevi finché il vostro pugno, ornato del delicato monile, non rischierà di privarlo della vista (per l’urto o per l’abbaglio). Più vistoso il gioiello, più tangibile il simbolo dell’ammmore portatovi dalla
vostra metà. (‘Autodifesa pour homme’ non è stato reputato necessario. La redazione sarà però ben felice di venire incontro alle costruttive critiche di genere). L’éducation sentimentale. Sospirate per Sofronio o Galimberta da quand’eravate matricole spaurite, li incontrate dappertutto grazie allo stalking costante su Facebook e Foursquare, ma la laurea imminente rischia di separarvi dall’amato bene senza che abbiate mai avuto il coraggio di dichiararvi. Non disperate: la soluzione c’è. Aprite il vostro cuore in treno, con una persona a caso, avendo cura di scandire bene il prezioso nome. Ciò andrà fatto rigorosamente a voce abbastanza intelligibile dalle comari in borghese che fingono di ascoltar musica in cuffia, ma al contempo abbastanza bassa perché si sospetti qualcosa di losco. Chiosate poi con: «Ma è un segreto». Il treno ha occhi e orecchie, dolcezze: è arrivato il momento di farli lavorare gratis per voi. E con questo terminiamo la corsa. Siamo al capolinea, ma solo per il momento: si è mai visto che un pendolare arrivi mai una volta per tutte? Al prossimo treno!
Il menù del fuorisede
DOs & DON’Ts dell’Università
a cura di Francesca Martines
Scontatezze e ovvietà di cui la vita vera non potrà mai fare a meno
Immaginiamo un frigorifero mezzo vuoto; mettiamoci accanto un tavolo, su cui giace una stanca pila di libri sfogliati, sottolineati, studiati – o quanto meno letti –; aggiungiamoci uno studente che, dopo una lunga giornata universitaria avrebbe solo voglia di divorare qualcosa di commestibile; se poi è una fredda e triste mensa l’alternativa su cui sfogare la fame… allora, ecco che disegniamo la più classica delle immagini che, alla sola pronuncia dell’espressione ‘fuorisede’ compare nella nostra mente. E se provassimo, invece, a pensare a un finale diverso, magari con un giovane alle prese con i fornelli, intento a cucinare un succulento pranzetto veloce, originale e, soprattutto, molto, ma molto economico? Già, perché cucinare fa bene alla salute, all’umore e costituisce un alibi perfetto per concedersi la famosa ‘pausa-studio’!
a cura di Antonella Di Marzio
Ecco pronto, dunque, un menu a bassissimo costo da realizzare con ingredienti che qualunque fuorisede possiede nel frigorifero… anche in quello più vuoto. Primo piatto: Carbonara vegetariana. Occorre semplicemente sostituire la classica pancetta con vegetali a scelta, siano essi carote, sedano, zucchine o peperoni; soffriggeteli qualche istante in padella, aggiungeteci la pasta scolata al dente e unitevi un uovo: ecco serviti zuccheri generatori di energia, proteine facilmente assimilabili e fibre amiche della salute. Passiamo al secondo piatto: alzi la mano lo studente che nel frigo non conservi una fresca e dissetante lattina di birra! Infatti, è proprio ‘la bionda’(ma va bene anche se avete una ‘rossa’!) l’ingrediente principale dell’originale ricetta del Pollo alla birra. Spennellate il pollo con olio e spezie, cospargetelo di birra e infornate per una ventina di minuti a 180°… provare per credere! Il costo totale per la realizzazione del menu è inferiore a sei euro, suddivisi per quattro persone… perché un fuorisede non è mai solo in casa!
DO: Andare in bagno con un ‘palo’, inteso come persona. Le serrature delle porte spesso sono solo (dubbiamente) ornamentali. DON’T: Praticare buchi nelle suddette porte. Non è goliardico: è vandalico e triste. DO: Farsi spacciatori di informazioni utili. Avrete reso un servizio alla comunità, e la vostra popolarità ne trarrà giovamento. DON’T: Fare terrorismo psicologico all’esame. L’ansia condivisa non vi farà socializzare. DO: Ricopiare gli appunti con regolarità. Meglio una piccola seccatura quotidiana che una grande slogatura della mano. Qualche giorno prima dell’esame. Scritto. DON’T: Piagare con metodo i compagni di corso a ridosso dell’esame. Cambieranno strada al solo intravedervi da lontano; con altrettanto metodo non risponderanno alle mail o vi daranno numeri falsi. DO: Esercitarsi a diventar fisionomisti. Vi eviterà sorrisi imbarazzati quando presunti sconosciuti nei corridoi si sbracceranno per salutarvi. Sì, stanno salutando proprio voi. DON’T: Ammettere di non aver riconosciuto chi vi saluta con ardore. Buttatela sul vago, con qualche blanda chiacchiera universitaria non troppo specifica.
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Da un nuovo sistema ibrido la fotosintesi “potenziata” Un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari e del CNR ha realizzato un più efficiente apparato fotosintetico, frutto della combinazione di elementi naturali e molecole di sintesi, che può facilitare lo sfruttamento dell’energia solare. La ricerca è pubblicata su «Angewandte Chemie» In alto: il gruppo di lavoro.
Lo stato dell’arte In tutti gli organismi naturali alimentati dalla fotosintesi, l’organizzazione funzionale dell’apparato è la stessa: complessi di proteine e pigmenti catturano la luce come un’antenna e la guidano a un centro di reazione, dove l’energia è convertita in coppie di cariche opposte. Questo stato a cariche opposte deve essere però mantenuto per un tempo sufficientemente lungo da poter essere sfruttato per fini applicativi. Di recente sono stati sviluppati dei sistemi sintetici che catturano efficacemente la luce, ma il tempo di vita degli stati a cariche separate generati è troppo breve, dell’ordine dei millisecondi. Per superare questa limitazione, nei sistemi ibridi, si combinano un ‘fotoconvertitore’ naturale e un assorbitore artificiale di luce. L’innovazione Il gruppo di ricercatori baresi ha utilizzato come antenna artificiale un assorbitore molecolare progettato ad hoc, che possiede numerosi vantaggi; in particolare la varietà strutturale dei composti organici sintetizzati permette una precisa modulazione delle proprietà fotofisiche ed elettroniche dell’assorbitore. La forma e la flessibilità molecolare possono inoltre essere finemente controllate in modo tale che l’antenna artificiale non alteri la reazione naturale e che sia inserita sul centro di reazione nei siti desiderati, in modo da massimizzarne l’efficacia. I risultati I ricercatori sono riusciti a combinare l‘antenna molecolare da loro ideata con il centro di reazione del batterio Rhodobacter sphaeroides R26 potenziando
l’attività del microrganismo, estendendola ad una regione dello spettro della luce solare che non viene assorbita dal sistema biologico originario, dimostrando che è possibile disegnare ibridi organico-biologici che, in opportune condizioni, risultino più performanti del sistema naturale. Le prospettive La ricerca rappresenta la prova concettuale che è possibile mescolare sapientemente molecole organiche e sofisticate molecole biologiche per produrre questi stati a carica separata che gli organismi fotosintetici impiegano per far funzionare il proprio metabolismo. Nelle applicazioni tecnologiche, invece, gli stati a cariche separate possono essere usati per compiere reazioni chimiche, come produrre idrogeno e ossigeno a partire dall’acqua. Il team In questo lavoro sono confluite le competenze della chimica fisica e della chimica organica applicate ai sistemi biologici. Un traguardo così ambizioso è stato raggiunto dalla sinergia fra il gruppo universitario, costituito dai proff. Angela Agostiano e Gianluca Farinola, dalle dott.sse Roberta Ragni e Alessandra Operamolla, e dal gruppo del Consiglio Nazionale delle Ricerche costituito dal dott. Omar Hassan Omar, dell’Istituto di Chimica dei Composti OrganoMetallici, e dai dott. Francesco Milano e Massimo Trotta, dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici. A questa ricerca ha attivamente collaborato il dott. Roberto Tangorra, nell’ambito del suo dottorato di ricerca in scienza dei materiali.
Un penny per i tuoi pensieri Con la Legge 390 l’Università degli Studi di Bari finanzia le migliori idee degli studenti a cura di Alessandra Macchitella I bisogni degli studenti prima di tutto. È questo in sintesi ciò che promuove la Legge n. 390 del 2 dicembre 1991. Sotto il nome ‘Norme sul diritto agli studi universitari’ si nascondono infatti tante opportunità. Per saperne di più basta cercare la legge su Internet e studiare gli articoli che spiegano con dovizia di particolari in cosa consiste. Ma c’è un’alternativa, più semplice e meno noiosa (almeno si spera): è quella di rimanere con il naso incollato alla pagina e leggere le prossime righe di questo articolo. Per non perderci nei tortuosi labirinti della giurisprudenza viene in nostro aiuto Santina Bruno, dirigente dell’Università di Bari, una Beatrice che porterà voi studenti a conoscenza di piccoli pezzi di paradiso. Siete pronti? È quasi un gioco, solo un po’ più serio: basta essere iscritti all’Università degli Studi di Bari, avere una brillante idea e formare un gruppo di cinquanta persone. Ogni anno, infatti, l’Università pubblica un bando per finanziare dei progetti di associazioni o gruppi spontanei di cinquanta firmatari che possono diventarne promotori, precisando le motivazioni, i costi previsti e le modalità per realizzarli. Una commissione si riunisce e, dopo un’accurata selezione, alcune di queste idee vengono finanziate parzialmente o integralmente. Le attività possono essere diverse: stampe di giornali, cicli di seminari, attività teatrali, cineforum ecc. Le somme necessarie provengono proprio dai contributi versati dagli studenti, che poi vanno a soddisfare i loro servizi. Oltre a questo bando ci sono anche le attività part-time e i buoni-libro, che rientrano nella fascia di interventi che tengono
conto del merito e del reddito. Sono poi previste attività di tutor per ragazzi che hanno difficoltà a essere seguiti. Da questo fondo sono sostenute anche le spese per la quota degli iscritti al CUS (Centro Universitario Sportivo) e per la tessera Showcard. Quasi in controtendenza con il periodo di crisi, che vede un aumento delle spese e delle tasse per gli studenti, l’Università crea quindi una serie di opportunità. Anche per il servizio urbano ci sono delle agevolazioni a Bari, Taranto e per gli studenti di Veterinaria che frequentano a Valenzano. Ma non è finita qui, con questi fondi si ampliano le fasce orarie nell’apertura delle biblioteche universitarie e le sale lettura restano ‘sveglie’ fino alle 20,00 in tutte le strutture dove c’è più affluenza di studenti. C’è inoltre una buona notizia anche per chi sta per concludere il suo percorso di studi in una Laurea triennale o specialistica. Se il relatore lo ritiene opportuno può inoltrare una richiesta all’Università, specificando che il suo studente ha necessità di svolgere un periodo fuori dall’Ateneo di Bari per preparare la tesi. Se l’Università dovesse ritenere valida questa richiesta può riconoscere allo studente un contributo per le spese di viaggio, di soggiorno e dell’eventuale trasporto urbano. Tante opportunità in una sola legge, con una serie di interventi che puntano ad andare incontro agli interessi e alle esigenze degli studenti.
Nella foto: l’Ateneo barese.
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Festival dei Saperi e delle Pratiche delle Donne L’evidenza di un fatto naturale
a cura di Valentina D’Elia
Nella pagina a fianco: Carla Lonzi. Sotto: la locandina della manifestazione.
