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002 NOVEMBRE 2009 FREE PRESS

SIZE MATTERS LA DITTATURA DEI SUPPORTI CINEMA IL SOGNO ORGANIZZATO VISIONI POLAROID MON AMOUR


www.ipool.it

il tuo supporto quotidiano



REDAZIONE Michele Casella Direttore Responsabile Vincenzo Recchia Creative Director Irene Casulli Fashion Editor Giuseppe Morea Multimedia Developer Giancarlo Berardi Visual Designer

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COLLABORATORI Simona Ardito, Elisa Caivano, Emma Capruzzi, Annarita Cellamare, Giovanni Celsi, Antonello Daprile, Roberta Fiorito, Valeria Giampietro, Enrico Godini, Paolo Interdonato, Barbara Laneve, Adele Meccariello, Paola Merico, Simona Merra, Stefano Milella, Pasquale Napolitano, Vincenzo Pietrogiovanni, Daniele Raspanti, Davide Rufini, Veronica Satalino

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NOVEMBRE/EDITORIALE

FOTOGRAFI Francesco Calabretto, Valeria Giampietro Stampato presso Tipografia Romana POOL Registrazione n. 31 del 08/09/2009, presso il Trinubale di Bari www.ipool.it Cercaci su Facebook, Twitter, Myspace, Issuu.

EDITORIALE di Michele Casella

PUBBLICITÀ Imood Via Cristoforo Colombo, 23 - Putignano (BA) Tel. 080.4054243 www.imood.it

La riproducibilità dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte. Infatti, quanto più il significato dell’arte diminuisce, tanto più il contegno critico e quello della mera fruizione da parte del pubblico divergono. Il convenzionale viene goduto senza alcuna critica, ciò che è veramente nuovo viene criticato con ripugnanza. La liberazione dell’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura sono il contrassegno di una percezione la cui sensibilità per ciò per ciò che nel mondo e dello stesso genere è cresciuta a un punto tale che essa, mediante la riproduzione, attinge l’uguaglianza di genere anche in ciò che unico. Walter Benjamin - “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”

Pool percorre queste differenti strade con positività e nostalgia, ripartendo proprio dai supporti tecnici che hanno guidato i tanti mutamenti ed utilizzi (anche “impropri”) dell’arte. Il copia/incolla come strumento di creatività, il ritorno delle musicassette per la divulgazione di sonorità di ricerca, il romanticismo della Polaroid come riscoperta di un’estetica; il tutto subordinato alla necessità di esaltare l’unicità dell’opera d’arte e di fruirla nel modo più completo e diretto possibile. Perchè solo in questo modo si può evitare di essere superati dalla tecnologia e di ritrovarsi in una “Metropolis” al di sopra dei nostri bisogni.

“Il soggetto, un diapason? Ciascun soggetto, un diapason differentemente regolato? Regolato su di sè, ma senza frequenza conosciuta?” Jean.Luc Nancy - “All’ascolto”

Anche la visione muta forma e dimensioni, dividendosi in segmenti multicentrici che compiono scelte commerciali differenti. E così lo spazio buio di una sala diventa luogo da difendere e preservare, soprattutto quando percorre strade poco battute che privilegiano l’approccio autoriale e la ricerca innovativa. Vi è oggi la necessità di cambiare prospettiva per poter comprendere gli sviluppi in atto e per immaginare nuovi percorsi di reale coinvolgimento. Restare indietro significa autoescludersi.

Sempre più serrato e inevitabile, l’avvento delle nuove tecnologie nelle pratiche di vita quotidiana arriva finalmente alla piena interazione tra fruitore e opera d’arte. Il mercato si trova davanti ad una selezione naturale, che colpisce la fotografia così come il cinema, la letteratura come la musica. Anche l’ambito dell’editoria, sia libraria che giornalistica, si è gettato nel confronto fra l’informazione in rete e la circolazione ‘convenzionale’, dovendo necessariamente aggiornarsi ed essere disponibili su browser e smartphone.


COPERTINA

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SIZE MATTERS LA DITTATURA DEI SUPPORTI

SOMMARIO ISSUE 002

ARTE 12 14 18

POLAROID MON AMOUR 1 H. ART Un’ora d’arte a casa DADA E SURREALISMO A CONFRONTO

LIFE 20 22 24

PASSATO FUTURO GIACCHE GOFFE E DELIZOSI CAPPELLINI SPIRITO A PEZZI

VISIONI 30 34 40

L’OPERA STRUGGENTE DI UN FORMIDABILE GENIO

CIRCOLI VIRTUOSI Tornano i cinema d’essai CAFFE’, SIGARETTE E TV Contemporary Videomaker

MUSICA 46 48 49

LIBRI 26

IL SOGNO ORGANIZZATO...

EUGENE CHADBOURNE Il suo nuovo album NOTTURNO ITALIANO Intervista ai Kiddycar IL ClASSICO DEL FOLK Parla Langhorn Slim

HI-TECH 52

L’ARTISTA DEL RICICLO L’epoca del copia/incolla


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NOVEMBRE/MUSICA

SIZE MATTERS LA DITTATURA DEI SUPPORTI di Michele Casella, Raffaele Stellacci, Daniele Raspanti, Simona Ardito e Roberta Fiorito

A un passo dal completo ritorno nella forma immateriale, la musica viene scomposta in migliaia di sotto-generi, parcellizzata fino all’esasperazione e fagocitata con insaziabile voracità. La straordinaria accelerazione che ha rovesciato il mercato discografico mondiale, però, è solo il risultato finale di un percorso consumistico che ha profondamente plasmato la forma d’arte più abusata del pianeta. A scandire gli step di questo trapasso annunciato vi sono i supporti fonografici, gli oggetti che hanno veicolato il messaggio musicale attraverso lo spazio ed il tempo, ma anche la gabbia dorata in cui depositare le proprie opere. Ad ogni mutazione tecnologica è seguita infatti una variazione sia formale che sostanziale di questo linguaggio artistico, che diventa merce non appena viene impresso su supporto. Allo stesso modo in cui il passaggio al 45 giri ha impresso lo standard dei tre minuti e mezzo per brano (pezzi più lunghi non sarebbero entrati), così lo spostamento da 33 giri a cd e dvd ha prodotto un cambiamento del rapporto fra immagine e suono. La possibilità di registrare session lunghissime di lavoro, di pubblicare a prezzi sempre più bassi e di accedere alle tecnologie direttamente dal proprio studio casalingo ha causato una sovrapproduzione che ha spazzato via i limiti della contaminazione.

La vittoria del post-moderno, si potrebbe dire, un risultato per cui molti hanno usato la parafrasi di ‘democratizzazione della cultura’. Proprio da questo cambio di registro sono nate delle esperienze a loro modo unico di reinterpretare il vinile, ma in alcuni è anche tornata la consapevolezza del valore complessivo di un’opera d’arte. Perchè la musica è anche fatta di grandi copertine e confezioni apribili, artwork innovativi che cambiano il modo di guardare e ascoltare. I vecchi 33 giri son tornati in produzione e in vendita, spesso corredati da un coupon per il download gratuito degli mp3 o addirittura dal cd in omaggio. Allo stesso modo si è rinvigorito il mercato dei 7”, che hanno permesso a nuovi gruppi di tornare a realizzare i loro singoli non solo come espedienti per raggiungere i network radiofonici ma anche come oggetti da collezione. Il mutamento in atto non ha ancora trovato un percorso univoco da percorrere, ma ha comunque creato il necessario caos da cui far scaturire quella rivoluzione culturale necessaria. (M.C.)


SCRIVERE IL SUONO: TRUCCHI DI REGISTRAZIONE . NELL ERA PRE-DIGITALE a cura di Raffaele Stellacci Eduard-Leon Scott de Martinville era un tipografo francese di fine Ottocento, con un’idea fissa: scrivere il suono. Nel 1857 inventa il fonoautografo, e voilà, ecco a voi la prima registrazione: un frammento cantato di Au clair de la lune, che a 150 anni dalla sua incisione ci incanta ancora. Una piccola lamina di stagno con incise le onde sonore di una voce: a pensarci sembra roba da fantascienza. Vent’anni dopo, Thomas Edison brevetta il fonografo: nel giro di pochi anni, quelli che erano soltanto degli esperimenti di laboratorio, mirati perlopiù a «sostituire carta e penna», daranno il via ad un fenomeno non solo commerciale, ma anche sociale e culturale: la produzione discografica. Tutto cominciò quando Emile Berliner, inventore tedesco, ebbe l’illuminante quanto proficua idea di “incidere” il suono non più su cilindri di cera, ma su dischi. Già nel 1893 Berliner venderà 2500 dischi e 1000 grammofoni per riprodurli. Da quel momento il disco diventerà un fenomeno di massa. E il successo maggiore lo avranno proprio i dischi musicali, i nonni di quei famosi LP che tanto faranno la fortuna della musica degli anni ’60 e ’70, fino a diventare, anche grazie al sempre più curato artwork delle copertine, veri e propri concentrati d’arte in quattro lati. Ma la parte più difficile rimaneva registrare.

Perché se oggi siamo abituati ai software, che ci permettono di elaborare con un paio di click le nostre registrazioni in maniera facile e rapida, prima le cose si facevano “a mano”. Il lavoro in studio da parte di artisti e tecnici divenne quindi via via sempre più accurato ed importante, parte integrante (a volte addirittura dominante) del processo creativo. Oggi tutto quello che ci serve per fare una registrazione accettabile è un computer più o meno prestante, una scheda audio che ci permetta di catturare il suono e un software che ci consenta di modificarlo. Spazio necessario: circa un metro quadro. Trent’anni fa, ovvero prima dell’avvento del digitale e dell’informatizzazione nel mondo dell’audio, probabilmente non sarebbe bastato un appartamento. Servivano stanze per contenere le ingombranti quanto costosissime strumentazioni, stanze per le registrazioni, e stanze che, grazie alle loro caratteristiche fisiche, erano sfruttate per riprodurre particolari effetti sonori: ad esempio la camera dell’eco, utilizzata appunto per ricreare fenomeni di riverberazione del suono. Tra le più famose quella degli Abbey Road Studios a Londra; lì furono registrati i passi nel pezzo On the run contenuto in The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd, facendo correre un assistente di studio su e giù per la camera. Un risultato che oggi si potrebbe ottenere facilmente

01. Immagine di Emma Capruzzi

TIMELINE 1857 1877 1887 1898 DEI Edouard-Leon Scott Thomas Edison Emile Berliner inventa Valdemar de Martinville crea brevetta il “fonografo” il “grammofono” e Poulsen inventa SUPPORTI ilcompie “fonoautografo” e e registra la voce incide il suono su il telegraphone, la prima vera umana su un cilindro dischi di ebanite. strumento che FONO- eaudio propria registrazione di stagno. registra su una bobina su di una lamina di filo metallico GRAFICI di stagno.


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NOVEMBRE/MUSICA

con un simulatore digitale di riverbero; ma evidentemente una differenza c’è, se Tony Visconti, il produttore che curò la registrazione di Heroes di David Bowie, pur avendo a disposizione alla fine degli anni ’70 dei simulatori di riverbero, preferì registrare la voce di Bowie nel salone dei concerti dell’Hansa Studio di Berlino. Piazzando tre microfoni a distanze diverse dalla voce, Visconti riuscì a captare il riverbero naturale che si creava nella stanza man mano che Bowie aumentava il volume della voce. Un’operazione sicuramente più complicata rispetto a quella di girare un paio di manopole, ma anche, diciamoci la verità, molto più divertente. Come divertente doveva essere il momento del missaggio dei pezzi, che, data la tecnologia non ancora sviluppata, non prevedeva delle automazioni, ma l’impiego di tutto lo staff, della band intera ed eventualmente anche di qualche amico, relegato a spostare fisicamente i cursori del mixer per, ad esempio, alzare il volume della traccia di chitarra in un determinato momento del pezzo (accuratamente segnato punto per punto su chilometri di fogli di carta). Lavori certosini che richiedevano una concentrazione e una precisione estrema, come quella che occorreva per creare loop sonori: oggi basta una loop station, ma per creare cose come l’ossessivo “number 9” e tutti i loops contenuti in Revolution #9 dei Beatles si dovevano fisicamente

01. Immagine di Emma Capruzzi tagliare e incollare i delicatissimi nastri delle bobine. Tutte operazioni queste che oggi sbrigheremmo in pochissimo tempo e con un dispendio economico molto più ridotto. Così come ridotto oggi è il supporto audio. Sfruttando le teorie della psicoacustica, l’mp3 ormai è il formato audio più piccolo e più utilizzato per consumare musica, una pillola che va giù in un sol colpo e che viene metabolizzata molto più velocemente. E noi siamo ormai abituati a vederci comprimere tutto, dai video, alle immagini, ai mobili Ikea, pur di ottenere la maggior qualità possibile nel minimo dello spazio. Ma se da un lato il nostro spirito avanguardista, tutto sommato, ci fa ben accogliere queste micro soluzioni, d’altra parte quella certa (passatemi il termine) “artigianalità” della musica un po’ ci manca, e un po’ ci fa rimpiangere quella specie di futuro anteriore in cui bisognava, di tanto in tanto, sostituire la puntina del giradischi.

1900

1925

1928

1934

Vengono commercializzati i dischi a 78 giri

Chester W. Rice and Edward W. Kellogg inventano l’altoparlante

Georg Neumann inventa il microfono a condensatore

La BASF produce il primo nastro magnetico, che ha il grosso vantaggio di essere scritto e cancellato più volte


AUDIOFILIA, . DAL VINILE ALL’ AUDIO DIGITALE (CON ALCUNI COMPROMESSI) Audiofilia, dal vinile all’audio digitale (con alcuni compromessi) L’evoluzione tecnologica viaggia pari passo con quella sociale. E va a braccetto con l’intrattenimento. Di sicuro, la musica è uno dei campi che maggiormente trae vantaggio dai piccoli progressi. Inizialmente, l’idea di incidere microsolchi su un disco ha dato vita alla prima forma di distribuzione musicale (il sempreverde vinile). I supporti fonografici hanno poi assunto varie forme: la scoperta del “nastro magnetico” ha portato al grande successo della musicassetta (immessa sul mercato dalla Philips). E, con il Compact Disc, termina l’era dei supporti analogici (ahimè..) per lasciare spazio ai più versatili sistemi digitali: arriva l’era degli MP3, e di tutti quei formati audio “figli della compressione” (a scapito, spesso, della qualità

originale). Vediamo quindi nascere anche sistemi surround per cinema (Dolby Digitale DTS, basati sempre su canali compressi) e nuovi formati, che in minor spazio cercano di riprodurre la qualità analogica dell’originale. Un discorso a parte per un formato che, purtroppo, si è poco diffuso negli anni: il MiniDisc di Sony. Basato su un supporto ottico riscrivibile (molto simile al cd, ma di dimensioni ridotte), utilizzava un sistema di compressione proprietario che permetteva di registrare fino a 5 ore di musica! Al di fuori degli UK, dove è andato molto di moda per alcuni anni, non è stato così apprezzato nel resto del mondo. Daniele Raspanti

NASTRI D.ORO IL RITORNO DELLE CASSETTE Restano di culto sebbene un po’ arretrati, persi in progetti estemporanei che vanno interpretati come forme d’arte virale piuttosto che veri esempi sonori. Si tratta delle etichette discografiche che continuano a stampare tracce su musicassetta, spesso per attecchire a livello mediatico ma anche per richiamare ricordi di un recente passato. Tra gli esperimenti di questo genere (che hanno avuto validi esempi anche in Italia) è certamente da annotare la britannica Tapeworm, label che stampa nastri in edizioni limitate da 250 pezzi. Si definiscono appartenenti alla cultura underground ed hanno anche chiuso un accordo con la Touch affinchè lo shop dell’importante etichetta di musica sperimentale ne venda alcune copie. Primo capitolo uscito in estate è stato un 4 tracce di Philip Jeck, eccellente manipolatore di suoni legato ad un’elettronica connessa con gli

strumenti acustici; a questo è seguita la lettura fatta di “Le Xerox et l’Infini”, testo di Jean Baudrillard’s originariamente pubblicato nel 1987. Ultime cassette pubblicate sono quelle di Simon Fisher Turner, Stephen O’Malley, Derek Jarman e The Van Patterson Quartet, lavori spiazzanti che si rivolgono ad un pubblico di cultori e curiosi. Sembra, dunque, che la scomparsa dai territori commerciali abbia donato una nuova vita – ed un nuovo utilizzo – ad un supporto che è stato fondamentale nella nascita dell’hip-hop ed alla mutazione della tecnica del cut-up sonoro. Sono lontani i momenti in cui dj Shadow creava i suoi primi tappeti ritmici sincopati, adesso l’ascolto è riservato agli acquirenti più avventurosi. tapeworm.org.uk e touchshop.org Michele Casella

1946

1946

1948

1949

Appaiono i primi Picture Disc realizzati dalla Vogue Records

Alexander M. Poniatoff fonda la AMPEX e produce i primi registratori per nastro magnetico.

Viene introdotto il disco in vinile a 33 giri detto anche LP.

Appare il disco in vinile a 45 giri che renderà famosi i jukebox


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NOVEMBRE/MUSICA

ART-WORK, UN LAVORO PER ARTISTI Prendi l’arte e mettila… in copertina. Perché prima dell’avvento di Internet, del file sharing, ma anche dei cd e dei mixtape confezionati dagli amici, la copertina era l’unica cosa che poteva farti decidere se comprare un disco oppure no. Per questo dalla fine degli anni Sessanta, che sono stati l’inizio dell’epoca d’oro della produzione musicale, le case discografiche si sono ingegnate per produrre anche artwork divertenti, accattivanti, d’impatto, che rendano in immagini i contenuti dell’abum. Una su tutte la copertina di Sgt, Pepper’s dei Beatles, la più imitata e parodizzata di tutti i tempi, in cui, tra l’altro vengono per la prima volta inseriti i testi delle canzoni. Realizzata da Jann Haworth e da Peter Blake, artisti della scena Pop inglese, riunisce insieme i personaggi simbolo dei membri della band, da Eistein a Wilde, da Fred Astaire a Karl Marx. All’interno, un cartoncino con mostrine e baffi da ritagliare, per calare perfettamente l’ascoltatore nel mondo fantastico di cui l’album è la raffigurazione sonora.

effetti assolutamente sorprendenti: penso in particolare a Wish You Were Here, vero e proprio concept fotografico sul tema della presenzaassenza. A partire dal packaging esterno, rivestito una pellicola nera con applicato un adesivo con il disegno di una stretta tra due mani meccaniche, che non fu affatto gradito alle case di produzione. Tuttavia la celebre immagine di copertina, quella della stretta di mano tra due uomini in abito scuro di cui uno sta andando a fuoco, fu realizzata senza post-produzione, con l’aiuto di due stuntmen professionisti e completi sartoriali in tessuto ignifugo.

