004 GIUGNO 2010 FREE PRESS
ARTE MIGUEL ÀNGEL MARTÌN - UN OSCURO SCRUTARE VISIONI U.S.A. - IDENTITÀ E ALTERITÀ NELLA FOTOGRAFIA LIBRI EFFETTO ROTH
THE TRAVEL THAT NEVER STOPS
www.toogo.tv
COPERTINA
MIGUEL ÀNGEL MARTÌN - UN OSCURO SCRUTARE 06
VISIONI
LA NUOVA CARNE 10 THERE’S A PLACE IN HELL FOR ME AND MY FRIENDS 12 RICHARD KERN, IL GUSTO DELL’IRONIA E DEL PORNO 14 CATHERINE OPIE, IDENTITÀ E ALTERITÀ SCRITTE SUL CORPO 16 PHILLIP TOLEDANO, QUINDICI MINUTI CON MIO PADRE 17 CENERENTOLA (POP)ULAR 18 AMORE E MORTE NELL’OTELLO COLONIALE 19 IDENTIKIT - CHIARA MAZZOCCHI 20 E-COMICS: L’EVOLUZIONE DEI FUMETTI PASSA PER IL WEB 23 DEATH LIKES TV 24
LIFE
SPIRITO A PEZZI 26 PUGLIAECCELLENTE.COM 28 MY OWN PRIVATE ELEGANCE 30
CONTENT ISSUE 004
ISDLAB
EROS, (ETHOS) E THANATOS: VIDEO-AMORE E VIDEO-MORTE 36 IL DIALOGO PROGETTUALE, TRA GENESI E DISTRUZIONE 38 EROS E THANATOS VITA E MORTE 42 AMORE E MORTE, L’ETERNA CONTRAPPOSIZIONE 44
ARTE
MORE TO LOVE - L’AMORE AL TEMPO DEL POP SURREALISMO 46 I GRANDI LEGNI DI ANDREA BRANZI 48
MUSICA
FROM CAGE TO US. FROM US TO CAGE 50 DISFUNZIONI MUSICALI 52
HI-TECH
TU SEI QUI! (TI ABBIAMO CERCATO OVUNQUE) 54
LIBRI
EFFETTO ROTH 56 ADAM THIRLWELL - LA FUGA 58
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GIUGNO/EDITORIALE
EDITORIALE di Roberta Fiorito e Michele Casella ”Voglio un amore doloroso, lento, che lento sia come una lenta morte, e senza fine, voglio che più forte sia della morte e senza mutamento” (Gabriele D’Annunzio) Incomprensibili e sfuggenti, precari e nascosti. Tanti, i volti dell’amore moderno. Amori ribelli, scapigliati ma intrisi di una spiritualità dal sapore antico. Si nutrono di solitudine e di bruciante passione, sono droga della mante e dell’anima. Come delle moderne favole per adulti, in cui i protagonisti, al confine fra il sano e l’insano, tessono rapporti che oltrepassano il limite del bon ton e del perbenismo, dove l’erotismo si fa gioco, prescinde le regole e sconfina in una surreale intimità, intrecciando sesso, possesso e matrimonio dei sensi. (R.F.)
Prodotto di nicchia per antonomasia, l’arte visuale contemporanea è l’emblema della smania da fagocitosi che il mercato impone a qualunque livello. In questo senso, anche un modello di ispirazione legato alle più intime paure ed al più ambìto dei desideri è ormai diventato un clichè da quattro soldi da sfruttare, mercificare, violare, schernire. Una formula, nel bene e nel male, ancora una volta popular e (forse proprio per questo) legata al postmoderno con un nodo scorsoio serrato con ferocia. Negli ultimi anni, alla scomparsa della sacralità dei simboli è corrisposta un’esaltazione delle contaminazioni stilistiche, spesso così irriverenti ed urticanti da sovvertire i criteri estetici del nostro tempo. In questo numero di Pool analizziamo il più classico degli intrecci, quello fra Eros e Thanatos, declinato attraverso lo spazio artistico e quello del piccolo schermo, la narrazione a fumetti e il teatro meno allineato. Opere ed artisti che si distinguono attraverso una ricerca suggestiva e spesso dissacrante, capaci di gettare uno sguardo ancora sorpreso ed incantato alla realtà, trasformandola da mero simulacro a visione seducente. Opere create come conseguenza di un’urgenza intima ed irrefrenabile, forse gli unici elementi oggi capaci di non ridurre la creazione artistica all’effetto subliminale tipico di uno spot commerciale. (M.C.)
REDAZIONE Michele Casella Direttore Responsabile Vincenzo Recchia Creative Director Irene Casulli Fashion Editor Giuseppe Morea Multimedia Developer Giancarlo Berardi Visual Designer Vincenzo Pietrogiovanni Caporedattore cinema COLLABORATORI Simona Ardito, Luigia Bottalico, Elisa Caivano, Emma Capruzzi, Annarita Cellamare, Ennio Ciotta, Antonello Daprile, Roberta Fiorito, Valeria Giampietro, Enrico Godini, Paolo Interdonato, Francesca Limongelli, Ilaria Lopez, Paola Merico, Simona Merra, Stefano Milella, Pasquale Napolitano, Daniele Raspanti, Beppe Recchia, Davide Rufini, Veronica Satalino, Mimma Schirosi. FOTOGRAFI Valeria Giampietro, Daniele Raspanti Stampato presso Tipografia Romana POOL Registrazione n. 31 del 08/09/2009, presso il Trinubale di Bari www.ipool.it Cercaci su Facebook, Twitter, Myspace, Issuu.
PUBBLICITĂ€ Imood Via Cristoforo Colombo, 23 - Putignano (BA) Tel. 080.4054243 www.imood.it Vincitore del concorso Principi Attivi Giovani Idee per una Puglia Migliore
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GIUGNO/ARTE
UN OSCURO SCRUTARE di Michele Casella
LA TRASGRESSIONE CONTEMPORANEA NELL’OPERA DI MIGUEL ÀNGEL MARTÌN, L’AUTORE SPAGNOLO CHE HA MARCHIATO A FUOCO LA SCENA EUROPEA DEL FUMETTO D’AUTORE. Creatore di un personaggio memorabile come Brian The Brain e di opere cariche di una creatività inquieta e provocatoria, Martìn ha portato lo sguardo oltre quella fragile cortina che ci separa dall’orrore quotidiano di una realtà insostenibile. Cinismo e amicizia, violenza e amore, lussuria e solipsismo, eros e thanatos, tutti elementi che si scontrano con potenza deflagrante nelle coloratissime tavole delle sue opere, affrontando temi di vita comune (come la solitudine e i rapporti affettivi) o di più ampio respiro (esclusione sociale ed eutanasia). Il suo disegno dalle linee
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minimali ha reinterpretato il legame fra corpo e macchina, analizzando le mutazioni sociali in atto e saturandole di un’ironia decisamente pungente. A pochi giorni dalla ristampa italiana del suo Giorni Felici, lo abbiamo raggiunto via mail per un’intervista che è anche un’analisi della sua opera e delle sue ispirazioni. Il rapporto dei tuoi personaggi con la modernità e con la tecnologia è spesso il motore delle storie che scrivi, che visione hai del progresso e della tecnica? La tecnologia sta trasformando i rapporti personali e la maniera di vivere, oltre che la maniera di pensare. Il progresso tecnologico rende la vita più comoda e fa diventare la gente più conservatrice, non solo nel senso letterale del termine, ma anche in quello ideologico. Ma, come è evidente, la gente non diventa più felice. Secondo me questa è un’epoca caratterizzata dalla tecnologia e io sono molto interessato come artista a queste mutazioni, ma mi ritengono solo uno spettatore ed un cronista dei miei tempi. Le mutazioni, fisiche e mentali, sono un’altra caratteristica delle tue storie, qual è il background culturale da cui nascono queste “visioni”? Un certo cinema di qualche anno fa, la tua cultura scientifica o la letteratura pulp? Il background culturale di queste ‘visioni’ è dovuto al cinema di David Cronenberg, al mio interesse per
02 la scienza e soprattutto all’influenza della musica elettronica e industriale dei primi anni ottanta: WhiteHouse, SPK, Throbbing Gristle, Cabaret Voltaire... Altre importanti influenze di oggi sono la scienza, la tecnologia e la pornografia. Neuro Habitat, a mio parere, è una delle tue opere più riuscite ed inquietanti, oltre che uno specchio perfetto della nostra società. Pensi che l’immagine e il video stiano mutando in maniera così inarrestabile la nostra società? Il titolo Neuro Habitat è inspirato ad uno dei miei brani preferiti, Neurohabitat dell’ottimo artista elettronico italiano Maurizio Bianchi. In Giappone esiste un fenomeno psicologico e sociale chiamato hikikomori: ragazzi adolescenti che rimangono rinchiusi volontariamente nella loro stanza, senza parlare con la propria famiglia, collegati al mondo solo attraverso internet. Ho sentito dire che tutto questo comincia a esistere anche in USA e in Europa. Ovviamente si tratta di un caso estremo, ma ogni giorno c’è sempre più gente che rimane connessa ad internet per sempre più tempo, basando le proprie relazioni personali in questo modo. Con Playlove hai affrontato il mondo delle graphic novel con il tuo stile personalissimo, in questa opera c’è anche una presa in giro di questo genere di fumetti? Sì, ma io considero anche BITCH una graphic
novel, sebbene pubblicata a puntate sul magazine El Vibora. La sua struttura narrativa, infatti, è quella della graphic novel, perchè l’ho immaginata come un’unica storia, con un’evoluzione di ogni personaggio. Anche Il Pasto Nudo di William Burroughs è considerato un romanzo, nonostante sia composto di pezzi collegati fra di loro. Secondo me, il concetto di graphic novel mette in evidenza che il mondo del fumetto è più conservatore di quello letterario e che vive un complesso d’inferiorità. Un fumetto non è un romanzo, così come non lo è un film. Nessuno dice “romanzi filmati” per parlare delle opere cinematografiche... Questo numero di Pool ha come tema conduttore il rapporto fra eros e morte, un elemento importantissimo nelle tue opere. Cosa pensi al riguardo? Credi che l’epoca moderna abbia accentuato questo rapporto? Esiste eros senza violenza? Eros e Thanatos sono concetti molto “freudiani”, ma anche molto attuali. Questo tipo di dialettica è veramente importante nella mia opera ed è molto evidente soprattutto in Snuff2000 e Psychopathia Sexualis, ma anche (in forma diversa) in Playlove. Senza dubbio sono stati i media e soprattutto internet, in epoca moderna, ad aver amplificato questo rapporto. Non so dire si esiste eros senza una qualche forma di violenza... in effetti penso di no, ma se esiste non ne sono molto interessato, perchè sembra molto noioso, ah, ah!
01. Copertina di Bitch 02. Copertina di Sicotronic Records
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GIUGNO/ARTE
THE SPACE BETWEEN (Topolin Edizioni, 2001) Contaminazioni spaziali e cinismo intergalattico per uno dei volumi più allucinati e dissacranti dell’opera di Martìn. Un lavoro sulle mutazioni del corpo, dove la sessualità assume forme deviate e la violenza è una pulsione radicata. Glaciale e inquietante, come il vuoto dello spazio.
PSYCHOPATIA SEXUALIS (Topolin Edizioni, 1995) Un volume di ferocia e violenza, narrato attraverso un tratto minimale ed assolutamente vivido. Snuff movie, angherie e brutalità: una cronaca fredda e sconvolgente, che ne ha causato il sequestro da parte della Digos ed un processo culminato con assoluzione in formula piena. La sua miglior recensione? Le 12 pagine della sentenza del giudice.
La tua arte convive con una forte impronta di dolore e violenza; se per il lettore i tuoi lavori provocano un impatto e delle emozioni fortissime, immagino che per te l’elaborazione e la realizzazione di queste storie debbano essere estremamente intense. Ci parli della creazione dei tuoi lavori e del tuo processo creativo interiore? È vero, ma la mia arte ha anche un forte senso dell’humour. Non sono il tipico artista che soffre quando crea, per me scrittura e disegno sono sempre un piacere, è tutto simile ad un gioco. È molto divertente esplorare tutte le facce della vita e della natura umana. Non prendo la vita sul serio.
su uno “stato d’animo” che sull’orrore. ‘Lo stato d’animo dell’orrore’, ah ah! Quel che per me rimane sempre più importante è lo sguardo. Duchamp ha cambiato il corso della storia dell’arte con il suo sguardo: un orinatoio con il titolo Fontana diventa arte! Vale la stessa cosa per i miei fumetti.
Sono passati oltre 10 anni dalla pubblicazione di Psychopathia Sexualis, un volume ancora straordinario e attualissimo. È ormai prossima una ristampa anche in Italia, ci racconti come hai concepito quest’opera e cosa ha significato per te disegnarla e pubblicarla? La ristampa sarà pubblicata dalla Purple Press con una lussuosa edizione speciale che comprenderà anche l’intero caso giudiziario e le interviste a Jorge Vacca ed a me. Quando ho disegnato questo fumetto – che è una raccolta di short story – non avrei mai pensato a tutte le conseguenze che ne sono seguite. La maggior parte delle storie sono inspirate ai brani dei WhiteHouse (band di elettronica sperimentale londinese, nata negli anni 80, ndr) da cui ho preso ispirazione per quasi tutti i capitoli del volume. Secondo me si tratta di un fumetto più incentrato
Spesso nelle tue storie i protagonisti sono dei ragazzi molto giovani o addirittura dei bambini, come mai scegli proprio questo mondo per raccontare il disagio moderno? L’interesse per i personaggi bambini è cominciato vent’anni fa, quando ho creato il fumetto Giorni Felici su proposta del giornale Diario 16 (uno dei più importanti giornali spagnoli di quell’epoca) per il supplemento domenicale infantile. In questa occasione è nato anche Brian the Brain e mi sono reso conto che lo sguardo di un bambino può essere interessante per raccontare il mondo e la vita in generale. D’altronde, la gente giovane è più attiva sia dal punto di vista emozionale che da quello fisico. Per il lettore, la visione di sevizie e violenze perpetrate sui bambini corrisponde ad un vero shock; è questa la reazione che vuoi creare? Cosa provi tu nel disegnare queste tavole? Come ho detto prima, per me l’importante è lo sguardo. I miei fumetti sono solo una proposta diversa di sguardo su temi scioccanti ed una proposta al lettore di non prendere la vita sul serio ma con senso dell’umorismo.
BRIAN THE BRAIN (Coniglio editore, 2006) Emozionante ed allo stesso tempo impietosa, questa è l’opera che ha reso celebre Martìn al pubblico internazionale. Protagonista è Brian, un ragazzino privo di calotta cranica e dotato di straordinari poteri esper, continuamente emarginato ed in lotta con un mondo cinico ed ipocrita. Toccante.
A cosa stai lavorando in questo momento? Quando potremo vedere qualcosa di nuovo pubblicato in Italia? Ora sto lavorando sulla nuova storia di Brian the Brain, un Brian adolescente. La mia idea è completare una trilogia, con Brian adulto nell’ultima parte. Sto anche collaborando con la rivista Animals, e pubblicherò una serie di fumetti con ‘funny sexy animals’ per la nuova rivista TOUCH (Coniglio Editore), di prossima apparizione. GIORNI FELICI (Coniglio Editore, 2010) Originariamente pubblicato sulle pagine del periodico Diario 16 e poi raccolto in un unico volume nel 2001, Dias Felices è la più recente ristampa edita in Italia dalla Coniglio Editore, meritoria casa editrice che sta completando la bibliografia di Miguel Àngel Martìn nella nostra lingua. Ambientate in un futuro ormai prossimo e dai tratti decisamente familiari, queste storie raccontano la vita quotidiana di Tina e Jerry, due fratellini che vivono al 198° piano di un enorme grattacielo assieme ai genitori e ad un affettuoso cane alimentato a pile. Contaminazione del cibo, piogge acide e azzeramento del verde pubblico fanno da sfondo alle esperienze di vita domestica e sociale dei ragazzi, un intreccio di candore adolescenziale e cinismo contemporaneo in cui i protagonisti fanno fatica a distinguere fra vita reale e artificiale. Vivacizzato da tavole dai colori pop in cui i personaggi indossano tute protettive e mangiano rigorosamente cibo in scatola, Giorni Felici continua l’analisi del nostro tempo attraverso lo sguardo dei più giovani, in un mondo alienato ed omologato ma che possiede ancora una scintilla di ironia e vitalità. Una dolce inquietudine perfettamente sintetizzata nel capitolo finale Trick Or Treat, dove il distacco fra gioco, realtà e finzione diventa un elemento così labile da essere quasi indistinguibile.
PLAYLOVE (Purple Press, 2008) Considerata la prima vera graphic novel di Martìn, Playlove è il racconto di una storia d’amore in cui nulla è come sembra. Una storia dove i personaggi utilizzano i sentimenti per colmare il proprio vuoto interiore, cercando una gran dose di coraggio per cancellare la menzogna insita nei loro rapporti personali.
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GIUGNO/VISIONI
LA NUOVA CARNE di Vincenzo Pietrogiovanni
BREVE INTRODUZIONE ALL’ESTETICA DI DAVID CRONENBERG (IN ATTESA DEL SUO NUOVO FILM) “Ogni volta che in un mio poi laurearsi in lettere all’Università di Toronto. Poco più che trentenne, si avvicina al cinema film io uccido, con un bagaglio culturale ampio: le sue passioni letterarie sono Burroughs e Nabokov, condivide si tratta veramente la teoria di Bazin sul cinema sonoro. Insomma, ci sono tutte le premesse per un successo della ripetizione incredibile. E così è stato. Ma non vi vorrei parlare di tutto il cinema di Cronenberg, anche perché della mia morte”. (D.C.) non basterebbero tutte le pagine di questa rivista. Vorrei solo raccontarvi, e anche brevemente, di Sono decisamente lontani i tempi in cui, in quello strano mondo che è il cinema, si guardava a David Cronenberg con sdegno, sospetto e disgusto che in fondo nascondevano tanta invidia. Della sua prossima pellicola, la sedicesima, dal titolo The Matarese Circle, tratta dell’omonimo romanzo di Robert Ludlum, si parla già da molto tempo: probabilmente uscirà entro il 2010, gli attori protagonisti saranno Tom Cruise e Denzel Washington e la versione definitiva della sceneggiatura è stata rivista direttamente da Cronenberg. Almeno, questo è ciò che si vocifera. Una cosa è certa: David Cronenberg, dal suo primo lungometraggio – uscito ormai 35 anni fa – ad oggi, ha compiuto una traiettoria a dir poco iperbolica. Nato a Toronto, in Canada, il 15 marzo 1943, in una famiglia ebrea, borghese e molto stimolante, inizia gli studi universitari al Dipartimento Scientifico ma li abbandona per
come l’ingresso di Cronenberg nel cinema sia stato dirompente, ovvero, più semplicemente, di come si è arrivati ad un certo punto a definirlo “un depravato, un sovrano dell’horror venereo, un barone amante del sangue”.