Dopo aver passato lo scorso anno ‘nel segno di Ipazia’, il Centro di Documentazione e Cultura delle Donne di Bari ha riproposto, dal 16 gennaio al 22 febbraio, il Festival dei Saperi e delle Pratiche delle Donne. Questa volta nel segno di Carla Lonzi, un’altra figura emblematica della sfida alle convenzioni della cultura patriarcale. Donna di straordinaria forza e intelligenza politica, nonché apprezzata critica d’arte, Carla Lonzi fu una delle prime a schierarsi nella lotta femminista, attraverso la stesura del Manifesto di Rivolta Femminile nel luglio 1970; senza di lei il femminismo italiano sarebbe stato probabilmente meno ricco, intenso e significativo. Quest’anno il Festival organizzato dal CDCD ha affiancato alla riflessione sui Saperi quella relativa alle Pratiche, intese come ricerca di uno scambio equilibrato fra conoscenza e condizione materiale, soggettiva e collettiva, esperienza che appartiene in modo sottile ed efficace all’impegno e alla passione di tante donne. Pratica dunque come narrazione dell’esperienza, che contiene ed esprime non tanto lo stare alla realtà così com’è, ma il viverla e modificarla in coerenza con sé, nell’originalità di una ricerca ‘autentica’ secondo il dettato di Carla, che ci suggerisce il suo metodo di approccio alla realtà: «…non cerco quello di cui ho bisogno, ma lo faccio esistere». Anche quest’anno sono state riproposte sia l’impostazione dialogica che la tipologia di seminari, formula collaudata che ha già consentito di unire più voci in un’unica sinfonia e di creare una rete di interscambio culturale. Il lavoro portato avanti dalle donne del Centro di Documentazione si concretizza in questo scambio di saperi che diventa condivisione e arricchimento interiore. Personalità molto diverse fra loro e impegnate nei più diversi settori, le rappresentanti del Centro hanno però in comune la voglia di affermarsi e di affermare il ruolo della donna in una società che troppo spesso, purtroppo ancora oggi, tende a svilirlo e a marginalizzarlo. E allora, per dirla con le parole della Lonzi, «…ci costringono a rivendicare l’evidenza di un fatto naturale»: le donne scendono in campo ancora una volta per dimostrare che il loro sapere, sia teorico sia pratico, non può essere né assimilato a quello dell’universo maschile né dato per scontato. È qualcosa di altro, di diverso, un arricchimento a cui nessuno dovrebbe rinunciare, nell’ottica che ogni sapere non è neutro ma è declinato su chi lo coltiva e lo esprime. E la presa di posizione questa volta è davvero forte: «Noi ci mettiamo la faccia!» sembrano affermare le protagoniste del Festival nel trailer di Nole Biz che
BIOGRAFIA DI CARLA LONZI ha inaugurato e promosso l’evento. Visi riproposti in un gioco di luci e ombre che va a sottolineare la bellezza della differenza e l’importanza di mettersi in gioco. Il Festival è stato introdotto da una giornata inaugurale incentrata interamente sulla figura di Carla Lonzi, in cui è stato proiettato il video-documento Alzare il cielo. Ritratto di Carla Lonzi, di Loredana Rotondo. Si sono poi succeduti interessanti dibattiti e una performance delle Donne del CDCD incentrata sulla lettura del Manifesto di Rivolta femminile. Le tematiche trattate nei seminari hanno affrontato vari aspetti del sapere femminile, dalla cura, intesa in senso psico-fisico, al diritto sessuato, dal mondo del lavoro alla pedagogia. Le donne del Centro di Documentazione hanno dialogato con esponenti di spicco a livello nazionale in tutti gli ambiti del sapere contemplati. Ma non è tutto: cultura al femminile è anche arte e capacità artistica. Pertanto hanno affiancato i seminari dei momenti artistico-culturali che spaziavano dall’ambito della danza a quello della letteratura, e dalla video-arte all’arte figurativa. Il tutto con quella leggerezza e profondità tipica del tocco femminile. Pensiero e parole di Carla Lonzi in ogni occasione hanno costituito il filo rosso, la traccia e l’ispirazione.
Nata a Firenze il 6 marzo 1931, Carla Lonzi si laurea in Storia dell’Arte con Roberto Longhi, ed esercita la professione di critica d’arte fino al 1970, quando, avvicinatasi al femminismo, fonda il gruppo ‘Rivolta Femminile’ e una piccola casa editrice ad esso collegato. I suoi scritti, Sputiamo su Hegel, del 1970 e La donna clitoridea e la donna vaginale, del 1971, rispecchiano gli anni della contestazione, della ribellione e del rifiuto per quella società che vede la donna ancora sottomessa al modello maschile. Il Manifesto di Rivolta femminile del 1970 è l’atto costitutivo del gruppo ‘Rivolta Femminile’. Scritto con Carla Accardi ed Elvira Banotti, contiene in nuce tutti gli argomenti che il femminismo avrebbe fatto propri. Nel 1978 Carla Lonzi scrive Taci, anzi parla. Diario di una femminista, un vero trattato di pensiero non ideologico, mentre nel 1980 pubblica il sofferto Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, lucida analisi del fallito rapporto uomo-donna. Morirà nel 1982, a Roma.
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Bari Città Universitaria La Mediateca Regionale Pugliese È arredata con poltrone a forma di tasto ‘Esc’, ma ovviamente lo scopo di chi gestisce la Mediateca Regionale Pugliese è che vi entri quanta più gente possibile. Per consultare l’archivio, vedere un film, assistere a una conferenza, ma anche per proiettare sullo schermo le proprie immagini da Instagram, o per giocare alla Playstation. Inaugurazione La Mediateca verrà inaugura giovedì 7 marzo alle ore 18,00 con la proiezione di The Hollywood Librarians, il documentario inedito in Italia e sottotitolato dalla Associazione Italiana Bibliotecari. A seguire ci sarà l’iniziativa Bring Your Movie, dove gli utenti saranno invitati a condividere le loro magnifiche ossessioni multimediali.
Cosa La Mediateca è uno spazio della Regione Puglia gestito attraverso uno dei progetti dell’Apulia Film Commission, in particolare da Angelo Amoroso D’Aragona, Andrea Carpentieri e Claudia Attimonelli; quest’ultima farà da collegamento fra l’AFC e il Centro Studi dell’Università di Bari ‘Aldo Moro’. Sono già attivi peraltro i Tirocini formativi, convenzionati con la Facoltà di Scienze della Formazione, e una delle iniziative previste è quella di archiviare le tesi dei laureati dell’Università di Bari che abbiano argomenti attinenti alla comunicazione (studi sul cinema o sulle serie televisive, per esempio). Chi Il coordinatore generale è Angelo Amoroso d’Aragona, esperto in film making; Claudia Attimonelli si occupa di media studies; Andrea Carpentieri è un informatico, responsabile di ITC e si occupa della catalogazione. Dove Un timore riguarda la possibilità che gli studenti possano percepire come troppo lontana la sede della Mediateca, che invece guarda a loro come utenti privilegiati. Si trova in via Zanardelli, a quindici-venti minuti a piedi dall’Ateneo, e quindi è facilmente raggiungibile per lo studio pomeridiano in trasferta. La struttura, non ancora inaugurata ma già fruibile, ha iseguenti orari di apertura: lunedì, mercoledì, venerdì 10,00-13,30; martedì e giovedì 10,00-18,00, ma può essere aperta su prenotazione anche in altri orari e si può utilizzare per vedere, ad esempio, l’ultima puntata della propria serie preferita in compagnia.
Perché andarci La Mediateca ha già un archivio con 33.000 manifesti cinematografici raccolti negli anni (il più antico è del 1914, la raccolta si ferma agli anni Ottanta): un patrimonio per chi sia interessato al cinema, alla grafica o alla storia del costume, oltre che l’archivio più grande in Italia – sottolineano D’Aragona e Attimonelli – e uno dei maggiori in Europa. I manifesti saranno digitalizzati e archiviati con un sistema di tag che consenta il reperimento immediato di quante più informazioni possibile. Ma ci sono anche circa 3.000 vhs, e si tenterà di costruire archivi a partire da supporti desueti, come il videoregistratore: perché non creare uno spazio in cui ogni tecnologia possa essere utilizzata per fruire dei contenuti che sembrano ormai inutilizzabili? La Mediateca è infatti sede del deposito legale della produzione editoriale audiovisiva e musicale regionale. Un ruolo istituzionale importantissima che in Italia è assolto dalla Cineteca Nazionale e dalla Discoteca di Stato. Dotata di wireless e connessione gratuita attraverso il sistema Wiman (come gratuita è la tessera per l’accesso), la Mediateca offre anche la possibilità di consultazione di 1800 quotidiani di 80 Paesi in 40 lingue: l’archivio sarà consultabile dalla piattaforma MediaLibraryOnLine. Fra le attività proposte, una rassegna cinematografica di film ispirati a Philiph K. Dick: inaugurata lo scorso dicembre, proseguirà fino a marzo. L’idea I tre responsabili della Mediateca tengono a precisare che l’idea alla base della struttura è quella della ‘comunità di scopo’: un gruppo di persone che condividono un obiettivo e collaborano al suo raggiungimento. Gli utenti della Mediateca saranno così coinvolti in prima persona nel fare proposte e nel fornire materiali.
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Professioni in proiezione A cura di Quasar Associazione per la Formazione Professionale
Cercasi imprenditori di nuova generazione Il momento storico che stiamo vivendo è caratterizzato da instabilità e incertezza. Di fatto il termine ‘crisi’ vuol dire ‘cambiamento’ ed è da questo concetto positivo e prospettico che la nostra rubrica prende forma. Proporremo infatti un’analisi sui cambiamenti sociali, culturali ed economici, riflettendo su professioni emergenti e opportunità da cogliere, nonché sul percorso di approfondimento formativo e professionale che potrebbe avere un effetto moltiplicatore proprio su queste ultime.
Aprite la mente alle idee, siate visionari ed emozionatevi, osate e siate audaci, capitani pronti e coraggiosi, certi di poter mescolare tutto con conoscenza, competenza e lungimiranza… Domandatevi: cosa vuol dire essere imprenditori oggi? Non è forse più il tempo del posto fisso e – nell’accettazione che non esiste precarietà che possa essere sostenuta all’infinito – oggi dobbiamo investire sullo sviluppo reale senza aspettarci che le sue tappe seguano un andamento logico e lineare. Un’opportunità da cogliere perché appunto la crisi è cambiamento. La nostra rubrica sulle figure professionali emergenti prende avvio provocatoriamente dalla figura dell’imprenditore, che non è tradizionalmente intesa come ‘figura professionale’ appunto. Prima di qualsiasi altra elucubrazione, sarebbe meglio sgomberare il campo da dubbie definizioni e premettere che essa nasce verso la fine del ‘700, indentificandosi con la persona che avvia un processo di produzione mediante manodopera salariata. Il Codice Civile afferma che «imprenditore è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi e, in toto o in parte, se insieme ad altri soci, istituisce e/o gestisce un’attività economica accollandosi il rischio d’impresa». Non è corretto identificare l’imprenditore con la persona che non ha padroni e non dipende da nessuno. Tutt’altro. Deve infatti assolvere ad obblighi molto più ingenti rispetto a quelli dei propri dipendenti: rispettare scadenze e impegni, operare secondo le leggi, dimostrarsi responsabile nei confronti di clienti e fornitori ecc.