Altre copertine storiche sono quelle prodotte dall’agenzia Hipgnosis di Storm Thorgerson per i Pink Floyd. Copertine che partivano tutte da un approfondito studio dell’album e delle sue tematiche, e da un intenso ed accurato lavoro in sinergia con la band. Gli artisti di Hipgnosis sono stati tra i primi ad introdurre la fotomanipolazione nell’artwork dei vinili, con

E arriviamo ai giorni nostri. Nel 2007 esce In Rainbows dei Radiohead. È il primo caso in cui una band di rilevanza mondiale si autoproduce completamente un disco e lo mette poi in vendita solo in formato digitale, lasciando stabilire all’acquirente il giusto prezzo da pagare. Due mesi dopo esce un cofanetto in edizione limitata, sempre prodotto e venduto direttamente dalla band: comprende l’album ufficiale, un secondo cd con otto brani inediti, due vinili e un libretto artwork aggiuntivo. Le immagini sono di Stanley Donwood, l’artista che cura le copertine dei Radiohead fin dai tempi di The Bends, che per l’occasione sperimenta la fotoincisione, ritornando quindi a tecniche di epoca pre-digitale. Un progetto, quello di In Rainbows, che esprime nella sua totalità il

1963

1966

1980

1980

La Philips immette sul mercato la musicassetta

Nasce lo Stereo 8, formato utilizzato soprattutto per la riproduzione musicale in auto

La RCA italiana promuove il Q Disc, grande quanto un LP ma contenente solo 4 canzoni

Sony e Philips creano il CD (Compact Disc)


BLACK IS THE NEW GREEN distacco dall’industria delle majors e dall’abuso di tecnologie, temi portanti del recente impegno sociale e politico del gruppo. Si ritorna così al punto: che senso ha comprare un vinile oggi? La risposta è: nessuno. Perché il vinile ha ormai perso la sua caratteristica di veicolo, di mezzo. È diventato un oggetto d’arte in sé. E come tutti gli oggetti d’arte, è bello senza una ragione, ed è fatto per chi lo sa apprezzare. di Simona Ardito

di Roberta Fiorito Se la collezione discografica dei vostri genitori non si confà affatto ai vostri gusti musicali e nonostante i continui revival che attraversano la nostra epoca sapete che il singolo di qualche sconosciuto artista anni ‘60 non lo ascolterete mai e poi mai. Se non siete troppo feticisti nei confronti dei vecchi dischi e non vi spaventa l’idea che una hit ultra trash anni ’80 venga sezionata modellata e trasformata. Allora accoglierete i riferimenti qui sotto non come un oltraggio alla scralità del Disco ma come un originale manifestazione della cultura del riclo. 01 VINYL CLOCK sarebbe anche piuttosto facile da realizzare ma se vi sentite troppo pigri potete acquistarlo su www.the-gratefulthread.com 02 PENMAN portapenne realizzato da un gruppo di designer olandesi che ha fatto del riciclo l’unica sua legge. www.bomdesign.nl 03 MUSIC BOWL svuotatasche o centrotavola ottenuto da un disco poi ridecorato 04 TAVOLINO DA CAFFÈ una bella pila di 33 giri messi insieme e incapsulati in fogli di plexiglass. Nessuna violenza inflitta al disco ma sicuramente difficili da recuperare. 05 VINYLUX Per un aperitivo a tema vi offre dei colorati sotto bicchieri e molto altro www.vinylux.net 07- 08 – 09 TRESIJAS Non potevano mancare gli accessori, anelli e pettinini creati dall’azienda americana www.etsy.com

1987

1992

1995

2004

La Sony introduce il DAT (Digital Audio Tape)

La Sony lancia il Minidisc inserendo una tecnologia che evitava i salti durante la riproduzione (Antiskip)

L’MP3, l’algoritmo di compressione audio ideato dall Fraunhofer Institute, rivoluziona il mondo della musica

Nasce il DualDisc (da un lato CD, dall’altro DVD)


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NOVEMBRE/ARTE

POLAROID MON AMOUR Foto e testo a cura di Roberta Fiorito

Il tempo scorre, la tecnologia procede a ritmi serratissimi e noi figli del 2.0 siamo lì come spettatori, fruitori e creativi a spassarcela. Nel giro di pochi anni cambia tutto, ciò che ci sembra assolutamente innovativo diviene ben presto desueto. Eppure io sono convinta che il frenetico procedere della tecnologia porti con sè il suo esatto opposto, cioè: il recupero dell’analogico. Si potrebbe definire, in maniera forse un po’ forzata, come il recupero della memoria. Una memoria che nel momento in cui viene richiamata recuperata o riciclata, manipolata, rivisitata diventa qualcosa di nuovo, diventa il futuro. Si affollano i mercatini dell’usato in cerca delle storiche consolle della Commodore o dei primi giochi elettronici che, plasmati, diventano materia prima per nuove sperimentazioni musicali, visive e artistiche (il circuit bending ne è un esempio lampante). In tutto questo rovistare nelle memorie c’è anche lei: la Polaroid. Più romantica del digitale, inconfondibile il suono del suo scatto, immancabile con la sua cornicetta bianca negli album di famiglia, veloce e rapida come la generazione che stava immortalando, più di un semplice mezzo per produrre immagini, negli anni è diventata simbolo di un concetto di fotografia: l’istantanea. La Polaroid ha una storia molto avventurosa. Se infatti negli ultimi tempi vi è venuta voglia di recuperare dai meandri di qualche baule abbandonato in soffitta la magica scatolina e ne avete cercato in giro le pellicole,

vi sarete imbattuti sicuramente nelle risposte più diverse, ma che, molto probabilmente, potranno riassumersi in due scuole di pensiero fondamentali: c’è il tipo nostalgico, messo a dura prova dal dilagare del digitale, colui che ricorderà i tempi andati con fare stanco e sfiduciato, a cui avrete, con la vostra richiesta, regalato sicuramente qualche minuto di gioia. Poi ci sono gli ottimisti, questi altri con un sorriso beffardo e uno sguardo quasi snob vi ridurranno a eterni romantici dalle sfumature un po’ retrò, ricordandovi che i tempi son cambiati. E che è tempo di aggiornarsi. Insomma, in qualsiasi caso il risultato è lo stesso: impossibile trovar le pellicole. Nel 2008, infatti, l’azienda, schiacciata dalla concorrenza del digitale, annuncia che la storica macchina non sarebbe più stata prodotta, chiude le fabbriche e tutto sembra far presagire il peggio. Come a volte accade, però, i miti non son facili da buttar giù. Nasce, infatti, nello stesso anno un’idea: the Impossible Project (già il nome la dice lunga) www.the-impossible-project.com. Loro sono in dodici fra ingegneri, chimici, tecnici e vecchi operai, la location è proprio una delle storiche ex-fabbriche al confine fra Germania e Olanda che viene acquistata con tutti i macchinari necessari. Lo scopo? Rimettere in commercio una pellicola tutta nuova, per composizione, ma perfetta per le Polaroid d’epoca. La “ricetta” per la sua produzione, infatti, è stata sempre la


stessa dal giorno della sua nascita, circa 40 anni fa, e molti dei componenti usati oramai sono introvabili, o troppo costosi, e così la corsa contro il tempo si è concentra proprio sullo studiare e trovare nuovi reagenti, soluzioni, mascherini per dar nuova vita alla nostra amata! Voci di corridoio parlano già di una prima produzione di pellicole in bianco e nero proprio agli inizi del 2010. C’è solo da aspettare. Nel frattempo su internet si moltiplicano forum e blog di giovani e vecchi appassionati, assolutamente da segnalare è il progetto POLANOID (www.polanoid.net), un nome che evoca qualcosa che ha a che fare con la paranoia proprio perché, per chi la ama, la fotografia istantanea è un’ossessione. Obiettivo del progetto è dar vita ad un gigantesco archivio da implementare o semplicemente da sfogliare. Per chi proprio sente di non poterne fare a meno ed è animato da spirito militante c’è una sorta di movimento di diffusione della Polaroid, si chiama Save Polaroid (www.savepolaroid.com). Le parole d’ordine sono: impara, condividi, passa all’azione. Oltre ad un accurato excursus sulla storia del mezzo, e vari contest a cui partecipare, è disponibile un Action Pack, pacchetto di cartoline già compilate da spedire alla Polaroid, alla Fuji e alla Ilford, con la richiesta di salvare le pellicole e lo sviluppo istantaneo, uno stencil per una comunicazione virale nelle città a suon di “Stand up! Take action! Let the world know that we are here, our money is green, and we need instant film!”. Per chi poi dell’istantaneaammira i colori, il formato, diciamo così: il lato estetico e vuole divertirsi con le proprie immagini conservate nel pc, è assolutamente imperdibile un semplicissimo programma scaricabile gratuitamente, POLADROID (www.poladroid. net disponibile anche per I-phone) con il quale in pochi minuti potrete poladroidizzare qualsiasi immagine, ma la cosa più bella è che l’upload dell’immagine è accompagnato dall’inconfondibile clic, ma soprattutto vedrete la polaroid nascere proprio sotto i vostri occhi, a questo punto manca solo di poterla sventolare per velocizzarne lo sviluppo. Ultima curiosità: un documenatrio in realizazione Time Zero. The last year of Polaroid film un atto di amore prodotto dal fotografo Grant Hamilton su cui non si riescono a recuperare molte notizie se non dare uno sguardo al trailer.

CLASSICI REINVENTATI: LA FOTOGRAFIA RISCOPRE IL FASCINO DEL VINTAGE a cura di Daniele Raspanti Siamo abituati a macchine fotografiche sempre più grandi, e la corsa al megapixel è uno specchietto per le allodole a cui il mercato, purtroppo, si sta adeguando. Eppure, ci sono marche storiche che puntano alla completezza e alla qualità come hanno sempre fatto. E, guarda caso, diventano anche oggetto di culto e stile, per quanto il mercato di massa non sia il loro obiettivo (e nel caso di fotografia, è quasi un colmo). Dopo il primo flop, Polaroid, che voleva riproporre in chiave moderna il grande successo della sua macchina più venduta con il “giocattolo” Pogo, ascolta gli ancora fortunati possessori dello storico simbolo degli anni 70 tornando a produrre, dal 2010, le carte istantanee per fotografie. Olympus scava nei suoi scatoloni e, tra vecchie glorie e alcuni flop, riporta alla luce un’icona del suo tempo: la PEN. Rinata come l’incrocio di una reflex nel corpo di una compatta, la PEN E-P1 vuole essere il punto di incontro tra amatori e professionisti. Con la possibilità di cambiare obiettivi e l’utilizzo del nuovo sistema “mini quattro-terzi”, la PEN ha tutte le carte in regola per riuscire a riportare la fotografia alle grandi masse. Unico ostacolo: il prezzo, forse un po’ eccessivo. Leica, dal canto suo, non lesina in qualità e propone le sue M8 e M9, “pronipoti” di quella che fu la storica M6, fotocamera ormai da collezionisti ma che non ha nulla da invidiare alle proposte più tecnologiche. Il corpo rimane simile, stessa impugnatura, ma sul dorso ora compare uno schermo da 3”. Lenti, ovviamente, della stessa Leica.


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NOVEMBRE/ARTE

1H. ART di Roberta Fiorito

HAI MAI . PENSATO A UN’ ORA DI ARTE CONTEMPORANEA GRATIS A CASA TUA? Questo l’incipit di un interessante progetto di arte contemporanea, ideato da Viviana Checchi e curato assieme ad Anna Santomauro; un’idea che ha visto la partnership di Sabot Gallery (Cluj-Napoca) e Stanica (Zilina) e soprattutto di neon>campobase, galleria bolognese che con i suoi trent’anni di attività è oramai divenuta “un’istituzione” per la ricerca artistica contemporanea. Come un vero e proprio servizio a domicilio, puoi prenotare un’ora di arte contemporanea direttamente a casa. Scegliendo fra numerosi artisti, curatori, galleristi puoi vivere e condividere performance, video arte, installazioni, workshop e molto altro. È semplice: selezioni nazionalità e città, scegli fra gli artisti e curatori disponibili nella tua zona e il gioco è fatto!

01. Gli artisti che partecipano al progetto sono molti, distribuiti dall’Italia al Belgio, dalla Germania alla Romania agli Stati Uniti e le loro proposte sono assolutamente variegate. C’è ad esempio Marco Bernacchia, che con il suo Probably Group propone un concerto del gruppo con diversi strumenti creati ad hoc per la performance; oppure Enrico Bressan che, seguendo un suo criterio a volte casuale a volte dettato da logiche che nulla hanno a che fare con l’ordine estetico e funzionale, sarà pronto a mettere a soqquadro il vostro appartamento, invitando i partecipanti a riflettere sulle conseguenze dei cambiamenti nella vita quotidiana e le connessioni fra ordine domestico, abitudini e spazio vitale; c’è poi lo Stupidity removal service di Giuditta Nelli, uno strumento di resistenza creativa, un incontro - laboratorio in cui trasformare tracce di stupidità in segni di creatività. E ancora gli interventi di wallpainting o la proposta/provocazione di Anteo Radovan: guardarsi per un’ ora in silenzio. Insomma il menù è assolutamente ricco e tutto da scoprire su www.1hart.net.


01. Flower Salad 02. Vaccinium Aspramente 03.Hart Lite

02. Intervista a Viviana Checchi e Anna Santomauro Com’è nato il progetto 1 h art? E quali sono gli obiettivi che vi prefiggete con questo lavoro? L’idea di 1hart nasce da una profonda riflessione sui problemi di fruizione dell’arte contemporanea, e non solo. Vari studi, a ridosso tra l’arte, l’economia e le neuroscienze, hanno cercato di scoprire e stabilire quali sono i parametri attraverso cui rivolgiamo la nostra attenzione verso una cosa. Si è riscontrato, così, lo scarso senso di appartenenza avvertito dal pubblico generico nei confronti di certi ambiti. La nostra è così diventata una sfida ma allo stesso tempo un progetto di promozione per avvicinare il pubblico all’arte, abbattendo una serie di ostacoli. E perché no? Proprio all’arte contemporanea, di solito interpretata come ostica ed insensata. Riteniamo che l’arte contemporanea, soprattutto quella dei nostri giorni, sia un’arte relazionale, un’arte comunicativa e per questo molto più vicina al nostro pubblico. Come sono stati assoldati gli artisti e qual è stato il criterio di selezione? L’adesione degli artisti al progetto 1 h art è arrivata in seguito a una open call, diffusa tramite il nostro sito e attraverso canali ormai consolidati quali mail, social network e siti internet dedicati

03. all’arte contemporanea. Le richieste sono state moltissime, anche grazie a un consistente uso del passaparola tra gli stessi partecipanti, ma non tutte sono state accolte. Abbiamo cercato di privilegiare proposte in grado, a nostro avviso, di creare un contatto intimo e diretto, comunicativo e critico con il fruitore. Qual è stata l’accoglienza del vostro progetto fuori dalle “mura domestiche” in occasione di STEP09 a Milano e a Praga per TINA B a cui avete partecipato nel mese di ottobre? Milano e Praga sono state due importanti momenti di diffusione e promozione del progetto. Gli addetti ai lavori, pur occupandosi di arte con un approccio diametralmente opposto rispetto al nostro, hanno dimostrato un grande interesse nei confronti di 1 h art. Ora aspettiamo soltanto di entrare davvero nelle mura domestiche: stiamo per farlo a Bologna, Udine, Venezia e Napoli. Lungo tutto il 2010 le ore di arte popoleranno le vite di tanti fruitori, immagino saranno fermate, filmate e fotografate, avete intenzione di far convogliare il tutto in una mostra o un documentario? Le tracce di ogni incontro entreranno a far parte dell’archivio di 1 h art e confluiranno nell’autunno del 2010 in una mostra documentativa presso lo spazio bolognese di Neon>campobase.


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NOVEMBRE/ARTE

01.

di Paola Merìco

LAND ART PER UN ALTRO SUD EARTH CINEMA DI ANISH KAPOOR, RB RIDE DI CARLSTEN HOÖLLER,TEATRO VEGETALE DI GIUSEPPE PENONE: INSTALLAZIONI PERMANENTI NEL VERSANTE LUCANO DEL POLLINO.


Links www.artepollino.it www.arteallarte.org www.artesella.it www.sensicontemporanei.it www.pabaac.beniculturali.it www.dps.mef.gov.it www.labiennale.org www.aptbasilicata.it www.basilicatanet.it ww.parcopollino.it

02. La brutta notizia è che il Teatro Vegetale dell’artista piemontese Giuseppe Penone esiste solo sulla carta. I lavori sono fermi al tracciato lungo la riva del torrente Sarmento, nei pressi di Noepoli, a causa di un sequestro del luglio scorso, pare per verifiche di impatto ambientale. La vicenda ha suscitato polemiche. I finanziamenti in gioco non sono di poco conto e l’idea era di offrire una rappresentazione teatrale del paesaggio, con un’architettura di elementi vegetali. Arte versus Natura? Sarà approfondito altrove e da altri. Sino alla definizione della contesa tra tutori della natura, promotori del progetto e istituzioni locali, l’opera è solo nell’occhio di chi guarda. Si giochi di fantasia con il disegno esposto in loco, visualizzando sulla triste spianata spicchi di alberi e pietre intorno ad uno specchio d’acqua, a comporre il circolare anfiteatro che vi era destinato.

La buona notizia è che la ferita dell’angloindiano Anish Kapoor ad oggi non ha ferito nessuno. Earth Cinema, nel silenzio delle terme di Latronico, manda in onda uno spettacolo muto e odoroso. Il taglio, lungo 45 metri, gonfio sui bordi incoronati da alloro, apre un corridoio di insidiosa pendenza, verso uno schermo sulle viscere e la psiche dell’avara terra lucana. Esternamente l’innesto è perfetto. La presenza della mano umana potrebbe sfuggire all’occhio distratto dal sovrastante Monte Alpi, se non fosse per l’inconsueta regolarità dei virgulticorona. Perplessità sull’interno cementifero e sulla fruizione dell’opera; se a cinema è vietato fumare, che ci fa quel mozzicone dentro lo schermo ?

La notizia straordinaria è che alle porte di San Severino Lucano è atterrata l’enorme giostra colorata del tedesco Carlsten Höller. RB Ride esporta la malinconia del luna park dalla periferia di una provincia del nord all’austera Timpa della Guardia, luogo più noto agli appassionati del trekking che agli amanti dell’arte contemporanea. Appena fuori dall’abitato, salendo uno sterrato e cercandola a testa in su, non senza rischio d’inciampo, appare all’improvviso, come una visione marziana. L’effetto decontestualizzante ed estraniante, suggestivo quanto il paesaggio, si immagina amplificato dal movimento lentissimo delle dodici navicelle biposto. Salvo vertigini, e previo contatto con l’addetto al macchinario.