Dopo un breve periodo di “apprendistato”, nel 1975 dà alla luce il suo primo lungometraggio con una regolare distribuzione, Il demone sotto la pelle, ovvero un horror che racconta la storia della diffusione di un parassita, frutto di un esperimento del dottor Hobbes (homo homini lupus) che si impossessa dei corpi, azzerandone la razionalità e spingendone oltre ogni freno l’istinto sessuale. Il cinema diventa un virus che penetra i corpi, li eccita, li corrompe, li spinge a mutazioni inarrestabili. I parassiti del dottor Hobbes, dalla evidente forma fallica, si insinuano attraverso gli orifizi nelle viscere e da esse cercano di venire fuori, creando escrescenze e protuberanze,
ALTRI CANALI ALLA RICERCA DI FORME ALTERNATIVE DI DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA Tra i tanti siti dove poter guardare film gratuitamente e legalmente, filmannex.com è per certo tra quelli che sta conoscendo la crescita più forte. Film Annex è una vera e propria piattaforma on-line dell’audiovisivo, interattiva e composta da 5 sezioni. La prima, Watch movies, permette la visione di più di 15.000 tra film – perlopiù cortometraggi provenienti dai più prestigiosi festival internazionali, ma non solo – e video, divisi in 19 categorie, tra cui action, animazione, arte, commedie, documentari, classici, drammatici e poi videointerviste, servizi sui festival, talk show e web series. Se grazie alla sezione Download è possibile guardare comodamente i film sul proprio computer, nella sezione Upload si possono mettere in rete opere
deformando i corpi dall’interno verso l’esterno, in una esplosione che sa di morte e di vita allo stesso tempo. Il contagio si fa rapido, l’epidemia si diffonde. Eccola nel finale orgiastico del film, dove lo sguardo di Cronenberg non tentenna in alcun modo: il sesso e la morte sono una gioiosa e selvaggia liberazione. L’anno successivo, il regista canadese dirige la sua seconda pellicola: Rabid Sete di Sangue. Altro contagio. Altra epidemia. Rose, vittima di un esperimento di trapianto cutaneo tra esseri umani, inizia ad avvertire strani sintomi: le spunta un pungiglione sotto l’ascella con il quale morde tutti coloro che le sono attorno per cibarsi del loro sangue e, contemporaneamente, infettarli. Da quel momento le sue vittime sono spinte a mordere altri uomini. La malattia dilaga, trascinandosi dietro migliaia di morti. Un vampirismo sui generis, lontano dai classici del cinema, che sottolinea ancora una volta lo stato brado in cui vive l’uomo, rispetto al quale la scienza non si pone come àncora di salvezza ma come cassa di risonanza. Anche qui il sesso, rappresentato dal pungiglione di Rose, è violenza, prevaricazione, sopruso e non può che portare alla morte. Sugli schermi scivolano corpi, corpi nudi e caldi, ma non c’è nulla di pornografico, e se c’è, si fa metafisico. I corpi sono sanguinolenti ma
che altrimenti non avrebbero alcuna distribuzione, fornendo così un ottimo strumento soprattutto ai videomaker e ai filmmaker ultraindipendenti. C’è anche una sezione dedicata alle Web tv, in cui sono presenti ben 111 canali. Tutti gli utenti, poi, si incontrano nella Community, per scambiarsi opinioni ed informazioni su eventi, presentazioni, festival, rassegne e dove i filmmaker incontrano l’industria cinematografica. Il catalogo e i servizi che offre Film Annex, quindi, sono molto interessanti sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Forse una delle poche pecche di questa piattaforma è la qualità delle immagini di alcuni film, a volte non all’altezza di altri siti di questo tipo di cui abbiamo già parlato nei mesi scorsi. (V. P.)
mai granguignoleschi o terrificanti. Sebbene si tratti di corpi infetti, virulenti, deformi e corrotti, lo sguardo di Cronenberg ci sembra compassionevole o al più ironico. David Cronenberg, nell’incentrare i suoi primissimi film sui corpi, come se la macchina da presa fosse attratta dalla carne dei suoi attori, più di altri cineasti – a parte Shinya Tsukamoto – ha dato vita ad un cinema della corporeità. E proprio come i corpi che mette in scena, anche il suo cinema, in un alchemico gioco di specchi, si fa vacillante, metamorfico, ibridato, morente. È da questo universo che Cronenberg, in un’intervista apparsa su Cahiers du cinéma, ha affermato: “Mi interessano molto i documentari sull’interno dei corpi. Mi sembra strano che quando si apre un corpo umano per la maggior parte delle persone sia ripugnante. Perché? Siete voi, sono io! Come potete trovare ripugnante il vostro stesso corpo? È ciò che voi siete! Abbiamo bisogno di una nuova estetica per l’interno dei corpi!” E non vi ho ancora parlato di Scanners o, a maggior ragione, di Crash! Nel frattempo, però, quando andrete a vedere The Matarese Circle, ricordatevi che anche questo è stato.
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THERE’S A PLACE IN HELL FOR ME AND MY FRIENDS di Valeria Giampietro
Ryan McGinley, dalle campagne per Wrangler e Levi’s alla nuova produzione Everybody Knows This Is Nowhere. L’Indispensabile alla Team Gallery, NY. Ryan McGinley, fotografo trentaduenne originario del New Jersey, è probabilmente uno dei più giovani e promettenti artisti della scena newyorkese degli ultimi anni. Nel 2001 presenta la sua prima personale al Whitney Museum of Art. Ha solo 24 anni. Nel 2003 viene eletto “Fotografo dell’anno” dall’American Photo Magazine e si guadagna lo Young Photographer Infinity Award. Attualmente un ritratto di McGinley ha un valore sul mercato che si aggira tra i 5.000 e i 25.000 dollari. Non è monetariamente quantificabile, il talento di McGinley. Né svendibile. La sua arte nasce dalla sottocultura del Lower East Side di New York di fine anni Novanta, dagli
skateboarder, dalla cultura dei graffiti e dalla comunità gay dell’East Village. Innumerevoli coloro che hanno permesso a McGinley di entrare nelle loro vite documentandone ogni attimo. Hannah Liden, Donald Cumming, Emily Sundblad, Dan Colen e Dash Snow, promettente artista newyorkese scomparso di overdose a soli ventisette anni. Dash incarnava tutto quello che l’artista aveva sempre desiderato documentare e tutto quello che avrebbe voluto essere. Irresponsabile, avventato, spensierato e selvaggio. Ryan, Dash e Dan Colen erano come i Three Stooges. Ragazzi marci che amavano terrorizzare la città e documentarne tutto. Uno stile di vita dedito alla libertà e agli eccessi che documenta un’epoca in cui non si ha paura di fallire perché è proprio quello di cui abbiamo bisogno per vivere. Se non fallisci, allora, non stai facendo nulla. Il feroce entusiasmo dell’estetica di McGinley si esprime fortemente nel suo approccio al corpo e alla sessualità, totalmente disinvolto e svincolato da gratuite ostentazioni. La Pornografia, vista come Arte, rende la vita degna di essere vissuta. Così come la masturbazione, intesa come atto creativo. Facilmente desumibile l’apporto formativo di Larry Clark e Gus Van Sant alle sue più note serie di scatti (I Know Where the Summer Goes, 2007; Moonmilk, 2009) a cui seguiranno i suoi
primi lavori in digitale raccolti in Everybody Knows This Is Nowhere, 2010. La mostra, ospitata presso la Team Gallery a Soho, include la sua ultima serie di ritratti in bianco e nero. McGinley decide di abbandonare gli aridi orizzonti campestri e gli ondulati contorni delle grotte in cui si muovono i soggetti delle sue precedenti produzioni e si affida a sfondi totalmente neutrali. Nessuna distrazione. Esiste solo il soggetto. E i suoi occhi innocenti. Specchio di un’inquietudine più profonda. McGinley trae ispirazione dall’omonimo brano di Neil Young. Ci invita ad osservare la realtà privandola di tutto. Nessun ‘dove’, nessun abito, nessun decoro. Galleggiamo in un bianco spazio astratto e ci allontaniamo dalla realtà. Improvvisamente, non c’è spazio. E non c’è tempo. www.ryanmcginley.com www.teamgal.com
Da sinistra in senso orario: Shot fotografici: Algo, Larson e Coco
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GIUGNO/VISIONI
RICHARD KERN, IL GUSTO DELL’IRONIA E DEL PORNO di Valeria Giampietro
Dopo il successo decretato dal pubblico genovese alla mostra New Shots, la Galleria Doozo di Roma ospita una notevole serie di scatti del pioniere del Cinema della Trasgressione “A diciotto anni, forse diciannove, avevo già avuto esperienze di fotografia. Mio padre era redattore del giornale locale e il suo lavoro prevedeva anche scattare fotografie degli eventi di cui scriveva negli articoli. Durante tutta la mia adolescenza io l’ho accompagnato nei suoi incarichi notturni, quando era chiamato sui luoghi degli incidenti, annegamenti o riunioni politiche. Nella mia mente di ragazzo ‘andare a scattare una foto’ era sinonimo di avventura. Mio padre incoraggiava questo mio interesse per la fotografia. Immediatamente, cominciai a rivelare, a manifestare le mie tendenze voyeuristiche”.
Quello che avete appena letto è un gustosissimo estratto dall’autobiografia di Richard Kern contenuta nel dvd New York Underground Collection, un’inestimabile raccolta di corti e mediometraggi del “cameramen del male” accuratamente selezionati e distribuiti in Italia dalla RaroVideo. Richard Kern, oltre ad essere uno dei fotografi più discussi dalla critica e dal pubblico, è soprattutto un’autentica pietra miliare del movimento punk anarco-nichilista che dilaga negli Stati Uniti a metà degli anni settanta. Il suo primo appartamento è nel Lower East Side. L’edificio in cui abita è un covo di spacciatori di eroina e di artisti squattrinati con cui divide l’affitto. Trasforma un locale in una camera oscura e altri tre in un laboratorio dove scatta le foto. Nel 1983 acquista una Super 8 per cinque dollari e comincia a riprendere i suoi amici nei bar, nei night club, ovunque. In questi film compaiono Nick Zedd, Lydia Lunch, Lung Leg, Cassandra Stark, Sonic Youth, Tommy Turner, David Wojnarowitcz, Karen Finley, Audrey Rose, Clint Ruin e altri. Nasce così il “Cinema della Trasgressione”, erede di quel Cinema Underground Americano degli anni sessanta che vide in Andy Warhol e John Waters i massimi esponenti. Richard Kern si avvale della produzione di Nick Zedd e del potente e incalzante commento sonoro di artisti come Foetus, Jim Coleman, Lydia Lunch, icona della scena No Wave newyorkese, J. G.
Richard Kern è nato nel 1954 a Roanoke Rapids in North Carolina. Vive e lavora a New York City. Tra le numerose pubblicazioni dedicate al suo lavoro, ricordiamo XX Girls (Fiction Inc. Tokyo, 1996), N.Y. Girls (Taschen, 1997), Model Release (Taschen, 2000), Soft (Universe, 2005), Action (Taschen, 2007) e Looker (Abrams 2008). Le pubblicazioni italiane includono Richard Kern (Charta Edizioni, Milan, 1998) e Digital (Charta, 2007). Tra le innumerevoli esposizioni organizzate in tutto il mondo ricordiamo le antologiche all’I.C.A. (Institute of Contemporary Art) di Londra nel 2002 e al Palais de Tokyo di Parigi nel 2004.
FILMOGRAFIA The Manhattan Love Suicides - 4 episodi: Stray Dogs / Woman at the Wheel / Thrust in Me / I Hate You Now (1985) Submit to Me (1985) The Right Side of My Brain (1984) The Evil Cameraman (1986) Submit to Me Now (1987) X is Y (1990) Horoscope (1991) Death Valley ‘69 (1986) The Sewing Circle (1992)
Thirlwell, Dream Syndicate, Butthole Surfers e Sonic Youth, per cui Kern firma la direzione del primo videoclip, Death Valley ‘69 (1985) e la copertina di EVOL (1986, SST Records). Così, tra feedback psichedelici e cupe distorsioni, Kern dirige il suo esercito di perdenti. Personaggi che si auto lesionano, si bucano, si picchiano, scopano selvaggiamente, bestemmiano, violentano e compiono omicidi domestici. Questo è il mondo di Richard Kern. Un mondo specchio degli orrori di quella normalità che le produzioni commerciali tentano costantemente di occultare allo spettatore. Un mondo che si nutre di sovversione, di rabbia, di incitazione a pratiche socialmente e politicamente antiautoritarie. Il cinema e l’arte fotografica di Kern non sono un prodotto per tutti, ed è giusto che sia così. La sua intrinseca marginalità è ampiamente discussa dalla nostrana Helena Velena nel video-documento Everyday Life Cannibalizing Art: Docu-Fucktion. La Velena ci parla di verità assolute, insindacabili. Ci dice che un prodotto, che sia filmico o discografico, è marginale nel momento in cui ha bisogno di essere ricercato e tirato fuori dalla melma di un mercato che propina banalità camuffate. Questa ricerca individuale esprime un percorso di maturazione, una sorta di processo iniziatico che permette all’individuo di stabilire dov’è la bellezza e dove questa finge di essere. La facoltà di capire che
siamo marginali, dice la Velena. Prendete il mercato e la diffusione di nuovi miti. Ci sono registi, musicisti, artisti che improvvisamente diventano famosissimi. Un po’ di anni fa la stampa musicale britannica ha sancito che c’erano due gruppi, i Pantera e i Machine Head, che rappresentavano la radicalità musicale. Ce n’erano mille altri. Ma solo due sono stati elevati a simbolo della radicalità in musica. Chi sa vibrare le cose e guarda oltre sa che ci sono tutti gli altri. Chi compra le riviste commerciali e si adatta a ricevere l’informazione di massa, vegeta. Questa la ragione per cui l’arte estrema di Richard Kern è vista come marginale, dunque filtrabile e accessibile ai pochi. Il Cinema della Trasgressione ce lo dimostra. Oltre il carnefice e le sue vittime c’è la feroce volontà di vivere, di esistere, di desiderare, di godere. La Galleria Doozo di Roma fino al 18 maggio ospiterà una ricca serie di scatti di Kern. Mancano ancora pochi giorni ma vi invito caldamente ad andarci. Vi invito a trattenere l’ingenuo e compiaciuto erotismo delle giovani eroine da lui ritratte e ad accogliere a piene mani lo spirito punk di fine anni settanta. Epoca in cui i trasgressori esistevano per davvero. Sperimentavano e non avevano paura di rischiare. Oggi ci sono molti artisti, è vero. Ma quanti di loro possono definirsi totalmente liberi? www.richardkern.com www.doozo.it
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GIUGNO/VISIONI
CATHERINE OPIE, IDENTITÀ E ALTERITÀ SCRITTE SUL CORPO
LA GLADSTONE GALLERY DI NEW YORK HA OSPITATO LA FOTOGRAFA CHE INDAGA IL MONDO QUEER E LA DEFINIZIONE DEI RUOLI NELLA CULTURA AMERICANA CONTEMPORANEA
di Valeria Giampietro
Catherine Opie Idexa (Road), 1998 Chromogenic print 22 x 27 inches (55.9 x 68.6 cm) Copyright Catherine Opie Courtesy Gladstone Gallery, New York
È il 1970 quando William Friedkin decide di trasporre cinematograficamente la nota piéce teatrale di Mart Crowley, The Boys in the Band. Il film, distribuito in Italia con il titolo Festa per il Compleanno del Caro Amico Harold, non è solo la prima opera hollywoodiana sul tema dell’omosessualità ma anche la prima esplicita dichiarazione di quanto il riconoscimento della comunità gay all’interno della società - in quel preciso momento storico considerata sessualmente ‘libera’ – sia una lotta vinta solo a metà. Catherine Opie, fotografa dyke e artista militante, nata nel 1961 a Sundasky, Ohio, ci dimostra che nella fotografia, esattamente come nel cinema, ciò che si vede viene sempre prima di ciò che si ascolta. Catherine assume notorietà artistica grazie alla serie Being and Having (1991), una raccolta di ritratti dall’incredibile perfezione formale di amici appartenenti alla comunità queer di San Francisco.
Catherine Opie si immortala con 46 aghi nelle braccia, il viso coperto da una maschera in pelle e la scritta Pervert incisa sul petto.
Gay, lesbiche, corpi tatuati e drag king dagli sguardi fieri e profondi che ritroveremo successivamente nel ciclo Portraits (1994 /95). Un universo di preziose e vaghe identità che sembrano interrogarsi sul proprio senso di appartenenza a una società che tende a patologizzare il ‘diverso’. La Opie investiga il concetto di normalità. Una normalità che esula dal socialmente accettabile, dall’etica religiosa, dalle sovrastrutture e dalle abitudini culturali. Sostanzialmente, la normalità non esiste. Ed è proprio sulla base di quest’affermazione che
Di recente è stata la Gladstone Gallery di New York ad ospitare l’artista americana. Girlfriends raccoglie una selezione di fotografie inedite in bianco e nero e una nuova serie di ritratti a colori che vede come protagoniste donne – tra cui k.d. lang and Eileen Myles - seducenti, virili e consapevoli. Risplendono nel bagliore di una bellezza androgina. Accennano un sorriso. E sono piene di speranza.