Si sono susseguiti diversi studi sulle attitudini e competenze necessarie per poter avviare una propria attività imprenditoriale. Questa figura richiede certamente caratteristiche fuori dal comune che esulano dall’avere semplici competenze in uno specifico settore professionale. In primis, ricordiamo la capacità di gestione e intuizione. La motivazione che spinge ad avviare un’attività imprenditoriale è poi tra i requisiti basilari, unitamente a una corretta valutazione dell’idea progettuale in cui dovrà essere investito il denaro ma, soprattutto, il tempo da sottrarsi ad altre attività parallele della sfera personale. Infatti, la scarsa motivazione abbinata al non voler rinunciare a determinate attività hobbistiche porta a risultati negativi che naufragano ancor prima di assaporare l’inizio dell’attività. Altro aspetto di rilievo che è alla base del successo è la capacità di relazione con clienti, fornitori, banche, agenti e dipendenti: sviluppare i propri rapporti interpersonali conferisce un valore aggiunto di considerevole importanza all’impresa. Tra gli altri sono da annoverare: - la voglia e il desiderio di fare qualcosa con le proprie forze e risorse; - una forte capacità di sostenere alti e duri ritmi di lavoro; - il bisogno di autonomia; - la fiducia incondizionata nei confronti delle proprie capacità manageriali; - una moderata propensione al rischio; - una positiva capacità di leadership; - una buona capacità organizzativa unitamente a quella di delega. Infine sarà necessario armarsi di pazienza e lavorare sempre con la stessa passione. Non dimentichiamo che oggi è necessario essere
in grado di innovare e anticipare i cambiamenti, avere grande attenzione verso lo sviluppo di nuovi mercati e l’internazionalizzazione. Tanto più che la trasformazione dei livelli di competitività richiede sovente repentini cambiamenti di strategia. Per le PMI poi sarà importante la capacità di creare sinergie con il proprio territorio, attraverso consorzi e collaborazioni multilivello, per reagire in maniera efficiente ai cambiamenti dei mercati e alla minaccia di nuovi competitor. Nel particolare periodo economico in cui ci troviamo, il lavoro da dipendente viene centellinato e sono in molti a incentivare l’attività imprenditoriale. Fondi europei e regionali favoriscono le start up di giovani talenti che abbiano voglia di credere in un’idea o un progetto. Non tutti però hanno le capacità utili per iniziare tale percorso. Per questo motivo da un po’ di anni molte società di formazione professionale, avvalendosi della collaborazioni di importanti manager, danno vita a progetti di formazione gratuiti per formare l’imprenditore di domani, stimolando in ogni potenziale imprenditore l’idea creativa o innovativa. È lo scopo che si prefigge Quasar, invitando spesso i giovani a mettersi in gioco, offrendo percorsi formativi che consentano loro di testare la propensione al business e alla creatività, e guidandoli tra le varie opportunità che l’Unione Europea e la Regione Puglia mettono a disposizione. Marica Ranaldo twitter.com/QuasarSocial
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Lo voglio! Rassegna di varie (in)utilità a cura di Ilaria Lopez
Self-made shoes
Beware the dead!
La teoria della tenda da doccia
Stanchi di guardarvi in giro e vedere addosso agli altri le stesse cose che indossate voi? Si sa, la moda, croce e delizia di ogni teenager che si rispetti, rappresenta da sempre un mezzo per identificarsi in qualche gruppo. Stando sempre attenti, però, a non cadere nel più anonimo conformismo. E allora ricominciate dalle vostre scarpe: Converse vi offre la possibilità di disegnare le vostre calzature. Come e dove farlo? Sul sito www.converse.com, sezione ‘create’: bianche, multicolor, a fantasia. Ce n’è per tutti i gusti. Da non perdere, per gli appassionati di fumetti, la sezione ‘No place for a hero’: il vostro eroe DC preferito subito sulle vostre scarpe, con tanto di design personalizzato. Un modo creativo per coniugare l’appartenenza alla massa con uno slancio di personalità.
Tutti pronti per il 2012? Secondo il calendario Maya, questo è l’anno in cui il mondo tirerà il freno e smetterà di girare. C’è da aspettarsi l’impensabile. Meglio partire preparati, quindi, perché tutto può succedere. Per la catastrofi naturali si può fare ben poco. Però si può partire preparati per un’invasione zombie. Tornerebbe molto utile un kit di sopravvivenza in caso di walking dead. Credete che non esista? Su www. thinkgeek.com lo troverete a vostra diposizione (Home > Interests > Zombies & Bacon). Troverete un Zombie Survival Kit completo di ogni strumento: dalla borraccia per l’acqua alla forchetta che funge anche da apribottiglie. E molto altro ancora. L’unica pecca? Il prezzo: $ 79,99. D’altronde, la vita non ha prezzo. E se proprio nessuna epidemia trasformasse tutti in zombie, poco male. Se non altro, potrete utilizzare il kit per le scampagnate con gli amici.
La prima cosa che viene in mente, alla fine di una giornata particolarmente pesante, è la doccia. Si sa, non c’è niente di meglio per lavare via – letteralmente – la tensione. Molto spesso la cabina è in triste muratura, difficile da personalizzare. Ma per i fortunati che hanno la possibilità di nascondersi dietro una tenda, l’angolo doccia può diventare oggetto di veri e propri sfoghi di creatività. Se poi siete anche appassionati di serie tv, www. thinkgeek.com ha quello che fa per voi: la tenda da doccia con la tavola periodica degli elementi chimici (Home > Home & Office > Essential Gear). Alle orecchie degli aficionados di The Big Bang Theory, l’oggetto non suonerà nuovo. È esattamente la stessa tenda che Leonard e Sheldon hanno nel bagno del loro appartamento. E no, tranquilli: non si tratta di un bazinga!
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L’altoforno La favola di Daniele Di Maglie sull’Ilva a cura di Dino Miccoli In alto: copertina de L’Altoforno. L’Ilva nei racconti e nelle canzoni di un cantautore di Taranto. Daniele Di Maglie, (libro + cd), Stilo Editrice.
Tum tum tum. L’intercalare, ricorrente nell’Altoforno del cantautore tarantino Daniele Di Maglie, è il rumore ‘infernale’ di Sifone ma è anche il battito cardiaco dello stesso autore, innamorato del quartiere in cui è ambientata la storia di Sisifo Re sotto la minaccia di Sifone e dei suoi fratelli. Rione Tamburi, Taranto. È qui la ‘regia dimora’ del ‘mostro siderurgico’, quello che tiene in scacco i propri sudditi. Tum tum tum. Chi scrive, al pari dell’autore, ha vissuto ‘il quartiere’. Tum tum tum. Sino a risalire alle narici e agli occhi. «Il mio quartiere era in culo al mondo. Dicevano che il nome derivasse da un antico ruscello che caracollava lungo via Orsini, in discesa, producendo uno strano rumore, tambureggiante. Tum tum tum». Inizia così il racconto di Daniele, che, scrivendo e cantando, non si è fermato al rione Tamburi (nel cd allegato la prova del suo talento musicale). C’è Taranto: il lavoro che manca, una condizione che stanca. C’è la prepotenza di Sifone e dei suoi fratelli, le ciminiere che dominano la scena. Ma c’è anche il luogo della rivolta, il tempo propizio per ricominciare a vivere. «Nessuno può spegnere il Sifone». Tum tum tum. L’Altoforno tiene col fiato sospeso. Si aspetta il
messia. Nel frattempo si passa per le altre ‘isole’, luoghi dentro altri luoghi, immagini che rendono stridente il contrasto con lui, sempre lui: Sifone. Tum tum tum. «Tutti saranno assoggettati». È l’annuncio della monocrazia, che per lunghi anni fu chiamata ‘Monocultura dell’acciaio’. La favola-non favola di Di Maglie predilige il racconto vestito di metafora. Perché venne il giorno di Sisifo, Re ambasciatore che reclutò «rancorosi, afflitti e nemici del Sifone». Sifone contro Sisifo Re. «Sisifo c’è!». L’immagine è quella di un uomo appeso a un bip bip bip. Un fibrillare di macchine e cavi e lucine accese o intermittenti. Bip bip bip vs Tum tum tum. L’incontro dell’io narrante con Sisifo è da brivido. Si ricava l’immagine di tutti coloro che hanno incontrato la malattia. Di chi ha guardato in faccia, per l’ultima volta, Sisifo Re. Che non è solo. Ci sono bambini, orfani, aiutati da Sisifo Re. Sono loro che gli danno la forza. Per abbattere il Sifone, per sconfiggere il tiranno. Del quale, a chiusura, si leggeranno la morte e i funerali. La favola ha anticipato la cronaca? Sarà mai vero che nessuno può spegnere il Sifone?
L’acciaio e le ciminiere dell’Ilva di Taranto che dovevano arricchire una città e invece l’hanno avvelenata: tra letteratura, inchiesta e cinema.
Gli operai invisibili dell’Ilva Un’inchiesta di Colucci e Alemanno a cura di Dino Miccoli Il loro destino si avvicina al paradosso. Finire a occupare la vetrina mediatica rimanendo, nonostante tutto: invisibili. Invisibili è il titolo di un libro scritto da Fulvio Colucci, giornalista della «Gazzetta del Mezzogiorno» e Giuse Alemanno, operaio dell’Ilva. «Siamo alla seconda ristampa», commenta Colucci a «Pool Academy». Ma tanto per Fulvio quanto per Giuse i dati di vendita sono soltanto il termometro della condivisione, quel sentirsi partecipi di una storia che sta diventando la storia di tutti. Ma quanti realmente colgono il dramma e la voglia di riscatto dei protagonisti? Quando Alemanno e Colucci scrissero Invisibili per i tipi di Kurumuny, l’argomento era d’attualità, ma non come oggi. Hanno contribuito i due autori tarantini a creare un varco nella folla che, silente, sapeva dell’esistenza nella zona industriale di quella fabbrica che «dava da mangiare a migliaia di famiglie». La storia del colosso, ma soprattutto le storie degli operai. Fulvio ha lo stile e la sensibilità giusta per dare voce agli esclusi. Vincitore del Premio Ilaria Alpi, è scrupoloso, profondamente innamorato della terra tarantina: in Invisibili ha lasciato spazio a loro, agli
operai, almeno uno in ogni famiglia, nella città dei due mari. E Alemanno è l’operaio ‘con la penna’. Conosce il ventre della creatura che sfama ma che chiede in cambio enormi sacrifici. Gli autori sembrano avere dato alle stampe e alla coscienza di tutti una sorta di ‘Germinal rossoblù’. Ma se Zola nel proprio tempo fu ingiustamente ritenuto contro gli operai (si pensi all’Assommoir), Invisibili non si presta a equivoci di sorta. Accostamento irriverente? No, si tratta di un ritorno alla letteratura che conta. Gli operai invisibili sono quelli che denunciano: «Voi non sapete, non potete sapere». Così come è difficile spiegare la sofferenza di coloro che hanno vissuto il dramma delle morti bianche. Ma perché – si domandano gli autori – gli operai non parlano, perché c’è sempre qualcuno che parla al posto loro? Agli invisibili si deve restituire la parola. A noi piace pensare che il libro di Alemanno e Colucci abbia aperto un varco davanti ai cancelli dello stabilimento presso i quali, a vario titolo, i due si recano ancora oggi. Con lo scopo di cambiare il corso della Storia e con l’obiettivo di costruire un futuro diverso. Migliore.
In alto: copertina de Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto, F. Colucci, G. Alemanno, Kurumuny.
Leggi il primo capitolo del volume Invisibili http://bit.ly/XAcGsN
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Fuochi d’artificio a Taranto L’Ilva nel cortometraggio di Giacomo Abruzzese a cura di Dino Miccoli In alto: la locandina del film.