I tre interventi avviano il progetto ArtePollino un altro Sud, promosso da Sensi Contemporanei, con partners istituzionali, oltre alla Fondazione La Biennale di Venezia, e con l’apporto di un comitato scientifico che annovera, tra gli altri, Mario Cristiani di Arte Continua, associazione toscana esperta nel coniugare arte e territorio, e Vincente Todolì Direttore della Tate Modern di Londra. In loco l’impegno della neocostituita associazione ArtePollino. A latere il progetto “comunità locali” e Arte in Transito, con workshop, laboratori, seminari, azioni e installazioni in spazi pubblici.

01. RB RIde 02. Heart Cinema L’obiettivo dichiarato è rendere lo spirito dei luoghi, suggellando l’alleanza tra arte e natura con un museo a cielo aperto, che attiri l’attenzione del mondo sul territorio lucano. All’uopo gioverebbero più informazione, una migliore segnaletica e l’organizzazione di percorsi strutturati. Nel frattempo, e prima che la natura operi la sua sfrontata azione eversiva, Pool suggerisce di librarsi nel moto perpetuo con RB Ride, sospesi sulla neve prossima ventura, magari cullando l’udito via I Pod con qualcosa come A river don’t stop to breathe.


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NOVEMBRE/ARTE

01.

DADA E SURREALISMO A CONFRONTO di Simona Merra

02.

La riscoperta “affollata” di Arturo Schwarz

Il percorso

Dal 9 ottobre 2009 al 7 febbraio 2010 Roma ospita al Complesso del Vittoriano un evento di eccezionale importanza per l’Italia, ovvero la riscoperta di Dada e Surrealismo. In effetti l’unica mostra del XXI secolo dedicata al movimento Dada si è tenuta nel 2005 al Centre Pompidou di Parigi, limitandosi solo a presentare i protagonisti più noti.

Dopo la sala dedicata al video di presentazione dove è lo stesso curatore a introdurre la mostra, la prima parte dell’esposizione viene dedicata ai precursori della poetica surrealista tra cui Marc Chagall, Giorgio de Chirico, Vasilij Kandinsky, Paul Klee, Alberto Martini, Max Klinger, Edvard Munch e, tra tanti altri, il simbolista Gustave Moreau (Venere che emerge dalle acque,1866), il quale svolse una notevole funzione ispiratrice per l’arte surrealista; segue poi un ampio spazio dedicato ai protagonisti del movimento Dada, Duchamp e Man Ray in prima linea con una sala pensata appositamente per loro e tutti gli altri artisti Dada della scena europea: Suzanne Duchamp (sorella di Marcel), Kurt Schwitters, Marcel Janco, Francis Picabia, Hans Richter, solo per citarne alcuni. Per la scelta degli artisti surrealisti poi, vengono presi in considerazione quelli che parteciparono almeno ad una delle principali mostre collettive surrealiste dirette da Breton e Duchamp, sei delle quali scandiscono gli ultimi settori della mostra fino al secondo piano. Queste manifestazioni rivelano l’importante contributo di questi artisti all’estetica surrealista, ma anche la molteplicità dei loro stili e delle loro tecniche, smentendo così l’opinione comune secondo la quale la pittura surrealista equivale a una pittura in stile Dalí. “Affollamento” credo sia l’aggettivo giusto per

Proprio per questo, scopo del curatore, storico dell’arte, poeta e filosofo Arturo Schwarz è stato quello di “riscoprire” per l’appunto quegli artisti che solitamente vengono considerati “minori” e di non fondamentale importanza. Oltre 500 le opere esposte, provenienti la maggior parte dalla collezione dell’Israel Museum di Gerusalemme e circa 200 gli artisti: oli, sculture, readymade, assemblage, collage e film dell’epoca (L’âge d’or e Un chien andalou – Luis Buñuel e Salvador Dalí), guidano i visitatori nei due piani dell’edificio. Le opere più famose e più popolari ci sono tutte, da Gioconda con i baffi (L.H.O.O.Q., 1919/1964), Scolabottiglie (1914-64) e Ruota di bicicletta (1913 – 64) di Marcel Duchamp, alle fotografie di Man Ray fino a uno dei quadri più maestosi e affascinanti di René Magritte, Le château des Pyrénées (Il castello dei Pirenei) del 1959.


01. Jindrich Styrsky Madame Mazepa, 1939 Inchiostro e collage su carta, 19 x 21 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme 02. Man Ray Obstruction (Ostruzione), 1920-64 63 attaccapanni, 110 x 120 x 120 cm The Israel Museum, dono di Beatrice (Buddy) Mayer, Chicago, agli American Friends of the Israel Museum, Gerusalemme

03. descrivere la sensazione di caoticità che si percepisce passeggiando per le sale, una scelta volutamente cercata dallo stesso curatore proprio per far rivivere l’esperienza dadaista e surrealista di inizio Novecento, periodo inoltre segnato da un proliferare di nuove tendenze avanguardistiche come il futurismo, il cubismo, il fauvismo. Unici due movimenti dell’avanguardia storica che non si sono limitati a una rivoluzione visiva bensì a una rivoluzione culturale, suggerivano altresì una vera e propria filosofia della vita essendo nate sotto l’influsso non di pittori in senso specifico ma di poeti e letterati come Tristan Tzara per i Dadaisti e André Breton per i Surrealisti influenzato da filosofi come Sigmund Freud e Guillaume Apollinaire. Un elemento che quindi accomuna i due movimenti ma allo stesso tempo li separa per la diversa concezione che li fonda: Dada (1916) trovò la sua libertà nella pratica costante della negazione, il Surrealismo (1924 - anno del primo manifesto) cercò invece un’affermazione positiva di questa libertà per l’essere umano. Negazione e sogno messi a confronto, questa mostra diventa una tappa fondamentale perchè, come gli stessi surrealisti pensavano, le esigenze “estetiche” passano in secondo ordine dal momento che primeggia la volontà di esprimere i propri sogni e desideri, la propria visione del mondo.

04.

03. René Magritte Le Château des Pyrenées (Il castello sui Pirenei), 1959 Olio su tela, 200 x 145 cm The Israel Museum, dono di Harry Torczyner, New York, agli American Friends of the Israel Museum, Gerusalemme 04. Francis Picabia Les centimètres (I centimetri), 1923-25 Olio e collage su tela, 56 x 39 cm The Israel Museum, The Vera and Arturo Schwarz Collection of Dada and Surrealist Art, Gerusalemme


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NOVEMBRE/LIFE

FUTURO PASSATO di Massimo Tinelli

Singolarità - futuro remoto La “singolarità tecnologica” è un momento nel tempo futuro in cui il progresso tecnico accelera oltre la capacità di comprensione umana. Potrebbe consistere quindi nell’arrivo di una intelligenza superiore probabilmente extraterrestre o nella costruzione di una macchina ultraintelligente in grado di progettare a sua volta macchine sempre migliori. Non sappiamo quando e se la singolarità avverrà mai. Alcuni non credono di riuscire ad avanzare così tanto nell’ambito della cibernetica o della nanotecnologia da produrre il supercomputer di cui sopra e pensano che la strada sia semplicemente il “Mind Uploading”. Quest’ultima consisterebbe nel partire dall’acquisizione completa del funzionamento del cervello umano, e dal riuscirne a fare quindi un “upgrade”. Si pensa però che l’effettiva e completa comprensione della mente non sarà possibile prima della suddetta singolarità.

La richiesta tecnologica oggi - futuro presente Siamo ben lontani da questo tipo di eventi, oggi la tecnologia ci consente di comunicare in tempo reale senza attese e con tutto il resto del mondo. Non è più necessario restare a casa in attesa di una chiamata, o cercare sul televideo le notizie dell’ultima ora. Ci infonde sicurezza, perché diamo i cellulari ai nostri bambini, mettiamo una webcam nel salotto e controlliamo i movimenti del conto corrente dal nostro smartphone. Eppure, forse resta poco da chiedere che si riveli veramente necessario e capita di superare questa soglia senza accorgersene. Pensiamo alla videochiamata ed alla tv in onda sullo stesso microscopico schermo dove a malapena leggiamo il nome di chi ci chiama, ai sistemi operativi come Vista “saltati” a piè pari da molti, o preferiti a kernel più snelli come quelli di linux e dei Mac. I pc dell’ipermercato accanto hanno ormai un costo bassissimo ed un’enorme potenza elaborativa se confrontati a quelli di soli dieci o venti anni fa, e ci si ritrova a scrivere qualche riga di testo con un mostro da milioni di MIPS che potrebbe invece elaborare un cartone della Pixar. Succede anche di acquistare un televisore ad alta definizione e di dover vedere le trasmissioni nel vecchio formato PAL, vanificando le grandi aspettative di miglioramento visivo perché non tutte le entità vanno di pari passo. Le aziende si sono rimpinzate di servizi non utilizzati o di sistemi troppo avanzati e complessi da gestire; così, quando fare cassa diventa un


diktat come nel recente periodo di crisi, succede (da un’indagine Ernst&Young su 350 aziende globali), che la metà decida di avviare un piano di razionalizzazione della spesa nell’information technology. Razionalizzare in ambito aziendale si traduce sempre come tagliare tutto quello che non è vitale, ergo c’è dell’IT sovrabbondante. Il nostro atteggiamento - futuro passato La Robotica che probabilmente rappresenterebbe un reale aiuto per l’umanità, è ancora agli albori e nessuno oggigiorno si farebbe fare nemmeno un prelievo da una forma di vita che non fosse a base carbonio (nb Star Trek). Nel campo dei videogiochi ci si inventa nuove interfacce di interazione – vedi Wii, il progetto Natal di Microsoft e la relativa risposta della Sony – ma i “nemici” sempre più dettagliati, realistici e numerosi, possiedono ancora un’intelligenza artificiale poco complessa, così l’unica alternativa è quella di cercarsi on-line l’avversario umano, e lo si preferisce fraggare con il buon vecchio ed efficiente joypad. A quel punto ci vengono meno gli obiettivi primari dell’innovazione ovvero la trasparenza ed il miglioramento della qualità della vita di tutti. Ecco, stiamo vivendo in attesa di qualcosa di davvero nuovo e davvero utile, un po’ annoiati dopo l’euforia e ridimensionati nelle aspettative, pieni di tecnologie ridondanti e ridondate. Il futuro è passato di qui, ci ha superato, e noi in fin dei conti lo stiamo lasciando un po’ andare.

glossario cibernetica: è la scienza che studia i fenomeni di autoregolazione (vedi controlli automatici e controlli adattativi) e comunicazione (vedi Teoria dell’informazione), sia negli organismi naturali quanto nei sistemi artificiali. La cibernetica si pone dunque come un campo di studi nanotecnologia: è un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa del controllo della materia su scala dimensionale inferiore al micrometro (in genere tra 1 e 100 nanometri) e della progettazione e realizzazione di dispositivi in tale scala.

kernel: costituisce il nucleo di un sistema operativo. Si tratta di un software avente il compito di fornire ai processi in esecuzione sull’elaboratore un accesso sicuro e controllato all’hardware. mips: (Acronimo di Million Instructions Per Second, milioni di istruzioni per secondo) è un’unità di misura della velocità di un microprocessore. PAL: (acronimo dell’inglese Phase Alternating Line) è un metodo di codifica del colore utilizzato nella televisione analogica, usato da gran parte del mondo. Il formato europeo è 720 x 576 interlacciata.

fraggare: Frag è un termine utilizzato nei videogiochi, principalmente di tipo sparatutto in prima persona, in modalità deathmatch. Il numero di frag di un giocatore indica quanti avversari ha ucciso durante quella sessione di gioco joypad: è un dispositivo elettronico di input con diversi tasti in grado, grazie a dei collegamenti elettronici con la console o il computer, di far fare dei movimenti al personaggio o cursore nel gioco.


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NOVEMBRE/LIFE

GIACCHE GOFFE E DELIZIOSI CAPPELLINI

L.’ ASCESA DI TAVI, BABY FASHION BLOGGER DI CHICAGO di Mimma Schirosi

La diatriba, di per sé, è complessa. Magazine vs blog è un’antitesi che, da qualche tempo, gonfia le chiacchiere di molti salotti colti, favorendo lo schieramento in due diverse fazioni: da un lato, l’editoria “di carta”, dall’altra parte una pletora di riviste virtuali e di free lance impegnati a lanciare le proprie sentenze da pagine intangibili. C’è poi chi, con sguardo lungimirante, riesce a porsi nel mezzo, cogliendo le possibilità offerte da entrambi i mass media. Questo accade in ogni settore dell’informazione, livellando, ormai in forma definitiva, le differenze tra un’icona di carta ed una blogstar. Concentrandoci su qualcosa di interessante ma non apparentemente necessario, come la moda e sottolineandone la falsa trascurabilità, in virtù della sua imprescindibile importanza nel delineare la storia del costume, cogliamo delle tendenze possibili soltanto per mezzo di piattaforme virtuali. Il cool hunting, strumento di marketing esploso all’inizio del XXI secolo, è basato sull’osservazione delle tendenze e dei modelli culturali in evoluzione nei media, nella moda, o, più semplicemente, nella vita comune. L’approccio utilizzato è di tipo sociologico, e la metodologia è quella della “Cult research”, all’interno dell’universo giovanile, fermato nei suoi più significativi frammenti attraverso immagini fotografiche, e/o video. La finalità è di anticipare e creare delle tendenze, selezionando,


scegliendo, ricostruendo ex novo mode e modi. Applicando il tutto al fashion system, non stupisce il proliferare dei “cool hunter” che, da privati cultori, possono divenire dei consulenti di moda con pingue portafoglio. Migliaia di giovani fashion addicted occupano il tempo destinato allo shopping immaginando, creando, ritagliando e componendo il collage del proprio gusto, sguinzagliato sulle pagine del democratico blog. Ciò che può restare, nella peggiore delle ipotesi, è una vetrina virtuale, che nulla costa e nulla toglie. Ma il risvolto della medaglia può essere ben diverso e, talvolta, stupefacente. Tavi Gevinson è una bambina tredicenne (o dobbiamo chiamarla pre-adolescente?) di Chicago. Sua madre è norvegese, e, guardando il suo preciso caschetto biondo, non ci si sorprende. È piccola e magrissima, come quasi tutte le sue coetanee. Di sicuro le piacciono le caramelle ed i dolciumi (almeno il gusto resta salvo), ma Barbie, nel suo immaginario, alla stregua di Marianne Faithfull e Twiggy, è solo una delle innumerevoli icone destinate ad ispirare lo stile del momento. Tavi inizia a curare “Style Rookie”, su Blogspot (http://tavi-thenewgirlintown.blogspot.com), nel marzo 2008, quando ha ancora dodici anni. Sin dal titolo del diario on line, emerge un approccio assolutamente ironico all’affaire moda, interpretata sempre come gioco creativo, dove non vi è nulla di scontato ed in cui lo stilista dispensa suggestioni da rielaborare per poi

andare a pescare nei negozi vintage, negli armadi datati di mamma e sorelle più grandi, negli outlet con giacenze di magazzino. Ma Tavi, se non trova ciò che cerca, non esista ad usare ago e filo, oppure ad assemblare pezzi di stravaganti tessuti per partire dalle linee osservate durante le sfilate di Sonya Rykiel, ad esempio, e tirarne fuori delle nuove. Il passaggio successivo è il servizio fotografico fai da te: gracile ed evanescente, la volitiva bambina indossa le sue stesse creazioni, sfrutta ai massimi livelli le potenzialità dell’autoscatto e posta sul suo spazio le immagini del proprio lavoro. Tavi non è una fashion blogger qualsiasi, e non soltanto per un geniale intuito; la sua non è la storia di una bambina viziata ed educata dalla banalità del quotidiano, ma il percorso costantemente segnato da una curiosità culturale (di cui la moda è punto d’approdo) che, per quanto precoce, fa gioire e sorridere. Oggi Tavi, come potrete leggere dal suo blog, occupa le copertine di importanti riviste, è invitata ad ogni happening modaiolo (da futura globetrotter), continua ad impilare sui suoi scaffali i numeri di Harper’s Bazar, Vogue Italia, Lula, convinta che vi sia del buono tanto nei magazine, quanto nei blog, come dichiara in un suo saggio post, e, senza falsa modestia, ma nemmeno eccessiva spocchia, mette in vendita le t-shirts col suo logo che, senza mistificazione alcuna, resta quello di una trendissima bambina.


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NOVEMBRE/LIFE

001

N

SPIRITO A PEZZI di Paolo Interdonato sparidinchiostro. splinder.com

Il Grande Fratello è arrivato al traguardo della decima edizione e non ha neanche il fiatone. La prima puntata della nuova sessione di prigionia nella casa ha vinto, lo scorso 26 ottobre, la gara dell’auditel. Quasi 8,5 milioni di spettatori hanno dimostrato di preferire il reality show alla vita. Le immagini che meglio raccontano la scorsa edizione del Grande Fratello sono state a lungo tra le più cliccate della rete italica: Cristina Del Basso che alla fine della doccia si strizza, con praticità e senza dolore apparente, tette e reggiseno. Nel caso non lo sapessi, la Del Basso, in questi giorni protagonista di uno degli innumerevoli calendari poco venduti e molto visti su repubblica.it, è la tettona. Caratterizzarla in questo modo non è un atto di disprezzo nei confronti della sua intelligenza. Non può esserlo. La casa è un “Panopticon”, un luogo di reclusione in cui si vede tutto, che non è stato destinato ad accogliere esseri umani verso cui muovere empatia. La casa ospita mostri. La parola mostro, sottolinea lo studioso di punk e tecnologie Antonio Caronia, affonda le proprie radici etimologiche tanto in monstro, “faccio vedere”, quanto in moneo, “metto in guardia”. Il Grande Fratello è uno straordinario freak show i cui partecipanti vengono esibiti in virtù di un loro specifico attributo caratterizzante, capace di intrattenere, commuovere e produrre sollievo come solo la diversità può fare. Una caratteristica dominante che renda il recluso spettacolare

e realityshowizzabile: il cieco, la hostess delle proteste, lo slavo buono, la donna delle tragedie, la vice miss Italia, il gay, la transgender, il cattolicissimo... Custer è un’attrice bellissima. Come Cristina ha tette stupende ma, al contrario della concorrente del Grande Fratello, le mostra con naturalezza e senza morbosità. Le mostra a tutti. Perché, come Cristina, ha venduto la propria vita a un network televisivo che la segue continuamente con telecamere invisibili. Nella sua vita, raccontata da Carlos Trillo e Jordi Bernet in una breve serie a fumetti del 1985, Custer incrocia solo disperazione e degrado morale. L’umanità le è stata negata nel momento stesso in cui ha firmato il contratto con la CBN. Ora le si avvicinano solo comparse e debuttanti in cerca di notorietà istantanea. Anche Caroline Meredith è bellissima. Ha il volto e il corpo di Ursula Andress e deve uccidere Marcello Poletti, interpretato da Mastroianni. Non c’è nulla di personale: è solo un gioco, la “grande caccia”. Di più. È “il” gioco, la forma definitiva di intrattenimento cui affluiscono partecipanti da tutto il mondo in cerca di fama e denaro. È la valvola di sfogo sociale che i governi della terra hanno aperto per controllare le pulsioni alla violenza dell’umanità. Per garantirsi i migliori incassi, Caroline vende la sua Decima vittima (è questo il titolo del film che nel 1965 Elio Petri ha


01. Vignette da Custer di Trillo e Bernet 02. Frame della Decima vittima con Andress e Mastroianni tratto da un racconto di una dozzina d’anni prima di Robert Sheckley). L’uccisione di Marcello dovrà avvenire sul set della nuova pubblicità del Tè Ming, girata in una suggestiva location del Tempio di Venere, di fronte al Colosseo. Sebbene sia difficilissimo definirla, la pornografia nasconde la propria vera natura nell’ossessione per la visibilità assoluta. L’oggetto del desiderio deve essere completamente accessibile alla vista. Nessun particolare della meccanica dei corpi e delle secrezioni deve essere nascosto. Le posizioni innaturali assunte dagli attori mentre lavorano e le eiaculazioni sulla pelle hanno lo scopo, quasi panottico, di far vedere tutto. Ed è questo – e non la mercificazione del privato – l’elemento che accosta maggiormente il Grande Fratello alla pornografia: l’annullamento della distanza dall’oggetto del desiderio. E’ il fatto che la nostra libidine di spettatori venga accesa da un simulacro della vita è, francamente, spaventoso. Decisamente meglio youporn.com.