Il linguaggio fotografico della Opie, esplicito e fortemente comunicativo, è ben lungi dall’essere una musica scritta e composta da un’artista gay per le comunità esclusivamente gay. La Opie documenta delle Identità inserite in un preciso contesto. La diversità della cultura americana e il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente vengono così affrontati documentando l’architettura e le autostrade di Los Angeles - Houses and Freeways, Houses and Landscapes (1996) – il bianco cereo della neve che ingoia le case dei pescatori del Minnesota Icehouses (2002) - i surfisti e gli eleganti seascapes della zona costiera di Malibu – Surfers (2004) – fino alle case a schiera del sud della California di In and Around Home(2006).
www.gladstonegallery.com
PHILLIP TOLEDANO QUINDICI MINUTI CON MIO PADRE di Simona Ardito Puoi vivere con una padre tutta la vita senza conoscerlo mai. Poi un giorno tua madre muore, e improvvisamente scopri che da chissà quanto lui ha perso la memoria a breve termine, e non te ne sei mai accorto. La vostra vita comincia allora a svolgersi scandita nell’arco breve di quei quindici minuti che lui riesce a ricordare. E quindici minuti diventano tutto: il tempo dell’amore, della morte, della vita intera. Il tuo unico scopo è quello di concentrare in quei quindici minuti la felicità assoluta, e di fermarla in uno scatto. Sembra la trama di un film di Gondry, e invece è la storia del fotografo Phillip Toledano e di suo padre, del loro rapporto riportato a noi, come sotto la lente d’ingrandimento di un entomologo, in un blog fotografico che racconta i loro ultimi tre anni insieme. Non è certo la prima volta che si sente parlare di qualcosa di simile, ed in genere personalmente diffido di quei progetti che portano alla luce aspetti della vita di un artista così intimi e personali, il cui intento meramente pietistico è fin troppo evidente; ma spero che questa mia naturale diffidenza vi spinga a dare invece almeno un’occhiata al blog di Toledano, la cui semplicità e delicatezza lascia davvero poco spazio al cinismo. Il ritratto di suo padre che ci arriva è quello di un simpatico vecchietto di novantasei anni, un gentleman che riempie di attenzioni la giovane e bella nuora e non trattiene le battutacce a doppio senso; ma anche un uomo spesso confuso,
che resta in bagno per ore perché non ricorda di aver fatto i suoi bisogni e che ogni volta che vede la sua immagine riflessa resta orripilato, perché non sopporta di non essere più il bellissimo ragazzo che da giovane era stato perfino attore ad Hollywood. Un uomo smarrito, solo, che riempie la casa di liste con nomi che occasionalmente riemergono dal passato perché non riesce a capire che fine abbiano fatto tutte le persone della sua vita. Soprattutto sua moglie, la cui malattia e morte non riesce a ricordare; e invano Phillip ripercorre continuamente per lui uno dei momenti più brutti della loro vita, sperando che diventi infine un dato acquisito. Per suo padre ogni volta è una dolore insopportabilmente nuovo: perché nessuno glielo ha detto? Perché nessuno lo ha portato all’ospedale a trovarla? Perché non l’hanno lasciato andare al funerale? E allora Phillip impara a costruire ogni quindici minuti un mondo nuovo, in cui sua madre non è morta ma è a Parigi ad assistere uno zio malato, e tornerà presto. Nel 2009 Edward Toledano ha raggiunto sua moglie a Parigi. Phillip è rimasto solo, con un mucchio di fotografie che nei prossimi mesi diventeranno un libro. Perché quindici minuti in una fotografia diventano eterni. Phillip Toledano, Days with my father. (Chronicle books, 2010) www.dayswithmyfather.com
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GIUGNO/VISIONI
CENERENTOLA (POP)ULAR LA CELEBRE FAVOLA NELLA VERSIONE DI EMMA DANTE PER IL MAGGIO ALL’INFANZIA
di Francesca Limongelli
Si dimentichi la Cenerentola di disneyana memoria. E si dimentichino anche le decine di versioni cinematografiche che da Audrey Hepburn agli anni zero hanno affollato le sale di tutto il mondo. La Cenerentola di Emma Dante è qualcosa di decisamente pop e non poteva essere altrimenti dati il curriculum e lo spirito dell’ormai acclamatissima regista siciliana. Il suo Anastasia Genoveffa Cenerentola, produzione Sud Costa Occidentale, dopo un’anteprima a Napoli lo scorso marzo, arriva a Bari in occasione del festival Maggio all’Infanzia. Reduce dalla controversa esperienza della Carmen alla Scala di Milano e dal successo europeo de Le Pulle, la Dante si cimenta per la prima volta con la forma tutta nuova del teatro per i ragazzi, scegliendo un universale della tradizione fiabesca. Non rivoluziona la storia nota a tutti, ma sceglie di connotare il suo lavoro con un elemento specifico: la lingua, ancora una volta. Le sorellastre, la matrigna, lo stesso principe, nel mostrarsi agli altri parlano in maniera forbita, con citazioni tra le più auliche, ma nel momento in cui devo svelare debolezze o cattiverie, allora la lingua diventa il dialetto. Qualcosa di privato, ma anche di cui vergognarsi. Cenerentola è l’eccezione: usa sempre lo stesso linguaggio perché non ha niente da nascondere. Il tutto è giocato fra il dentro e il fuori di un paravento che definisce i luoghi dell’azione.
MAGGIO ALL’INFANZIA Compie tredici anni il Maggio all’Infanzia, il festival firmato Teatro Kismet OperA di Bari, che dopo 11 anni a Gioia del Colle, dalla scorsa edizione è approdato nel capoluogo grazie “all’adozione” del Comune. Organizzato dalla Fondazione Città Bambino, il festival ha come piccole tappe anche Taranto (in collaborazione con il Crest) e Ceglie Messapica (in collaborazione con la Residenza teatrale di Armamaxa).Con un nuovo spazio conquistato per i più piccoli, il Teatro comunale Piccinni di Bari, il Maggio all’Infanzia si presenterà come vera e propria maratona di spettacoli, presentando oltre venti titoli in quattro giorni. Tra i tanti in programma citiamo Il viaggio di Harun dello stesso Kismet, Baby Don’t Cry di Babilonia teatri/Fondazione Solares, Incubi del Teatro delle Apparizioni e Momo e il Cactus di Teatro Laboratorio.. Info su www.maggioallinfanzia.it Ciò che non si vede è magico, ciò che è alla portata degli occhi è invece reale: “Credo che sia più interessante sviluppare e stimolare la fantasia dei bambini attraverso un gioco di apparenze ed evocazioni” annota la regista. E per stimolarli, Emma Dante non evita di ricorrere alla seduzione di scelte musicali decisamente pop che passano da Massimo Ranieri a Michael Jackson, incantando i bambini e divertendo i più grandi.
AMORE E MORTE NELL’OTELLO COLONIALE INTERVISTA AD ARTURO CIRILLO, REGISTA DEL NUOVO ADATTAMENTO TEATRALE AMBIENTATO NEGLI ANNI DEL COLONIALISMO di Francesca Limongelli È la tragedia della gelosia per antonomasia. Il dramma in cui amore e morte diventano una cosa sola, lungo il filo perfido dell’inganno. L’Otello di Shakespeare ha avuto numerosissime letture e anche il regista napoletano Arturo Cirillo non ha saputo resistere al suo fascino discreto e colossale allo stesso tempo. L’ha scelto per la sua ultima fatica prodotta da Teatro Stabile delle Marche/Teatro Eliseo/Teatro Nuovo e dopo il debutto lo scorso novembre, ha cominciato una lunga tournèe che proseguirà anche nella prossima stagione, toccando Genova, Prato, Lecce, Venezia, Milano: protagonisti Danilo Negrelli, Monica Piseddu, Rosario Giglio, Salvatore Caruso, Michelangelo Dalisi, Luciano Saltarelli e Sabrina Scuccimarra. Abituato a lavorare sui classici, Cirillo si è cimentato per la prima volta con il Bardo ed è passato da esperienze spesso vicine al satirico a un allestimento dal tema tutto drammatico. Arturo come si è articolato il rapporto con un autore “ingombrante” come Shakespeare? La vera novità non è stata tanto cimentarsi con un classico come l’Otello, quanto con la dimensione tragica: qualcosa di diversissimo da tutte le mie precedenti esperienze sempre al limite del comico. In questo caso nello studio del testo, nell’approccio
tra parola e attori, ho rilevato che anche il tragico di Shakespeare può essere preso in giro. Chiaramente senza forzature. Per il tuo adattamento hai scelto come contesto storico gli anni del neocolonialismo... Le ragioni di questa ambientazione sono diverse: innanzi tutto mi sembrava un contesto più vicino e meglio percepibile rispetto alla Venezia del’600, in secondo luogo sono partito dal fatto che Shakespeare ha sempre inventato tantissime cose nei suoi drammi, facendo per certi versi anche errori geografici o storici: perciò non ho ritenuto necessario attenermi alle sue indicazioni. Infine quel periodo storico e quell’isola nello specifico sono stati elementi drammaturgici ulteriori: la tragedia scoppia in un luogo assediato e al centro della vicenda c’è lo “straniero”, quell’“altro” che nel Novecento ha assunto connotati sempre più complessi. La figura di Desdemona vede una grande prova di Monica Piseddu, come avete lavorato su un ruolo così diverso rispetto a quelli cui lei era abituata? Trovo che dei personaggi shakesperiani, essendo dei classici, ognuno si fa la propria idea e come ogni topos che si rispetti sono modificabili. Il Bardo ha avuto una straordinaria conoscenza dell’umano e la prima difficoltà per il personaggio di Desdemona, ma non solo, è stato confrontare quell’umanità narrata con un’umanità d’oggi “poco umana. Desdemona è personaggio complesso, incompiuto e a cui manca il tempo per definirsi. Così la stessa interpretazione di Monica è sempre in divenire, un po’ sospesa tra una donna energica e vicina all’oggi e la figura più angelicata. Il tuo Iago invece è compiuto? Ma no, neanche lui. Il mio Iago inizialmente osserva, non sa cosa succederà, quali saranno le reazioni di Otello. È nello svolgersi del dramma che si chiarifica e comprende la potenzialità del suo piano.
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GIUGNO/VISIONI
N
004
IDENTIKIT
CHIARA MAZZOCCHI
TRA FOTOGRAFIA E PERFORMANCE di Simona Merra
Chiara Mazzocchi (Albenga, (Sv) – 1978) è un’esponente della nuova generazione di descrittori visivi della realtà e lavora come freelance, dedicandosi alla danza performativa e ad installazioni corporee. Si diploma in Fotografia, Graphic Design e Riprese Video. Da sempre porta avanti gli studi della danza, affascinata dal mistero del corpo, confrontandosi con diversi stili: classico, moderno, contemporaneo, fino ai balli caraibici e alla danza d’espressione africana. Negli ultimi anni è stata seguita dal maestro Jean Ndiaye, del Ballet National du Senegal e, appassionandosi sempre di più al teatro, impara dizione, tecniche vocali, presenza scenica e ritmo. Partiamo dalla danza. Come prepari le tue performance? Hai delle partiture ben precise? No, assolutamente. Non seguo mai una coreografia ben precisa. L’unica cosa che penso prima di una performance è: “E adesso come mi vesto?”. Creo da me ogni cosa, con qualsiasi scarto mi capiti sotto mano. Anche per la musica è così, di solito non ascolto mai il pezzo su cui andrò a formare il mio “solo”. a volte però mi affianco a gruppi live oppure semplicemente lavoro da solista. Anche il trucco è una componente primaria, soprattutto il volto è quasi sempre trasfigurato.
Questo ha un significato? Il trucco non ha una funzione ben precisa, mi guardo e cerco di capire chi sono. Uso il trucco perchè mi piace, non è un modo per mascherarmi, ma per mettere in evidenza le espressioni più particolari del mio volto che non reputo bello. Utilizzo anche maschere senza espressione, e lo faccio perchè non voglio entrare in contatto col pubblico. Questo però non è un modo per nascondermi, ma per rimanere da sola e restare in comunicazione con ciò che sento. Curiosando fra le cose che fai, ho visto che collabori con Andy, ex componente dei Bluvertigo... Si, l’ho conosciuto tre anni fa tramite MySpace. Mi ha contattato e io l’ho invitato a vedere una mia performance insieme al gruppo live con cui collaboro, i Danaè. La coreografia gli è piaciuta molto, impersonificavo un manichino vivente, e poiché sapeva che mi dedicavo anche alla fotografia, mi chiese di fargli un servizio fotografico, voleva una nuova immagine di sé. Mi ha invitato nel suo studio Fluon (www. fluon.it), una sorta di factory, dove ho potuto sperimentare meglio me stessa, lui, e la mia fotografia. Qui ho avuto la possibilità di realizzare un meccanismo creativo generico, con molte cose inespresse, altre portate a frutto; ad esempio il video per la biennale di
Da sinistra: Venus in Eco Furs, Andy e Chiara Mazzocchi Firenze, uno shooting di 700 foto in sequenza rapida, da me montato in un video ed associato alla sua installazione. A Fluon ci si mette alla prova, ci si influenza, la mente è in balia della creatività, un equilibrio talvolta anche instabile, perchè “umano”. Siamo due menti caratterialmente particolari ma affini. Passiamo ora alla fotografia. Tu utilizzi sempre l’autoscatto. Che significato ha per te? La fotografia per me rappresenta l’anima. Rappresenta tutto ciò che non può essere detto. Ho deciso di partire dalla mia anima e ne sono rimasta intrappolata. La fotografia mi aiuta a vederla e a liberarla, come la danza. Ogni volta che fotografo mi libero di me e la macchina fotografica diventa la mia pistola. Nei miei autoscatti c’è sogno, inquietudine, angoscia e soprattutto assenza. C’è tutto ciò che cerco di liberare, spesso distruggere. Vorrei “non sentire”, perchè “sentire” mi fa male. È un piacevole male, ma talvolta distruttivo. La mia più grossa paura è quella di autodistruggermi per non pensare, eppure vivo grazie alla bellezza di quello che sento. Quindi la danza e la fotografia ti aiutano ad annullarti: l’anima per mezzo della fotografia e il corpo per mezzo della danza... Si, è giusto. Mi ritrovo in un corpo che non è il mio. Sento di parlare con te in questo momento,
ma allo stesso tempo non sono qui. Questo spiega anche perchè io improvviso sempre le mie performance e le mie foto. Hai dei modelli ai quali ti ispiri? Sinceramente no, non ho modelli. Ho istinto. La mia visione dell’esistenza è talvolta senza senso e senza ricerca. Se avessi potuto esprimere tutto quello che faccio con le parole, non lo avrei fotografato o danzato. Parlami della mostra che ti ha vista protagonista a Berlino: Venus in Eco Furs. Venus in Eco Furs è stato un progetto di Res Pira, del curatore Giovanni Cervi, sul rapporto tra femminilità e natura; non una dedica al mondo femminile, ma un’indagine su come la donna interpreta il suo rapporto con il pianeta. È stato un concorso a cui ho partecipato e sono stata selezionata dalla galleria Oki Doki di Berlino, ma inizialmente non volevo partecipare. Non mi piacciono le cose su commissione, odio le scadenze, ma mi ha convinto il progetto e a dir la verità Andy. Ho fatto gli scatti nel suo studio. Questi quattro autoscatti si basano sul parallelismo tra le fasi lunari, le età della donna, il suo ciclo mestruale e le stagioni. Così sono nate la Madre, la Vergine, l’Incantatrice e la Strega. www.myspace.com/chiaramazzocchi
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CINEMA RECENSIONI
GIUGNO/VISIONI
di Vincenzo Pietrogiovanni e Valeria Giampietro
IO SONO L’AMORE di Luca Guadagnino Drammatico ITA, 120’
FANTASTIC MR. FOX di Wes Anderson Animazione UK/USA, 87’
AGORA di Alejandro Amenábar Drammatico Spagna, 127’
Milano sotto la coltre nevosa è una città fuori dal tempo. Quella dei Recchi sembra la storia di un certo capitalismo lombardo, o italiano: oscuro nelle origini (i rapporti col fascismo) e nel futuro (la vendita dell’azienda al miglior offerente), che gela i rapporti umani sino a renderli vuoti e formali, come denota l’informe chiacchiericcio che accompagna la cena in cui Edoardo Senior, capo della dinastia, designa i suoi successori. Vittime di questo gelo sono le donne, soprattutto Emma, moglie di Tancredi, e Betta, loro figlia. La ribellione di quest’ultima, che rifiuta il suo destino e fugge a Londra per vivere liberamente la sua omosessualità, squarcia il velo che ricopre il cuore di sua madre. Emma (Bovary?), sino ad allora donna senza identità, si riappropria così del suo essere, del suo vero nome e del suo corpo, lanciandosi verso l’amore ritrovato nello sguardo e nella passione di Antonio, giovane cuoco amico di suo figlio, Edoardo Junior. A questo punto, il film cambia registro, uscendo dalle stanze e dai corridoi di Casa Recchi per immergersi nei colori dirompenti della natura ligure e dei piatti preparati da Antonio, che qui diventano luoghi di libertà eversiva. Ma ogni lotta di liberazione trascina con sé le sue vittime. A parte qualche défaillance nella sceneggiatura – alcune lungaggini e accenti didascalici – Luca Guadagnino dirige un melò gradevole che pare, però, strizzare l’occhio al Pasolini di Teorema. La riuscita del film non è solo l’effetto di molte scene altamente estetizzanti o di una colonna sonora superba, ma va ricercata nella magnifica interpretazione di Tilda Swinton (che del film è anche produttrice), affascinante e magico incontro di trasandatezza ed eleganza.
Fantastic Mr Fox è il primo film d’animazione in stop-motion prodotto dalla Regency Enterprises e distribuito dalla 20th Century Fox. Il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo per bambini di Roald Dahl – anche autore di I Gremlins (1943), La Fabbrica di Cioccolato (1964) – che affermava: “Gli adulti sono troppo seri per me. Non sanno ridere, meglio scrivere per bambini: è l’unico modo per divertire anche me stesso”. Wes Anderson coglie in pieno lo spirito ludico dello scrittore britannico e inizia il progetto con Henry Selick. Nel 2006 Selick abbandona il film per dirigere Coraline e viene sostituito da Mark Gustafson. Il film costa un’incredibile fatica ai realizzatori e il risultato è sorprendente, visivamente accattivante, ricco di dialoghi citazionismi e infarciti di gag. Wes Anderson mira il bersaglio e fa centro. Di nuovo.
Agora è un film epico ambientato ad Alessandria d’Egitto nel quarto secolo dopo Cristo e narra la storia di Ipazia, filosofa e matematica alessandrina coinvolta nella lotta di potere tra pagani e cristiani. Presentato a Cannes e in concorso al Toronto International Film Festival, nel 2009, il film crea controversie e fatica a trovare distribuzione in Italia. In America, Il Presidente dell’Osservatorio Religioso AntiDiffamazione invia una lettera aperta ad Amenábar, denunciando il film perché promuove l’odio contro i cristiani e rafforza falsi cliché sulla Chiesa Cattolica. Amenábar replica: “Il film non è contro i cristiani, ma piuttosto contro tutti quelli che innescano bombe e uccidono in nome di Dio, cioè i fanatici religiosi”. Grazie alla Mikado, il film sarà proiettato nelle sale a fine mese. Imperdibile.