Guarda il trailer di Fireworks http://bit.ly/QiegAy
Altro che profezia dei Maya. Metti che tu stia ancora pensando al 31 dicembre. A come e con chi lo hai passato. Quanti ‘botti’ hai acquistato (ma c’è la crisi, sei andato al risparmio e hai usato le stelle filanti)? Ma poi il tuo cervello si risveglia dal sonno profondo. Caspita, c’è l’Ilva con i suoi problemi, c’è la mia città con i suoi problemi. Guardi Fireworks di Giacomo Abruzzese, regista tarantino, che con il suo film breve ha girato mezzo mondo, ottenendo una lunga serie di menzioni e di riconoscimenti. Fireworks è prodotto da Le Fresnoy con il contributo di Apulia Film Commission; girato interamente a Taranto, appartiene alla schiera di prodotti creativi che rappresentano il termometro di una cultura, giovane e propositiva, che rappresenta la speranza per il territorio tarantino. «Ho cominciato sei anni fa a lavorare su un progetto di film sul siderurgico di Taranto – si legge sul blog giacomoabbruzzese.net – all’epoca ne ero davvero ossessionato, anche perché c’era un vuoto informativo. Avevo l’affanno di dover raccontare nei dettagli quanto di incredibile e scandaloso fosse accaduto e continuasse ad accadere nella mia città. Poi – fortunatamente – il caso Taranto è esploso a livello nazionale. A quel punto non sentivo più il bisogno di affrontare la questione negli stessi termini. Ma volevo lavorare
su un’immagine presente nell’immaginario di tutti i tarantini. Quella dell’esplosione del siderurgico. Partendo da questa immagine, una veduta dove l’orizzonte di Taranto viene riscritto, ho costruito una storia. La storia del gruppo internazionale di ecologisti che sceglie la lotta armata». Abruzzese non ha scritto una storia violenta, anzi, volge lo sguardo all’immaginario, per ripensare al presente e al futuro. L’esplosione è il paradosso per scuotere. Immagini dall’alto che mostrano la zona ‘rossa’, quella siderurgica, le strade che conducono al quartiere, i mercati, i volti, la gente. Abruzzese ha portato in giro per il mondo il grido di dolore della sua città, ma anche la consapevolezza che ne è ripartito il riscatto autentico, multilingue, così come sottolineato dai critici: Babele si è svegliata, il mondo meridiano, per dirla con Franco Cassano, sa che è possibile parlare la stessa lingua. Altro che profezia dei Maya. Nel corto di Abruzzese i fuochi pirotecnici si fanno presagio di una sola festa dei popoli, non cruenta o mortifera, ma festa autentica perché espressione del voler stare insieme con le ricchezze materiali e spirituali della propria terra.
Delitto d’autunno Da Taranto al Lucca Comics & Games a cura di Rosa Cambara È un fumetto d’ispirazione francese l’opera vincitrice del Lucca Project Contest 2012. L’ideatore del progetto, dal titolo Delitto d’autunno. Un’indagine di André Dupin, è Gianfranco Vitti, 37 anni, disegnatore tarantino e appassionato di fumetti sin dall’adolescenza, il quale ha realizzato l’opera con la collaborazione di due membri di ‘Labo’: Fabrizio Liuzzi, sceneggiatore e coordinatore, e Gabriele Benefico, artista visivo e tutor. ‘Labo’ è un gruppo composto da disegnatori, sceneggiatori, scrittori, illustratori e grafici tarantini che opera da cinque anni con lo scopo di promuovere la cultura fumettistica attraverso l’organizzazione di corsi e la realizzazione di progetti editoriali. Dopo essersi classificati tra i finalisti del Lucca Project Contest già nel 2010 con Gnosis, gli autori di Labo ci hanno riprovato dopo due anni, vincendo il celebre concorso ideato all’interno del Lucca Comics & Games, la principale rassegna italiana su fumetto, animazione e videogiochi in Italia. Una vittoria che, come raccontano i protagonisti, è giunta tanto gradita quanto inaspettata, a coronamento di anni di impegno e sacrifici, e che dà lustro al nostro territorio.
La scelta del genere deriva dall’interesse di Gianfranco Vitti per il fumetto francese, caratterizzato da un particolare tipo di linea e dalle didascalie ampie. «Partendo dai classici della Bonelli – racconta Gianfranco – come Tex e Dylan Dog, ho raggiunto i risultati attuali appassionandomi al fumetto francese, alla linea chiara. Ho speso molti soldi comprando i volumi dei vari autori; devo dire che amo molto questo modo d’interpretare il disegno». E poi il fortunato incontro con i docenti di ‘Labo’, che si sono accorti delle sue capacità e l’hanno spronato a partecipare al concorso, aiutandolo nella realizzazione del progetto. Una vittoria che, come sottolinea Fabrizio Liuzzi, non appartiene soltanto ai singoli, ma è sentita da tutto il gruppo. E che porterà alla pubblicazione di Delitto d’autunno per le Edizioni BD e alla sua presentazione al Lucca Comics 2013. «Delitto d’autunno – spiega Gabriele Benefico – è un noir ambientato nella Taranto degli anni Cinquanta. Il protagonista è un investigatore, ex militare, che in virtù delle origini della madre si trova in questa città, squattrinato, la classica figura del noir francese». Appuntamento alla prossima edizione del Lucca Comics, quindi, per la presentazione del fumetto completo, attualmente in corso di realizzazione.
In alto: una tavola del fumetto.
Leggi l’intervista completa all’indirizzo http://bit.ly/YjT90r
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Dal non avere superpoteri derivano grandi responsabilità Gli uomini in calzamaglia di Silvestro Ferrara a cura di Carlotta Susca In alto: Illustrazioni tratte dal libro Supergiusti, supertosti, superveri.
La copertina del libro.
Leggere fumetti, guardare cartoni animati, fiondarci al cinema per la trasposizione di storie DC o Marvel ci fa trascorrere la vita a sperare di essere morsi da un ragno radioattivo, o cavie di esperimenti dagli esiti imprevedibili. La normalità non ci basta, questo è certo. Ma per essere supereroi potrebbero bastare un po’ di inventiva, faccia tosta (tanta) e una cospicua dose di incoscienza. Silvestro Ferrara ha raccolto alcune delle storie di veri supereroi (o supereroi veri?), uomini in calzamaglia che si battono per sconfiggere il crimine: potete leggerle in Supergiusti, supertosti, superveri. Alla scoperta dei supereroi fai-da-te (Caratteri Mobili). Il fenomeno si rivela molto più diffuso di quanto potessimo sospettare, e in questo censimento dei temerari uomini comuni che si battono contro il male non ci facciamo mancare il nostrano Entomo, napoletano, ritiratosi dalle scene della lotta al crimine. Il supereroe che rimuove le ganasce alle auto parcheggiate male (dice niente «Supereroi contro la municipale»?), quello che usa come corpo contundente la tavoletta del water, la diatriba sulla pericolosità del mantello (meglio usarlo solo in
contesti ufficiali) sono alcune delle informazioni di cui non potete fare a meno. Alcune considerazioni sul libro: 1. è un bell’oggetto, anche. I supereroi sono illustrati in una rassegna finale in cui vengono riassunte le loro peculiarità; 2. non mancano indicazioni di siti, filmati e documentari per approfondire la conoscenza dei supereroi senza poteri; 3. la saggistica può essere divertente, scorrevole, insegnarci cose che non sapevamo e non farsi odiare mentre la si legge, e non è così scontato; 4. che leggere di questi incoscienti non ci suggerisca la necessità di agire in prima persona, anche contro le regole precostituite?
Quando i superpoteri sono inutili Ritratto di una famiglia che non ci interessa a cura di Carlotta Susca Ho letto altri due ‘Special books’ di ISBN Edizioni: Generazione A e Le ultime cinque ore, entrambi di Douglas Coupland, e in comune con Ritratto Di Una Famiglia Con Superpoteri (Steven Amsterdam, € 16,90) hanno la costruzione dell’intreccio. In tutti e tre i libri la storia è divisa in capitoli che portano il nome del protagonisti: la focalizzazione cambia, il narratore segue più da vicino le vicende di un personaggio per volta. È una formula che funziona, perché evita la monotonia, in teoria, perché consente di seguire vari percorsi e di illuminare le motivazioni di tutti i personaggi. Funziona a meraviglia quando i punti di vista diversi offrono differenti prospettive sulla stessa storia. La presenza dei superpoteri, poi, promette una lettura ancora più interessante: cosa faranno i personaggi con le loro capacità? La quarta di copertina annuncia invisibilità, capacità di volo, modifica della materia, la dote di far innamorare all’istante due persone. Chi apprezza il realismo magico già pregusta la sua declinazione statunitense, curioso di capire come la levità del volo di Remedios la bella possa trovare un corrispettivo in terra di Superman. Lettori incuriositi, stuzzicati, interessati, fermatevi alla
quarta di copertina. Leggetela e immaginate la storia che vi piacerebbe trovare, in che modo i personaggi utilizzeranno questi doni insospettati, come l’autore vi stupirà nel non far di loro dei salvatori del mondo ma delle persone alle prese con dei problemi, delle relazioni umane, e però delle persone inevitabilmente implicate in situazioni grandiose, che vi incolleranno alle pagine, che pretenderanno la vostra attenzione. Fermatevi alla quarta di copertina, lettori, perché all’interno del libro non c’è nulla di tutto questo. I personaggi non se ne faranno assolutamente nulla, di questi superpoteri, che verranno citati una sola volta per ciascuno di loro: «Oh, so volare»; «Leggo nella mente delle persone, interessante»; «Ho fatto innamorare mia cugina, ne sono felice». Questo è tutto quello che il libro di Amsterdam – deludentissimo – vi offrirà. Solo Alek, una specie di demiurgo tormentato (tutte sue le ‘grandi responsabilità’) avrebbe il potere di tornare indietro e modificare l’intera storia: e quando lo fa, noi abbiamo già finito di leggere questo insignificante libro. Anche per gli scrittori, avere superpoteri non è da tutti.
La copertina del libro.
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Il tropico del libro Intervista a Patrizio D’Amico A cura di Carlotta Susca Il mondo dei blogger è variegato e sfaccettato, ma non è difficile riconoscere la serietà e la passione di alcuni gruppi di persone, e la qualità del loro lavoro. Il Tropico Del Libro (www.tropicodellibro. it) si distingue per l’utilità delle rubriche, la cura grafica, la varietà delle sezioni. Intervistiamo uno degli animatori di questo blog, Patrizio D’Amico, per capire che aria tira per la Rete.
Visita il sito Tropico del Libro http://bit.ly/vBT2iC
Quanto è cambiato il mondo dei blog negli ultimi anni? Qual è la situazione attuale? Prima avere un blog era roba da smanettoni informatici, più che da letterati. Ora, invece, un CMS [Content Management System, n.d.r.] lo sa usare chiunque, sia perché le interfacce si sono semplificate, sia perché l’alfabetizzazione digitale è aumentata. Inoltre credo che prima non ci fosse l’attuale facilità e velocità (e necessità) di condivisione, perché i social network non erano così diffusi. Ora, invece, anche l’articolo del blog meno conosciuto può avere momenti di gloria ed essere letto da centinaia di utenti, se è interessante, grazie alla condivisione; di conseguenza prima c’era meno viralità, forse perché non sarebbe stata compresa o non se ne sentiva la necessità: si pensi invece a blog recenti come Fascetta nera (fascettanera. blogspot.it) o Editori della madonna (www. editoridellemadonna.it) o Recensioni facciali (recensionifacciali.wordpress.com) e alla capacità che hanno di coinvolgere e divertire i lettori. Cosa servirebbe a blog e blogger? Meno troll [utenti molesti n.d.r.] e più riconoscimenti, sia in gloria che in denaro. Ma, siccome la strada verso il riconoscimento del ruolo di blogger come lavoratore e verso la
possibilità di guadagnare con il proprio blog è lunga e tortuosa, consiglierei a tutti, intanto, di inserire sulla propria piattaforma il tasto donazioni. Io ho un blog e non l’ho inserito, però se lo facessero tutti, mi sentirei più a mio agio a inserirlo, e sarebbero gli utenti a scegliere chi premiare. Alla fine, per i programmini da scaricare gratuitamente è presente il tasto per donare, e a me capita di farlo. Quindi, perché il tempo di un programmatore dovrebbe valere più del tempo di un blogger? Io farei qualche donazione ad alcuni dei blog che leggo. Se la meritano. Auspichi un maggiore coinvolgimento dei blogger negli eventi? Se sì solo in quelli letterari o anche in eventi di altro tipo? Anche un ottimo blogger potrebbe avere problemi nell’intrattenere il pubblico, oppure non averne voglia, però negli eventi letterari i litblogger sarebbero perfetti come invitati. A Mal di Libri (www.maldilibri.wordpress.com) si è tenuta una tavola rotonda veramente bella, costruttiva, piacevole da seguire. E poi c’è stato K-lit (www. klit.it), evento unico nel suo genere. Uno spazio per i blogger letterari in tutte le fiere e festival del libro d’Italia diventerà la norma. O almeno me lo auguro. Cosa salvare della vecchia critica e cosa buttare? Salverei la competenza, l’esperienza, le penne ‘controcorrente’, la voglia di approfondire, gli articoli lunghi e ben pensati, gli approfondimenti, le belle immagini che accompagnano alcune pagine culturali (fatte spesso ad hoc da bravissimi illustratori). Butterei le recensioni fatte per interesse e tornaconto personale.