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NOVEMBRE/LIBRI

. LO ’ PERA STRUGGENTE DI UN FORMIDABILE GENIO di Antonello Daprile

Mai come in questo caso, l’opera di uno scrittore (Dave Eggers, The hearthbreaking work of a staggering genius), è fatta su misura per definirne un altro. Scrivere dell’opera di Wallace è davvero un’impresa titanica. Impossibile è, invece, scrivere di David Foster Wallace. Dell’uomo, dello scrittore fragile dell’ironia e dell’angoscia, del re dell’eccesso, del Joyce postmoderno, dell’uomo che uccise il minimalismo prima di uccidere se stesso. Tantissime sono le etichette che i vari commentatori dell’opera di Wallace gli hanno attribuito in quella ridda frenetica di articoli, coccodrilli, tributi di ogni genere, seguita alla sua morte e definita dal L’Unità, non senza un briciolo di ironia, la “maratona della memoria”. Artista geniale, capace di scrivere di tutto con immancabile acutezza di visione e perizia stilistica, famoso per la sua ritrosia e per sua tendenza quasi fobica all’isolamento, Wallace non amava i rigidi schemi in cui, di volta in volta, la critica cercava di collocare la sua opera, definendosi semplicemente uno scrittore “realista”. Figlio letterario di John Barth, Donald Barthelme, Thomas Pynchon e Don De Lillo (anche questa, ahimè, è un’etichetta), Wallace è il “padre” della Fandango. La casa editrice romana, infatti, è nata grazie alla volontà spasmodica dei suoi fondatori (Edoardo Nesi, Domenico Procacci e Sandro Veronesi) di esportare per la prima volta l’opera

di Wallace fuori dai confini degli States; prima la pubblicazione de La scopa del sistema (1999) e poi il monumentale Infinite Jest, la cui uscita nel dicembre 2000 è stata accompagnata da un reading ininterrotto di 72 ore al Politecnico di Roma. Minimum Fax ha, poi, proseguito l’opera di proselitismo attraverso le pregevoli traduzioni di Christian Raimo e Martina Testa. Con Questa è l’acqua, la Einaudi ha voluto celebrare il genio di Wallace ad un anno esatto dalla sua morte (12 settembre 2008), pubblicando una raccolta di sei testi scritti tra il 1984 ed il 2005, con tanto di prefazione di Don De Lillo. Ne è passato di tempo da quando, poco più che ventenne, Wallace, folgorato dal racconto Balloon di Donald Barthelme – maestro della narrativa americana postmoderna – si tuffava in un flusso narrativo tumultuoso che lo condurrà sino alla foce della sua tormentata esistenza. Sei storie. Sei esperienze emotive. Sei fotogrammi di un universo umano e sensoriale ritratto nell’arco di oltre vent’anni di scrittura. Una scrittura, quella di Wallace, sin dai primordi proiettata verso un’esasperata innovazione stilistica in assoluta controtendenza con la lobby dei Grandi Narcisi Maschi – Updike, Roth e Mailer – e con l’impostazione del romanzo ebraicoamericano a cui fa un pò il verso in Solomon Silverfish, primo racconto della raccolta. Il pianeta Trillafon in relazione alla cosa Brutta, è, in assoluto, il primo testo pubblicato da Wallace.


01. David Foster Wallace 01. La copertina italiana di Questa è l’acqua

La depressione come esperienza emotiva raccontata con la lucida consapevolezza di chi sul quel pianeta c’è stato. In Altra matematica – pubblicato nel 1987 sulla rivista Western Humanities Review -, Wallace si cimenta nel racconto breve, dando voce ai silenzi dei personaggi attraverso un uso particolarmente innovativo della punteggiatura. Nel quarto racconto, Crollo del ‘69 – pubblicato nell’inverno del 1989 su Between C & D – Karrier, il personaggio principale, ha il singolare pregio, ereditato dal padre, di non “azzeccarne una”, che poi, a detta di Mr Diggs, “se andiamo a stringere, va bene come azzeccarci […] Karrier mi dà una dritta su qualcosa, io so per certo che la dritta è sbagliata – Karrier mi dice fondamentalmente a modo suo qual è la cosa azzeccata”. Qui si sente tutta l’influenza del “grottesco”Barthelme. Ordine e fluttuazione a Northampton (1991). La capacità di argomentare anche nel mezzo di una narrazione è sempre stata il suo forte. Tutto può trasformarsi all’improvviso in saggio filosofico. Anche i racconti apparentemente più leggeri sono spesso impreziositi di note e geniali digressioni, senza per questo diventare barocchi. Questo racconto ne è un classico esempio. Il tema dell’amore ricorre per la terza volta (dopo Solomon Silverfish e Altra matematica) all’interno della raccolta. Un proporzione che può tranquillamente essere applicata a tutta la produzione di DFW. Chiude la raccolta, in una sorta di climax narrativo,

Questa è l’acqua, trascrizione del discorso tenuto da Wallace davanti agli studenti al Kenyon College nel maggio del 2005. Si tratta della più bella rappresentazione di quel bisogno empatico che percorre tutta la produzione letteraria di Wallace e che, allo stesso tempo, è l’espressione più autentica della sua sensibilità umana. Il sottotitolo dell’edizione americana è illuminante: This is water - Some Thoughts, Delivered on a Significant Occasion, about Living a Compassionate Life, che poi, in fin dei conti, è la visione del mondo dei personaggi di Wallace, così maledettamente presi da se stessi che hanno perso di vista il mondo. Sono come pesci che nuotano in quell’esasperato «egocentrismo naturale» in cui tutti siamo immersi senza essere in grado di vederlo. A lui il merito di averci fatto vedere il mondo, o almeno una porzione di mondo, in un modo in cui non l’avevamo mai saputo vedere. Come ha fatto in quest’ultimo, commovente, discorso. Un piccolo esercizio filosofico, un invito a vedere l’acqua e a vivere una compassionate life, una vita che può avere senso solo se impariamo a metterci nei panni degli altri. A lui il merito di averci fatto percepire nuovamente il liquido amniotico di una esistenza che, altrimenti, continueremmo a vivere con la sola, arrogante consapevolezza di noi stessi e con l’illusoria convinzione che ognuno può bastare a se stesso. “Mi manca chiunque”, c’è scritto nella quarta di copertina de La scopa del sistema. Una senso di “malinconia panica” che ha pervaso costantemente l’opera di DFW e che, probabilmente, è alla base della sua decisione di restare una volta per tutte su Trillafon. La troppa consapevolezza di un mondo cattivo, egoista e consumista ha fatto sì che David affogasse in quell’acqua che la stragrande maggioranza degli esseri umani ignora. The Pale King - il romanzo a cui Wallace stava lavorando già da anni e che vedrà probabilmente la luce nel 2010 - sarà una vera e propria cartolina dall’altro mondo. L’ultima carezza di un uomo che non ci lascerà mai soli.

Romanzi The Broom of the System (1987) Infinite Jest (1996) Romanzi e Racconti Girl with Curious Hair (1990) Westward the Course of the Empire (1989) Brief Interviews with Hideous Men (1999) Oblivion: Stories (2004) This Is Water (2009) Saggi Signifying Rappers: Rap and Race In the Urban Present (1990) - scritto con Mark Costello A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again (1997) A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again (1997) Up, Simba! (2000) Everything and More: A Compact History of Infinity (2003) Consider the Lobster (2006) Bibliografia italiana Oblio (Einaudi 2004) La ragazza dai capelli strani (Einaudi 1998, minimum fax 2003) La scopa del sistema (Fandango 1999) Tennis, tv, trigonometria, tornado (minimum fax 1999) Infinite Jest (Fandango 2000) Brevi interviste con uomini schifosi (Einaudi 2000) Il rap spiegato ai bianchi (con Mark Costello, minimum fax 2000) Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso (minimum fax 2001) Una cosa divertente che non farò mai più (minimum fax 2001)


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NOVEMBRE/LIBRI

SI ,MUORE UN PO PER POTER VIVERE L.AVVENTO DEGLI IBOOK E IL MERCATO , DELL EDITORIA di Michele Casella

È la più grande rivoluzione nel campo dell’editoria dai tempi di Johann Gutenberg, colui che commercializzò la Bibbia come volume alla portati di tutti. Probabilmente stiamo parlando dell’evento che cambierà radicalmente la fruizione della lettura e l’accesso all’informazione, facendo deflagrare il mercato dell’editoria con una forza inarrestabile. Stiamo parlando dell’avvento degli ebook, i tablet digitali che scardineranno le dinamiche della stampa e determineranno una fondamentale immediatezza nell’accesso alle notizie. Ormai il momento è arrivato e in America i dati relativi alle inserzioni pubblicitaria sono molto chiari: il mercato della carta è in netta crisi, mentre sono gli applicativi per i nuovi smart-phone a farla da padrone. I piccoli palmari multifunzione hanno letteralmente invaso la vita di tutti i giorni, mettendoci a disposizione la vastità della rete con la velocità delle nuove tecnologie, permettendo all’informazione di essere trasmessa (quasi) gratuitamente e in tempo reale. Viene dunque naturale chiedersi perchè spendere 1 euro per un quotidiano quando le stesse testate giornalistiche propongono i medesimi contenuti direttamente sul proprio cellulare, magari con in più la possibilità di spedirsi un determinato articolo direttamente nella propria casella di posta. Ma c’è altro, naturalmente. Il mercato più esposto è quello dei testi scolastici, da sempre additati come motivo di spesa per le famiglie e peso per le spalle dei ragazzi. Il futuro dei banchi di scuola è ormai segnato, tutte le antologie di narrativa della storia

potranno essere contenute in pochi etti di plastica, direttamente consultabili e scaricabili dalla rete. L’aumento in un solo anno del 228% per il mercato degli ebook statunitense è naturalmente coinciso con una corsa alla produzione, dove sono due i prodotti ad aver fatto la differenza: il primo è l’Iphone, dove tutte le maggiori testate giornalistiche del mondo hanno reso disponibili degli applicativi per la lettura online. Il secondo è Kindle, il tablet annunciato come il nuovo status digitale e da pochi giorni in vendita anche in Europa al costo di 187 euro. Pochi spiccioli in confronto all’immensa vastità di testi messi a disposizione dell’utente. Ma non si tratta solo di costi, stiamo parlando anche di qualità e accessibilità. L’esempio di McSweeney è in questo senso esemplare, dato che la rivista letteraria di Dave Eggers può saltare direttamente le difficoltà di distribuzione e arrivate in pochi secondi tra le nostre mani con i suoi autori di eccezionale rilievo. Solo un primo passo per la successiva messa in rete di video e cortometraggi che l’editore vende con la sua rivista su DVD Wholphin. La rivoluzione è dietro l’angolo, dunque, ma per qualcuno è decisamente il presente, dato che Nook (il più grande venditore di libri negli USA) sì è già gettato nell’universo cibernetico dopo decenni di stampa su carta. Anche su questi libri digitali sarà inoltre possibile scarabocchiare e prendere appunti, ma si avrà anche la possibilità di dare in prestito (in maniera del tutto legale) i “volumi” ai


proprio amici. Cosa accadrà, dunque, al mercato della “normale” editoria? Per fortuna è difficile che tramonti definitivamente, la materialità dei fogli comunica più intensamente di quanto si creda. Ma il ridimensionamento e la nuova collocazione in altra fascia di mercato saranno necessari. Sarà poi compito del lettore, riuscire a districarsi nell’oceano di proposte a sua disposizione. Una scommessa alquanto incerta, che ha però un piccolo esempio: quello del mercato discografico. Con la musica il giocattolo non ha finora funzionato e la parcellizzazione della proposta ha privilegiato lo stordimento e la superficialità. Le premesse dell’editoria sono decisamente migliori, tra poco lo scopriremo. (M.C.)

UN TABLET TI , SALVERÀA .… .. IL LAVORO Notebook, netbook, nettop, smartphone. L’evoluzione tecnologica ci ha abituato a prodotti sempre più piccoli, sempre più “full optional”… in altre parole, un ufficio in miniatura, sia in borsa che nel taschino. Ultimo stadio della tipica confusione da scrivania sono sicuramente quei grossi, voluminosi oggetti

fatti di carta. L’editoria, con l’orecchio (e gli occhi) puntati sulle esigenze dei suoi clienti (dall’uomo d’affari allo studente) non rimane a guardare, e strizza l’occhio all’ecologia. Abbandona pian piano la carta, e si porta sotto braccio un nuovo oggetto del desiderio, al secolo il Tablet PC. Amazon, grande colosso dell’ecommerce tra editoria e musica, ha fatto il primo passo (guardando anche al futuro). Presentando Kindle. Uno schermo da 6” che sarà la nostra pagina, bianco e nero per tutti i documenti in perfetto stile stampa, e una tastiera semplificata completano il quadro del primo “libro elettronico” di massa. Mentre Kindle cerca la sua popolarità, un altro grande colosso dell’editoria, tale Barnes & Noble, presenta la propria versione del libro elettronico. Nook è meglio di Kindle, più “aggraziato” e offre anche un touchpad che permette di sfogliare il libro semplicemente sfiorandolo, o posizionarsi su una parte della pagina e lasciare una nota (si può cancellare e il “libro” torna pulito)… cosa si può chiedere di più? Semplice. Che questi oggetti escano dal solo concetto di nicchia e arrivino anche nei mercati di massa. Magari, con qualche bella iniziativa da parte dello stato. Daniele Raspanti


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NOVEMBRE/VISIONI

IL SOGNO ORGANIZZATO....> di Silvio Maselli*

Il cinema è una forma di espressione artistica. Il cinema è una industria. Il cinema è una organizzazione artigianale. Il cinema è il sogno organizzato in forma di film. Il cinema è business. Cos’è il cinema esattamente? A questa domanda non potevano ancora rispondere i fratelli Lumière quando, al tramonto del 1895, mostrarono, per la prima volta, al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines di Parigi, un apparecchio da loro brevettato, chiamato cinématographe. E nemmeno potevano sapere che, sebbene tante e tanti altri prima di loro avessero messo in movimento delle fotografie – creando rudimentali forme di proto cinema con bizzarre lanterne magiche, assurdi kinetoscopi e altre avveniristiche diavolerie – in quella fredda sera parigina nascevano ufficialmente il cinema e la sua industria. Già, industria. Perché il cinema è anzitutto una industria artigianale di prototipi. Una immensa filiera sparsa sull’intero orbe terracqueo in cui partecipano migliaia di maestranze, artigiani e “progettisti” per creare, ogni volta, un prototipo e, solo raramente, alcuni archetipi. Solo, cioè, quando ci si scopre ad aver realizzato un capolavoro, un film che altri vorranno copiare. Ogni film, infatti, anche i remake o i sequel, è diverso da un altro film perché dal precedente

differisce per le modalità produttive adottate, per una sfumatura del copione, per il cast artistico e quello tecnico. In questo assunto e dentro l’ossimoro industria/ artigianato c’è tutta la forza e la sempiterna novità della settima musa, l’arte più popolare del ‘900 e quella che, ancor oggi, coinvolge maggiormente i pubblici di tutto il mondo. Sappiamo come ha funzionato nel secolo scorso questa arte. Dapprima come forma di intrattenimento e stupore delle masse, poi come arte al servizio di regimi dittatoriali, poi ancora come narrazione dei tempi nuovi post bellici e infine stabile divertimento e approfondimento per intere generazioni. Ma se è vero che attraverso il cinema, in piena guerra fredda, gli Stati Uniti sono riusciti a imporre il proprio way of life, ciò è avvenuto anzitutto a costo di una pesante ristrutturazione di natura industriale dei loro studi – largamente imitati in altri paesi, fra cui l’Italia di Cinecittà, l’India di Bollywood, la Nigeria di Nollywood e tantissimi altri – che erano tornati a integrare verticalmente l’intera filiera. Nel 1948 una celebre sentenza della Suprema corte americana, infatti, emessa contro la Paramount, impose a quest’ultima cosiddetta major di privarsi della proprietà delle sale


cinematografiche, atteso che tale asset producesse una stortura nel mercato. Nacque allora la new Hollywood, e si moltiplicarono le società di produzione indipendente, immettendo nel circuito un nuovo sorprendente flusso creativo.

la quota più alta (il 31%) della spesa per gli spettacoli outdoor. Se a tale cifra si aggiungesse anche il fatturato dell’home video, si capirebbe che quello del cinema è il mercato largamente più ricco fra quelli della industria culturale italiana.

La filiera del cinema si compone di produzione, distribuzione, esercizio. Quando una stessa società detiene i tre elementi, si integra verticalmente producendo valore lungo l’intero arco di sfruttamento a scapito di altri soggetti che potrebbero ritenere vantaggioso entrare in quel mercato. È di pochi giorni fa l’annunciata nascita delle sale The space frutto dell’accordo tra Medusa e Warner.

A chi va questa ricchezza? Di certo non ai produttori indipendenti, che hanno solitamente remunerazioni legate alla capacità di risparmiare sulla realizzazione filmica (la cosiddetta producer fee) o anche, più di rado, contratti legati al successo in sala. Nemmeno agli esercenti, i quali, trattengono sul prezzo d’ingresso una percentuale media che al massimo arriva al 52%, pagandovi anche tasse e spese. Chi davvero guadagna, dunque, sono i distributori e – soprattutto – l’agente segreto del cinema italiano: la televisione libera, la free tv. Il grande paradosso, infatti, capace di spiegare l’atteggiamento supino di gran parte del cinema mondiale sul piano dei contenuti e della estetica televisiva, è che le televisioni comprano cinema (e sempre di meno) per riempire i palinsesti di contenuti.