Vincenzo Pietrogiovanni
Valeria Giampietro
Valeria Giampietro
Illustrazione di Roberto La Forgia
E-COMICS L’EVOLUZIONE DEI FUMETTI PASSA PER IL WEB di Veronica Satalino
La sua introduzione apportò un cambiamento nei metodi classici di narrazione. O, almeno, aprì una nuova strada alle possibilità espressive e comunicative. Valorizzò l’immagine, rendendola strumento narrativo autonomo, e impattò in modo diverso sui lettori. Era l’epoca del cartaceo. Immerso nell’era digitale, il fumetto si connota oggi con un linguaggio direttamente conseguente all’innovazione tecnologica che sfrutta. Come per altre produzioni testuali infatti, anche per il fumetto è ormai assodata e avviata la trasposizione in un altro strumento che affianchi (sostituisca?) quello cartaceo. Parallelamente agli sviluppi digitali si assiste all’evoluzione dei supporti informatici per la fruizione e la lettura dei fumetti. Nuovi strumenti caratterizzati dall’immediatezza e dall’interattività. Un vero e proprio “parlare” dei fumetti in grado di dare voce ai classici balloon o trasformare in suoni le onomatopee. Il passo in avanti che è stato fatto con la digitalizzazione dei fumetti. Quale antesignano del futuro dei comics nell’era di internet, e del mobile content in particolare, Ave!Comics ha creato la prima piattaforma software per adattare il fumetto al cellulare e al pc. Nuova esperienza di lettura a cui hanno fatto seguito i Motion Comics, nati dalla collaborazione tra Marvel Comics e iTunes. Fumetti consultabili su supporti digitali, arricchiti con effetti audio,
video e dialoghi recitati. Ulteriore frontiera è quella proposta dalla Disney con i Digicomics, progetto che permette l’acquisto dei fumetti in modo simile a quello che accade per la musica sull’iPod. La fruizione, valorizzata da effetti cinematografici, può avvenire sulle più svariate piattaforme, dall’iPod all’iPhone, alla Playstation, al pc. Si assiste quindi a uno spostamento della distribuzione dei fumetti sul versante digitale. Una soluzione che consente, tra l’altro, di contenere i crescenti costi editoriali legati alle pubblicazioni. Novità a riguardo viene da Longbox, piattaforma digitale sviluppata dalla Quicksilver Software. Longbox gestisce sui fumetti in vendita un certificato digitale che ne consente il trasferimento su un numero limitato di supporti. Ulteriore segno di svolta nel mondo dei comics. Quale futuro? La via intrapresa dalla digitalizzazione non sarà di certo abbandonata, tuttavia non potrà soppiantare del tutto il piacere di avere tra le mani un fumetto cartaceo. Mondi paralleli che, intersecandosi, offrono possibilità diversificate e complementari di fruire della lettura di un fumetto.
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GIUGNO/VISIONI
DEATH LIKES TV
LE SERIE TELEVISIVE (E NON) CHE HANNO CAMBIATO IL MODO DI INTENDERE LA VITA... E LA MORTE
Da cassetta, di culto, in stile commedia o tendenti all’horror, per adolescenti o vietati ai minori, si moltiplicano le serie per il grande e piccolo schermo che hanno la morte come protagonista principale. Dai vampiri di Twilight ai problemi esistenziali di Six Feet Under, un tour fra i più interessanti prodotti visivi dedicati a quel che c’è dopo la morte, con un occhio di riguardo alla loro forte componente sensuale.
di Annarita Cellamare e Michele Casella
SIX FEET UNDER
TRUE BLOOD
Impresso nella mente di milioni di telespettatori per una delle migliori sequenze di apertura della storia della televisione, Six Feet Under è certamente da considerare come una delle più innovative e dissacranti serie dell’ultimo decennio. Prodotto dalla HBO e programmata per cinque intense stagioni, lo show ha per protagonisti i quattro componenti di una famiglia di impresari funebri, raccontati nell’evoluzione delle loro vite a partire dal decesso del padre. Scritta da Alan Ball e spesso etichettata come serie “drammatica”, Six Feet Under possiede un eccezionale grado di ironia, inventiva e profondità grazie ad una sceneggiatura assolutamente eccelsa.
Basato sulla serie di romanzi The Southern Vampire Mysteries – scritta da Charlaine Harris dal 2001 ad oggi – True Blood rappresenta l’anima anticonformista, sessuale e “indie” della recente ondata di serial sui vampiri. Sebbene vittima di una sceneggiatura un po’ elementare e dai toni dark tipici della provincia americana, la saga di Sookie Stackhouse cresce con il passare delle puntate, costruendo un mondo alternativo che vive delle storie dei suoi abitanti.
Strutturata attorno all’evoluzione sentimentale, personale e generazionale dei personaggi, la storia è un affresco del nostro tempo in cui vita, morte, destino e quotidianità si incrociano nella grande casa familiare in cui viene dato l’addio ai defunti. Una piccola, grande saga a cui è impossibile non appassionarsi ed in cui temi come omosessualità, droga, vecchiaia, rapporti di coppia, violenza, tradimento, paura e felicità vengono proposti senza falsi moralismi o inutili conformismi. Una sola verità, che è anche il claim della serie: tutto; tutti; ovunque; finisce. (M.C.)
Punto focale della trama è il rapporto fra esseri umani e vampiri, concittadini di un’America decisamente fobica e per nulla integrati nella vita di tutti i giorni. Proprio l’eroina Sookie, interpretata da un strepitosa Anna Paquin dotata di una adolescenziale carica erotica, si lega sentimentalmente al tenebroso Bill Compton (vampiro da oltre un secolo) ed è costretta ad utilizzare le sue doti da telepate per venire a capo di omicidi e complotti che pian piano riguardano una comunità sempre più estesa. Misticismo, fiaba, sesso, amore e (naturalmente) morte si intrecciano in un plot coinvolgente e dissacrante in cui antico e moderno prendono forme misteriose ed ambigue. Da guardare sorseggiando un bicchiere di succo di pomodoro. (M.C.)
TWILIGHT Chi non ha mai sentito nominare Twilight e i romanzi della saga di Stephenie Meyer? Direi nessuno, visto il successo riscosso. Tanto è vero che la giovane scrittrice ha sfornato il quinto libro, in uscita l’11 giugno. Ma ciò che ha davvero spopolato, a 360°, è l’adattamento cinematografico, The Twilight Saga. Successo planetario per i primi due capitoli, l’omonimo del 2007, e New Moon del 2009. Alquanto scontato il segreto della ricetta standard di questi film: il bello e dannato, il principe azzurro pallido e sfuggente in sella ad una Volvo, la fragile principessa insicura (nella quale tutte le ragazzine si rivedono) l’amico dolce disponibile (e muscoloso) pronto a consolare lei. Parte fondamentale è quella legata agli intrecci amorosi e ad un desiderio sessuale fino ad ora mai esplicitato; recenti notizie ci dicono che nel terzo capitolo cinematografico (Eclipse, in uscita planetaria il 30 giugno 2010) i due protagonisti riusciranno finalmente a concretizzare le loro “masturbazioni mentali”. Peccato, però, per i fan, perché i produttori hanno deciso di censurare la le effusioni amorose così da non vietare la visione agli under 18. Le scene saranno, perciò, visibili esclusivamente nel dvd del film, un’altra mossa commerciale perfettamente speculare al target di pubblico. Insomma, nulla di nuovo, e come al solito quel poco di buono che c’era nel romanzo è andato relativamente perso nell’adattamento cinematografico, rendendo i film uguali a tanti altri e con un impatto sociale indiscutibilmente insopportabile. Basti pensare che ci sono anche le applicazioni per il cellulare con cui scoprire se si è vampiro o licantropo. È decisamente troppo... Nota positiva: colonne sonore sempre (o quasi) d´eccezione, con la partecipazione di artisti del calibro dei Grizzly Bear e Thom Yorke. (A.C.)
DEAD LIKE ME Divertente commedia dark dai toni molto sarcastici, Dead Like Me ha resistito sul palinsesto americano solo per due stagioni prima della cancellazione. Peccato, perchè la storia di Georgia Lass ha tutte le credenziali per conquistare un pubblico eterogeneo e smaliziato, dato che vede la protagonista passare a miglior vita ed entrar a far parte di uno strano team che aiuta le anime nel necessario trapasso. Dotata di un’ironia capace di esorcizzare la nostra principale paura, Dead Like Me ha il merito di non risultare la solita sitcom omologata. (M.C.)
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GIUGNO/LIFE
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SPIRITO A PEZZI di Paolo Interdonato sparidinchiostro. splinder.com
Sembra quasi che il cattolicesimo ruoti attorno alla negazione delle pulsioni alla base di tutte le narrazioni: Eros e Thanatos, Amore e Morte. È infatti emblematico come, nel giorno in cui si festeggia la resurrezione di Gesù Cristo, papa Benedetto XVI abbia incitato i sacerdoti a essere come angeli. Certo: portatori della buona novella, ma anche asessuati. E tutto questo in un momento in cui l’accusa di pedofilia investe pesantemente il clero, portando testate internazionali, che non si esiterebbe a definire autorevoli, a porre una serie ipoteca sull’attendibilità della chiesa cattolica. L’assenza di un atto di pentimento da parte della massima autorità di un’istituzione che attribuisce centralità al peccato, alla penitenza e al perdono, mette in evidenza un assurdo paradosso. I sacerdoti cattolici non possono avere famiglia, perché questo li distrarrebbe dalla pratica di evangelizzazione, preghiera e solidarietà che deve muovere ogni loro atto. In assenza di figli, il sesso, che deve essere finalizzato alla sola riproduzione, non ha senso. I rapporti sessuali fini a se stessi (e al profondo godimento che possono produrre) sono peccaminosi per tutti i cattolici. E, in un paese in cui tutti peccano (comprese le più alte cariche dello stato) senza mostrare alcuna forma di contrizione, la differenza tra atti consenzienti, mercificazione
delle carni e circonvenzione di chi ancora non può avere strumenti adeguati e sufficienti a far valere i propri “NO” diventa una sfumatura facilmente rimuovibile nel segreto del confessionale. In parallelo, la frangia più gretta e ideologizzata del cristianesimo attacca frontalmente l’evoluzionismo. Darwin aveva torto – dicono i difensori del “disegno intelligente” – l’uomo sta al centro dell’universo con la sua forma a immagine e somiglianza di dio. Gli errori di Darwin di Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, un libro criticato da gran parte della comunità scientifica, ha scatenato entusiasmi farseschi sulle pagine della cultura del “Foglio” e del “Giornale”, settimane prima che Feltrinelli lo portasse in libreria. Un’ancora di salvezza – e di intelligenza – ci viene gettata da Andrea Lavazza che recensisce e contestualizza lo studio in un articolo apparso su “Avvenire” (mentre il resto della stampa italica si prodigava nella ricerca della burla più divertente, consapevole forse del miglior uso riservabile a un foglio di giornale: avvolgerci il pesce, in qualsiasi mese dell’anno). Altrettanto salvifico è il Bologna Ragazzi Award per la categoria “non fiction” assegnato durante l’ultima Fiera del libro per ragazzi. Secondo la giuria, presieduta da Antonio Faeti,
02 01/02. Illustrazione e copertina del libro The Riverbank 01 il miglior libro a carattere informativo destinato ai giovani lettori per il 2010 è The Riverbank di Charles Darwin e Fabian Negrin, edito negli Stati Uniti da Creative Editions. Negrin, tra i più grandi autori di picture book al mondo, ha estratto l’ultimo paragrafo dell’Origine della Specie e lo ha trasformato in un sublime racconto visuale in cui danzano Sviluppo, Riproduzione, Ereditarietà, Moltiplicazione, Lotta per l’esistenza, Divergenza del carattere ed Estinzione delle forme meno adatte. L’immagine che chiude il libro è di quelle che danno speranza: la complicità dei due bambini che si avvicinano giocosi al centro del fiume è un profondo atto d’amore che non ha alcuna intenzione di negare la morte.
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GIUGNO/LIFE
PUGLIA ECCELLENTE.COM I TALENTI E LE ECCELLENZE PUGLIESI IN PRIMA VISIONE! di Giancarlo Berardi
Cos’è un’ispirazione? Difficile rispondere in maniera razionale, ma l’ispirazione può essere anche raccontata, magari partendo da un bar con vista mare, il 7 agosto 2009, durante una chiacchierata fra Paolo Cilfone e sua moglie Elvira. È in quell’occasione che nasce l’idea di un portale web nuovo di zecca, contenente una serie di micro video dedicati a pugliesi che dessero qualità alla nostra regione grazie alle loro idee, professionalità e creatività. È proprio in quel pomeriggio afoso e simile alle tante giornate della calura agostiana, che nasce il progetto Puglia Eccellente. Da quel 7 agosto, Cilfone inizia a lavorare al progetto a 360 gradi, senza freno e con l’ entusiasmo tipico di un bambino al suo primo giocattolo: gli step successivi hanno previsto l’individuazione della location per le sessioni di registrazione e per gli uffici della redazione di Puglia Eccellente, la scelta della web agency per lo sviluppo del portale, la selezione dei videomakers per le registrazioni video e per la relativa post produzione. Tutto questo tenendo ben presente i due elementi principali del progetto: 1) la scelta di una piattaforma web (invece di un format per la Tv) per dare la possibilità a tutti (e in qualsiasi momento) di conoscere quali fossero i tanti talenti pugliesi in Italia e nel mondo; 2) la determinazione di dare al portale un tono culturale di alto livello. Dopo 108 giorni indimenticabili per la fatica e l’emozione, il 23 novembre 2009 andava on-line il portale www.pugliaeccellente.com con uno slogan che recitava così: la Puglia gioca di tacco!
Intervista con Paolo Cilfone, direttore editoriale Nella vasta categoria di portali web, come si caratterizza l’avventura di Puglia Eccellente e quali particolarità si riscontrano per questo progetto? Com’è strutturato il sito? Il portale ha una serie di canali; il primo è quello dei profili video, dove i nostri talenti raccontano come, grazie alle loro idee ed attitudini, desiderano cambiare il mondo dandone anche nuovi spunti di interpretazione. Il secondo canale è la Community; attraverso uno stile Web 2.0 rendiamo il nostro pubblico attivo e co-partecipativo; infatti ogni video può essere condiviso nei loro profili su Facebook e Twitter; possono inoltre essere votati e commentati. In tal maniera, si creano tre tipologie di “classifiche di gradimento”: i video più cliccati, quelli più commentati e quelli più graditi. Una vera e propria Hit Parade stile anni ’80! Un altro canale è quello della “personal page”. Ogni profilo ha la possibilità di costruirsi una pagina personale di alto livello; per esempio, oltre al proprio video, la personal page può contenere uno slideshow di immagini, la gestione personal news, lo spazio biografia e link ai propri siti di riferimento. Infine, ecco il canale denominato news Puglia; un vero e proprio notiziario sulla cultura e l’economia pugliese, all’interno del quale diamo massima visibilità con i nostri video magazine a progetti particolarmente interessanti soprattutto per chi investe nella nostra regione.
01 Quali sono i profili che vi colpiscono e quali le caratteristiche che li rendono adatti al progetto? Vi è l’intenzione di creare un luogo virtuale di confronto che verta sui temi della creatività e dell’imprenditoria legati alla Puglia? In quasi sei mesi di vita, abbiamo registrato più di 60 profili di altissimo livello culturale e umano. Abbiamo girato la Puglia in lungo e in largo incontrando artisti fantastici: da Renzo Arbore a Sergio Rubini; da Giandomenico Vaccari (Sovraintendente della Fondazione Petruzzelli) al grande Tonino Zurlo. Da Gianrico Carofiglio, ai giovani ma già affermati Pippo Mezzapesa, Francesco Lopez e Mingo De Pasquale (Striscia la notizia). A gennaio scorso abbiamo effettuato la nostra prima sessione estera, esattamente al Cern di Ginevra per incontrare Salvatore Tupputi, un fisico barlettano di 30 anni. Ma quello che sta accadendo all’interno del nostro portale è di fondamentale importanza: la nascita di una vera e propria sinergia a livello di cooperazione tra alcuni artisti. Questo è un approccio positivo e intelligente di “abitare” il nostro portale: un luogo dove è importante estendere la propria conoscenza con altri artisti creando nuove idee e nuovi progetti. A cosa è più interessato il fruitore di Puglia Eccellente? Come raccontavo prima, scopriamo artisti ed imprenditori che talvolta non hanno la giusta considerazione mediatica. Non so di chi è la
colpa; forse di nessuno. Ma quello che mi sento di affermare in base alla mia esperienza è che la Puglia ha qualcos’altro da esportare oltre al turismo; la nostra regione è fucina di iniziative culturali strabilianti; ha fantasia e senso della bellezza declinata nella musica, per esempio. Ha giovani registi veramente innovativi e vogliosi di sperimentare nuove strade applicate al cinema; e poi gli artisti che attingono alla sperimentazione pura per le loro opere. Una canzone dei Matia Bazar dice: “c’è tutto un mondo che ci gira intorno”. È proprio così per la Puglia. Quello che noi facciamo con Puglia Eccellente è di darle la giusta visibilità. Quale percorso seguirà il progetto nel prossimo futuro? Non immaginavo che in sei mesi pugliaeccellente. com facesse già parlare di se. Lo dicono le statistiche, il consenso dei fan su Facebook ed il modo in cui interagiscono con noi. Non da ultimo vi è l’atteggiamento degli sponsor, che non si tirano indietro anche in questo periodo di difficoltà economica. Per questo ho voluto anticipare la nascita del web magazine sempre con il brand Puglia Eccellente, uno strumento che arricchirà di contenuti il nostro portale. Avrà cinque canali specifici: cultura, economia, scienza, eventi e luoghi e sapori, nei quali spiccheranno notizie di alto livello grazie a video servizi e speciali a puntate. Per tale motivo il nostro organico cresce sempre più: la nostra Redazione è formata da tre persone più una serie di freelance, con il sottoscritto come direttore editoriale; tre videomaker e fotografi, oltre alla nostra partner tecnologica per il mantenimento del portale web. Un team robusto, di altissima qualità e allo stesso tempo motivato a dimostrare che siamo noi i primi ad avere talento! E per concludere, notizia di alcuni giorni fa, la Confindustria di Bari e BAT, specificatamente la Sezione del Terziario innovativo, ha scelta il nostro portale come piattaforma ideale per far convergere 30 profili di eccellenza imprenditoriali. Una soddisfazione personale che ci conferma di essere all’inizio di un progetto nato per amore della nostra regione.