Aerei di carta a cura di Cristò
Julio Ramón Ribeyro Solo per fumatori La Nuova Frontiera Euro 15,50 – 160 pagine Balzac in cambio di qualche pacchetto di Lucky Strike, Flaubert per una manciata di Galuloises: a corto di soldi Ribeyro è costretto a barattare i libri con le sigarette. L’autore di culto peruviano e il suo rapporto con il fumo in una corrosiva raccolta di racconti.
El Roto Vignette per una crisi Minimum Fax Euro 8,00 – 100 pagine Surreale, sagace e nero: queste sono le caratteristiche di El Roto, il più popolare vignettista spagnolo. Questa raccolta tra cronaca e commento politico, porta la sua comicità anche in Italia.
Nicola Deleonardis Il manuale del Subbuteo Dodici Edizioni Euro 24,50 – 224 pagine + DVD Un manuale per conoscere le regole e le tattiche più spinte del Subbuteo, un gioco che sta vivendo una seconda giovinezza dopo il boom che ebbe negli anni ‘60 e ’70, corredato da Subbuteotopia, un documentario in DVD che racconta la storia del gioco dalle origini a oggi.
Tombola con fantasmi I numeri di Erri De Luca per raccontare una storia a cura di Rosa Cambara Napoli, la sera dell’ultimo dell’anno. Nell’aria riecheggiano i botti, le voci e i rumori di una festa che sta per esplodere. Sorella e fratello si riuniscono dopo tanti anni per giocare a tombola, ma apparecchiano per quattro, contando anche i genitori che non ci sono più. Nell’introduzione alla Doppia vita dei numeri (Feltrinelli, 79 pp., € 8,00), Erri De Luca spiega che la storia è basata sui ricordi della propria famiglia d’origine. Ed è una storia che parte dall’orecchio, in quanto Napoli è una città ricca di suoni, definita dall’autore «ammuìna di voci», che nel momento in cui scrive riaffiorano alla memoria. Alla chiamata dei numeri, le assenze si fanno presenze. I genitori tornano, senza poter essere visti, e sono giovani, perché gli scomparsi possono scegliere l’età con cui vogliono essere ricordati. Come nella Smorfia napoletana della tradizione, ogni numero evoca una storia, e un
numero dopo l’altro si genera un racconto. I numeri sono un pretesto per tornare indietro nel tempo e ripescare gli episodi più comici delle loro vite. La doppia vita dei numeri, in realtà, è la doppia vita delle persone, una seconda occasione per quelli che non ci sono più. Una storia raccontata in poche pagine, ma intense, in cui si rievoca tutta la teatralità, la mimica e il calore del popolo napoletano. La commedia è un omaggio a Eduardo De Filippo, e non manca la satira.
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Visioni a confronto dal libro al film Laguna Beach, sud California. L’oceano, le spiagge, il lusso, lo sballo. Chon e Ben. E ‘O’. Chon, ex militare delle forze speciali della marina, di poche parole, addestrato per uccidere i talebani, e Ben, figlio di ebrei progressisti, mente analitica in un animo romantico, plurilaureato, con il ‘vizio’ delle missioni umanitarie nel Terzo mondo. Amici da sempre, legati dalla stessa ragazza, Ophelia, – ribattezzata semplicemente ‘O’ – che ama entrambi e che entrambi amano, decidono di investire i loro talenti nella redditizia ‘B&C’, la fabbrica di marijuana, della marijuana migliore degli Stati Uniti. Nelle loro serre coltivano erba idroponica di inimitabile qualità «personalizzata in base ai gusti dei clienti». Sono ricchi, diversi, uniti.
Le Belve di Don Winslow a cura di Francesca Martines
Ma il loro giro d’affari richiama presto l’attenzione dei cartelli messicani, intenzionati a estendere il controllo oltreconfine, nel sud californiano di Ben e Chon, a cui non resta altra alternativa se non quella di entrare in affari con loro: far parte del giro dei narcotrafficanti, quelli che appendono alle travi dei magazzini le teste decapitate dei disobbedienti come carni da macello, quelli che giocano alla piñata con i corpi vivi dei traditori chiusi nei sacchi di juta; chiudere bottega e scappare, per i due ragazzi – o per i tre –, vorrebbe dire fare quella fine. Ma a essere in pericolo è qualcosa che vale ancor più della loro stessa vita e della ‘B&C’; è in gioco la loro anima, che per difendersi non avrà altra scelta che conformarsi alla bestialità di chi combattono. Con un linguaggio schietto, crudo, provocatorio, sfacciatamente cinico e saltuariamente volgare, Winslow ha la capacità di materializzare il lettore nella terra dei narcotrafficanti, di farlo entrare nella loro mente, anticiparne le mosse, osservare da una prospettiva studiata, conosciuta, privilegiata, la guerra dei cartelli, la battaglia della droga, il mondo dei selvaggi in azione. Dialoghi essenziali e frasi brevi si alternano a dettagliate descrizioni al limite della sceneggiatura cinematografica; violenza e humor nero si fondono dando vita a un noir dal ritmo incalzante, duro, amaramente realistico. Guarda il trailer di Le belve http://bit.ly/VSIqiu
La reazione al nuovo film di Oliver Stone dipenderà dalle aspettative dello spettatore. Chi desidera essere piacevolmente intrattenuto sarà soddisfatto; chi, invece, anela all’estasi artistica che il genio del pluripremiato regista è in grado di indurre, potrebbe rimanere perplesso. Tratto dall’omonimo romanzo di Don Winslow, Le belve racconta la storia di tre ragazzi, John (Taylor Kitsch), Ben (Aaron Johnson) e Ophelia (Blake Lively), i quali conducono una vita di sfrenato edonismo producendo la miglior marijuana della California meridionale. Il loro paradiso artificiale, tuttavia, si trasforma in inferno nel momento in cui il cartello della droga messicano, gestito dal pugno di ferro di Elena (Salma Hayek) e dal suo spietato esecutore Lado (Benicio Del Toro), si interessa al loro commercio: i tre protagonisti saranno risucchiati in una spirale di violenza che imporrà il risveglio della natura primordiale di ognuno di loro. Sugli eventi inciderà anche il ruolo di Dannis (John Travolta), un agente della DEA doppiogiochista, personaggio che evoca l’immagine di uno Stato debole e connivente, proibizionista e ipocrita. La sceneggiatura, tipica di un film di azione, non impedisce lo sviluppo di interessanti tematiche. Nel film il bene e il male coesistono, si compenetrano e si incastrano come il bianco e il nero del Tao; la natura selvaggia dell’uomo, terribile e bellissima, vince sulla civilizzazione e sulla volontà del singolo. Ophelia condivide il suo amore con i due ragazzi, un amore che la attraversa ma non le appartiene; Ben e John rappresentano gli opposti in modo semplicistico e grossolano: il primo è un botanico buddista e pacifista che sogna di cambiare il mondo, il secondo un reduce dell’Afghanistan che dal mondo è stato irrevocabilmente cambiato, brutalizzato, svuotato; l’uno ha bisogno dell’altro e vicendevolmente si amano – utilizzando la ragazza come tramite – per superare il dilemma delle loro esistenze scisse e disgregate. Stone si conferma maestro nel rappresentare la sintesi artistica tra amore e violenza, nell’accostare l’ilarità al dramma, ma perde, in questo suo ultimo lavoro, molto del suo simbolismo, rendendo lo spettatore meno attivo nell’interpretazione e nella riflessione e propinando concetti predigeriti che
Le Belve di Oliver Stone a cura di Stella Dilauro
hanno un retrogusto di mainstream. La voce fuoricampo di Ophelia risulta ridondante e banalizzante, assimilabile agli ‘spiegoni’ della fiction italiana. Un po’ sconfortante l’accostamento di attori validi e carismatici (Hayek, Del Toro, Travolta), che rievocano i fasti del buon cult di una volta, ad attori più insipidi (Kitsch, Johnson, Lively). In definitiva, un film da vedere, anche se ben lontano da capolavori quali Natural Born Killers e U Turn.
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Promised Land, Van Sant lancia un messaggio agli americani I petrolieri dichiarano guerra al film e annunciano Truthland a cura di Claudia Morelli
Guarda il trailer di Promised Land http://bit.ly/Vaugcr
L’uscita nelle sale americane era prevista prima del 6 novembre, ma il forte impatto della tematica ha causato alcuni problemi. Anche con Promised Land il regista Gus Van Sant si dedica a un argomento attuale e impegnato. La ‘Terra Promessa’ è quella in cui si svolge la sfida tra il richiamo del denaro in tempi di crisi economica e la salvaguardia della propria terra. La sceneggiatura è stata scritta dagli stessi attori protagonisti: Matt Damon, nei panni di un imprenditore del settore energetico, e John Krasinski, che interpreta un insegnante molto stimato dai suoi compaesani. I due si sfideranno rispettivamente per la conquista e la difesa di una piccola cittadina rurale della Pennsylvania, presa di mira per la ricerca di gas naturale, e dei suoi abitanti, proprietari dei terreni da trivellare. Il film si scaglia contro il fracking, metodo particolarmente invasivo e inquinante di estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo. La tecnica prevede l’iniezione ad alta pressione nel terreno di acqua e sostanze chimiche, con cui si riesce a raggiungere grandi profondità e a liberare facilmente gas e petrolio dalla roccia. Il fracking è molto più produttivo delle tecniche tradizionali e sarebbe in grado di rendere l’America energeticamente indipendente dal Medio Oriente. Tuttavia le ricadute ambientali sono molto dannose: le sostanze introdotte inquinano le falde acquifere e rendono il terreno in superficie improduttivo; inoltre le trivellazioni provocano dei piccoli terremoti. In alcuni Paesi la tecnica è stata vietata, in altri le estrazioni sono molto controllate. Anche in Italia, sebbene il nostro Paese non sia apertamente schierato sulla questione e la tecnica non sia ufficialmente permessa né vietata, c’è stata una bufera sull’ipotesi che le microonde provocate dal fracking abbiano causato il terremoto in Emilia Romagna. Il tema è dunque
scottante e la nuova pellicola di Van Sant ha subito allarmato le più grandi compagnie petrolifere americane. La realizzazione del film ha trovato ostacoli fin dalla ricerca dei finanziamenti, infine concessi dalla Focus Features. La lobby delle Big Oil ha tempestato i media di messaggi a favore della liberalizzazione delle estrazioni ed è riuscita a ritardare l’uscita del film al 28 dicembre, in modo che avvenisse dopo le elezioni presidenziali statunitensi. Risultato inutile, visto che lo scorso 6 novembre gli americani hanno riconfermato al potere Barack Obama e le sue promesse di politica verde. L’ex candidato repubblicano Mitt Romney, al contrario, in merito alla questione è totalmente allineato alla lobby petrolifera. Sono state preannunciate delle campagne di controinformazione per screditare le accuse messe in atto nel film, come il volantinaggio all’uscita dalle sale e la produzione di un film di risposta: Truthland. Il film avrebbe dovuto costituire il debutto alla regia di Matt Damon, ma l’attore, a causa di altri impegni lavorativi, ha ceduto il posto a Van Sant. Non si tratta della prima collaborazione tra i due: Damon, infatti, scrisse e recitò in Gerry e Will Hunting, che gli valse nel 1998 la prestigiosa statuetta d’oro per la miglior sceneggiatura. Il poliedrico attore era stato scelto anche in Milk, come interprete dell’assassino di Harvey Milk, primo politico statunitense dichiarato omosessuale. Promised Land riprende una storia dello scrittore statunitense Dave Eggers. La proiezione del 28 dicembre è avvenuta solo in poche sale americane, in modo da poter concorrere alle nomination per gli Oscar 2013: la diffusione è partita pochi giorni fa.