In Italia il mercato del cinema produce l’immagine di una brutta clessidra: in basso abbiamo circa 1.150 imprese di esercizio cinematografico che possiedono approssimativamente 4.000 schermi; in alto circa 350 società di produzione degne di questo nome; nel mezzo una strozzatura composta da solo una cinquantina di società di distribuzione, capaci cioè di fare uscire un film in almeno 12 città cosiddette “capozona”. Per capirsi, occorre dare i numeri: ogni anno in Italia si staccano circa 115 milioni di biglietti di cinema, per una spesa complessiva pari grosso modo a 670 milioni di euro che rappresenta

Scendendo sul campo minato della realtà quel che occorre capire è che la quota di prodotto italiano in uscita ogni anno nelle sale è pari al 30%, quello americano 60%. Il ranking dei distributori dice: Universal 20%, Medusa 16,6%, 01 – Rai cinema 11,1%, Warner 10%. Chi


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NOVEMBRE/VISIONI

dei lettori sa a chi appartiene Medusa? E chi controlla la Rai? All’occidente europeo, nipponico ed americano è rimasto il solo gusto di disegnare oggetti che altri realizzeranno. Per questo è decisiva la centralità, nei nostri sistemi economici, dell’industria culturale: quella imponente serie di attività che recupera e spreme ricchezza dalle idee, e identità dai contenuti. È un insieme articolato quello che dà vita all’industria della cultura: cinema, spettacolo dal vivo, musica, teatro, circo, danza, mostre ed esposizioni, conservazione e promozione di opere sono l’insieme di attività che dà vita a forme di sfruttamento del genio artistico ad opera di sistemi organizzati di imprese che, anni or sono, hanno ideato i primi supporti per distribuire, in posti diversi da quelli della loro esecuzione, l’opera d’arte altrui. A ben vedere, infatti, i supporti (disco, museo, pellicola…) rappresentano la chiave per capire la differenza che c’è tra il cinema e le altre forme di intrattenimento. Il cinema è una industria che reca in sé l’aggregato tecnologico, trasformando ogni film in un “bene esperienza”. Ecco, questo è il nodo: il cinema non esiste senza supporto, la musica ed ogni altra forma di espressione, invece, si. La riproducibilità dell’opera d’arte è l’atto di inizio del suo sfruttamento (si legga Benjamin). Sfruttare un’opera significa, di solito, dar da mangiare ad un artista. L’industria culturale, dunque, affranca gli artisti dai capricci dei mecenati e dalla rapacità dei pirati. Anni fa, dinanzi all’incedere violento delle nuove tecnologie applicate al web, molti analisti predissero, insieme a quella della musica riprodotta, anche la morte del cinema. Come detto prima, il cinema essendo bene esperienza, ha nelle sale la sua forza. Infatti il cinema resiste e rilancia, con le tecnologie del 3D, reinventando il proprio ruolo, innovando (sotto la spinta poderosa dei costruttori di lettori e di supporti)

le sue sotto filiere: l’home video oggi in crisi, si ristruttura con l’avvento del nuovo standard blu ray, capace di contenere ancora più dati e di garantirne l’interattività. Penso, dunque, che il cinema in quanto tale non morirà presto: si riciclerà, si trasformerà e si adatterà. Nel 2035 magari non esisteranno più sale da 300 posti, ma piccole sale comodissime come salotti e schermi da iniettare in vena. Il desiderio dell’uomo di creare immagini, suoni, visioni, infatti, sarà sempre vivo. Nel 2035 di sicuro Berlusconi non ci sarà più o sarà talmente anziano da essere inservibile. Il cinema potremo vederlo su mille diverse piattaforme. I canali televisivi saranno diventati migliaia e la pubblicità sarà invasiva come un microrganismo. Ma tutto ciò lo chiameremo, finalmente, pluralismo. (S.M.) * Direttore dell’Apulia Film Cimmission


IRRUZIONE PUBBLICA di Francesca Limongelli

Succede che un Teatro Stabile d’Innovazione, con oltre vent’anni di esperienza alle spalle, decida di affidare integralmente i propri spazi a chi ha poco più di vent’anni e che gli spazi se li sta cercando, a volte inventando, certamente conquistando. Lo stabile è il Teatro Kismet OperA di Bari, i conquistatori di spazi sono le compagnie Fibre Parallele e Reggimento Carri e i collettivi di artisti visivi Radice Quadrata e Nodo. A loro il compito di ideare, creare e dirigere il festival “Irruzione Pubblica”, una tre giorni che si terrà nell’Opificio di strada San Giorgio martire dal 27 al 29 novembre, con l’obiettivo di indagare il panorama abitato dai giovani creativi pugliesi e non solo. Compito del Kismet sarà quello di ospitare e supportare fra logistica e comunicazione il tutto. Se il programma completo si definirà attorno alla metà del mese, per quel che riguarda il teatro, Fibre Parallele e Reggimento Carri hanno lanciato la loro “chiamata alle arti” tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, con un bando diffuso sui loro siti Internet, su quello del Kismet e fra i contatti accumulati nel tempo. L’invito è alle compagnie del territorio perché propongano i loro lavori. L’humus è di chi sa che “il luogo non esiste, perché il luogo siamo noi” e di chi vuol capire “se riusciamo a spiegarci meglio guardando insieme ad altri che aria tira, ascoltando e sentendo che si dice qui, da noi, ora, in questo momento”. Seppur non del tutto definita, la tre giorni di “Irruzione pubblica” prevede pomeriggi laboratoriali dedicati alla scrittura critica

condotti da Graziano Graziani (giornalista di “Carta” e giovane direttore artistico del Rialto Sant’Ambrogio di Roma), incontri “A tu per tu” con gli artisti visivi invitati da Radice Quadrata e Nodo rivolti soprattutto agli studenti dell’Accademia di Belle Arti. E ancora le installazioni di Francesco Bertelè su Pino Pascali, di Matteo Guidi sul tema “pensiero meridiano”, quella di Emanuela Ascari dedicata alla Colonna infame e di Liquid cat sul cibo. Ogni giornata di festival comincerà alle 15,30 con i laboratori e gli incontri e si concluderà con dj e vj set. Nel mezzo gli spettacoli delle compagnie selezionate dal bando, il nuovo lavoro di Vincenzo Schino per Officina Valdoca “Limite” e gli spettacoli degli stessi “direttori artistici” della sezione teatro. In scena quindi Fibre Parallele con “Due” di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo, racconto pulp di un tradimento subito e vendicato e Roberto Corradino con il suo “Conferenza / Nudo e in semplice anarchia” tratto dal “Riccardo II” di Shakespeare. Inoltre il pomeriggio di domenica 29 novembre sarà dedicato a un momento di confronto fra gli artisti visivi e i giovani teatranti, una sorta di arte versus teatro, che sia di sintesi e scambio, fuori da spot troppo istituzionali. Info su www.teatrokismet.org www.www.reggimentocarri.org www.radicequadrata.org


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NOVEMBRE/VISIONI

di Vincenzo Pietrogiovanni

La Regione Puglia ha recentemente affidato alla Fondazione Apulia Film Commission la realizzazione di un circuito di sale cinematografiche di qualità. Incontriamo il direttore artistico designato dall’Apulia Film Commission per questo ambizioso ed innovativo progetto, Angelo Ceglie: un operatore del settore ma, innanzitutto, un amante del cinema, cosa che sicuramente conoscono bene tutti coloro che da anni lo seguono con passione in quella avventura sulle visioni indipendenti che è Filmmaker. Ci può spiegare brevemente l’idea della Regione Puglia e dell’Apulia Film Commission a cui lei sta collaborando? L’iniziativa è rivolta principalmente verso il pubblico, soprattutto quello costituito da giovani e studenti. Si intende costituire all’interno del territorio regionale una rete di sale cinematografiche che siano dei veri e propri fari, delle guide. Una frase che amo ripetere spesso è che il pubblico non fa il pubblico di mestiere ma nella vita fa altro. Ora, a livello regionale c’è una fortissima frammentazione del prodotto cinematografico di qualità, tale da rendere quasi impossibile per lo spettatore l’identificazione con un luogo, con una sala ben determinata. A volte la programmazione di uno stesso cinema accosta film d’autore a film più commerciali, per evidenti

ragioni economiche, e questo crea un certo spiazzamento. Noi aiuteremo le sale che decideranno di partecipare a questo progetto a mantenere una programmazione continuativa di film di qualità attraverso un incentivo economico, così come previsto dal bando. Chi può partecipare a questo Circuito? Possono presentare la richiesta di adesione al Circuito i titolari, i proprietari o i gestori di sale cinematografiche. Non si guarda solo alla piccola sala, alla sala d’essai o al cine-teatro. Possono fare richiesta anche le multisale che non abbiano però più di quattro schermi. Quali sono i pilastri di questa azione? Questa azione ha come pilastri centrali la programmazione e la promozione. Il problema maggiore dei piccoli esercizi è che non riescono a reggere la concorrenza delle grandi multisale. Chi rientrerà nel Circuito usufruirà dell’attività dell’Apulia Film Commission la quale si occuperà in via esclusiva dell’intera attività di programmazione cinematografica serale per un minimo di 220 giorni di calendario per ciascuna sala. Inoltre sarà sempre l’Apulia Film Commission ad occuparsi della promozione di tutte le attività, attraverso campagne di comunicazione e sensibilizzazione sia a livello locale che nazionale.


CIRCOLI VIRTUOSI

. TORNANO I CINEMA D ESSAI Su quanti schermi dovrebbe contare questo Circuito? Secondo le nostre previsioni il Circuito comprenderà 15 o 20 schermi, diffusi in maniera equilibrata su tutto il territorio regionale. Vorremmo che ci fossero sale in ognuna delle sei province pugliesi. Ma queste sono solo le nostre previsioni, dovremo attendere l’esito delle procedure previste dal bando, che comunque si chiuderanno al massimo entro un paio di mesi. Nel bando si fa cenno anche all’ABC, lo storico cinema d’essai di Bari chiuso ormai da anni. Riaprirà presto? Sì, finalmente il cinema ABC riaprirà, forse prima delle festività natalizie. Il cinema continuerà ad essere gestito dall’AGIS ma dal punto di vista artistico la direzione sarà dell’Apulia Film Commission. Abbiamo intenzione di fare dell’ABC la sala pilota del Circuito delle sale cinematografiche di qualità in Puglia. Prevediamo titoli provenienti dai festival più prestigiosi. La massima attenzione sarà rivolta alle nuove cinematografie, in particolare agli autori nord-europei, asiatici e a quella schiera, folta ma sottovalutata, di cineasti indipendenti americani che difficilmente qui trovano un pubblico pronto. All’attività normale, saranno affiancate attività collaterali come ad esempio rassegne o retrospettive su singoli autori. Inoltre, c’è la volontà di aprire anche una sala all’interno del cineporto, probabilmente da metà

gennaio, dotata di tecnologia esclusivamente digitale, dove sarà possibile spingere ancora di più sull’acceleratore verso forme sperimentali ed estreme di cinema. La creazione di un circuito di sale di qualità a livello regionale è un’iniziativa originale, che non conosce uguali nelle altre regioni italiane. Non ci resta che attendere che il progetto parta e che si raggiungano gli obiettivi, sperando che il modello pugliese diventi un modello da esportare, un modello efficace ed efficiente di miglioramento dell’offerta culturale, un modello di cui poter andare orgogliosi.


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NOVEMBRE/VISIONI

. LA ’ FFARE ILVA di Francesca Limongelli

C’è chi ha studiato il caso all’università, ne ha fatto una tesi di laurea e poi l’ha reso spettacolo a teatro. C’è chi ne ha scritto sulle cronache, ha studiato gli atti giudiziari e ha parlato con la gente. C’è poi chi l’ha documentata, fermata, narrata con la macchina da presa. L’ “affaire Ilva” negli ultimi anni e negli ultimi mesi è stato declinato nelle molteplici lingue del teatro, della letteratura e del cinema, andando sempre più a incontrare il favore della società civile. Se a questo movimento ancora non è corrisposta una soluzione tangibile, vero è che all’attore Alessandro Langiu, al giornalista Giuliano Foschini e a cineasti come Alessandro Di Robilant o Edoardo Winspeare (c’era l’Ilva di sfondo ne “Il Miracolo”), va il merito di aver richiamato l’attenzione su un tema per anni rimasto ai margini dell’informazione e dell’attenzione politica. Langiu l’ha fatto e continua a farlo con una serie di spettacoli. Primo in ordine di tempo “Ventimila granelli di sabbia”, in tournèe in tutta Italia da più di cinque anni e il cui testo è stato pubblicato dalla Minimum Fax. Storia di Panz, Nunzio e Mustazz, “Venticinquemila granelli di sabbia” racconta la vita al rione Tamburi di Taranto, il contesto è quello degli anni Sessanta, ma l’aria respirata dai tre protagonisti è la stessa degli anni 2000: loro pensano che da quelle polveri abbiano origine le nuvole, scopriranno che da quelle polveri hanno origine le malattie. A partire da questo lavoro, Langiu non ha mai distolto la sua attenzione

dall’Ilva e da tutti quegli stabilimenti che a suo avviso “andrebbero drasticamente smantellati, eliminati”. Sono nati così altri spettacoli come “Anagrafe Lovecchio” sull’Enichem di Manfredonia, “Otto mesi in residence” sempre sull’Ilva e l’ultimissimo “Angolo somma zero”al cui centro ci sono tre città, Brindisi, Taranto e Manfredonia, tra le più inquinanti d’Europa. Altro registro, ma stesso scenario (l’Ilva) per il libro del giornalista Giuliano Foschini. “Quindici passi”, uscito per Fandango poco più di un mese fa. Se quindici passi sono la distanza fra il rione Tamburi e l’Ilva, quindici passi sono anche la distanza fra la stessa Ilva e il cimitero di San Brunone, il campo santo che “ospita” i tanti operai morti a causa delle inalazioni. Nella forma del reportage giornalistico, con l’ausilio di una documentazione fatta di atti giudiziari e con la collaborazione dell’Arpa (l’Agenzia regionale per l’ambiente), Foschini traccia la storia di un disastro silenzioso attraverso la voce della gente, delle donne che si trovano le scope rosse di quarzite e dei bambini che disegnano cieli neri e rossi. E’ stato presentato alla “Festa del cinema di Roma” e ha come sfondo la Taranto Tamburi il nuovo film del regista Alessandro Di Robilant “Marpiccolo”, interpretato – fra gli altri - da Michele Riondino e Giorgio Colangeli. Qui l’Ilva, i morti di tumore e la disperazione fanno da sfondo – ma non troppo – a una storia di malavita, di degrado, di riscatti tentati, anelati, ma come soffocati dalla stessa aria respirata.


CINEMA RECENSIONI

Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze

Gli abbracci spezzati

Nemico Pubblico

500 Giorni Insieme

di Pedro Almodóvar

di Michael Mann

di Marc Webb

(USA, 2009 col. 99’)

(Spagna, 2009 col. 129’)

(Usa, 2009)

(USA, 2009)

Max è un bambino avvolto nella solitudine di un igloo. Non può sfogare la sua rabbia per l’indifferenza della sua famiglia, non può urlare e distruggere. Allora scappa con indosso la sua tuta da lupo, rifugiandosi in un’isola meravigliosa abitata da strani esseri pelosi e giganteschi. Tratto dal romanzo dal famosissimo (almeno negli USA) romanzo illustrato di Maurice Sendak, il film riesce, in alcuni tratti, a rendere l’immagine delle vibrazioni emotive del giovane Max, soprattutto grazie alla sapiente regia di Spike Jonze. Ma la struttura complessiva, rivista per lungo tempo in postproduzione, lascia in bocca quel retrogusto tipico dell’occasione mancata. Aspettando il director’s cut...

Mateo Blanco, ex regista, ha perso la vista e la donna della sua vita in un incidente stradale dopo il quale decide di tagliare i ponti con il passato. Lascia il cinema e si trasforma definitivamente in Harry Caine, pseudonimo con il quale firma i suoi romanzi. Sceglie di continuare a godere della vita ma non riesce a liberarsi dall’amore per Lena e dai fantasmi del passato che racconta a Judit, la produttrice che si prende cura di lui, e al figlio di lei Diego. Le ferite del passato si curano e si rimarginano attraverso la rievocazione dei ricordi. Elemento non originale, sebbene ben gestito, al pari di personaggi, situazioni e figure. Un passo indietro rispetto al più caldo e riuscito “Volver”.

Nemico Pubblico nasce dal romanzo di Bryan Burrough e dalla meticolosa ricostruzione di migliaia di fotografie, articoli di giornale e documenti inediti degli archivi federali. Michael Mann dirige e co-sceneggia un’opera dall’impagabile eleganza formale, dalla perfezione scrupolosa delle riprese e da un intreccio narrativo e psicologico marcato da un sofisticato realismo. Non resta che cedere alla grandezza di Mann, alla fotografia dipinta da Dante Spinotti e alla splendida colonna sonora. La versione di Diana Krall del classico Bye Bye Blackbird si erge a sfidare la morte. Il capo si abbassa. Il mento tocca il cuore.