01. Elvira e Paolo Cilfone
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di Irene Casulli
MY OWN PRIVATE ELEGANCE
GIANFRATE RAPPRESENTANZE, SHOWROOM DI MODA CREATIVO E VISIONARIO, RACCONTATO DAL SUO FONDATORE DOMENICO GIANFRATE. UNA STORIA INTRISA DI VALORI FAMILIARI, PERCORSI PERSONALI E CRESCITA COMMERCIALE. E CON UNO SGUARDO SEMPRE APERTO AL FUTURO.
Passione ed intuizione, queste le due parolechiave per comprendere il mondo di Gianfrate Rappresentanze, l’agenzia che dal 1997 opera nel settore moda riuscendo ad interpretare le più innovative espressioni del mercato. Un lavoro svolto da un team giovane e professionale, capace di interpretare le diverse anime del contemporaneo e diventare un esempio di impresa a livello nazionale. Il fulcro di questo percorso è la condivisione: cinema, musica, sport, arte, tutti interessi ed influenze che confluiscono in una scelta di vita improntata sullo stile. Protagonista di questa avventura è Domenico Gianfrate, CEO dell’azienda e leader di un entourage che sta cercando di cambiare il modo di approcciarsi al sistema-moda. Perchè l’eleganza è un concetto del tutto soggettivo. Da cosa nasce la tua voglia di lavorare nel campo della moda? Ovviamente nasce dalla passione per l’abbigliamento, una risposta un po’ scontata ma anche vera. Tutto parte da una serie di coincidenze, quando per caso un amico mi propose di lavorare con lui. Quella breve esperienza nel campo commerciale della moda fu determinante, e dopo sei mesi mi ero già messo in proprio ed avevo aperto il mio primo ufficio a Taranto. Solo successivamente decisi di trasferirmi a Locorotondo, in provincia di Bari. In quel periodo le mie risorse finanziarie erano molto limitate, ma avevo un locale a mia disposizione ed avevo intuito che per sviluppare al meglio la passione per l’abbigliamento non era fondamentale essere al “centro” della scena. Ho capito che qui potevo strutturare un mio mondo, puntando sul legame che ho con questa terra e collaborando con le persone e le forze umane che vivono i miei stessi valori e le mie stesse passioni. Cosa ricordi della fase iniziale del tuo lavoro e quali sono state le difficoltà di quel periodo? L’inizio della collaborazione con Franklin & Marshall ci ha permesso di rapportarci ai clienti in maniera particolare, differente. Paradossalmente, il momento iniziale è stato più semplice rispetto a quel che è successo dopo, perchè con la crescita dell’azienda abbiamo dovuto ripensare tutte le dinamiche interne. Chiaramente le difficoltà iniziali sono legate alla
creazione di una rete di vendita per una tipologia di aziende di alto profilo; per raggiungere questo tipo di clienti abbiamo creato un gruppo di persone che avesse voglia di lavorare in squadra e che condividesse il senso dello stare assieme. La sfida era quella di portare sul mercato dei marchi che interpretassero la nuova via della moda. In quel periodo i brand più blasonati erano tutti occupati da showroom importanti, perciò abbiamo dovuto creare interesse per un mondo che per molti era sconosciuto, rendendo commerciale un mercato di nicchia. Da cosa ti fai influenzare e contaminare per fare le tue scelte nel lavoro? Quasi tutte le nostre scelte sono dettate dai cambiamenti dell’arte, della cultura, della musica, dello sport, dando spazio a cose nuove, senza averne paura e senza adagiarci su quello che già abbiamo. Siamo sempre alla ricerca di nuove fonti di ispirazione per il nostro lavoro, una passione condivisa con i miei collaboratori e che ci spinge a sviluppare un forte “senso per l’abbigliamento” grazie al quale arrivare in anticipo sulle intuizioni più innovative del nostro settore. In che modo ti rapporti ai prodotti della nuova moda? Qual è il futuro di questo mercato? L’abbigliamento è solo un aspetto che ti può gratificare nella vita, a mio parere può essere assimilato ad un libro, un disco o un quadro. In futuro avremo sempre più la necessità di vendere una sensazione, un qualcosa che vada al di là del solo prodotto. Di conseguenza le boutique dovranno avere la capacità di personalizzare le proposte e le vendite, tornando al concetto della “bottega” di molti anni fa. Gli elementi di successo saranno sempre più la professionalità e la cura del cliente e la personalizzazione degli spazi. In base a quali criteri scegliete i marchi con cui collaborare? Fondamentalmente facciamo una scelta in funzione sia di quel che ci affascina sia dei prodotti che possono soddisfare le esigenze dei nostri clienti. In questo modo abbiamo preso spazio in una importante nicchia di mercato, acquisendo fiducia da molti operatori del settore.
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Cosa ti viene in mente quando senti il termine “eleganza”? L’eleganza non è una caratteristica che puoi inventare, è strettamente legata a ciascun individuo. Oggi la persona più “giusta” è quella che riesce a mettere insieme con naturalezza dei prodotti classici con capi più ricercati, rimarcando la sua personalità e caratterizzando il suo abbigliamento. Il nostro desiderio non è quello di indirizzare l’acquirente verso una tendenza, bensì fare in modo che sia lui stesso ad arrivare a comprendere il suo gusto, acquisendo una sua personalità. In Italia accade che tutti seguano le mode in maniera abbastanza pedissequa, mentre nel resto del mondo ciascuno indossa quel che più gli piace, dando spazio alla propria creatività. Basta andare in un aeroporto internazionale per rendersi conto di chi è italiano e chi no. La nostra principale aspirazione, invece, è quella di vedere persone differenti vestire in maniera assolutamente personale. Quali sono gli elementi più efficaci del tuo lavoro? Buona parte della riuscita è dovuta all’apporto dei collaboratori, alla fiducia che si è instaurata fra me e loro. Vi è una condivisione di intenti in quel che facciamo, nei successi così come nei sacrifici. Qui nell’entroterra non è difficile trovare giovani che abbiamo voglia di impegnarsi ed ottenere dei risultati. I ragazzi lavorano ininterrottamente, senza guardare l’orologio, ci influenziamo gli uni con gli altri e nel tempo riescono anche ad arrivare prima di me su determinati prodotti – per esempio su quelli rivolti ai ventenni – verso i quali non ho la loro stessa sensibilità. La mia famiglia ha, inoltre, un ruolo fondamentale, prendo sempre le decisioni assieme a mia moglie e lei ha un ruolo decisivo nell’evoluzione di Gianfrate Rappresentanze. Il gruppo nasce insieme a mio fratello, che si occupa dell’amministrazione e che mi tiene con i piedi per terra, permettendomi di operare delle scelte ponderate e condivise. In seguito hanno fatto il loro ingresso amici-collaboratori, che nel tempo sono diventati parte integrante di una famiglia allargata. Quali sono i problemi del settore abbigliamento in Italia? Come si va modificando il mercato? Ormai tutti abbiamo di tutto nell’armadio, ma spesso quel che manca sono proprio le cose più innovative. Negli ultimi dieci anni abbiamo abituato i clienti ad alcuni standard, omologandoli gli uni agli altri. A mio avviso, invece, è in atto un cambiamento sociale in cui il consumatore è diventato più maturo e vuole sentirsi gratificato dall’acquisto che lo differenzia dagli altri. Ci sono brand che oggi risultano datati, quindi non più soddisfacenti alle esigenze dei consumatori. Esistono svariate aziende ed operatori, ma non tutti hanno le necessarie competenze e capacità. In futuro quel che farà la differenza sarà proprio l’attitudine a differenziarsi rispetto alla concorrenza. Quanto contano in questo momento le strategie
di promozione e marketing? Fino a qualche anno fa la moda era quasi totalmente condizionata dal marketing e si metteva da parte il valore reale del prodotto in favore dei processi di induzione all’acquisto. Si potevano vendere anche dei prodotti non sempre corrispondenti al rapporto marchio/ qualità, ma questi acquistavano valore per il semplice fatto che fossero indossati da un personaggio famoso o per il semplice fatto che vi fosse un’etichetta. Oggi l’influenza del marketing sta diminuendo e c’è un lento ritorno alla personalità. Per combattere questo modus operandi la prima cosa che si fa nel mio ufficio è aggiornarsi, conoscere il prodotto, informarsi sulla sua storia e sui processi di produzione, valutarne i materiali e la lavorazione. Come si lavora in un piccolo centro del sud Italia quando ci si rapporta con importanti realtà? Quali sono le scelte che marchieranno il vostro futuro? Oggi la professionalità e le nuove tecnologie possono annientare le distanze, ma è
necessario un lavoro costante per mettere in connessione realtà molto lontane fra di loro. Negli anni passati la Puglia ha perso tante occasioni importanti soprattutto perchè ha smarrito gli elementi caratterizzanti delle sue maestranze. In molti casi manca la spinta propositiva necessaria per imporsi sul mercato, mentre in quel che noi vogliamo realizzare proprio la Puglia e la Valle d’Itria diventano un fondamentale motivo di orgoglio. Per noi la moda è un aspetto della nostra vita quotidiana e proprio per questo dalla prossima stagione affiancheremo all’abbigliamento degli altri dipartimenti legati all’editoria, ai profumi, alla musica ed all’oggettistica... in poche parole, all’arte.
Comune di Molfetta
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COMUNICAZIONE VISIVA
ISTITUTO SUPERIORE DI DESIGN DI NAPOLI
CORSO TRIENNALE DI COMUNICAZIONE VISIVA L’attuale condizione dei mercati ha sempre più ampliato le competenze dei singoli territori disciplinari (grafica, design, marketing), li ha posti in relazione fra loro in un sinergismo dinamico, richiedendo a ciascuna di esse una forte specializzazione. A questo è da aggiungere il modificarsi rapido e inesauribile delle tecniche e delle strategie della persuasione, tanto da sovvertire paradossalmente i rapporti tra prodotto e comunicazione e modificarne i contenuti, le nozioni di advertising per includere quella di branding. Oggi l’interesse si è spostato dal prodotto alla strategia più efficace per promuoverlo, sostituendolo con gli scenari all’interno dei quali sono utilizzati. In questo senso la figura del grafico appare meno individualista e sempre fondamentale nel contesto della comunicazione aziendale. In compenso si richiede una professionalità più complessa nella formazione di base, con una maggiore propensione a dialogare e a relazionarsi con altre professionalità per la costruzione di quegli scenari strategici all’interno dei quali i prodotti sono esposti, commercializzati, etc. Da quanto premesso ne consegue una volontà di collocare l’Istituto Superiore di Design in sintonia con gli orientamenti dell’attuale mercato del lavoro, ma
soprattutto un’intenzionalità di direzionarla alla costruzione di una formazione di base ampia, pluridisciplinare e politecnica; una scuola capace di spaziare su tutte le forme di comunicazione e di partecipazione all’avvicendarsi delle poetiche e dei movimenti artistici, nonché delle varie tecniche, anche di quelle speculative.
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COMUNICAZIONE VISIVA
EROS, (ETHOS) E THANATOS: VIDEO-AMORE E VIDEO-MORTE
DALLE AVANGUARDIE AL DIGITALE, PER RACCONTARE LA VITA ALL’ARTE DIGITALE. di Pasquale Napolitano
La storia della videoarte nasce dalla convergenza di due tensioni: da una parte la sperimentazione dei linguaggi, in cui viene indagata con particolare intensità la complessa dimensione temporale che il nuovo mezzo mette in campo; dall’altra l’impegno politico e sociale, legato alle potenzialità di registrazione della realtà, e perciò di documentazione e informazione, proprie del mezzo. È perciò importante soffermarsi su questo caratteristico bisogno da parte degli artisti e degli autori indipendenti, a partire dagli anni settanta, di produrre un’attività creativa documentaria soprattutto di segno antagonista a quella imposta dai media di massa, in particolar modo dalla televisione. Il video si dimostra il mezzo più adatto allo scopo per diversi motivi: innanzitutto dal punto di vista della sua materialità - è evidente il suo legame con la tv e ciò ne fa inevitabilmente uno strumento “politico”; inoltre la sua economicità, la possibilità di riprese illimitate, la coincidenza temporale fra il momento della ripresa e la sua diffusione, unite alla malleabilità, alla trasformabilità, alla possibilità di distorsione, di astrazione che vanno sperimentando gli artisti nei loro laboratori domestici, apre innumerevoli, inedite e semplici possibilità di espressione e comunicazione. Il video diventa, quindi, un modo per determinare il cambiamento sociale e l’intervento attivo delle persone; uno strumento di liberazione estetica
dell’individuo e di lotta per opporsi alla nozione di arte come esperienza separata dalla vita di tutti i giorni. È facile capire come tutte queste affascinanti esperienze siano state raccolte dai videomaker che si muovono con tecnologie digitali, strumenti che consentono un notevole abbattimento di costi e tempi di realizzazione, dando perciò un quoziente di immediatezza ai materiali prodotti. È il caso, mantenendosi sull’immediato contemporaneo, delle esperienze di network produttivi a basso budget partecipato, come la partenopea insu^tv, che, con il suo Una Montagna di Balle del 2009, è arrivata al festival di Toronto e poi alla ribalta di Current Tv. La forza di un prodotto simile, (così come del suo omologo Biutiful Cauntri) sta, oltre che ad un rigo e analitico degno del migliore giornalismo di inchiesta, anche e soprattutto nell’immediatezza del prodotto rispetto al dibattito su un tema presente. Nel 1971 Michael Shamberg e il gruppo Raindance scrivono Guerrilla Television, il manifesto del video di impegno, che diventa in pochi mesi il libro rosso della controinformazione statunitense e che esprime l’esigenza di “televisione decentralizzata fatta dalla gente per la gente”; questo approccio lo si riscontra come intento comune alle diverse scuole di pensiero dell’epoca: dal celebre movimento Fluxus all’Internazionale Situazionista. Ancora, in polemica contro la presunta obiettività
del giornalismo documentario Shamberg fonda la TVTV (Top Valute Television), il cui assunto è di offrire un’informazione radicalmente differente da quella distribuita dai diversi canali televisivi americani. Attraverso l’uso alternativo del video-tape lo scontro politico si arricchisce di una nuova lotta, quella sull’informazione e sulla documentazione: il video-tape si impone quindi come lavoro politico e creativo, contro la videologia dominante. Anche in Italia simili iniziative cercano di affermare “il diritto sociale all’arte”. Nel 1976 si assiste alla fondazione del Laboratorio di Comunicazione Militante, sorta di ibrido affascinante tra video-arte e militanza che darà poi vita a quello straordinario soggetto collettivo noto come Studio Azzurro. In questo periodo è interessante notare come anche le esperienze artistiche che non si esprimevano attraverso il documentario e che non si proponevano alcun obiettivo dichiaratamente “militante” sono riuscite a “contaminare” videoarte, videoinstallazioni con un’azione critica. Demistificazione verso l’istituzione televisione e sperimentazione dal punto di vista tecnologico, rappresentano il leit motiv del pensiero di Paik e Vostell, che già attraverso le loro prime opere s’interrogano sul ruolo del nuovo mezzo tv all’interno della società; Vostel con i suoi decol-age; e Paik col suo tentativo di “umanizzare la tecnologia” in Tv-Bra for Living Scultures o nelle performance video-musicali. Lo stesso effetto provocatorio lo riscontriamo in alcuni primi eventi-
installazione di Bill Viola, il quale ha contribuito a espandere questa tensione in termini di tecnologia e ricchezza storica. Ritornando all’uso provocatorio del medium video, c’è da dire che, non solo le esperienze di decontestualizzazione dell’oggetto monitor, ma anche modalità nuove di diffusione fanno parte di quel clima appassionato di ricerca; mentre Viola proiettava dalle finestre alla strada, Silvano Agosti in Italia, insieme a Marco Bellocchio, Sandro Petraglia e Stefano Rulli compie un piccolo miracolo con Matti da Slegare, del 1975, girato interamente nel manicomio di Colorno in provincia di Parma con una tesi ben precisa: i malati mentali sono persone “legate”, se si vuole curarli occorre slegarli, reinserendoli nella comunità. Da questo film gli autori hanno dato vita ad una campagna di opinione, culminata nella legge per l’abolizione dei manicomi del 1978. Questa piccola casistica dimostra che il racconto per immagini ha una forza enorme, che si può raccontare eros e thanatos con il linguaggio del video. Quello che cerchiamo di fare all’ISD, è insegnare e condividere questo racconto e questo linguaggio, attraverso le tecniche e le procedure dell’editing digitale, cercando di trasformare il magma del territorio e dei sentimenti, in un racconto coerente, fatto di immagini, suono e movimento.