Il novello Ulisse del cinema e la sua Odissea Mark Cousins, The Story of Film a cura di Ilaria Lopez «Il cinema è sempre stato la mia vita. Ha reso migliore la mia vita. Vorrei potermi sdebitare in qualche modo. […] Gli sarò sempre grato per questo, e in segno di riconoscenza ho cercato di realizzare il primo documentario che racconta la storia dell’innovazione nel cinema». (M. Cousins) È il 2004 quando esce il libro The Story of Film di Mark Cousins, regista e critico cinematografico irlandese. Privo di eccessivi tecnicismi, il testo è una panoramica della storia del cinema in tutto il mondo, dalla sua nascita a oggi. Un’arte, quella cinematografica, che può apparire oscurata da un velo di Maya impenetrabile – il linguaggio troppo specifico risulta essere quasi sempre il primo nemico di ogni cinefilo in erba. Ma Cousins capisce che è proprio l’eccessivo uso di quel linguaggio che rischia di allontanare i neofiti del cinema dalle sale cinematografiche. E allora via i tecnicismi e avanti con un linguaggio semplice, ma mai rudimentale. The Story of Film si propone come un testo destinato ai giovani appassionati di cinema, senza la presunzione dei testi accademici. «Poi, nel 2005 il mio produttore, John Archer, mi ha proposto di girare un documentario tratto dal libro. Io l’ho preso per matto: un film del genere doveva durare minimo tre ore! […] Ben presto ci siamo resi conto che il film sarebbe stato ben più lungo di tre ore». (M. Cousins)
Seppur semplice, il testo è lungo ben 512 pagine. Sta di fatto che questo non spaventa Archer, e un anno dopo l’uscita nelle librerie The Story of Film è già il copione di un documentario. Un progetto che si può davvero definire un’Odissea – come, d’altronde, Cousins tiene a sottolineare nel titolo del film. Composto da quindici episodi della durata di un’ora circa ciascuno, The Story of Film. An Odyssey è il risultato di più di sette anni di lavoro. «I miei capelli stavano diventando grigi», dice Cousins parlando del periodo di gestazione del suo documentario. Dopotutto, The Story of Film è stato presentato al Toronto Film Festival solo nel 2011. «Ho cominciato ad accorgermi che il cinema è un mezzo che esalta l’esuberanza e la tristezza. […] E mi sono accorto che ovunque andassi nel mondo – Los Angeles, Parigi, Mosca, Dakar, Edinburgo, Senegal, Teheran, Londra, Tokyo – ci trovavo il cinema, ad accogliermi con la sua magia. The Story of Film è stato un’odissea, per me». (M. Cousins) In The Story of Film, scene tratte dai più famosi kolossal si mischiano con quelle di film sconosciuti ai più, che solo un vero cinefilo può annoverare tra le sue conoscenze cinematografiche. Interviste a registi e attori leggendari costituiscono il cardine attorno a cui girano le porte che permettono allo spettatore di entrare nel mondo di Cousins: Stanley Donen, Kyoko
Kagawa, Gus van Sant, Lars Von Trier, Claire Danes, Bernardo Bertolucci, Robert Towne, Jane Campion, Claudia Cardinale. Leggendo questi nomi, chi direbbe che un simile documentario sia frutto di un giro per il mondo fatto di alberghi a una stella e di voli low cost? Chi direbbe che il tutto sia stato assemblato nell’appartamento di Cousins a Edimburgo? The Story of Film. An Odyssey è un viaggio nel tempo e nello spazio che mira a esplorare i pascoli verdi e gli anfratti più segreti del cinema. Perché se Mark Cousins si dimostra sensibile al richiamo di panorami cinematografici non proprio famosi, non tralascia nemmeno il mainstream di Hollywood. Il segreto, per il regista irlandese, sta tutto qui: «Il motore del cinema non sono i soldi, perché i signori dei soldi non conoscono i segreti del cuore umano».
Guarda il trailer di The Story Of Film http://bit.ly/Vgenie
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Tra calligrafia e desiderio Torna in DVD il cinema di Peter Greenaway a cura di Michele Casella In alto: un frame di The Pillow Book..
om
ni (sceneggiatore e saggista)
The Pillow Book
(I racconti del cuscino)
ore, 117’
UK/Olanda, 1996, 35mm, colore, 120’
tura:
regia soggetto e sceneggiatura: Peter Greenaway dal libro di Sei Shonagon fotografia: Sacha Vierny cast: Vivian Wu, Ken Ogata, Hideko Yoshida, Yoshi Oida, Ewan McGregor produzione: Kees Kasander, Denis Wigman per Vine International Pictures, Wigman Productions, Woodline Films, Alpha Film
2.0 dolby
Peter Greenaway
vd
Drowning by Numbers (Giochi nell’acqua) The Baby of Macôn The Pillow Book (I racconti del cuscino)
GIanluca & Stefano cuRtI eDItoRI – anDRea leone PReSentano
nne che uccidono i rispettivi mariti; lla corte di Cosimo de’ Medici che la Madonna; i rituali calligrafici di ipingere il corpo dai suoi numerosi un unico cofanetto, tre capolavori o, uniti dallo stile inconfondibile Greenaway, uno degli autori più e ha sempre spaziato tra narrazione, cineasta inglese è un insuperabile arocchi, alimentati dal gusto per la azione, dalla raffinatezza visiva e dal boli.
Fiennes, ey r,
È un cinema ipermediale quello di Greenaway, capace di rinnovare non solo un’estetica ma di creare un’inedita forma narrativa che unisce creatività artistica, occhio pittorico ed eccellente competenza tecnica. Tutti questi elementi sono alla base di un progetto protratto nel tempo ma che ha visto evoluzioni fondamentali in alcuni dei capolavori di questo spigoloso autore. Primo fra tutti The pillow book (in italiano I racconti del cuscino), film de 1996 che rappresenta un anello di congiunzione fra le tematiche fondanti di Greenaway: immagine, scrittura, sensualità e racconto.
video: pal 16:9 colore / audio: italiano 2.0 dolby digital, originale 2.0 dolby digital / sottotitoli: italiano per non udenti
iene un booklet e 3 Dvd PSD 33165 GIocHI NELL’AcquA THE BABy of MAcÔN I RAccoNTI DEL cuScINo 2013
Drowning by Numbers (Giochi nell’acqua) The Baby of Macôn The Pillow Book (I racconti del cuscino) Peter Greenaway 16/12/12 23.15
Il box dedicato a Greenaway.
Per anni colpevolmente disperso fra i film non contemplati dal mercato italiano, il lungometraggio torna ora disponibile nel bellissimo Peter Greenaway Collection, triplo cofanetto edito dalla RaroVideo che raccoglie altri due capisaldi: Drowning by Numbers (Giochi nell’acqua, 1988) e The baby of Macon (Il bambino di Macon, 1992). E finalmente è possibile perdersi nuovamente nello scorrere delle pagine scritte di Vivian “Nagiko“ Wu, nella sequenza di numeri inanellata dalle tre mogli assassine e nella ricchezza visionaria dell’età di Cosimo de’ Medici. The pillow book è però il film che meglio intreccia la riflessione fra testo e immagine, fra antico e moderno, fra integrazione stilistica e complessità tecnologia. Immergersi in questi quadri in movimento è esperienza sublime per l’occhio, intarsio fra il colore del passato e lo scintillio del presente, amore per l’inchiostro e devozione per il rito. Passando di narrazione in narrazione attraverso la tecnica del picture in picture,
Greenaway ci mostra virtù e contraddizioni della nostra contemporaneità artistica. Le geometrie dell’arte, della scrittura, della moda e del cinema vengono declinate in un racconto d’amore e passione, in cui le affinità elettive si scontrano con la ineffabile realtà delle relazioni umane. Un artificio che il regista gallese padroneggia con la sua complessità equilibrata, affascinando attraverso la tradizione orientale e gli stilemi propri del nuovo millennio.
“Nella cultura giapponese l’immagine è anche il testo. Si può leggere l’ideogramma come un testo e si può vederlo come un’immagine. Esso potrebbe essere un grande modello, un grande catalizzatore per l’immaginario del cinema. Realizzare un cinema in cui testo e immagine siano completamente integrati”. Peter Greenaway
Spring Breakers Il nuovo film di Harmony Korine presentato a Venezia a cura di Leonardo Gregorio Scandaloso, raggelante, estremo, il cinema dell’ex enfant prodige Harmony Korine – classe ‘73, esordio folgorante nel ’97 con Gummo, sceneggiatore per il Larry Clark di Kids e Ken Park, autore di videoclip per Cat Power e Sonic Youth - non lascia scampo allo spettatore. Korine affonda il bisturi nella carne marcia dell’America e ne raccoglie gli scarti in racconti filmici che sbriciolano la linearità narrativa, diramandosi in digressioni, fughe.
Leggi l’articolo esteso e guarda il trailer http://bit.ly/UeUZTt
Per queste vie si arriva a Spring breakers, perché di fuga iniziatica e finale si parla nel nuovo film di Harmony, in concorso a Venezia 2012. Quattro ragazze, dopo aver rapinato uno store con pistole giocattolo e fredda cattiveria (fatta di pose sussunte da ipertrofia televisiva, si direbbe) acquistano il biglietto per il Paradiso, le spiagge fluo, alcoliche, allucinate dello
spring break, pausa di Primavera degli studenti americani. Il quartetto (sua moglie Rachel Korine, Ashley Benson, Vanessa Hudgens e Selena Gomez), approda al proprio pezzo di bulimia vacanziera, entra nel circolo lisergico di onde di mare e corpi che sussultano a un hip hop continuo. Ribelli per niente, nichiliste senza filosofia, finite presto nella rete del narcodj Alien (James Franco), che le assolda al proprio mondo di spring breaker perdurante. Ma il cacciatore diventa preda e si va a un paradossale, cruento finale. Il film ha diviso la critica, così come connaturato alla parabola artistica di Harmony che, a dispetto del suo nome, non è nato per creare armonia.
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Siamo figli della grafica A Milano la triennale Design Museum a cura di Michela Panìco In alto: pubblicità Questa è la pasta per tutti – Erberto Carboni Barilla, 1959 Courtesy Archivio Storico Barilla, Parma, Italy. Nella pagina a fianco: Massimo Dolcini Manifesto / Poster Made in Vietnam Comitato Provinciale Italia-Vietnam s.d. Courtesy Associazione Massimo Dolcini.
Un grande libro con il taglio delle pagine dei colori dell’arcobaleno. Un colore per ciascuna delle nove sezioni della quinta edizione della Triennale ‘Design Museum’, collegate a una casetta-cubo contenente il corrispondente materiale creativo: l’allestimento della mostra è curato da Fabio Novembre. Un viaggio nella grafica italiana e nella comunicazione visiva, con sezioni organizzate sotto la direzione di Silvana Annicchiarico e allestite fino al 24 febbraio 2013, da quella dedicata alla Lettera a quella dedicata al Libro, dal focus sulla Stampa Periodica a quella incentrata su Cultura e Propaganda Politica, dal lungo viaggio nella Pubblicità al suo aspetto più immediato, quello del packaging, nella sezione Imballaggi, dalla costruzione dell’Identità visiva ai Segnali attraverso il racconto di film e video.