Opera prima dello scrittore e video maker statunitense Marc Webb, 500 Giorni Insieme pare frutto di una storia vera vissuta da uno dei due sceneggiatori e narra la deliziosa liason amorosa di Tom (Joseph GordonLevitt), scrittore di biglietti augurali, con Summer (Zooey Deschanel). Il film celebra l’ossessione amorosa nel senso più timidamente romantico del termine, la paura, lo smarrimento e la continua fiducia negli imperfetti equilibri di coppia. Marc Webb si avvale di collaudati espedienti tecnici (lo split screen, lo slow motion, l’accelerazione) e realizza una domestic comedy che sembra strizzare l’occhio al cinema di Robert Stevenson e soprattutto a John Hughes,

Voto: 7/10 Vincenzo Pietrogiovanni

Voto: 5/10 Veronica Satalino

Voto: 9/10 Valeria Giampietro

Voto: 7/10 Valeria Giampietro


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NOVEMBRE/VISIONI

ALTRI CANALI di Vincenzo Pietrogiovanni

MICRO CINEMA

UN PROGETTO DI NETWORK DIGITALE PER SALE CINEMATOGRAFICHE POLIFUNZIONALI

Si sa, il cinema ha i suoi costi, anche per coloro che gestiscono le sale cinematografiche. La “fisicità” del cinema esiste e risiede innanzitutto nella cosiddetta pizza, ovvero il rullo di pellicola non imbobinata che va inserito nel proiettore. Ebbene, il costo delle pizze è divenuto molto alto e negli ultimi tempi un numero enorme di sale cinematografiche, soprattutto quelle piccole, si è trovato in difficoltà economiche tali da non poter sopportare più questo tipo di spesa. Come si fa allora a gestire un cinema senza permettersi la pellicola? I tempi sono cambiati ed i supporti si sono diversificati. Microcinema coglie l’occasione presentata dai nuovi derivati tecnologici per offrire una proposta imprenditoriale alle sale cinematografiche che non riescono più ad affrontare i costi del cinema con il classico sistema analogico. Microcinema è una società nata nel 1997 con il supporto tecnologico del Centro Ricerche e Innovazione Tecnologica della Rai di Torino e offre la realizzazione di un Digital Network, ovvero di una rete di sale cinematografiche che proiettano i film attraverso un sistema satellitare bilaterale. Le sale non devono più affittare la pizza, con tutti i costi che esso comporta, ma è sufficiente

collegarsi al server, attraverso un sistema molto efficiente e sicuro, per accedere al catalogo messo a disposizione da Microcinema. Dal 2008, questo utilizza il sistema Microcinema M-box, ovvero un sistema interoperabile in grado di proiettare tutti i tipi di formato audiovideo. Microcinema propone anche la possibilità di proiettare eventi diversi dai film, per far sì che le sale possano ampliare la loro offerta e diventare centri polifunzionali. Non a caso, infatti, recentemente Rai Trade e Microcinema hanno firmato un accordo per la diffusione nei cinema digitali dell’Opera. Infatti il cartellone del network prevede la proiezione, per esempio, de I Puritani di Bellini in diretta dal Teatro Comunale di Bologna, ovvero della Carmen di Bellini in diretta dalla Scala di Milano. A giugno di quest’anno il network contava più di 50 sale.


EUROPA FILM TREASURES LA SALVAGUARDIA DEI TESORI CINEMATOGRAFICI EUROPEI Il presupposto è semplice e, in linea di principio, anche molto condivisibile: le piccole perle del cinema raro ed introvabile sono un tesoro da recuperare, conservare e mettere a disposizione di tutti. Sul sito del progetto Europa Film Treasures è possibile guardare in streaming – gratuitamente e in ottima qualità – circa un centinaio di film, sia lunghi che cortometraggi. Europa Film Treasures è un progetto che si poggia sullo sforzo dei più autorevoli archivi e delle più importanti cineteche d’Europa. Nel nostro Paese collaborano il Museo Nazionale di Cinema di Torino, la Cineteca di Bologna e la Cineteca del Friuli. In Europa hanno aderito all’iniziativa, solo per citarne alcuni, la leggendaria Cinémathèque Française di Parigi, il British Film Institut di Londra, la GosFilmoFond di Mosca, nonché le cineteche e gli istituti di Praga, Budapest, Helsinki, Stoccolma, Belgrado, Berlino ed altri ancora. L’elenco è lungo ed imponente. I film messi a disposizione non sono che il frutto del lavoro di recupero di soggetti privati e pubblici che lottano contro le insidie cui le pellicole sono sottoposte di continuo, come il tempo, il calore e l’umidità. Le cineteche e gli archivi sono “esploratori del passato”, come vengono definiti dai curatori del progetto, ma oggi il loro prezioso lavoro ha una vetrina prestigiosa. Questa, infatti, è l’intenzione di Europa Film Treasures. Nel catalogo sono presenti titoli che, probabilmente, ai più non diranno nulla ma per i quali una folta schiera di inguaribili cinefili andrebbe letteralmente in brodo di giuggiole. Programme Nadar è un film di Paul Nadar, figlio del celebre fotografo parigino, del 1896. Siamo praticamente agli albori della Settima Arte. Kobelkoff è un filmato anonimo del 1900, della

durata di un minuto e mezzo circa, che mostra tutto quello che è in grado di fare Nicolaï Vasilievitch Kobelkoff, un uomo siberiano nato senza braccia né gambe che raggiunse una notorietà sorprendente. Il film ci racconta di un’Europa di fine Ottocento in cui tutto è in mostra, non solo il sapere scientifico e tecnologico della Grande Esposizione, ma anche uomini storpi, nani, giganti e uomini cane. Pare che questo film abbia ispirato Tod Browning per il suo Freaks. Poi c’è Marvo Movie di Jeff Keen, uno dei simboli del cinema sperimentale inglese degli anni ‘60. E questi sono solo tre titoli, tra l’altro scelti a caso dal catalogo. Insomma, sul sito sono presenti opere di tutte le epoche e di tutti i generi, dalla fantascienza alla commedia, passando per l’erotico, l’horror, il western, l’etnologico e l’animazione. Il sito ha anche una sezione di documentazione, dove è possibile accedere alle informazioni sulla storia del cinema, del restauro, della conservazione e dell’archiviazione cinematografica, nonché ai link dei negozi online delle cineteche partner del progetto. Inoltre, è anche possibile partecipare a due dibattiti in corso: il primo sulla necessità di conservare tutto ed il secondo sulla proiezione digitale dei film in patrimonio. Europa Film Treasures è realizzato da Lobster Films, che da più di vent’anni si occupa di recuperare le pellicole perdute dei film più importanti e di restaurarle, e da Enki Technologies, che si occupa delle soluzioni tecniche per la qualità dello streaming. Inoltre, il progetto ha il supporto del Media Programme dell’Unione Europea, di Orange, società di telecomunicazioni che sovvenziona altri grandi eventi come il Festival di Cannes, e LVT, leader nel sottotitolaggio dei film. V. P.


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CAFFE’, SIGARETTE E TV. THE COOLEST NEW MUSIC DIRECTORS AND ARTISTS BEHIND CONTEMPORARY VIDEO MAKING di Valeria Giampietro

Michel Gondry, Spike Jonze, Bruce Weber, Wong Kar-Wai, David LaChapelle, Floria Sigismondi, Paul Thomas Anderson, Herb Ritts e Tim Burton sono solo alcuni dei colossi di risonanza mondiale che hanno reinventato l’industria del video making. Ma guardiamo al presente (magari anche al futuro). Facciamo il punto. Scegliamo 6 artisti – noti ed emergenti - che hanno diretto video musicali nel corso di quest’anno e valutiamone il talento creativo. Quali sono i nuovi linguaggi. Quali le tecniche di animazione digitale che inducono alla sperimentazione, al rinnovamento. Il conservatorismo genera intorpidimento intellettuale. La tradizione è solo un concetto legato al Mito. Il Mito non esiste.


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MATTHEW LESSNER

NATALIE VAN DEN DUNGEN

Nasce nel luglio del 1983 a Roseburg, Oregon. Attualmente è considerato uno dei più creativi e promettenti filmmaker della scena indipendente degli ultimi tempi. Nel marzo 2005, dopo aver messo su una piccola compagnia di produzione, la Monte Lomax Productions, si autofinanzia il suo primo progetto, “Darling, Darling” (USA, 13 min) con protagonista l’altrettanto giovane promessa – secondo molti, francamente non mi dice nulla - della commedia statunitense, Michael Cera. Darling, Darling si aggiudica il premio della giuria al Northwest Film & Video Festival nel 2005 e il premio del pubblico al Chlotrudis Awards 2006, nel Massachussets. Il 2006 è anche l’anno di “By Modern Measure” (USA, 5 min), suo secondo cortometraggio interamente finanziato dalla vincita del premio The Tom Berman Most Promising Filmaker Award, nel 2006, in occasione dell’Ann Arbor Film Festival. Ora, se non l’avete ancora capito, questo giovane nerd, puntuale e fiducioso, qualcosa da dire ce l’ha. Eccome se ce l’ha. Lessner riflette ed esplora il senso di incertezza di un’intera generazione, contestandolo ma mai politicizzandolo. Ben lontano dal didattismo spicciolo, Lessner diverte e rivela. Finalmente, superando l’estetica romanticamente lo-fi dei suoi primi lavori, nel 2009 Lessner approda al videomaking con l’esemplare “Stillness is the Move “dei Dirty Projectors. Ambientato in una foresta del Vermont, a Mount Equinox, Lessner richiede degli husky siberiani e dei lama rarissimi. Non è tutto, nel più recente “Surprise Hotel”, del collettivo afropop Fool’s Gold, Lessner dirige tre anziani signori che si spruzzano addosso un liquido denso e terreo, giovani donne danzanti e sorridenti, una piscina e una gigantesca lucertola al centro. Powerful.

Videomaker, editor cinematografica e autrice di svariati documentari. Natalie Van Den Dungen, 29 anni, di Melbourne, vince il Golden Gibbo Award del Melbourne International Comedy Festival, nel 2009, intervistando Dan Deacon, imprevedibile e sofisticato guru della scena elettronica indipendente (“Spiderman of the Rings”, 2007; Bromst, 2009). Ebbene, nel 2009 spetta a Natalie la direzione del videoclip di “Paddling Ghost”, dall’ultimo lavoro di Dan Deacon, e il risultato è un coloratissimo ‘sipario musicato’ - della durata di quattro minuti - ricco di citazioni, sense of humor e visionarietà infantile. Il video racconta la rocambolesca avventura di un fantasmino, della sua apparente ricerca e della sconfinata tenacia nel superare ostacoli e barriere di carta in una scenografia composta e teatralizzata da alberi giocattolo, fantocci, tigri e cavallucci di pezza. Il video sfrutta la materia di cui sono fatti i sogni, il gioco spettacolare, l’ibrida mitizzazione di un bambino. Tutto quello che vedete nel video è stato ottenuto riciclando oggetti raccolti intorno alla casa - dove il video è stato girato - sul tetto e per la strada. La gabbietta e altri oggetti sono stati acquistati presso negozi di seconda mano. Don Brooker – DIY design master – ha creato i personaggi-marionetta del Fantasmino, del Pirata e di Dan Deacon (intendiamoci, non un semplice finger puppet, il suo personaggio è alto circa 80 centimetri). L’intero team di burattinai è stato diretto e guidato dal talentuoso Heath McIvor, puppeteer e performer americano per il cinema, il teatro e la televisione. Con “Paddling Ghost” si regredisce all’imponderabile, alla fantasia, all’assurdo. Una meraviglia per gli occhi e per il cuore.

www.montelomax.com

www.natalievandendungen.com


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NOVEMBRE/VISIONI

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PETRA MRKYZ & PATRICK FRANÇOIS MORICEAU DAUGHTERS

Gli Air, elegantissimo duo pop-elettronico francese composto da Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel, da sempre si avvale di preziose collaborazioni per i loro progetti artistici e discografici. In occasione dell’uscita del loro ultimo lavoro, “Love 2”, pubblicato il 5 ottobre, Godin e Dunckel affidano la direzione/animazione del video del loro secondo singolo, “Sing Sang Sung”, agli illustratori francesi Petra Mrkyz & François Moriceau. Il video è interamente girato sfruttando la tecnica del motion graphics, Godin e Dunckel suonano tranquilli in una bollicina nera che viaggia all’interno di un percorso popolato da linee che s’incurvano, foreste di scarpette di donna, funghi che si librano nell’aria dai toni pastello, tortini, ciliegie e oceani di diamanti. L’impatto visivo, che recupera il design grafico dei videogiochi degli anni ‘80, esalta, assorbe e anestetizza. In una parola: Incantevole. Petra Mrkyz & François Moriceau vivono e lavorano a “Châtillon-sur-Indre” e collaborano dal 1998. I loro lavori, illustrazioni realizzate su svariati supporti - cornici, cartaceo in A4, A3 - wall painting e animazioni, sono stati esposti in Spagna (Caixa Forum, Barcellona), Germania (Schnitt Ausstellungsraum, Colonia), Svizzera (Mamco, Ginevra), Stati Uniti (LACMA, Los Angeles). La galleria d’arte contemporanea di Parigi, Air de Paris, quest’anno – fino al 10 gennaio - ha ospitato il loro interessantissimo “You Only Live Twice” (2008), una grottesca e stravagante raccolta di 365 disegni realizzati durante il corso dell’anno che raffigurano le immagini e i temi più strambi della quotidianità. Per poter ammirare tutti i loro lavori - compreso il recentissimo “Ephéméride2ì” (2009) - visitate il sito: www.airdeparis.com/jfp.html

Patrick Daughters è uno dei più influenti registi del Directors Bureau, casa di produzione nata da un’idea di Roman Coppola e Mike Mills nel 1996. Vincitore del gran premio di $20,000 al Nintendo’s Eternal Darkness Film Contest, nel 2002, per il cortometraggio “Unloved”, Patrick Daughters dirige video musicali dal 2003. Nel Marzo 2007 gira il superbo 1234 di Feist e si aggiudica il premio come Miglior Video Internazionale al CADs Music Vision Awards, in Inghilterra. Il regista californiano colleziona nel suo curriculum artistico esperienze e collaborazioni con artisti di fama internazionale tra cui Yeah Yeah Yeahs, Kings of Leon, Death Cab for Cutie, The Futurheads, Muse, Feist, Beck, Albert Hammond Jr, The Shins, Bright Eyes, Mika, Liars, Interpol e molti altri. Nel 2009 dirige, magistralmente, il video di “Wrong”, dei Depeche Mode, e “Two Weeks”, singolo estratto dal recente capolavoro discografico Veckatimest, dei newyorkesi Grizzly Bear. Ed è proprio qui che voglio arrivare, “Two Weeks” è probabilmente il più bel video di quest’anno. Mi correggo, degli ultimi tempi. Si gira in slow-motion, i membri della band restano immobili e siedono all’interno di una chiesa, aspettano. Aspettano e sorridono mostrando i denti bianchi e brillantissimi. I primi piani ricordano il surrealismo fotografico di Loretta Lux, stordito, perfettamente deformato. Poi una strana incandescenza invade la loro guance e si estende progressivamente su tutto il viso. La luce divora ogni singola testa, ogni singola bocca, ogni singola nota bucolica e celestiale. I told you I would stay, ci cantano. Eppure esplodono. Creepy. www.thedirectorsbureau.com


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ERIC WAREHEIM

FERRY GOUW

Videomaker, attore comico, co-autore e co-interprete con Tim Heidecker della strepitosa serie televisiva statunitense Tim and Eric Awesome Show, Great Job!.La serie, che giunge alla sua quinta stagione sulla rete americana Adult Swim, è un concentrato bislacco e politicamente scorretto di sketch che ti fanno letteralmente ammazzare dalle risate. Lo show diviene esemplare palcoscenico di dialoghi nonsense e macchine da presa che s’arrestano sulle espressioni folli, perplesse e alienate dei protagonisti. Gli inarrestabili Tim ed Eric, supportati da attori e celebrità di eccezionale livello artistico – da A.D. Miles a John C. Reilly - sferrano attacchi astuti e brillanti al sistema della televisione ad accesso pubblico, che, si sa, negli Stati Uniti, così come in Corea e in Germania, limita i suoi contenuti ai fini pubblici e governativi. Lo smisurato talento artistico di Eric Wareheim lo porta a collaborare, in ambito musicale, con “The Bird and the Bee”, MGMT, Tommy Sparks e Maroon 5. Nel 2009 dirige Hole To Feed, terzo singolo dei Depeche Mode, estratto da Sounds Of The Universe, dove si annuncia una febbrile sete di sesso che ritroveremo festosamente esibita nel più recente “Pon de Floor”, singolo tratto da Guns “Don’t Kill People… Lazers Do”, dei produttori/dj Diplo e Switch riuniti sotto il nome Major Lazer. Ebbene, se ancora non conoscete Eric Wareheim e non sapete per quali delle due clamorose carriere optare fate una cosa. Prendete una moneta, scommettete su di una delle due facce, lanciatela in aria, afferratela. Ora avete la risposta. Godetevi lo show.

Frontman dei Semifinalists, band prog-pop inglese attiva dal 2005, Ferry Gouw è anzitutto un affermato fumettista illustratore. Le sue visionarie e suggestive creazioni accompagnano il packaging cartoonato di front cover ,flyer e tour poster di artisti come A Place to Bury Strangers, Emmy the Great, Late of The Pier, Mistery Jets e attualmente collabora con l’etichetta discografica di Diplo, la Mad Decent. Ferry Gouw confessa che gran parte delle sue creazioni vengono realizzate intorno alle due del mattino. Una matita, un tavolo luminoso e una tazza di caffè sono i suoi strumenti indispensabili. Ed è proprio in quel momento, poco prima di addormentarsi, che matura l’ispirazione. I dettagli del disegno affiorano, brillano, galleggiano ancora nella sua mente, as in a dream mode, e l’artista li cattura. La fantagrafica pop di Gouw fa di lui un disinvolto e scapestrato fautore di un moderno surrealismo che inevitabilmente trova espressione anche nel videomaking. Nel 2009 l’artista dirige First Love per Emmy The Great e il delirante comic western Hold The Line dei Major Lazer, che si aggiudica la nomination Breakthrough Video agli MTV Video Music Awards 2009. Nota conclusiva: Non tutti sanno che Ferry Gouw ha anche diretto il video Love, estratto da “Attack Decay Sustain Release“ (2007) dei Simian Mobile Disco. La sottoscritta sta ancora sforzandosi di ricordare se questo video sia mai stato trasmesso dalle nostre reti musicali nazionali. Sarà forse per il ruolo affidato ai due protagonisti? Due supereroi dello stesso sesso che si baciano? Ma dai, su. Cosa mai andate a pensare. Certe cose, nel nostro paese, NON ACCADREBBERO MAI. Love is all you need to know and all you need to know is Love.

www.timanderic.com

www.ferrygouw.com


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IDENTIKIT LE VISIONI POSSIBILI INTERVISTA A GIANLUIGI TREVISI, DIRETTORE ARTISTICO DI TIMEZONES di Annarita Cellamare Intervista di Veronica Satalino