01. Promozione del documentario Una montagna di balle 02. In situ intallazione di studio azzurro
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IL DIALOGO PROGETTUALE, TRA GENESI E DISTRUZIONE PROGETTISTA-DESIGNER: FANTASIA E INVENZIONE AL SERVIZIO DELLA CREATIVITÀ di Domenico Catapano
Senza riaprire il dibattito sul rapporto tra cervello e coscienza, tra mente, la ”cosa pensante” (res cogitans) e corpo (res extensa) - concetti ampiamente chiariti ad esempio nel saggio recente del neurologo Antonio R. Damasio (L’errore di Cartesio - Adelphi), prendiamo a prestito il lavoro metodologico cartesiano come spunto per introdurre l’orientamento “organistico” (la mente è nel corpo, la vita è nella morte) che può essere traslato con la dovuta cautela all’ambiente progettuale. ”Quando l’emozione è completamente esclusa dal processo di ragionamento, (...) la ragione si scopre essere ancora più difettosa di quando si intromette nelle nostre decisioni, giocandoci i suoi tiri mancini”. Ma facciamo un attimo un passo indietro, fin dove Descartes riesce a darci il suo (ancora) valido insegnamento sul metodo per “condurre bene la propria ragione a ricercare la verità”. “E come un gran numero di leggi riesce spesso a procurare scuse ai vizi, tanto che uno Stato è molto meglio ordinato quando, avendone assai poche, vi sono rigorosamente osservate; cosí, in luogo del gran numero di regole di cui si compone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quattro seguenti, purché prendessi la ferma e costante decisione di non mancare neppure una volta di osservarle. La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione
e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne. La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente. La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l’un l’altra. E l’ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla”. Il metodo che Cartesio propone nei tre precetti successivi a quello generalissimo dell’evidenza è desunto dalla pratica matematica: arrivare all’evidenza della connessione di elementi semplici ugualmente evidenti: dunque «dividere ciascuna delle difficoltà... in tante parti quante fosse possibile»; poi «condurre con ordine» il ragionamento dagli oggetti più semplici a quelli più complessi; e infine percorrere con «enumerazioni complete» queste «catene di ragioni». Ecco che l’intenzione esplorativa e conoscitiva si sovrappongono con metodoligica evidenza alle ragioni progettuali del Designer. È significativo e consistente l’approccio alla conoscenza, che si fa
Mappa della metropolitana di NY dello Studio Vignelli intuito e visione, che ri-conosce solo questo modo per realizzarsi: sempre e solo conoscenza per praesentiam. Infatti la concatenazione dei passaggi del ragionamento, cui allude il precetto delle «enumerazioni complete», è solo un distendersi dell’evidenza nel molteplice dell’esperienza. La problematica si discioglie in più numerose ma piccole e meno tortuose strade che vanno poi a re-incontrarsi e a convergere nella soluzione per il raggiungimento dell’«evidenza». Il lavoro del progettista-Designer parte sempre da un ragionamento. Da un approccio inter-disciplinare, dal Dialogo tra più «evidenze» «che si aiutano e si perfezionano a vicenda in modo da apparire convergenti in una sola, attraverso un movimento del pensiero che attentamente intuisce le cose singole e, a un tempo, si trasferisce in altre». Senza andare oltre, senza voler arrivare all’«interamente indubitabile», è chiaro che il dialogo posto in essere è l’unico luogo in cui si abbia la tangenza tra problema e soluzione del problema; il pane e l’acqua di cui si ciba il design. Vignelli, che parla appunto di “risoluzione di problemi”, descrive due approcci al design: quello strutturato e quello emotivo. Ma la sostanza non cambia. Molti graphic designer si occupano prettamente di questo. Un cliente porta loro un “problema” e loro usano le loro competenze per risolvere quel
problema. La nozione di essere un risolutore di problemi si addice bene alla mentalità dei molti designer di natura analitica e oggettiva: per essere un buon designer bisogna vedere le cose dall’ottica del potenziale utente. Il Design è comunicazione e dunque dialogo; in particolar modo se settorializziamo l’ambito Visual. Dialogo, interazione. Informazioni che partono da un mittente ed arrivano ad un destinatario con in mezzo tutto ciò che la realtà ci può imporre, specie i codici linguistici e culturali. Il Design è una multi-lingua. Universale, global. E con accenti local, con logiche dialogiche che si innervano inevitabilmente nel tessuto culturale geografico. Ad ogni modo “Design is one”! “Subject change, materials change, processes change, but the creative and investigative mind proceed relentlessly with its own discipline trough all necessary steps toward the relative solution of the given problems”. E torniamo al tentativo cartesiano. Tuttavia Vignelli continua dicendo: “I say relative because there is nothing absolute, everything follows your own discipline, your own interpretation of the reality, your own creative force. Time, exposure focus and determination are the fuel of creativity”. Lasciando dunque la porta spalancata all’”Eros”. La res cogitans, il pensiero “erotico” e passionale del caos creativo che esplora e crea nuovi mondi attraverso la fantasia, l’invenzione, la creatività e l’immaginazione che in Munari vengono in qualche
01. Casey_reas 02. Joshua Davis
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Il cogito ergo sum di Cartesio introduce la necessità che il pensiero chiaro e distinto, evidente, trovi la sua corrispondenza nella realtà. Il dialogo tra res cogitans e res extensa, tra vita e morte, tra Eros e Thanatos; la consapevolezza che tra questi doppi domini ci debba essere sempre una interazione, un dialogo.
modo incanalati “allo scopo di capire le cose e i fenomeni che stanno attorno a noi”. Una specie di razionalismo creativo la cui esplosione attiva i “recettori sensoriali” in azione simultanea con l’intelligenza che cerca di “coordinare ogni tipo di sensazione per rendersi conto di ciò che succede”. La creatività rappresenta un uso finalizzato della fantasia - che a sua volta è libera di pensare qualunque cosa - e dell’invenzione (pensare a qualcosa che prima non c’era); insieme, questi tre concetti “pensano” ciò che l’immaginazione visualizza, che non deve essere necessariamente “creativa”. Può anche solo limitarsi a ri-creare l’evidenza, può immaginare qualcosa che “già esiste ma che al momento non è tra noi”. Ciò che la fantasia produce, così come la creatività e l’invenzione, nasce da relazioni (dal dialogo) che il pensiero fa con ciò che conosce. L’interdisciplinarità in Munari è molto forte: “La fantasia sarà più o meno fervida se l’individuo avrà più o meno possibilità di fare relazioni”. Il progettista, il designer, nel suo caos creativo, nelle sue esplosioni passionali e immaginative avrà più possibilità di successo se farà riferimento ad un ambito culturale e disciplinare ampio; allo stesso modo se ragioniamo in termini di team. Il brainstorming spesso viene considerato una perdita di tempo, ma in alcuni casi può rappresentare l’incontro emotivo più adatto per trovare le strade da percorrere.
Il progetto nasce e vive nel suo approccio fervido e passionale, nel suo percorso iniziale dove le pulsioni si uniscono all’incanto immaginifico e creano nuovi mondi. Vive nel percorso tracciato, vive nell’esplosione e nel dialogo creativo iniziale che va instradato, va smussato e aggiustato passo passo. Come uno scultore che toglie pezzi per realizzare la sua opera. L’”Eros”, la passione, viene contenuta, viene arginata in un percorso progettuale che muore nel prodotto. Quando l’oggetto immaginato diventa reale smette di essere “Eros”, smette di essere pulsione di vita e si avvia verso “il desiderio di concludere la sofferenza” (S. Freud), per tornare al riposo. La passione è forse quell’esperienza amorosa che più di tutte ospita nelle sue viscere la pulsione di vita e la pulsione di morte in una possibile, anche se difficile, convivenza tra il caos e la perfezione, tra l’irrazionale e il razionale, tra Eros e Thanatos. Questa dualità, questa medaglia dalla doppia faccia è il tutt’uno dell’approccio olografico ed è la sua interezza la realtà più fondamentale. È il comportamento delle parti ad essere organizzato dal suo insieme e non viceversa. David Bohm ci ha insegnato a considerare l’universo nella sua interezza, dividere la realtà in parti e poi dar nome a quelle parti è sempre un agire arbitrario, un prodotto della convenzione, perché tutte le cose dell’universo non sono separate le une dalle altre più di quanto non lo siano i diversi motivi decorativi di un tappeto (in Tutto è uno, di M. Talbot). Ragionare per sistema. Le parti che formano il tutto ma che da esso sono indivisibili e indistinguibili. Dunque se guardiamo all’obiettivo, al “tornare al riposo”, la soluzione del problema sta nel suo approccio metodologico e nel dialogo; la
Da sinistra: Copertina del libro Design is Art di Bruno Munari, opera Campari di Bruno Munari, FRA CREATIVITÀ E METODO di Daniele Marino
scomposizione cartesiana e la ricomposizione razionale che passa attraverso la montagna del caos, che si fa strada, che scava un tunnel nel linguaggio logico-simbolico e va verso l’interruzione del flusso necessario alla dialettica affinché si ponga dei limiti all’interno dello spazio e del tempo. Il percorso di vita e di morte. Il percorso di fare Design che ha in sé l’irrazionale creativo e il razionale metodologico; che crea e distrugge nello stesso momento in cui il progettista poggia la matita sul foglio bianco.
Il progettare stimola il processo del “non conosciuto”, o meglio del “non risolto”. Una sperimentazione dove l’eros e il caos si aprono al contesto delle nuove associazioni e delle relazioni mentali, in una sorta di sospensione temporale. Ad un processo nel quale il nostro pensiero emotivo si nutre di percezioni, ricerche e connessioni provenienti da “territori” apparentemente distanti, ma che semplicemente non erano stati messi in relazione. Una transizione dove la combinazione, la compenetrazione e i contrasti non producono il temuto disordine ma una ricchezza, in cui si realizza un gioco di scambi anche tra eccessi opposti.
Se il “tutto è uno”, se ragioniamo in termini di sistema, un ulteriore dialogo cui il designer non può sottrarsi è rappresentato dalla responsabilità sociale. Nell’attuale sistema capitalistico avanzato - votato ad un’incessante espansione della produzione - prende piede una nuova economia psichica: il capriccio che sostituisce il desiderio. (Harvie Ferguson) L’individuo esprime sé stesso attraverso le cose che possiede - e questo è pacifico. Il designer deve affrancarsi dalla costruzione di falsi bisogni: si tratta di progettare oggetti, non consumatori; oggetti e servizi che ci semplifichino la vita e non induzione all’acquisto.
Da ciò il metodo progettuale si alimenta, generando una sorta di dimensione trasversale in cui si annullano i giudizi sul buono o cattivo risultato. Queste sono le volte in cui è l’Eros a prevalere sulla distruzione di Thanatos. Ma possiamo considerare l’atto della distruzione come un atto di per sé creativo e progettuale. Un contrasto in cui si rimescolano i tasselli, e si ricompongono realizzando un percorso inedito. Uno spazio in cui tutto si trasforma e si traduce in qualcosa di continuamente diverso, nel quale si ricostruiscono significati e processi. Insomma, una distruzione che può essere intesa come trasformazione dell’artefatto e soprattutto come un esperimento finalizzato a togliere il superfluo e ad arrivare consapevolmente all’essenziale.
From consumers to people (M. Gobé), dal Thanatos all’Eros; dall’abbandono progressivo e costante della logica del business is business allo sviluppo di una responsabilità ben più ampia nei confronti della società e delle persone; una responsabilità verso il proprio ambiente in termini globali. Un compito morale, una vocazione, un impegno di tipo etico. Non si tratta più di individuare un bersaglio, di definire il target, di analizzare i comportamenti d’acquisto e l’agire di consumo. Piuttosto si tratta di contestualizzare il consumo e la produzione entro uno scenario di sistema multidimensionale, olistico, integrato. L’Uomo e il suo intorno si vanno a sostituire al consumatore e al mercato! La pulsione di vita vince sulla pulsione di morte.
Il connubio tra questo contrasto generativo/ distruttivo può tradursi con il pensiero di Munari: “Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo. La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle mani dei progettisti creativi. Il metodo progettuale per il designer non è qualcosa di assoluto e di definitivo; è qualcosa di modificabile se si trovino altri valori oggettivi che migliorino il processo. E questo fatto è legato alla creatività del progettista che, nell’applicare il metodo, può scoprire qualcosa per migliorarlo. Quindi le regole del metodo non bloccano la personalità del progettista ma, anzi, lo stimolano a scoprire qualcosa che, eventualmente, potrà essere utile anche agli altri”.
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COMUNICAZIONE VISIVA
EROS E THANATOS VITA E MORTE PERCHÈ IL PENSIERO UMANO ANTICO
CONTRAPPONEVA EROS A THANATOS? di Emiliano De Masi e Milly Barbuto
In teoria l’opposizione più naturale non è tra l’Amore e la Morte, ma tra la Vita e la Morte. Il punto è che Eros e Thanatos non sono banalmente “amore e morte” ma gli impulsi creatori e distruttori. Il primo è il Desiderio universale, cosmico, che attrae gli elementi e che spinge la Natura a dare i suoi frutti. Il secondo è la tendenza alla disgregazione degli elementi. In questo vi è anche una certa base materialista anche nella mitologia greca. Inoltre, leggendo Esiodo, non sorprenderà il fatto che Eros e Thanatos sono posti all’inizio della genealogia e della cosmogonia, in quanto è proprio Eros che permette a Chaos di generare. ‘Eros’ non è l’angioletto con arco e frecce che la tradizione più tarda ci ha tramandato, ma proprio questo impulso creatore. Un’altra interpretazione più idealistica spiegherebbe questa opposizione col fatto che il concetto di vita avrebbe un’accezione più ristretta rispetto a quello dell’amore. Basti pensare che per amore di un ideale, si potrebbe perdere la vita.
IL MATRIMONIO
IERI, OGGI E... DOMANI? DIRECTION MILLY BARBUTO PRODUCTION ISD NAPOLI
ARRIVA UN DOCUMENTARIO CARATTERIZZATO DA CINQUE INTERVISTE, CIASCUNA RAPPRESENTANTE UN’EPOCA DIVERSA E CAPACE DI ESPRIMERE IN BASE ALLA PROPRIA ESPERIENZA IL CONCETTO DI MATRIMONIO. UNA VIVIDA RAPPRESENTAZIONE DEL DELL’UNIONE AMOROSA, DI COM’ERA IERI, DI COME APPARE OGGI E DI COME POTRÀ ESSERE DOMANI. Negli ultimi anni il matrimonio è diventato un argomento piuttosto articolato, basti pensare a quante persone decidono di sposarsi in età fin troppo matura o addirittura scelgono la convivenza senza avvertire l’esigenza di legarsi in matrimonio; o ancora a coloro che vorrebbero sposarsi, ma che non hanno ancora la possibilità economica per poter finalizzare e quindi rischiano di portare il loro rapporto ad un numero di anniversari da record (1015 anni)... a coloro che scelgono di divorziare... e a chi ancora non pensa assolutamente al matrimonio...
Secondo l’Istat, le convivenze sono 800 mila, due terzi delle quali finiscono però con i fiori d’arancio. Gli altri preferiscono stare lontano da altare e comune. I figli si fanno lo stesso: il 20% delle nascite oggi avviene fuori dal matrimonio. “Nel 2015 le convivenze supereranno i matrimoni” prevede Alessandro Rosina, demografo all’Università Cattolica di Milano. “Tra le donne nate negli anni ‘60, solo il 10% si è sposato dopo avere convissuto, il 25% tra le nate nei ‘70. Le nostre proiezioni ci portano a prevedere che per le figlie degli anni ’90 il dato supererà il 50%”.
Va a finire che il trasgressivo è quello che si sposa. Se lo fa in chiesa e poi magari rimane fedele per più di qualche anno, diventa persino un caso. Secondo l’ultimo rapporto Eurispes, nel 2010 le unioni saranno il 6,6% in meno rispetto al 2007. Quelle religiose poi registreranno un calo del 16%. “Ormai quasi il 30% delle nozze in Italia è celebrato in comune” spiega Pietro Belletti, direttore Cisf, il centro italiano studi per la famiglia, incaricato dalla Cei di monitorare l’andamento dei matrimoni nel nostro Paese. La conseguenza, secondo Belletti, è che chi sceglie di dire sì davanti a Dio lo fa con maggiore consapevolezza rispetto al passato: “Anche perché sa di dover frequentare i corsi preparatori che impongono un certo impegno”.
Ci si continua a sposare, anche se negli ultimi 30 anni i matrimoni sono diminuiti del 30% (nel ’72 l’Istat registrava 392 mila matrimoni contro i 249.242 del 2008), anche se siamo l’unico Paese al mondo dove per divorziare bisogna passare dalla separazione legale... Prima di pronunciare il sì vincolante, ci si pensa non poco: secondo le previsioni Eurispes, l’età media sarà 34 anni per gli sposi e 30 per le spose. Se si pensa che fino a tre generazioni fa una ragazza di vent’anni senza la fede al dito era già in odor di zitellaggine…
Ma a impegnarsi sono rimasti in pochi. Avvicinarsi all’idea di famiglia, negli anni 2000, coincide sempre di più con la ben meno vincolante convivenza.
In alto a sinistra: alcuni fotogrammi del documentario
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COMUNICAZIONE VISIVA
AMORE E MORTE
L’ETERNA CONTRAPPOSIZIONE di Amanda Picardi
La contrapposizione di due forze estreme, opposte, che possono essere ordine e disordine, caos e materia: il tema dell’Eros e del Thanatos, mutuato dalla filosofia greca e sempre di eccezionale attualità, torna nell’opera di Amanda Picardi con tutta la sua forza creatrice e distruttrice. Il simbolo di due teschi nell’atto di baciarsi sintetizza la contrapposizione fra l’impeto passionale e l’annientamento estremo, entrambi posizionati su tre diversi sfondi. Il primo, su background nero, è servito a rendere l’idea di una radiografia che riesce ad andare nella profondità della scena ed a visualizzare addirittura il cranio dei due amanti; tutti elementi che richiedono all’arte di scendere in profondità, per comprendere lo stato in cui versa l’umanità, spingendoci oltre i normali canoni estetici come nel ritratto/radiografia fatto fa Piotr Uklanski a Francois Pianult. Il secondo, su base bianca, riporta ad una concezione artistica ed anatomica, quasi si trattasse di uno schizzo preparatorio su cui vengono impresse delle parti anatomiche, come nel caso dall’amorino di Luigi Miradori che dorme su un teschio.
La terza, e probabilmente la più importante, è quella su fondo rosso, perchè è proprio questo colore che già da sè riesce a indicare la contrapposizione fra Amore e Morte, fra passione e sangue. Un tentativo simile lo si può ritrovare anche in un’opera come Il Bacio di Klimt che, nonostante la raffinatezza formale e l’eleganza stilistica, presenta elementi che lasciano intuire la possibilità di un lato oscuro legato all’instabilità degli equilibri fra elementi contrapposti.
DE CHIRICO: CLASSICISMO IN MUTAZIONE di Ilaria Preverin
Senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del presente (G.De Chirico) Sono muse inquietanti quelle che carpiscono il nostro sguardo all’ingresso delle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia e ci invitano a svelare l’enigma del legame di Giorgio de Chirico con il mondo classico. Un rapporto che affonda le proprie radici nei natali greci dell’artista (Volos, Tessaglia 10 luglio del 1888) e che si consolida nel tempo, passando per la romantica Monaco di Baviera, dove l’artista si dedicò agli studi classici, sino ad approdare all’arte Metafisica. Oltrepassando le cose naturali, De Chirico fa esplodere i concetti di spazio e di tempo, riducendoli ad una forma circolare difficilmente comprensibile, immobile e sospesa. Nella rocca trecentesca sono ospitate 40 opere di de Chirico - tra dipinti e sculture realizzati tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del Novecento - selezionate da Victoria Noel-Johnson e Sabina D’Angelosante per la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico di Roma, da cui provengono tutti i lavori.
Ad esse sono affiancate una serie di reperti provenienti dai Musei Archeologici della Provincia di Salerno, selezionati da Matilde Romito, che evidenziano la suggestione esercitata dal classico nell’arte del maestro della Metafisica. L’artista, che spesso affermava di essersi “messo a copiare nei musei” le opere antiche, non si limitava, però, a riprodurle meccanicamente sulla tela. Egli vi applicava il filtro della memoria, di una nostalgia romantica verso una mitica dimensione onirica, in cui i personaggi dell’epos greco sono tramutati in manichini meccanici, senza volto né identità se non per gli oggetti di uso comune ad essi giustapposti. Nel contemplare le opere di de Chirico sorge il dubbio che del classico, dopo l’affannoso lavoro dell’artista di calco e metamorfosi mediato della sensibilità böckliniana, non resti più che un ricordo, un residuo, tanto esiguo quanto potente perché profondamente rinnovato nel suo significato. Il classicismo che ne emerge è un fatto del tutto inedito, una base da cui partire per le conquiste del nuovo: “Siamo esploratori pronti per altre partenze”, dichiara de Chirico nel 1918 in un testo dal titolo indicativo in questo senso: Zeusi l’esploratore, per “Valori Plastici”. Che sia questa la chiave del mistero che rende ancora oggi le sue opere così affascinanti?