L’obiettivo era quello di riconoscere l’autonomia e valorizzare il potenziale della creatività italiana, attraverso un viaggio che ripercorre cento anni di Storia, nei quali la grafica – specialmente quella italiana – ha sempre rappresentato i cambiamenti della società. Mettendo ordine nel magma di parole della nostra quotidianità, inventando simboli e realizzando modi di comunicazione efficaci e identità visive, la grafica ha svolto un ruolo da protagonista, riuscendo a veicolare l’attenzione sul segno, anche nella parte più strettamente correlata con l’immagine aziendale, il packaging e la pubblicità. Si è trattato di un’opportunità per presentare vicende, figure, fenomeni che hanno accompagnato e sostenuto gli sviluppi culturali, sociali, economici e politici del nostro Paese, e che restano ancora poco
A sinistra: still da video di Corpicrudi courtesy Traffic Gallery. In basso: foto di Corpicrudi courtesy Traffic Gallery.
conosciuti dai non addetti ai lavori; dell’occasione per contribuire, collegando passato e presente, a far conoscere criticamente vecchi e nuovi prodotti e strumenti della cultura visiva che fanno ormai parte della vita di tutti i giorni e che raccontano noi, chi eravamo, cosa abbiamo vissuto, come ci siamo/hanno trasformato e come è avvenuta la trasformazione. Un percorso che ha attraversato tutto il Novecento, partendo dal Futurismo e giungendo fino alla produzione più recente, in una grande varietà di rappresentazioni: dai caratteri tipografici ai marchi, passando per le riviste e i pieghevoli, gli opuscoli e le enciclopedie, attraversando anche le realizzazioni grafiche facilmente a disposizione per la fruizione da parte del grande pubblico, ma alle quali spesso non si guarda con la giusta attenzione, come ai progetti di segnaletica per gli spazi urbani e alle etichette. Parallelamente alla presentazione di oggetti grafici d’uso comune, cambia infine anche il modo di rappresentare il mestiere di grafico, un po’ più tecnico e intellettuale che artista e creativo, sempre nell’ottica dell’apertura del mondo della grafica e del design a una utenza allargata, svelandone dinamiche prettamente tecniche e alcuni tra gli aspetti poco conosciuti. Info: Triennale Design Museum viale Alemagna, 6 – Milano. Quinta edizione di Italy: the Graphic Landscape TDM 5: Grafica Italiana Direttore: Silvana Annicchiarico Curatori scientifici: Mario Piazza, Giorgio Camuffo e Carlo Vinti Progetto di allestimento: Fabio Novembre www.triennaledesignmuseum.org www.triennale.org
Sinfonia in Bianco minore Sussurrare l’Eternità a cura di Claudia Attimonelli La Sinfonia in Bianco minore è un’installazione eteromaterica inedita, nata dalla collaborazione tra Corpicrudi e Daniele Giunta ospitata nella Traffic Gallery di Roberto Ratti, luogo da anni dedicato alla celebrazione dell’arte ultracontemporanea. Sei piccoli disegni realizzati da Giunta con inchiostro, matita e argento su carta si affiancano a sei fotografie in bianco e nero di piccole dimensioni di Corpicrudi raffiguranti le tre vergini e un prezioso libretto da prima comunione che le accompagna nell’ascesa. E ancora, un dipinto in grandi dimensioni di Giunta ci immerge in un paesaggio abbacinante, mentre i due video di Corpicrudi con l’ipnotico girotondo delle tre ragazze trasfigurano i corpi in una luce bianca. Le note della Sinfonia – che dona il titolo all’intero progetto e che si propaga da una radice lignea – sono composte dagli artisti stessi. Si tratta della messa in scena, in un unico paesaggio, di una trasfigurazione in atto tra due universi mediatici e
post-naturalistici che aspirano a durare per sempre: i corpi-rizoma franti e brulicanti di misticismo provenienti dalla costellazione di memorabilia di Giunta e i corpi algidi e fantasmatici delle vergini di Corpicrudi liberati dalla fissità mortifera delle istantanee e lanciati al ralenti in un girotondo infinito. Nella Sinfonia in Bianco minore i visitatori sono invitati a passeggiare nella stanza di un alchimista della transumanità, dove, fra reperti e mirabilia, catalogati senza seguire alcun metodo scientifico, sono visibili i movimenti e le fasi delle origini, della fine, degli artifici e della salvazione. Sinfonia in Bianco minore di Corpicrudi e Daniela Giunta Traffic Gallery (BG) Aperta fino al 23/03/2013. www.danielegiunta.com www.corpicrudi.com www.trafficgallery.org
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Icona del contemporaneo ma anche viaggiatore del tempo e dello spazio, David Bowie è inventore di un’iconografia unica e articolata. Dopo 10 anni di assenza dal music business, il Duca Bianco torna con un nuovo album dopo aver compiuto il 66° compleanno, un tassello che si congiunge ad una storia discografica fuori dal comune. Proprio in questi giorni la casa editrice Caratteri Mobili pubblica un eccellente volume a firma di Leo Mansueto, un excursus lungo un’epoca in cui il racconto della vita del compositore britannico si intreccia agli aneddoti ed alle riflessioni di alcuni fra i più importanti artisti del panorama indipendente nazionale. Nelle 184 pagine di L’ultimo dei marziani – David Bowie raccontato dal poprock italiano, il giornalista ed ex discografico Mansueto analizza gli avvenimenti e le estetiche che hanno contaminato suoni e suggestioni del nostro tempo, creando un’efficace relazione fra creatività moderna e passaggi generazionali.
TAKE A BOW(ie)
Esce L’ultimo dei marziani David Bowie raccontato dal poprock italiano Quanta e quale mole di idee siano emerse dalla creatività di Bowie, e quante e quali impronte abbiano lasciato nella musica pop contemporanea e nell’immaginario collettivo, è ancor oggi difficile dire. La longevità delle sue canzoni è qui a dimostrare che la grande musica non muore mai, ma si imprime, generazione dopo generazione: nei cuori e nelle menti dei giovani, che scoprono il passato prossimo e remoto del rock e lo fanno proprio, spesso resuscitandolo con canzoni che guardano al futuro proprio ispirandosi a esse; e dei meno giovani, che quel passato non possono rinnegare e non vogliono dimenticare, perché la buona musica è memoria, individuale e collettiva, e contribuisce a dare continuità al percorso delle nostre vite, segnando magicamente un filo conduttore esistenziale che a tutti noi ricorda che siamo stati giovani, abbiamo fatto cose importanti, abbiamo fatto cose inutili, abbiamo vissuto. È il pop, bellezza! PIERPAOLO CAPOVILLA
David Bowie is THE Man, col THE maiuscolo. Non lo dico io, ma John Taylor dei Duran Duran se gli nomino il Duca Bianco. Come contraddirlo? Bowie è un iceberg. Di lui non conosciamo che la punta, la materia affiorante, una parte minima di quello che effettivamente è il suo genio. Dal punto di vista musicale non credo esista un creatore di analogie, un alchimista altrettanto estroso e bizzarro. Ancor più straordinari sono la sua abilità nel mediare arte alta e arte bassa e il gusto estetico con cui filtra ogni influenza e la rende organica con il resto. Jazz, classica, accordi elementari di prototype, citazioni vocali di Lennon, testi ereditati dalla poesia romantica, filosofia nietzscheana: il bacino culturale e lo spettro di suggestioni a cui attingono le sue canzoni sono infiniti. Ma oltre che per la sua complessità, la musica di Bowie mi piace perché, fondamentalmente, è dissonante. Bowie non ha paura della distonia, della cacofonia, dell’aleatorio. È uno dei pochi musicisti pop che ti risparmia la noia dei tre soliti accordi e s’inventa strutture armoniche da musica classica. MORGAN
Bowie ha fatto dei dischi che sono stati forse ancora più rivoluzionari sul piano sociologico. Non va dimenticato che quando è venuto alla ribalta, in Inghilterra era in corso un cambiamento del costume che lui ha saputo cogliere e interpretare non solo con le canzoni. Ha sbattuto la sua ambiguità sessuale in faccia alla società bacchettona del tempo e ha rappresentato magnificamente il tema dell’alterità vestendo i panni dell’alieno caduto sulla terra nel film di Roeg. In Italia, alla fine degli anni Settanta, quella rivoluzione arrivò in maniera attutita. MANUEL AGNELLI
Biglietto intero: 5 € Ridotto (under 25, over 65): 4€ Abbonamento 9 lezioni: 36 €
Tornano le Lezioni di Rock
Prenotazioni su: showville.net Info 080.9757084 pugliasounds.it Seguici su
Un viaggio al centro della musica Le Lezioni di Rock a cura di Ernesto Assante e Gino Castaldo, promosse da Puglia Sounds in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, sono diventate un appuntamento imperdibile per gli appassionati di musica della nostra regione. Il terzo ciclo di lezioni – ripreso il 16 gennaio con una lezione dedicata ai 50 anni di rock – quest’anno si svolge nella sala più grande del Cinema Showville di Bari (via Giannini, 9 – ex traversa di via Conte Giusso) e andrà avanti sino al 29 maggio 2013. Musica da sentire ma anche da vedere attraverso immagini e spezzoni che ripropongono vicende artistiche rappresentate con gli stili diversi delle varie epoche. I due giornalisti musicali Ernesto Assante e Gino Castaldo, firme storiche del quotidiano «la Repubblica», nel corso delle Lezioni ripercorrono i grandi momenti del rock e non solo, le incisioni indimenticabili, le storie dei personaggi e degli eventi che hanno segnato l’evoluzione della musica popolare. Prossimi appuntamenti in calendario mercoledì 27 febbraio Blues Brothers: cinema e musica nera; mercoledì 6 marzo 1971; mercoledì 27 marzo Who: Quadrophenia; mercoledì 10 aprile Radiohead: Ok Computer; mercoledì 24 aprile 50 anni di rock italiano; mercoledì 15 maggio David Bowie: Heroes infine mercoledì 29 maggio Rolling Stones. Biglietto intero 5,00 euro, biglietto ridotto under 25 e over 65 4,00 euro (sul sito web www.showville.net è attivo il servizio di prenotazione biglietti al costo di euro 0,50). Tutte le lezioni iniziano alle ore 21,00. Per informazioni www.pugliasounds.it
Sostegno alle produzioni discografiche pugliesi Sono nove le nuove produzioni discografiche che diffondono la cultura musicale pugliese ammesse al programma di creazione e promozione della prima scadenza di Puglia Sounds Record, l’avviso pubblico promosso da Puglia Sounds che per la prima volta in Italia finanzia creazione, produzione e promozione di nuovi progetti discografici. Nel periodo compreso tra 1 marzo e 31 luglio 2013 saranno create e promosse le nuove produzioni discografiche del progetto musicale salentino Almoraima (Anima Mundi snc), del quartetto Faraualla (Digressione Music), del sassofonista Roberto Ottaviano (Dodicilune), del compositore di musica elettronica Fabio Orsi (Ricerca Sonora), del duo di musica elettronica Redrum Alone con un progetto di remix affidato ad alcuni dj e producer (Faro Records), di UNA il nuovo progetto da solista di Marzia Stano (Martelabel), del rapper barese Reverendo (Goodfellas) e ancora del Mar en Dins Quartet composto dal Kekko Fornarelli Trio e dalla cantautrice catalana Rusò Sala (Blue Moon Producciones) e infine del pianista e compositore Salah Addin Roberto Re David (Ass. Cult. Piccola Bottega Popolare). Ogni progetto musicale utilizzerà un finanziamento di 5.000 euro, messo a disposizione da Puglia Sounds attraverso l’avviso pubblico, per la fase di creazione e produzione musicale e per attività promozionali.
Puglia Sounds Record, disponibile nella sezione bandi del sito web www.pugliasounds. it, sostiene progetti discografici inediti che diffondano la cultura musicale pugliese da creare e pubblicare nel periodo compreso tra il 1° marzo 2013 e il 30 settembre 2014. La prossima scadenza per candidare progetti è fissata al 12 aprile 2013 (per progetti di creazione e promozione di produzioni discografiche da realizzare e pubblicare nel periodo compreso tra il 1 agosto 2013 e il 31 dicembre 2013)
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Dicevan che era un mago A dieci anni dalla scomparsa del signor G a cura di Nicolò Aurora In alto a sinistra: Giorgio Gaber. Fondazione Giorgio Gaber Foto di Luigi Ciminaghi. In alto a destra: cover CD Per Gaber… io ci sono.