Pomeriggio di fine ottobre, freddo pungente e solito tram tram quotidiano. Nonostante gli innumerevoli impegni e i molteplici appuntamenti, Gianluigi Trevisi, direttore artistico della rassegna musicale “Time Zones”, giunta alla 24esima edizione, riesce comunque a ritagliare un piccolo spazio per noi. Sorseggiando una calda tazza di tè verde e mangiando qualche pasticcino, Gianluigi ci spiega che il filo conduttore di questa edizione sarà “Cinema e Musica”, solido rapporto nato da sodalizi fra registi e musicisti. Emblematico è l’esempio della più famosa collaborazione di questo genere, e cioè Leone - Morricone. Quest’ultimo, infatti, si è spesso esibito per Time Zones in passato - come dimenticarselo - e traspare chiaramente l’orgoglio di Trevisi quando ricorda il maestro e i suoi concerti passati qui in Puglia. Disponibile, pacato, estremamente carismatico, Gianluigi è riuscito a materializzare con le sole parole eventi passati della rassegna, semplicemente raccontando, ricordando aneddoti simpatici e buffi su alcuni dei mostri sacri che hanno partecipato a Time Zones nelle scorse edizioni. Ci ha reso chiara l’umanità e l’umiltà di geni indiscutibili come lo stesso Morricone o Glass, suo grande amico, che, fra un sorso di tè e l’altro, ci ha descritto come una persona assolutamente fuori dal comune, un genio al lavoro costante, in continua sperimentazione e in continuo studio dei suoni, ma che conserva

ancora tanta umiltà. L’incredibile forza di questa rassegna ormai ci è chiara: la voglia e la volontà di divulgare la musica d’autore e d’avanguardia, tantissimo duro lavoro e la continua ricerca ovunque di stimoli e novità musicali. Il tutto all’insegna della volontà di sperimentare con tutti i supporti dei quali si avvale la musica e di creare una commistione di generi che tocchi letteratura, cinema, arte visuale e grande musica. (A.C.) Cos’è per lei Time Zones? Time Zones è stato per tanti spettatori un’opportunità di vedere dal vivo quel mondo che rappresenta l’innovazione del linguaggio musicale. Time Zones è arrivato alla sua XXIV edizione. Qual è l’elemento che si ritrova in tutti gli appuntamenti proposti? L’idea è quella di una mappa con tanti punti che, attraverso percorsi innovativi, possono disegnare un panorama. Quest’anno, per esempio, sviluppiamo un tema preciso: le musiche da cinema. Come nasce l’idea di dedicare Time Zones 2009 al rapporto tra musica e cinema? Abbiamo sempre lavorato con musicisti che fanno musica per il cinema. Ennio Morricone è stato uno dei primi che suonò con noi e con il quale abbiamo aperto un orizzonte. Quest’anno abbiamo scelto personaggi che a vario titolo hanno contribuito a modificare il rapporto tra musica e immagini.


concerti le immagini sono la visualizzazione delle frequenze che si muovono in sincrono con la musica. Passaggi fondamentali per arrivare al punto di svolta, il concerto dei Pink Floyd in cui immagini e suoni sono combinati in modo preciso. Oggi immagini e veejay sono fondamentali. Il videoclip è diventato strumento di promozione della musica. Cosa ha guidato la scelta dei compositori? Si è pensato a musicisti che rappresentano un modo diverso di fare colonne sonore. Teardo per esempio – l’italiano che ha vinto il David di Donatello per le musiche de “Il Divo” di Sorrentino – ha combinato musica classica ed elettronica, connubio non scontato in Italia. Di rilievo è anche David Holmes, dj irlandese famoso per le musiche della saga di “Ocean’s Eleven”, che ha creato una house originale inserendo soul, blues e disco. Come si inserisce il capitolo dedicato ai 20 anni dalla caduta del muro di Berlino? Abbiamo chiesto a personaggi che hanno vissuto la caduta del muro di fare una riflessione, a 20 anni di distanza, attraverso immagini e suoni. Sono personaggi singolari che disegnano la Berlino di adesso. Dreyblatt newyorkese che vive a Berlino da 30 anni, artista a 360°, Smith, poliedrico musicista inglese, Gunter, guru del minimalismo digitale subsonico, e Lillevan, videoartista berlinese. Come pensa sia cambiato il connubio tra immagini e musica nel corso del tempo e il modo in cui il video ha preso nuove strade? Time Zones ha disegnato la trasformazione del rapporto musica-immagini. Viene a questa edizione Steven Brown dei Tuxedomoon, i primi, agli inizi degli anni ’80, ad inserire le immagini nei concerti. In seguito i Pansonic hanno portato in scena il suono con le immagini. Nei loro

Il pubblico di Time Zones. Qual è il suo background culturale e come si è evoluto? Come è mutata la richiesta sonora? Time Zones ha un target di riferimento medioalto che si è mantenuto tale. Ad un certo punto, ispirandoci a quello che accadeva sulla scena contemporanea e seguendo la musica elettronica, abbiamo cercato un pubblico nuovo. La richiesta sonora, in generale, è mutata negli anni perché la gente è sempre più legata al mercato. Il pubblico italiano è tra i più massificati, ascolta ciò che conosce senza la curiosità di spaziare. Quanto pensa vada fatto di più in termini di promozione culturale, e musicale soprattutto, nel contesto attuale? In che modo Time Zones agisce in questo senso? Dovremmo allargare gli orizzonti. La strada è portare la musica a scuola. Questo dà un’interpretazione della società e una sensibilità che la letteratura ha difficoltà a proporre in età scolare. Il romanzo lo collochi nella giusta dimensione quando cresci. La musica, connaturata alla natura dell’uomo, ti può catturare perché arriva addosso senza che te ne accorgi. Con Time Zones abbiamo sempre cercato di caratterizzarci con una proposta musicale molto particolare. Riassumo, in una frase che mi ha detto in vernacolo un signore, il valore dei nostri appuntamenti: “Ah tu sei Time Zones? Io non ci vengo però voglio che tu esista”. Per capirci, Time Zones è ritenuto un patrimonio.


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NOVEMBRE/MUSICA

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ROLL OVER CHADBOURNE INTERVISTA A EUGENE CHADBOURNE, , LE ’ CCENTRICO CHITARRISTA DI NEW YORK di Kevin Arnold

Il tuo approccio alla sperimentazione è molto ironico e originale, diverso da quanto si intende normalmente per “ricerca” o “avanguardia”, spesso vissute come qualcosa di estremamente serioso. Da cosa deriva questa tua attitudine? Le mie principali influenze musicali erano artisti che non si prendevano troppo sul serio e soprattutto che sapevano come intrattenere. Ma con questo non voglio dire che non prendessero sul serio il loro lavoro o che non si dedicassero ad esso, ma semplicemente sapevano viverlo con leggerezza… La tua discografia è davvero sterminata, ma ancora oggi la tua voglia di sperimentare e di collaborare non si è spenta: quale è il segreto della tua longeva e inesauribile creatività? Beh, non c’è nessun segreto, molte persone sono come me. Certo, c’è sempre una fine per la creatività di una persona. Alcuni banali fattori come il vivere in salute e l’ottimismo possono allungare la vita così come la propria creatività. So che sei stato invitato innumerevoli volte nelle università americane e non solo per tenere lezioni sulla musica d’avanguardia: qual è il tuo rapporto con il mondo accademico? Tengo lezioni ogni volta che posso, ma non essendo laureato non è poi così semplice. Mio padre era un professore e quindi mi sento a mio agio con il mondo accademico, ma spesso sono loro a non sentirsi a loro agio con me.

Il jazz, un genere a cui sei molto legato, è spesso accusato di un’eccessiva autorefenzialità, presunzione e seriosità. Come vivi questo modo di essere? In ogni ambito c’è gente che pensa di saper tutto e pretende che tutto sia perfetto, e non perché vede un qualche principio di bellezza in tutto questo, ma solo perché crede così di impressionare gli altri. E questo è in effetti il problema di gran parte dei jazzisti. Hai collaborato con praticamente tutti i musicisti di musica sperimentale e rock “deviato”, quali sono state le esperienze più riuscite? La mia collaborazione preferita è stata con Jimmy Carl Black, il Jack and Jim Show, e sarebbe stato molto bello renderla permanente se non fosse che lui ha mandato tutto a puttane morendo lo scorso anno!! Da alcuni anni hai una tua etichetta, la House of Chadula, con cui autoproduci i nuovi lavori: in un mondo in cui il mercato musicale classico è ormai crollato, vedi le autoproduzioni e le DIY label come una soluzione possibile? Quel che dici è proprio vero: con la tecnologia attuale l’unica strada è l’autoproduzione. Le major facevano bene quando lasciavano all’artista una certa libertà, ma ormai c’è troppo controllo. Stronzate come le ricerche di mercato alla fine hanno creato una completa perdita di contatto con i veri desideri musicali della gente. Come è nata la canzone “Roll Over Berlosconi”? All’inizio del tour italiano di febbraio 2009 stavo mangiando in un club lamentandomi del fatto di non aver scritto nessuna canzone sulla politica italiana per quel tour. In quel momento il dj del locale mise un pezzo di Chuck Berry e così pensai: “Potrei scrivere una nuova canzone sull’Italia in stile Chuck Berry”. Pochi minuti dopo, l’idea di intitolarla “Roll Over Berlosconi”, invece di “Roll Over Beethoven”, mi arrivò come una pizza appena sfornata. Scrissi il primo set di parole e suonai la canzone quella notte stessa, e il pubblico gradì molto.


01. 02. Eugene Chadbourne 01. La copertina dell’album “Roll Over Berlosconi” 01. Elisa Caivano e Davide Rufini in un’immagine di Nicola Murri

INTERBANG

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INTERBANG IL FASCINO DEL VINILE Davide Rufini ed Elisa Caivano sono i titolari della Interbang, l’etichetta discografica barese che sta per dare alle stampa il nuovo disco di Eugene Chadbourne. Li incontriamo per una chiacchierata sulla loro label, che nace dalla scelta di stampare esclusivamente dischi in vinile.

delude, proprio questo impegno nel comprare e poi maneggiare un LP ci costringe a riascoltarlo, a mantenere un confronto, così da raggiungere una conoscenza più profonda, fino ad imparare ad apprezzare cose nuove, nuovi mondi, nuovi orizzonti, nuovi suoni.

Qual è stata la spinta principale che vi ha portato a lanciarvi in questo progetto? La nascita dell’etichetta è stata una naturale evoluzione per l’attività dell’associazione Wabi Sabi Sound, che si è spostata dall’ambito localistico alla rete globale del circuito della musica indipendente. Abbiamo iniziato promuovendo concerti a Bari e siamo poi entrati in un circuito sotterraneo internazionale di persone desiderose di musica “genuina” (ossia indipendente). Il passo successivo è stato quello di aiutare questi musicisti nei loro tour in Italia. Ora, inevitabilmente, siamo giunti ad una terza importante fase di crescita: la produzione discografica.

Quali saranno le prime uscite dell’etichetta? Dopo l’esordio con Chadbourne abbiamo in preparazione il nuovo splendido album di Aidan Smith e un progetto realizzato da alcuni musicisti italiani insieme a membri di calexico, giant sand, friend of dean martinez, marc ribot e james chance, in occasione del festival romagnolo Strade Blu.

La musica sta vivendo un periodo rivoluzionario, forse involutivo: quali ruolo immaginate per una label che pubblica solo vinile? Sebbene appaia una scelta illogica e controproducente nell’epoca del downloading, è bene considerare che il nostro piccolo mondo si muove ancora secondo un principio raro nella società di massa: la passione. L’appassionato desidera possedere ciò che ama in qualcosa di concreto, toccabile con le mani e visibile con gli occhi, una necessità ben soddisfatta dal vinile. Il cd, supporto riproducibile e dalla copertina piccola, sminuì questo rapporto tra possessore e contenuto (è senza “aura” direbbe Benjamin). Il formato digitale, infine, ha invertito questo rapporto: la musica scaricata gratuitamente non è più amata, ma posseduta come uno schiavo, non la desideriamo, semplicemente pretendiamo che sia lì pronta, disponibile, senza alcun impegno da parte nostra. Non solo: anche quanto la musica ci

C’è la possibilità che pubblichiate artisti italiani e magari pugliesi? Che caratteristiche dovrebbero avere? Sebbene nutriamo forti pregiudizi nei confronti dei musicisti italiani, spesso presuntuosi e mediocri, questi non ci vietano di entrare in contatto con quei personaggi che riteniamo siano riusciti a trovare una formula personale, qualitativamente alta, onesta, e non banalmente imitativa, di fare musica. Ad esempio siamo grandi estimatori dei Bread Pitt, un gruppo pugliese tra l’altro. Da dove viene il nome “Interbang”? Era il titolo di una misconosciuta serie televisiva low-budget trasmessa negli anni ‘80 su Odeon Tv e mai più ritrasmessa in Italia. Lo spirito di avventura, le svariate ambientazioni, la genuina ironia di fondo, l’atmosfera casalinga della produzione che però non sminuiva la qualità del progetto, ma anzi la esaltava, e non meno l’assoluta irreperibilità della serie stessa, fanno di Interbang la migliore rappresentazione del nostro modo di intendere la musica: avventurosa, misteriosa, genuina, semplice, ironica, ingegnosa, rara, preziosa.

EUGENE CHADBOURNE Roll Over Berlosconi (Interbang) Punto di convergenza fra migliaia di stimoli musicali dell’America meno allineata, Eugene Chadbourne firma uno dei suoi capolavori intrecciando lo spirito del r’n’r con l’attrazione verso le radici del bluegrass. Album vario e a tratti rutilante, questa nuova prova su lunga distanza è lavoro di sintesi formale ed allo stesso tempo di sperimentazione acustica, ineccepibile sia nell’esecuzione che nel concept sonoro. Le capacità di Chadbourne al banjo sono a dir poco strepitose, così come le atmosfere intime dei brani più riflessivi, che trasportano l’ascoltatore in un esaltante flusso musicale. Su tutto svetta “Roll Over Berlosconi”, trascinante cover del classico di Chuck Berry che incrocia ironia e ritmo irresistibile, ma è l’incredibile capacità di ripensare il folk dello scorso secolo a rendere questo vinile un’opera impedibile per qualunque audiofilo.


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NOVEMBRE/MUSICA

NOTTURNO ITALIANO INTERVISTA A VALENTINA CIDDA, FRONTGIRL DEI KIDDYCAR KIDDYCAR Sunlit Silence (Rai Trade) Sospeso e incantato, a volta oscuro e malinconico, il nuovo album dei Kiddycar è sicuramente una delle più interessanti uscite che il mercato italiano ci abbia riservato in questo 2009. Capaci di affascinare sia con la battuta lenta che nelle eccellenti accelerazioni, i tre musicisti realizzano un ottimo lavoro di commistione elettroacustica, richiamando alla mente band come Lali Puna, Devics, Elysian Fields e Blonde Redhead. Il loro carattere mediterraneo viene comunque fuori nella naturalezza pop delle melodie, ma è l’intero “Sunlit Silence” a rivelarsi una splendida sorpresa per la scena europea. Voto 8/10

Sunlit Silence è un disco particolarmente evocativo, da quali riferimenti culturali nasce? Con questo disco abbiamo provato ad aprirci a delle sonorità dietro cui si celano mille sfumature variopinte, incrociando un rock particolarmente intenso con sonorità anche elettroniche, ma soprattutto restando in quella che è la vibrazione profonda del folk. Sono anche riconoscibili molti riferimenti alla musica rinascimentale e barocca, perchè per essere realmente calati nel contemporaneo non possiamo non essere legati anche al passato. Amo andare indietro nel tempo, è una cosa per me inevitabile avere come punti di riferimento personaggi del calibro di Piero della Francesca o Duchamp... Solo possedendo una forte consapevolezza si può comprendere il valore dell’opera d’arte ed essere critici verso quel che accade nel contemporaneo. La copertina dell’album è visionaria come le ultime produzioni di Lynch, che rapporto avete con il cinema e l’immagine? In effetti con i Kiddycar ci sentiamo vicini al surrealismo angoscioso e teso di David Lynch, ma anche all’incubo roteante di Donnie Darko. La copertina, però, è stata realizzata da un altro grande artista contemporaneo: Gottfried Helnwein. Abbiamo visto l’immagine prima di registrare il disco ed essa ci ha parlato nel profondo, ci ha catturato e l’abbiamo sentita vicina alla nostra idea musicale. Ci ha comunicato di un’infanzia capace di volare e di sprofondare

nell’abisso, così siamo risaliti a chi aveva creato quell’opera e gli abbiamo scritto. In quel momento non sapevamo molto del disco, ma volevamo che fosse rappresentato da quell’immagine. Sunlit Silence unisce eleganza pop e ricercatezza alternative, sono questi i vostri parametri formali? Non siamo degli snob e ci piace molto creare armonia fra ricerca, sperimentazione e azzardo, provando a collegare la musica in modo armonico col sentire comune. Questo è uno dei nostri tratti fondamentali per scavare nelle radici della nostra terra provando a cercare un linguaggio comprensibile a livello internazionale, in modo da veicolare la tradizione profonda della musica che facciamo: la melodia, l’attenzione estrema per le composizioni e per il pathos. In effetti potremmo ricordare i Lali Puna, ma il nostro suono è molto più mediterraneo. Molto italiano. Nell’album usi più lingue e più registri vocali, da cosa deriva questa scelta? Uso la lingua come uno strumento musicale, perciò quando mi trovo a scrivere e ad arrangiare un pezzo riesco a sentire quel che mi sembra giusto cantare. La scelta di un suono più dolce o più aspro avviene quindi in maniera assolutamente istintiva, stesso discorso per l’uso del francese o dell’inglese. Questa idea di mescolare due lingue rappresenta un modo di combinare due metà di me.


IL GUSTO CLASSICO DEL FOLK IN OCCASIONE DELL.’ USCITA DEL SUO ULTIMO ALBUM PARLA LANGHORN SLIM Pensi che questo album possa essere definito “classico”? Non avrei nessun problema ad affermare che si tratta di un album di aspetto classico, ma credo davvero che sia qualcosa che spetti a pubblico decidere. Mi sembra che i nuovi brani siano più melodici che in passato, sei d’accordo? Ho scritto molte delle canzoni di questo album usando il piano, quindi questa impressione è forse attribuibile al cambio nella melodia. Gospel e folk, queste sono le maggiori influenze nella tua musica, ma a tuo parere qual è la ragione del tuo successo in Europa, un posto così distante dalla tradizione musicale statunitense? Prendo molte delle mie influenze dalla musica americana dei primi del 900 e credo che molti europei mi abbiano apprezzato anche per quella musica. I temi sono in buona parte vita e amore e queste sono cose che possono metterci tutti in contatto. A mio parere Chris Funk ha fatto un gran lavoro con la produzione, come l’avete scelto? L’abbiamo scelto perchè è nuovo al banco di produzione ed ho pensato che potesse aggiungere molto al disco. Ero anche molto interessato a registrare a Portland, Oregon, ed è lì che lui vive. Credo che

tutti coloro che sono stati coinvolti nel disco siano dei partner importanti, tutti hanno dato le loro idee e spero che ne sia venuto fuori il meglio. Qual è la tua dimensione preferita: studio o performance dal vivo? Ci sono due forme differenti di espressione creativa. Lo show è una naturale combustione di energia, mentre in studio hai bisogno di tempo per lasciare che le cose accadano. Entrambe, però, possono essere magiche.