Nella foto: Giorgio De Chirico, I gladiatori dopo il combattimento, 1968, olio su tela, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma
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MORE TO LOVE
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L’AMORE AL TEMPO DEL POP SURREALISMO RAY CEASAR Nato in Inghilterra nel 1954, si trasferì ben presto a Toronto dove vive e lavora. I suoi ispiratori: Hopper, per l’uso della luce e per la maniacale e a dir poco fiamminga attenzione al dettaglio. Segni particolari: Ha lavorato per 17 anni nel dipartimento di arte e fotografia dell’ospedale di Toronto per bambini documentando abusi e ricostruzioni plastiche. Lui stesso ammette di svegliarsi la notte, in preda agli incubi, e di cominciare a disegnare.
di Roberta Fiorito www.fabricafluxus.it
04 “In art only the bizarre is beautiful” Baudelaire L’amore è tenero e dolce. L’amore è desiderio… L’amore è la solitudine disperata, è l’angoscia dell’assenza, è la violenza e il furore della passione. L’amore perde, acceca, affascina, divora, è l’animalita a spingere gli esseri a esplorarsi, possedersi. L’amore si manifesta con una carica travolgente incomprimibile. L’amore... “Tutto è colmo d’ amore, devi solo voltarti, girare lo sgaurdo… è tutto intorno a te…” diceva una saggia donna in un suo celebre pezzo. Ecco a voi un possibile percorso attraverso i più talentuosi, irriverenti e visionari artisti della scena Lowbrow!
MARK RYDEN Nato a Medfort nel 1963, vive e lavora a L.A. I suoi ispiratori: Bosh, Magritte, Bruegel, Ingres, la pittura scara italiana e spagnola. Segni particolari: la sua abitazione è sommersa da una collezione di gingilli, giocattoli antichi, statue e libri. Piccole manie personali: mette i suoi colori a olio in recipienti appartenuti ai grandi maestri del passato e in merito sostiene: «Suppongo che abbiano doti trascendentali. Non so se si tratta di magia ma questi colori non funzionavano così prima».
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TARA McPHERSON Nata a San Francisco nel 1976, vive e lavora a New York. I suoi ispiratori sono la vita e il rock’n roll, Melvins, Beck, Modest Mouse e tanti altri per cui ha realizzato locandine e cover. Segni particolari: nei suoi dipinti c’è un ritratto di uomo ogni 60 donne. Non le piace disegnare i corpi maschili, preferisce, nel caso, personalizzare il genere maschile in docili animaletti. Parallelamente alla sua attività di pittrice suona il basso in una scapestrata band femminile. MICHAEL HUSSAR Nato nel 1964, vive e lavora in California. I suoi ispiratori: da Dalì a Tim Burton, da Frida Kahlo a Goya. Segni particolari: parla del suo lavoro come di “uno scatto voyeuristico all’umanità percepita, un mondo meraviglioso, gotico, illuminato dall’area grigia tra la verità e la menzogna”. In Italia è diventata celebre la sua copertina del libro V.M. 18 di Isabella Santacroce ed è giunto per la prima volta nel “Bel Paese”, nonostante la sua fama internazionale, solo qualche mese fa, accolto dalla galleria romana Mondo Bizzarro.
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LOWBROW E POPSURREALISMO. Sono brutti, sporchi e cattivi. Questo gruppo di artisti non proviene dai circuiti artistici tradizionali, sono fumettisti, tatuatori, illustratori, decoratori d’auto, hanno base a Los Angeles, ma oramai hanno “infettato” anche l’Europa e l’Italia. Si cimentano con la pittura, la scultura, disegnano toy, producono bambole e cartoon. “Mixano” indistintamente cultura alta e cultura bassa (proprio da questa ambivalenza venne coniata l’etichetta lowbrow in antitesi all’hightbrow). Cresciuti divorando fumetti, tv, cinema e pubblicità, rivisitano la contemporaneità dando vita – ora in stile apocalittico e simbolista, ora con squisite tinte da pittura fiamminga, ora in salsa noir-gotica – ad inquietanti e spregiudicati scenari. Creano scompiglio nel mondo dell’arte, o li si ama spassionatamente o li si odia. Tra i loro più accaniti sostenitori vecchi e nuovi divi di Hollywood, celebrità del mondo musicale e cinematografico, già da anni contagiati dai loro favolosi immaginari. Tra i primi Michael Jackson, che affidò la grafica della copertina del disco Dangerous al grande Mark Ryden, e poi tra i loro grandi ammiratori e collezionisti ci sono Jim Jarmush, Leonardo Di Caprio, Cristina Ricci, i Flaming Lips e Stephen King, un fenomeno, questo, che di sicuro negli anni ha contribuito alla diffusione e alla conoscenza di questi artisti.
01. Ray Caesar Arabesque 2009 02. Mark Ryden Grotto of the Old Mass 2008 03. Tara McPherson Hey We All Die Sometimes 2009 04. Michael Hussar Daddy’s Girl 2004
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GIUGNO/ARTE
I GRANDI LEGNI DI ANDREA BRANZI di Davide Fabio Colaci
NUOVI ARCHETIPI AMBIENTALI DELLA COMPLESSITÀ CONTEMPORANEA Essere critici verso la contemporaneità sembra essere oggi l’unico atteggiamento possibile per una lucida indagine all’interno dei confini sempre meno perimetrabili del mondo progettuale. Andrea Branzi, con i suoi Grandi Legni, ci regala un’altra significativa riflessione sulla nostra cultura del progetto, dando forma e spessore a un territorio capace di misurarsi con i limiti fisici e culturali della nostra condizione. Il confronto quotidiano con la contemporaneità fatica ancora a interiorizzare quella dimensione conoscitiva che caratterizza la società globalizzata, viviamo infatti un’epoca in cui l’estetica progettuale è incarnata da una logica così raffinata e depurata da essere autoreferenziale. Il progetto non è più capace di produrre sviluppo e di parlare alla quotidianità attraverso i grandi temi dell’uomo come la vita, l’amore, la morte, il sesso, la religione. Realizzare ambienti che abbiano la capacità di sondare il mondo materiale confrontandosi con i miti della contemporaneità e dell’antichità sembra essere l’obiettivo di Andrea Branzi, che ricerca in una chiave
di lettura “sciamanica” la spinta propulsiva per superare i limiti oggettuali del design stesso. I Grandi Legni, infatti, nascono da una discontinuità che non dissocia il passato dal presente ma interpreta con profonda sacralità la nostra geografia mentale, accomunando modelli antichi che appartengono alla nostra contemporaneità e oggetti contemporanei che invece nascono già antichi. Mosaici, icone cristiane, paesaggi cinesi, pittura moderna, tutto si mescola per “bruciare e rigenerarsi in una fiamma sacra” come nella musica incendiaria di Jimi Hendrix. Segmenti di natura, canarini vivi, profili antichi, cartoni stampati e oggetti consunti, trasformano i Grandi Legni in oggetti spuri e iper-espressivi, unici e liberamente utilizzabili, capaci di concentrare la loro domesticità in una dimensione autonoma simultaneamente lontana e vicina al mondo dell’architettura e del design. La grandezza dei legni è ricomposta in strutture di travi antiche e ferro battuto con tagli, incastri e colorazioni realizzate a mano, marmi policromi e riproduzioni di affreschi romani, serigrafie su larice massiccio bruciato, intuizioni di Resurrezioni di Lazzaro e frammenti di fughe, d’Egitto ovviamente. Questa serie di installazioni lignee non vuole essere una produzione di elementi di arredo, ma si configura come una narrazione di “strutture-archetipo”, capaci di dialogare direttamente con il vuoto che le contiene, trasformandosi a volte in oggetti di scena, a volte in strumenti d’uso ma sempre in testimonianze vitali
dell’abitare contemporaneo. È forse per questo che i Grandi Legni appartengono a quel mondo destrutturato, fatto di realtà funzionali e simboliche che cercano di trasformare il territorio a partire dalle sue componenti più piccole e più significative, proprio come Mohammad Yunus che con i suoi microcrediti è riuscito a cambiare l’economia domestica di milioni di persone, più di quanto non abbiano fatto le macro-riforme economiche di tutto il secolo scorso. La stessa capacità molecolare di trasformazione dell’ambiente e il senso di interstizialità della nostra cultura progettuale, sembrano animare la serie dei Legni presentati per la prima volta a Parigi, nella storica galleria di Azzedine Alaia, e realizzati da Design Gallery Milano e Nilufar. Questa ibridazione tra materie e realtà funzionali rilegge in chiave critica la nostra attuale dimensione tecnologica, che in questo caso viene assolta dal vincolo della sua funzione e dalla necessità di essere riconoscibile all’interno di un ambiente. Proprio questo nuovo valore di “presente assenza” delle tecnologie sembra aprire un nuovo territorio fatto di materia, di unicità e di senso, più libero e sfuggente, costituito da una serie di dispositivi capaci di ricostruire un’altra realtà dell’ambiente umano, sensibile ed emozionante. Questo grande vuoto lasciato dalle tecnologie immateriali sembra, quindi, aprire un vortice fatto di materia, rappresentato da un futuro primitivo ma soprattutto alternativo, necessario per ricostituire nuove origini del progetto.
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di Mimma Schirosi
Agreste. Secco. Incandescente. Il cielo di Carosino, piccolo comune nella provincia di Taranto, è colmo d’arancio, nel mezzogiorno d’estate. Le foglie pare distillino piccole gocce di sudore, appena asciugate dalla miracolosa brezza di tramontana. Le pareti di calce delle case mutano il bianco immacolato nel giallognolo dell’afa. Gli esseri umani, sospesi tra la fedeltà alle tradizioni e l’integrazione all’imperativo urbano della fretta, conducono la propria esistenza cercando degli agevoli compromessi tra passato, presente e futuro.
JOHN CAGE
Parlare di John Cage in un surrogato è blasfemo, ed allora privilegiamo il gioco degli indizi, per i non addetti ai lavori. Compositore statunitense, tra i protagonisti fondamentali dell’evoluzione della musica contemporanea, vissuto per quasi tutto il secolo scorso (19121992), ma anche filosofo, poeta, pittore, scultore. Figlio di un inventore e di una giornalista, partendo da una formazione classica, trascorrerà la sua esistenza nell’esplorazione stoica del noumeno musicale, pervenendo al riconoscimento del silenzio quale ulteriore suono, piuttosto che tabula rasa uditiva, e realizzando, nel 1952, l’opera 4’33”, per qualsiasi strumento e consistente nel non suonare lo strumento stesso. Con questa sorta di provocazione, Cage cerca di dimostrare come non sia dato un ambiente a-sonoro, poiché l’esistenza è densa di rumore quotidiano, prodotto dal nostro stesso corpo e dall’ambiente circostante.
SOME FRIENDS
A Kind of Tribute to John Cage, ponte virtuale tra esseri umani diversamente allocati nel mondo nel nome di John Cage, ospita i contributi di: Kim Cascone, compositore americano di musica elettronica e supervisore musicale per David Lynch in Twin Peaks e Cuore Selvaggio; Amy Denio, polistrumentista, compositrice e songwriter di Seattle; Zac Nelson aka Hexlove, inventore del “pop senza canzoni”; Ben Chatwin aka Talvihorros, raffinato musicista elettroacustico ed ambient di base a Londra; Francesco Giannico, musicista elettroacustico/ sperimentale e regista del dvd, oltre che responsabile del Laboratorio di Ecologia del Suono, nell’ambito del Progetto Caete; Fabio Orsi, altro talento pugliese della scena sperimentale, ormai riconosciuto a livello internazionale.
UN LABORATORIO DI “ECOLOGIA DEL SUONO” PER COMPRENDERE GLI SPAZI DELLA NOSTRA QUOTIDIANITÀ John Cage è anche qui. Improbabile ma vero. Il pretesto è idiomatico, definito dall’espressione “Caete” (“Che è?”), divenuto acronimo del progetto Cittadinanza Attiva E Territorio, fondato sul riconoscimento dell’arte quale strumento di animazione territoriale. Titolare del progetto è l’Associazione di Promozione Sociale LAB LIB, che lo sviluppa su quattro assi d’attività: Ecologia del suono, Scrittura e costruzione del libro, Lettura animata, Arte per la società, rivolgendosi alle scuole, ai bambini, ai ragazzi ed agli anziani. Tornando a Cage, egli diviene apertura e chiusura del cerchio di talune attività svolte dal Laboratorio di Ecologia del Suono, con la volontà di restituire agli esseri umani una più profonda consapevolezza dello spazio sonoro nel quale si è immersi quotidianamente. Ma qual è la reazione di una piccola comunità del Sud Italia di fronte ad un progetto educativo e formativo “di nicchia”? Francesco Giannico, responsabile del Laboratorio ed egli stesso musicista elettroacustico/ sperimentale, ci parla di una certa curiosità di fondo, alimentata avvicinando i partecipanti all’ascolto di sonorità insolite, come la performance di John Cage Cage in Water Walk, ma con un piglio quasi giocoso ed informale, così da abbattere barriere potenzialmente controproducenti. Ciò che ne viene fuori è A Kind of Tribute to John Cage, miniatlante visivo dei suoni campionati e delle musiche eseguite dai ragazzi della Miniorchestra Caotica, nata nel laboratorio di Ecologia del
Suono, con la partecipazione totalmente libera ed incondizionata di alcuni musicisti nazionali ed internazionali (Kim Cascone, Fabio Orsi, lo stesso Giannico, Amy Denio, Hexlove, Ben Chatwin) attraverso vari contributi musicali (field recordings, linee di pads). La parte musicata dalla Miniorchestra Caotica è realizzata con campioni audio di strumenti non convenzionali (buste di plastica, lattine, pentole, giocattoli). A questi suoni sono state applicate due sovraincisioni: la mappatura sonora del paese di Carosino e l’insieme dei contributi musicali pervenuti da vari artisti. Balle di fieno, tralicci al tramonto, altalene d’antica fattura, giochi di piccoli piedi riflessi su di uno scivolo, partite di calcetto, frammenti di jogging si alternano in un ciclico flusso di coscienza che, dal bianco e nero, torna al colore, passando attraverso il negativo, come in un anomalo pulsare del normale stato di coscienza, che cadenza da sé, stabilendone velocità minima e massima, i ritmi circadiani. La soundtrack, connubio straniante tra rumori umani e suoni alieni, contribuisce a restituirci l’immagine di un’umanità fuori e dentro il contesto spazio-temporale che le fu grembo materno, come variazione sul tema dell’Angelus Novus di Klee nell’interpretazione di W. Benjamin. Angelo in corsa verso il futuribile, ma con lo sguardo rivolto al passato. Un passato troppo remoto per sopravvivere, troppo prossimo per essere definitivamente bandito.
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di Beppe Recchia e Michele Casella
LCD SOUNDSYSTEM This Is Happening
COCOROSIE Grey Oceans
(DFA/Emi)
(Sub Pop)
Voto: 6/10
Voto: 7/10
James Murphy: musicista definitivo dell’ultimo decennio o il più astuto conoscitore/manipolatore in circolazione dell’estetica pop? Il coro unanime di consensi raccolto con il precedente Sound Of Silver difficilmente potrà ripetersi con questo nuovo – e, stando alle dichiarazioni, ultimo – lavoro; una produzione troppo levigata, la scelta di allungare la durata delle canzoni sino quasi a renderle remix di se stesse, e più di tutto l’aver preferito al bricolage delle citazioni il vero e proprio omaggio (All I Want e Somebody’s Calling Me riscrivono rispettivamente Heroes di Bowie e Nightclubbing di Iggy Pop) fanno di This Is Happening un disco che tende a sfiancare l’ascoltatore piuttosto che persuaderlo che c’è ancora tempo per un ultimo ballo. Può darsi che il marchio LCD Soundsystem non goda più delle complete attenzioni del suo creatore, se è vero che You Wanted A Hit gira intorno al martellante refrain di “We won’t be your babies anymore”, ma almeno in tre occasioni Murphy fa ancora centro: Drunk Girls è un’insolente figlia di Boys Keep Swinging di Bowie; Dance Yrself Clear mette a frutto i suoi quasi nove minuti partendo in sordina e cambiando improvvisamente marcia in un’accelerazione di bassi profondi che ne squarciano la melodia; I Can Change ha lo stile della ballata trasfigurata in un lucente synthpop. È tempo allora di una reinvenzione prima che sia troppo tardi per ritrovare mordente. (B.R.)
Le Cocorosie sbarcano a Seattle, più precisamente alla Sub Pop, per la quale preparano una specie di secondo debutto frutto di un lavoro realizzato attraverso cinque differenti Stati. E il cambio di registrato in effetti vi è stato, in particolare se paragonato alle meraviglie degli esordi che la Touch And Go aveva avuto la capacità di raccogliere e pubblicare mantenendo inalterata la cura “domestica” di quelle fantastiche registrazioni. Oggi le Cocorosie sono ben altra cosa, hanno attraversato il mondo, fagocitato suoni e ritmi completamente diversi da quelli franco-statunitensi di La Maison de Mon Rêve, colorando in maniera assai marcata la loro elementare (e toccante) poetica. Grey Oceans è romantico e fatato, talvolta giocoso (come nell’intro di Hopscotch), talaltra concitato e ossessivo, un richiamo delle sirene attualizzato per l’era post-moderna in cui le frenesia dei ritmi e gli intrecci stilistici la fanno da padrone. In questo senso, la mesta drammaturgia di Undertaker risulta stucchevole e forzata, mentre una traccia come Grey Oceans ha quella docile malinconia che immediatamente richiama il tratto più ammirevole di questa coppia di sorelle: la sincera trasparenza delle loro melodie così diafane. Un album al di sopra delle recenti prove su lunga distanza. (M.C.)
SOLEX VS. CRISTINA MARTINEZ + JON SPENCER Amsterdam Throwdown Kingstreet Showdown
FOALS Total Life Forever (Transgressive)
(Bronzerat) Voto: 7/10
Voto: 7/10
Il tratto eccentrico dell’olandese Solex si interseca col mondo post-punk di Jon Spencer e Cristina Martinez per una collaborazione sorprendente e perfettamente riuscita. A dettare lo stile dell’album è proprio l’artista di Amsterdam, che spinge le tracce su territori simili a quelli del Dub Narcotic Sound System, ma usa le ritmiche in maniera assolutamente stralunata e irregolare. Una perla art-rock. (M.C.)