Visita il sito della Fondazione Giorgio Gaber http://bit.ly/20PmlY
La nostra generazione ha probabilmente più familiarità con l’Alfetta di Gino che con la Lambretta del Cerutti: di lui, ci informa Giorgio Gaber, «dicevan che era un mago» (nel furto di veicoli). Il signor G., scomparso ormai da dieci anni, il giorno di Capodanno del 2003, merita invece di essere riconosciuto come protagonista indiscutibile del cantautorato italiano. E non solo: è stato regista, commediografo e attore, sia teatrale che cinematografico, e soprattutto interprete ironico e arguto di un’Italia che, come spesso accade, non ha tributato i giusti riconoscimenti a un’artista che ne meritava molti. Un italiano emblematico perché nato in una famiglia di migranti (il vero cognome Gaberscik era dovuto alla provenienza goriziana del padre), una mente geniale, e una persona capace di fare del precoce infortunio al braccio sinistro il pretesto per imparare a suonare la chitarra (a scopo riabilitativo). E la chitarra è da allora diventata proiezione naturale di quella mano incompleta, anche quando non c’era, e il maneggiare sinuoso ne rievocava la presenza. Gli esordi nei locali milanesi hanno lasciato traccia nelle apparizioni successive in Tv e in teatro: ogni performance rievocava l’ambiente intimo e coinvolgente del Santa Tecla, dove il direttore artistico Nanni Ricordi ha scoperto Gaber, per fargli incidere quattro canzoni, di cui una dal titolo
emblematico Da te era bello restar. E da lui era davvero bello restare, e lasciarsi coinvolgere in ogni canzone come in una sorta di dialogo. Come non riflettere, ancora oggi – ancor più oggi – ascoltando Io non mi sento italiano? Quanti di noi continuano a Far finta di esser sani? Eppure Gaber non di rado è stato criticato aspramente dal pubblico, per esempio per la forma del teatro-canzone, da lui sviluppata nelle performance teatrali, o per la canzone Se io fossi Dio, dalla durata di oltre quattordici minuti. Non è sempre facile capire il forte impegno politico e soprattutto civile di chi, oltre ogni insulsa logica di partito, sa criticare tutti e tutto. E non lo è ancor più per una generazione di italiani che alla lettera G saprebbe associare solo un punto. Una generazione, la mia, che ha perso, nonostante abbia avuto tutto per vincere. E allora ben vengano i progetti discografici come Per Gaber… io ci sono, voluto dalla Fondazione Giorgio Gaber, una raccolta di cinquanta artisti italiani che hanno ridato voce ai maggiori successi del signor G. Perché la nostra generazione ha urgentemente bisogno di un delirio che sia ancora più forte, ma abbia un senso di vita e non di morte. Un delirio da signor G. Un delirio da Giorgio Gaber.
VV.AA. The Velvet Underground & Nico Castle Face Nell’anno che segna il quarantacinquennale di quello che da molti è considerato IL disco rock più importante di tutti i tempi (non necessariamente il più bello, sicuramente quello da cui hanno tratto ispirazione milioni di band), e cioè The Velvet Underground & Nico, è uscita questa compilation tributo ad opera di alcuni tra i gruppi più rappresentativi del rock indipendente americano degli ultimi anni, precisamente quello che fa capo al giro californiano dell’etichetta Castle Face. E il risultato, è bene dirlo subito, è davvero sorprendente (già dalla copertina, una rilettura della ‘banana’ warholiana ad opera di David Shrigley) considerato soprattutto il rischio che un tributo ad un’opera così importante potesse risultare troppo riverente o che, viceversa, una rilettura oltremodo irrispettosa ne potesse vanificare la riuscita. Si inizia con Kelley Stoltz (di cui segnaliamo l’ottimo To dreamers su Sub Pop) che accarezza soave Sunday morning, si continua con Waiting for my man nell’abrasiva versione di Warm Soda, con la convulsa, irriconoscibile, sfigurata Femme Fatale ad opera di Ty Segall, con le cacofonìe che caratterizzano viceversa l’andatura pachidermica di Venus in furs per mano dei grandi e misconosciuti Blasted Canyons. Il primo lato si chiude (già, questo tributo è uscito solo in vinile) con una Run, run, run in moviola, compressa e scarnificata da White Fence e con la più fedele All tomorrows parties riscritta dai Fresh & Onlys. Si prosegue sul secondo lato con la rilettura (anch’essa tutto sommato fedele all’originale) di Heroin dei Burnt Ones, con l’approccio ‘lo fi’ di The Mallard alle prese con There she goes again, la – se possibile – più sognante versione di I’ll be your mirror di Here Comes The Here Comes. La chiusura è invece affidata agli spigoli di The Black Angel’s death song riletta da K. Dylan + The Black Angel’s Death Songsmen e ad una bollente, free (jazz) version di European Son ad opera dei mai troppo osannati Thee Oh Sees. Grande tributo.
LOW The Invisible Way Sub Pop
di Enrico Godini
di Dora Renna
MY BLOODY VALENTINE MBV Pickpocket
Un album ben riuscito è un viaggio di emozione, sentimenti e memoria. Tre elementi cardine della produzione dei Low, che celebrano i vent’anni di carriera con The invisible way. Prodotto da Jeff Tweedy, il disco crea un’atmosfera intimistica e nostalgica, adatta tanto a una notte d’inverno quanto al sole sempre luminoso dei ricordi felici. Il sound, meno shoegaze di lavori precedenti come I could live in hope (1994), avvolge l’ascoltatore in note di chitarra acustica e piano. Brevi accenni di chitarre distorte si trovano in On my down – forse una delle tracce più interessanti. Il ritmo è cadenzato e solenne, ma resta in punta di piedi per dare spazio alle voci malinconiche ed evocative. Ad un ascolto frettoloso potrebbe forse peccare di varietà, ma questo è un album che va ascoltato con il cuore per coglierne ogni preziosa sfumatura.
Atteso da oltre 20 anni, il terzo studio album dei My Bloody Valentine è una folgorazione di suoni e suggestioni, capace di ricollegarsi con straordinaria intensità ai precedenti capolavori della band di Kevin Shields. A tessere il filo rosso di questa ammaliante narrazione sonora c’è ancora Bilinda Butcher, eterea e sensuale nel suo funambolico equilibrio fra delicatezza vocale e feedback tagliente. M B V è shoegaze allo stato puro, e pur seguendo l’inconfondibile estetica del geniale Loveless ne rappresenta il seguito complementare, tanto appassionato quanto felicemente surrealista. Le linee melodiche si intrecciano così al noise più saturo, sovrapponendo mille piani d’ascolto in nove tracce di ritmiche incalzanti, atmosfere rarefatte, eccessi di rumore bianco e indelebile fascinazione pop. Fedeli ad un’idea di musica che attraversa XX e XXI secolo dal songwriting alla dissonanza, dall’amore per l’analogico alla cura maniacale per la produzione, i My Bloody Valentine confermano un talento fuori dall’ordinario, pubblicando un album di eccezionale impatto stilistico ed emotivo. Imprescindibile. di Michele Casella
Disfunzioni Musicali
Milagros Illustrazione di Roberto La Forgia «Es un milagro!» o almeno così diceva la leggenda familiare: scaduti i nove mesi dal ritorno da Lourdes, aveva sorpreso i suoi genitori quasi vecchi nascendo da improbabile gravidanza nascosta. L’esclamazione era della portinaia cilena, prematuramente stroncata da colpo apoplettico in odor di risposta alla disattesa della sua venuta. Tal Pancha Suárez riuscì ad accaparrarsi un premio postumo per gli anni di onorato servizio, venendo riconosciuta insigne ispiratrice del nome dell’infante: ovviamente non Pancha, ché in italiano suona male, ma Milagros, eterno riposo delle sue ultime parole. L’infanzia la tenne calda, coprendola con le amiche Cristal e Guadalupe e Topazio, vittime dell’invasione sudamericana degli anni Ottanta: nomi da telenovelas sganciati come bombe. L’adolescenza la sorprese, arrivando al liceo con doccia fredda: il suo nome dava di mercato dell’usato, la stagionata concezione distillava acqua ossigenata e fiori marci. Imparò a tacere la sua storia, e ad accorciarsi il nome in Mila, ignorando i precisini che puntuali ci riappiccicavano il gros. I 90 su 100 alla maturità la liberarono dal male, requiescat in pace il pellegrinaggio commemorativo di ogni anno in pullman con i suoi. Studiò nella capitale, là ci si sente liberi; bevve vodka gran parte della notte e si spinse a Sud in estate. Andò anche un paio d’anni fuoricorso, i suoi capelli tornarono castani; collezionò storie inconcludenti e un fidanzato quasi serio, ingrassò pur continuando a piacersi mediamente; le tagliarono i fondi e si cercò un lavoro per l’estate. Telefoniste e cameriere ce n’erano già tante; la bolletta col suo nome vero le ricordò com’era nata, chissà non fosse la Madonna questa volta a ricordarsi un po’ di lei. Piena di misericordia accompagnò dietro compenso gli infermi al santuario, stimando a occhio e croce tutti morti gli habitué della sua infanzia. Soffocò il vomito alle manovre audaci del miracolato illustrissimo autista, reo sospetto di cecità residuale. Distribuì carezze e caramelle, comprensione e cioccolata; pensò che avrebbe barattato volentieri l’olfatto con chiunque lo volesse. Forse la Vergine l’avrebbe liberata dalla paresi facciale, misura autoimposta ad arginare una valle di lacrime.
Un racconto di Antonella Di Marzio Riuscì a non ribaltare la signora che spingeva in carrozzina, l’aiutò un aitante sordo con cui quasi ci provava. Non ricordava, dall’infanzia, quel caldo e quel sudore: doveva essere una nuova invenzione, o la vecchiaia. Per non parlare dei colori, eppure con la roba aveva smesso da un sacco, sempre che avesse cominciato seriamente. Trasalì dinanzi al vescovo, era così grosso. Sembrava un pacman vestito di rosso, sembrava volersela inglobare. Le sembrò che tutti i malati potessero risorgere in un momento, o forse quelli erano i morti. Erano così tanti, così inesorabili, molti non avevano gambe, ma qualcosa di diverso, di più forte, di più… Cadde a terra, le sfuggì la presa dalla carrozzina. La sua ex assistita fu salvata, ad aiutarla si levò la signora inferma alla sua destra, ormai più che sospettata di gabbare il servizio sanitario nazionale. «Es un milagro!» commentò stridula una devota accompagnatrice spagnola. E tutti le fecero eco nelle loro lingue, cosa vuoi che fosse una che sveniva sullo sfondo. Si risvegliò in ospedale, i colori si erano spenti, tremolavano ad asciugarsi nei suoi occhi, ma non era male, a parte il dolore: dovevano averla squarciata. Aveva dimenticato un sacco di francese, il medico non prendeva fiato, ma davvero non si era accorta di essere incinta? Sì era ingrassata, ma nausee poco o niente, il ciclo continuava; sì, in famiglia c’era stato un precedente, giusto una ventina d’anni prima. «Es un milagro!» le sussurrò la vicina di letto, l’ennesima spagnola. Si sforzò di sorriderle, non guardò sua figlia. Doveva laurearsi, e come l’avrebbe mantenuta? Maledetta pillola saltata, lo sapeva, ma il padre non sapeva più nemmeno dove fosse; doveva ritornare dai suoi, e a questo punto cari saluti ad André, non era un mondo per madonne con bambina. La bambina, non poteva dire di amarla; ma non la odiava tanto da chiamarla Lourdes, ed era tutto. Che ogni decisione fosse rimandata; quella importante l’aveva già subita a tradimento. Si abbandonò a un sonno medicinale, forse non era sorpresa, forse l’aveva sempre saputo, era stanca, era stanca, si cullò mormorando e mormorando e mormorando. «Es un milagro, es un milagro… Es un milagro, mierda».
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