LANGHORNE SLIM Be Set Free (Kemado) Be Set Free ha tutta l’aria del disco di un narratore, dove la tradizione è al servizio della melodia e della capacità affabulatoria di Langhorne Slim. Una prova di eccellente equilibrio fra il carattere popular della sua musica e l’inclinazione folk legata alle radici della terra statunitense. Ritornelli azzeccati, sospensioni, ripartenze emotive e molti riferimenti ai più grandi songwriter degli anni 70. Ma probabilmente, per capire davvero queste tredici nuove tracce di Langhorne Slim dovremmo andare ancora a ritroso, alle radici della storia americana reinterpretate attraverso l’intreccio di pianoforte e chitarra. Voto: 7/10


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NOVEMBRE/MUSICA

DISFUNZIONI MUSICALI PERCORSI SONORI FRA VINILE E DIGITALE

di Michele Casella

CALIFONE All My Friends Are Funeral Singers

BLACK HEART PROCESSION Six

(Dead Oceans)

(Temporary Residence)

Voto: 9/10

Voto: 7/10

Da lungo tempo indicati fra i più interessanti outsider del versante alt.country, i Califone realizzano il miglior album della loro carriera nonchè una delle prove più iconoclaste e personali dell’anno. Basterebbe ascoltare Evidence per comprendere la caratura di questo disco, una traccia a dir poco strabiliante in cui la voce di Tim Rutili lega alla perfezione con quella di Katie Todd e la metrica sciolta delle liriche si interseca perfettamente con la melodia strumentale. Anche la title-track mette in mostra tutta l’abilità nel partire da una scrittura per chitarra folk e diventare un brano corale, emotivamente coinvolgente. In All My Friends Are Funeral Singers confluiscono lo stile delle prime prove su Road Cone e la maturità delle nuove pubblicazioni, rivelando in maniera piena e lampante la capacità di scrittura del quartetto di Chicago. Proprio la scena di questa città ha fortemente influenzato la recente carriera del gruppo, che ha saputo metabolizzare il rinnovamento della classica forma-canzone per riuscire in un’operazione ancor più ardua: rinnovare il songwriting americano mantenendo una fortissima connessione con i suoi stilemi. I Califone confezionano un disco memorabile, destinato ad accompagnare l’ascoltatore in un ascolto intenso e appassionato.

Senza dubbio il miglior lavoro dei Black Heart Procession dall’uscita di Three, questo sesto album della band di San Diego riassorbe le atmosfere oscure del suo predecessore e scandisce il ritmo con solenne trasporto. Witching Stone incalza l’ascoltatore grazie all’interazione fra piano e batteria, mentre il tappeto oppiaceo di Heaven And Hell e la calda malinconia di Drugs ci riportano alla mente gente come Nick Cave, Arab Strap e Tindersticks. Tra ballate spezzacuori e qualche elemento di identità che comincia a farsi clichè, i Black Heart Procession continuano a rimanere un’entità sonora senza paragoni.


I GATTI MEZZI Gli Struscioni (SAM)

V.A. – In The Christmas Groove (Strut/ Audioglobe) V.A. – Zevoluion, Ze Records Re-edited (Strut/Audioglobe)

Voto: 7/10

Voto: 7/10

Pisani nell’anima, tanto da usare l’inflessione in vernacolo per tutte le loro canzoni, i Gatti Mézzi rievocano una della scene jazz più interessanti della storia italiana, quella che ha visto Polo Conte e Fred Buscaglione primeggiare sia in termini di bravura che di notorietà. Gli Struscioni è un disco ironico e pieno di brio, suonato e fischiettato al ritmo manouche ma con un’attenzione particolare a testi ed atmosfere. Formalmente perfetti per l’esibizione dal vivo, mantengono una sensazionale resa anche su cd, perfino quando Sur Purma l’ascolto è scandito solo da voce e pianoforte. Un piccolo classico.

La Strut torna a colpire con due compilation estremamente interessanti e piene di groove, in linea perfetta con le recenti pubblicazioni della label. Con Zevolution continua il recupero di quella pagina memorabile della musica dance di fine anni 70, ‘stavolta rinnovata attraverso un lavoro creativo di editing. La tracklist vede allineati personaggi come Kid Creole, James White e Was (Not Was) assieme a nomi meno noti al grande pubblico come Garcons e David Gamson, i cui brani sono stati assegnati a remixatori più o meno invasivi. Quel che non cambia, in ogni caso, è la ballabilità delle tracce, a cominciare dalla sorprendente On A Day Like Today (di recente vittima di una versione decisamente irritante che spopola nelle radio commerciali) per arrivare alla coloratissima Spooks In Space. L’altra pubblicazione a cui prestare interesse si intitola In The Christmas Groove e propone dodici tracce dedicate ad un Natale alternativo. Si salta allora da Funky Funky Christmas (perfetta per la notte del 24 diecembre) a Soul Santa (una scoppiettante accoppiata fra voce e fiati), mischiando elementi afro con un immaginario legato a neve ed abeti. L’esempio lampante lo si può ascoltare con Zebra, con il suo la sua Christmas Morning fatta di cori degni di un rituale e continui sovrapporsi di toni, ma anche col soul effettato di Jimmy Jules. Se la acquistate entro Natale avrete anche qualche argomento di cui parlare durante le lunghissime cene festive.


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NOVEMBRE/HI-TECH

. L ARTISTA DEL RICICLO .’ L EPOCA DEL C “ OPIA E INCOLLA”, DAL VIDEOREGISTRATORE AD AFTER EFFECT

di Pasquale Napolitano

L’interfaccia del computer come la conosciamo oggi incide sulla società da un’infinità di punti di vista. Le attività che costituiscono la norma nelle interazioni con il computer nella società dell’informazione sono moltissime. Inserire ed analizzare dati, eseguire simulazioni, navigare in internet, giocare al computer, guardare film e video, ascoltare musica online, comprare e vendere, sono soltanto alcuni esempi. Tutto questo è possibile utilizzando sempre gli stessi strumenti e pochi comandi, digitando sui tasti, scrutando il monitor, muovendo il mouse. L’artista dei new media sperimenta esattamente le stesse operazioni quando lavora ad un progetto. In un certo senso è come se molti dei frammenti esperienziali dalla nostra quotidianità si radunassero nelle mani del creativo per costituire il nuovo approccio al lavoro artistico. In particolare ci sono alcuni comandi che sembrano essere il centro dell’attività creativa per determinate forme di new media art: Taglia, copia, incolla. La prassi di assemblare un oggetto mediale attingendo a elementi preesistenti esisteva già nell’era dei media analogici, ma la tecnologia digitale l’ha ulteriormente standardizzata e resa molto più facile da realizzare. Un buon esempio è quello del registratore. Nel 1964 viene commercializzato dalla Sony il primo modello di telecamera portatile e di videoregistratore. Nasce così la possibilità di produrre contenuti audio-visivi in prima persona, al di fuori dei canali canonici: all’idea della televisione come oggetto si conferma la televisione come linguaggio artistico, basato su un’impressione fisica sul supporto attraverso una serie di operazioni: Taglia, Copia e Incolla. L’artista Nam June Paik, appena trasferitosi in America, è tra i primi a munirsi dell’apparecchiatura e la usa per riprendere il traffico caotico nel giorno della visita di Papa Paolo VI a New York, e per farne un’opera video, mostrata la stessa sera al Greenwich Village, un vero “ready made”: un evento raccolto dal vero ed inserito nel circuito dell’arte. In Italia si distinsero

cineasti in grado di fare film completamente dal montaggio di vecchi film, come il mitico “La Verifica Incerta”, del 1969 di Alberto Grifi, chiaro antenato di Blob. Ciò che richiedeva forbici e colla, ora si reincarna nel mezzo digitale come funzione: prelevare gli elementi utili da library e database oggi è diventata la regola, crearli ex novo è l’eccezione. La rete appare la perfetta materializzazione di questa logica, presentandosi agli occhi dell’utente come un gigantesco archivio multimediale. Non è casuale che lo sviluppo della GUI, che incorpora gli strumenti in questione, sia avvenuto negli anni Ottanta, periodo in cui l’emergere di nuove caratteristiche della cultura ha portato un nuovo tipo di vita sociale e un nuovo ordine economico. Lo stesso decennio in cui la cultura contemporanea è divenuta “post-moderna”, in cui l’arte non cercava più di creare ex novo, sdoganando un’estetica della citazione. Il continuo riciclo dei contenuti, degli stili e delle forme presenti nei media del passato sono venuti a costituire il nuovo stile internazionale, la logica culturale contemporanea. Invece di assemblare nuove rappresentazioni della realtà, la cultura rielaborava materiali espressivi già esistenti. Come accade nelle creazioni di After Effects, software in grado di instaurare un vero e proprio dialogo con gli spettri del passato, in cui all’idea canonica di montaggio in sequenza si aggiunge una dimensione spaziale, legata al patrimonio della grafica, fatto di maschere, livelli e riempimenti. In questo caso la creatività è un taglia,copia, incolla al quadrato.



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NOVEMBRE/HI-TECH

ALLA CONSOLE di Daniele Raspanti e Annarita Cellamare

BATMAN VA IN MANICOMIO Bob Kane e Bill Finger (creatore dell’eroe mascherato a cui solo recentemente è stata associata la “paternità” insieme a Kane) forse non si aspettavano, ben 70 anni fa, di aver creato uno dei più longevi personaggi della storia del fumetto. Eppure, dal debutto sulla rivista Detective Comics nel 39, il loro personaggio ha avuto notevoli successi, sia su carta che su celluloide. Ma la strada videoludica non è sempre stata particolarmente apprezzata dai fan, viste anche le produzioni mai all’altezza del nome Batman. Quest’anno, in tempo per festeggiare il 70° compleanno, l’uomo pipistrello si mette a nuovo. E dopo una fantastica apparizione sul grande schermo con l’ultimo capitolo cinematografico (The Dark Knight, con Christian Bale), Bruce Wayne a.k.a. Batman torna in quella che, con tutta probabilità, è la migliore avventura sul PC e console. Già dalle prime fasi, si nota la cura quasi maniacale nel rappresentare un Batman più verosimile possibile, senza però togliere quella componente “da fumetto”. Guardare le scene di intermezzo, con un Batman dettagliatissimo o un Joker dal sorriso quasi reale (vi verra più volte la sensazione di poter toccare i vostri personaggi), vi farà pensare spesso di assistere ad un’avventura/fumetto dal vivo. La caratterizzazione dei personaggi è una delle particolarità del gioco più riuscite. Vi capiterà di amare o odiare i vari personaggi, compreso un Gordon che vi aiuterà e che spesso vi darà consigli e tutti i “nemici” che incontrerete. Ad aumentare la sensazione di “fumetto animato” sarà anche la presenza di un doppiaggio veramente ben riuscito. La versione italiana si avvarrà di tutti i doppiatori della versione animata già uscita nel nostro Paese: dietro la maschera di Batman, c’è Marco Balzarotti, con un Joker “interpretato” da Riccardo Peroni insieme a

Marcella Silvestri ne i panni di Harley Quinn. I programmatori sono stati osannati da tutti i fan sin dall’inizio dei lavori. E, per fortuna, le aspettative non sono mai state deluse lungo tutti i 2 anni di “gestazione”. E, per mettersi al riparo dai possibili “pirati”, hanno inserito un sistema di protezione alquanto bizzarro: se utilizzerete una versione non regolare, ad un certo punto del gioco (non ve lo svelerò!) vedrete il vostro eroe svolazzare senza che voi possiate riprenderne il controllo. Graficamente accattivante, dalla trama sempre interessante e dalle novità che si susseguono dal primo istante fino alla fine, risulta un titolo piacevole. Quasi immancabile nella collezione di un giocatore normale, ma una pietra miliare per gli amanti dell’uomo pipistrello. Una chicca su un gran bel titolo come questo: il 28 agosto, il gioco è stato omaggiato dal Guinness dei primati, con il titolo di “Gioco più acclamato ispirato ad un supereroe”, grazie anche a votazioni medie che non scendevano sotto il 91/100.

(D.C.)


GUERRA.FRA CIVILTA. NEL PIU GRANDE SOCIAL NETWORK: GIOCHIAMO CON LA STORIA! Sta per arrivare, ormai manca poco. Gli abitanti del web lo sanno già da un pezzo, ma ciò nonostante su Facebook se ne sa poco o niente: fra le mille (e inutili) applicazioni di faccia libro sta per arrivare anche Civilization, gioco difficile da definire. Strategico, gestionale, questo titolo ha spopolato nel mondo del videogame degli anni ‘90, e siamo certi che sul social network troverà svariati consensi. ll gioco permetterà di unirsi con gli amici per creare la civiltà più forte, ricca, grande e famosa del mondo. Sarà possibile coordinare strategie per vincere grandi battaglie, condividere le scoperte tecnologiche per surclassare gli avversari, riunire la famiglia e/o gli amici per formare governi e vincere elezioni importanti, gestire e accrescere le proprie città per aumentare la produzione e la felicità, spiare i nemici, e lavorare con gli amici per creare le Meraviglie del Mondo: queste si potranno costruire in tutte le epoche e saranno disponibili solo possedendo le necessarie

UNCHARTED 2: – IL COVO DEI LADRI LARA CROFT HA TROVATO UN COMPAGNO Videogiochi. Ormai sinonimo di divertimento “per i più piccoli”. Eppure l’ultima fatica dei Naughty Dog vi terrà incollati al televisore come poche storie sanno fare. Uncharted 2: Among Thieves (da noi “Il covo dei ladri”) vi calerà nei panni di Nathan, e in più di un’occasione vi porterà a comparare il nuovo personaggio a grandi icone dell’avventura come Indiana Jones o, in versione video ludica, all’archeologa più famosa del mondo, Lara Croft. Cosa differenzia questo titolo dai soliti videogiochi? In primis, la capacità di destare curiosità in ogni momento, mostrandovi colpi di scena senza sosta come solo una grande produzione hollywoodiana sa fare. Vi verrà voglia di abbandonare il joypad per assistere alle vicende come foste al cinema (ahimè, non è così, e se lo

HEAVY RAIN IL GIOCO DALLE MILLE EMOZIONI Presentato come un concept-game innovativo (circa 3 anni fa) con il video intitolato “The Casting”, oggi quel lavoro cambia nome, e diventa maturo. Ecco a voi, lo psicologico thriller Heavy Rain. Molto spesso, seduti davanti al vostro gioco preferito, vi sarete chiesti: “ora premo un pulsante e vedo cosa succede”. Nuovo gioco, il cinquantone lasciato al negoziante, la minestra riscladata: i soliti oggetti, le solite armi, la solita “barra di energia” prima del game over. Heavy Rain… è diverso.

conoscenze scientifiche. Saranno costruzioni uniche e sarà possibile costruirle solo una volta nella partita, e solo per una civiltà. Si potrà giocare quanto si vorrà, quando si vorrà, e sarà sempre gratuito. Il tentativo di espandere l’esperienza di gioco di Civilization per includere situazioni di gioco in singolo, cooperazione o competizione, avvantaggiandosi dell’unicità dei social network ha spinto il suo creatore, Sid Meier, “padre spirituale” anche della serie “Age of…” di Microsoft, a proporlo agli amministratori di FB, e a quanto pare, dal prossimo anno avremo un’applicazione in più! (A.C.)

farete, vi ritroverete con un personaggio fermo sullo schermo), e guardare questo fantastico viaggio sulle “orme di Marco Polo” I co-protagonisti e i personaggi secondari si comporteranno in maniera a dir poco naturale, aiutando il protagonista, mettendogli “il bastone tra le ruote” (a volte anche letteralmente) o anche solo per una “fare conversazione”. Il tutto “condito” da una colonna sonora invidiabile: un’intera orchestra delizierà le vostre orecchie in tutte le ore passate a prender parte alle avventure di Nathan, cambiando dinamicamente per rispecchiare momenti di azione frenetica a semplici momenti in cui ammirerete spazi sconfinati o ghiacciai secolari! Ovviamente, tutto in perfetto suono surround, come da tradizione cinematografica (è chiaro che ci troviamo di fronte ad un videogioco e non ad un film?). Dolby Digital, DTS o Stereo. Scegliete quello che volete. E se siete audiofili, potrete anche configurare il suono rispetto alla disposizione degli altoparlanti nella vostra stanza. (D.C.)

Il suo “predecessore morale” (al secolo, Fahrenheit, degli stessi ragazzi della Quantic Dreams) ha fatto scuola, ma è ora di uscire ancora una volta dagli schemi. Avete mai pensato di poter cambiare la storia con le vostre risposte e azioni? Questa volta, quelle stesse azioni, quelle risposte, porteranno anche ad un cambiamento nello stato d’animo del vostro personaggio, sia visivo (vedrete 1000 espressioni diverse sul volto), sia comportamentale. E la storia può cambiare in ogni momento. Tutto dipenderà dal vostro approccio. E dal carattere che “plasmerete” sui 4 personaggi principali. Non importa come, ma almeno uno dei vostri personaggi deve arrivare alla fine per risolvere il caso intorno al misterioso “Origami Killer”… A voi, lascio la risoluzione dell’enigma… quando? A Febbraio 2010. Su PS3. (D.C.)


CRAYON RINGS di Timothy Liles Gioielli giocattolo, anzi dei veri pastelli a cena per colorare i vostri appunti e non solo...

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NOVEMBRE/ZOOM

EYE CANDY By Eyecandycan Un lecca lecca usb in 5 gusti diversi trasmette informazioni dalla lingua al cervello. La tua sensazione potrai poi visualizzarla comodamente sullo schermo del tuo pc!

WISH LIST di Emma Capruzzi emmacapruzzi@fabricafluxus.com

TEIERA TERRORISTA By Jackie Piper Per chi ama l’ironia british una teiera armata di passamontagna. Di sicuro politicamente scorretta!

SET VALIGIE-SOFÀ Erik De Nijs ha realizzato un set di 5 valige che in caso di lunghe attese in aeroporto si può trasformare in un comodo sofà

MOUSTACHE MUG Disegnate da Peter Ibruegger per rendere la colazione un momento divertente...


ANELLO POST-IT By Superdesign. Un block notes a portata di dito!

CIABATTE DI PANE

THE BEATLES LTD USB STICK

BY Dadastudio Davvero uniche! Fatevele consegnare direttamente calde calde a casa...

Apple Corp. ed EMI presentano la raccolta definitiva dei Beatles tutta in formato digitale in file MP3 e FLAC. Conservata in una chiavetta USB da 16GB dall’inconfondibile forma della mela verde, edizione limitata a 30mila copie. SPECCHIO ALICE

CALENDAR TAPE

By Domestic. Se il viaggio fantastico non sarà con Alice nel paese delle meraviglie, sarà semplicemente a casa vostra...

By Laboratorium Ideale per prendere appunti al volo attaccastacca!

THE GARDEN OF EYE CANDY

POCKET LIGHT Quando non si ha una torcia a portata di mano... si può sempre avere una POCKET LIGHT by Hak Lee nel portafoglio!

By Ginco Press Lussuoso cofanetto col quale immergersi nel favoloso mondo del Pop Surrealismo

R1 RADIO È una radio analogica realizzata da Il Gu-cha e funziona come un mouse: basta muoverla da destra a sinistra per sintonizzarla e in su o giù per regolra il volume... geniale!




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