Total Life Forever è un perfetto disco di transizione che, pur non ricusando un chiaro istinto pop, preferisce toni più languidi e sconfinati spazi vuoti alla nervosa schizofrenia del debutto Antidotes. Che si tratti dei modi gentili e appena sussurrati di Blue Blood o della densa emotività di Alabaster, il tono dominante è quello di una malinconia abissale; e Spanish Sahara è pura vertigine, segno che la metamorfosi è solo all’inizio. (B.R.)
DAVID HOLMES The Dogs Are Parading
AVI BUFFALO Avi Buffalo
(Universal)
(Sub Pop)
Voto: 9/10
Voto: 8/10
Fedele ad un impianto sonoro perfettamente adeguato alle contaminazioni ritmiche ed agli incroci di stile, David Holmes prepara questa compilazione di ben 29 brani in cui raggruppa personalmente le tracce più rappresentative della sua carriera. Tredici anni e quattro album all’attivo, per una carrellata che parte da un approccio elektro-indie – assimilabile al meglio della scena britannica di metà anni ’90 – per andare decisamente oltre. Funk e soul, adeguatamente reinventati e destrutturati, si miscelano ad atmosfere elegantissime da club-culture per poi aprirsi ad acidità degne del miglior Manitoba/Caribou. Capace di oltrepassare epoche e mode, Holmes ha interpretato in maniera assolutamente ineccepibile la matrice metropolitana di questo ineffabile tempo, saturandolo di suoni, mostrandone anche il lato più oscuro o regalandoci ballate melliflue e irresistibili: gli esempi di Bow Down To The Exit Sign (l’album capolavoro del 2000), di Don’t Die Just Yet (fenomenale cover del classico di Gainsbourg) o di Sugarman (la traccia immaginata da Sixto Rodriguez e remixata in maniera strabiliante da Holmes) possono dare un esempio delle perle contenute in questa raccolta, completata da un secondo disco in cui compaiono le rielaborazioni dei suoi brani a firma di Mogwai, Arab Strap, Andrew Weatherall, Kevin Shields e molti altri. Assolutamente Imperdibile. (M.C.)
Con una biografia che è quasi da favola – un liceale, Avigdor Zahner-Isenberg, manda un demo alla Sub Pop e si ritrova sotto contratto senza avere né una vera band né un numero sufficiente di canzoni per un disco – e con un’età che fa quasi impallidire – il disco esce quando il suo autore ha appena compiuto 19 anni -; “Avi Buffalo” è un inaspettato miracolo di maturità. Sorretto da una scrittura che ha assorbito la tradizione alterna-rock americana, dai Byrds ai Built To Spill, ma che trova soprattutto un’affinità elettiva con gli Shins di James Mercer, questo debutto è un piccolo e riuscito manuale sull’innamoramento (e sull’inevitabile contraccolpo dell’abbandono) adolescenziale, con impressionante ricchezza di immagini e precisione nei dettagli (anche sonori). I dolori del giovani Avi sono tutt’altro che scontati nel loro racconto (What’s In It For?, Remember Last Time) e anche quando, come è normale dell’età, si svelano un po’ goffi o spudorati (Summer Cum, Where’s Your Dirty Mind), non lo fanno per impressionare, ma colpiscono per il loro acume e profondità. E, alla fine, la gestazione frammentata delle dieci tracce è l’unico difetto che impedisce di gridare al capolavoro. Almeno per il momento. (B.R.)
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GIUGNO/HI-TECH
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TU SEI QUI!
AFRIC
(TI ABBIAMO CERCATO OVUNQUE) GEOTAGGING OVUNQUE E COMUNQUE. LA FINE DELLA PRIVACY? di Daniele Raspanti
Social network, motori di ricerca, gallerie fotografiche e instant messaging. In qualche modo, stiamo diventando schiavi di internet e della sua fitta rete di applicazioni e servizi, nel continuo tentativo di rimanere in contatto con il mondo. Nel corso degli anni, i web developer hanno sempre cercato nuove (e spesso intriganti) caratteristiche da inserire nei propri progetti, destando ogni volta l’interesse intorno ad un particolare social network o progetto “web 2.0”. Contemporaneamente, assottigliando la privacy dei propri utenti, che riversano la propria vita su web come un enorme diario, ovviamente di pubblico dominio. L’ultima trovata (presa in prestito dalla tecnologia GPS militare e già sperimentata su alcuni modelli di navigatori satellitari) è il geotagging. Ovvero, far sapere a tutti in quale luogo ci si trova… cosa c’è di meglio per comunicare al resto del mondo anche il minimo spostamento? Implementato in sordina, sbandierato come feature innovativa su alcuni navigatori con fotocamera inclusa (memorizzando le coordinate geografiche direttamente nei dati della foto), è ora diventato la nuova trovata commerciale di produttori di cellulari e social network. Il geotagging permette di “taggare” (associare un commento o una foto a qualcuno o qualcosa) le proprie foto specificandone il luogo in cui è stata ripresa. Dai primi dispositivi unicamente sviluppati a tal scopo, il mercato ha richiesto un’espansione più veloce, cercando di
cavalcarne l’hype: dalle prime fotocamere reflex professionali alle quali era possibile collegare un dispositivo GPS, si è passati a tecnologie sempre più avanzate e “popolari”. Dopo un primo esperimento poco conosciuto di Samsung con la fotocamera ST1000, le novità non hanno tardato a farsi vedere: Nikon e Canon si sono affidati a società specializzate per la produzione di accessori GPS da affiancare alle reflex digitali ammiraglie e semi-professionali (come la D3x di Nikon o la 5D Mark II di Canon), Samsung ha presentato la più accattivante e appetibile HZ35W (in arrivo in Italia, rispetto alle ST1000 prevede uno zoom 15x ottico e uno schermo da 3”, oltre al sopra citato GPS, caratteristiche oltre la media per le compatte di questo settore). Interessante, sia dal punto di vista tecnico che sociale, è l’arrivo di un nuovo tipo di schede SD per fotocamere e cellulari. Presentate sul mercato con il nome di Eye-Fi, questa linea di prodotti prevede una scheda di memoria SD (di dimensioni normali) con gli “steroidi”: per fare un esempio, la versione base (la Connect X2) include “solo” la possibilità di connettersi in wireless per il trasferimento veloce di immagini e video verso un PC o direttamente su internet (se disponibile una connessione). Le sorelle maggiori, la Explore X2 e la Pro X2, includono un servizio di geotagging di video e foto compatibile con i maggiori servizi online (Flickr, Picasa, Google, Youtube, ecc.), mantenendo
PE
ASIA AND JAPAN
RICA
GPS DEVICE HANDHELD SYSTEM PORTABLE CAR SYSTEM GPS-ENABLED PDAS OR LAPTOP COMPUTERS INTEGRATED GPS CAR SYSTEMS CELL PHONES OTHER GPS DEVICES
ovviamente le caratteristiche wireless già citate. E tutto questo grazie al crescente utilizzo di social network e siti di condivisione foto e video che, grazie all’utilizzo di Google Maps e Google Earth (Flickr mette a disposizione anche un servizio proprietario di geotagging), permettono di associare alla vostra mappa una foto di riferimento o, nel secondo caso, un particolare luogo sul “mappamondo virtuale”. Sperimentato con successo (ma ancora poco utilizzato) anche il “video-geotag”, grazie all’accoppiata Google-Youtube. Ogni vostro video potrà essere associato, tramite Google Maps, al luogo in cui è stato girato! Utile, vero? Ma la moda del “taggarsi nel mondo” non è solo destinata a foto e video. Twitter, popolarissimo social network che fa della semplicità il suo punto di forza, ha già presentato questa caratteristica dalla nascita. Per quanto poco utilizzata, alcuni dispositivi GPS (o anche smartphone) permettono il “twitting” del proprio stato con la possibilità di associare le coordinate GPS al luogo da cui si sta pubblicando la nota. Nel futuro prossimo, stando a voci non ancora ufficializzate, sarà anche possibile associare il luogo direttamente dal pc di casa, semplicemente seleziono il posizionamento da una mappa in stile Google Maps (accordi in vista?). Facebook, che non ha bisogno di presentazioni,
di certo non rimane a guardare. Per quanto non sia una caratteristica indispensabile all’utilizzo a cui è destinato questo social network, gli sviluppatori non vogliono restare in coda in questa “corsa al posizionamento globale”, tantomeno al concorrente Twitter. Cosa pensereste se, oltre alle vostre foto, anche ogni vostro commento, nota o stato personale fosse registrato con le coordinate geografiche del luogo dal quale state scrivendo? La fine della privacy? Tutto può essere. Al momento, tale caratteristica potrebbe essere implementata solo su applicativi destinati a smartphone o iPhone (famiglia 3Gs) che includono un GPS integrato, ma niente vieta ai ragazzi dietro lo sviluppo di Facebook di implementarla come opzione anche da un pc. Per chi non ha voglia di aspettare che Facebook e Twitter implementino tali funzionalità, o non dispone di un adattatore/ricevitore GPS, un interessante punto da cui iniziare il geotag delle proprie attività potrebbe essere Wikitude (www. wikitude.me). Tutta questa attenzione nel voler condividere ogni aspetto della vita reale con quella virtuale fa nascere, però, alcuni interrogativi… e se non volessimo far sapere da dove scriviamo? Se la foto (finta) che ci ritrae in compagnia di bellezze orientali in quel di Tokyo riportasse le coordinate di casa propria?
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GIUGNO/LIBRI
EFFETTO
Einaudi 2010 pp. 113, euro 17.50 (trad. Vincenzo Mantovani)
di Antonello V. Daprile
L’UMILIAZIONE
Il nuovo romanzo di Philip Roth è un dramma che si consuma in tre atti. Dismessi i panni, eroticamente scorretti, di Nathan Zuckerman e David Kepesh, protagonista assoluto ne è Simon Axler, attore teatrale che vive una profonda crisi personale ed artistica. A più di sessant’anni, dopo aver calcato i palcoscenici più prestigiosi degli Stati Uniti ed aver conquistato la critica, Simon sente di aver perso la sua magia. Il pubblico lo fischia, la moglie lo abbandona e il suo agente tenta invano di convincerlo a cimentarsi in un nuovo spettacolo. L’inquietudine, che lo porta a maturare pensieri suicidi, sfocia nel ricovero in una clinica psichiatrica, dalla quale uscirà ancor più convinto che l’unico modo di sottrarsi all’agonia di cui è preda, sia quello di porre fine alla propria esistenza. Poi accade che Simon, ritiratosi a vivere in macerazione ascetica in aperta campagna, incontra lei, Pegeen, di 25 anni più giovane, figlia (lesbica) di suoi amici. E la passione lo riporta in vita. Sono mesi di una sessualità sfrenata, oscena, vitale. Simon torna ad uscire nel mondo, soprattutto per comprare vestiti a Pegeen e trasformarla nella donna (etero) che non è mai stata prima. Ma non c’è lieto fine in questa storia di malattia, di vecchiaia, di sesso e di morte. Da questa vicenda Simon trarrà solo il vigore per recitare l’ultimo atto della sua carriera e della sua esistenza. Il romanzo, condito con dettagli sesso-grafici espliciti e, fondamentalmente, legato alla difficoltà e alle conseguenze dell’invecchiare, ha ricevuto
critiche discordanti. In un articolo sull’Observer, il critico William Skidelsky definisce L’umiliazione di Philip Roth “la fantasia sessuale di un uomo attempato vestita del garbo letterario”, giudicando poco credibile la relazione tra il “vetusto”ma sempreverde Simon e la lesbica Pegeen. Di certo non è il miglior Roth. Sono alcuni anni che l’autore di Newark mette a confronto i protagonisti dei suoi romanzi con l’imminenza della morte e l’impossibilità di prepararvisi nonostante gli avvertimenti. È ciò che avviene in Everyman (Einaudi, 2008), in cui il personaggio principale se ne va durante un’operazione di minore importanza. Ed è ciò che accade in Exit Ghost (Il Fantasma Esce di Scena, edito sempre da Einaudi), malgrado il protagonista, Nathan Zuckerman, stia riscoprendo la vita a settant’anni. Nell’ultimo anno Roth è passato dalla ardente Indignazione del giovane Marcus Messner al pathos di Simon Axler in L’umiliazione. Indignazione e l’umiliazione. Con quella “L” che sottolinea, evidenzia, identifica irrimediabilmente uno stato d’animo pervasivo quanto l’indignazione, ma prodromico di gesti estremi e soluzioni definitive. Il deliquio dell’inguine dei tempi di Portnoy è finito. È questa l’umiliazione. L’umiliazione di essere abbandonato nella tragica consapevolezza che sarà l’ultima volta. Che non ci sarà possibilità di rivincita. Il sipario sta calando e non c’è più nemmeno il tempo di ricevere gli applausi.
ROTH
Einaudi, 2009 pag. 136, euro 17,50 (trad. Norman Gobetti)
INDIGNAZIONE Vecchiaia e malattia. Negli ultimi romanzi Philip Roth racconta la rabbia per la decadenza fisica che giunge inesorabile con gli anni, insieme alla consapevolezza che la maturità non aggiunge saggezza. L’età senile non arricchisce di esperienza, serenità e distacco, ma rende poveri, meschini e soprattutto impotenti. Con Indignazione, il ritorno ad una storia di formazione e di iniziazione erotica non muove dalla nostalgia, né per i soggetti dei primi romanzi, né per l’epoca giovanile in cui l’autore, come il protagonista, venne arruolato per la guerra in Corea. La voce narrante dall’al di là, rende piuttosto l’amara certezza dell’inutilità dell’esperienza, e la consapevolezza di chi sa come va a finire, e non se ne fa una ragione. Se solo le cose fossero andate così, invece che. Newark 1950. Marcus Messner, figlio obbediente, studioso e lavoratore, tenta di sfuggire all’irragionevole apprensione paterna, trasferendosi al college di Winesburg (Ohio), ma non sfugge all’imperativo morale del genitore: devi fare ciò che va fatto. Con la stessa determinazione con cui spennava polli nella macelleria kosher del padre, si concentra nello studio, tollera l’arroganza e l’indifferenza dei compagni di stanza, lavora in un bar tra insulti antisemiti, affronta il paternalismo bigotto dell’istituzione. È tutto ciò che va fatto per non andare a morire in Corea.
Markus è un esperto del sacrificio e un pivello della vita. Quando si imbatte nell’altro sesso, si ritrae per paura di quel mistero che è una donna libera; all’insistenza del decano che gli impone di frequentare la messa, reagisce con forbita ma vana veemenza; alla tentazione di sottrarsi ad un onere insostenibile, cede contravvenendo alla propria rettitudine. Pur nella percezione di un errore fatale, Marcus commette una stupidaggine: assolda uno studente per smarcare al suo posto l’obbligo della funzione. Scoperto, viene espulso dal college e parte per la guerra, capitolo finale della sua vita di diciannovenne. La nota storica in chiusura informa che, dopo vent’anni, la retriva Winesburg ha abolito la partecipazione obbligatoria alle funzioni. Proprio ciò che andava fatto: indignazione. Indignazione di Marcus per gli inni da leccaculo e le preghiere a occhi chiusi. Indignazione del padre per il figlio morto. Indignazione della madre per il figlio costretto ad andarsene. Indignazione perché non c’è alcun senso. Indignazione come l’opposto di rassegnazione, perché se solo…
di Paola Merico
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GIUGNO/LIBRI
ADAM THIRLWELL LA FUGA di Mariagrazia Gallù
LA FUGA DI ADAM THIRLWELL Titolo originale: The Escape Genere: Narrativa Traduzione: Riccardo Cravero Guanda Editore Pag. 350 17,50 euro
TRA PUREZZA E INDECENZA, IL NUOVO ROMANZO DELLO SCRITTORE BRITANNICO PARTE DAL SESSO PER ANALIZZARE ECCESSI E NEVROSI DEL NOSTRO TEMPO Cosa ci si potrebbe aspettare da un uomo ebreo ed inglese più di lì che di qui nell’età, amante del cricket, delle rose e del jazz di Ella Fitzgerald e Artie Shaw? Una serena e tranquilla vecchiaia nell’appagamento dei suoi hobby? Niente di tutto ciò per Raphael Haffner. Disperso in un imprecisato paesino termale dell’Est Europa, nel doppio tentativo di recuperare la villa requisita nel corso dei vari regimi alla famiglia della bella moglie Livia e di redimersi dal mea culpa che si porta dietro a causa dei torti provocati alla medesima - fra cui averla tradita e abbandonata in punto di morte – Raphael tenta goffamente di dimostrare di non essere in definitiva quell’uomo così eccessivamente megalomane, egoista ed infantile e d’ingraziarsi figli e nipoti, ma altro non fa per tutto il dipanarsi
dell’intreccio che annaspare sui suoi stessi passi, superandosi sempre più negativamente. E così lo ritroviamo in un armadio a spiare sadicamente la sua amante/doppio Zinka fare l’amore con il fidanzato Niko, e nemmeno poi così tanto disdegnoso nei confronti del giovane massaggiatore Viko, perché il suo unico desiderio è vivere ancora oggi sulla cresta di un irrimediabile declino, dove tutto ciò che è squallore e decadenza lo attraggono in un vortice senza fine, e il minimo bagliore di redenzione è da lui scansato repentinamente. Con quest’aria da dandy incallito – una sorta di Dorian Gray della terza età, un non-eroe dei nostri giorni – viene fuori il nuovo protagonista del terzo romanzo di Thirlwell, inutilmente “in fuga” dalla sua storia, dalle sue origini, dal suo più che ovvio destino; quel che trapela dalle pagine dell’autore è dunque un’aria di malinconica e rassegnata ironia, tanto ricercata nei toni da rendere evidente il grande potenziale di questo scrittore. Come nel precedente Politics, ritroviamo lo stile elevato ed il tema portante della sua poetica, la visione filtrante del mondo che l’autore fa attraverso il sesso. Qual è la risposta a una nevrosi se non il suo immediato appagamento? Ed ecco che, nel desiderio di emulare gli eccessi di crudeltà di Tiberio e le esuberanze sessuali di Eliogabalo, agli imperatori di certo rimarrà pur sempre la gloria ad aeternum, a Raphael (nel suo sprazzo di vita grottesca) il solo Viagra capace di sorprenderlo.
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